N. 61 ORDINANZA (Atto di promovimento) 9 febbraio 2021

Ordinanza  del  9  febbraio  2021  del  Tribunale  di   Bologna   nel
procedimento penale a carico di A. S.. 
 
Esecuzione penale - Questioni sul titolo esecutivo - Preclusione  per
  il giudice dell'esecuzione di rilevare la nullita'  della  sentenza
  di merito passata in giudicato  derivante  dalla  violazione  della
  competenza funzionale del tribunale per i minorenni. 
- Codice di procedura penale, art. 670. 
(GU n.20 del 19-5-2021 )
 
                        TRIBUNALE DI BOLOGNA 
 
    Nel procedimento in epigrafe il Tribunale Ordinario  di  Bologna,
Seconda Sezione Monocratica, quale giudice dell'esecuzione, ad  esito
dell'udienza del 24 novembre 2020 ha emesso la seguente 
 
                              ordinanza 
 
    1. In data 7 ottobre 2019 la Procura della Repubblica  presso  il
Tribunale di Bologna emetteva nei confronti  di  S.  A.,  nato  a...,
provvedimento di esecuzione di pene concorrenti ex art. 656 c.p.p. n.
773/18 SIEP relativo a diverse sentenze di condanna da cui,  pur  con
diversi alias, egli e' stato attinto nel corso degli anni passati. Il
provvedimento di cumulo determinava una pena residua da  eseguire  di
anni tre, giorni diciannove di reclusione, mesi quattro  di  arresto,
euro 6.976 di multa e  euro  200  di  ammenda  con  espulsione  dello
straniero a pena espiata. 
    Con ulteriore provvedimento ex art. 656 c.p.p. n. 11/20 SIEP,  la
medesima Procura, richiamando il  precedente  ordine  di  esecuzione,
provvedeva   all'unificazione   di   ulteriore   condanna   pervenuta
all'ufficio ed emetteva ordine di carcerazione del S. A. per la  pena
di anni tre, mesi nove, giorni diciannove di reclusione, mesi quattro
di arresto, euro 6.976 di multa e euro 200 di ammenda, con espulsione
dello straniero a pena espiata. 
    Tra le condanne presenti nel casellario giudiziale ed oggetto dei
provvedimenti  di  cumulo   della   Procura,   figura   sentenza   di
applicazione pena ex art. 444 c.p.p. emessa dal Tribunale di  Bologna
in data 10 febbraio 1998 e divenuta irrevocabile in data  12  gennaio
1999, con la quale l'istante e' stato condannato alla  pena  di  anni
due di reclusione e Lire 2.666.000 di multa (pari ad  euro  1.376,87)
in relazione ai reati di cui agli articoli 73, comma 5,  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 309/1990 e 496 c.p. per fatti commessi
in data 20 luglio 1997, con sospensione condizionale della pena. 
    Nel provvedimento n. 11/20 della Procura era  altresi'  richiesta
la revoca della sospensione condizionale in relazione  alla  condanna
in esame, revoca che interveniva in data 9 luglio 2020 con  ordinanza
del Tribunale in composizione Monocratica di Bologna. 
    Dopo esser stato notiziato della emissione del  provvedimento  di
esecuzione delle pene n. 11/20, in data 30  luglio  2020  il  S.  A.,
attualmente ristretto in espiazione pena presso la casa circondariale
di (ove risulta detenuto con l'alias...,  nato  in...  il...)  faceva
pervenire alla Procura della Repubblica una istanza manoscritta nella
quale proponeva incidente di esecuzione, rilevando  che  la  sentenza
emessa dal Tribunale Ordinario di Bologna nei suoi confronti in  data
10 febbraio 1998 e' intervenuta su fatti rispetto ai quali  egli  era
all'epoca della commissione minorenne. Chiedeva in particolare  l'...
il "Rifacimento del processo e lo scalaggio dei due anni  dal  cumulo
n. 773/18 SIEP finche' non avro' un giusto processo dal Tribunale dei
Minori". 
    All'incidente  di  esecuzione,   qualificato   formalmente   come
questione sul titolo esecutivo e richiesta rimessione in  termini  ai
sensi degli articoli 670 comma 1 e comma 3 c.p.p., l'... allegava  il
proprio permesso di soggiorno, rilasciato dalla Questura di Rimini in
data..., nel quale egli risulta identificato come B. S. A., nato a... 
    La richiesta era comunicata dalla Procura  di  Bologna  a  questo
ufficio in data 25 agosto 2020 ed era, dunque, fissata ex.  art.  666
c.p.p. udienza camerale presso questo Tribunale per la  data  del  30
ottobre 2020, per la quale era altresi' disposta l'acquisizione della
sentenza 10 febbraio 1998 e del relativo fascicolo. 
    Per la predetta udienza,  l'...  faceva  pervenire,  nei  termini
previsti dall'art. 666 comma 3 c.p.p., memoria difensiva  redatta  in
carcere nella quale riferiva di esser  stato  arrestato  in  data  20
luglio 1997 quando  egli  era  effettivamente  minorenne.  Affermava,
inoltre, di avere fatto presente la sua condizione ma  di  non  esser
stato creduto e, per questo motivo, aver subito detenzione presso  il
carcere per maggiorenni di Bologna dalla data dell'arresto sino  alla
scarcerazione  (intervenuta  a  seguito   della   concessione   della
sospensione  condizionale).  Nello  scritto  l'A  rappresentava   che
all'epoca  egli  non  aveva  compreso  di  esser  stato   condannato,
ritenendo che lo avessero liberato perche' accortisi dell'errore. 
    All'udienza del 30 ottobre 2020 il Tribunale,  rilevato  che  non
era stata acquisita la sentenza oggetto dell'incidente di esecuzione,
rinviava alla successiva udienza del 24 novembre 2020, rinnovando  il
mandato alla Cancelleria per  l'acquisizione  della  sentenza  e  del
relativo fascicolo. 
    All'udienza del  24  novembre  2020,  acquisita  la  sentenza  in
oggetto ed il fascicolo, le parti concludevano come da verbale ed  il
Tribunale riservava la propria decisione. 
    2. L'incidente di  esecuzione  proposto  dall'A.  pone  a  questo
Tribunale diverse questioni, la cui soluzione non  puo'  che  passare
attraverso una preliminare ricognizione della funzione e, dunque, dei
poteri spettanti al giudice dell'esecuzione. 
    Come e' noto,  l'esecuzione  penale  e'  stata  per  lungo  tempo
considerata materia di secondo piano ed in certa  parte  estranea  al
diritto penale, processuale e sostanziale. 
    Tale impostazione dogmatica  poggiava  sulla  considerazione  per
cui, una volta intervenuto sulla decisione il crisma  del  giudicato,
le vicende dell'esecuzione assumessero le vesti di  meri  "incidenti"
attinenti alla concreta applicazione della pena e,  in  quanto  tali,
fossero piu' correttamente ascrivibili  ad  attivita'  dal  carattere
strettamente amministrativo. In tale contesto culturale  e  giuridico
l'attenzione degli operatori, anche  con  riferimento  alle  garanzie
tipiche della materia penale, era limitata alla fase del processo  di
cognizione. 
    A far data dall'entrata in vigore della Carta costituzionale,  in
particolare alla luce del disposto dell'art. 27  comma  3  Cost.,  e'
progressivamente   emersa   nel   dibattito   penalistico   e   nella
giurisprudenza della Consulta l'esigenza di adeguare il sistema  alla
nuova dimensione affidata  dal  testo  costituzionale  alla  sanzione
penale. 
    Tali istanze di rinnovamento sono state accolte  dal  Legislatore
in sede di adozione del nuovo codice di procedura  penale  del  1988,
che  ha  inciso  significativamente   sulla   materia,   ridisegnando
l'esecuzione penale sulla  base  delle  indicazioni  provenienti  dal
dibattito dottrinale e, soprattutto, sulla scorta  delle  indicazioni
sul punto fornite dalla Corte costituzionale. 
    Nella Relazione al Nuovo Codice di Procedura Penale (pagg. 138  e
ss.) si da' atto che tale  indicazione  era  espressamente  contenuta
nella legge Delega,  il  cui  art.  79  enunciava  il  "principio  di
giurisdizionalizzazione  dei  procedimenti  per  la  modificazione  e
l'esecuzione della pena", affermato in plurime sentenze  della  Corte
costituzionale. 
    Il  Legislatore  delegato  da'  altresi'  atto  della   peculiare
attenzione   riservata   dal   Legislatore   delegante   alla    fase
dell'esecuzione, quale  "strumento  per  l'attuazione  del  principio
costituzionale dell'umanizzazione della pena da cui deriva poi quello
dell'adeguatezza  della  medesima  con  riferimento  al  fine   della
possibile rieducazione del condannato". 
    Il Legislatore, tuttavia, ha inteso contemperare le su menzionate
esigenze  con  il  principio  generale   della   intangibilita'   del
giudicato,  onde  evitare  che  il  giudizio  in  sede  esecutiva  si
tramutasse in un ulteriore grado di merito. 
    La disciplina del procedimento esecutivo che ne e' risultata, pur
avendo ampliato rispetto al codice previgente i margini di intervento
in executivis, prevede spazi  molto  ristretti  alla  cognizione  del
giudice dell'esecuzione rispetto al titolo esecutivo. 
    Al di la' delle ipotesi tassative di revoca previste all'art. 673
c.p.p. - per massima parte orientate a  adeguare  il  giudicato  alle
sopravvenienze  normative  che  potrebbero   interessare   la   norma
incriminatrice tra la condanna  e  ['esecuzione  della  stessa  -  il
controllo sul titolo esecutivo che cristallizza la  res  iudicata  e'
particolarmente limitato. 
    L'art.  670  c.p.p.,  (1)   infatti,  prevede  che   il   giudice
dell'esecuzione possa conoscere delle questioni attinenti  al  titolo
esecutivo, circoscrivendo tale cognizione a due specifiche ipotesi: 
      il caso in cui il giudice dell'esecuzione accerti  la  mancanza
del provvedimento; 
      l'ipotesi in cui il provvedimento, pur  se  esistente,  difetti
del requisito dell'esecutivita' (che coincide  con  il  passaggio  in
giudicato ai sensi dell'art. 648 c.p.p.). 
    In quest'ultima  ipotesi  l'art.  670  c.p.p.  specifica  che  il
giudice dell'esecuzione puo' valutare "anche nel merito" l'osservanza
delle garanzie previste in caso di irreperibilita'. 
    La  norma  e'  stata   da   sempre   oggetto   di   una   stretta
interpretazione  da  parte  della  giurisprudenza  di   legittimita',
secondo cui il controllo sul titolo svolto dal giudice in  tale  sede
e'  ontologicamente  circoscritto  alla  sua  formale  esistenza   ed
esecutivita', senza-possibilita' che tale cognizione  si  estenda  al
merito del provvedimento, se non nel caso  tassativamente  prescritto
del rispetto delle garanzie previste per l'imputato irreperibile. 
    Discende, da tale impostazione, il principio generalmente seguito
dalla Cassazione secondo cui "in materia di incidente di  esecuzione,
il giudice deve limitare il  proprio  accertamento  alla  regolarita'
formale e sostanziale del titolo su cui si fonda l'esecuzione  e  non
puo' attribuire rilievo alle nullita' eventualmente verificatesi  nel
corso del processo di cognizione in epoca precedente al passaggio  in
giudicato  della  sentenza,  con  la  sola  eccezione  dei  vizi  che
interferiscano con la  formazione  del  giudicato,  come  ad  esempio
quelli attinenti (anteriormente  alla  modifica  di  sistema  indotta
dalla legge n.  67  del  2014)  alla  rituale  notifica  all'imputato
dell'estratto contumaciale o che siano  in  grado  per  tale  via  di
riflettersi sul titolo, avendo  compromesso  la  previa  ed  autonoma
facolta' d'impugnazione riconosciuta al difensore". (2)  E  cio',  si
badi bene,  anche  qualora  si  tratti  di  nullita'  assolute,  come
specificato da plurima giurisprudenza sul punto (3) 
    La citata giurisprudenza  poggia,  dogmaticamente,  sulla  natura
preclusiva del giudicato, quale precipitato dell'esigenza di certezza
del diritto, la cui intangibilita' postula la stabilita' dei rapporti
giuridici esauriti e si pone come argine alla perpetua  rivedibilita'
dell'assetto cristallizzato nella res indicata. 
    2.1   Recentemente,   ulteriore   impulso   al   cammino    della
giurisdizione esecutiva da "incidente amministrativo" a luogo ove  e'
assicurato il controllo di legalita' sull'esecuzione della  pena,  e'
giunto  dai  moti  convettivi  che  spirano  dalle  alte   coni,   in
particolare dalla Corte di Strasburgo e dalla Corte costituzionale. 
    A partire dal caso Scoppola c. Italia, passando  per  le  vicende
successive alla sentenza della Corte costituzionale n. 43/2014,  fino
al recente caso Contrada c.  Italia,  si  e'  consentito  al  giudice
dell'esecuzione di applicare in executivis, la diminuente di un  rito
cui l'imputato illegittimamente non aveva avuto accesso, o ancora  di
rideterminare il trattamento sanzionatorio calcolato  sulla  base  di
una  cornice  edittale  giudicata  incostituzionale  dalla  Consulta,
financo dichiarare ineseguibile il giudicato  emesso  in  assenza  di
un'idonea base legale. 
    Si tratta di un percorso in fieri, ispirato dall'esigenza di  non
lasciare mai senza rimedio l'illegalita' - lato sensu intesa -  della
condanna o  del  trattamento  sanzionatorio,  seppure  cristallizzati
dalla res iudicata,  che  comporta  un  concettuale  superamento  del
"dogma" del giudicato,  richiedendo  una  sua  flessibilizzazione  (o
cedevolezza) rispetto a  violazioni  sostanziali  e  procedurali  che
attingono i fondamentali diritti dell'imputato. 
    Seppur i precedenti ricordati attengono a situazioni  in  cui  vi
era stata una pronuncia o della Corte di  Strasburgo  o  della  Corte
costituzionale, cio' che si ritiene rilevante e' che in tutti i  casi
citati, a seguito di ampio dibattito all'interno della giurisprudenza
di legittimita', il giudizio di esecuzione e' stato individuato  come
la sede strutturalmente piu' idonea per l'intervento  post  iudicatum
avverso l'illegittimita' del titolo o della pena inflitta. 
    Con cio' riconoscendo al  giudice  dell'esecuzione  il  ruolo  di
custode  della  legalita'  del  giudicato  e,  dunque,   del   titolo
esecutivo. 
    3. Nel caso di cui ci si occupa, l'A. ha rappresentato  di  esser
stato  condannato  da  un  Tribunale  Ordinario,  con   sentenza   di
applicazione pena emessa il 10 febbraio 1998 per un fatto commesso il
20 luglio 1997, quando egli era minorenne. 
    Propone, dunque, una questione che  poggia  sulla  illegittimita'
del titolo esecutivo  e  con  cui  chiede  sostanzialmente  che  tale
condanna  non  sia  messa  in  esecuzione,   domandando   di   essere
eventualmente rimesso in termini per essere giudicato dal  competente
Tribunale dei Minori. 
    La doglianza lamentata  dall'istante  e'  certamente  ascrivibile
alla competenza di questo Tribunale  in  sede  esecutiva,  posto  che
censura la legittimita' del titolo. 
    Nel  merito,  peraltro,  si  ritiene  ictu  oculi  rilevabile  e,
pertanto, pienamente accertata la violazione dedotta. 
    Secondo quanto riportato nel  permesso  di  soggiorno  rilasciato
dalla Questura di..., il condannato e' nato  il...  e,  dunque,  alla
data del fatto risultava avere 17 anni 8 mesi e 17 giorni. 
    Palese appare, dunque, per  tabulas  la  violazione  dell'art.  3
decreto del Presidente della Repubblica n. 448/1988  che  attribuisce
ai Tribunale per i Minorenni la  competenza  a  giudicare  dei  reati
commessi dai minori degli anni diciotto. La competenza del  Tribunale
per i Minorenni e' stata delineata dal Legislatore della riforma  del
1988 come una competenza per materia funzionale ed  inderogabile,  la
cui violazione e' stata ricondotta ad una nullita' assoluta ai  sensi
dell'art. 179  c.p.p.,  in  quanto  ascrivibile  alle  condizioni  di
capacita' del giudice ex art. 178, comma 1, lett. a) c.p.p. 
    Tale nullita', dunque, e' insanabile e rilevabile ex  officio  in
ogni stato e grado del processo. 
    Tuttavia,  alla  luce  del  gia'  citato  assetto   normativo   e
giurisprudenziale in merito alla  non  conoscibilita'  da  parte  del
giudice dell'esecuzione delle nullita'  verificatesi  nel  corso  del
procedimento,  l'intervento  del   giudicato   sulla   sentenza   non
consentirebbe di rilevare in questa sede la predetta nullita'. 
    Il giudizio, in applicazione dell'attuale formulazione  dell'art.
670 c.p.p., dovrebbe  dunque  concludersi  con  una  declaratoria  di
inammissibilita' e, conseguentemente, consentire  l'esecuzione  della
pena. 
    Orbene,  una   simile   soluzione   appare   di   dubbia   tenuta
costituzionale,  portando  a  ritenere  l'art.  670  non  conforme  a
costituzione  nella  parte   in   cui   non   consente   al   giudice
dell'esecuzione di rilevare la nullita'  della  sentenza  costituente
titolo  esecutivo  derivante  dalla   violazione   della   competenza
funzionale del Tribunale per i Minorenni. 
    Il dubbio del Tribunale poggia  su  una  valutazione  sistematica
circa la natura della competenza del Tribunale per i Minorenni,  alla
luce  degli  interessi  primari  sottesi  alla  disciplina  specifica
prevista nel rito minorile. 
    Per una  maggiore  chiarezza  espositiva,  si  ritiene  opportuno
affrontare   preliminarmente   quest'ultimo   tenia,   rinviando   al
successivo §5 le considerazioni in punto di stretta rilevanza. 
    4. La previsione di  un  autonomo  sistema  di  giustizia  per  i
minorenni da parte del Legislatore del 1988,  e'  il  frutto  di  una
lunga elaborazione della giurisprudenza della  Consulta  in  materia,
che  aveva  a  piu'  riprese  censurato  la   disciplina   previgente
affermando la necessita' costituzionale che il  minore  sottoposto  a
procedimento penale godesse di un trattamento differenziato  rispetto
ai soggetti maggiorenni. (4) 
    Le ragioni di tale diverso trattamento  processuale  erano  state
individuate  dalla  Corte  quale  precipitato  di  diversi   principi
costituzionali: a partire dal principio di "tutela della  gioventu'",
esplicitamente menzionato all'art. 31, comma 2 Cost.; (5) proseguendo
con il generale principio di uguaglianza (art. 3 Cost.),  sub  specie
della necessita' di trattare differentemente situazioni non omogenee;
infine, anche come predicato della finalita' rieducativa  della  pena
di cui all'art. 27, comma 3 Cost. 
    In sede  di  riforma,  il  Legislatore  ha  prestato  particolare
attenzione al tema del processo  minorile,  in  considerazione  tanto
della  citata  giurisprudenza  costituzionale,  quanto  delle   fonti
sovranazionali in materia. 
    In  particolare,  nella  "Relazione  al  Testo  definitivo  delle
disposizioni sul processo penale a carico di imputati  minorenni"  si
da' atto che il Legislatore delegato aveva  ritenuto  necessario,  ai
fini dell'individuazione dei principi  cui  attenersi  nell'esercizio
della delega legislativa, tenere conto delle indicazioni  provenienti
dalle "Regole minime delle Nazioni Unite per l'amministrazione  della
giustizia minarne" (c.d. "Regole  di  Pechino")  approvate  nel  1985
dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite e  della  Raccomandazione
del Consiglio d'Europa n.  87/20,  nella  parte  in  cui  tali  fonti
sovranazionali individuano  i  principi  fondamentali  ed  ispiratori
dell'intera materia. (6) 
    L'esito della delega e' stato, com'e' noto, la predisposizione di
un sistema processuale in massima parte autonomo,  caratterizzato  da
istituti propri e da finalita' diverse rispetto a quello previsto per
gli imputati maggiorenni. 
    Tale diversita' di fondo appare desumibile sin dall'incipit della
disciplina del processo per i minorenni, in particolare alla luce  di
quanto  previsto  dall'art.  1  del  decreto  del  Presidente   della
Repubblica n. 448/1988. 
    La norma  citata,  nel  rinviare  per  quanto  non  espressamente
disciplinato dal codice per i minorenni  alle  disposizioni  previste
dal codice di  procedura  penale,  richiede  che  quest'ultime  siano
applicate  in  modo  adeguato  alla  personalita'  e  alle   esigenze
educative del minore. 
    L'interesse superiore del minore, con particolare  riguardo  alla
sua personalita' ed alla sua  educazione,  assurge  dunque  a  canone
ermeneutico primario cui informare l'intera disciplina processuale. 
    Rilevanti anche le divergenze in punto di esiti del  procedimento
e possibilita' di riti alternativi. 
    Si segnalano, sotto il primo profilo, le pronunce di  irrilevanza
penale del fatto (art. 27 decreto del Presidente della Repubblica  n.
448/1988), la sospensione del processo e messa alla  prova  (art.  28
decreto del Presidente della Repubblica n.  448/1988;  l'istituto  e'
stato  recentemente  esportato   anche   nel   procedimento   per   i
maggiorenni, ma con preclusioni assai  piu'  stringenti)  e  relativa
declaratoria di estinzione del reato, nonche' l'istituto del  perdono
giudiziale (art. 169 c.p.). 
    Quanto ai riti alternativi, di sicuro interesse e' la scelta  del
Legislatore di escludere la compatibilita' con il  processo  minorile
degli istituti dell'applicazione della pena su richiesta delle  parti
ex art. 444 c.p.p. (scelta che si avra' modo di approfondire infra) e
del procedimento per decreto penale di condanna. 
    Infine, si ricordano ad abundantiam le sostanziali differenze  in
tema di misure cautelari ed anche l'istituzione  di  autonomo  regime
carcerario per i minorenni, scelte legislative ispirate dall'esigenza
di evitare che il minore deviante sia ristretto negli stessi istituti
dei maggiorenni. 
    4.1 In tale sistema, la competenza funzionale del Tribunale per i
Minorenni, organo specializzato ed a composizione mista,  attorno  al
quale gravita anche un reticolo di soggetti non presenti nel rito per
i maggiorenni (in particolare  i  servizi  minorili),  si  pone  come
indefettibile presidio delle gia' evidenziate specifiche esigenze  di
tutela  del  minore,  aventi  caratura  tanto  costituzionale  quanto
sovranazionale. 
    Tale competenza e' individuata ai sensi dell'art. 3  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 448/1988  non  tanto  con  riferimento
alla minore  eta'  del  soggetto  al  momento  del  processo,  bensi'
all'eta' dell'indagato al momento del fatto di reato. 
    E' dunque pienamente possibile  che  un  soggetto  che  risultava
minorenne all'epoca dei fatti sia processato con il rito  minorile  e
dal Tribunale a cio'  preposto,  anche  laddove  nelle  more  tra  la
commissione del reato ed il giudizio sia divenuto maggiorenne. 
    La  competenza  del  Tribunale  per  i  Minorenni,  nel   sistema
delineato dal Legislatore, si caratterizza per la sua rigidita',  non
tollerando deroghe o modificazioni. 
    Sul piano processuale, tale affermazione puo' trovare agevolmente
riscontro alla luce delle soluzioni normative adottate dal codice  di
rito  in  terna  di   connessione   e   di   accertamento   sull'eta'
dell'indagato, laddove sono previste norme  di  raccordo  tra  i  due
sistemi processuali orientate nel  senso  di  assicurare  la  massima
espansione della competenza del Tribunale per i Minorenni  e  la  sua
inderogabilita'. 
    Quanto al primo profilo, l'art. 14 c.p.p.  prevede  espressamente
che la connessione tra procedimenti (art. 12 c.p.p.), quale  criterio
di attribuzione o  modificazione  della  competenza,  non  operi  con
riferimento ai procedimenti relativi ad imputati che al  momento  dei
fatti erano minorenni ed ai coimputati maggiorenni. 
    Specifica  il  secondo  comma  che  la  connessione  non   opera,
altresi', tra procedimenti per reati  commessi  dall'imputato  quando
era minorenne e procedimenti per fatti commessi  quando  il  medesimo
imputato era maggiorenne. (7) 
    Quanto al terna  dell'accertamento  dell'eta'  dell'indagato,  la
disciplina di riferimento e' ricavabile dal combinato disposto  degli
articoli 67 c.p.p. e art. 8 D.P.R. n. 448/1988, laddove si stabilisce
che  in  caso  di  incertezza  sull'eta'  dell'imputato,  il  giudice
trasmetta gli atti alla Procura per i Minorenni perche' si proceda  a
perizia sull'eta'. 
    Nel caso in cui permanga, anche dopo la perizia, il dubbio  sulla
minore eta' dell'indagato/imputato, quest'ultima si ritiene  presunta
ad ogni effetto, indi  anche  (o  per  dir  meglio,  soprattutto)  in
relazione all'individuazione del giudice competente  e  del  rito  da
seguire. 
    L'inderogabilita' della competenza del Tribunale per i Minorenni,
peraltro, e' pacificamente riconosciuta anche dalla giurisprudenza di
legittimita', che ne ha piu' volte sancito la prevalenza  rispetto  a
quella di altri organi giudicanti. 
    Si e' cosi' affermato che, nel caso in cui il reato commesso  dal
minore sia astrattamente attribuito alla competenza  del  Giudice  di
Pace,  quest'ultima  debba  ritenersi   soccombente   rispetto   alla
competenza del Tribunale per i Minorenni. (8) 
    Ancora, nel caso in cui il reo sia indagato in relazione  a  piu'
reati commessi in un lungo arco  temporale  ed  avvinti  dal  vincolo
della continuazione, qualora alcuni  di  essi  siano  stati  commessi
quando egli era minorenne ed altri, invece,  dopo  il  raggiungimento
della maggiore eta', per le condotte  commesse  prima  di  tale  data
permane la competenza del Tribunale per i Minorenni,  con  necessaria
scissione dei due procedimenti. (9) 
    Da tale rapido esame puo' rilevarsi come il sistema processuale e
la giurisprudenza individuano nella maggiore o minore eta' alla  data
del fatto  uno  spartiacque  netto,  cui  si  accompagna  una  rigida
individuazione  del  rito  applicabile  e  dell'organo  competente  a
decidere. 
    Ancora, il codice prevede una serie di presidi volti  ad  evitare
che il soggetto minorenne sia sottratto alla competenza  del  proprio
giudice specializzato, spingendo tale esigenza al punto di  presumere
la minore eta' anche laddove la stessa non sia pienamente accertata. 
    Tuttavia, non e'  stato  previsto  uno  specifico  meccanismo  di
tutela che consenta di intervenire nel caso in  cui,  per  errore  di
fatto ovvero per errata applicazione delle nonne sin  qui  esaminate,
si giunga, come nella vicenda di cui ci si occupa,  ad  una  sentenza
definitiva  di  condanna  emessa  in  violazione   della   competenza
funzionale del Tribunale per i Minorenni. 
    5. Occorre a questo punto dare atto della vicenda processuale che
ha riguardato l'A. e che ha consentito di pervenire  alla  situazione
da cui scaturisce la presente ordinanza. 
    Si ritiene comunque doveroso precisare che la ricostruzione della
vicenda assolve una mera funzione descrittiva, volta a spiegare  come
sia stato possibile che un soggetto minorenne venisse  giudicato  con
il rito dei maggiorenni. 
    L'eventualita'  verificatasi  nel   caso   in   esame,   infatti,
rappresenta    una    situazione    evidentemente    patologica    ed
auspicabilmente marginale rispetto all'ordinario. 
    5.1 L'imputato era tratto in arresto in data... per il delitto di
cui all'art. 73 decreto del Presidente della Repubblica  n.  309/1990
unitamente a connazionale maggiorenne. Privo  di  documenti  all'atto
dell'identificazione, lo stessa  riferiva  agli  agenti  di  p.g.  di
chiamarsi A. A. nato il... 
    A fronte del dubbio circa l'eta'  della  persona  arrestata,  gli
operanti informavano  la  Procura  per  i  Minorenni,  che  disponeva
perizia sull'eta' dell'A. 
    La perizia era materialmente svolta mediante esame antropometrico
presso l'Ospedale Maggiore di Bologna, effettuato  con  RX  al  polso
destro. Nel referto medico viene indicato espressamente uno  sviluppo
osseo "compatibile con l'eta' di 18 anni". 
    Peraltro, nella C.N.R. tale dato e' stato erroneamente  riportato
dagli agenti,  laddove  risulta  scritto  che  l'esame  medico  aveva
accertato un'eta' "compresa tra 18 e 19 anni". 
    In sede di convalida di arresto, l'A. era  identificato  mediante
ulteriore alias, nel quale era gli era attribuita la data di  nascita
del... Il  verbale,  redatto  in  forma  riassuntiva,  da'  atto  che
interrogato sulla contestazione mossagli, il preposto avrebbe ammesso
di aver fornito false generalita' agli agenti, perche'  un  po'brillo
al momento del controllo. 
    L'arresto era convalidato e all'A. era applicata misura cautelare
carceraria presso la Casa Circondariale di... Si  procedeva,  dunque,
nelle forme del giudizio immediato per i delitti di cui agli articoli
73 decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990 e 469 c.p. 
    All'udienza  del  10  febbraio  1998,  prima  dell'apertura   del
dibattimento, il difensore d'ufficio,  munito  di  procura  speciale,
formulava istanza di applicazione pena per la pena  di  anni  due  di
reclusione e Lire 2.666.000,00 di multa, subordinata alla concessione
della sospensione condizionale. La richiesta riceveva il consenso dal
P.M. ed il Tribunale di Bologna emetteva la sentenza di  applicazione
pena ex art. 444 c.p.p. nei termini indicati. 
    Si rileva, inoltre,  che  il  referto  di  scarcerazione  redatto
dall'amministrazione   penitenziaria   riporta   cosi'   l'anagrafica
dell'A.: "A. B. nato in..., arrestato il...". 
    Dopo esser  stato  scarcerato,  l'A.  faceva  rientro  presso  il
proprio domicilio e, reperiti i  suoi  documenti,  li  consegnava  al
proprio difensore. 
    Quest'ultimo, avvedutosi che la  data  di  nascita  indicata  nei
documenti del paese di provenienza dell'A. era effettivamente  quella
del..., formulava ricorso per  Cassazione  ai  sensi  dell'art.  606,
lett. c) deducendo la nullita' della sentenza di  applicazione  pena,
in ragione dell'incompetenza del Tribunale ordinario di Bologna  alla
luce della minore eta' dell'A. al tempo  di  commissione  del  reato,
come accertata successivamente alla predetta pronuncia. 
    La Corte di  Cassazione,  con  ordinanza  del  12  gennaio  1999,
dichiarava il ricorso inammissibile, ritenendo che la scelta del rito
impedisse   la   deducibilita'    della    doglianza,    determinando
l'irrevocabilita' della sentenza impugnata. 
    5.2 Si ribadisce che il giudizio operato in sede di esecuzione da
questo Tribunale e che fonda i dubbi  di  costituzionalita'  esposti,
non poggia su una rivalutazione di merito della vicenda processuale. 
    L'accertamento della violazione della competenza  funzionale  del
Tribunale per i Minorenni, infatti, e' rilevabile  ictu  aculi  anche
solo dall'esame del certificato penale dell'A., laddove egli  risulta
esser nato il..., come del resto confermato dal permesso di soggiorno
allegato all'istanza. 
    Tuttavia,  la  descrizione  della  vicenda  de  qua  consente  di
apprezzare ulteriormente la rilevanza delle questioni poste. 
    Nel caso esposto, l'accertamento dell'eta' e'  stato  quanto  mai
sommario. 
    E'  di  tutta  evidenza,  infatti,  che  l'esame   antropometrico
operato, concludendo nel senso della  compatibilita'  dello  sviluppo
osseo con l'eta'  di  anni  18,  avesse  un  grado  di  affidabilita'
piuttosto limitato. 
    E cio' tanto in generale, posto che la letteratura scientifica ha
in  diverse  occasioni  messo  in  dubbio  l'attendibilita'  di  tali
accertamenti, (10) quanto nel caso specifico. 
    Non puo' sfuggire, infatti, che l'esame in questione  interveniva
su un soggetto che si  era  dichiarato  poco  meno  che  maggiorenne;
situazione  rispetto  alla  quale  una   misurazione   antropometrica
concludente nel senso di una compatibilita' dello sviluppo osseo  con
l'eta' di 18 anni  ha,  evidentemente,  valore  euristico  pressoche'
nullo. 
    Ne' la presenza di un alias la cui data di nascita  era  indicata
nel... poteva, peraltro, costituire un certo parametro di riferimento
per sciogliere il dubbio circa l'effettiva eta' del soggetto. 
    Ulteriore e non secondario profilo  di  manifesta  illegittimita'
del procedimento si coglie nell'esito che questo ha avuto,  essendosi
concluso con una sentenza di applicazione  della  pena  su  richiesta
delle parti. 
    Tale rito alternativo al dibattimento, come si e' gia'  rilevato,
e' infatti precluso in radice nel procedimento minorile.  
    Le ragioni dell'esclusione del patteggiamento dal novero dei riti
alternativi  consentiti  all'imputato   minorenne   all'epoca   della
commissione del fatto sono chiaramente espresse  nella  relazione  al
codice, laddove il Legislatore delegato da' atto  che  l'istituto  in
questione e' stato ritenuto "incompatibile col processo minorile"  in
quanto "presuppone nell'imputato una capacita' di  valutazione  e  di
decisione che richiede piena maturita' e consapevolezza". (11) 
    Ma,  ancor  piu'  autorevolmente,  e'  la  stessa  giurisprudenza
costituzionale  a  fornire  argomenti   a   sostegno   della   scelta
legislativa. 
    Chiamata  ad  esprimersi  circa  la  legittimita'  costituzionale
dell'esclusione del patteggiamento dal novero  dei  riti  alternativi
consentiti al minore,  con  la  sentenza  n.  135/1995  la  Corte  ha
rilevato la ragionevolezza della scelta  legislativa  precisando  che
tale procedimento "rispetto al minore, potrebbe condurre a  risultati
incoerenti rispetto  all'accennata  finalita'  e  dunque  lesivi  dei
principi fondamentali cui si ispira la  giustizia  minorile  invocati
dal rimettente". 
    Ulteriormente sollecitata in materia, nel rigettare le  questioni
di Costituzionalita' sollevate, la Corte ha ribadito con sentenza  n.
272/2000 che "La scelta del legislatore  di  escludere  espressamente
tale istituto (e il decreto penale di condanna) dalle varie forme  di
definizione anticipata del procedimento previste  dal  Capo  III  del
decreto del Presidente della Repubblica n. 448 del  1988  corrisponde
quindi ad un ponderato bilanciamento  tra  le  esigenze  di  economia
processuale,  che  avrebbero  consigliato  di  ammettere   forme   di
"patteggiamento"  anche  nel  procedimento  a  carico   di   imputati
minorenni, e  le  peculiarita'  del  modello  di  giustizia  minorile
adottato  dall'ordinamento  italiano,   sorretto   dalla   prevalente
finalita'  di  recupero  del  minorenne  e  di   tutela   della   sua
personalita', nonche' da obiettivi  pedagogico-rieducativi  piuttosto
che retributivo-punitivi, richiamati dal preambolo dell'art. 3  della
legge-delega 16 febbraio 1987, n. 81, e dagli  articoli  1  e  9  del
decreto del Presidente della Repubblica n. 448 del 1988". 
    La subvalenza delle ragioni di economia processuale rispetto alle
specifiche esigenze sottese al sistema di giustizia minorile, dunque,
esprime secondo la Consulta un corretto bilanciamento degli interessi
costituzionali in gioco. 
    Appare allora evidente che il procedimento a carico dell'A. si e'
concluso  con  una  pronuncia   processualmente   e   sostanzialmente
illegittima. 
    Ne'  in  senso  contrario  potrebbe  ragionevolmente  opporsi  la
circostanza che l'imputato era assistito da un difensore e che il suo
contegno  ha  rappresentato  una  "scelta  processuale"   idonea   ad
assorbire il suddetto vizio. 
    Il difensore dell'A., infatti, era stato nominato d'ufficio,  non
conosceva l'imputato e non poteva  dunque  avere  gli  strumenti  per
accorgersi della situazione patologica in atto. Situazione patologica
i cui effetti distorsivi permangono lampanti. 
    E cio' non solo perche' l'imputato ha avuto accesso  ad  un  rito
che, ove fosse stato giudicato dal giudice  competente,  gli  sarebbe
stato precluso in  radice;  ma  anche  perche',  avendo  riguardo  ai
requisiti  previsti   dall'art.   444   c.p.p.   per   l'accesso   al
patteggiamento,  nella  situazione   dedotta   l'imputato   non   era
legalmente in grado di prestare un valido  consenso  all'applicazione
della pena. 
    Orbene, anche sotto questo ulteriore profilo, la vicenda in esame
evidenzia in modo plastico gli  effetti  distorsi  vi  della  carenza
normativa riscontrata e qui giudicata incostituzionale. 
    Infine, si segnala che proprio la  scorretta  applicazione  della
normativa in tema di competenza del  Tribunale  per  i  minorenni  ha
consentito la  carcerazione  dell'A.  in  un  istituto  di  pena  per
maggiorenni. 
    Cio' ha determinato nei fatti una evidente  lesione  del  diritto
del minore a non essere  ristretto  unitamente  ai  maggiorenni,  che
trova tutela convenzionale anche alla luce  dell'interpretazione  che
la Corte di Strasburgo ha dato dell'art. 5 §1 lett. d) CEDU. (12) 
    In conclusione, nella vicenda in esame, la violazione riscontrata
ha determinato: 
      l'assoggettamento dell'A. a privazione della liberta' personale
in regime cautelare presso un istituto per maggiorenni; 
      l'applicazione di un rito che gli sarebbe stato precluso; 
      la sottrazione dell'A. al  giudice  competente  e,  dunque,  al
complessivo sistema processuale di favore previsto per i minorenni. 
    5.3 Tutto cio' premesso,  appare  evidente  che  nel  merito  del
presente giudizio sussiste uno specifico interesse del ricorrente  ad
una pronuncia della Corte che consenta a questo giudice  di  rilevare
la dedotta nullita'. 
    Anzitutto,  perche'   la   non   eseguibilita'   della   sentenza
inciderebbe in senso a lui favorevole sul quantum della pena da porre
in esecuzione in ragione del provvedimento di cumulo n. 11/20. 
    In secondo luogo, perche' una eventuale riedizione  del  processo
dinnanzi al giudice competente gli consentirebbe di accedere a  tutto
il compendio di istituti di favore previsti nel rito minorile, di cui
si e' gia' dato atto. 
    Peraltro, la rilevanza della  questione  non  pare  possa  essere
messa in dubbio dal fatto che nel caso in esame il ricorrente ha gia'
dedotto il vizio qui lamentato con ricorso per Cassazione. 
    Il pronunciamento della Corte di Legittimita', infatti, non  pare
costituire una preclusione processuale rispetto al giudizio  in  sede
di esecuzione. 
    Anzitutto, si rileva che la pronuncia della Cassazione nel  senso
dell'inammissibilita' del ricorso, non e'  entrata  direttamente  nel
merito della questione, limitandosi a sostenere  che  la  scelta  del
rito contenga implicitamente una rinuncia a far valere  il  vizio  di
incompetenza. 
    Tale argomentazione, della cui fallacia si e' gia' detto  laddove
si e' rilevato che l'imputato non poteva esprimere un valido consenso
all'applicazione della pena, non pare  comunque  idonea  ad  esaurire
l'interesse  del  ricorrente  all'accertamento   nel   merito   della
nullita'. 
    Peraltro, rispetto ai documenti prodotti dall'A. nel ricorso  per
Cassazione del 1998, il ricorrente ha  prodotto  ulteriore  materiale
probatorio, rappresentato dal  permesso  di  soggiorno,  che  attesta
senza ulteriore margine di dubbio la sua reale data di nascita. 
    Ma ancor di piu' - e tale motivo si  ritiene  assorbente  occorre
rilevare che la Corte costituzionale ha ormai affermato  una  nozione
di rilevanza giuridica della questione, che prescinde  dall'eventuale
diretta incidenza sull'esito del giudizio a qua. 
    Con le parole della Consulta ", anche  nella  prospettiva  di  un
piu' diffuso accesso al  sindacato  di  costituzionalita'  (messa  in
risalto, tra le pronunce piu' recenti, dalla sentenza n. 77 del 2018)
e di una piu' efficace  garanzia  della  conformita'  a  Costituzione
della legislazione (profilo valorizzato, da ultimo, nella sentenza n.
174 del 2019), il presupposto della rilevanza non si  identifica  con
l'utilita' concreta di cui le parti in causa potrebbero beneficiare a
seguito della decisione (sentenza n. 20 del 2018)". (13) 
    Secondo tale orientamento, ormai maggioritario  e  condiviso,  il
requisito di rilevanza della  questione  sussiste  anche  qualora  la
decisione della Corte incida anche  solo  nel  senso  di  imporre  al
giudice a quo un diverso percorso  argomentativo,  pur  rimanendo  in
ipotesi identico l'esito del giudizio. (14) 
    Sotto questo profilo, nel quadro legislativo attuale il  giudizio
dovrebbe chiudersi con una declaratoria di inammissibilita'  motivata
sulla base della impossibilita' di rilevare la  dedotta  nullita'  ai
sensi dell'art. 670 c.p.p. 
    Viceversa,  una  pronuncia  della  Corte  nel  senso   auspicato,
modificherebbe senz'altro l'iter argomentativo di questo  giudicante,
consentendogli di apprezzare anche  eventuali  ulteriori  profili  di
inammissibilita',  quale  il  verificarsi  di  una  preclusione  (che
peraltro non si ritiene sussistente). 
    5.4  La  situazione  dedotta,  come   anticipato,   puo'   essere
affrontata e risolta esclusivamente in sede esecutiva. 
    La doglianza lamentata dall'A., infatti, non potrebbe fondare una
domanda di revisione ex art. 629 c.p.p.  e  ss.,  non  rientrando  in
nessuno dei casi espressamente previsti e  non  potendosi  conciliare
con la ratio dell'istituto. 
    La  revisione,  infatti,  mira   a   ristabilire   la   giustizia
"sostanziale" lesa dalla decisione di cui  si  chiede  la  revisione,
dovendo il ricorrente allegare elementi tali da dimostrare  che  egli
debba essere prosciolto. 
    Situazione che non ricorre nel caso  di  cui  ci  si  occupa,  in
quanto la circostanza lamentata dall'A. non  implica  necessariamente
che il giudizio dinnanzi all'organo competente si  concluda  con  una
pronuncia di proscioglimento. 
    Viceversa, il giudizio di esecuzione, come sede ove si  opera  il
controllo sulla legittimita' del titolo esecutivo, appare quello piu'
confacente alla situazione dedotta, in cui e'  la  radicale  nullita'
del titolo ad essere in discussione. 
    Tuttavia, la lettera dell'art. 670 c.p.p., nel non  consentire  a
questo Tribunale di rilevare siffatto vizio, evidenzia una lacuna che
lascerebbe l'imputato privo di qualsiasi tutela. 
    Sotto questo profilo, si ritiene che un eventuale  pronunciamento
nel senso auspicato da parte  della  Corte  adita  non  lederebbe  le
prerogative  del  Legislatore,  palesandosi  come   unica   soluzione
costituzionalmente congrua a porre rimedio al vulnus riscontrato. 
    6. Prima di procedere ad esaminare il profilo della non manifesta
infondatezza, si concedano alcune considerazioni. 
    Si ritiene che l'assenza di un rimedio riparatorio, piuttosto che
espressione di  un'implicita  volonta'  di  precludere  un  controllo
siffatto, sia il frutto di una mera dimenticanza del Legislatore. 
    Appare, infatti, quanto mai curioso che quest'ultimo,  dopo  aver
elaborato il rigido sistema  descritto  ed  essersi  preoccupato  che
raccordo tra le due procedure fosse  tale  da  garantire  la  massima
espansione del rito minorile, anche in ipotesi di  dubbio  sull'eta',
abbia deciso  sic  et  simpliciter  di  consentire  l'elusione  della
disciplina prevista per  i  minorenni  realizzata  dal  passaggio  in
giudicato della  sentenza  che  abbia  violato  le  attribuzioni  del
Tribunale Minorile e sottratto all'imputato i diritti e  le  garanzie
di natura costituzionale riconosciutegli dalla legge. 
    Piu'  ragionevole,  viceversa,  ipotizzare  che  il  Legislatore,
confidando anche nella corretta applicazione delle norme di  raccordo
tra i due sistemi, non si sia rappresentato l'ipotesi che si  potesse
mai giungere all'esito cui e' pervenuto il procedimento di  cui  oggi
si tratta. 
    Del resto, occorre anche  far  presente  che  il  Legislatore  e'
intervenuto in materia in un'epoca in  cui  l'accertamento  sull'eta'
dell'imputato era ragionevolmente piu' agevole. 
    A fronte di  un'organizzazione  statale  idonea  a  garantire  il
controllo anagrafico dei cittadini,  quale  indubbiamente  e'  quella
italiana, le situazioni che  possono  porre  e  -  come  dimostra  la
vicenda  sottoposta  a  questo  Tribunale  -  pongono   problemi   di
accertamento dell'effettiva eta'  dell'indagato/imputato,  riguardano
in massima parte soggetti stranieri. 
    Orbene, i mutamenti che hanno  interessato  la  composizione  del
tessuto sociale, in particolare il massiccio flusso migratorio  degli
ultimi decenni, in sede di elaborazione del  codice  del  1988  erano
fenomeni ancora  troppo  marginali  perche'  il  Legislatore  potesse
percepirli e tenerne conto. 
    Tuttavia, pur ritenendo che la carenza di disciplina  evidenziata
sia frutto di una mera svista, non si puo' eludere il  confronto  con
il dato normativa e, in particolare, con l'art. 670 c.p.p. nella  sua
attuale formulazione. 
    7. Cio' premesso in  punto  di  rilevanza,  la  lacuna  normativa
riscontrata  appare  a  questo  Tribunale  confliggere  con   diversi
principi costituzionali,  facendo  emergere  il  fondato  dubbio  che
l'art. 670 c.p.p. possa ritenersi non conforme a  Costituzione  nella
parte in cui non consente al giudice dell'esecuzione di  rilevare  la
nullita' della sentenza costituente titolo esecutivo  per  violazione
della competenza funzionale del Tribunale per i Minorenni. 
    7.1 Un primo profilo di illegittimita' costituzionale  si  rileva
rispetto all'art. 3 Cost., espressivo del  principio  di  uguaglianza
formale (c. 1) e sostanziale (c. 2). 
    Nell'interpretazione offerta dalla  Consulta  di  tale  norma  e'
stato precisato che sussiste violazione del principio di uguaglianza,
non solo laddove il Legislatore preveda un  diverso  trattamento  per
situazioni omogenee, ma anche nel caso in  cui  la  legge  assoggetti
alla medesima disciplina situazioni che no sono assimilabili. 
    Secondo l'insegnamento della Corte, le eventuali  disparita'  di'
trattamento  previste  dalla  legge  (o   a   contrario   l'eventuale
assoggettamento  a  disciplina  unitaria)  per  essere   conformi   a
Costituzione devono poggiare su un  giudizio  di  ponderazione  degli
interessi costituzionali in gioco che consenta di connotare la scelta
legislativa  in  termini  di   ragionevolezza,   sub   specie   della
proporzionalita', adeguatezza e ragionevolezza in senso  stretto  del
bilanciamento operato dal Legislatore. 
    Sotto questo profilo, la norma  della  cui  costituzionalita'  si
dubita appare prestare il fianco al rilievo che, limitando  i  poteri
di controllo del giudice dell'esecuzione sul titolo  esecutivo,  essa
prevede un indifferenziato trattamento per  le  ipotesi  di  nullita'
derivanti da violazione  delle  norme  procedurali  sulla  competenza
maturate nel giudizio per gli  imputati  maggiorenni  e  la  nullita'
derivante dalla violazione dell'art. 3, decreto del Presidente  della
Repubblica  n.  448/1988,  che   sarebbero   indistintamente   sanate
dall'intervento del giudicato. 
    Tale  parificazione  appare  a  questo  Tribunale  manifestamente
irragionevole. 
    Posto che il  principio  dell'intangibilita'  del  giudicato  non
trova un esplicito riconoscimento in  Costituzione  -  rappresentando
piuttosto un principio generale che esprime un'esigenza  di  chiusura
del  sistema  giuridico  nel  suo   complesso   -   recentemente   la
giurisprudenza  di  legittimita'  ne  ha  individuato  un   possibile
riferimento costituzionale nell'art. 111 Cost., quale  predicato  del
principio di "ragionevole durata del  processo".  Secondo  la  citata
giurisprudenza, impedendo la rivedibilita' di quanto stabilito  nella
sentenza irrevocabile, l'intangibilita' del giudicato tutelerebbe  il
diritto dell'imputato a non essere sottoposto per troppo  tempo  allo
stress del procedimento e del processo penale. (15) 
    Per altro verso, la dottrina riconosce al giudicato una  funzione
di garanzia  per  l'imputato  contro  il  divieto  di  bis  in  idem.
Precludendo   un   ulteriore   pronunciamento   dopo    l'intervenuta
definitivita' della sentenza, infatti, il  giudicato  impedirebbe  di
aggravare ex post quanto cristallizzato nella res iudicata. 
    Tali argomenti, tuttavia, poggiano su  una  lettura  pro-reo  del
principio del giudicato, intesa a  tutelarne  i  diritti  avverso  la
pretesa punitiva dello Stato, e non pare  possano  essere  spesi  nel
caso in cui il giudicato consenta viceversa  la  cristallizzazione  e
l'attuazione di un decisum palesemente illegale - illegittimo. 
    In questi casi, il principio in questione si  pone  in  contrasto
con altrettanto primari valori costituzionali e deve essere,  dunque,
essere oculatamente bilanciato con essi. 
    Sotto questo profilo, la scelta legislativa di prediligere sempre
la  certezza  del  diritto-ragionevole  durata  del   processo   alla
regolarita' formale della sentenza sub specie  dell'incompetenza  del
giudice una volta che la pronuncia sia  divenuta  irrevocabile,  puo'
ritenersi astrattamente legittima, a parere di questo Tribunale, solo
se riferita ad irregolarita' maturate all'interno  del  procedimento,
per cosi' dire, "ordinario". 
    L'eventuale incompetenza del giudicante, infatti,  pur  se  vizio
particolarmente grave dell'atto, non appare in  tal  caso  idonea  ad
incidere sul procedimento e sulla  decisione  finale  in  modo  cosi'
significativo da giustificare la sua  rilevabilita'  anche  oltre  il
giudicato. 
    A fronte di un'irregolarita' siffatta, le garanzie processuali, i
possibili esiti del  processo,  le  regole  di  fondo  dell'attivita'
giurisdizionale svolta e di giudizio rimangono all'evidenza omogenee. 
    Sicche' non sembra  che  la  violazione  della  competenza  possa
tradursi ipso facto in una lesione  talmente  grave  da  attingere  i
diritti fondamentali del  condannato,  al  punto  da  richiedere  una
necessaria prevalenza di tali istanze sull'esigenza di intangibilita'
del giudicato. 
    Viceversa, per le  considerazioni  gia'  spese  sulla  necessita'
costituzionale della giustizia penale minorile e  sulle  specificita'
del relativo rito, l'eventuale sottrazione del minore alta competenza
del Tribunale per i Minorenni non si risolve in  una  mera  questione
formale, ma si riverbera sull'intero impianto processuale  e  financo
sostanziale della decisione resa. 
    Anzitutto  perche',  consentendo  l'aggiramento  della  procedura
propria del minore, lede direttamente i diritti costituzionalmente  e
convenzionalmente  riconosciuti  all'imputato  minorenne,  alla   cui
tutela il processo minorile e' preposto. 
    In secondo luogo, perche', anche in punto di diritto sostanziale,
preclude  al  minore  istituti  quali   il   perdono   giudiziale   e
l'applicazione della specifica circostanza  attenuante  della  minore
eta' prevista all'art. 98 c.p. La sentenza cosi' emessa,  dunque,  si
colorerebbe delle fosche tinte dell'illegalita'  manifesta  anche  in
punto di trattamento sanzionatorio. 
    Alla  luce  della  rilevata  non  omogeneita'  delle   situazioni
sostanziali sottese e degli interessi  costituzionali  in  gioco  (in
particolare dei gia' richiamati gli articoli 31 comma 2  Cost.  e  27
comma. 3 Cost.), la parificazione della nullita' in esame agli  altri
errores in procedendo operata  dalla  lettera  dell'art.  670  c.p.p.
appare  non   esprimere   un'adeguata   ponderazione   della   scelta
legislativa, rilevandosi intrinsecamente arbitraria, sproporzionata e
manifestamente irragionevole. 
    In  questi  termini,  dunque,  si  ritiene   non   manifestamente
infondato  il  dubbio  di  costituzionalita'  della  norma  censurata
rispetto all'art. 3 Cost. 
    7.2 Ulteriore  profilo  di  frizione  della  disciplina  prevista
all'art. 670 c.p.p. con la Carta Costituzionale pare doversi cogliere
con riferimento all'art. 10 Cost., laddove prevede che  l'ordinamento
giuridico  italiano  si  debba  conformare  alle  norme  del  diritto
internazionale generalmente riconosciute. 
    Che  la  tutela  del  minore  sia  espressione  di  un  principio
generalmente riconosciuto in ambito internazionale  puo'  agevolmente
trarsi dalle numerose fonti in materia: sin dalla "Dichiarazione  dei
diritti del bambino", adottata dalla Quinta Assemblea Generale  della
Lega  delle  Nazioni  nel  1924,  passando  per   la   "Dichiarazione
universale dei diritti del fanciullo" delle Nazioni Unite  del  1959,
arrivando, con particolare riferimento  alla  condizione  processuale
del minore, alle gia' citate "Regole di Pechino"  del  1985  ed  alla
Raccomandazione del Consiglio d'Europa n. 87/20, i cui principi hanno
orientato anche il Legislatore delegato. 
    Occorre dare inoltre atto  che  l'attenzione  alle  esigenze  del
minore dinnanzi al potere giudiziario ha avuto, negli anni successivi
all'approvazione del codice, ulteriore e significativo sviluppo. 
    Basti solo citare, senza pretesa di esaustivita', la gli articoli
37 lett. d) (16) e 40  (17)  della  "Convenzione  internazionale  sui
diritti dell'infanzia" adottata a New  York  dall'Assemblea  Generale
delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989 e ratificata  in  Italia  con
legge n. 176 del 27 maggio 1991  -  testo  fondamentale  in  materia,
risultando ad oggi il trattato con il maggior numero di ratifiche  al
mondo (192) - e  le  "Linee  guida  del  Comitato  dei  ministri  del
Consiglio d'Europa" per una giustizia a misura  di  minore  "adottate
dal Comitato dei ministri del  Consiglio  d'Europa"  il  17  novembre
2010, all'interno del Programma  del  Consiglio  d'Europa  "Costruire
un'Europa per e con i bambini". 
    Tale ultima fonte, in particolare, sottolinea in diversi passaggi
la necessita' di garantire piena effettivita' alla tutela del  minore
all'interno della dinamica processuale, assicurando  all'interno  del
Consiglio  "sistemi  giudiziari  che  garantiscono  il   rispetto   e
l'effettiva attuazione di tutti i diritti dei  minori  al  piu'  alto
livello possibile,  tenendo  presenti  i  principi  indicati  qui  in
appresso e prendendo in debita considerazione il livello di maturita'
e di comprensione del minore nonche'  le  circostanze  del  caso.  Si
tratta,  in  particolare,  di  una  giustizia  accessibile,  adeguata
all'eta', rapida, diligente, adatta alle esigenze e  ai  diritti  del
minore e su di essi incentrata, nel rispetto dei diritti del  minore,
tra cui il diritto al giusto processo,  alla  partecipazione  e  alla
comprensione del procedimento,  al  rispetto  della  vita  privata  e
familiare, all'integrita' e alla dignita'". 
    Da un esame congiunto delle fonti citate sembrano doversi  trarre
alcuni principi generali, tra cui: la necessita' che  il  minore  sia
giudicato da un'autorita' competente e specializzata, (18) secondo un
rito che sia  modellato  in  funzione  dell'interesse  superiore  del
minore e tenga conto della sua  condizione,  in  cui  vi  sia  minimo
ricorso alla carcerazione e che preveda strumenti di fuoriuscita  dal
processo al fine di evitare l'effetto stigmatizzante del procedimento
penale. 
    Tutti principi cui sembra fornire adeguata attuazione il processo
minorile disciplinato dal decreto del Presidente della Repubblica  n.
448/1988. 
    Orbene, appare di tutta evidenza che  consentire  un  aggiramento
delle tutele ivi previste per il minore  attraverso  lo  "scudo"  del
giudicato e, di conseguenza, autorizzare l'esecuzione della pena resa
da un giudice incompetente a giudicare chi all'epoca  dei  fatti  era
minorenne, si porrebbe in palese contrasto con  l'effettivita'  delle
garanzie riconosciute al minore dal diritto internazionale. 
    Sotto  questo  profilo  dunque,  si  rileva  la   non   manifesta
infondatezza del dubbio di  illegittimita'  costituzionale  dell'art.
670 c.p.p. con riferimento all'art. 10 Cost. 
    7.3 Proseguendo, l'art. 670 c.p.p.  appare  altresi'  censurabile
rispetto agli articoli 13 Cost. e 117 Cost., in riferimento  all'art.
5  CEDU,  laddove  le  citate  norme  affermano   il   principio   di
inviolabilita' della liberta'  personale  e  individuano  criteri  di
legalita' della detenzione a livello costituzionale e convenzionale. 
    Non puo' non sfuggire, infatti, che in  un'ottica  sistematica  e
costituzionalmente orientata l'esecuzione della pena  rappresenta  il
momento culminante del procedimento penale, in  cui  si  realizza  in
concreto la privazione  della  liberta'  personale.  Nell'esecuzione,
infatti, la forza  giuridica  dei  provvedimenti  giurisdizionali  si
tramuta  in  forza  effettiva  che  incide  direttamente   sul   bene
costituzionale in esame. Sul punto, l'art. 13  Cost.  stabilisce  che
non e' consentita  alcuna  farina  di  detenzione  se  non  per  atto
motivato dell'autorita' giudiziaria e nei soli casi e  modi  previsti
dalla legge. 
    Pur  se  la  norma  costituzionale  si  limita  ad  affermare  la
necessita' che l'atto dell'autorita' giudiziaria idoneo a determinare
una restrizione della liberta' personale sia sorretto da motivazione,
senza esplicitare eventuali ulteriori requisiti di legittimita' dello
stesso,  il  riferimento  ai  "casi  e  modi  previsti  dalla  legge"
porterebbe a ritenere che la legalita' della detenzione debba potersi
apprezzare anche sotto il profilo della legalita' della pronuncia  di
condanna. 
    In altri termini, l'illegalita' del provvedimento che dispone  la
restrizione del condannato,  non  puo'  non  riverberarsi  anche  sul
giudizio di legalita' della sua detenzione. 
    Pur  dovendo  ammettersi   che   nell'attivita'   giurisdizionale
sussistano sempre spazi di discrezionalita' valutativa e che, dunque,
una  quota  di  fallibilita'  del  giudizio  sia  ineliminabile,   un
ordinamento ispirato all'inviolabilita' della liberta' personale  non
dovrebbe poter consentire l'esecuzione di  un  provvedimento  che  si
manifesti ictu oculi e, senza necessita' di valutazioni  nel  merito,
affetto da nullita' radicale. 
    In tal senso, peraltro, sovviene anche il  disposto  dell'art.  5
della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo,  che  -  secondo  il
noto orientamento della Consulta espresso nelle sentenze  348  e  349
del 2007 - si colloca nel sistema  delle  fonti  quale  parametro  di
legittimita' interposto alla luce del richiamo operato dall'art.  117
Cost. 
    L'art. 5, rubricato "Diritto  alla  liberta'  e  alla  sicurezza"
contiene una serie di enunciazioni  di  principi  e  di  diritti  che
delimitano lo statuto convenzionale della privazione  della  liberta'
personale, stabilendo che questa non possa considerarsi conforme alla
Convenzione se  non  nei  modi  previsti  dalla  legge  e  "nei  casi
seguenti" espressamente indicati. 
    A  tale  enunciazione  segue,  dunque,  un  elenco  che  fissa  i
parametri di legalita' della detenzione e dell'arresto,  a  qualsiasi
titolo operati. 
    Tra le ipotesi esplicitate  dalla  norma,  per  quel  che  e'  di
interesse in questa sede, deve rilevarsi il disposto della  lett.  a)
laddove si prevede che la  privazione  della  liberta'  personale  e'
legittima se il condannato e' "detenuto  regolarmente  in  seguito  a
condanna da  parte  di  un  tribunale  competente".  La  Convenzione,
dunque, pur  rinviando  agli  ordinamenti  degli  Stati  aderenti  la
definizione delle  regole  di  attribuzione  della  competenza,  pare
sancire espressamente che la competenza del giudice che ha emesso  il
provvedimento rappresenti presupposto indefettibile per affermare  la
legalita' convenzionale della detenzione. 
    Sotto questo profilo, si segnala che nell'interpretazione fornita
dalla Corte di Strasburgo dell'art. 5 § 1 lett. a) CEDU in merito  al
requisito della "competenza", la Corte ha riscontrato violazione  del
principio  convenzionale  nel  caso  in  cui  la   composizione   del
giudicante che ha emesso la sentenza non  sia  quella  stabilita  per
legge. 
    In particolare, ne] caso Yefimenko v. Russia,  nell'affermare  la
violazione dell'art. 5 § 1 CEDU, la Corte ha censurato il  fatto  che
l'organo giudicante che aveva reso la pronuncia che aveva  comportato
la detenzione dell'imputato, pur avendo in  astratto  competenza  sul
caso, aveva seduto in una composizione diversa da quella prevista per
legge. (19) 
    In questo senso, non puo' tacersi  che  la  violazione  censurata
dalla Corte sotto il profilo della "competenza" nel  caso  richiamato
riguardava un'ipotesi che nel nostro ordinamento rappresenterebbe  un
vizio attinente alle condizioni di  capacita'  del  giudice  ed  alla
composizione dei collegi. 
    Vale a dire l'ipotesi di nullita' ex art. 178, comma 1, lett. a),
che si realizza proprio  nel  caso  di  violazione  della  competenza
funzionale del Tribunale per i Minorenni. 
    L'art. 5, peraltro, contiene al § 4  un'ulteriore  previsione  di
sicuro interesse per il caso di cui ci si occupa. 
    Stabilisce, infatti, la norma  che  ogni  persona  privata  della
liberta' personale  mediante  arresto  o  detenzione  ha  diritto  di
indirizzare  ricorso  ad  un  tribunale  che  possa  decidere   sulla
"legalita' della sua detenzione e ne ordini la  scarcerazione  se  la
detenzione e' illegale". 
    La possibilita' di provocare il sindacato  di  un  giudice  sulla
legalita' della  propria  detenzione,  da  valutarsi  alla  luce  dei
parametri esplicitati nei commi  precedenti,  rappresenta  dunque  un
diritto convenzionalmente garantito al soggetto che sia  a  qualsiasi
titolo privato della liberta' personale. 
    In quest'ottica, l'art. 670 c.p.p., nel limitare il sindacato del
giudice dell'esecuzione alla mera esistenza del  titolo  o  alla  sua
definitivita', opera una  scelta  che  pare  sacrificare  tout  court
sull'altare del giudicato la liberta' personale del condannato ed  il
suo diritto a far accertare la legalita' della propria detenzione.  E
cio' anche in  ipotesi,  come  quella  del  caso  in  esame,  in  cui
l'illegalita'   procedurale   realizzata   dalla   violazione   della
competenza del giudice sia talmente grave e manifesta da minare  alla
radice l'atto della cui esecuzione si tratta. 
    Alla luce della ricostruzione operata, appare non  manifestamente
infondato il dubbio che la  norma  si  ponga  in  contrasto  con  gli
articoli 13 Cost. e 5 CEDU, richiamato come parametro  interposto  di
costituzionalita' ai sensi dell'art. 117 Cost. 
    7.4 Infine, l'art. 670 c.p.p. pare prestare il fianco  a  rilievi
anche quanto alla sua compatibilita' con l'art. 25,  comma  1  Cost.,
laddove, consentendo l'eseguibilita'  di  una  pena  fondata  su  una
sentenza  emessa  in  violazione  della  competenza  funzionale   del
Tribunale per i Minorenni, permetterebbe l'elusione del principio del
giudice naturale precostituito per legge. 
    Per le considerazioni  che  si  sono  sin  qui  svolte,  infatti,
dovrebbe essere ormai superfluo ribadire che il giudice naturale  del
minore e' il Tribunale per i  Minorenni  e  non  un  qualsiasi  altro
giudice dell'ordinamento giudiziario. 
    8. Cio' premesso in ordine alla rilevanza ed alla  non  manifesta
infondatezza delle questioni poste, si deve altresi' rilevare  che  i
numerosi dubbi  emersi  non  potrebbero  essere  superati  da  questo
Tribunale attraverso un'interpretazione costituzionalmente  orientata
dell'art. 670 c.p.p., il cui dato letterale pare precludere spazi  ad
operazioni ermeneutiche in tal senso. 
    La  norma,  infatti,  recita  testualmente:  "Quando  il  giudice
dell'esecuzione accerta che il provvedimento manca o non e'  divenuto
esecutivo, valutata anche  nel  merito  l'osservanza  delle  garanzie
previste nel caso di irreperibilita' del condannato, lo dichiara  con
ordinanza  e  sospende  l'esecuzione,  disponendo,  se  occorre,   la
liberazione dell'interessato e la  rinnovazione  delta  notificazione
non validamente eseguita. In tal caso decorre nuovamente  il  termine
per l'impugnazione". 
    Il dettato normativo circoscrive abbastanza precisamente i limiti
del sindacato del giudice dell'esecuzione.  In  particolare,  laddove
specifica  che  questi  possa  valutare  anche  nel  merito  la  sola
osservanza  delle  norme  sull'irreperibilita',  pare  stabilire  una
disciplina eccezionale che sottintende la generale indeducibilita' di
altri vizi attinenti al merito processuale o sostanziale del titolo. 
    Ne' potrebbe  considerarsi  praticabile  un'interpretazione  che,
facendo leva sulla rilevata manifesta nullita' della sentenza  per  i
profili gia' evidenziati, si spingesse al punto di  ritenere  che  il
vizio dedotto possa assurgere ad un'ipotesi di "mancanza" del  titolo
sulla base di un giudizio di assimilazione tra nullita'  radicale  ed
inesistenza della pronuncia. 
    Tale approdo ermeneutico, infatti, si porrebbe  evidentemente  in
aperto contrasto con il dettato normativo. 
    Si ritiene, dunque, necessario un pronunciamento dell'adita Corte
che, accogliendo la questione sottoposta, consenta a questo Tribunale
di  rilevare  la  nullita'  della   sentenza   e,   conseguentemente,
dichiarare la non eseguibilita' della stessa in quanto  in  idonea  a
fondare valido titolo esecutivo. 

(1) "Quando il giudice dell'esecuzione accerta che  il  provvedimento
    manca o non e' divenuto  esecutivo,  valutata  anche  nel  merito
    l'osservanza delle garanzie previste nel caso di  irreperibilita'
    del  condannalo,   lo   dichiara   con   ordinanza   e   sospende
    l'esecuzione,   disponendo,   se    occorre,    la    liberazione
    dell'interessato  e  la  rinnovazione  della  notificazione   non
    validamente eseguita. In tal caso decorre nuovamente  il  termine
    per l'impugnazione". 

(2) Cass., Sez. I, n. 31854 del 16/07/2019 che richiama  Cass.,  Sez.
    I, n. 5880 dell'11/12/2013, RV. 258765; ex  pluribus  cfr.  Cass.
    Sez. I n. 8776  del  28/01/2008,  RV.  239509,  secondo  cui  "le
    nullita' asseritamente incorse nel  giudizio  di  cognizione  non
    possono essere fatte valere con l'incidente  di  esecuzione,  che
    affida al giudice soltanto il controllo sull'esistenza del titolo
    esecutivo e sulla legittimita' della sua emissione". 

(3) Cass. Sez. I, n. 10577 dell'08/02/2019 "il giudicato  sana  anche
    le nullita' assolute prodottesi nel processo di cognizione. Si e'
    ripetutamente affermato che in sede  di  esecuzione,  il  giudice
    deve limitare il proprio accertamento alla regolarita' formale  e
    sostanziale del titolo su cui si fonda l'esecuzione, non  potendo
    attribuire rilievo alle nullita' eventualmente  verificatesi  nel
    corso del processo di cognizione in epoca precedente al passaggio
    in giudicato della sentenza. che devono essere fatte valere con i
    mezzi di impugnazione (Sez. I, n. 16958  del  23/02/2018  -  dep.
    16/04/2018,   Esposito,   Rv.   27260401:   Sez.   I.   n.   5880
    dell'11/12/2013 - dep. 06/02/2014, Amore, Rv. 25876501): la  cosa
    giudicata si forma anche nei confronti di  provvedimenti  affetti
    da nullita' assoluta (Sez. I. n. 3370 del Corte di  Cassazione  -
    copia non ufficiale 13/12/2011 - dep. 27/01/2012, Comisso  Fiore,
    Rv. 251682)". 

(4) Si riporta parte  del  testo  della  Sentenza  Costituzionale  n.
    222/1983, nella quale si da' atto, a  titolo  riepilogativo,  dei
    piu' significativi precedenti della Consulta in tema di giustizia
    minorile: "nella sentenza n. 25 del 1964 aveva osservato come  la
    giustizia minorile abbia una particolare struttura "in quanto  e'
    diretta in modo specifico alla ricerca delle  forme  piu'  adatte
    per la rieducazione dei minorenni" ha hanno  fatto  in  proposito
    richiamo, nella sentenza n. 46  del  1978,  alla  "necessita'  di
    valutazioni  del   giudice   fondale   su   prognosi   ovviamente
    individualizzare in  ordine  alla  prospettiva  di  recupero  del
    minore  deviante",  nell'ambito  di  quella   "protezione   della
    gioventu'", che trova fondamento nell'ultimo comma  dell'art.  31
    della Costituzione. La "tutela dei minori" si colloca  cosi'  tra
    gli interessi costituzionalmente garantiti, come questa Corte  ha
    sottolineato in varie pronunce (sentenze n. 25 del 1965, nn. 16 e
    17 del 1981); ed il tribunale per i minorenni, considerato  nelle
    sue  complessive  attribuzioni,  oltre  che  penali,  civili   ed
    amministrative, ben puo' essere annoverato tra quegli  "istituii"
    dei  quali  la  Repubblica  deve  favorire  lo  sviluppo  ed   il
    funzionamento, cosi' adempiendo al precetto costituzionale che la
    impegna alla "proiezione della gioventu'".  A  conferma  di  gale
    configurazione  stanno  la  particolare  struttura  del  collegio
    giudicante (composto, accanto ai magistrati togati,  da  esperti,
    benemeriti dell'assistenza  sociale,  scelti  fra  i  cultori  di
    biologia,   psichiatria,   antropologia   criminale,   pedagogia,
    psicologia), gli altri organi che ne  preparano  o  fiancheggiano
    l'operato, nonche' le peculiari garanzie che assistono l'imputato
    minorenne nell'iter processuale davanti all'organo specializzato.
    E sullo cio', appunto, in  vista  dell'essenziale  finalita'  del
    "recupero del minore deviante", mediante la sua  rieducazione  ed
    il suo reinserimento sociale, in armonia con la meta additata dal
    terzo comma dell'art. 27 della  Costituzione,  nonche'  dell'art.
    14, paragrafo 4, del Patto  internazionale  relativo  ai  diritti
    civili e politici (adottato a New York il 19 dicembre 1966  e  la
    cui ratifica ed esecuzione  sono  state  disposte  con  legge  25
    ottobre 1977, n. 881), a norma del quale la procedura applicabile
    ai minorenni rispetto alla legge penale dovra' tener conto  della
    loro eta' e dell'interesse a promuovere la loro rieducazione. 

(5) C. Cost. n. 17/1981 "La competenza del Tribunale per i  minorenni
    e la speciale disciplina del processo minorile  sono  dirette  al
    conseguimento di finalita' di tutela del minore". 

(6) Le "Regole di Pechino" all'art. 5 prevedono che  "Il  sistema  di
    giustizia minorile deve avere per obiettivo la tutela del giovane
    ed assicurare che la misura adottata nei  confronti  del  giovane
    sia proporzionale alle circostanze del reato e  all'autore  dello
    stesso.". L'art. 14, in tema di competenza, stabilisce invece che
    "Se il caso di un giovane che delinque non puo' essere oggetto di
    una procedura  extra-giudiziaria  (previsto  dall'art.  11)  esso
    sara'  esaminato  dall'autorita'  competente  (corte,  tribunale,
    commissione, consiglio. ecc.) secondo il principio di un processo
    giusto ed equo. La procedura seguita deve tendere a proteggere al
    meglio gli interessi del giovane che delinque e deve svolgersi in
    un clima di comprensione, permettendogli  di  parteciparvi  e  di
    esprimersi liberamente". 

(7) Tali soluzioni, peraltro, si limitano a recepire  le  indicazioni
    contenute in precedenti arresti della Consulta, che avevano  gia'
    scolpito  la   necessita'   di   evitare   l'operativita'   della
    connessione rispetto ai minorenni. Cfr. in particolare  C.  Cost.
    198/1972 e C. Cost. 222/1983. 

(8) Cfr. Cassazione penale sez. V, 02/03/2018, n. 15723 "I  reati  di
    competenza del GdP se commessi da minorenne  sono  di  competenza
    del Tribunale per i minorenni  (Annulla  con  rinvio,  App.  Sez.
    Minorenni Bari, 23/06/2017)  Il  Tribunale  per  i  minorenni  e'
    competente a giudicare  i  reali  altrimenti  di  competenza  del
    Giudice di pace se commessi da persona minore di eta', ma deve in
    tal caso irrogare le pertinenti  sanzioni  previste  dal  decreto
    legislativo n. 274  del  200".  Fonte:  CED  Cass.  pen.  2018  -
    Conformi: In senso conforme: Cass. Pen., sez. 05, del 26/04/2005,
    n.  22680  -  In  senso  conforme:  Cass.  Pen.,  sez.  05,   del
    03/04/2013, n. 35247. 

(9) Cassazione penale sez. V, 19/02/2018, n. 16751  "Il  procedimento
    e' sottoposto a scissione se i reati uniti in continuazione  sono
    stati commessi prima e dopo la maggiore eta' (Annulla con rinvio,
    App. Milano, 14/09/2010)  Qualora  all'imputato  si  contesti  la
    commissione  di   una   pluralita'   di   reati   avvinti   dalla
    continuazione, alcuni dei quali commessi quando il  soggetto  era
    minorenne ed altri dopo il raggiungimento  della  maggiore  eta',
    deve  operarsi  la  scissione  del  procedimento,  in   modo   da
    attribuire la competenza a giudicare i primi episodi al tribunale
    per i minorenni e la competenza a giudicare gli altri episodi  al
    tribunale ordinario." Fonte: CED Cass. Pen. 2018 -  Conformi:  In
    senso conforme: n. 18033 del 2004  -  In  senso  conforme:  Cass.
    Pen., sez. 02, del 13/02/2009, n. 8352 -  Vedi:  vedi  anche:  n.
    54996 del 2016 - Fonti Normative: D.P.R.  22  settembre  1988  n.
    448, art. 3 - Codice penale, Art. 81 - Codici commentati:  Codice
    Penale, Art. 57 - Codice Penale, Art. 595. 

(10) Seppure la Corte di Cassazione  abbia  (spesso  apoditticamente)
     ribadito la validita' del metodo in questione, voci critiche  si
     sono  levate  soprattutto  nella  letteratura  scienti  fica  di
     riferimento. In particolare, nelle scienze mediche e' stata piu'
     volte  rilevata  la  differenza  tra  eta'  anagrafica  ed  eta'
     biologica. Basti, per brevita',  richiamare  l'articolo  "Alcune
     considerazioni sull'uso forense dell'eta' biologica" a firma  di
     L. Benso e S. Milani, ove si rileva che "l'ampia  e  inevitabile
     variabilita' nella maturazione osservabile tra soggetti coetanei
     di simili condizioni di urla e di salute,  e  appartenenti  alla
     stessa etnia e classe sociale (variabilita' biologica)  comporta
     che il 94% dei soggetti con una data maturazione scheletrica  ha
     eta' cronologica compresa in ara intervallo di ±2  anni  attorno
     all'eta' inedia corrispondente  a  tale  grado  di  maturazione.
     L'entita' di questa variabilita' biologica  deve  essere  sempre
     indicala nel referto, che, in caso contrario. non ha significato
     dal punto di vista scientifico". Sul punto, peraltro,  anche  la
     circolare 9.7.2007, prot. 17272/7 del Ministero dell'Interno, in
     tema di accertamento dell'eta' degli stranieri, con  riferimento
     al metodo dell'esame antropometrico mediante RX al polso, indica
     che  "tali  accertamenti  non  forniscono  di  regola  risultati
     esalti, limitandosi ad indicare la fascia  di  eta'  compatibile
     con i risultati ottenuti, puo' accadere che il margine di errore
     comprenda al suo interno sia la minore che fa maggiore eta'.  Il
     Comitato sui diritti  dell'infanzia  dell'UNICEF  nell'affermare
     l'importanza prioritaria della valutazione dell'eta' del  minore
     in modo scientifico, sicuro e rispettoso dell'eta',  del  sesso,
     dell'integrita' fisica e della dignita' del minore,  raccomanda,
     in  casi  incerti,  di  "accordare  comunque  alla  persona   il
     beneficio del dubbio, trattandola come se fosse un bambino". 

(11) Cfr. pag. 221 della Relazione. 

(12) Si abbia riferimento a A. and Others v. Bulgaria, § 69 e D.G. V.
     Ireland, § 79 "If the State has chosen a system  of  educational
     supervision involving o deprivation of liberty, it is obliged to
     put in place appropriate institutional facilities which meet the
     security and educational demands of  that  system  in  order  to
     satisfy the requirements of Article 5 § 1 d)". 

(13) C. Cost 253/2020. 

(14) Tra le piu' recenti e significative si guardi C. Cost.  253/2020
     "nell'ipotesi di  accoglimento  delle  sollevate  questioni,  il
     giudice a quo dovrebbe decidere secondo una  diversa  regola  di
     giudizio, attingendola dalla disciplina di riferimento,  privata
     della  norma   in   ipotesi   dichiarata   incostituzionale.   E
     quand'anche l'esito del giudice a quo sia il medesimo -  la  non
     concessione del permesso premio - la pronuncia di  questa  Corte
     influirebbe  di  certo  sul  percorso   argomentativo   che   il
     rimettente dovrebbe a questo punto seguire  per  decidere  sulla
     richiesta". 

(15) Cass. SS.UU. 24 ottobre 2013 n. 18821. 

(16) "i fanciulli  privati  di  liberta'  abbiano  diritto  ad  avete
     rapidamente accesso ad un'assistenza giuridica o ad  ogni  altra
     assistenza  adeguata,  nonche'  il  diritto  di  contestare   la
     legalita',  della  loro  privazione  di  liberta'   dinanzi   un
     tribunale  o  altra  autorita'   competente,   indipendente   ed
     imparziale, ed una decisione sollecita sia adottata in materia." 

(17) In particolare il comma 3  prevede  che:  "Gli  Stati  Parti  si
     sforzano di promuovere la adozione di leggi,  di  procedure,  la
     costituzione   di   autorita'   e   di   istituzioni   destinate
     specificamente ai fanciulli sospettati, accusati o  riconosciuti
     colpevoli di aver commesso reato, ed in particolar modo:  A)  di
     stabilire un'eta' minima al di sotto della quale si presume  che
     i fanciulli non abbiano la capacita' di commettete reato; B)  di
     adottare provvedimenti ogni  qualvolta  cio'  sia  possibile  ed
     auspicabile per trattare  questi  fanciulli  senza  ricorrere  a
     procedure giudiziarie rimanendo tuttavia inteso  che  i  diritti
     dell'uomo e le  garanzie  legali  debbono  essere  integralmente
     rispettate. 4. Sara' prevista tutta una  gamma  di  disposizioni
     concernenti in  particolar  modo  le  cure,  l'orientamento,  la
     supervisione,  i  consigli,   la   liberta'   condizionata,   il
     collocamento in famiglia, i programmi di formazione  generale  e
     professionale,  nonche'  soluzioni  alternative   all'assistenza
     istituzionale,  in  vista  di   assicurare   ai   fanciulli   un
     trattamento conforme al loro benessere e proporzionato sia  alla
     loro situazione che al reato." 

(18) Cfr. Art. 63 delle "Linee guida del Comitato  dei  ministri  dei
     Consiglio d'Europa per una giustizia a misura di  minore":  "Per
     quanto  possibile,  dovrebbero  essere  istituiti  tribunali  (o
     sezioni) speciali, procedure  e  istituzioni  per  i  minori  in
     conflitto con la legge. Cio' potrebbe comprendere  l'istituzione
     di unita' speciali in seno alla polizia, alla  magistratura,  al
     sistema giudiziario e alla procura". 

(19) Si veda il caso Yefimenko v. Russia, §§  109-11,  ove  la  Corte
     afferma che "A court is not "competent" if  its  composition  is
     not "established by law". 
 
                              P. Q. M. 
 
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87. 
    Ritenuta la rilevanza e la non manifesta  infondatezza,  solleva,
nei  termini  indicati,  questione  di  legittimita'   costituzionale
dell'art. 670 del codice di procedura  penale  per  violazione  degli
articoli 3  Cost.,  10  Cost.,  25  c.  1  Cost.,  e  117  Cost.,  in
riferimento all'art. 5 § 1 lett. a) e § 4 CEDU, nella  parte  in  cui
non consente al giudice dell'esecuzione di rilevare la nullita' della
sentenza di merito passata in giudicato  derivante  dalla  violazione
della competenza funzionale del Tribunale per i Minorenni. 
    Sospende  il  giudizio  in  corso  sino  all'esito  del  giudizio
incidentale di legittimita' costituzionale. 
    Dispone  che,  a  cura  della   cancelleria,   gli   atti   siano
immediatamente trasmessi alla Corte costituzionale, e che la presente
ordinanza  sia  notificata  alle  parti  in  causa  ed  al   pubblico
ministero, nonche' al Presidente del Consiglio dei  ministri,  e  che
sia anche comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. 
      Bologna, 23 dicembre 2020 
 
                        Il Giudice: Barbensi