N. 25 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 20 aprile 2021

Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
cancelleria il 20 aprile  2021  (del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri) . 
 
Paesaggio - Norme della Regione Siciliana - Tutela dei boschi e delle
  foreste - Modifiche all'art. 37 della legge  regionale  n.  19  del
  2020 - Prevista applicazione del decreto legislativo n. 34 del 2018
  - Abrogazione dell'art. 10 della legge regionale n. 16 del  1996  -
  Soppressione, alla lettera e) del comma 1  dell'articolo  15  della
  legge regionale n. 78 del 1976, delle parole da "dal limite" fino a
  "forestali e" - Livelli di tutela. 
- Legge della Regione Siciliana 3 febbraio  2021,  n.  2  (Intervento
  correttivo alla legge regionale 13  agosto  2020,  n.  19,  recante
  norme sul governo del territorio), art.  12,  nella  parte  in  cui
  sostituisce i commi 4, 5 e 6 dell'art. 37 della legge regionale  13
  agosto 2020, n. 19 (Norme per il governo del territorio). 
(GU n.18 del 5-5-2021 )
     Ricorso  ex  art.  127,  comma  1,  della  Costituzione  per  il
Presidente   del   Consiglio   dei   ministri   (C.F.   80188230587),
rappresentato e difeso dall'Avvocatura  generale  dello  Stato  (C.F.
80224030587) presso  i  cui  uffici  domicilia  in  Roma  -  via  dei
Portoghesi n. 12 - indirizzo  pec  ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it
giusta delibera del Consiglio dei ministri adottata nella riunione 13
aprile 2021 - ricorrente; 
    Contro la Regione Sicilia, in persona del Presidente della Giunta
regionale in carica - intimata; 
    Per la declaratoria di  illegittimita'  costituzionale  dell'art.
12,  della  legge  Regione  Sicilia,  del  3  febbraio  2021,  n.  2,
pubblicata nel BUR n. 6 del  12  febbraio  2021  recante  «intervento
correttivo alla legge regionale 13 agosto 2020, n. 19, recante  norme
sul governo del territorio», nella parte in cui sostituisce l'art. 37
della legge regionale n. 19/2020, aggiungendo al predetto articolo  i
commi 4, 5 e 6. 
    Per violazione dell'art. 14, comma 1, lettera f) e lettera n) del
regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455, (Approvazione dello
statuto della Regione Siciliana) convertito in  legge  costituzionale
26 febbraio 1948, n. 2, attuato con il decreto del  Presidente  della
Repubblica 30 agosto 1975, n. 637; degli  articoli  3,  9,  97,  117,
secondo  comma,  lettera  l),  lettera  m),  e   lettera   s)   della
Costituzione, per contrasto con gli articoli 135, 140, comma 2,  143,
167 e 181 del decreto legislativo n. 22 gennaio 2004, n.  42  (Codice
dei beni culturali); 3, commi 3 e 4 del decreto legislativo 3  aprile
2018, n.  3;  32  della  legge  28  febbraio  1985,  n.  47;  32  del
decreto-legge 30 settembre 2002, n. 269; 1-ter del  decreto-legge  27
giugno 1985, n. 312. 
    Con la legge 3 febbraio 2021,  n.  2,  la  Regione  Siciliana  ha
emanato disposizioni correttive alla legge regionale 13 agosto  2020,
n. 19 recante norme sul governo del territorio. 
    In  particolare,  l'art.  12  della  suddetta  legge  sostituisce
integralmente l'art. 37 della legge regionale  n.  19  del  2020.  Il
novellato art. 37, oltre a  disciplinare  interventi  produttivi  nel
verde agricolo (commi  1,  2  e  3),  ai  commi  4,  5  e  6  prevede
disposizioni in materia di boschi e foreste. 
    L'art.    12    dell'impugnata     legge     regionale     appare
costituzionalmente illegittimo  in  quanto  eccede  dalle  competenze
statutarie della regione previste dall'art. 14, comma 1, lettera n) e
lettera f) del regio decreto  legislativo  15  maggio  1946,  n.  455
(approvazione dello statuto della Regione Siciliana),  convertito  in
legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, e viola gli articoli  3,
9, 97, 117, 2° comma, lettera l), m) n). 
    Benche'  la  Regione  Siciliana  abbia   competenza   legislativa
esclusiva in materia di tutela del paesaggio e di conservazione delle
antichita' e delle opere artistiche, ai sensi dell'art. 14, comma  1,
lettera n),  dello  statuto  di  autonomia,  nonche'  in  materia  di
urbanistica, ai sensi della lettera f), del medesimo  art.  14,  tale
competenza  si  esplica  pur   sempre   «nei   limiti   delle   leggi
costituzionali dello Stato, senza pregiudizio delle riforme agrarie e
industriali, deliberate dalla Costituente del popolo italiano». 
    Con il decreto del Presidente della Repubblica 30 agosto 1975, n.
637 sono state dettate le «Norme di attuazione  dello  statuto  della
Regione Siciliana in materia di tutela del paesaggio e di  antichita'
e belle arti», ai  sensi  delle  quali  «L'amministrazione  regionale
esercita nel territorio della regione  tutte  le  attribuzioni  delle
amministrazioni centrali e periferiche  dello  Stato  in  materia  di
antichita',  opere  artistiche  e  musei,  nonche'  di   tutela   del
paesaggio» (art. 1). A tal fine viene precisato che  tutti  gli  atti
previsti da ogni disposizione concernente  le  predette  materie  (ad
eccezione   delle   licenze   di    esportazione)    sono    adottati
dall'amministrazione regionale. 
    Nonostante il riconoscimento del particolare grado  di  autonomia
in materia di tutela dei beni culturali e del paesaggio,  non  vi  e'
dubbio alcuno  che  la  legislazione  regionale  siciliana  trovi  un
preciso limite nelle previsioni del Codice dei beni culturali  e  del
paesaggio, di cui al decreto legislativo  22  gennaio  2004,  n.  42,
qualificabili come «norme di grande riforma economicosociale», che si
impongono  anche  alle  autonomie  speciali  (Corte   costituzionale,
sentenza n. 238 del 2013). 
    Le materie dell'ordinamento  penale  (art.  117,  secondo  comma,
lettera l) e dei livelli  essenziali  delle  prestazioni  (art.  117,
secondo comma, lettera m) restano, inoltre,  integralmente  sottratte
alla potesta' legislativa regionale, la quale  deve  comunque  essere
esercitata nel rispetto dei principi posti dagli articoli 3 e 9 della
Costituzione. 
    Come si e' premesso, l'art. 12 della  legge  regionale  in  esame
sostituisce integralmente l'art. 37 della legge regionale n.  19  del
2020, disposizione che, con particolare riferimento ai commi 3, 4, 5,
6 lettere c) e d), 7, 8 e 9, e' stata oggetto di impugnativa dinnanzi
a codesta Corte costituzionale (r.r. 97-2020). Tali disposizioni, con
la novella legislativa in esame, risultano ora abrogate. 
    Ai fini dell'illustrazione delle censure  che  si  formulano  nei
confronti dell'art. 12 della  legge  regionale  in  esame,  interessa
evidenziare che -  indipendentemente  dall'eventuale  imposizione  di
vincoli  paesaggistici  puntuali,  mediante  appositi   provvedimenti
amministrativi - i boschi e le foreste sono  soggetti,  su  tutto  il
territorio nazionale, a tutela ope legis. 
    Come e' noto, l'art. l del decreto-legge 27 giugno 1985, n.  312,
convertito, con modificazioni, dalla legge  8  agosto  1985,  n.  431
(c.d. legge  Galasso),  ha  modificato  l'art.  82  del  decreto  del
Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n.  616,  sottoponendo  a
tutela paesaggistica, tra l'altro, «i territori coperti da foreste  e
da boschi, ancorche' percorsi  o  danneggiati  dal  fuoco,  e  quelli
sottoposti a vincolo di rimboschimento». 
    Il suddetto vincolo e' stato poi mutuato dall'art. 146 del  testo
unico delle disposizioni legislative «in materia di beni culturali  e
ambientali di cui al decreto legislativo 29 ottobre 1999, n.  490  ed
e' attualmente contenuto nell'art. 142,  comma  l,  lettera  g),  del
Codice  dei  beni  culturali  e  del  paesaggio  di  cui  al  decreto
legislativo 22 gennaio 2004, n. 42. 
    Occorre ancora rilevare che la Regione Siciliana si e' dotata  di
una disciplina di tutela dei boschi sin da epoca anteriore alla  c.d.
legge  Galasso,  e  -  successivamente  a  quest'ultima  legge  -  ha
provveduto  a  declinare  la  normativa  statale  in  funzione  delle
specificita' regionali. 
    In particolare, con la legge regionale  12  giugno  1976,  n.  78
(«Provvedimenti per lo sviluppo del turismo in Sicilia»)  sono  state
dettate  disposizioni  volte  ad  evitare  una  eccessiva   pressione
edificatoria sul territorio, stabilendo - per quanto qui rileva - che
«Ai  fini  della  formazione  degli  strumenti  urbanistici  generali
comunali debbono osservarsi, in tutte le zone omogenee  ad  eccezione
delle zone A e B, in aggiunta alle disposizioni vigenti, le  seguenti
prescrizioni: (...) e) le costruzioni debbono arretrarsi di metri 200
dal limite dei boschi, delle fasce forestali e dai confini dei parchi
archeologici». (art. 15) 
    Dopo l'entrata in vigore della c.d. legge Galasso, con  la  legge
regionale 6 aprile 1996,  n.  l6  («Riordino  della  legislazione  in
materia forestale e di tutela della vegetazione»), recante,  all'art.
10, norme in materia di  «attivita'  edilizie»,  sono  state  dettate
ulteriori disposizioni in materia di tutela dei boschi e delle  fasce
forestali. 
    In particolare, interessa richiamare le disposizioni  di  cui  ai
commi 1-3 del predetto art. 10, ove si prevede che: 
        «l. Sono vietate nuove costruzioni all'interno dei  boschi  e
delle fasce forestali ed entro una zona di rispetto di 50  metri  dal
limite esterno dei medesimi. 
        2. Per i boschi di  superficie  superiore  ai  10  ettari  la
fascia di rispetto di cui al comma 1 e' elevata a 200 metri. 
        3. Nei boschi di superficie compresa tra 1  e  10  ettari  la
fascia di rispetto di cui ai precedenti commi e'  cosi'  determinata:
da 1,01 a 2 ettari metri 75; da 2,01 a 5 ettari metri 100; da 5,01  a
10 ettari metri 150.». 
    I  successivi  commi  recano  alcune  modulazioni  dei   predetti
divieti, peraltro sancendone comunque  l'inderogabilita'  all'interno
delle riserve naturali (comma 7). 
    Il comma 11 completa, infine, il sistema  di  tutela,  stabilendo
che «Le zone di rispetto di cui ai commi da 1 a 3 sono in  ogni  caso
sottoposte di diritto a vincolo paesaggistico ai sensi della legge 29
giugno 1939, n. 1497». 
    La regione, nell'esercizio della propria  potesta'  esclusiva  in
materia di paesaggio, ha quindi stabilito appositi presidi di  tutela
dei boschi e delle foreste, operando secondo  due  direttrici,  e  in
particolare: 
        (i) ha declinato il vincolo paesaggistico ex lege sui  boschi
e sulle foreste introdotto con la  c.d.  legge  Galasso  in  funzione
delle specificita' regionali, estendendolo alle zone di rispetto  dei
boschi specificamente individuate (art. 10,  comma  11,  della  legge
regionale n. 16 del 1996); 
        (ii)  ha  stabilito  un'apposita  disciplina  legislativa  di
tutela del paesaggio boschivo,  prevedendo  il  divieto  assoluto  di
edificazione nei boschi, nelle fasce boscate e nelle relative zone di
rispetto (art. 10, commi l, 2 e 3 della legge  regionale  n.  16  del
1996, con le precisazioni e  le  modulazioni  di  cui  ai  successivi
commi) e stabilendo, inoltre, che  nell'ambito  della  pianificazione
urbanistica comunale dovesse  essere  previsto  l'arretramento  delle
costruzioni di almeno 200 metri dal limite dei boschi e  delle  fasce
forestali (art. 15, comma 1, lettera e), della legge regionale n.  78
del 1976). 
    In  questo  contesto  si  inquadrano  le  disposizioni  normative
introdotte dall'art. 37 della legge regionale n.  19  del  2020,  poi
integralmente sostituito dall'art. 12 della legge regionale in esame. 
    Il predetto art. 37, nella formulazione originaria,  dedicava  ai
boschi e alle foreste gli ultimi 3 commi (commi  10,  11  e  12)  del
seguente tenore: 
        «10.  I  boschi  e  foreste,  come   definiti   dal   decreto
legislativo 3 aprile 2018, n. 34 e successive modificazioni  e  dalla
legge regionale 6 aprile 1996, n. 16 e successive modificazioni, sono
considerati risorsa strategica regionale, ai fini della  salvaguardia
naturalistica e paesaggistica, della difesa dei suoli e della  tutela
idrogeologica. 
        11. I terreni coperti da boschi e foreste non  possono  esser
oggetto  di  mutamento  di  destinazione   d'uso   e   in   sede   di
pianificazione  paesaggistica  e  urbanistica   sono   tutelati   con
specifiche disposizioni  di  salvaguardia  e  di  conservazione,  con
previsioni di interventi di rinaturalizzazione in caso di degrado. 
        12. In materia di fasce di rispetto, si  applica  il  decreto
legislativo 3 aprile 2018, n. 34 e successive modificazioni». 
    Nel  corso  dell'istruttoria  svolta  dal  Governo  sulla   legge
regionale n. 19 del 2020, ai fini dell'art. 127  della  Costituzione,
era stato segnalato alla Regione Siciliana, tra l'altro, che il comma
12 dell'art.  37  richiamava,  in  tema  di  fasce  di  rispetto,  la
normativa nazionale di cui al decreto legislativo 3 aprile  2018,  n.
34, che tuttavia non le prevede, mentre apposite fasce  di  rispetto,
sottoposte a vincolo paesaggistico  ope  legis  e  nelle  quali  sono
vietate attivita'  edilizie  sono  invece  previste  dalla  normativa
regionale di cui alla legge n. 16 del 1996 (art. 10, commi 1  e  11).
Il richiamo al testo unico foreste appariva  quindi  non  corretto  e
anche fuorviante, in quanto in contrasto con la richiamata  normativa
regionale di tutela. 
    In sede, inoltre, di interlocuzione sulla legge regionale  n.  19
del 2020, al fine  di  apportare  modifiche  alle  norme  oggetto  di
censure da parte del Governo, la Regione Siciliana si era impegnata a
sostituire integralmente l'art. 37 censurato con un nuovo articolato,
il quale sarebbe stato dedicato unicamente agli interventi produttivi
nel verde agricolo, e avrebbe dovuto essere quindi composto  di  soli
tre commi, che corrispondono ai primi tre commi  del  nuovo  art.  37
novellato dall'art. 12 in esame. Le previsioni dell'originario  comma
12 dell'art. 37  non  erano  state  quindi  oggetto  di  impugnazione
innanzi a codesta Corte costituzionale. 
    Tuttavia, con l'art. 12 della legge regionale in esame,  oltre  a
sostituire l'originario art. 37 con un nuovo articolo composto,  come
concordato, dai primi tre commi, la regione ha introdotto  anche  tre
ulteriori commi in materia di boschi e foreste (commi 4, 5, e 6). 
    Queste ultime disposizioni determinano un  generale  abbassamento
del livello  di  tutela  dei  boschi  e  delle  foreste,  addirittura
revocando in radice la previgente normativa  di  tutela.  E  cio'  in
assenza  di  una  pianificazione  paesaggistica   estesa   all'intero
territorio,  e  quindi  diretta  anche  alla  disciplina  delle  aree
boschive, e nonostante l'obbligo per la regione di provvedere a  tale
pianificazione, ai sensi degli articoli 135 e 143 del Codice dei beni
culturali e  del  paesaggio,  costituenti  norme  di  grande  riforma
economico-sociale valevoli  anche  nei  confronti  delle  regioni  ad
autonomia speciale. 
    In particolare, i nuovi commi 4, 5 e 6 dell'art. 37  della  legge
regionale n. 19 del 2020, come sostituito dall'art.  12  della  legge
regionale n. 2 del 2021, stabiliscono che: 
        «4. Nella regione si applica il decreto legislativo 3  aprile
2018, n. 34 e successive modificazioni. 
        5. L'art. 10 della legge regionale 6 aprile 1996,  n.  16  e'
abrogato. 
        6. Alla lettera e) del  comma  l  dell'art.  15  della  legge
regionale 12 giugno 1976, n. 78, le parole da  "dal  limite"  fino  a
"forestali e" sono soppresse.». 
    Al di la' del richiamo all'applicazione  del  testo  unico  delle
foreste, contenuta nel nuovo comma 4, con i successivi commi 5 e 6 la
regione abroga, inaspettatamente, il vincolo paesaggistico ope  legis
imposto sin dal 1996 sulle fasce boschive (stante  l'abrogazione  del
comma 11 dell'art. 10 della legge regionale n. 16 del 1996),  nonche'
l'intera disciplina regionale di tutela dei boschi e delle foreste  e
delle predette fasce  limitrofe  (stante  l'abrogazione  degli  altri
commi dell'art. 10 della legge regionale n. 16 del 1996,  nonche'  la
modificazione della lettera e), dell'art. 15 della legge regionale n.
78 del 1976); disciplina vigente da lungo tempo e la cui operativita'
era stata segnalata come ostativa o quanto meno  contraddittoria  con
l'originaria formulazione del comma  12  dell'art.  37,  in  sede  di
interlocuzione sulla legge n. 19 del 2020. 
    In  conseguenza  di  tale  disciplina,  pertanto,  nella  Regione
Siciliana i boschi  e  le  foreste,  nonche'  le  relative  fasce  di
rispetto, restano del tutto privi di  una  disciplina  d'uso,  stante
l'assenza di un  piano  paesaggistico  esteso  all'intero  territorio
regionale, la cui elaborazione e' rimessa alla  mera  voluntas  della
regione. 
    In altri termini, la regione, con una scelta censurabile, sottrae
sia i boschi sia le fasce boschive al regime  di  tutela  vigente  da
moltissimi anni, senza che i predetti  beni  siano  disciplinati  dal
piano paesaggistico, e senza che tale scelta  sia  supportata  da  un
interesse  costituzionale  reputato  prevalente  sulla   tutela   del
paesaggio, alla quale e'  attribuito,  nel  sistema  degli  interessi
costituzionalmente  protetti,  valore  primario  e  assoluto   (Corte
costituzionale sentenza n. 367 del 2007). 
    L'art. 12, commi 4, 5 e 6  della  legge  regionale  siciliana  n.
2/2021 nella parte in cui sostituisce l'art. 37 della legge regionale
n. 19/2020, aggiungendo al predetto articolo i commi  4,  5  e  6  e'
illegittimo. 
    Il Presidente del Consiglio  dei  ministri  propone  pertanto  il
presente ricorso affidato ai seguenti motivi di 
 
                               Diritto 
 
Illegittimita' dell'art. 12,  della  legge  Regione  Sicilia,  del  3
febbraio 2021, n. 2, pubblicata nel BUR n. 6  del  12  febbraio  2021
recante «intervento correttivo alla legge regionale 13  agosto  2020,
n. 19, recante norme sul Governo del territorio», nella parte in  cui
sostituisce l'art. 37 della legge regionale n.  19/2020,  aggiungendo
al predetto articolo i commi 4, 5 e 6, per violazione  dell'art.  14,
comma 1, lettera f) e lettera n) del  regio  decreto  legislativo  15
maggio 1946,  n.  455,  (Approvazione  dello  statuto  della  Regione
Siciliana) convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2,
attuato con il decreto del  Presidente  della  Repubblica  30  agosto
1975, n. 637; degli articoli 3, 9, 97, 117,  secondo  comma,  lettera
l), lettera m), e lettera s) della Costituzione,  per  contrasto  con
gli  articoli  135,  140,  comma  2,  143,  167  e  181  del  decreto
legislativo n. 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali); 3,
commi 3 e 4 del decreto legislativo 3 aprile 2018,  n.  3;  32  della
legge 28 febbraio 1985, n. 47;  32  del  decreto-legge  30  settembre
2002, n. 269; 1-ter del decreto-legge 27 giugno 1985, n. 312. 
    Al fine di illustrare le censure di illegittimita' costituzionale
che investono l'art. 12 della legge regionale n. 2 del 2021 in esame,
interessa evidenziare che, con la  sostituzione  dell'art.  37  della
legge regionale n. 19 del 2020, e, in particolare, con l'introduzione
dei commi 5 e 6 al predetto articolo, l'art. 12 ha previsto: 
        (i) la perdita dello status di beni paesaggistici delle fasce
di protezione boschive gia' sottoposte a vincolo ai  sensi  dell'art.
10, comma 11, della legge regionale n. 16 del 1996, ora abrogato; 
        (ii) la cessazione della disciplina di tutela  dei  boschi  e
delle fasce contermini contenuta all'art. 10 della legge regionale n.
16 del 1996, nonche' all'art. 15, comma l, lettera  e),  della  legge
regionale n. 78 del 1976. 
    Occorre, quindi, esaminare partitamente i due suddetti profili. 
    L'art. 10, comma 11,  della  legge  regionale  n.  16  del  1996,
disponendo che «le zone di rispetto di cui ai commi da  1  a  3»  del
medesimo art. 10 «sono in ogni caso sottoposte di diritto  a  vincolo
paesaggistico ai sensi della  legge  29  giugno  1939,  n.  1497»  ha
declinato secondo le specificita'  della  regione  la  disciplina  di
tutela statale dei boschi e delle foreste. 
    Come detto, infatti, il vincolo  paesaggistico  ex  lege  imposto
dalla c.d. legge Galasso, e ora dall'art. 142, comma 1,  lettera  g),
del Codice dei beni culturali e  del  paesaggio,  ha  ad  oggetto  «i
territori coperti da  foreste  e  da  boschi,  ancorche'  percorsi  o
danneggiati  dal  fuoco,   e   quelli   sottoposti   a   vincolo   di
rimboschimento (. . .)». La regione ha inteso  precisare  la  portata
del predetto vincolo, stabilendo che esso includa anche  le  zone  di
rispetto appositamente previste in  base  all'estensione  del  bosco.
Cio' all'evidente scopo di assicurare una migliore tutela dei boschi,
in una lettura evoluta, che considera parte del bosco, meritevole  di
tutela paesaggistica, anche il contorno  del  bosco  stesso,  che  ne
assicura sia l'armonico inserimento nel paesaggio, che  la  possibile
espansione, con benefici sia paesaggistici che ecologici e di  tutela
idrogeologica. 
    L'abrogazione del comma 11 dell'art. 10 della legge regionale  n.
16 del 1996 ad opera dell'art. 12 della legge regionale n. 2 del 2021
comporta l'effetto della rimodulazione del vincolo paesaggistico gia'
imposto  da  quasi  venticinque  anni,  limitandolo  ai  soli  boschi
strettamente intesi, con esclusione delle relative fasce di rispetto. 
    Tale sopravvenuta abolizione del  vincolo  paesaggistico  appare,
oltre che irragionevole e ingiustificata, anche contraria  ai  canoni
fondamentali  dell'ordinamento  costituzionale,  che   assegnano   al
paesaggio valore primario e assoluto (Corte costituzionale n. 367 del
2007). 
    La revoca ope legis  del  vincolo  paesaggistico  disposta  dalla
legge regionale consente oltretutto il rilascio del condono  edilizio
(ai sensi delle normative eccezionali del 1985, del 1994 e del  2004)
anche per edificazioni che non sarebbero state  condonabili,  persino
in accoglimento di domande di condono originariamente  inammissibili,
con  invasione  della  potesta'  normativa  statale   nelle   materie
dell'ordinamento penale e dei livelli  essenziali  delle  prestazioni
socioeconomiche che devono essere garantiti uniformemente su tutto il
territorio nazionale, oltre che con la normativa  statale  di  grande
riforma economico-sociale repressiva degli abusi paesaggistici. 
    Sulla  base  delle  suesposte  considerazioni,  si  illustrano  i
profili di illegittimita' costituzionale dell'impugnata norma. 
    1. Come detto, con l'art. 10, commi l, 2,  3  e  11  della  legge
regionale n. 16 del 1996, il legislatore  regionale,  esercitando  la
propria competenza statutaria  primaria  in  materia  di  tutela  del
paesaggio  e  ponendosi  nel   solco   dell'innovazione   legislativa
intrapresa con il decreto-legge n. 312 del 1985 (c.d.  Galasso),  ora
trasfusa nell'art. 142 del Codice dei beni culturali e del paesaggio,
ha  ritenuto  di  individuare  una  ulteriore   tipologia   di   beni
paesaggisticamente vincolati,  costituita  dalle  fasce  boschive  di
estensione variabile da  50  a  200  metri,  dotandole  della  stessa
disciplina di tutela prevista per i boschi. 
    Peraltro, l'individuazione delle  fasce  contermini  si  pone  in
continuita' con il bosco tutelato ai sensi della legge c.d.  Galasso,
costituendo, piu' che un nuovo vincolo, una  estensione  del  vincolo
(minimo) imposto dal legislatore statale. 
    Codesta Corte costituzionale, nella  nota  sentenza  n.  151  del
1985, ha evidenziato che il legislatore, con il decreto-legge n.  312
del 1985 e con la legge di conversione n. 431 del 1985, ha  proceduto
all'individuazione di porzioni e di elementi  del  territorio  stesso
«secondo   tipologie   paesistiche   ubicazionali   o    morfologiche
rispondenti a criteri largamente  diffusi  e  consolidati  nel  lungo
tempo»,  introducendo  «una  tutela  del   paesaggio   improntata   a
integralita'   e   globalita',   vale   a   dire    implicante    una
riconsiderazione assidua dell'intero territorio nazionale alla luce e
in attuazione del  valore  estetico-culturale».  In  tale  occasione,
codesta Corte ha sancito  la  piena  legittimita'  della  scelta  del
legislatore statale,  chiarendo  come  «Una  tutela  cosi'  concepita
e' aderente al precetto dell'art. 9  della  Costituzione,  il  quale,
secondo una scelta operata al  piu'  alto  livello  dell'ordinamento,
assume il detto valore come primario (cfr. sentenze di  questa  Corte
n. 94 del 1985 e n. 359 del 1985), cioe' come insuscettivo di  essere
subordinato a qualsiasi altro». 
    Appare  evidente,  pertanto,  che  la  scelta   del   legislatore
regionale, dotato di autonomia speciale proprio in materia di  tutela
del paesaggio, di individuare ulteriori aree, oltre a  quelle  cc.dd.
«Galasso», sottoposte a vincolo paesaggistico ope legis, quali  nella
specie le fasce boschive, discende  direttamente  dall'art.  9  della
Costituzione e si  salda  strettamente  con  la  determinazione  gia'
assunta dal legislatore statale nel 1985, nel sottoporre a tutela  «i
territori  coperti  da  foreste  e  boschi,  ancorche'   percorsi   o
danneggiati  dal  fuoco,   e   quelli   sottoposti   a   vincolo   di
rimboschimento (...)» (art. 142, comma l,  lettera  g),  del  decreto
legislativo n. 42/2004). 
    Proprio con  riferimento  ai  boschi  codesta  Corte  ha  infatti
evidenziato che «Sotto l'aspetto ambientale, i boschi  e  le  foreste
costituiscono un bene giuridico di valore "primario" (sentenza n. 151
del 1986), ed "assoluto" (sentenza n. 641 del 1987), nel senso che la
tutela ad essi apprestata dallo  Stato,  nell'  esercizio  della  sua
competenza esclusiva in materia  di  tutela  dell'ambiente,  viene  a
funzionare come un  limite  alla  disciplina  che  le  regioni  e  le
province autonome dettano nelle materie di loro competenza  (sentenza
n. 378 del 2007). Cio'  peraltro  non  toglie  ...  che  le  regioni,
nell'esercizio delle  specifiche  competenze,  loro  garantite  dalla
Costituzione, possano stabilire anche forme di tutela ambientale piu'
elevate» (Corte costituzionale sentenza n. 105 del 2008). 
    Con l'impugnata norma il legislatore regionale,  invece,  revoca,
inspiegabilmente, il predetto vincolo. 
    Occorre evidenziare  che  la  natura  meramente  accertativa  del
vincolo paesaggistico, per effetto del quale  trova  applicazione  il
regime di tutela, fa  si'  che  una  volta  riconosciuto  l'interesse
paesaggistico del bene lo stesso non possa essere  revocato,  neppure
mediante contrarius actus. 
    Tale irrevocabilita' discende, secondo i principi,  dalla  natura
meramente  ricognitoria  dei  vincoli  paesaggistici,  affermata   da
codesta Corte fin dalla sentenza n. 56 del 1968, in  quanto  i  «beni
immobili qualificati di bellezza naturale hanno valore paesistico per
una circostanza che dipende dalla loro localizzazione  e  dalla  loro
inserzione in un complesso che ha in modo  coessenziale  le  qualita'
indicate  dalla  legge.  Costituiscono  cioe'   una   categoria   che
originariamente  e'  di  interesse  pubblico   e   l'amministrazione,
operando nei modi descritti dalla  legge  rispetto  ai  beni  che  la
compongono, non ne modifica la situazione preesistente, ma acclara la
corrispondenza delle sue qualita' alla prescrizione normativa». 
    A  maggior  ragione,  l'accertamento  di  un  interesse  pubblico
«immanente  al  bene»  si  verifica  se  l'individuazione  dei   beni
paesaggistici, anziche' essere compiuta dall'amministrazione mediante
puntuali provvedimenti amministrativi,  e'  effettuata  dallo  stesso
legislatore, mediante l'indicazione di specifiche categorie di  beni,
i  quali  sono   quindi   ritenuti   originariamente   di   interesse
paesaggistico. 
    Tali pacifici principi sono stati  affermati  anche  dal  giudice
amministrativo, che, proprio con riferimento ai boschi,  ha  ritenuto
che «L'art. 142, comma 1,  lettera  g)  del  decreto  legislativo  n.
42/2004 ha ... individuato i territori coperti da boschi fra  i  beni
paesaggistici  tutelati   per   legge,   con   previsione   meramente
ricognitiva. Ne consegue, dunque, che i boschi costituiscono un  bene
paesaggistico sottoposto a tutela diretta dalla legge con vincoli che
gli  strumenti  di  pianificazione  regionale  devono  recepire,  non
soggetti a decadenza, perche' traggono origine dalle  caratteristiche
dell'area,   il   cui   valore   paesaggistico   impone   limitazioni
all'esercizio delle facolta' di uso della stessa, rispetto alle quali
non solo  l'intervento  dell'amministrazione,  ma  anche  quello  del
legislatore,  assume  valenza,  come   detto,   ricognitiva   e   non
costitutiva derivante dalla qualita' intrinseche del  bene  tutelato»
(Consiglio di Stato, sentenza n. 6921 del 2018). 
    Se l'individuazione  del  bene  paesaggistico  e'  sufficiente  a
svelarne la natura intrinseca di interesse pubblico, detta natura non
puo' pertanto venire meno per effetto della revoca  della  fonte  del
vincolo,  sia  essa  un  provvedimento  amministrativo  o  una  norma
primaria o anche una disposizione del piano paesaggistico. 
    Tale  principio,  direttamente  discendente  dall'art.  9   della
Costituzione,  e'  accolto  nel  Codice  dei  beni  culturali  e  del
paesaggio, che non ha riprodotto l'art. 14 del vecchio regolamento di
cui al regio decreto 1357 del 1940,  da  considerarsi  implicitamente
abrogato,  che  prevedeva  il   potere   ministeriale,   sentita   la
Commissione provinciale, di «togliere o restringere il vincolo  (...)
quando siano venute a mancare o a mutare le esigenze che  lo  avevano
determinato». 
    Il Codice infatti nega persino al  piano  paesaggistico,  benche'
elaborato  congiuntamente   e   condiviso   con   specifico   accordo
procedimentale tra regione  e  Stato  (o,  nelle  regioni  a  statuto
speciale, come la Sicilia,  mediante  accordo  tra  l'amministrazione
regionale competente in materia di paesaggio e quella  competente  in
materia urbanistica),  il  potere  di  rimuovere  o  ridurre  vincoli
paesaggistici  preesistenti  (art.  140,   comma   2,   del   decreto
legislativo n. 42/2004). La  disposizione  si  riferisce  ai  vincoli
provvedimentali, in quanto non  potrebbe  nemmeno  in  via  ipotetica
dubitarsi che il piano possa revocare vincoli  imposti  dallo  stesso
legislatore. 
    La disciplina di tutela  paesaggistica  ha  accentuato,  rispetto
alle originarie disposizioni  della  legge  n.  1497  del  1939,  una
logica, per cosi' dire «incrementale», secondo  la  quale  i  vincoli
possono essere estesi e integrati nei  contenuti  precettivi,  e  non
perdono efficacia ne' devono essere sottoposti a forme di revisione o
conferma, ma non possono venire meno una volta imposti, salvi i  casi
eccezionali  nei  quali  sia   definitivamente   perduto   l'elemento
materiale nel quale si esprime il valore paesaggistico meritevole  di
tutela. 
    Al di fuori delle limitatissime ipotesi in  cui  vengano  meno  i
presupposti di fatto del riconoscimento di un interesse paesaggistico
(si badi, peraltro, che per i boschi il vincolo ope legis  non  viene
meno nemmeno con la perdita del bene a seguito di  incendio)  non  e'
rinvenibile, nell'ordinamento, un potere contrario rispetto a  quello
impositivo, il cui eventuale esercizio, finalizzato alla eliminazione
o riduzione del vincolo, deve pertanto considerarsi illegittimo. 
    Stante  la  natura  permanente  del  vincolo  paesaggistico,  non
suscettibile  di  revoca,  la   norma   censurata   appare   pertanto
illegittima per violazione del principio  della  irrevocabilita'  dei
vincoli  paesaggistici,  che  trova  fondamento  nell'art.  9   della
Costituzione, nonche' per violazione della norma  di  grande  riforma
economico-sociale, dettata dallo Stato nell'esercizio della  potesta'
di cui all'art. 117, secondo comma, lettera s),  della  Costituzione,
costituita dall'art. 140, comma 2, del Codice dei  beni  culturali  e
del paesaggio,  e  conseguente  violazione  dell'art.  14,  comma  l,
lettera n), dello statuto di autonomia, attuato con  il  decreto  del
Presidente della Repubblica 30 agosto 1975, n. 637. 
    2.  Occorre  ancora  sottolineare  che  l'art.  12  della   legge
regionale, laddove introduce il nuovo comma 4 nell'art.  37,  dispone
che nella regione si applica il decreto legislativo 3 aprile 2018, n.
34, recante il testo unico in materia di foreste e filiere forestali,
il quale, all'art. 3, comma 3,  contiene  la  definizione  di  bosco,
formulata  nei  termini  seguenti:  «Per  le  materie  di  competenza
esclusiva dello Stato, sono definite bosco le  superfici  coperte  da
vegetazione forestale arborea, associata o meno a  quella  arbustiva,
di origine naturale o artificiale in qualsiasi stadio di sviluppo  ed
evoluzione, con estensione  non  inferiore  ai  2.000  metri  quadri,
larghezza media non inferiore a 20  metri  e  con  copertura  arborea
forestale maggiore del 20 per cento». 
    Il successivo comma 4 dell'art. 3 precisa che  «Le  regioni,  per
quanto di loro competenza e in  relazione  alle  proprie  esigenze  e
caratteristiche territoriali, ecologiche e socio-economiche,  possono
adottare una definizione  integrativa  di  bosco  rispetto  a  quella
dettata  al  comma  3,  nonche'  definizioni  integrative   di   aree
assimilate a bosco e di aree escluse dalla definizione  di  bosco  di
cui,  rispettivamente,  agli  articoli  4  e  5,  purche'  non  venga
diminuito il livello di tutela e conservazione cosi' assicurato  alle
foreste come presidio fondamentale della qualita' della vita». 
    Il  testo  unico  delle  foreste,  fatto  proprio  dalla  Regione
Siciliana, contiene quindi  una  nozione  unitaria  indefettibile  di
bosco a cui fare riferimento per l'individuazione del bene sottoposto
a tutela ope legis, che puo' essere integrata dalle  singole  regioni
con il solo limite che non puo' comunque essere diminuito il  livello
di  tutela  (art.  3,  comma  4).  Conseguentemente,  nel   caso   di
individuazione di nuove aree boscate, o aree assimilate  a  bosco  da
parte  delle  regioni,  la  sottoposizione  a  tutela   paesaggistica
consegue ipso iure e non e' successivamente revocabile. 
    Nel diverso  caso  di  individuazione  di  «aree  escluse»  dalla
definizione di bosco, viceversa, tale individuazione non potra' avere
effetti nei confronti del regime di tutela  paesaggistica  ope  legis
prevista  dalla  normativa   statale,   nel   senso   di   escluderne
l'applicazione. 
    La normativa della Regione Siciliana, che, dopo  aver  sottoposto
determinati ambiti a tutela paesaggistica funzionale alla  protezione
dei  boschi,  incrementando  la  tutela,  intende  poi  sottrarre  le
predette categorie di beni paesaggistici  al  vincolo  gia'  imposto,
appare quindi confliggente anche con l'impostazione di  principio  su
cui si fonda il testo unico delle foreste, che pure la stessa regione
ritiene di dover applicare nel proprio territorio, e conseguentemente
risulta irragionevole e  contradditoria,  e  percio'  contraria  agli
articoli 3 e 97 della Costituzione. 
    3. La regione ha peraltro abrogato la normativa  che  sottoponeva
le fasce boscate a tutela paesaggistica  ope  legis  senza  che  tale
abrogazione sia giustificata dal contemperamento con altri  interessi
costituzionalmente protetti, eventualmente  coinvolti  e  considerati
prevalenti. 
    Codesta Corte costituzionale ha gia' dichiarato  l'illegittimita'
costituzionale    di    normative    regionali    che    intervengono
retroattivamente su disposizioni precedenti al solo fine di sottrarre
al regime di tutela categorie di beni precedentemente vincolati (cfr.
sentenza  Corte  costituzionale  n.  308  del  2013   relativa   alla
fattispecie delle zone umide della Sardegna). 
    In tale occasione codesta Corte ha  ritenuto,  tra  l'altro,  che
«... la volonta' del legislatore deve ravvisarsi, alla luce di quanto
statuito nella legge regionale n. 8 del 2004 e nelle  relative  norme
del cosiddetto Codice dei beni culturali e del paesaggio  di  cui  al
decreto legislativo n. 42 del  2004,  nella  volonta'  di  assicurare
un'adeguata tutela e valorizzazione del  paesaggio,  in  primo  luogo
attraverso lo strumento del Piano paesistico regionale (art. 1  della
legge regionale n. 8 del 2004; art. 135 del Codice dei beni culturali
e del paesaggio). L'effetto prodotto dalla norma regionale impugnata,
all'opposto, risulta essere quello di una  riduzione  dell'ambito  di
protezione riferita ad una categoria di beni paesaggistici,  le  zone
umide, senza che cio' sia imposto dal necessario  soddisfacimento  di
preminenti interessi costituzionali. E cio', peraltro, in  violazione
di quei limiti che la giurisprudenza costituzionale ha ravvisato alla
portata retroattiva  delle  leggi,  con  particolare  riferimento  al
rispetto  delle  funzioni  riservate  al  potere  giudiziario.  Deve,
pertanto, essere dichiarata l'illegittimita' costituzionale dell'art.
l, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 20 del 2012». 
    A  cio'  deve  aggiungersi   che   l'eliminazione   del   vincolo
paesaggistico   determina   effetti   manifestamente   arbitrari    e
irragionevoli, in quanto comporta un ingiustificato abbassamento  del
livello della tutela del paesaggio. 
    Anche a voler ammettere che un vincolo paesaggistico gia' imposto
possa venire meno, dovrebbe quanto meno ritenersi che  l'eliminazione
del  vincolo  debba  essere  giustificata  da  una  ponderazione   di
interessi che faccia emergere un altro valore costituzionale primario
meritevole di prevalere su quello paesaggistico. 
    Tale ipotesi non si rinviene nella legge regionale in  esame,  la
quale  pone  nel  nulla  vincoli  paesaggistici  imposti   da   circa
venticinque anni, senza che emerga  alcuna  finalita'  di  tutela  di
altri interessi meritevoli di tutela prevalente  e,  peraltro,  senza
che l'eliminazione dei vincoli sulle fasce boschive sia frutto di una
ponderazione riferita a singole fattispecie concrete. 
    Ulteriore profilo di irragionevolezza  emerge  dalla  circostanza
che l'eliminazione dei vincoli  paesaggistici  sulle  fasce  boschive
comporta   l'archiviazione   dei   procedimenti   di   autorizzazione
paesaggistica   gia'   pendenti    e    rende    improvvisamente    e
irragionevolmente  privi  di   causa   non   solo   i   provvedimenti
autorizzatori gia' rilasciati, ma anche le sanzioni gia' irrogate per
gli illeciti paesaggistici realizzati. 
    Anche sotto  questo  profilo  la  normativa  regionale  censurata
risulta percio' illegittima, per contrarieta' agli articoli 3, 9 e 97
della Costituzione. 
    4. A titolo di esemplificazione delle distorsioni derivanti dalla
norma   censurata,   deve   evidenziarsi   che   il   primo   effetto
dell'abrogazione del vincolo e' quello di consentire il rilascio  del
condono edilizio (ai sensi delle normative eccezionali del 1985,  del
1994 e del 2004) anche  per  edificazioni  che  non  sarebbero  state
condonabili. 
    Con  riferimento  alle  domande  finalizzate  al   rilascio   del
provvedimento di condono per abusi realizzati prima  dell'imposizione
del vincolo paesaggistico del 1996, la norma ha un manifesto  effetto
premiale, atteso che, per le edificazioni abusivamente eseguite nelle
fasce boschive, le domande potranno essere senz'altro accolte,  senza
necessita' di acquisire il parere dell'amministrazione preposta  alla
tutela  del  paesaggio,  che  dovrebbe  operare  la  valutazione   di
compatibilita' con il vincolo sopravvenuto,  ai  sensi  dell'art.  32
della legge n. 47 del 1985. 
    Cio'  che  e'  piu'  grave,  e  rende   manifestamente   evidente
l'illegittimita'  costituzionale  della  disciplina   censurata,   e'
l'effetto che viene a  prodursi  con  riferimento  alle  edificazioni
eseguite dopo l'imposizione del vincolo del 1996, atteso che per tali
edificazioni  non  sarebbe  stato  possibile  neppure   astrattamente
accedere al condono edilizio del 2004. 
    Come e' noto, infatti, l'art.  32,  comma  27,  lettera  d),  del
decreto-legge n. 269 del 2003 preclude in modo assoluto la  sanatoria
delle opere abusive  qualora  «siano  state  realizzate  su  immobili
soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali  a
tutela degli interessi idrogeologici e  delle  falde  acquifere,  dei
beni ambientali  e  paesistici,  nonche'  dei  parchi  e  delle  aree
protette nazionali, regionali e provinciali qualora  istituiti  prima
della esecuzione di dette opere, in  assenza  o  in  difformita'  del
titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche  e
alle prescrizioni degli strumenti urbanistici». 
    Dalle  suesposte  considerazioni  emerge  che  il  mutamento   di
disciplina da parte della regione e'  sostanzialmente  indirizzato  a
facilitare il ricorso alla sanatoria edilizia, con  efficacia  estesa
anche al passato, cosi' da ampliare, irragionevolmente, la sfera  dei
possibili beneficiari, rendendo persino ammissibili  retroattivamente
domande di  condono  che,  in  assenza  della  norma  censurata,  non
sarebbero state neppure scrutinabili nel merito. 
    Al riguardo, deve qui ricordarsi che, con la sentenza n.  39  del
2006, codesta Corte costituzionale ha gia' censurato,  per  manifesta
irragionevolezza e contrarieta' all'art.  3  della  Costituzione,  la
volonta' della Regione Siciliana  di  rendere  retroattivamente  piu'
ampia l'area di applicazione del condono edilizio, affermando che  la
tutela dei vincoli paesaggistici ed ambientali prevale sulle  ipotesi
di condono edilizio. 
    Per le  ragioni  ora  illustrate,  la  disciplina  regionale  e',
quindi, illegittima  per  violazione  degli  articoli  3  e  9  della
Costituzione, della potesta' esclusiva  dello  Stato  in  materia  di
ordinamento penale, di cui all'art. 117, secondo comma,  lettera  l),
della Costituzione, nonche' della potesta' dello Stato in materia  di
determinazione dei livelli essenziali delle  prestazioni  (art.  117,
secondo comma, lettera m) e di tutela del paesaggio nell'ambito delle
procedure di condono edilizio (art. 117, secondo comma,  lettera  s),
in concreto esercitata mediante la legge n. 47 del 1985 e  l'art.  32
del decreto-legge n.  269  del  2003,  costituenti  norme  di  grande
riforma economico sociale che si impongono  alla  Regione  Siciliana,
con conseguente violazione anche dell'art.  14,  lettera  f)  ed  n),
dello statuto, attuato con il decreto del Presidente della Repubblica
30 agosto 1975, n. 637. 
    5. Sotto altro profilo, strettamente connesso a  quanto  sin  qui
osservato, si rileva che l'abolizione  del  vincolo  determinera'  il
venir meno in radice di abusi paesaggistici che non sarebbero neppure
sanabili ai sensi dell'art. 167 e 181 del Codice dei beni culturali e
del paesaggio. 
    Le suddette disposizioni  consentono,  infatti,  di  valutare  la
compatibilita' paesaggistica  delle  opere  eseguite  in  assenza  di
autorizzazione esclusivamente nei  casi  tassativamente  indicati  al
comma 4 dell'art. 167. In particolare, la  sanatoria  e'  esclusa  in
radice laddove siano stati realizzati  superfici  utili  o  volumi  o
siano stati aumentati quelli legittimamente realizzati. 
    L'abolizione del vincolo paesaggistico comportera' il venir  meno
degli illeciti, stante la  radicale  eliminazione  del  vincolo,  con
conseguente abolizione anche del trattamento sanzionatorio  penale  e
invasione, da parte della regione, della potesta' statale in  materia
di ordinamento penale (art. 117, secondo comma, lettera l). 
    In tema di condono edilizio, codesta Corte costituzionale ha gia'
puntualizzato, in passato, che le regioni ad autonomia speciale,  ove
nei rispettivi statuti si prevedano competenze  legislative  di  tipo
primario, devono, in ogni caso, rispettare il  limite  della  materia
penale e di «quanto  e'  immediatamente  riferibile  ai  principi  di
questo intervento eccezionale di grande riforma» (sentenza n. 196 del
2004). In tale occasione, codesta Corte ha precisato che «Non  vi  e'
dubbio sul fatto che solo il legislatore statale puo' incidere  sulla
sanzionabilita' penale (per tutte, v. la sentenza n. 487 del 1989)  e
che esso, specie in occasione di sanatorie amministrative, dispone di
assoluta discrezionalita' in materia "di estinzione del reato o della
pena, o di non procedibilita'" (sentenze n. 327 del 2000, n. 149  del
1999 e n. 167 del 1989)». 
    Codesta  Corte  inoltre,  anche  di  recente,  ha  annullato   le
disposizioni della Regione Siciliana che configuravano un surrettizio
condono edilizio,  rimarcando  che  tali  normative  «travalicano  la
competenza legislativa esclusiva attribuita alla regione  in  materia
di urbanistica dall'art. 14,  comma  l,  lettera  f),  dello  statuto
speciale, invadendo la competenza esclusiva  statale  in  materia  di
"ordinamento penale" di cui all'art. 117, secondo comma, lettera  l),
della Costituzione, con riguardo alla  sanatoria  di  abusi  edilizi»
(Corte costituzionale n. 232 del 2017). 
    In tale  ottica,  le  disposizioni  regionali  che  incidono  sul
trattamento sanzionatorio degli  illeciti  paesaggistici,  anche  sul
piano  amministrativo,  si  pongono  altresi'  in  contrasto  con  la
determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i
diritti civili e sociali che devono essere garantiti uniformemente in
tutto il territorio nazionale. 
    Codesta Corte ha piu' volte  sottolineato,  del  resto,  come  le
attribuzioni legislative delle autonomie speciali trovino  un  limite
nella potesta' legislativa esclusiva spettante allo  Stato  ai  sensi
dell'art. 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione. Si  e',
infatti,  rimarcato  che  «(...)  viene  in  rilievo   un   parametro
costituzionale, cioe' l'art. 117, secondo comma,  lettera  m),  della
Costituzione, che (...) postula tutele  necessariamente  uniformi  su
tutto il territorio  nazionale  e  tale  risultato  non  puo'  essere
assicurato dalla regione, ancorche' ad  autonomia  differenziata,  la
cui  potesta'  legislativa  e'  pur  sempre  circoscritta  all'ambito
territoriale dell'ente» (sentenze n. 121 del 2014 e 203 del 2012). 
    Anche sotto questo profilo l'impugnata norma viola gli articoli 3
e 9 della Costituzione, la potesta' esclusiva dello Stato in  materia
di ordinamento penale, di cui all'art. 117,  secondo  comma,  lettera
l), della Costituzione, nonche' la potesta' dello Stato in materia di
determinazione dei livelli essenziali delle  prestazioni  (art.  117,
secondo  comma,  lettera  m)  e   di   determinazione   delle   norme
fondamentali di grande riforma economico sociale in materia di tutela
del paesaggio (art. 117,  secondo  comma,  lettera  s),  potesta'  in
concreto esercitata mediante gli articoli 167 e 181  del  Codice  dei
beni culturali  e  del  paesaggio,  che  si  impongono  alla  Regione
Siciliana, con conseguente violazione anche dell'art. 14, lettera  f)
ed n), dello statuto, attuato con il  decreto  del  Presidente  della
Repubblica 30 agosto 1975, n. 637. 
    6. Come detto, oltre a eliminare il vincolo paesaggistico imposto
ex lege sulle zone  di  rispetto  boschive,  l'art.  12  della  legge
regionale in esame abroga in  toto  anche  la  disciplina  di  tutela
sostanziale  che  la  Regione  Siciliana  aveva   dettato   sia   con
riferimento ai boschi e alle foreste vincolati ai  sensi  della  c.d.
legge Galasso, che alle fasce contermini ai  boschi,  per  una  certa
estensione sottoposte anche,  come  detto,  a  vincolo  paesaggistico
dalla stessa regione. 
    La  suddetta  disciplina  era  deputata  a  svolgere   un   ruolo
determinante  nel  sistema  della  tutela,  stante  -  come  detto  -
l'assenza  di  una  pianificazione  paesaggistica  estesa  all'intero
territorio  regionale  (fermo  restando  che  i  piani  paesaggistici
attualmente  in  vigore  non  dettano  una  disciplina  autonoma   in
relazione alle fasce boschive, ma rinviano alla disciplina  regionale
abrogata o la assumono a proprio presupposto, con le conseguenze  che
di seguito si illustreranno). 
    In particolare, come sopra detto, la regione aveva previsto: 
        il divieto assoluto di nuove costruzioni nei boschi  e  nelle
foreste gia' vincolati ai sensi della c.d. legge  Galasso  (art.  10,
comma l, della legge regionale n. 16 del 1996); 
        il divieto assoluto  di  nuove  edificazioni  nelle  zone  di
rispetto dei boschi (art. 10, commi l, 2 e 3 del  medesimo  art.  10,
con le modulazioni e le precisazioni contenute nei successivi commi); 
        la prescrizione di tutela, vincolante per i comuni in sede di
elaborazione   degli   strumenti   urbanistici,   volta   a   imporre
l'arretramento delle costruzioni di 200  metri  dai  boschi  e  dalle
fasce forestali, con esclusione delle zone omogenee A e B  (art.  15,
primo comma, lettera e), della legge regionale n. 78 del 1976). 
    Con riferimento a quest'ultimo  intervento,  giova  chiarire  che
l'art. 12 della legge regionale in esame introduce anche,  nel  nuovo
art. 37 della legge regionale n. 19 del 2020, un ulteriore  comma  6,
il quale interviene sulla lettera e) del  primo  comma  dell'art.  15
della legge regionale 12 giugno 1976, n. 78,  sopprimendo  le  parole
«dal limite dei boschi, delle fasce forestali». 
    La lettera e) e', pertanto, cosi' riformulata: «e) le costruzioni
debbono  arretrarsi  di  metri  200  e   dai   confini   dei   parchi
archeologici». 
    Al di la' del refuso rimasto nel testo (la lettera  «e»  dopo  le
parole «metri 200»), l'effetto della novella e' di sopprimere, tra le
prescrizioni previste dall'art. 15, che devono  essere  osservate  ai
fini della formazione degli strumenti urbanistici  generali  comunali
in tutte le zone omogenee ad eccezione delle zone A e B, la fascia di
rispetto dei 200 metri dai boschi e dalle fasce forestali. 
    Come evidenziato dal Consiglio di giustizia amministrativa per la
Regione Siciliana, l'art. 15 mira  a  tutelare  l'interesse  pubblico
primario alla conservazione dei valori ambientali dell'intera Regione
Siciliana, e in particolare del perimetro costiero (cfr. lettere  a),
b), c) e d) del  primo  comma  dell'art.  15),  ed  e'  in  grado  di
resistere, sotto il profilo della gerarchia delle fonti, ad eventuali
quanto ricorrenti tentativi d'incisione realizzati dagli enti  locali
attraverso varianti della  zonizzazione  in  essere,  introdotte  nei
propri strumenti pianificatori  (Cons.  giust.  amm.  Reg.  Sic.,  28
aprile 2006 n. 692). 
    Le disposizioni di tutela sopra  richiamate  sono  state  dettate
dalla  regione  con  legge,  proprio  allo  scopo   di   evitare   la
compromissione  del  territorio  e   dei   valori   paesaggistici   e
naturalistici connaturati (tra l'altro)  alle  aree  boscate,  stante
anche il mancato completamento della pianificazione paesaggistica.  E
- occorre rimarcare - si  tratta  di  previsioni  che,  per  la  loro
portata dispositiva, appaiono omogenee ai contenuti propri del  piano
paesaggistico, in quanto: 
        (i) recano la disciplina dei boschi; (ii) estendono la tutela
alle fasce  boschive;  (iii)  impongono  prescrizioni  a  tutela  del
paesaggio boschivo da attuarsi con la mediazione della pianificazione
urbanistica comunale. 
    Le suddette disposizioni anticipano, quindi,  i  contenuti  della
futura  pianificazione  paesaggistica,  obbligatoria  per  tutto   il
territorio nazionale, e alla quale spetta di  dettare  il  regime  di
tutela dei beni paesaggistici (art. 135 e 143  del  Codice  dei  beni
culturali e del paesaggio). 
    In questa prospettiva, le medesime  previsioni  sono  deputate  a
svolgere una doppia funzione: non solo di disciplina di una parte del
paesaggio (quello boschivo), con la previsione del regime  d'uso  dei
boschi e delle relative fasce di rispetto, ma anche  di  salvaguardia
del   medesimo   paesaggio   boschivo,   in   attesa   della   futura
pianificazione  paesaggistica,  destinata  a  recepire  le   medesime
disposizioni. 
    Sotto quest'ultimo  profilo,  la  scelta  operata  dalla  regione
appare porsi anche nel solco dell'art. 1-ter del decreto-legge n. 312
del 1985, il quale ha previsto che, in attesa  dell'elaborazione  dei
piani paesaggistici, le regioni hanno facolta' di imporre  specifiche
norme di salvaguardia, volte a vietare qualsiasi  trasformazione  del
territorio negli ambiti sottoposti a tutela paesaggistica. 
    Occorre   peraltro   evidenziare   sin   d'ora   la   particolare
impostazione metodologica  seguita  nella  strutturazione  dei  piani
paesaggistici provinciali successivamente adottati  e  approvati  (in
relazione a sette province su nove), per le conseguenze che  da  tale
impostazione  derivano  a  seguito  della  totale  abrogazione  della
disciplina regionale sui boschi e sulle fasce boschive. 
    Nei predetti piani paesaggistici  provinciali  e'  stata  dettata
infatti un'autonoma disciplina d'uso esclusivamente  con  riferimento
ai boschi gia' vincolati ai sensi della c.d.  legge  Galasso,  mentre
altrettanto non e' avvenuto per le fasce boschive, in relazione  alle
quali i predetti piani non recano un'autonoma disciplina  d'uso,  ma,
pur impiegando formulazioni testuali non identiche, fanno rinvio alle
previsioni dell'art. 10 della legge regionale n. 16 del 1996, oggetto
della presente abrogazione e, per di piu',  contengono  espressamente
un rinvio mobile alle  successive  modifiche  ed  integrazioni  delle
stesse previsioni. 
    Cio' significa che, per quanto attiene  alle  fasce  boscate,  il
venir meno della normativa  regionale  di  riferimento,  per  effetto
dell'abrogazione dell'art. 10 della legge regionale n. 16  del  1996,
priva le NTA  dei  piani  provinciali  del  presupposto  giuridico  e
operativo  alla  base  della  disciplina  di  tutela,  ivi  declinata
mediante rinvio alla predetta legge, con l'effetto di far venire meno
la disciplina di piano e creare un vuoto di tutela. 
    In questo quadro, l'approvazione dei  piani  paesaggistici  delle
Province di Enna e Palermo, allo stato ancora mancanti,  potrebbe  al
piu' garantire, in analogia con gli altri piani provinciali, la  sola
disciplina di tutela dei boschi cc.dd.  Galasso,  fermo  restando  il
venir meno della tutela paesaggistica approntata alle fasce  boschive
in tutto il territorio regionale. 
    La regione, quindi, dopo aver dato attuazione alle norme  statali
di grande riforma economicosociale, stabilisce ora, in assenza di una
compiuta   pianificazione   paesaggistica   dell'intero    territorio
regionale, di sottrarre tali aree al  regime  di  tutela  imposto  da
moltissimi  anni,  con  la  conseguenza  che  i  predetti   beni   si
troverebbero privi  di  qualsivoglia  disciplina  d'uso,  e  cio'  in
assenza di diversi interessi  costituzionali,  parimenti  tutelati  e
considerati prevalenti, che possano giustificare una tale scelta. 
    Tale vuoto di tutela, inoltre, si viene a  creare  persino  nelle
aree del territorio regionale attualmente pianificate, in  quanto  le
NTA  dei  piani  paesaggistici  in   vigore   richiamano,   sia   per
l'identificazione  delle  fasce  boscate,   sia   per   la   relativa
disciplina, proprio la normativa regionale  oggetto  di  abrogazione,
rinviando senz'altro a  tale  normativa  l'intera  disciplina  d'uso,
ovvero assumendola comunque quale presupposto giuridico indefettibile
per l'applicazione di eventuali ulteriori previsioni. 
    In altri termini, non si nega che la regione abbia la potesta' di
modificare la disciplina d'uso del paesaggio  tutelato  gia'  dettata
(fermo restando il vincolo paesaggistico, come  detto  inderogabile),
ma cio' che risulta costituzionalmente illegittimo e' che la  regione
faccia  cessare  immotivatamente  tale  disciplina  in   assenza   di
pianificazione paesaggistica, ovvero determinando l'abrogazione della
pianificazione paesaggistica esistente.  Viene,  cosi',  menomata  la
funzione di salvaguardia, esercitata nel solco della norma di  grande
riforma economicosociale posta dall'art. 1-ter del  decreto-legge  n.
312 del 1985, determinando un vuoto di tutela che si estende anche al
paesaggio gia' pianificato. 
    Codesta Corte costituzionale  ha  piu'  volte  rimarcato  che  la
tutela del paesaggio trova la sua espressione nel piano paesaggistico
(Corte costituzionale, sentenza n. 367 del 2007), che costituisce  la
sede indefettibile nella quale operare una  valutazione  in  concreto
dei singoli contesti, dettando, per ciascuna porzione  di  territorio
considerata, la disciplina degli usi compatibili  e  non  compatibili
con i valori tutelati (cfr. articoli 135 e 143 del  Codice  dei  beni
culturali e del paesaggio). Si tratta di un'operazione,  da  compiere
in concreto e sulla  base  del  quadro  conoscitivo  del  territorio,
obbligatoria per  tutte  le  regioni,  incluse  quelle  ad  autonomia
speciale. 
    Con la legge n. 2 del 2021, la regione elimina la  disciplina  di
tutela del paesaggio  boschivo,  al  contempo  sottraendosi  a  tempo
indeterminato al proprio obbligo di pianificazione di tale paesaggio,
o addirittura facendo cadere, ex post, la disciplina delle aree  gia'
pianificate, ponendosi  cosi'  in  contrasto  con  i  principi  sopra
richiamati. 
    Anche il Consiglio di Stato ha ribadito,  con  riferimento  anche
alle regioni  ad  autonomia  speciale,  che  le  stesse  non  possono
prevedere una tutela minore rispetto e quella apprestata dal  Codice,
ma  solo  una  tutela  maggiore.  In  particolare,  richiamando   gli
orientamenti di codesta Corte costituzionale, il Consiglio  di  Stato
ha ribadito che: «E infine, proprio in  relazione  all'art.  142  del
Codice, la Corte costituzionale ha nei giorni scorsi ribadito  -  con
affermazione dettata per le regioni a  statuto  ordinario,  e  quindi
ancor piu' valida per quelle dotate di una specifica e  differenziata
competenza legislativa, garantita sul piano costituzionale -  che  la
legislazione regionale puo' "fungere da strumento di ampliamento  del
livello della tutela del bene protetto", cosicche'  quel  che  rimane
inversamente precluso al legislatore regionale e' solo l'introduzione
di restrizioni all'ambito della tutela (sentenza 19 - 23 marzo  2012,
n. 66; e ancor prima sentenza 18-29 maggio 2009, n. 164,  relativa  a
una norma legislativa della Valle d'Aosta,  ma  con  enunciazioni  di
portata generale)» (Cons. Stato, sentenza n. 2188 del 2012). 
    Da  quanto  sopra  detto,  discende  che,  con  le   disposizioni
dell'art. 10 della legge regionale n. 16 del  1996  e  dell'art.  15,
primo comma, lettera e), della legge regionale n.  78  del  1976,  la
regione aveva anticipato, mediante norme di tutela, l'esercizio della
pianificazione paesaggistica. Tali norme non possono, quindi,  essere
abrogate, o quanto meno non possono esserlo in assenza del piano, ne'
in presenza di  piani  che  si  limitano  a  rinviare  alla  predetta
disciplina e/o la assumono quale presupposto  giuridico  e  operativo
indefettibile  delle   rispettive   previsioni,   atteso   che   tale
abrogazione comporta: 
        un  abbassamento  del  livello  della  tutela  manifestamente
arbitrario e irragionevole, perche' non  supportato  da  esigenze  di
cura di altri  interessi  di  rilievo  costituzionale  prevalente,  e
addirittura del tutto immotivato, con  conseguente  violazione  degli
articoli 3 e 9 della Costituzione; 
        la violazione, da parte della regione, del proprio obbligo di
disciplina del paesaggio, vincolato e non,  atteso  che  l'abolizione
del regime di tutela del paesaggio boschivo avviene in assenza di una
compiuta pianificazione paesaggistica di tale paesaggio e addirittura
con  abrogazione  della  pianificazione   adottata   e/o   approvata,
determinando, quindi, il venir meno di ogni disciplina  al  riguardo,
in violazione degli articoli 135 e 143 del Codice dei beni  culturali
e del  paesaggio,  costituenti  norme  di  grande  riforma  economico
sociale dettate dal  legislatore  statale  ai  sensi  dell'art.  117,
secondo comma, lettera s), della Costituzione, e destinate a  imporsi
sulla potesta' esclusiva di cui all'art. 14, comma l, lettera  n)  ed
f) dello statuto di autonomia della Regione Siciliana, attuato con il
decreto del Presidente della Repubblica 30 agosto 1975, n. 637; 
        l'eliminazione della  suddetta  disciplina  anche  nella  sua
funzione di salvaguardia, nonostante il mancato  completamento  della
pianificazione paesaggistica, con conseguente violazione anche  della
norma di grande riforma economico-sociale di cui all'art.  1-ter  del
decreto-legge n. 312 del 1985.  
 
                               P.Q.M. 
 
    Il Presidente del Consiglio  dei  ministri  propone  il  presente
ricorso e confida nell'accoglimento delle seguenti conclusioni. 
    Voglia     l'ecc.ma     Corte      costituzionale      dichiarare
costituzionalmente illegittimo  dell'art.  12,  della  legge  Regione
Sicilia, del 3 febbraio 2021, n. 2, pubblicata nel BUR n.  6  del  12
febbraio 2021 recante «intervento correttivo alla legge regionale  13
agosto 2020, n. 19, recante norme sul governo del territorio»,  nella
parte in cui, sostituisce l'art. 37 della legge regionale n. 19/2020,
aggiungendo al predetto articolo i commi 4, 5  e  6,  per  violazione
degli articoli 14, comma 1, lettera f) e lettera n) dello statuto  di
autonomia  (regio  decreto  legislativo  15  maggio  1946,  n.   455,
convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n.  2),  attuato
con il decreto del Presidente della Repubblica  30  agosto  1975,  n.
637; 3,  9,  97,  117,  secondo  comma,  lettera  l),  m),  s)  della
Costituzione. 
    Si producono: 
        1. copia della legge regionale impugnata; 
        2. copia conforme della delibera del Consiglio  dei  ministri
adottata nella riunione del 13 aprile 2021 recante la  determinazione
di  proposizione  del  presente  ricorso,  con   allegata   relazione
illustrativa. 
          Roma, 13 aprile 2021 
 
                   L'Avvocato dello Stato: Guida