N. 46 ORDINANZA (Atto di promovimento) 6 novembre 2020
Ordinanza del 6 novembre 2020 del Tribunale di Catanzaro nel procedimento penale a carico di V. M. e altri. Reati e pene - Modifiche alla disciplina del reato di abuso d'ufficio ad opera del decreto-legge n. 76 del 2020 - Sostituzione, all'art. 323, primo comma, cod. pen., delle parole "di norme di legge o di regolamento," con le seguenti: "di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalita'". - Decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76 (Misure urgenti per la semplificazione e l'innovazione digitale), convertito, con modificazioni, nella legge 11 settembre 2020, n. 120, art. 23, comma 1.(GU n.16 del 21-4-2021 )
TRIBUNALE ORDINARIO DI CATANZARO Ufficio dei giudici per le indagini e l'udienza preliminare Il Giudice, dott. Matteo Ferrante, Visti gli atti del procedimento penale di estremi indicati in epigrafe; Vista la richiesta di rinvio a giudizio presentata dal pubblico ministero in relazione reati di cui all'art. 323 c.p.; Visto l'art. 23, comma 1, decreto-legge n. 76 del 16 luglio 2020 (Gazzetta Ufficiale 16 luglio 2020, n. 178), convertito con modificazioni, dalla legge 11 settembre 2020, n. 120, avente ad oggetto «misure urgenti per la semplificazione e l'innovazione digitale (decreto Semplificazioni)»; Udite le conclusioni rassegnate all'esito dell'udienza preliminare tenutasi in data odierna, Osserva e rileva 1. I fatti oggetto di giudizio. A seguito di rituale richiesta, il pubblico ministero chiedeva l'emissione del decreto che dispone il giudizio nei confronti di V. M., P. C. M., R. M. Z. R. e D'A. C., ritenuti responsabili di plurime condotte di abuso d'ufficio. Secondo la prospettazione accusatoria, gli imputati R., V. e P. - in qualita' di membri della commissione esaminatrice nominata nell'ambito di una procedura concorsuale indetta dall'azienda ospedaliera «...» di ........ avrebbero indebitamente ed illegittimamente favorito i coimputati D'A. e Z., garantendone prima nell'ammissione, sebbene privi di titoli, e successivamente il superamento della predetta procedura concorsuale, attribuendo agli stessi un punteggio maggiore rispetto a quello riconosciuto ad altri candidati in possesso di titoli equipollenti se non addirittura superiori. In particolare, dall'attivita' di indagine e' emerso che: sul B.U.R.C. n. 72 del 4 luglio 2016, l'azienda ospedaliera «...» aveva pubblicato un avviso di selezione pubblica, per soli titoli, per il conferimento di un incarico a tempo determinato, in sostituzione del personale assente, per la posizione funzionale di «dirigente medico, disciplina medicina e chirurgia dell'accettazione d'urgenza»; l'art. 3 del bando indicava espressamente, tra i requisiti di ammissione, il possesso della specializzazione in «medicina e chirurgia dell'accettazione d'urgenza» o in altra disciplina ad essa equipollente; alla procedura concorsuale prendevano complessivamente parte 35 candidati, tra cui gli imputati D'A. e Z.; con deliberazione del 12 settembre 2016 veniva nominata la commissione esaminatrice, composta dagli imputati R., V. e P.; il successivo 3 ottobre 2016, si insediava la commissione e procedeva alla valutazione delle domande pervenute. Nel corso della seduta veniva formato un primo elenco contenente i nominativi di tutti i partecipanti alla procedura concorsuale e l'indicazione, per ciascuno di essi, del possesso o meno dei requisiti di ammissione: in questo primo elenco venivano esclusi 10 candidati (tra i quali gli imputati D'A. e Z.), poiche' ritenuti sprovvisti della specializzazione in «medicina e chirurgia dell'accettazione d'urgenza» ovvero di altra specializzazione ad essa equipollente; tuttavia, successivamente, veniva formato un secondo elenco, recante la dicitura «candidati con titolo di ammissione» in cui, per contro, figuravano anche D'A. e Z., rispetto ai quali veniva indicato, quale requisito di ammissione, la dicitura «servizio» in luogo del precedente giudizio negativo circa l'insussistenza dei titoli necessari per prendere parte alla procedura concorsuale; correlativamente, i predetti imputati, e solo i predetti imputati, venivano espunti dall'ulteriore elenco relativo ai candidati definitivamente esclusi dalla procedura per mancanza di titoli legittimanti; anche l'attribuzione del punteggio ai predetti candidati D'A. e Z. non appariva scevra da anomalie: infatti, agli stessi veniva attribuito il massimo punteggio per aver prestato progresso servizio dirigenziale nella stessa disciplina oggetto di concorso, quando, in realta', i due candidati non avevano svolto attivita' in tal senso assimilabile; inoltre, al D'A. veniva attribuito ulteriore punteggio per alcune pubblicazioni non menzionate nel curriculum vitae, mentre la Z. riceveva un elevatissimo punteggio per il proprio curriculum in assenza di qualsivoglia motivazione; per effetto di tali illegittimita', il D'A. e la Z. venivano collocati, rispettivamente, al quarto ed al primo posto della graduatoria definitiva, approvata con determina n. 1 del 9 gennaio 2017, entrambi in posizione utile in relazione al numero di posti messi a concorso; il prosieguo dell'attivita' di indagine confermava che le reiterate illegittimita' che avevano caratterizzato la procedura concorsuale erano state poste in essere al dichiarato fine di assicurare l'assunzione dei candidati D'A. e Z. poiche' gia' conosciuti dalla dirigenza: infatti, diverso personale medico riferiva degli ottimi rapporti intercorrenti tra i due candidati e la P. (membro della commissione esaminatrice), tanto che quest'ultima, in piu' occasioni, aveva manifestato senza remore la sua intenzione di stabilizzare ed internalizzare i due candidati che, di fatto, gia' prestavano servizio in regime di convenzione con la Struttura ospedaliera. Sulla scorta di tali emergenze, il pubblico ministero ha contestato agli odierni imputati plurime condotte di abuso d'ufficio ai sensi dell'art. 323 c.p.: in particolare, per quanto qui rileva, e' stata dedotta la violazione del dovere di imparzialita' e di buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 della Costituzione), anche in materia di procedure ad evidenza pubblica (art. 35, comma 3, lettera A), testo unico pubblico impiego) e di specifiche norme di rango regolamentare in materia di requisiti di legge per poter prendere parte alle pubbliche selezioni e di attribuzione dei punteggi di merito (art. 8, decreto del Presidente della Repubblica n. 487/1984; art. 11, decreto del Presidente della Repubblica n. 483/1997). Come si e' visto, secondo la prospettazione accusatoria, tali violazioni di norme di legge e di regolamento sarebbero state dolosamente ed intenzionalmente poste in essere dalla commissione aggiudicatrice per assicurare l'assunzione dei due candidati ancorche' sprovvisti financo dei requisiti minimi per poter prendere parte alla procedura concorsuale. Fissata l'udienza preliminare, nelle more e' intervenuto l'art. 23, comma 1, decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 settembre 2020, n. 120 - disposizione della cui legittimita' costituzionale in questa sede si dubita - che ha riscritto la fattispecie incriminatrice, circoscrivendone profondamente l'ambito di operativita', di fatto depenalizzando condotte quali quella oggetto del presente giudizio. La citata disposizione ha modificato la previgente formulazione dell'art. 323 del codice penale (a tenore della quale «salvo che il fatto non costituisca un piu' grave reato, il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di norme di legge o di regolamento, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a se' o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto e' punito con la reclusione da uno a quattro anni»), sostituendo la locuzione «in violazione di norme di legge o di regolamento» con quella piu' restrittiva «in violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalita'». La novella, non ulteriormente modificata in sede di legge di conversione, restringe la fattispede operando un'abolitio criminis parziale, operando su 3 distinti fronti: a) rispetto all'oggetto, la violazione commessa dal pubblico soggetto deve riguardare una regola di condotta (e non ad es. una regola di natura organizzativa); b) rispetto alla fonte, tale regola violata deve essere specifica ed espressamente prevista da una fonte di rango ordinario, cioe' dalla legge o da un atto avente forza di legge, con esclusione delle norme regolamentari; c) rispetto al contenuto, la regola non deve lasciare spazi di discrezionalita'. 2. Sulla rilevanza della questione. La novella assume rilievo decisivo nell'economia del presente giudizio: infatti, tenuto conto della fase in cui il processo si trova, appare evidente come, in difetto di essa, dovrebbe emettersi il decreto che dispone il giudizio. E' pacifico ed incontroverso che, nel tenore della previgente formulazione dell'art. 323 c.p., le condotte contestate agli imputati fossero idonee ad integrare il delitto di abuso d'ufficio, specie ove si consideri, a tacer d'altro, che, per giurisprudenza costante, in tema di abuso di ufficio, il requisito della violazione di legge puo' consistere anche nella inosservanza dell'art. 97 della Costituzione, nella parte immediatamente precettiva che impone ad ogni pubblico ufficiale, nell'esercizio delle sue funzioni, di non usare il potere che la legge gli conferisce per compiere deliberati favoritismi e procurare ingiusti vantaggi ovvero per realizzare intenzionali vessazioni o discriminazioni e procurare ingiusti danni [ex multis Cass., II, 27 ottobre 2015, n. 46096]. In altri termini, la copiosa giurisprudenza formatasi in materia prima della recente novella legislativa, riteneva integrato il requisito della «violazione di norme di legge», necessario per la configurazione della fattispecie incriminatrice dell'abuso di ufficio, anche dalla violazione dei principi di imparzialita' e buon andamento della pubblica amministrazione. Nella vicenda per cui si procede le condotte poste in essere dagli imputati si appalesano in contrasto sia con norme di legge (art. 97 della Costituzione) che di regolamento (art. 8, decreto del Presidente della Repubblica n. 487/1984; art. 11, decreto del Presidente della Repubblica n. 483/1997), a fronte delle quali gli elementi raccolti in corso di indagine costituiscono base idonea per sostenere in sede dibattimentale che tali illegittimita' fossero intenzionalmente finalizzare a recare vantaggio ad alcuni specifici soggetti. Pertanto, sulla scorta degli atti acquisiti al fascicolo, dovrebbe emettersi decreto che dispone il giudizio, atteso che gli elementi raccolti in fase di indagini rendono evidente la necessita' del vaglio dibattimentale, restando, dunque, preclusa l'emissione di sentenza di non luogo a procedere. Del resto, la delibazione del giudice dell'udienza preliminare non ha quale oggetto una pronuncia riguardante l'innocenza o la colpevolezza dell'imputato bensi' l'inutilita' o meno del dibattimento per affermare la prima evenienza: infatti, attesa la funzione di «filtro» svolta dall'udienza preliminare, ai fini della pronuncia della sentenza di non luogo a procedere, il Gup deve valutare, sotto il solo profilo processuale, se gli elementi probatori acquisiti risultino insufficienti, contraddittori o comunque inidonei a sostenere l'accusa in giudizio, esprimendo un giudizio prognostico circa l'inutilita' del dibattimento, senza poter effettuare una complessa ed approfondita disamina del merito [Cass., II, 5 novembre 2015, n. 46145]. Alla stregua di tali principi, tenuto conto della mole di elementi raccolti in corso di indagine a carico degli odierni imputati, non potrebbe certamente effettuarsi una prognosi di inutilita' del dibattimento, indispensabile per l'emissione della sentenza di non luogo a procedere. In tale contesto, pertanto, s'imporrebbe il rinvio a giudizio degli imputati. Tuttavia, tale eventualita' appare preclusa per effetto della novella legislativa che ha operato una sostanziale depenalizzazione delle condotte qui contestate: infatti, venuta meno la possibilita' di ritenere integrato l'abuso d'ufficio dalla violazione di norme avente rango regolamentare (l'attuale formulazione dell'art. 323 del codice penale non contempla piu' la violazione di regolamento) neppure le residue norme di rango legislativo e costituzionale richiamate nel capo d'imputazione (art. 97 della Costituzione; art. 1, legge n. 241/1990, art. 35, comma 3, lettera A), testo unico pubblico impiego) appaiono idonee ad integrare la novellata ipotesi di abuso d'ufficio, trattandosi di disposizioni recanti principi a cui deve uniformarsi l'azione amministrative e non di norme di condotta dalle quali non residuino margini di discrezionalita'; elemento, questo, indispensabile per ritenere integrata la fattispecie incriminatrice cosi' come riformulata per effetto della novella legislativa. Stando cosi' le cose, per effetto della novella, il giudizio dovrebbe essere definito in udienza preliminare con sentenza di non luogo a procedere perche' il fatto non e' piu' previsto dalla legge come reato. Da qui la rilevanza della proposta questione di legittimita' costituzionale. 3. Sulla non manifesta infondatezza della questione. La novella legislativa si appalesa in contrasto con plurime norme di rango costituzionale, sia per quanto concerne l'aspetto procedurale, relativo all'adozione per il tramite di un decreto-legge, sia per quanto concerne il suo contenuto sostanziale. 3.1. Violazione dell'art. 77 della Costituzione: l'eterogeneita' della materia trattata. La norma qui censurata, che ha di fatto depenalizzato gran parte delle ipotesi in precedenza ricondotte alla fattispecie di cui all'art. 323 c.p., e' stata introdotta con il decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76 (in Supplemento ordinario n. 24 alla Gazzetta Ufficiale, 16 luglio 2020, n. 178), convertito, con modificazioni, dalla legge 11 settembre 2020, n. 120, recante «misure urgenti per la semplificazione e l'innovazione digitale (decreto Semplificazioni)». Il ridetto decreto, adottato a seguito degli eventi epidemiologici che hanno coinvolto l'intero paese, e' stato motivato dalla ritenuta «straordinaria necessita' e urgenza di realizzare un'accelerazione degli investimenti e delle infrastrutture attraverso la semplificazione delle procedure in materia di contratti pubblici e di edilizia, operando senza pregiudizio per i presidi di legalita'», nonche' dalla necessita', ritenuta anch'essa cogente ed indifferibile, di «introdurre misure di semplificazione procedimentale e di sostegno e diffusione dell'amministrazione digitale, nonche' interventi di semplificazione in materia di responsabilita' del personale delle amministrazioni, nonche' di adottare misure di semplificazione in materia da attivita' imprenditoriale, di ambiente e di green economy, al fine di fronteggiare le ricadute economiche conseguenti all'emergenza epidemiologica Covid-19» [cosi', testualmente, il preambolo posto in epigrafe al decreto]. Coerentemente con tale contesto, ritenuto emergenziale, il ridetto decreto ha introdotto, da un lato, molteplici disposizioni volte a semplificare le procedure amministrative in materia di contratti pubblici, edilizia, organizzazione del sistema universitario ed il Corpo nazionale dei Vigili del fuoco, nonche' le procedure in materia di attivita' di impresa, ambiente e green economy; dall'altro, sono state introdotte misure volte al sostegno ed alla diffusione dell'amministrazione digitale. Ora, appare evidente come, rispetto tali disposizioni ed al contesto emergenziale che la ha determinate, la disposizione qui censurata appaia del tutto eccentrica ed assolutamente avulsa dalle ragioni giustificatrici della normazione adottata in via d'urgenza dal Governo. Infatti, se gia' puo' ritenersi opinabile, se non addirittura impossibile, che un intervento volto ad operare una depenalizzazione parziale possa rivestire i caratteri di necessita' e di urgenza tali da legittimare la procedura per decreto, nella vicenda per cui si procedere e' palese che esso non abbia alcuna attinenza rispetto alla necessita', posta a fondamento della decretazione d'urgenza, di introdurre procedure di semplificazione amministrativa e di rilancio economico per il rilancio del paese. Si tratta, dunque, di disposizione diversa per materia e per finalita', che denota la sua evidente estraneita' rispetto ai contenuti e agli obiettivi del decreto-legge in cui detta norma e' stata inserita. La predetta disposizione reca un contenuto i cui elementi di eterogeneita' si pongono in netta cesura con il resto del corpo normativo in cui sono contenute. Del resto, la disomogeneita' della disposizione impugnata rispetto al decreto-legge che l'ha introdotta assume caratteri di assoluta evidenza anche alla luce della portata della riforma e della delicatezza e complessita' della materia incisa: si tratta, infatti, di una novella abrogatrice che circoscrive in maniera oltremodo limitativa il perimetro applicativo dell'art. 323 c.p., rendendola di fatto, per come si vedra', una disposizione inapplicabile. Una tale e penetrante e incisiva riforma, implicante delicate scelte di natura politico-criminale, avrebbe richiesto un adeguato dibattito parlamentare, certamente possibile ove si fossero seguite le ordinarie procedure di formazione della legge, ex art. 72 della Costituzione. La norma qui censurata, incidendo in materia penale sulla fattispecie di abuso d'ufficio, per la quale non sussiste il medesimo presupposto della necessita' temporale ritenuta per gli altri interventi avrebbe, quindi, potuto essere oggetto del normale esercizio del potere di iniziativa legislativa. Si presenta, dunque, una insanabile discrasia di contenuto, finalita' e ratio tra le restanti norme contenute nel decreto-legge e la disposizione qui censurata, non potendo ravvisarsi alcuna strumentalita' tra la disposizione abrogatrice del delitto di abuso d'ufficio e la necessita' di semplificare le procedure amministrative volte a velocizzare gli investimenti. Sotto tale profilo, va rilevato che la norma abrogatrice oggetto di scrutinio non appare diretta a fronteggiare uno o piu' specifici eventi eccezionali in relazione a situazioni gia' esistenti e bisognose di urgente intervento normativo, essendo diretta, piuttosto, a delimitare la penale responsabilita' dei pubblici funzionari in relazione all'attivita' amministrativa dagli stessi svolta: si tratta, quindi, di una normativa «a regime», del tutto slegata da contingenze particolari, inserita tuttavia in un decreto-legge denominato «misure urgenti per la semplificazione e l'innovazione digitale (decreto Semplificazioni)»; il che trova riscontro nell'assenza di qualsivoglia indicazione in tal senso nel preambolo posto in epigrafe al decreto, dove vengono enucleate le ragioni giustificatrici di tale intervento normativo d'urgenza. Cio' integra una palese violazione dell'art. 77 della Costituzione: la disposizione qui censurata appare estranea all'oggetto ed alla ratio del decreto-legge ed assume rilevanza decisiva ai fini del giudizio. Al riguardo, la costante giurisprudenza della Corte costituzionale ha individuato, tra gli indici alla stregua dei quali verificare «se risulti evidente o meno la carenza del requisito della straordinarieta' del caso di necessita' e d'urgenza di provvedere», la «evidente estraneita'» della norma censurata rispetto alla materia disciplinata da altre disposizioni del decreto-legge in cui e' inserita (Corte costituzionale, sentenza n. 171 del 2007; in conformita', sentenza n. 128 del 2008). La giurisprudenza sopra richiamata collega il riconoscimento dell'esistenza dei presupposti fattuali di cui all'art. 77, secondo comma, Cost., ad una intrinseca coerenza delle norme contenute in un decreto-legge, o dal punto di vista oggettivo e materiale, o dal punto di vista funzionale e finalistico. In quest'ottica, l'urgente necessita' del provvedere puo' riguardare una pluralita' di norme accomunate dalla natura unitaria delle fattispecie disciplinate, ovvero anche dall'intento di fronteggiare situazioni straordinarie complesse e variegate, che richiedono interventi oggettivamente eterogenei, afferenti quindi a materie diverse, ma indirizzati all'unico scopo di approntare rimedi urgenti a situazioni straordinarie venutesi a determinare. Da quanto detto si trae la conclusione che la semplice immissione di una disposizione nel corpo di un decreto-legge oggettivamente o teleologicamente unitario non vale a trasmettere, per cio' solo, alla stessa il carattere di urgenza proprio delle altre disposizioni, legate tra loro dalla comunanza di oggetto o di finalita': infatti, ai sensi del secondo comma dell'art. 77 della Costituzione, i presupposti per l'esercizio senza delega della potesta' legislativa da parte del Governo riguardano il decreto-legge nella sua interezza, inteso come insieme di disposizioni omogenee per la materia o per lo scopo. L'inserimento di norme eterogenee all'oggetto o alla finalita' del decreto spezza il legame logico-giuridico tra la valutazione fatta dal Governo dell'urgenza del provvedere ed «i provvedimenti provvisori con forza di legge», di cui alla norma costituzionale citata. Il presupposto del «caso» straordinario di necessita' e urgenza inerisce sempre e soltanto al provvedimento inteso come un tutto unitario, atto normativa fornito di intrinseca coerenza, anche se articolato e differenziato al suo interno. D'altro canto, se cosi' non fosse, la scomposizione atomistica della condizione di validita' prescritta dalla Costituzione si porrebbe in contrasto con il necessario legame tra il provvedimento legislativo urgente ed il «caso» che lo ha reso necessario, trasformando il decreto-legge in una congerie di norme assemblate soltanto da mera casualita' temporale (Corte cost. sentenza n. 22 del 2012). Non a caso, l'art. 15, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell'attivita' di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri) - la' dove prescrive che il contenuto del decreto-legge «deve essere specifico, omogeneo e corrispondente al titolo» - pur non avendo, in se' e per se', rango costituzionale, e non potendo quindi assurgere a parametro di legittimita' costituzionale, costituisce esplicitazione della ratio implicita nel secondo comma dell'art. 77 della Costituzione, il quale impone il collegamento dell'intero decreto-legge al caso straordinario di necessita' e urgenza, che ha indotto il Governo ad avvalersi dell'eccezionale potere di esercitare la funzione legislativa senza previa delegazione da parte del Parlamento. A fronte di cio', la disposizione qui censurata non appare riconducibile alla ratio unitaria di semplificare in via d'urgenza l'azione amministrativa, i cui termini ordinari di svolgimento dell'iter procedimentale sono risultati dannosi per gli interessi ritenuti rilevanti dal Governo tanto da richiedere interventi giudicati indifferibili. Cio' rende evidente il contrasto della citata disposizione con l'art. 77 della Costituzione in ragione della commistione e sovrapposizione, nello stesso atto normativo, di norme aventi ad oggetto finalita' eterogenee e che affondano le loro radici in presupposti, a loro volta, affatto diversi tra loro. A tali rilievi, gia' di per se' assorbenti, vale la pena aggiungere un ulteriore ordine di considerazioni. In definitiva, la disposizione qui censurata appare estranea all'oggetto ed alla ratio del decreto-legge ed assume rilevanza decisiva ai fini del giudizio. 3.2. Violazione dell'art. 77 della Costituzione: assenza del requisito della necessita' e dell'urgenza per quanto concerne la riforma del delitto di abuso d'ufficio. Fermi tali assorbenti rilievi, appare altresi' evidente come, quand'anche si volesse ritenere l'omogeneita' delle norme impugnate rispetto al contenuto ed alla ratio del decreto-legge, dovrebbe allora sindacarsi la sussistenza, per le nuove norme introdotte, dei citati requisiti di necessita' e di urgenza, essendo evidente come rispetto ad una depenalizzazione l'eccezionale urgenza di provvedere non possa essere realisticamente postulata se non in ipotesi residuali, nella specie del tutto insussistenti. Le considerazioni che precedono rendono evidente il difetto di tale requisito. Va, al riguardo, rilevato che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 171 del 2007, ha ritenuto che non e' possibile sottrarre il decreto-legge al sindacato di legittimita' per difetto del presupposto della necessita' ed urgenza a causa della sua conversione, giacche' «affermare che la legge di conversione sana in ogni caso i vizi del decreto significherebbe attribuire in concreto al legislatore ordinario il potere di alterare il riparto costituzionale delle competenze del Parlamento e del Governo quanto alla produzione delle fonti primarie». Sulla base di questa giurisprudenza costituzionale si e' quindi ritenuto che tutte le disposizioni di un decreto-legge devono essere ancorate al presupposto del caso straordinario di necessita' e urgenza che legittima l'esercizio del potere legislativo senza delega da parte del Governo. D'altra parte, l'estraneita' di taluna di dette disposizioni alla disciplina cui il presupposto della necessita' e urgenza si riferisce, sarebbe segno evidente della carenza del presupposto stesso, che non puo' essere sanata dalla conversione del decreto. In altri termini, le disposizioni del decreto-legge convertito - tutte le disposizioni in esso contenute - devono essere assistite dai requisiti della straordinaria necessita' e urgenza, pena l'illegittimita' di quelle che ne sono prive. Nel caso in esame, pertanto, qualora si ritenesse infondata la questione di legittimita' costituzionale qui sollevata in via principale, dovrebbe svolgersi il sindacato di sussistenza del necessario requisito della necessita' ed urgenza sulla norma qui censurata; necessita' ed urgenza, nella specie palesemente insussistenti, tenuto conto dei fisiologi tempi di svolgimento di qualsivoglia procedimento penale e della totale assenza di incidenza di singole vicende penali sul piano della semplificazione dell'azione amministrativa. Emblematica e' in tal senso l'assoluta mancanza di una motivazione contenuta nel preambolo dell'atto normativo in ordine alla straordinaria necessita' che rendeva urgente, in quel momento, la riscrittura del delitto di abuso d'ufficio, a riprova dell'assenza di qualsivoglia plausibile ragione o giustificazione posta a fondamento dell'intervento normativa d'urgenza. 3.3. Violazione degli articoli 3 e 97 della Costituzione. Oltre alle ritenute criticita' afferenti la procedura di approvazione, la disposizione qui censurata pone anche del merito dubbi di legittimita' costituzionale. Come e' noto, il reato di abuso d'ufficio e' posto a presidio dell'interesse pubblico al buon andamento, all'imparzialita' ed alla trasparenza della pubblica amministrazione, che costituisce un aspetto costituzionalmente garantito rispetto al comportamento illegittimo ed ingiusto del pubblico ufficiale. Tale rilievo rende palese ed evidente il contrasto tra la finalita' che ha animato l'adozione del decreto-legge - ossia quella di semplificare l'azione amministrazione «operando senza pregiudizio per i presidi di legalita'», cosi' come indicato nel preambolo - e la norma qui censurata che, rispetto a tale finalita', opera in direzione diametralmente opposta, andando ad incidere su una disposizione posta ad imprescindibile presidio della salvaguardia della legalita' dell'azione amministrativa. L'aver ancorato la condotta tipica alla violazione «di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalita'» ha come conseguenza che l'abuso, per assumere rilievo penale, si deve risolvere nell'inosservanza di un dovere vincolato nell'an, nel quid e nel quomodo dell'attivita': per l'appunto, senza «margini di discrezionalita'» in alcuno dei momenti qualificanti il comportamento definito dalla legge e dall'atto ad essa equiparato. Una tale indicazione normativa snatura la fattispecie incriminatrice, trasformandola in un reato legislativamente «impossibile». La citata deposizione appare solo all'apparenza diretta a specificare, in senso piu' pregnante e tassativo, il contenuto della condotta tipica, finendo, di fatto, per operare una sostanziale ed integrale depenalizzazione dell'intera fattispecie incriminatrice: infatti, tenuto conto della clausola di sussidiarieta' contenuta nella citata disposizione («salvo che il fatto non costituisca piu' grave reato»), appare evidente come l'inosservanza di un dovere vincolato integri gia' di per se' un diverso reato (l'omissione d'atti d'ufficio in caso di condotta omissiva, il falso conseguente al compimento di un atto in difetto dei presupposti necessari, ovvero un diverso abuso di autorita' specificamente previsto). In realta', i casi in cui la legge determina il se, il cosa ed il come di una condotta imposta ad un agente pubblico sono non solo rari, ma attinenti ad una sfera minuta dell'attivita' amministrativa. In effetti, il requisito inserito nella fattispecie («... dalle quali non residuino margini di discrezionalita'») si configura come un vero e proprio elemento negativo del fatto, la cui sussistenza viene in radice meno se tale elemento (il potere discrezionale) ricorre. In pratica, il legislatore ha riservato la rilevanza penale ad una improbabile e del tutto marginale casistica (quella degli atti a forma integralmente vincolata), rendendo, di fatto, prive di ogni rilievo le condotte, ben piu' gravi, di coloro che, detenendo il potere di scegliere discrezionalmente, si trovano nella condizione privilegiata per abusarne. L'idea di privare di rilevanza penale ogni aspetto connesso all'esercizio di discrezionalita' amministrativa rappresenta, di per se', una flagrante violazione del principio di uguaglianza, risolvendosi nell'attribuzione, in capo all'agente pubblico, di un potere dispositivo assoluto e sottratto al vaglio giudiziale. Cosi' facendo, la disposizione qui censurata, equiparando il pubblico agente ad un privato, pone sullo stesso piano situazioni affatto diverse: il potere discrezionale attribuito al primo e la facolta' di disposizione riconosciuta al secondo rispetto ad una cosa di cui sia proprietario; il tutto in palese violazione del principio di uguaglianza, da un lato, e della legalita' dell'azione amministrativa, dall'altro. Si tratta di un'equiparazione inammissibile volta ad uniformare sotto la stessa disciplina situazioni radicalmente ed ontologicamente diverse, con l'ulteriore vulnus per il principio di legalita' dell'azione amministrativa. Da qui l'ulteriore dubbio di legittimita' costituzionale della disposizione qui censurata in relazione agli articoli 3 e 97 della Costituzione. 4. Sull'ammissibilita' della questione. E' appena il caso di evidenziare la piena ammissibilita' della proposta questione di legittimita' costituzionale, ancorche' la stessa, ove accolta, determinerebbe la caducazione della norma abrogatrice e, di conseguenza, la reviviscenza della previgente disciplina con inevitabili effetti in malam partem. Al riguardo, la costante e risalente giurisprudenza della Corte costituzionale, sin dalla sentenza n. 148 del 1983, ritiene che gli eventuali effetti in malam partem di una decisione della Corte non precludono l'esame nel merito della normativa impugnata, fermo restando il divieto per la Corte (in virtu' della riserva di legge vigente in materia penale, di cui all'art. 25 della Costituzione) di «configurare nuove norme penali» (sentenza n. 394 del 2006), siano esse incriminatrici o sanzionatorie, eventualita' questa che non rileva nel presente giudizio, dal momento che l'eventuale decisione di accoglimento non farebbe altro che rimuovere gli ostacoli all'applicazione di una disciplina stabilita dal legislatore. Infatti, il controllo di legittimita' costituzionale non puo' soffrire limitazioni, se ritualmente attivato secondo le norme vigenti, ed effetti delle sentenze di accoglimento nel processo principale, che devono essere valutati dal giudice rimettente secondo i principi generali che reggono la successione nel tempo delle leggi penali. Va pertanto sollevata questione di legittimita' costituzionale delle suddette disposizioni e norme, nei limiti, sotto i profili e nei termini sopra specificati. Il giudizio deve essere sospeso sino all'esito del giudizio incidentale di legittimita' costituzionale.
P.Q.M. Visto l'art. 134 della Costituzione, l'art. 1 della legge 9 febbraio 1948, n. 1 e l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, Dichiara ammissibile, rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 23, comma 1, del decreto-legge n. 76 del 16 luglio 2020 (Gazzetta Ufficiale 16 luglio 2020, n. 178), convertito in convertito, con modificazioni, dalla legge 11 settembre 2020, n. 120, per contrasto con gli articoli 3, 77 e 94 della Costituzione. Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Ordina che la presente ordinanza, di cui viene data lettura in udienza alla presenza delle parti, sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Sospende il giudizio in corso sino all'esito del giudizio incidentale di legittimita' costituzionale. Catanzaro, 6 novembre 2020 Il Giudice: Ferrante