N. 89 SENTENZA 25 marzo - 5 maggio 2021

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Procedimento civile - Controversie in materia di  liquidazione  degli
  onorari e dei diritti di avvocato - Ordinanza a contenuto decisorio
  basata su errore di fatto - Possibile revocazione  -  Esclusione  -
  Denunciata irragionevole disparita' di trattamento e violazione del
  diritto di agire e difendersi in giudizio -  Non  fondatezza  delle
  questioni, nei sensi di cui in motivazione. 
- Codice di procedura civile,  art.  395,  numero  4),  in  combinato
  disposto con l'art. 14 del decreto legislativo 1°  settembre  2011,
  n. 150. 
- Costituzione, artt. 3 e 24. 
(GU n.18 del 5-5-2021 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giancarlo CORAGGIO; 
Giudici :Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria  de  PRETIS,  Nicolo'
  ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,
  Giovanni  AMOROSO,  Francesco  VIGANO',  Luca   ANTONINI,   Stefano
  PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela  NAVARRETTA,  Maria  Rosaria  SAN
  GIORGIO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 395, numero
4), del codice di procedura civile, in combinato disposto con  l'art.
14 del decreto legislativo 1° settembre 2011,  n.  150  (Disposizioni
complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e
semplificazione dei  procedimenti  civili  di  cognizione,  ai  sensi
dell'articolo 54 della legge 18 giugno 2009,  n.  69),  promosso  dal
Tribunale ordinario di Cosenza, nel procedimento vertente tra A. T. e
F. S., con ordinanza del 6 febbraio  2020,  iscritta  al  n.  94  del
registro ordinanze 2020 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 34, prima serie speciale, dell'anno 2020. 
    Udito nella camera di consiglio del  24  marzo  2021  il  Giudice
relatore Maria Rosaria San Giorgio; 
    deliberato nella camera di consiglio del 25 marzo 2021. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 6 febbraio 2020,  iscritta  al  n.  94  del
registro ordinanze 2020, il Tribunale  ordinario  di  Cosenza  -  nel
corso di un giudizio di revocazione per errore di fatto instaurato da
A. T.  avverso  l'ordinanza  di  rigetto  della  domanda  diretta  ad
ottenere la liquidazione degli onorari per l'attivita'  professionale
svolta nell'ambito di tre procedure  giudiziarie  intraprese  davanti
allo stesso Tribunale quale difensore di  fiducia  di  F.  S.  -,  ha
sollevato questioni  di  legittimita'  costituzionale  del  combinato
disposto degli artt. 395, numero 4), del codice di procedura civile e
14 del decreto legislativo 1° settembre 2011,  n.  150  (Disposizioni
complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e
semplificazione dei  procedimenti  civili  di  cognizione,  ai  sensi
dell'articolo 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69),  per  violazione
degli artt. 3 e 24 della Costituzione. 
    1.1.- Il giudice rimettente evidenzia, in punto di rilevanza, che
il ricorso presentato dall'avvocato istante  nei  confronti  del  suo
cliente e'  stato  respinto  sul  presupposto  che  non  fosse  stata
prodotta la documentazione funzionale a verificare i fatti  allegati,
e cio' benche' il nuovo procuratore del ricorrente, costituendosi  in
giudizio per via telematica, avesse in realta' depositato i documenti
utili per la liquidazione degli onorari, inerenti agli  atti  redatti
per conto della parte assistita nei giudizi incardinati. Cosicche' il
ricorrente, rilevando che la  decisione  assunta  con  ordinanza  era
stata  determinata  da   errore   di   fatto,   in   quanto   fondata
sull'affermazione, non vera, della mancata produzione  dei  documenti
comprovanti  l'attivita'   difensiva   espletata,   ha   chiesto   la
revocazione del provvedimento impugnato  e  la  conseguente  condanna
della parte al compenso dovuto. 
    Argomenta in premessa il giudice  a  quo  che  il  resistente  ha
eccepito l'inammissibilita'  della  domanda  di  revocazione,  avendo
ritenuto  che  l'ordinanza  impugnata  fosse  appellabile  ai   sensi
dell'art.  702-quater  cod.  proc.  civ.,  ed  ha,  ancora,   dedotto
l'irrituale introduzione del giudizio  di  revocazione  con  ricorso,
anziche' con citazione; nel merito, ha sostenuto che il ricorrente si
sarebbe limitato a sottoscrivere gli atti in relazione ai quali aveva
chiesto la liquidazione dei compensi giudiziali. 
    Sempre in punto di rilevanza, l'ordinanza di  rimessione  precisa
che la domanda di revocazione e' stata correttamente  introdotta  con
atto avente la forma del ricorso, in ragione del principio secondo il
quale  il  rito  speciale  deve   trovare   applicazione   anche   al
procedimento di revocazione, osservandosi, davanti al giudice  adito,
le norme stabilite per il procedimento davanti allo stesso, ai  sensi
dell'art. 400 cod. proc. civ., con la conseguenza che la  domanda  di
revocazione e' stata considerata  tempestiva,  perche'  proposta  nel
termine di cui agli artt. 325 e 326 cod. proc. civ.,  avuto  riguardo
alla data di deposito del ricorso. 
    Il Tribunale di Cosenza osserva  altresi'  che,  all'esito  della
consultazione  del  fascicolo  telematico  relativo  al  procedimento
definito con l'ordinanza impugnata, e' emerso che  effettivamente  il
nuovo procuratore costituito aveva depositato,  per  via  telematica,
non solo la memoria  di  costituzione,  ma  anche  la  documentazione
relativa all'attivita' espletata. Cio'  comproverebbe  l'integrazione
dell'errore  di  fatto  contenuto   nell'ordinanza   impugnata,   che
presenterebbe tutti  i  requisiti  dell'errore  revocatorio,  essendo
stata supposta  l'inesistenza  di  un  fatto  -  rappresentato  dalla
produzione della necessaria documentazione - la cui  verita'  sarebbe
risultata positivamente stabilita  appunto  dalla  presenza  di  tali
documenti nel fascicolo telematico. Si sarebbe trattato, pertanto, di
un errore di percezione avente rilevanza decisiva,  con  i  caratteri
dell'assoluta evidenza e della rilevabilita', sulla scorta  del  mero
raffronto tra  l'ordinanza  impugnata  e  i  documenti  del  giudizio
prodotti per via telematica. 
    Ritiene,  quindi,  il  rimettente  che  dall'accoglimento   delle
questioni di legittimita' costituzionale  sollevate  «deriverebbe  il
superamento della  preclusione  alla  proponibilita'  della  domanda,
conseguendone,   nell'ipotesi    inversa,    la    declaratoria    di
inammissibilita'». 
    1.2.- Quanto alla non manifesta infondatezza, il  giudice  a  quo
rileva  che  l'ordinanza  collegiale  che  decide  sulla  domanda  di
liquidazione degli onorari del difensore, emessa ai  sensi  dell'art.
14 del d.lgs. n. 150 del 2011, al termine di un procedimento sommario
di cognizione, e' dichiarata  espressamente  non  appellabile  ed  e'
idonea a definire il giudizio  in  un  unico  grado,  producendo  gli
effetti del giudicato. Aggiunge che non  e'  consentito,  secondo  il
consolidato  orientamento   nomofilattico,   proporre   ricorso   per
cassazione allo scopo di denunciare l'errore revocatorio, sicche'  la
limitazione dell'ambito di  operativita'  della  disciplina  dedicata
alla revocazione alle sole sentenze pronunciate in grado di appello o
in unico grado impedirebbe alla parte che lamenti l'errore di  fatto,
per  aver  ritenuto  non  prodotta  la  documentazione   in   effetti
puntualmente   depositata,   di   avvalersi   dell'unico   mezzo   di
impugnazione esperibile. 
    Ad avviso del rimettente, proprio la natura eccezionale del mezzo
impugnatorio  della  revocazione,  evocabile   nelle   sole   ipotesi
tassativamente regolate, concernenti in via  esclusiva  le  sentenze,
renderebbe impossibile  l'estensione  della  relativa  disciplina  ad
altre  tipologie  di  provvedimenti  definitori.  E  cio'  nonostante
l'evoluzione normativa abbia progressivamente ridotto la  centralita'
della sentenza  nel  novero  dei  provvedimenti  che  definiscono  il
giudizio,  non   solo   avvicinandone   la   motivazione   a   quella
dell'ordinanza, come emerge dal confronto  tra  gli  artt.  134  cod.
proc. civ. e 118 disp. att. cod. proc. civ., ma anche  disponendo  la
trasformazione di alcuni  provvedimenti  definitori  da  sentenza  in
ordinanza, come accade nell'ipotesi di declaratoria di  incompetenza,
nonche' attraverso l'introduzione  della  figura  dell'ordinanza  che
definisce il procedimento  sommario  di  cognizione,  che  -  secondo
alcuni  progetti  legislativi  pendenti  di  riforma  del  codice  di
procedura civile - potrebbe divenire addirittura il  principale  rito
delle controversie civili. 
    Di qui, secondo il rimettente, la  ingiustificata  disparita'  di
trattamento, quanto all'impugnabilita' dell'errore revocatorio, tra i
destinatari di  provvedimenti  definitori  suscettibili  di  produrre
efficacia di  giudicato,  e  tanto  in  dipendenza  della  forma  del
provvedimento adottato: il provvedimento  definitorio  che  abbia  la
forma di sentenza sarebbe  impugnabile  per  revocazione,  mentre  il
medesimo mezzo  sarebbe  precluso  per  il  provvedimento  ugualmente
definitorio, che abbia pero' la forma di ordinanza. 
    In secondo luogo - espone il giudice a quo - sarebbe  compromesso
il diritto di agire in giudizio della parte che  intenda  far  valere
l'errore di fatto nella percezione  dell'esistenza  di  un  documento
versato in atti, con la irragionevole negazione di ogni  possibilita'
di accesso alla tutela giurisdizionale in relazione  alla  forma  del
provvedimento adottato. 
    Il Tribunale rimettente richiama, poi, allo scopo di  corroborare
la valutazione sulla  non  manifesta  infondatezza  delle  questioni,
alcune   pronunce   di   questa   Corte,   che    hanno    dichiarato
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 395, numero 4), cod.  proc.
civ., nella parte in cui impediva di avvalersi della revocazione  per
errore di fatto con riferimento ad altre tipologie  di  provvedimenti
definitori (sentenze n. 36 del 1991, n. 558 del  1989  e  n.  17  del
1986). Nondimeno rimarca che si tratta di  decisioni  argomentate  da
esigenze del tutto peculiari, riguardanti fattispecie eterogenee  non
assimilabili al caso di specie, se non per la natura definitoria  del
provvedimento, da cui non potrebbe comunque  desumersi  un  principio
immanente di equiparazione delle ordinanze alle  sentenze  che  possa
autorizzare  un'interpretazione  costituzionalmente   orientata   del
combinato disposto censurato. Ne' d'altronde  sarebbe  consentito  al
giudice   comune   giungere,   «attraverso    un'ardita    operazione
ermeneutica», al superamento della tassativa previsione normativa che
riserva il rimedio impugnatorio della  revocazione  ai  provvedimenti
definitori assunti in forma di sentenza, alla  stregua  della  natura
eccezionale del rimedio della revocazione. 
    2.- Nel giudizio innanzi a questa Corte non si sono costituite le
parti del giudizio a quo e non ha spiegato intervento  il  Presidente
del Consiglio dei ministri. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.-  Il  Tribunale  ordinario  di  Cosenza   ha   sollevato,   in
riferimento agli artt.  3  e  24  della  Costituzione,  questioni  di
legittimita' costituzionale del combinato disposto degli  artt.  395,
numero  4),  del  codice  di  procedura  civile  e  14  del   decreto
legislativo 1° settembre 2011, n. 150 (Disposizioni complementari  al
codice di procedura civile in materia di riduzione e  semplificazione
dei procedimenti civili di  cognizione,  ai  sensi  dell'articolo  54
della legge 18 giugno 2009, n. 69), «nella parte in cui non  consente
di assoggettare al rimedio impugnatorio di cui all'art. 395 numero  4
cpc l'ordinanza, emessa ai sensi dell'art. 14 d.lvo 1° settembre 2011
n 150, viziata  da  errore  di  fatto  consistito  nel  ritenere  non
prodotto in giudizio un documento decisivo». 
    Il  giudice  rimettente  -  muovendo  dall'assunto  secondo   cui
l'ordinanza collegiale conclusiva del  procedimento  di  liquidazione
dei compensi del difensore, sebbene abbia contenuto decisorio  e  sia
inappellabile, non sarebbe suscettibile di revocazione per errore  di
fatto, in ragione della forma del provvedimento  che  definisce  tale
procedimento  -  dubita  della  legittimita'   costituzionale   delle
previsioni censurate anzitutto in riferimento all'art. 3  Cost.,  per
l'irragionevole  esclusione   del   rimedio   impugnatorio   che   si
determinerebbe a fronte della  possibilita'  di  esperire  lo  stesso
rimedio per le sentenze inappellabili pronunciate in unico grado o in
grado di appello, cosi' dandosi luogo ad «un'irragionevole disparita'
di trattamento nell'accesso alla tutela giurisdizionale tra  soggetti
che versano nelle medesime condizioni giuridiche». 
    Inoltre, il plesso normativo censurato recherebbe vulnus all'art.
24  Cost.,  in  quanto,  impedendo,  in  relazione  alla  forma   del
provvedimento definitorio adottato (ordinanza),  la  possibilita'  di
avvalersi del mezzo di impugnazione della revocazione,  realizzerebbe
una ingiustificata compromissione del diritto di  agire  in  giudizio
della parte che intenda far valere l'errore di fatto nella percezione
dell'esistenza di un documento versato in atti, cosi'  precludendole,
in modo irragionevole,  ogni  possibilita'  di  accesso  alla  tutela
giurisdizionale. 
    2.-  Sul  piano   della   rilevanza,   dal   tenore   complessivo
dell'ordinanza  di  rimessione  si  evince  che  l'errore  di   fatto
risultante  dai  documenti   prodotti,   rappresentato   dall'essersi
ritenuta non  provata  l'attivita'  difensiva  espletata  e  posta  a
fondamento  della  richiesta  dei  compensi  di  avvocato,   non   ha
costituito un punto controverso sul quale il provvedimento  impugnato
abbia  avuto  modo  di  pronunciarsi.  Risulta,  infatti,  che   tale
provvedimento ha deciso sulla domanda di liquidazione  dei  compensi,
ritenendo non depositata la documentazione attestante  le  incombenze
difensive svolte nelle tre procedure giudiziali  indicate,  a  fronte
del  deposito  sopravvenuto  in  via  telematica  curato  dal   nuovo
difensore del ricorrente, il che sottende che tale aspetto - ossia il
tema della attinenza al giudizio della documentazione prodotta -  non
ha rappresentato un punto che l'ordinanza impugnata abbia avuto  modo
di affrontare e il Collegio di discutere previamente  con  le  parti.
Semplicemente si sarebbe trattato di una svista, perfezionatasi  solo
in sede decisoria, che avrebbe determinato il rigetto della domanda. 
    2.1.- Anche le argomentazioni addotte dal  giudice  a  quo  sulla
ritualita'  della   proposizione   del   mezzo   impugnatorio   della
revocazione, con atto avente la forma  del  ricorso,  anziche'  della
citazione, e sulla conseguente  tempestivita'  del  suo  esperimento,
risultano plausibili. Infatti, il Tribunale di Cosenza ha dato  conto
della circostanza che,  ai  sensi  dell'art.  400  cod.  proc.  civ.,
innanzi al giudice adito con la domanda di revocazione  si  osservano
le norme stabilite per il procedimento instaurato davanti alla stessa
autorita' giudiziaria, in quanto non  derogate  da  quelle  del  capo
dedicato  alla  revocazione.  E  nella  fattispecie,   in   base   al
convincente  avviso  del  rimettente,   essendo   stata   l'ordinanza
impugnata  emessa  a  conclusione  di  un  procedimento  sommario  di
cognizione semplificato, introdotto con ricorso, anche l'impugnazione
per revocazione avrebbe potuto essere introdotta da un atto avente la
stessa  forma,  cosi'  come  la  giurisprudenza  di  legittimita'  ha
specificato per la revocazione avverso i provvedimenti conclusivi  di
procedimenti trattati con il rito del lavoro  (Corte  di  cassazione,
sezione lavoro, sentenza 23 giugno  2016,  n.  13063;  sezione  terza
civile, sentenza 9 giugno  2010,  n.  13834;  sezione  terza  civile,
sentenza 14  aprile  1992,  n.  4537;  sezione  lavoro,  sentenza  24
febbraio 1982, n. 1167). 
    2.2.- Sempre con riguardo alla rilevanza  delle  questioni,  sono
supportate da adeguato  riscontro  giurisprudenziale  le  conclusioni
espresse dal rimettente in ordine  all'inammissibilita'  del  ricorso
per cassazione avverso l'ordinanza  conclusiva  del  procedimento  di
liquidazione, al fine di far valere l'errore di percezione  su  fatto
non controverso, e segnatamente l'errore del  giudice  di  merito  in
relazione alla mancata o inesatta percezione di  documenti  acquisiti
agli atti del processo e menzionati dalle parti (Corte di cassazione,
sezione tributaria,  sentenza  26  gennaio  2021,  n.  1562;  sezione
lavoro, sentenza 3  novembre  2020,  n.  24395;  sezione  tributaria,
sentenza 2 ottobre 2019, n. 24528; sezione seconda  civile,  sentenza
11 giugno 2018, n. 15043; sezione lavoro, sentenza 28 settembre 2016,
n. 19174; sezione lavoro, sentenza 9 febbraio 2016, 
    n. 2529; sezione tributaria, sentenza 9 ottobre 2015,  n.  20240;
sezione  terza  civile,  sentenza  19  febbraio   2009,   n.   4056).
Conclusione che  suffraga  ulteriormente  la  ponderazione  circa  la
rilevanza delle questioni, non potendo  il  vizio  denunciato  essere
fatto valere se non attraverso lo strumento della revocazione. 
    2.3.-  Anche  in  ordine  all'impossibilita'  di   pervenire   ad
un'interpretazione adeguatrice, volta a  valorizzare  il  significato
sostanziale  del  termine  "sentenza",  inteso   come   provvedimento
decisorio, anche qualora esso abbia la veste formale di ordinanza, il
Tribunale ha motivato plausibilmente, evidenziando  che,  poiche'  la
norma censurata riserva il rimedio impugnatorio della revocazione  ai
provvedimenti definitori assunti in forma di sentenza,  non  potrebbe
effettuarsi una lettura  estensiva  della  stessa  in  ragione  della
natura eccezionale del rimedio  della  revocazione.  E  cio'  sarebbe
corroborato dalle pronunce di accoglimento di questa Corte, sempre in
merito all'art.  395  cod.  proc.  civ.,  con  riferimento  ad  altre
tipologie di ordinanze che definiscono il giudizio rispetto a  quella
evocata nella fattispecie. Sicche' il tema della  condivisibilita'  o
meno di tale opzione ermeneutica attiene al merito. Questa  Corte  ha
ripetutamente affermato, al  riguardo,  che  e'  sufficiente  che  il
giudice rimettente abbia plausibilmente escluso  la  possibilita'  di
una interpretazione adeguatrice, anche  sol  perche'  «improbabile  o
difficile», perche' la questione debba essere scrutinata  nel  merito
(ex plurimis, sentenze n. 237 e n. 168 del 2020 e n. 42 del 2017). 
    2.4.-  Il  giudice  rimettente  ha  dato  altresi'  conto   della
pertinenza della documentazione  depositata  e  non  considerata,  la
quale, riguardando gli atti difensivi redatti dal ricorrente, sarebbe
potenzialmente in grado di consentire l'accoglimento della  richiesta
revocazione. 
    3.- Nel merito, le questioni  sollevate  non  sono  fondate,  nei
sensi di seguito precisati. 
    3.1.- Nel disegno del codice di procedura civile  la  revocazione
si configura come rimedio concepito per contrastare  una  serie,  pur
circoscritta, di vizi che, per la loro estrema gravita', sono assunti
come indici rivelatori della probabile ingiustizia  della  decisione,
giustificando la rimozione della sentenza  e  la  restituzione  delle
parti nello stato anteriore alla sua pronuncia. 
    Con specifico riferimento  all'ipotesi  prevista  dall'art.  395,
numero 4), cod. proc. civ., la  ratio  dell'impugnazione  revocatoria
per errore di fatto va  identificata  nell'esigenza  di  riaprire  il
processo  in  ragione  di  una   falsa   percezione   della   realta'
processuale,  obiettivamente  e  immediatamente  rilevabile,  che  ha
indotto il giudice  ad  affermare  o  soltanto  a  supporre,  purche'
attraverso un'enunciazione espressa nella motivazione, l'esistenza di
un  fatto  decisivo  incontestabilmente  escluso  dagli  atti  ovvero
l'inesistenza di un fatto, parimenti decisivo, che, sempre ex  actis,
risulti, invece, positivamente accertato. 
    La nozione di errore di fatto va,  dunque,  circoscritta  -  come
affermato da questa Corte, in coerenza con la  ricostruzione  innanzi
richiamata - all'«errore [...]  meramente  percettivo  (svista,  puro
equivoco) e che in  nessun  modo  coinvolga  l'attivita'  valutativa»
dell'organo giudicante (sentenza n. 36 del 1991). 
    3.2.-  La  ratio   dell'impugnazione   revocatoria   per   errore
percettivo riposa  sull'assunto  che  l'accertamento  tendenzialmente
attendibile e razionalmente controllabile  della  verita'  dei  fatti
identifichi una delle condizioni indefettibili  della  giustizia  del
provvedimento giurisdizionale. 
    E poiche' l'attendibilita' dell'enunciazione giudiziale dei fatti
dedotti  a  fondamento  della  domanda  di   tutela   giurisdizionale
costituisce estrinsecazione del principio costituzionale  del  giusto
processo, la revocazione assurge a strumento di tutela primario tutte
le volte che dalla statuizione deviata dall'errore  di  fatto,  cosi'
come  definito  dalla  norma  censurata,  derivino   per   la   parte
conseguenze pregiudizievoli sul piano dell'effettivo  soddisfacimento
di specifici bisogni di tutela. 
    Un'esigenza  siffatta  sorge  di  fronte  ad  ogni  provvedimento
giurisdizionale che, a prescindere dalla forma in cui si estrinsechi,
abbia ad oggetto una regolamentazione, con attitudine  al  giudicato,
di  interessi  protetti  dall'ordinamento  giuridico,  il  cui   iter
decisionale sviato  dall'errore  di  percezione  non  sia  rivedibile
attraverso  un  rimedio  a  critica  libera   come   l'appello,   che
costituisce   il   mezzo   ordinario   e   illimitato   di   reazione
all'ingiustizia della decisione e,  in  quanto  tale,  e'  capace  di
assorbire anche l'errore revocatorio. 
    4.- Nel  novero  dei  provvedimenti  giurisdizionali  dotati  dei
suddetti requisiti contenutistici ed  effettuali  rientra  senz'altro
l'ordinanza conclusiva del procedimento ex art. 14 del d.lgs. n.  150
del  2011,  soggetta  alle  disposizioni  del  processo  sommario  di
cognizione introdotto dall'art. 51 della legge 18 giugno 2009, n.  69
(Disposizioni per  lo  sviluppo  economico,  la  semplificazione,  la
competitivita' nonche'  in  materia  di  processo  civile),  mediante
l'inserimento del Capo III-bis del Titolo primo del Libro quarto  del
codice di procedura civile, contenente gli artt. 702-bis,  702-ter  e
702-quater. 
    Si  tratta  di  un  modello  procedimentale   che,   a   dispetto
dell'impropria denominazione in termini  di  rito  "sommario"  -  che
stride con la  pienezza  della  cognizione  che  lo  contraddistingue
(sentenza n. 10 del 2013)  -  e  dell'incongrua  collocazione  tra  i
procedimenti speciali, e' sovrapponibile, sotto il profilo funzionale
ed effettuale, al giudizio ordinario di cognizione. 
    Invero, come di  recente  sottolineato  da  questa  Corte,  dalla
identificazione come sommario  del  procedimento  disciplinato  dagli
artt. 702-bis e  seguenti  cod.  proc.  civ.,  non  deve  trarsi  una
indicazione, come pure potrebbe apparire, circa la sommarieta'  della
cognizione, che resta piena, dovendo  riferirsi  tale  denominazione,
piuttosto, alla destrutturazione formale del procedimento. Si tratta,
dunque, di un rito speciale a cognizione piena, che si  conclude  con
un provvedimento che, sebbene rivesta  la  forma  dell'ordinanza,  e'
idoneo al giudicato sostanziale (sentenza n. 253 del 2020). 
    Nelle controversie in materia di liquidazione  degli  onorari  di
avvocato   per   prestazioni   giudiziali    in    materia    civile,
originariamente disciplinate dall'art. 28 della legge 13 giugno 1942,
n.  794  (Onorari  di  avvocato  e  di  procuratore  per  prestazioni
giudiziali in materia civile), il  rito  sommario  di  cognizione  e'
previsto come modello necessario, non essendo ammessa la possibilita'
di conversione nel  rito  ordinario  contemplata  dall'art.  702-ter,
terzo comma, cod. proc. civ., a prescindere dal tasso di complessita'
reso evidente dalle particolarita' della fattispecie concreta. 
    Ne deriva che, in conformita' al diritto vivente, e'  esclusa  la
possibilita' di esperire l'azione in questione nelle forme  del  rito
ordinario  di  cognizione  o  in  quelle  del  procedimento  sommario
ordinario disciplinato dal codice di procedura  civile  anche  quando
vengano sollevate contestazioni relative all'esistenza  del  rapporto
o, in genere, all'an debeatur. Soltanto qualora  il  convenuto  ampli
l'oggetto  del  giudizio  con  la   proposizione   di   una   domanda
(riconvenzionale, di compensazione o di  accertamento  pregiudiziale)
non esorbitante dalla competenza del giudice adito ai sensi dell'art.
14 del d.lgs. n. 150 del 2011, la trattazione  di  quest'ultima  deve
avvenire, ove non si presti ad un'istruttoria sommaria, con  il  rito
ordinario (o  eventualmente  speciale)  a  cognizione  piena,  previa
separazione delle domande. Ove, invece,  la  domanda  introdotta  dal
convenuto non rientri nella  competenza  del  giudice  adito,  devono
trovare applicazione gli artt. 34, 35  e  36  cod.  proc.  civ.,  che
eventualmente possono  comportare  lo  spostamento  della  competenza
sulla domanda, ai sensi dell'art. 14 (Corte  di  cassazione,  sezioni
unite civili, sentenza 23 febbraio 2018, n. 4485). 
    5.- Per quanto rilevato in ordine alla  natura  del  procedimento
sommario  di  cognizione  ed  alla  sua  necessita'   nella   ipotesi
contemplata dall'art. 14 del d.lgs. n. 150 del 2011, l'ordinanza  con
la quale si conclude quest'ultimo procedimento, nonostante  la  veste
formale diversa dalla sentenza,  e'  un  provvedimento  decisorio  su
diritti, con attitudine al giudicato sostanziale (ancora sentenza  n.
253  del  2020).  Un'interpretazione  che,   considerando   solo   la
formulazione testuale dell'art. 395 cod. proc. civ. - la quale limita
alle sentenze  i  provvedimenti  impugnabili  per  revocazione  -  ne
escludesse    l'assoggettabilita'    a    tale    rimedio,    sarebbe
irragionevolmente lesiva del diritto alla tutela  giurisdizionale  ex
artt. 3 e 24 Cost. 
    5.1.- In tale prospettiva, questa Corte, con la sentenza  n.  558
del  1989,  ha  gia'   dichiarato   l'illegittimita'   costituzionale
dell'art. 395, numero 4), cod. proc.  civ.,  per  contrasto  con  gli
artt. 3 e 24 Cost., nella parte in cui non prevede la revocazione per
errore di fatto avverso i provvedimenti di  convalida  di  sfratto  o
licenza  per  finita  locazione  emessi  in  assenza  o  per  mancata
opposizione dell'intimato, sul presupposto che, attesa l'efficacia di
cosa giudicata sostanziale di tali ordinanze, e' irrazionale e lesivo
dei diritti  delle  parti  escludere  la  possibilita'  di  emendarle
dall'errore determinato  dalla  mancata  o  inesatta  percezione  dei
documenti versati in causa. Sempre in forza di  detta  pronuncia,  in
conseguenza  della   precedente   dichiarazione   di   illegittimita'
costituzionale relativa al caso, del tutto assimilabile, di convalida
di sfratto emessa in assenza o per mancata opposizione dell'intimato,
e'  stato  dichiarato  costituzionalmente  illegittimo  -  ai   sensi
dell'art.  27  della  legge  11  marzo  1953,  n.  87  (Norme   sulla
costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale) - l'art.
395, numero 4), cod. proc. civ., laddove non prevede  la  revocazione
per errore di fatto per i provvedimenti di convalida di  sfratto  per
morosita' resi sui medesimi presupposti. 
    In seguito, l'art. 395, numero  4),  cod.  proc.  civ.  e'  stato
dichiarato costituzionalmente illegittimo  nella  parte  in  cui  non
prevede la revocazione delle sentenze della Corte di  cassazione  per
la svista nel controllo degli atti del processo a quo (sentenza n. 17
del 1986) e di quelli propri del giudizio di  legittimita'  (sentenza
n. 36 del 1991). In tali pronunce questa Corte ha evidenziato che  il
diritto di difesa in ogni stato e grado del  procedimento,  garantito
dall'art. 24, secondo comma, Cost., sarebbe gravemente  vulnerato  se
l'errore di fatto, cosi' come descritto  nell'art.  395,  numero  4),
cod. proc. civ. non fosse suscettibile di emenda sol per essere stato
perpetrato dal giudice cui spetta il potere-dovere di nomofilachia. 
    In ultimo, alla stregua della ratio decidendi della  sentenza  n.
558 del 1989,  questa  Corte  ha  riconosciuto  che  la  formulazione
letterale dell'art. 395 cod. proc. civ.  e'  lesiva  del  diritto  di
agire e difendersi in giudizio  sancito  dall'art.  24  Cost.,  anche
laddove non prevede la revocazione dei provvedimenti di convalida  di
sfratto per morosita' emessi in assenza o  per  mancata  comparizione
dell'intimato che siano effetto del dolo di una delle parti in  danno
dell'altra, consistito nella  falsa  attestazione  della  persistenza
della morosita'. Al riguardo, ha evidenziato che, dato  il  contenuto
decisorio del provvedimento di convalida, la sua efficacia  esecutiva
e l'attitudine  a  produrre  effetto  di  cosa  giudicata,  non  puo'
ritenersi consentito - alla luce della  intervenuta  modifica,  sotto
l'aspetto processuale, oltre che sostanziale, del rapporto locatizio,
rispetto a quello esistente all'epoca in cui fu dettato  lo  speciale
procedimento per convalida e nonostante l'esigenza di  celerita'  che
e' alla base dei procedimenti speciali - che nel caso, come quello in
esame, in cui la mancata comparizione dell'intimato  potrebbe  essere
determinata proprio dal venir  meno  della  morosita'  che  la  parte
attrice ha poi falsamente attestato come persistente,  resti  escluso
il rimedio  straordinario,  ed  estremamente  circoscritto  nei  suoi
contenuti, della revocazione (sentenza n. 51 del 1995). 
    6.- Nel  confermare  le  direttrici  ermeneutiche  tracciate  dai
richiamati  precedenti,  la  Corte  reputa  non   piu'   attuale   la
conclusione per la quale la formulazione dell'art.  395,  numero  4),
cod. proc. civ., che limita alle sentenze i provvedimenti impugnabili
per revocazione, non consenta un'interpretazione adeguatrice atta  ad
estenderne la portata alle  decisioni  rese  in  forma  di  ordinanza
(sentenza n. 192 del 1995). 
    Il mutato assetto ordinamentale, delineatosi in conseguenza delle
riforme del processo civile dell'ultimo ventennio  e  dell'evoluzione
del modo in cui la giurisprudenza ricostruisce il rapporto tra  forma
e funzione dei provvedimenti giurisdizionali, consente,  infatti,  di
offrire, attraverso una lettura sistematica dell'art. 395 cod.  proc.
civ., una interpretazione costituzionalmente orientata che, adeguando
tale disposizione agli artt. 3 e 24 Cost.,  garantisca  l'accesso  al
rimedio revocatorio per emendare dall'errore percettivo  determinante
ai fini della decisione ogni provvedimento giurisdizionale  che,  pur
non assumendo la forma  della  sentenza,  sia  definitivo  e  decida,
all'esito di un procedimento di natura contenziosa  ed  a  cognizione
esauriente, su diritti o status con attitudine al giudicato. 
    6.1.-  Tale  interpretazione  postula  l'individuazione  di   una
nozione sostanziale di atto  giurisdizionale  decisorio  nella  quale
possano  essere  ricompresi  tutti  i  provvedimenti  che,  pur   non
estrinsecandosi  nella  forma   della   sentenza,   siano   ad   essa
equiparabili sotto il profilo contenutistico ed effettuale. 
    6.1.1.- Al  riguardo,  occorre,  anzitutto,  considerare  che  le
diverse riforme  cui  negli  ultimi  anni  e'  stato  interessato  il
processo civile hanno eroso il primato che  nell'originario  impianto
del codice di rito era riservato al giudizio ordinario di  cognizione
e, quindi, alla  sentenza  come  provvedimento  conclusivo  di  esso,
denotando  una  sempre  piu'  marcata  preferenza  per   un   modello
processuale  alternativo,  ancorche'  funzionalmente  omogeneo   alla
cognizione ordinaria, connotato da  elasticita',  destrutturazione  e
semplificazione, anche e soprattutto con riferimento allo snodo della
decisione e alla forma del provvedimento conclusivo. 
    Momento fondamentale di tale evoluzione e' costituito dalla legge
n. 69 del 2009, in una prospettiva di economia  processuale  coerente
con il principio di ragionevole durata  del  processo,  di  rilevanza
costituzionale ex art. 111 Cost. La scelta  del  legislatore  si  e',
infatti, orientata sullo  strumento  dell'ordinanza  decisoria,  piu'
flessibile rispetto alla sentenza e  con  motivazione  piu'  agile  e
succinta, come puo'  desumersi  dall'introduzione  -  quale  generale
alternativa per i giudizi assoggettati alla cognizione del  tribunale
in composizione monocratica (sentenza n. 253 del 2020, citata) -  del
procedimento  sommario  di  cognizione,  destinato   a   concludersi,
appunto, con un'ordinanza avente contenuto  decisorio  ed  idonea  al
giudicato, formale e sostanziale. 
    In attuazione della delega, conferita al Governo  con  l'art.  54
della legge n. 69 del 2009, a prevedere  una  nuova  regolamentazione
dei riti attraverso cui  instaurare  le  cause  civili,  seguendo  il
criterio direttivo della riduzione e semplificazione dei procedimenti
civili di cognizione,  il  d.lgs.  n.  150  del  2011  ha  ricondotto
numerosi riti speciali ad un  modello  di  procedimento  sommario  di
cognizione caratterizzato dalla obbligatorieta' e non convertibilita'
in rito ordinario. Inoltre, con l'art. 14, comma 1, del decreto-legge
12    settembre    2014,    n.     132     (Misure     urgenti     di
degiurisdizionalizzazione ed  altri  interventi  per  la  definizione
dell'arretrato  in  materia  di  processo  civile),  convertito,  con
modificazioni, in legge 10 novembre 2014, n. 162, e'  stato  inserito
nel codice di procedura civile l'art. 183-bis,  che  ha  previsto  la
facolta' del giudice di disporre, per le  cause  meno  complesse,  il
passaggio procedimentale dal rito ordinario al rito sommario, al fine
di  assicurare  una  piena  comunicabilita'  tra  i  due  modelli  di
trattazione delle cause (ancora sentenza n. 253 del 2020). 
    Successivamente,  il  ricorso   al   procedimento   sommario   di
cognizione e' stato valorizzato dall'art. 1, comma 777, lettere a)  e
b), della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante  «Disposizioni  per
la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello  Stato  (legge
di stabilita' 2016)», che ha modificato gli artt. 1-bis, 1-ter  e  2,
comma 1, della legge  24  marzo  2001,  n.  89  (Previsione  di  equa
riparazione  in  caso  di  violazione  del  termine  ragionevole  del
processo  e  modifica  dell'articolo  375  del  codice  di  procedura
civile), introducendo - per cio' che interessa in  questa  sede  -  i
rimedi  preventivi,  il  cui   esperimento   rappresenta   condizione
necessaria per poter ottenere l'indennizzo in caso di violazione  del
termine di ragionevole durata del processo.  Tra  di  essi  nell'art.
1-ter sono indicati: a) l'introduzione del giudizio nelle  forme  del
procedimento  sommario  di  cognizione;  b)  la  formulazione   della
richiesta di passaggio dal rito ordinario al rito  sommario  a  norma
dell'art. 183-bis cod. proc. civ.. Tali rimedi sono stati di  recente
scrutinati con esito positivo da questa Corte, in quanto con essi  e'
richiesto alla parte del processo in corso non un adempimento formale
per poter poi proporre la domanda indennitaria (sentenza  n.  34  del
2019),  bensi'  un  comportamento   collaborativo   con   l'autorita'
giudiziaria, alla quale  manifestare  la  propria  disponibilita'  al
passaggio al rito semplificato o al modello decisorio concentrato, in
tempo potenzialmente utile ad evitare il superamento del  termine  di
ragionevole durata del processo stesso (sentenza n. 121 del 2020). 
    Alle ricordate riforme di carattere  generale  si  sono  aggiunti
interventi  normativi  piu'  mirati,  che   hanno   esteso   l'ambito
applicativo del procedimento sommario ad alcuni specifici settori del
contenzioso  civile,  per  i  quali   la   trattazione   semplificata
costituisce la soluzione  ordinaria:  a)  l'art.  76,  comma  1,  del
decreto-legge 21 giugno 2013, n.  69  (Disposizioni  urgenti  per  il
rilancio dell'economia), convertito, con modificazioni,  in  legge  9
agosto 2013, n. 98, ha introdotto l'art.  791-bis  cod.  proc.  civ.,
regolando un rito  sommario  obbligatorio  non  convertibile  per  le
opposizioni nei giudizi di divisione a domanda congiunta; b) l'art. 8
della legge 8 marzo 2017, n. 24 (Disposizioni in materia di sicurezza
delle  cure  e  della  persona  assistita,  nonche'  in  materia   di
responsabilita'  professionale   degli   esercenti   le   professioni
sanitarie), ha previsto un rito sommario  obbligatorio,  convertibile
in rito ordinario, per le controversie  in  tema  di  responsabilita'
medica; c) l'art. 1, comma 1, della  legge  12  aprile  2019,  n.  31
(Disposizioni in materia di azione di classe), con  riferimento  alle
azioni di classe, ha disciplinato -  con  l'introdotto  art.  840-ter
cod. proc. civ. - un rito sommario obbligatorio non convertibile, che
si conclude con sentenza. 
    6.1.2.- Per effetto delle modifiche al codice di procedura civile
introdotte dalla  legge  n.  69  del  2009,  anche  le  questioni  di
competenza - come quelle di litispendenza e continenza - sono  decise
con ordinanza, come puo' desumersi dall'attuale dettato  degli  artt.
39, 40, 42, 43, 50 e 279, primo comma, cod. proc. civ. 
    6.1.3.- Va, infine, evidenziato che, con riferimento al  giudizio
di cassazione, e' direttamente  l'art.  391-bis,  primo  comma,  cod.
proc. civ. - introdotto dall'art. 1-bis, comma 1, lettera l),  numero
1), del decreto-legge 31 agosto 2016, n. 168 (Misure urgenti  per  la
definizione del  contenzioso  presso  la  Corte  di  cassazione,  per
l'efficienza  degli  uffici  giudiziari,  nonche'  per  la  giustizia
amministrativa),  convertito,  con  modificazioni,  nella  legge   25
ottobre 2016,  n.  197  -  a  prevedere  che,  «[s]e  la  sentenza  o
l'ordinanza pronunciata dalla  Corte  di  cassazione  e'  affetta  da
errore materiale o di calcolo ai sensi dell'articolo 287,  ovvero  da
errore di fatto ai sensi  dell'articolo  395,  numero  4),  la  parte
interessata puo' chiederne la correzione o la revocazione con ricorso
ai sensi degli articoli 365 e seguenti». Cio' in quanto nel  giudizio
dinanzi  alla  Corte  di  legittimita',  a  seguito  delle  modifiche
introdotte dalla stessa  legge  n.  197  del  2016,  la  forma  della
sentenza  e'  riservata,  in  via  di  eccezione  rispetto  a  quella
dell'ordinanza, alla decisione dei ricorsi che, sollevando  questioni
di  rilevanza  nomofilattica,  sono  ormai  gli  unici  destinati  al
procedimento "solenne" con trattazione in pubblica udienza. 
    6.2.- Questo progressivo ampliamento  del  ricorso  all'ordinanza
decisoria,  che  oggi  costituisce  una  delle  forme  di   possibile
definizione delle controversie civili, impone di  adeguare  la  norma
espressa dall'art. 395 cod. proc. civ. - formulata in consonanza  con
un sistema imperniato sull'unico tipo  normativo  della  sentenza  in
senso formale - al mutato contesto legislativo, estendendone l'ambito
applicativo nella prospettiva della garanzia del diritto di difesa  e
dell'effettivita' della tutela giurisdizionale ai sensi dell'art.  24
Cost. 
    7.- Nella direzione di siffatta interpretazione spinge, altresi',
la elaborazione, da parte della giurisprudenza di legittimita', della
nozione di sentenza "in senso sostanziale" ricorribile per cassazione
ai sensi dell'art. 111, settimo comma, Cost. 
    Tale categoria concettuale risale  alla  sentenza  delle  sezioni
unite civili della Corte di  cassazione  30  luglio  1953,  n.  2593,
secondo la quale l'impugnazione ex art. 111, settimo comma, Cost.  e'
esperibile avverso ogni ordinanza o decreto  a  contenuto  decisorio,
incidente su situazioni giuridiche  soggettive,  che  sia  capace  di
arrecare  alla  parte  un  pregiudizio  non   altrimenti   riparabile
nell'ulteriore corso del procedimento. 
    Sulla scorta di tale decisione e' stato progressivamente ampliato
il novero dei  provvedimenti  impugnabili  mediante  il  rimedio  del
ricorso straordinario per cassazione,  includendovi  ogni  pronuncia,
diversa dalla sentenza, che, pur statuendo su diritti con l'efficacia
del giudicato, non sia, per un'anomalia del sistema, che e' eliminata
proprio dalla norma costituzionale reputata  di  immediata  efficacia
precettiva,  gia'  assoggettata  direttamente  o  indirettamente   al
ricorso per cassazione,  il  quale  rappresenta  l'estremo  e  tipico
rimedio di legalita' che conclude l'iter di formazione del giudicato. 
    7.1.- In linea di continuita' con siffatta  ricostruzione  si  e'
posta,  poi,  l'enunciazione  nomofilattica   del   principio   della
prevalenza della sostanza sulla forma (Corte di  cassazione,  sezioni
unite civili, sentenza 24 febbraio 2005, n. 3816), secondo  il  quale
hanno  natura  di  sentenze,  soggette   agli   ordinari   mezzi   di
impugnazione (art. 323 cod. proc. civ.) e suscettibili, in  mancanza,
di passare in giudicato, i provvedimenti che, ai sensi dell'art.  279
cod. proc. civ., contengono una statuizione di natura decisoria  (con
pronunce, quindi, sulla giurisdizione, sulla  competenza,  ovvero  su
questioni pregiudiziali del processo o  preliminari  di  merito)  che
definiscano o meno la controversia sotto  il  profilo  sostanziale  e
processuale.  Non  sono,  invece,  qualificabili  come   sentenze   i
provvedimenti adottati in ordine all'ulteriore  corso  del  giudizio,
anche se con essi siano state decise questioni di merito o  in  rito,
essendo  tali  questioni  soggette  al  successivo  riesame  in  sede
decisoria (in senso conforme, tra  le  altre,  Corte  di  cassazione,
sezioni unite civili, sentenze  11  dicembre  2007,  n.  25837  e  24
ottobre 2005, n. 20470; Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenza
7 aprile 2006, n. 8174). 
    7.2.- I caratteri che connotano la sentenza in senso  sostanziale
rilevante ai fini del  ricorso  straordinario  per  cassazione  sono,
dunque, la decisorieta' e la definitivita'. 
    La prima indica la idoneita' del  provvedimento  a  dirimere  una
lite tra parti contrapposte decidendo su diritti o status.  Pertanto,
la sentenza in  senso  sostanziale  nella  elaborazione  del  diritto
vivente si identifica con l'atto con il quale il giudice, al fine  di
dirimere una controversia, procede all'accertamento  del  regolamento
giuridico di un determinato rapporto e,  di  conseguenza,  afferma  o
nega l'esistenza di una  concreta  volonta'  di  legge  che  assicuri
all'una o all'altra delle  parti  il  bene  oggetto  di  contesa.  La
decisorieta' deve, invece, essere esclusa nel caso  in  cui  non  sia
ravvisabile una  contrapposizione  di  interessi  da  comporre  e  il
provvedimento conclusivo non  sia,  pertanto,  idoneo  ad  acquistare
autorita' di cosa  giudicata  (Corte  di  cassazione,  sezioni  unite
civili, sentenze 26 settembre 2019, n. 24068 e  14  aprile  1965,  n.
684; sezione sesta, sottosezione prima civile, ordinanza  12  ottobre
2020, n. 21963; sezione prima, ordinanze 10 settembre 2020, n.  18801
e 7 settembre 2020, n.  18611;  sezione  terza  civile,  sentenze  26
settembre 2019, n. 23976 e 25 marzo 2016, n. 5951). 
    La definitivita' viene, invece, intesa come insuscettibilita'  di
ulteriore riesame attraverso un mezzo di impugnazione e, quindi, come
attitudine  al  giudicato  del  provvedimento   decisorio,   la   cui
incontrovertibilita'     scaturisce      dall'irrevocabilita'      ed
immodificabilita' della decisione (ex multis,  Corte  di  cassazione,
sezione sesta, sottosezione seconda civile, ordinanza 1° agosto 2018,
n. 20396; sezione terza civile, sentenze 15 maggio 2012, n. 7525 e 29
dicembre 2011, n. 29742). 
    8.-  Gli  approdi  dell'itinerario  giurisprudenziale   sin   qui
sintetizzato, considerati unitamente alla tendenza del legislatore  a
promuovere il ricorso, in alternativa al modello  tradizionale  della
sentenza, alla ordinanza a contenuto decisorio idonea a conseguire la
stabilita' del giudicato, comportano un ridimensionamento del  rigido
rapporto  di  congruenza  tra  forma,  contenuto   e   funzione   del
provvedimento giurisdizionale sul quale, nel primigenio  disegno  del
codice di procedura civile, riposava  la  distinzione  tra  sentenza,
ordinanza e decreto tracciata dall'art. 131 cod. proc. civ. 
    La fungibilita' del "contenitore formale" rispetto  al  contenuto
decisorio della pronuncia giurisdizionale impone di riconsiderare  il
primato assegnato dal codice di rito alla sentenza. 
    Deve, dunque, concludersi che il rimedio ex art. 395  cod.  proc.
civ.  e'  esperibile  anche  contro  tutti  i  provvedimenti   aventi
carattere  decisorio  con  attitudine  al  giudicato,   nei   termini
chiariti, per i quali non e' previsto un mezzo di impugnazione. 
    9.- Tale ricostruzione, fatta propria da parte della dottrina, e'
stata  operata  altresi'  da  alcune  pronunce  di  legittimita'.  Le
decisioni  piu'  recenti,  invero,  seppure  sporadiche,  superano  i
risalenti precedenti (Corte  di  cassazione,  sezione  terza  civile,
sentenza 20 maggio 1987, n. 4617; sezione terza  civile,  sentenza  9
febbraio 1982, n. 769; sezione terza civile, sentenza 25 maggio 1965,
n. 1010) che avevano  propiziato  l'intervento  di  questa  Corte,  e
aderiscono all'impostazione secondo cui l'ordinanza che definisce  il
giudizio, qualora assuma il carattere sostanziale di  sentenza,  puo'
essere impugnata per revocazione ai sensi dell'art. 395,  numero  4),
cod. proc. civ. nei termini e alle condizioni ivi previsti. 
    Con una prima pronuncia, la Corte  di  legittimita'  ha  ritenuto
ammissibile la domanda di revocazione per errore  di  fatto  proposta
avverso il decreto che ha  respinto  il  reclamo  nei  confronti  del
provvedimento di inammissibilita' della domanda di  risarcimento  dei
danni per responsabilita' civile dei magistrati, pronunciato ai sensi
dell'art. 5 della legge 13 aprile 1988, n. 117, recante «Risarcimento
dei danni  cagionati  nell'esercizio  delle  funzioni  giudiziarie  e
responsabilita' civile dei magistrati» (Corte di cassazione,  sezione
prima civile, sentenza 17 settembre 1999, n. 10078). 
    Negli stessi termini altra pronuncia della Corte  regolatrice  ha
ritenuto ammissibile il rimedio della revocazione per errore di fatto
esperito avverso  un'ordinanza  di  inammissibilita'  per  tardivita'
dell'opposizione recuperatoria  a  cartella  esattoriale,  emessa  ai
sensi dell'abrogato art. 23, primo comma,  della  legge  24  novembre
1981, n.  689,  recante  «Modifiche  al  sistema  penale»  (Corte  di
cassazione, sezione seconda civile, ordinanza 14  febbraio  2011,  n.
3628). 
    Nei medesimi sensi si e' espressa altra pronuncia della Corte  di
legittimita' con riguardo alla domanda di revocazione per  errore  di
fatto spiegata contro l'ordinanza  di  inammissibilita'  dell'appello
resa ai sensi dell'art. 348-bis cod. proc. civ., negando che con tale
mezzo  siano  impugnabili  esclusivamente  le  sentenze   (Corte   di
cassazione, sezione  terza  civile,  ordinanza  13  giugno  2017,  n.
14622). 
    9.1.- Le richiamate pronunce di legittimita' non sono,  tuttavia,
idonee a rappresentare un consolidato indirizzo giurisprudenziale, di
cui si possa imputare l'omessa considerazione al giudice  rimettente,
difettando dei requisiti che caratterizzano  il  diritto  vivente.  E
cio'  non  solo  per  il  descritto  rapporto   diacronico   tra   le
contrapposte enunciazioni, ma anche perche' solo la  prima  pronuncia
evocata affronta in  modo  espresso  ed  organico  il  tema  relativo
all'esegesi dell'art. 395 cod. proc. civ., mentre le altre  decisioni
citate pervengono al medesimo approdo ermeneutico in  via  implicita,
senza soffermarsi sul tenore precettivo della norma  censurata  nella
fattispecie, e  comunque  con  riferimento  a  specifici  modelli  di
provvedimento decisorio assunto in forma diversa dalla sentenza. 
    10.- Alla stregua delle esposte considerazioni, la norma espressa
dalle  disposizioni  denunciate  deve  essere  interpretata  in  modo
costituzionalmente  adeguato  e  coerente  agli   evocati   parametri
costituzionali, nel senso, appunto, che la revocazione per errore  di
fatto  puo'  essere  esperita  contro   ogni   atto   giurisdizionale
riconducibile  nel  paradigma  del  provvedimento  decisorio  innanzi
delineato. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara non  fondate,  nei  sensi  di  cui  in  motivazione,  le
questioni di legittimita' costituzionale del combinato disposto degli
artt. 395, numero 4), del codice di procedura civile e 14 del decreto
legislativo 1° settembre 2011, n. 150 (Disposizioni complementari  al
codice di procedura civile in materia di riduzione e  semplificazione
dei procedimenti civili di  cognizione,  ai  sensi  dell'articolo  54
della legge 18 giugno 2009, n. 69), sollevate,  in  riferimento  agli
artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di  Cosenza,
con l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 25 marzo 2021. 
 
                                F.to: 
                   Giancarlo CORAGGIO, Presidente 
                Maria Rosaria SAN GIORGIO, Redattore 
             Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria 
 
    Depositata in Cancelleria il 5 maggio 2021. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA