N. 24 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 20 aprile 2021

Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
cancelleria il 20 aprile  2021  (del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri) . 
 
Impiego pubblico - Nome della Regione Veneto - Modifiche  alla  legge
  regionale n. 63 del 1979  recante  norme  per  l'istituzione  e  il
  funzionamento  dell'Istituto  regionale   per   le   ville   venete
  (I.R.V.V.) - Previsione che, a decorrere dal  1°  gennaio  2018,  i
  fondi destinati al trattamento economico accessorio del  personale,
  anche   di   livello   dirigenziale,   dell'ente   possono   essere
  incrementati in misura non superiore alla differenza tra il  valore
  medio  individuale  del  trattamento   economico   accessorio   del
  personale dell'amministrazione regionale, calcolato con riferimento
  all'anno 2016, e quello corrisposto al personale in  servizio  alla
  medesima data presso l'Istituto - Previsione che, a  decorrere  dal
  1° gennaio 2020, al personale dell'Istituto regionale ville  venete
  si  applica  quanto  disposto  dall'ultimo  periodo  del  comma   1
  dell'art. 33 del decreto-legge n. 34 del 2019. 
- Legge della Regione Veneto 10 febbraio 2021, n. 3  (Modifiche  alla
  legge regionale 24 agosto 1979, n. 63 "Norme per l'istituzione e il
  funzionamento  dell'Istituto  regionale   per   le   ville   venete
  "I.R.V.V."", ed ulteriori disposizioni), art. 1. 
(GU n.18 del 5-5-2021 )
    Ricorso  per  il   Presidente   del   Consiglio   dei   ministri,
rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura Generale dello  Stato,
presso i cui uffici domicilia in Roma, via dei Portoghesi n. 12, 
    contro la Regione Veneto, in persona del Presidente della  Giunta
Regionale p.t., 
    per la declaratoria  di  incostituzionalita'  dell'art.  1  della
legge regionale n. 3 del 2021, pubblicata nel B.U.R.  n.  22  del  12
febbraio 2021, recante «Modifiche  alla  legge  regionale  24  agosto
1979, n. 63, Norme per l'istituzione e il funzionamento dell'Istituto
regionale per le ville venete I.R.V.V., ed  ulteriori  disposizioni»,
giusta delibera del Consiglio dei Ministri in data 31 marzo 2021. 
    Con la legge impugnata la Regione Veneto  introduce  disposizioni
finalizzate ad armonizzare il trattamento  economico  accessorio  del
personale dell'Istituto regionale per  le  Ville  Venete  con  quello
della Giunta regionale del  Veneto.  La  legge  presenta  aspetti  di
illegittimita'  costituzionale  con  riferimento  alle   disposizioni
contenute nell'art. 1, che introducono i commi 3-bis e 3-ter all'art.
25, legge regionale  n.  63/1979,  per  violazione  della  competenza
statale in materia di ordinamento civile,  ai  sensi  dell'art.  117,
secondo comma,  lettera  l)  della  Costituzione,  del  principio  di
coordinamento della finanza pubblica,  di  cui  all'art.  117,  terzo
comma, nonche' per  violazione  dei  principi  di  uguaglianza,  buon
andamento ed imparzialita' della Pubblica Amministrazione,  ai  sensi
degli articoli 3 e 97. 
a) L'Istituto regionale per le Ville Venete 
    Preliminarmente, si illustra  che  l'Istituto  regionale  per  le
Ville Venete (I.R.V.V.), e' stato istituito con la legge regionale 24
agosto 1979, n. 63 - in sostituzione del  previgente  Ente  nazionale
per  le  Ville  Venete  con  il  rilevante  compito  di  restauro   e
valorizzazione delle ville  del  territorio  veneto  e  friulano,  in
concorso con il  proprietario  o  sostituendosi  ad  esso  (art.  2).
L'Istituto e' dotato di personalita' giuridica pubblica ed  opera  in
conformita' alla programmazione regionale di settore e agli indirizzi
definiti dal Consiglio regionale (art. 1, comma  2).  Allo  scopo  di
perseguire  le  finalita'  strategiche   indicate   dalla   normativa
regionale, tra le quali vi sono quella di assicurare e  sostenere  la
conservazione del patrimonio culturale costituto dalle Ville  Venete,
in  aggiunta  a  quella  di  favorirne  la   pubblica   fruizione   e
valorizzazione, la legge individua le linee  di  azione  sulle  quali
orientare gli interventi: 
      1.  attivita'  istituzionali  -  concessione  di  finanziamenti
(mutui e contributi) con risorse proprie e statali (cfr. art. 17,  LR
63/79 e legge n. 233/1991); 
      2. gestione di ville  regionali  (in  attuazione  di  specifici
accordi con la Regione, proprietaria  dei  cespiti)  (cfr.  art.  26,
legge regionale n. 63/1979); 
      3. studi, ricerche e pubblicazioni (cfr. art. 2 legge regionale
n. 63/79); 
      4. attivita' promozionali (eventi e  manifestazioni  culturali)
(cfr. articoli 2 e 17, legge regionale n. 63/79). 
b) La legge della Regione Veneto n. 3 del 2021 
    Per quanto interessa  in  questa  sede,  la  normativa  regionale
istitutiva dell'I.R.V.V. (legge n. 63 del 1979) detta,  all'art.  25,
la disciplina relativa al personale  alle  dipendenze  dell'Istituto.
Correttamente, i commi due e tre del precitato articolo prevedono che
il personale dello stesso sia  assunto  esclusivamente  per  pubblico
concorso, secondo quanto disposto dalla legislazione statale  vigente
in materia di assunzioni (comma 2). 
    Lo stato giuridico  e  il  trattamento  economico  del  personale
dipendente dell'Istituto sono equiparati, poi, a quello del personale
di ruolo della  Regione  che  e'  soggetto  alla  relativa  normativa
regionale; pertanto, lo  stesso  «non  puo'  fruire  del  trattamento
giuridico ed economico piu' favorevole di quello  in  vigore  per  il
personale regionale, a parita' o equivalenza di mansioni» (comma 3). 
    Con la nuova normativa regionale di cui alla legge  3  del  2021,
art. 1 che aggiunge i commi 3-bis e  3-ter  all'illustrato  art.  25,
sono  state  introdotte  disposizioni  concernenti   il   trattamento
economico accessorio per il personale dipendente  dell'I.R.V.V.,  con
disciplina  che,  pero',  esorbita  dalle  attribuzioni   legislative
regionali e invade la competenza esclusiva del legislatore statale. 
    E questo per i seguenti motivi. 
 
                                 -I- 
 
    Illegittimita' del comma 3-bis dell'art. 25, legge  regionale  n.
63/1979, introdotto dall'art. 1 comma 1 della legge  n.  3/2021,  per
violazione  della  potesta'  esclusiva  dello  Stato  in  materia  di
ordinamento civile, ai sensi dell'art. 117,  secondo  comma,  lettera
l), Cost. e della normativa interposta di cui al decreto  legislativo
30 marzo 2001, n. 165 che, in base all'art. 1 comma 3, detta principi
fondamentali a cui le Regioni devono adeguarsi. 
    L'art. 1, prima parte,  della  legge  regionale  n.  3  del  2021
inserisce il comma 3-bis, qui impugnato, all'art. 25, legge regionale
n. 63/1979. 
    Lo stesso recita: 
      «In attuazione di quanto disposto dal terzo comma, a  decorrere
dal 1° gennaio 2018, al fine di consentire l'effettiva armonizzazione
del trattamento economico del personale dell'Istituto regionale ville
venete  con  quello  della  Giunta  regionale  del  Veneto,  i  fondi
destinati al trattamento economico accessorio del personale, anche di
livello dirigenziale,  dell'ente  possono  essere  incrementati,  con
riferimento al medesimo  personale,  in  misura  non  superiore  alla
differenza tra il valore medio individuale del trattamento  economico
accessorio del personale  dell'amministrazione  regionale,  calcolato
con riferimento all'anno 2016, e quello corrisposto al  personale  in
servizio alla medesima data presso l'Istituto». 
    La disposizione impugnata esorbita dall'ambito delle attribuzioni
legislative regionali invadendo illegittimamente un  settore,  quello
dell'ordinamento  civile,  riservato  alla   competenza   legislativa
esclusiva dello Stato [ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera
l)], cui e' riconducibile la materia relativa ai rapporti di pubblico
impiego. 
    Costantemente, infatti, codesta ecc.ma Corte ha ricordato che  il
rapporto di lavoro alle dipendenze della p.a., specie a seguito della
privatizzazione in base alla quale la  disciplina  e'  dettata  dalle
disposizioni del Codice  civile  e  dalla  contrattazione  collettiva
(art. 2 decreto  legislativo  165/2001),  rientra  nell'ambito  della
materia relativa  all'ordinamento  civile,  di  competenza  esclusiva
dello Stato, ivi compreso il profilo del trattamento  economico,  sia
fondamentale che accessorio. 
    E'  principio  ampiamente  consolidato  nella  giurisprudenza  di
Codesta  Corte  che  la  disciplina  del  rapporto  di  lavoro  nelle
pubbliche amministrazioni attenga all'ordinamento civile di esclusiva
competenza statale; si veda, ex  plurimis,  Corte  costituzionale  31
gennaio 2014, n.  7,  la  quale  ritiene  che  qualunque  ipotesi  di
regolamentazione del rapporto di lavoro dipendente  pubblico  sia  da
ricomprendere nella «dinamica del rapporto di lavoro e  del  relativo
regime ed sia, quindi,  riconducibile  in  modo  piano  alla  materia
dell'«ordinamento civile», con  la  conseguenza  che  «l'inosservanza
della disciplina di  legge  statale  e  di  derivazione  contrattuale
collettiva ...rende,  dunque,  ancora  piu'  evidente  la  violazione
dell'art. 117, secondo comma, lettera l), Cast.  denunciata  in  capo
alla disposizione in oggetto.». 
    Questi principi valgono sia per la costituzione del  rapporto  di
lavoro  sia  per  la  sua  disciplina  e  regolazione  giuridica   ed
economica; si vedano, ex plurimis, Corte costituzionale 28 marzo 2014
n.  61;  Corte  costituzionale  3  dicembre  2014  n.  269  e   Corte
costituzionale  18  luglio  2014  n.  211:   «Secondo   il   costante
orientamento di questa Corte, a  seguito  della  privatizzazione  del
rapporto di pubblico impiego - operata dall'art.  2  della  legge  23
ottobre 1992, n. 421 (Delega al Governo per la razionalizzazione e la
revisione  delle  discipline  in  materia  di  sanita',  di  pubblico
impiego, di previdenza e  di  finanza  territoriale),  dall'art.  11,
comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59 (Delega al Governo  per  il
conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti  locali,  per
la riforma della pubblica amministrazione e  per  la  semplificazione
amministrativa), e dai decreti legislativi emanati in  attuazione  di
dette leggi delega -  la  disciplina  del  rapporto  di  lavoro  alle
dipendenze della pubblica amministrazione e' retta dalle disposizioni
del codice civile e dalla contrattazione collettiva. 
    [ ... ] Proprio a seguito di tale privatizzazione,  questa  Corte
ha affermato che «i principi fissati dalla legge statale  in  materia
costituiscono   tipici   limiti   di   diritto    privato,    fondati
sull'esigenza, connessa al precetto costituzionale di eguaglianza, di
garantire  l'uniformita'  nel  territorio  nazionale   delle   regole
fondamentali di diritto che disciplinano i rapporti  fra  privati  e,
come tali, si  impongono  anche  alle  Regioni  a  statuto  speciale»
(sentenza n. 189 del 2007). 
    In particolare, dall'art. 2, comma 3,  terzo  e  quarto  periodo,
della legge  n.  421  del  1992,  emerge  il  principio  per  cui  il
trattamento  economico  dei  dipendenti  pubblici  e'   affidato   ai
contratti collettivi, di tal che la disciplina di  detto  trattamento
e, piu' in generale, la disciplina del rapporto di  impiego  pubblico
rientra  nella  materia  dell'«ordinamento  civile»  riservata   alla
potesta' legislativa esclusiva dello Stato (sentenze n. 61 del  2014,
n. 286 e n. 225 del 2013, n. 290 e n. 215 del 2012, n. 339  e  n.  77
del 2011, n. 332 e n. 151 del 2010)». 
    Di recente, negli stessi termini, Corte costituzionale n. 16  del
2020. 
    In relazione  alla  disciplina  del  personale  dipendente  dalle
Regioni  ordinarie  codesta  ecc.ma  Corte  costituzionale   ha,   al
riguardo, distinto l'aspetto relativo alla disciplina  dei  rapporti,
che rientra nell'ambito  dell'ordinamento  civile  ed  e'  dunque  di
pertinenza dello  Stato,  come  gia'  detto,  e  quello  legato  alle
modalita' organizzative che, invece, compete unicamente alla Regione. 
    Tale consolidato orientamento e' stato confermato, da ultimo, con
la sentenza n. 25 del 2021: 
      «Deve  rilevarsi  che  questa  Corte,  anche  recentemente,  ha
ribadito che «[l]a materia dell'ordinamento civile, riservata in  via
esclusiva  al  legislatore  statale,  investe   la   disciplina   del
trattamento  economico  e  giuridico  dei   dipendenti   pubblici   e
ricomprende tutte le disposizioni che incidono sulla regolazione  del
rapporto di lavoro (ex plurimis, sentenze n. 175 e n. 72 del 2017, n.
257 del 2016, n. 180 del 2015, n. 269, n. 211  e  n.  17  del  2014)»
(sentenza n. 257 del 2020). 
      In particolare,  nel  delineare  i  confini  tra  cio'  che  e'
ascrivibile alla materia  «ordinamento  civile»  e  cio'  che  invece
ricade nella competenza regionale, questa Corte ha precisato che sono
da ricondurre alla prima «gli  interventi  legislativi  che  [  ... ]
dettano misure relative a rapporti  lavorativi  gia'  in  essere  (ex
multis, sentenze n. 251 e 186 del 2016 e n. 180 del 2015)»  (sentenza
n. 32 del  2017)  e  rientrano,  invece,  nella  seconda  «i  profili
pubblicisticoorganizzativi dell'impiego pubblico regionale» (sentenze
n. 241 del 2018 e n. 149 del 2012; nello stesso  senso,  sentenze  n.
191 del 2017 e n. 63 del 2012)». 
    La disposizione in esame,  quindi,  e'  da  censurare,  in  primo
luogo, per la sua genericita', perche' genera incertezza  sul  regime
giuridico del personale genericamente equiparato a quello  regionale;
in secondo luogo,  perche'  impedisce  il  corretto  evolversi  della
disciplina contrattuale collettiva  dei  vari  comparti  interessati,
sottraendo per legge materia alla contrattazione, in  violazione  del
principio generale dettato sin dalla legge 29 marzo 1983 n. 93 [Legge
quadro sul pubblico impiego], che ha  riservato  alla  contrattazione
collettiva per comparti la competenza  primaria  di  regolazione  del
rapporto di lavoro pubblico. 
    La  materia  del  trattamento  economico,  sia  fondamentale  che
accessorio, relativo anche a  tale  personale  deve,  dunque,  essere
regolata  dalle  disposizioni  del  citato  decreto  legislativo   n.
165/2001,  disposizioni  che,  ai  sensi  dell'art.   1,   comma   3,
costituiscono principi fondamentali, ai  sensi  dell'art.  117  della
Costituzione. 
    In particolare, per quanto concerne  il  trattamento  accessorio,
l'art. 45 del decreto legislativo 165  statuisce  che  lo  stesso  e'
definito dai contratti collettivi. 
    L'art. 40, comma  3-bis  e  comma  3-quinquies  poi,  per  quanto
concerne le regioni, stabilisce che queste possono destinare  risorse
aggiuntive alla contrattazione integrativa nei limiti stabiliti dalla
contrattazione nazionale e nei limiti dei  parametri  di  virtuosita'
fissati per la spesa di personale dalle vigenti disposizioni, in ogni
caso nel rispetto degli obiettivi di' finanza pubblica e di  analoghi
strumenti del contenimento della spesa. 
    Coerentemente codesta ecc.ma Corte, con la sentenza  n.  146  del
2019,  ha  affermato  che  il  legislatore   statale   demanda   alla
contrattazione collettiva nazionale di comparto «la determinazione  e
l'assegnazione delle risorse destinate al trattamento accessorio  dei
dipendenti pubblici, anche  al  fine  di  premiare  il  merito  e  il
miglioramento delle prestazioni  dei  dipendenti,  come  previsto  in
specie dall'art. 45, commi 3 e  3-bis,  del  decreto  legislativo  30
marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull'ordinamento del  lavoro  alle
dipendenze delle  amministrazioni  pubbliche)  1.  Non  e'  superfluo
rimarcare  che  lo   spazio   della   contrattazione   decentrata   e
integrativa, individuato  dall'art.  40,  comma  3-bis,  del  decreto
legislativo n. 165 del 2001 come sede idonea per la  destinazione  di
risorse  aggiuntive  relative  al  trattamento  economico  accessorio
collegato alla qualita' del rendimento  individuale,  e'  uno  spazio
circoscritto e delimitato dai contratti  nazionali  di  comparto.  La
contrattazione non potra' che svolgersi sulle materie, con i  vincoli
e nei limiti stabiliti dai collettivi nazionali, tra i soggetti e con
le procedure negoziali che questi ultimi prevedono». 
    Per tali ragioni, la normativa censurata e' illegittima, poiche',
col fine  di  armonizzare  il  trattamento  economico  del  personale
dell'I.R.V.V. con il personale della  Giunta  regionale  del  Veneto,
interviene in una materia riservata in via esclusiva  alla  normativa
statale, quale la disciplina dei fondi per il  trattamento  economico
accessorio  del  personale  pubblico,   prevedendo   che   l'Istituto
regionale  per  le  Ville   venete   possa   sostanzialmente   vedere
incrementato il valore medio individuale del  trattamento  accessorio
erogato ai propri dipendenti. 
 
                                -II- 
 
    Illegittimita' del comma 3-bis dell'art. 25, legge  regionale  n.
63/1979, introdotto dall'art. 1 comma l della legge  n.  3/2021,  per
violazione del principio  di  coordinamento  della  finanza  pubblica
sancito al  terzo  comma  dell'art.  117  Cost.,  in  relazione  alla
normativa interposta di cui al decreto legislativo n.  75/2017  (art.
23, comma 2), nonche' dell'art. 119 della Costituzione. 
    La menzionata disposizione regionale, nel prevedere  l'incremento
del trattamento accessorio del personale del I.R.V.V.  adeguandolo  a
quello della Regione («in misura non superiore alla differenza tra il
valore medio individuale del  trattamento  economico  accessorio  del
personale dell'amministrazione regionale, calcolato  con  riferimento
all'anno 2016, e quello corrisposto al  personale  in  servizio  alla
medesima data presso  l'Istituto»),  si  pone  in  contrasto  con  la
normativa interposta di cui  all'  art.  23,  comma  2,  del  decreto
legislativo n. 75/2017, secondo cui «a decorrere dal 1 gennaio  2017,
l'ammontare  complessivo  delle  risorse  destinate  annualmente   al
trattamento accessorio del personale, anche di livello  dirigenziale,
di ciascuna delle amministrazioni pubbliche di cui all'art. 1,  comma
2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, non  puo'  superare
il corrispondente importo determinato per l'anno 2016». 
    La norma impugnata consente, infatti, all'Istituto regionale  per
le Ville Venete «I.R.V.V.» di superare il limite finanziario previsto
dalla normativa statale, che aveva imposto il limite  all'adeguamento
con riferimento a quanto percepito dal medesimo personale  nel  2016,
con cio'  violando  la  disciplina  di  coordinamento  della  finanza
pubblica di cui alla prefata normativa. 
    In tal modo, infatti, il  medesimo  personale,  contrariamente  a
quanto stabilito dal decreto legislativo 75/2017,  vede  incrementato
il proprio trattamento accessorio, con riferimento ad altra categoria
di personale, operazione preclusa dalla norma di coordinamento  della
finanza pubblica, rappresentata dall'art.  23  comma  2  del  decreto
legislativo 75/2017 precitato. 
    Preclusione  operata  legittimamente  dal  legislatore   statale,
atteso che il coordinamento della  finanza  pubblica  e'  compito  di
spettanza statale ai sensi dell'art. 117 comma 3 della Costituzione. 
    Codesta Corte sin dalla decisione n. 36 del 2004, aveva  rilevato
che: «Non e'  contestabile  il  potere  del  legislatore  statale  di
imporre agli enti autonomi, per ragioni di coordinamento  finanziario
connesse ad obiettivi nazionali, condizionati  anche  dagli  obblighi
comunitari, vincoli alle politiche di bilancio, anche  se  questi  si
traducono, inevitabilmente, in limitazioni indirette all'autonomia di
spesa degli enti. La natura stessa e la  finalita'  di  tali  vincoli
escludono che si possano considerare le disposizioni  impugnate  come
esorbitanti dall'ambito di una disciplina di principio spettante alla
competenza dello Stato. ...il  contenimento  del  tasso  di  crescita
della spesa corrente rispetto agli anni  precedenti  costituisce  pur
sempre uno degli strumenti  principali  per  la  realizzazione  degli
obiettivi di riequilibrio finanziario, ed infatti  esso  e'  indicato
fin dall'inizio fra le azioni attraverso le quali deve perseguirsi la
riduzione del disavanzo annuo (...)». 
    Gli  esposti  principi  hanno  trovato  applicazione  in  plurime
decisioni della Corte in relazione  ai  giudizi  di  legittimita'  di
norme statali che fissavano un tetto di spesa per il  personale  alle
dipendenze  della  pubblica  amministrazione   con   l'obiettivo   di
contenere entro  limiti  prefissa  ti  una  delle  piu'  frequenti  e
rilevanti  cause  del  disavanzo  pubblico,  costituita  dalla  spesa
complessiva per il personale, in quanto esso ha rilevanza  strategica
ai fini dell'attuazione del patto di stabilita' interno. 
    «Le stesse essendo ispirate alla finalita' di contenimento  della
spesa pubblica, costituiscono principi fondamentali nella materia  di
coordinamento della finanza pubblica, in quanto pongono obbiettivi di
riequilibrio senza, peraltro, prevedere strumenti e modalita' per  il
perseguimento dei medesimi»; ed invero «la spesa  per  il  personale,
per la sua importanza strategica ai fini dell'attuazione del patto di
stabilita' interna (data la sua rilevante entita'),  costituisce  non
gia' una minuta voce di dettaglio, ma un importante  aggregato  della
spesa corrente, con la conseguenza che le  disposizioni  relative  al
suo   contenimento   assurgono   a   principio   fondamentale   della
legislazione statale» (sentenza Corte costituzionale 289 del 2013). 
    Di talche', sono state considerate, in piu' occasioni,  legittime
le norme statali che prevedevano un  limite  massimo  al  trattamento
economico di tutti  i  dipendenti  delle  Regioni  e  delle  Province
autonome in quanto emanate  dallo  Stato  «nell'esercizio  della  sua
potesta' legislativa concorrente in materia  di  coordinamento  della
finanza pubblica» (Corte Cost. sentenza 61/2014). 
    Anche la normativa  statale  che  fissa  il  limite  massimo  del
trattamento  economico  dei   singoli   dipendenti   delle   Regioni,
ancorandolo al trattamento di una  precedente  annualita',  e'  stata
ritenuta da codesta ecc.ma Corte legittima espressione del  principio
fondamentale di coordinamento della finanza pubblica: 
      «In proposito, la giurisprudenza costituzionale ha  gia'  avuto
modo di qualificare l'art. 9, comma 1, del decreto-legge  n.  78  del
2010, conv., con modificazioni, dalla legge n.  122  del  2010,  come
principio  fondamentale  di  coordinamento  della  finanza  pubblica,
vincolante anche per le Regioni a statuto speciale (sentenze  n.  221
del  2013,  n.  217  e  n.  215  del  2012).  Dal  momento  che  tale
disposizione fissa  il  livello  massimo  del  trattamento  economico
complessivo  dei  singoli  dipendenti  delle  Regioni  e  degli  enti
regionali, ancorandolo a quanto  percepito  nel  2010,  essa  produce
l'effetto di prede terminare "l'entita' complessiva degli  esborsi  a
carico delle Regioni a titolo di trattamento economico del  personale
... cosi' da imporre un limite generale ad  una  rilevante  voce  del
bilancio regionale" (cosi' la sentenza n. 217 del 2012,  che  applica
tale limite ad una Regione a statuto  speciale).  Un  simile  vincolo
generale di spesa puo' essere legittimamente imposto con legge  dello
Stato a tutte le Regioni, comprese quelle ad autonomia differenziata,
per ragioni  di  coordinamento  finanziario,  connesse  ad  obiettivi
nazionali,  a  loro   volta   condizionati   anche   dagli   obblighi
comunitari.» (Corte Cost. 269 del 2014). 
    Dai principi sopra esposti, risulta con chiarezza che l'art.  23,
comma 2, del decreto legislativo n. 75/2017 che  limita  a  decorrere
dal 2017 per tutte le amministrazioni pubbliche di  cui  all'art.  1,
comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ivi  comprese
dunque le Regioni, «l'ammontare complessivo delle  risorse  destinate
annualmente al trattamento accessorio del personale, anche di livello
dirigenziale, di ciascuna delle  amministrazioni  pubbliche  di  cui»
all'importo corrisposto per l'anno 2016, rappresenta espressione  del
principio di coordinamento della finanza pubblica, e norma interposta
in relazione all'art. 117 comma 3 della Costituzione. 
    Ma, come  gia'  espresso,  la  nuova  normativa,  consentendo  di
incrementare i fondi per  il  trattamento  economico  accessorio  del
personale dell'Istituto Ville Venete, si pone  In  contrasto  con  la
normativa statale. 
    Tale scelta, infatti,  non  puo'  non  determinare  un'arbitraria
estensione delle prerogative regionali con rilevanti ripercussioni in
materia di spesa  e  di  ampliamento  della  stessa  a  favore  delle
categorie  individuate  dal  legislatore   regionale,   con   effetti
distorsivi sia sulla entita'  complessiva  del  debito  pubblico  sia
sulla disparita' di trattamento con le  altre  Regioni  e  categorie.
Peraltro, nella specie non ricorrono neppure le ipotesi di  eccezione
a quel limite, previste da successivi interventi normativi (quali, ad
es., gli articoli 11, comma 1, e 11-bis, comma  2,  decreto-legge  14
dicembre 2018, n. 135, convertito, con modificazioni, dalla legge  11
febbraio 2019, n. 12, e l'art. 12, comma 3-quater,  decreto-legge  28
gennaio 2019, n. 4, convertito, con  modificazioni,  dalla  legge  28
marzo 2019, n. 26). 
 
                                -III- 
 
    Illegittimita' dell'art. 25,  comma  3-ter,  legge  regionale  n.
63/1979 introdotto  dall'art.  1,  legge  regionale  n.  3/2021,  per
violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.,  in  tema
di esercizio della  potesta'  legislativa  esclusiva  in  materia  di
ordinamento civile e del principio  di  coordinamento  della  finanza
pubblica di cui all'art. 117, terzo comma, Cost. 
    Il nuovo comma 3-ter dell'art. 25, legge  regionale  n.  63/1979,
introdotto dall'art. 1 della legge regionale n. 3/2021, statuisce: 
      «In attuazione di quanto disposto dal terzo comma  in  tema  di
assoggettamento, anche con riferimento al trattamento economico, alla
normativa  regionale  del  personale  dell'Istituto  regionale  ville
venete, a decorrere dal  1°  gennaio  2020  si  applica  al  medesimo
personale quanto disposto dall'ultimo periodo del comma  1  dell'art.
33 del decreto-legge  30  aprile  2019,  n.  34  "Misure  urgenti  di
crescita economica e per la risoluzione di specifiche  situazioni  di
crisi" convertito, con modificazioni, dalla legge 28 giugno 2019,  n.
58». 
    Al riguardo, la disposizione richiamata del citato  decreto-legge
34/2019 cosi' prevede:  «Il  limite  al  trattamento  accessorio  del
personale di cui all'art. 23, comma 2,  del  decreto  legislativo  25
maggio 2017, n. 75, e' adeguato, in aumento  o  in  diminuzione,  per
garantire l'invarianza del valore medio procapite, riferito  all'anno
2018, del fondo  per  la  contrattazione  integrativa  nonche'  delle
risorse per remunerare gli incarichi  di  posizione  organizzati  va,
prendendo a riferimento come base di calcolo il personale in servizio
al 31 dicembre 2018.» 
    L'automatica ed unilaterale ‑ per effetto  del  rinvio  contenuto
nella  censurata  legge   regionale   ‑   estensione   al   personale
dell'Istituto regionale per le Ville Venete delle norme in materia di
adeguamento  in  aumento  del  richiamato  limite   finanziario   del
trattamento accessorio, si pone in  contrasto  con  la  normativa  di
esclusiva competenza statale.  Infatti,  le  menzionate  disposizioni
trovano applicazione per le sole regioni a statuto  ordinario  e  non
anche per gli enti alle medesime collegati o dipendenti,  in  base  a
quanto previsto dall'ultimo periodo dell'art. 33,  primo  comma,  del
decreto-legge n. 34/2019. 
    Come gia'  esposto  nel  precedente  motivo  n.  1)  anche  nella
formulazione  del  comma  3-ter,  e'  stata  violata   l'attribuzione
esclusiva  del  legislatore  statale,   e,   in   particolare   della
legislazione interposta di  riferimento,  rappresentata  dal  decreto
legislativo 165/2001 e dalla dinamica legge-contrattazione collettiva
delineata dalla disciplina statale. 
    «Pertanto, una disposizione di fonte regionale che,  come  quella
ora in esame, disciplini un aspetto del  trattamento  economico  "dei
dipendenti della Regione [...] invade la competenza esclusiva statale
in materia di  ordinamento  civile  e  deve  conseguentemente  essere
dichiarata illegittima" (ex plurimis sentenza n. 77 del 2011)» (Corte
costituzionale, sentenza n. 218 del 2013). 
    Piu' recentemente, codesta ecc.ma Corte, nel  dichiarare  fondata
la questione di legittimita' costituzionale concernente la  normativa
regionale  del  Friuli-Venezia  Giulia  con  la   quale   era   stata
disciplinata l'indennita' mensile di alcuni  dipendenti  regionali  e
dunque un profilo del trattamento economico  accessorio,  percio'  di
pertinenza della contrattazione collettiva nazionale di comparto - ha
avuto modo di ribadire che «questa Corte ha gia' avuto  occasione  di
dichiarare l'illegittimita' costituzionale di norme regionali volte a
disciplinare,   fra   l'altro,   anche   il   trattamento   economico
(accessorio) del personale addetto  alle  segreterie,  ravvisando  la
violazione  della  riserva  di  competenza  esclusiva  assegnata   al
legislatore statale in materia di ordinamento civile (sentenza n. 146
del 2019; nello stesso senso sentenza n. 213 del 2012). 
    La  norma  regionale  impugnata,   pertanto,   nel   disciplinare
l'indennita' mensile degli autisti  di  rappresentanza,  finisce  per
regolare uno degli «istituti tipici del rapporto di  lavoro  pubblico
privatizzato  [...]  con   conseguente   lesione   della   competenza
legislativa esclusiva dello Stato in materia  di  ordinamento  civile
(sentenze nn. 339, 77 e 7 del 2011, nn. 332 e 151 del 2010 e  n.  189
del 2007)» (sentenza n. 213 del 2012)» (sentenza n. 273 del 2020). 
    Ne risulta pregiudicato anche il  rapporto  dialettico  esistente
tra legislazione  statale  e  contrattazione  collettiva,  dalla  cui
correlazione  discende  un  sistema  di  organizzazione  del  lavoro,
pubblico e privato, espressione e  sintesi  dei  fondamentali  valori
costituzionali di eguaglianza, efficienza,  e  solidarieta'  sociale,
come riconosciuto da codesta ecc.ma Corte  (v.,  in  particolare,  la
sentenza n. 178 del 2015): 
      «Nei limiti tracciati dalle disposizioni imperative della legge
(art. 2, commi 2, secondo periodo, e 3-bis del decreto legislativo n.
165  del  2001),   il   contratto   collettivo   si   atteggia   come
imprescindibile fonte, che disciplina anche il trattamento  economico
(art. 2, comma 3, del decreto legislativo n. 165 del 2001), nelle sue
componenti fondamentali ed accessorie (art. 45, comma 1, del  decreto
legislativo  n.  165  del  2001),  e  "i  diritti  e   gli   obblighi
direttamente pertinenti al rapporto di  lavoro,  nonche'  le  materie
relative alle relazioni sindacali" (art. 40, comma 1, primo  periodo,
del decreto legislativo n. 165 del 2001). 
      In una costante dialettica con la legge, chiamata  nel  volgere
degli anni a disciplinare aspetti  sempre  piu'  puntuali  (art.  40,
comma 1, secondo e terzo periodo, del decreto legislativo n. 165  del
2001), il contratto  collettivo  contempera  in  maniera  efficace  e
trasparente gli interessi contrapposti delle parti e concorre a  dare
concreta  attuazione   al   principio   di   proporzionalita'   della
retribuzione, ponendosi, per un verso,  come  strumento  di  garanzia
della parita' di trattamento dei lavoratori (art. 45,  comma  2,  del
decreto legislativo n. 165 del 2001) e, per altro verso, come fattore
propulsivo della produttivita' e del merito (art. 45,  comma  3,  del
decreto legislativo n. 165 del 2001). 
      Il  contratto  collettivo  che  disciplina   il   lavoro   alle
dipendenze delle pubbliche amministrazioni  si  ispira,  proprio  per
queste peculiari  caratteristiche  che  ne  garantiscono  l'efficacia
soggettiva generalizzata, ai doveri di solidarieta' fondati sull'art.
2 Cost.». 
    Egualmente, come gia' diffusamente esposto nel precedente  motivo
II) a cui integralmente si rinvia, anche nella formulazione del comma
3-ter il legislatore  regionale  ha  ecceduto  dai  suoi  poteri  per
violazione del principio  di  coordinamento  della  finanza  pubblica
sancito al terzo comma dell'art. 117 Cost. 
 
                                -IV- 
 
    Illegittimita' dell'art. 25, commi 3-bis e 3-ter, legge regionale
n. 63/1979 introdotti dall'art. 1, legge  regionale  n.  3/2021,  per
violazione degli art. 3 e 97 Cost. 
    Sotto un profilo ulteriore, che riguarda il grado di  uniformita'
nella applicazione delle norme statali di riferimento sulle quali  e'
intervenuta la disciplina contenuta nella impugnata legge  regionale,
la menzionata normativa, da un punto di vista applicativo, e'  idonea
a dar luogo a trattamenti difformi  e  sperequazioni  economiche  nei
confronti tanto del personale dipendente degli altri enti ed istituti
della Regione Veneto, quanto del personale alle dipendenze di enti ed
istituti appartenenti alle altre  regioni  a  statuto  ordinario  non
assoggettati alla normativa in esame, in quanto  non  destinatari  di
analoghi  interventi  di  armonizzazione  in  aumento   del   proprio
trattamento accessorio, con cio' ponendosi in palese  violazione  dei
principi di uguaglianza e parita' di trattamento sanciti dall'art.  3
della Costituzione, nonche' del principio  di  buon  andamento  della
pubblica amministrazione di cui all'art. 97 Costituzione. 
    L'individuazione, all'interno del sistema delineato  dalla  Carta
costituzionale, della potesta' legislativa esclusiva  in  materia  di
rapporto di  lavoro  pubblico,  risponde,  infatti,  all'esigenza  di
destinare le risorse economiche  disponibili  in  modo  razionale  ed
equilibrato, affinche' siano rispettati anche nell'ambito  lavorativo
i valori costituzionali primari, come ricorda codesta ecc.ma Corte: 
      «Il limite delle  risorse  disponibili,  immanente  al  settore
pubblico, vincola il legislatore a  scelte  coerenti,  preordinate  a
bilanciare molteplici valori di rango costituzionale, come la parita'
di  trattamento  (art.  3  Cost.),  il  diritto  a  una  retribuzione
proporzionata alla quantita' e alla  qualita'  del  lavoro  svolto  e
comunque idonea a garantire un'esistenza libera e dignitosa (art. 36,
primo comma, Cost.), il diritto a  un'adeguata  tutela  previdenziale
(art. 38, secondo comma, Cost.), il  buon  andamento  della  pubblica
amministrazione (art. 97 Cost.)» (Corte cost.,  26  maggio  2017,  n.
124), sicche' spetta al Legislatore statale disciplinare gli  aspetti
giuridico-economici fondamentali del rapporto di lavoro  subordinato,
prevendendo  eventuali  limitazioni  e  tetti  massimi,  purche'  non
risultino irragionevoli e sproporzionati. 
      A questo si aggiunga che, secondo il costante  insegnamento  di
codesta ecc.ma  Corte,  recepito  e  condiviso  dalla  giurisprudenza
amministrativa, «in tema di rapporto di pubblico  impiego,  eventuali
trattamenti  differenziali  devono  essere  giustificati  anche   nel
rapporto alle dipendenze della pubblica amministrazione, in  ossequio
ai principi desumibili dagli articoli 3, 51 e 97 della  Costituzione,
a fronte del generale principio di eguaglianza» (Cons. Stato Sez. IV,
30 agosto 2018, n. 5093). 
    E' agevole concludere, sulla  scorta  degli  insegnamenti  teste'
ricordati,  che  la  violazione  del  principio  di  uguaglianza  nel
trattamento economico dei dipendenti della regione  e  degli  enti  a
questa collegati, finisce per compromettere la piena  attuazione  dei
principi  di  efficienza  dettati  dall'art.  97   Cost.,   incidendo
negativamente  sulla  imparzialita'  e  buon  andamento   dell'azione
dell'amministrazione regionale. 
    Tanto premesso e considerato, giusta delibera del  Consiglio  dei
ministri adottata in data 31 marzo 2021. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Si  chiede  che  la  Corte   costituzionale   voglia   dichiarare
l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  1  legge  regionale  del
Veneto n. 3 del 2021 ‑ nella parte in cui introduce i commi  3-bis  e
3-ter all'art. 25 della  legge  regionale  n.  63/1979  ‑  avente  ad
oggetto «Modifiche alla legge regionale 24 agosto 1979, n. 63,  Norme
per l'istituzione e il funzionamento dell'Istituto regionale  per  le
ville venete I.R.V.V., ed  ulteriori  disposizioni»,  per  violazione
della  potesta'  legislativa  esclusiva  in  materia  di  ordinamento
civile, di  cui  all'art.  117,  secondo  comma,  lettera  l),  della
Costituzione, in relazione alle norme interposte degli articoli 1, 2,
40, e 45 del decreto legislativo n. 165/2001 (T.U. Pubblico impiego);
per violazione del principio di coordinamento della finanza  pubblica
sancito al  terzo  comma  dell'art.  117  Cost.,  in  relazione  alla
normativa interposta di cui al decreto legislativo n.  75/2017  (art.
23, comma 2), nonche' in relazione all'art. 119  della  Costituzione;
per violazione degli articoli 3 e 97 della Costituzione. 
    Si produce copia della delibera del Consiglio dei Ministri. 
        Roma, 12 aprile 2021 
 
                  L'Avvocato dello Stato: Albenzio 
 
                   L'Avvocato dello Stato: Zerman