N. 61 ORDINANZA (Atto di promovimento) 9 febbraio 2021
Ordinanza del 9 febbraio 2021 del Tribunale di Bologna nel procedimento penale a carico di A. S.. Esecuzione penale - Questioni sul titolo esecutivo - Preclusione per il giudice dell'esecuzione di rilevare la nullita' della sentenza di merito passata in giudicato derivante dalla violazione della competenza funzionale del tribunale per i minorenni. - Codice di procedura penale, art. 670.(GU n.20 del 19-5-2021 )
TRIBUNALE DI BOLOGNA Nel procedimento in epigrafe il Tribunale Ordinario di Bologna, Seconda Sezione Monocratica, quale giudice dell'esecuzione, ad esito dell'udienza del 24 novembre 2020 ha emesso la seguente ordinanza 1. In data 7 ottobre 2019 la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Bologna emetteva nei confronti di S. A., nato a..., provvedimento di esecuzione di pene concorrenti ex art. 656 c.p.p. n. 773/18 SIEP relativo a diverse sentenze di condanna da cui, pur con diversi alias, egli e' stato attinto nel corso degli anni passati. Il provvedimento di cumulo determinava una pena residua da eseguire di anni tre, giorni diciannove di reclusione, mesi quattro di arresto, euro 6.976 di multa e euro 200 di ammenda con espulsione dello straniero a pena espiata. Con ulteriore provvedimento ex art. 656 c.p.p. n. 11/20 SIEP, la medesima Procura, richiamando il precedente ordine di esecuzione, provvedeva all'unificazione di ulteriore condanna pervenuta all'ufficio ed emetteva ordine di carcerazione del S. A. per la pena di anni tre, mesi nove, giorni diciannove di reclusione, mesi quattro di arresto, euro 6.976 di multa e euro 200 di ammenda, con espulsione dello straniero a pena espiata. Tra le condanne presenti nel casellario giudiziale ed oggetto dei provvedimenti di cumulo della Procura, figura sentenza di applicazione pena ex art. 444 c.p.p. emessa dal Tribunale di Bologna in data 10 febbraio 1998 e divenuta irrevocabile in data 12 gennaio 1999, con la quale l'istante e' stato condannato alla pena di anni due di reclusione e Lire 2.666.000 di multa (pari ad euro 1.376,87) in relazione ai reati di cui agli articoli 73, comma 5, decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990 e 496 c.p. per fatti commessi in data 20 luglio 1997, con sospensione condizionale della pena. Nel provvedimento n. 11/20 della Procura era altresi' richiesta la revoca della sospensione condizionale in relazione alla condanna in esame, revoca che interveniva in data 9 luglio 2020 con ordinanza del Tribunale in composizione Monocratica di Bologna. Dopo esser stato notiziato della emissione del provvedimento di esecuzione delle pene n. 11/20, in data 30 luglio 2020 il S. A., attualmente ristretto in espiazione pena presso la casa circondariale di (ove risulta detenuto con l'alias..., nato in... il...) faceva pervenire alla Procura della Repubblica una istanza manoscritta nella quale proponeva incidente di esecuzione, rilevando che la sentenza emessa dal Tribunale Ordinario di Bologna nei suoi confronti in data 10 febbraio 1998 e' intervenuta su fatti rispetto ai quali egli era all'epoca della commissione minorenne. Chiedeva in particolare l'... il "Rifacimento del processo e lo scalaggio dei due anni dal cumulo n. 773/18 SIEP finche' non avro' un giusto processo dal Tribunale dei Minori". All'incidente di esecuzione, qualificato formalmente come questione sul titolo esecutivo e richiesta rimessione in termini ai sensi degli articoli 670 comma 1 e comma 3 c.p.p., l'... allegava il proprio permesso di soggiorno, rilasciato dalla Questura di Rimini in data..., nel quale egli risulta identificato come B. S. A., nato a... La richiesta era comunicata dalla Procura di Bologna a questo ufficio in data 25 agosto 2020 ed era, dunque, fissata ex. art. 666 c.p.p. udienza camerale presso questo Tribunale per la data del 30 ottobre 2020, per la quale era altresi' disposta l'acquisizione della sentenza 10 febbraio 1998 e del relativo fascicolo. Per la predetta udienza, l'... faceva pervenire, nei termini previsti dall'art. 666 comma 3 c.p.p., memoria difensiva redatta in carcere nella quale riferiva di esser stato arrestato in data 20 luglio 1997 quando egli era effettivamente minorenne. Affermava, inoltre, di avere fatto presente la sua condizione ma di non esser stato creduto e, per questo motivo, aver subito detenzione presso il carcere per maggiorenni di Bologna dalla data dell'arresto sino alla scarcerazione (intervenuta a seguito della concessione della sospensione condizionale). Nello scritto l'A rappresentava che all'epoca egli non aveva compreso di esser stato condannato, ritenendo che lo avessero liberato perche' accortisi dell'errore. All'udienza del 30 ottobre 2020 il Tribunale, rilevato che non era stata acquisita la sentenza oggetto dell'incidente di esecuzione, rinviava alla successiva udienza del 24 novembre 2020, rinnovando il mandato alla Cancelleria per l'acquisizione della sentenza e del relativo fascicolo. All'udienza del 24 novembre 2020, acquisita la sentenza in oggetto ed il fascicolo, le parti concludevano come da verbale ed il Tribunale riservava la propria decisione. 2. L'incidente di esecuzione proposto dall'A. pone a questo Tribunale diverse questioni, la cui soluzione non puo' che passare attraverso una preliminare ricognizione della funzione e, dunque, dei poteri spettanti al giudice dell'esecuzione. Come e' noto, l'esecuzione penale e' stata per lungo tempo considerata materia di secondo piano ed in certa parte estranea al diritto penale, processuale e sostanziale. Tale impostazione dogmatica poggiava sulla considerazione per cui, una volta intervenuto sulla decisione il crisma del giudicato, le vicende dell'esecuzione assumessero le vesti di meri "incidenti" attinenti alla concreta applicazione della pena e, in quanto tali, fossero piu' correttamente ascrivibili ad attivita' dal carattere strettamente amministrativo. In tale contesto culturale e giuridico l'attenzione degli operatori, anche con riferimento alle garanzie tipiche della materia penale, era limitata alla fase del processo di cognizione. A far data dall'entrata in vigore della Carta costituzionale, in particolare alla luce del disposto dell'art. 27 comma 3 Cost., e' progressivamente emersa nel dibattito penalistico e nella giurisprudenza della Consulta l'esigenza di adeguare il sistema alla nuova dimensione affidata dal testo costituzionale alla sanzione penale. Tali istanze di rinnovamento sono state accolte dal Legislatore in sede di adozione del nuovo codice di procedura penale del 1988, che ha inciso significativamente sulla materia, ridisegnando l'esecuzione penale sulla base delle indicazioni provenienti dal dibattito dottrinale e, soprattutto, sulla scorta delle indicazioni sul punto fornite dalla Corte costituzionale. Nella Relazione al Nuovo Codice di Procedura Penale (pagg. 138 e ss.) si da' atto che tale indicazione era espressamente contenuta nella legge Delega, il cui art. 79 enunciava il "principio di giurisdizionalizzazione dei procedimenti per la modificazione e l'esecuzione della pena", affermato in plurime sentenze della Corte costituzionale. Il Legislatore delegato da' altresi' atto della peculiare attenzione riservata dal Legislatore delegante alla fase dell'esecuzione, quale "strumento per l'attuazione del principio costituzionale dell'umanizzazione della pena da cui deriva poi quello dell'adeguatezza della medesima con riferimento al fine della possibile rieducazione del condannato". Il Legislatore, tuttavia, ha inteso contemperare le su menzionate esigenze con il principio generale della intangibilita' del giudicato, onde evitare che il giudizio in sede esecutiva si tramutasse in un ulteriore grado di merito. La disciplina del procedimento esecutivo che ne e' risultata, pur avendo ampliato rispetto al codice previgente i margini di intervento in executivis, prevede spazi molto ristretti alla cognizione del giudice dell'esecuzione rispetto al titolo esecutivo. Al di la' delle ipotesi tassative di revoca previste all'art. 673 c.p.p. - per massima parte orientate a adeguare il giudicato alle sopravvenienze normative che potrebbero interessare la norma incriminatrice tra la condanna e ['esecuzione della stessa - il controllo sul titolo esecutivo che cristallizza la res iudicata e' particolarmente limitato. L'art. 670 c.p.p., (1) infatti, prevede che il giudice dell'esecuzione possa conoscere delle questioni attinenti al titolo esecutivo, circoscrivendo tale cognizione a due specifiche ipotesi: il caso in cui il giudice dell'esecuzione accerti la mancanza del provvedimento; l'ipotesi in cui il provvedimento, pur se esistente, difetti del requisito dell'esecutivita' (che coincide con il passaggio in giudicato ai sensi dell'art. 648 c.p.p.). In quest'ultima ipotesi l'art. 670 c.p.p. specifica che il giudice dell'esecuzione puo' valutare "anche nel merito" l'osservanza delle garanzie previste in caso di irreperibilita'. La norma e' stata da sempre oggetto di una stretta interpretazione da parte della giurisprudenza di legittimita', secondo cui il controllo sul titolo svolto dal giudice in tale sede e' ontologicamente circoscritto alla sua formale esistenza ed esecutivita', senza-possibilita' che tale cognizione si estenda al merito del provvedimento, se non nel caso tassativamente prescritto del rispetto delle garanzie previste per l'imputato irreperibile. Discende, da tale impostazione, il principio generalmente seguito dalla Cassazione secondo cui "in materia di incidente di esecuzione, il giudice deve limitare il proprio accertamento alla regolarita' formale e sostanziale del titolo su cui si fonda l'esecuzione e non puo' attribuire rilievo alle nullita' eventualmente verificatesi nel corso del processo di cognizione in epoca precedente al passaggio in giudicato della sentenza, con la sola eccezione dei vizi che interferiscano con la formazione del giudicato, come ad esempio quelli attinenti (anteriormente alla modifica di sistema indotta dalla legge n. 67 del 2014) alla rituale notifica all'imputato dell'estratto contumaciale o che siano in grado per tale via di riflettersi sul titolo, avendo compromesso la previa ed autonoma facolta' d'impugnazione riconosciuta al difensore". (2) E cio', si badi bene, anche qualora si tratti di nullita' assolute, come specificato da plurima giurisprudenza sul punto (3) La citata giurisprudenza poggia, dogmaticamente, sulla natura preclusiva del giudicato, quale precipitato dell'esigenza di certezza del diritto, la cui intangibilita' postula la stabilita' dei rapporti giuridici esauriti e si pone come argine alla perpetua rivedibilita' dell'assetto cristallizzato nella res indicata. 2.1 Recentemente, ulteriore impulso al cammino della giurisdizione esecutiva da "incidente amministrativo" a luogo ove e' assicurato il controllo di legalita' sull'esecuzione della pena, e' giunto dai moti convettivi che spirano dalle alte coni, in particolare dalla Corte di Strasburgo e dalla Corte costituzionale. A partire dal caso Scoppola c. Italia, passando per le vicende successive alla sentenza della Corte costituzionale n. 43/2014, fino al recente caso Contrada c. Italia, si e' consentito al giudice dell'esecuzione di applicare in executivis, la diminuente di un rito cui l'imputato illegittimamente non aveva avuto accesso, o ancora di rideterminare il trattamento sanzionatorio calcolato sulla base di una cornice edittale giudicata incostituzionale dalla Consulta, financo dichiarare ineseguibile il giudicato emesso in assenza di un'idonea base legale. Si tratta di un percorso in fieri, ispirato dall'esigenza di non lasciare mai senza rimedio l'illegalita' - lato sensu intesa - della condanna o del trattamento sanzionatorio, seppure cristallizzati dalla res iudicata, che comporta un concettuale superamento del "dogma" del giudicato, richiedendo una sua flessibilizzazione (o cedevolezza) rispetto a violazioni sostanziali e procedurali che attingono i fondamentali diritti dell'imputato. Seppur i precedenti ricordati attengono a situazioni in cui vi era stata una pronuncia o della Corte di Strasburgo o della Corte costituzionale, cio' che si ritiene rilevante e' che in tutti i casi citati, a seguito di ampio dibattito all'interno della giurisprudenza di legittimita', il giudizio di esecuzione e' stato individuato come la sede strutturalmente piu' idonea per l'intervento post iudicatum avverso l'illegittimita' del titolo o della pena inflitta. Con cio' riconoscendo al giudice dell'esecuzione il ruolo di custode della legalita' del giudicato e, dunque, del titolo esecutivo. 3. Nel caso di cui ci si occupa, l'A. ha rappresentato di esser stato condannato da un Tribunale Ordinario, con sentenza di applicazione pena emessa il 10 febbraio 1998 per un fatto commesso il 20 luglio 1997, quando egli era minorenne. Propone, dunque, una questione che poggia sulla illegittimita' del titolo esecutivo e con cui chiede sostanzialmente che tale condanna non sia messa in esecuzione, domandando di essere eventualmente rimesso in termini per essere giudicato dal competente Tribunale dei Minori. La doglianza lamentata dall'istante e' certamente ascrivibile alla competenza di questo Tribunale in sede esecutiva, posto che censura la legittimita' del titolo. Nel merito, peraltro, si ritiene ictu oculi rilevabile e, pertanto, pienamente accertata la violazione dedotta. Secondo quanto riportato nel permesso di soggiorno rilasciato dalla Questura di..., il condannato e' nato il... e, dunque, alla data del fatto risultava avere 17 anni 8 mesi e 17 giorni. Palese appare, dunque, per tabulas la violazione dell'art. 3 decreto del Presidente della Repubblica n. 448/1988 che attribuisce ai Tribunale per i Minorenni la competenza a giudicare dei reati commessi dai minori degli anni diciotto. La competenza del Tribunale per i Minorenni e' stata delineata dal Legislatore della riforma del 1988 come una competenza per materia funzionale ed inderogabile, la cui violazione e' stata ricondotta ad una nullita' assoluta ai sensi dell'art. 179 c.p.p., in quanto ascrivibile alle condizioni di capacita' del giudice ex art. 178, comma 1, lett. a) c.p.p. Tale nullita', dunque, e' insanabile e rilevabile ex officio in ogni stato e grado del processo. Tuttavia, alla luce del gia' citato assetto normativo e giurisprudenziale in merito alla non conoscibilita' da parte del giudice dell'esecuzione delle nullita' verificatesi nel corso del procedimento, l'intervento del giudicato sulla sentenza non consentirebbe di rilevare in questa sede la predetta nullita'. Il giudizio, in applicazione dell'attuale formulazione dell'art. 670 c.p.p., dovrebbe dunque concludersi con una declaratoria di inammissibilita' e, conseguentemente, consentire l'esecuzione della pena. Orbene, una simile soluzione appare di dubbia tenuta costituzionale, portando a ritenere l'art. 670 non conforme a costituzione nella parte in cui non consente al giudice dell'esecuzione di rilevare la nullita' della sentenza costituente titolo esecutivo derivante dalla violazione della competenza funzionale del Tribunale per i Minorenni. Il dubbio del Tribunale poggia su una valutazione sistematica circa la natura della competenza del Tribunale per i Minorenni, alla luce degli interessi primari sottesi alla disciplina specifica prevista nel rito minorile. Per una maggiore chiarezza espositiva, si ritiene opportuno affrontare preliminarmente quest'ultimo tenia, rinviando al successivo §5 le considerazioni in punto di stretta rilevanza. 4. La previsione di un autonomo sistema di giustizia per i minorenni da parte del Legislatore del 1988, e' il frutto di una lunga elaborazione della giurisprudenza della Consulta in materia, che aveva a piu' riprese censurato la disciplina previgente affermando la necessita' costituzionale che il minore sottoposto a procedimento penale godesse di un trattamento differenziato rispetto ai soggetti maggiorenni. (4) Le ragioni di tale diverso trattamento processuale erano state individuate dalla Corte quale precipitato di diversi principi costituzionali: a partire dal principio di "tutela della gioventu'", esplicitamente menzionato all'art. 31, comma 2 Cost.; (5) proseguendo con il generale principio di uguaglianza (art. 3 Cost.), sub specie della necessita' di trattare differentemente situazioni non omogenee; infine, anche come predicato della finalita' rieducativa della pena di cui all'art. 27, comma 3 Cost. In sede di riforma, il Legislatore ha prestato particolare attenzione al tema del processo minorile, in considerazione tanto della citata giurisprudenza costituzionale, quanto delle fonti sovranazionali in materia. In particolare, nella "Relazione al Testo definitivo delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni" si da' atto che il Legislatore delegato aveva ritenuto necessario, ai fini dell'individuazione dei principi cui attenersi nell'esercizio della delega legislativa, tenere conto delle indicazioni provenienti dalle "Regole minime delle Nazioni Unite per l'amministrazione della giustizia minarne" (c.d. "Regole di Pechino") approvate nel 1985 dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite e della Raccomandazione del Consiglio d'Europa n. 87/20, nella parte in cui tali fonti sovranazionali individuano i principi fondamentali ed ispiratori dell'intera materia. (6) L'esito della delega e' stato, com'e' noto, la predisposizione di un sistema processuale in massima parte autonomo, caratterizzato da istituti propri e da finalita' diverse rispetto a quello previsto per gli imputati maggiorenni. Tale diversita' di fondo appare desumibile sin dall'incipit della disciplina del processo per i minorenni, in particolare alla luce di quanto previsto dall'art. 1 del decreto del Presidente della Repubblica n. 448/1988. La norma citata, nel rinviare per quanto non espressamente disciplinato dal codice per i minorenni alle disposizioni previste dal codice di procedura penale, richiede che quest'ultime siano applicate in modo adeguato alla personalita' e alle esigenze educative del minore. L'interesse superiore del minore, con particolare riguardo alla sua personalita' ed alla sua educazione, assurge dunque a canone ermeneutico primario cui informare l'intera disciplina processuale. Rilevanti anche le divergenze in punto di esiti del procedimento e possibilita' di riti alternativi. Si segnalano, sotto il primo profilo, le pronunce di irrilevanza penale del fatto (art. 27 decreto del Presidente della Repubblica n. 448/1988), la sospensione del processo e messa alla prova (art. 28 decreto del Presidente della Repubblica n. 448/1988; l'istituto e' stato recentemente esportato anche nel procedimento per i maggiorenni, ma con preclusioni assai piu' stringenti) e relativa declaratoria di estinzione del reato, nonche' l'istituto del perdono giudiziale (art. 169 c.p.). Quanto ai riti alternativi, di sicuro interesse e' la scelta del Legislatore di escludere la compatibilita' con il processo minorile degli istituti dell'applicazione della pena su richiesta delle parti ex art. 444 c.p.p. (scelta che si avra' modo di approfondire infra) e del procedimento per decreto penale di condanna. Infine, si ricordano ad abundantiam le sostanziali differenze in tema di misure cautelari ed anche l'istituzione di autonomo regime carcerario per i minorenni, scelte legislative ispirate dall'esigenza di evitare che il minore deviante sia ristretto negli stessi istituti dei maggiorenni. 4.1 In tale sistema, la competenza funzionale del Tribunale per i Minorenni, organo specializzato ed a composizione mista, attorno al quale gravita anche un reticolo di soggetti non presenti nel rito per i maggiorenni (in particolare i servizi minorili), si pone come indefettibile presidio delle gia' evidenziate specifiche esigenze di tutela del minore, aventi caratura tanto costituzionale quanto sovranazionale. Tale competenza e' individuata ai sensi dell'art. 3 decreto del Presidente della Repubblica n. 448/1988 non tanto con riferimento alla minore eta' del soggetto al momento del processo, bensi' all'eta' dell'indagato al momento del fatto di reato. E' dunque pienamente possibile che un soggetto che risultava minorenne all'epoca dei fatti sia processato con il rito minorile e dal Tribunale a cio' preposto, anche laddove nelle more tra la commissione del reato ed il giudizio sia divenuto maggiorenne. La competenza del Tribunale per i Minorenni, nel sistema delineato dal Legislatore, si caratterizza per la sua rigidita', non tollerando deroghe o modificazioni. Sul piano processuale, tale affermazione puo' trovare agevolmente riscontro alla luce delle soluzioni normative adottate dal codice di rito in terna di connessione e di accertamento sull'eta' dell'indagato, laddove sono previste norme di raccordo tra i due sistemi processuali orientate nel senso di assicurare la massima espansione della competenza del Tribunale per i Minorenni e la sua inderogabilita'. Quanto al primo profilo, l'art. 14 c.p.p. prevede espressamente che la connessione tra procedimenti (art. 12 c.p.p.), quale criterio di attribuzione o modificazione della competenza, non operi con riferimento ai procedimenti relativi ad imputati che al momento dei fatti erano minorenni ed ai coimputati maggiorenni. Specifica il secondo comma che la connessione non opera, altresi', tra procedimenti per reati commessi dall'imputato quando era minorenne e procedimenti per fatti commessi quando il medesimo imputato era maggiorenne. (7) Quanto al terna dell'accertamento dell'eta' dell'indagato, la disciplina di riferimento e' ricavabile dal combinato disposto degli articoli 67 c.p.p. e art. 8 D.P.R. n. 448/1988, laddove si stabilisce che in caso di incertezza sull'eta' dell'imputato, il giudice trasmetta gli atti alla Procura per i Minorenni perche' si proceda a perizia sull'eta'. Nel caso in cui permanga, anche dopo la perizia, il dubbio sulla minore eta' dell'indagato/imputato, quest'ultima si ritiene presunta ad ogni effetto, indi anche (o per dir meglio, soprattutto) in relazione all'individuazione del giudice competente e del rito da seguire. L'inderogabilita' della competenza del Tribunale per i Minorenni, peraltro, e' pacificamente riconosciuta anche dalla giurisprudenza di legittimita', che ne ha piu' volte sancito la prevalenza rispetto a quella di altri organi giudicanti. Si e' cosi' affermato che, nel caso in cui il reato commesso dal minore sia astrattamente attribuito alla competenza del Giudice di Pace, quest'ultima debba ritenersi soccombente rispetto alla competenza del Tribunale per i Minorenni. (8) Ancora, nel caso in cui il reo sia indagato in relazione a piu' reati commessi in un lungo arco temporale ed avvinti dal vincolo della continuazione, qualora alcuni di essi siano stati commessi quando egli era minorenne ed altri, invece, dopo il raggiungimento della maggiore eta', per le condotte commesse prima di tale data permane la competenza del Tribunale per i Minorenni, con necessaria scissione dei due procedimenti. (9) Da tale rapido esame puo' rilevarsi come il sistema processuale e la giurisprudenza individuano nella maggiore o minore eta' alla data del fatto uno spartiacque netto, cui si accompagna una rigida individuazione del rito applicabile e dell'organo competente a decidere. Ancora, il codice prevede una serie di presidi volti ad evitare che il soggetto minorenne sia sottratto alla competenza del proprio giudice specializzato, spingendo tale esigenza al punto di presumere la minore eta' anche laddove la stessa non sia pienamente accertata. Tuttavia, non e' stato previsto uno specifico meccanismo di tutela che consenta di intervenire nel caso in cui, per errore di fatto ovvero per errata applicazione delle nonne sin qui esaminate, si giunga, come nella vicenda di cui ci si occupa, ad una sentenza definitiva di condanna emessa in violazione della competenza funzionale del Tribunale per i Minorenni. 5. Occorre a questo punto dare atto della vicenda processuale che ha riguardato l'A. e che ha consentito di pervenire alla situazione da cui scaturisce la presente ordinanza. Si ritiene comunque doveroso precisare che la ricostruzione della vicenda assolve una mera funzione descrittiva, volta a spiegare come sia stato possibile che un soggetto minorenne venisse giudicato con il rito dei maggiorenni. L'eventualita' verificatasi nel caso in esame, infatti, rappresenta una situazione evidentemente patologica ed auspicabilmente marginale rispetto all'ordinario. 5.1 L'imputato era tratto in arresto in data... per il delitto di cui all'art. 73 decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990 unitamente a connazionale maggiorenne. Privo di documenti all'atto dell'identificazione, lo stessa riferiva agli agenti di p.g. di chiamarsi A. A. nato il... A fronte del dubbio circa l'eta' della persona arrestata, gli operanti informavano la Procura per i Minorenni, che disponeva perizia sull'eta' dell'A. La perizia era materialmente svolta mediante esame antropometrico presso l'Ospedale Maggiore di Bologna, effettuato con RX al polso destro. Nel referto medico viene indicato espressamente uno sviluppo osseo "compatibile con l'eta' di 18 anni". Peraltro, nella C.N.R. tale dato e' stato erroneamente riportato dagli agenti, laddove risulta scritto che l'esame medico aveva accertato un'eta' "compresa tra 18 e 19 anni". In sede di convalida di arresto, l'A. era identificato mediante ulteriore alias, nel quale era gli era attribuita la data di nascita del... Il verbale, redatto in forma riassuntiva, da' atto che interrogato sulla contestazione mossagli, il preposto avrebbe ammesso di aver fornito false generalita' agli agenti, perche' un po'brillo al momento del controllo. L'arresto era convalidato e all'A. era applicata misura cautelare carceraria presso la Casa Circondariale di... Si procedeva, dunque, nelle forme del giudizio immediato per i delitti di cui agli articoli 73 decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990 e 469 c.p. All'udienza del 10 febbraio 1998, prima dell'apertura del dibattimento, il difensore d'ufficio, munito di procura speciale, formulava istanza di applicazione pena per la pena di anni due di reclusione e Lire 2.666.000,00 di multa, subordinata alla concessione della sospensione condizionale. La richiesta riceveva il consenso dal P.M. ed il Tribunale di Bologna emetteva la sentenza di applicazione pena ex art. 444 c.p.p. nei termini indicati. Si rileva, inoltre, che il referto di scarcerazione redatto dall'amministrazione penitenziaria riporta cosi' l'anagrafica dell'A.: "A. B. nato in..., arrestato il...". Dopo esser stato scarcerato, l'A. faceva rientro presso il proprio domicilio e, reperiti i suoi documenti, li consegnava al proprio difensore. Quest'ultimo, avvedutosi che la data di nascita indicata nei documenti del paese di provenienza dell'A. era effettivamente quella del..., formulava ricorso per Cassazione ai sensi dell'art. 606, lett. c) deducendo la nullita' della sentenza di applicazione pena, in ragione dell'incompetenza del Tribunale ordinario di Bologna alla luce della minore eta' dell'A. al tempo di commissione del reato, come accertata successivamente alla predetta pronuncia. La Corte di Cassazione, con ordinanza del 12 gennaio 1999, dichiarava il ricorso inammissibile, ritenendo che la scelta del rito impedisse la deducibilita' della doglianza, determinando l'irrevocabilita' della sentenza impugnata. 5.2 Si ribadisce che il giudizio operato in sede di esecuzione da questo Tribunale e che fonda i dubbi di costituzionalita' esposti, non poggia su una rivalutazione di merito della vicenda processuale. L'accertamento della violazione della competenza funzionale del Tribunale per i Minorenni, infatti, e' rilevabile ictu aculi anche solo dall'esame del certificato penale dell'A., laddove egli risulta esser nato il..., come del resto confermato dal permesso di soggiorno allegato all'istanza. Tuttavia, la descrizione della vicenda de qua consente di apprezzare ulteriormente la rilevanza delle questioni poste. Nel caso esposto, l'accertamento dell'eta' e' stato quanto mai sommario. E' di tutta evidenza, infatti, che l'esame antropometrico operato, concludendo nel senso della compatibilita' dello sviluppo osseo con l'eta' di anni 18, avesse un grado di affidabilita' piuttosto limitato. E cio' tanto in generale, posto che la letteratura scientifica ha in diverse occasioni messo in dubbio l'attendibilita' di tali accertamenti, (10) quanto nel caso specifico. Non puo' sfuggire, infatti, che l'esame in questione interveniva su un soggetto che si era dichiarato poco meno che maggiorenne; situazione rispetto alla quale una misurazione antropometrica concludente nel senso di una compatibilita' dello sviluppo osseo con l'eta' di 18 anni ha, evidentemente, valore euristico pressoche' nullo. Ne' la presenza di un alias la cui data di nascita era indicata nel... poteva, peraltro, costituire un certo parametro di riferimento per sciogliere il dubbio circa l'effettiva eta' del soggetto. Ulteriore e non secondario profilo di manifesta illegittimita' del procedimento si coglie nell'esito che questo ha avuto, essendosi concluso con una sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti. Tale rito alternativo al dibattimento, come si e' gia' rilevato, e' infatti precluso in radice nel procedimento minorile. Le ragioni dell'esclusione del patteggiamento dal novero dei riti alternativi consentiti all'imputato minorenne all'epoca della commissione del fatto sono chiaramente espresse nella relazione al codice, laddove il Legislatore delegato da' atto che l'istituto in questione e' stato ritenuto "incompatibile col processo minorile" in quanto "presuppone nell'imputato una capacita' di valutazione e di decisione che richiede piena maturita' e consapevolezza". (11) Ma, ancor piu' autorevolmente, e' la stessa giurisprudenza costituzionale a fornire argomenti a sostegno della scelta legislativa. Chiamata ad esprimersi circa la legittimita' costituzionale dell'esclusione del patteggiamento dal novero dei riti alternativi consentiti al minore, con la sentenza n. 135/1995 la Corte ha rilevato la ragionevolezza della scelta legislativa precisando che tale procedimento "rispetto al minore, potrebbe condurre a risultati incoerenti rispetto all'accennata finalita' e dunque lesivi dei principi fondamentali cui si ispira la giustizia minorile invocati dal rimettente". Ulteriormente sollecitata in materia, nel rigettare le questioni di Costituzionalita' sollevate, la Corte ha ribadito con sentenza n. 272/2000 che "La scelta del legislatore di escludere espressamente tale istituto (e il decreto penale di condanna) dalle varie forme di definizione anticipata del procedimento previste dal Capo III del decreto del Presidente della Repubblica n. 448 del 1988 corrisponde quindi ad un ponderato bilanciamento tra le esigenze di economia processuale, che avrebbero consigliato di ammettere forme di "patteggiamento" anche nel procedimento a carico di imputati minorenni, e le peculiarita' del modello di giustizia minorile adottato dall'ordinamento italiano, sorretto dalla prevalente finalita' di recupero del minorenne e di tutela della sua personalita', nonche' da obiettivi pedagogico-rieducativi piuttosto che retributivo-punitivi, richiamati dal preambolo dell'art. 3 della legge-delega 16 febbraio 1987, n. 81, e dagli articoli 1 e 9 del decreto del Presidente della Repubblica n. 448 del 1988". La subvalenza delle ragioni di economia processuale rispetto alle specifiche esigenze sottese al sistema di giustizia minorile, dunque, esprime secondo la Consulta un corretto bilanciamento degli interessi costituzionali in gioco. Appare allora evidente che il procedimento a carico dell'A. si e' concluso con una pronuncia processualmente e sostanzialmente illegittima. Ne' in senso contrario potrebbe ragionevolmente opporsi la circostanza che l'imputato era assistito da un difensore e che il suo contegno ha rappresentato una "scelta processuale" idonea ad assorbire il suddetto vizio. Il difensore dell'A., infatti, era stato nominato d'ufficio, non conosceva l'imputato e non poteva dunque avere gli strumenti per accorgersi della situazione patologica in atto. Situazione patologica i cui effetti distorsivi permangono lampanti. E cio' non solo perche' l'imputato ha avuto accesso ad un rito che, ove fosse stato giudicato dal giudice competente, gli sarebbe stato precluso in radice; ma anche perche', avendo riguardo ai requisiti previsti dall'art. 444 c.p.p. per l'accesso al patteggiamento, nella situazione dedotta l'imputato non era legalmente in grado di prestare un valido consenso all'applicazione della pena. Orbene, anche sotto questo ulteriore profilo, la vicenda in esame evidenzia in modo plastico gli effetti distorsi vi della carenza normativa riscontrata e qui giudicata incostituzionale. Infine, si segnala che proprio la scorretta applicazione della normativa in tema di competenza del Tribunale per i minorenni ha consentito la carcerazione dell'A. in un istituto di pena per maggiorenni. Cio' ha determinato nei fatti una evidente lesione del diritto del minore a non essere ristretto unitamente ai maggiorenni, che trova tutela convenzionale anche alla luce dell'interpretazione che la Corte di Strasburgo ha dato dell'art. 5 §1 lett. d) CEDU. (12) In conclusione, nella vicenda in esame, la violazione riscontrata ha determinato: l'assoggettamento dell'A. a privazione della liberta' personale in regime cautelare presso un istituto per maggiorenni; l'applicazione di un rito che gli sarebbe stato precluso; la sottrazione dell'A. al giudice competente e, dunque, al complessivo sistema processuale di favore previsto per i minorenni. 5.3 Tutto cio' premesso, appare evidente che nel merito del presente giudizio sussiste uno specifico interesse del ricorrente ad una pronuncia della Corte che consenta a questo giudice di rilevare la dedotta nullita'. Anzitutto, perche' la non eseguibilita' della sentenza inciderebbe in senso a lui favorevole sul quantum della pena da porre in esecuzione in ragione del provvedimento di cumulo n. 11/20. In secondo luogo, perche' una eventuale riedizione del processo dinnanzi al giudice competente gli consentirebbe di accedere a tutto il compendio di istituti di favore previsti nel rito minorile, di cui si e' gia' dato atto. Peraltro, la rilevanza della questione non pare possa essere messa in dubbio dal fatto che nel caso in esame il ricorrente ha gia' dedotto il vizio qui lamentato con ricorso per Cassazione. Il pronunciamento della Corte di Legittimita', infatti, non pare costituire una preclusione processuale rispetto al giudizio in sede di esecuzione. Anzitutto, si rileva che la pronuncia della Cassazione nel senso dell'inammissibilita' del ricorso, non e' entrata direttamente nel merito della questione, limitandosi a sostenere che la scelta del rito contenga implicitamente una rinuncia a far valere il vizio di incompetenza. Tale argomentazione, della cui fallacia si e' gia' detto laddove si e' rilevato che l'imputato non poteva esprimere un valido consenso all'applicazione della pena, non pare comunque idonea ad esaurire l'interesse del ricorrente all'accertamento nel merito della nullita'. Peraltro, rispetto ai documenti prodotti dall'A. nel ricorso per Cassazione del 1998, il ricorrente ha prodotto ulteriore materiale probatorio, rappresentato dal permesso di soggiorno, che attesta senza ulteriore margine di dubbio la sua reale data di nascita. Ma ancor di piu' - e tale motivo si ritiene assorbente occorre rilevare che la Corte costituzionale ha ormai affermato una nozione di rilevanza giuridica della questione, che prescinde dall'eventuale diretta incidenza sull'esito del giudizio a qua. Con le parole della Consulta ", anche nella prospettiva di un piu' diffuso accesso al sindacato di costituzionalita' (messa in risalto, tra le pronunce piu' recenti, dalla sentenza n. 77 del 2018) e di una piu' efficace garanzia della conformita' a Costituzione della legislazione (profilo valorizzato, da ultimo, nella sentenza n. 174 del 2019), il presupposto della rilevanza non si identifica con l'utilita' concreta di cui le parti in causa potrebbero beneficiare a seguito della decisione (sentenza n. 20 del 2018)". (13) Secondo tale orientamento, ormai maggioritario e condiviso, il requisito di rilevanza della questione sussiste anche qualora la decisione della Corte incida anche solo nel senso di imporre al giudice a quo un diverso percorso argomentativo, pur rimanendo in ipotesi identico l'esito del giudizio. (14) Sotto questo profilo, nel quadro legislativo attuale il giudizio dovrebbe chiudersi con una declaratoria di inammissibilita' motivata sulla base della impossibilita' di rilevare la dedotta nullita' ai sensi dell'art. 670 c.p.p. Viceversa, una pronuncia della Corte nel senso auspicato, modificherebbe senz'altro l'iter argomentativo di questo giudicante, consentendogli di apprezzare anche eventuali ulteriori profili di inammissibilita', quale il verificarsi di una preclusione (che peraltro non si ritiene sussistente). 5.4 La situazione dedotta, come anticipato, puo' essere affrontata e risolta esclusivamente in sede esecutiva. La doglianza lamentata dall'A., infatti, non potrebbe fondare una domanda di revisione ex art. 629 c.p.p. e ss., non rientrando in nessuno dei casi espressamente previsti e non potendosi conciliare con la ratio dell'istituto. La revisione, infatti, mira a ristabilire la giustizia "sostanziale" lesa dalla decisione di cui si chiede la revisione, dovendo il ricorrente allegare elementi tali da dimostrare che egli debba essere prosciolto. Situazione che non ricorre nel caso di cui ci si occupa, in quanto la circostanza lamentata dall'A. non implica necessariamente che il giudizio dinnanzi all'organo competente si concluda con una pronuncia di proscioglimento. Viceversa, il giudizio di esecuzione, come sede ove si opera il controllo sulla legittimita' del titolo esecutivo, appare quello piu' confacente alla situazione dedotta, in cui e' la radicale nullita' del titolo ad essere in discussione. Tuttavia, la lettera dell'art. 670 c.p.p., nel non consentire a questo Tribunale di rilevare siffatto vizio, evidenzia una lacuna che lascerebbe l'imputato privo di qualsiasi tutela. Sotto questo profilo, si ritiene che un eventuale pronunciamento nel senso auspicato da parte della Corte adita non lederebbe le prerogative del Legislatore, palesandosi come unica soluzione costituzionalmente congrua a porre rimedio al vulnus riscontrato. 6. Prima di procedere ad esaminare il profilo della non manifesta infondatezza, si concedano alcune considerazioni. Si ritiene che l'assenza di un rimedio riparatorio, piuttosto che espressione di un'implicita volonta' di precludere un controllo siffatto, sia il frutto di una mera dimenticanza del Legislatore. Appare, infatti, quanto mai curioso che quest'ultimo, dopo aver elaborato il rigido sistema descritto ed essersi preoccupato che raccordo tra le due procedure fosse tale da garantire la massima espansione del rito minorile, anche in ipotesi di dubbio sull'eta', abbia deciso sic et simpliciter di consentire l'elusione della disciplina prevista per i minorenni realizzata dal passaggio in giudicato della sentenza che abbia violato le attribuzioni del Tribunale Minorile e sottratto all'imputato i diritti e le garanzie di natura costituzionale riconosciutegli dalla legge. Piu' ragionevole, viceversa, ipotizzare che il Legislatore, confidando anche nella corretta applicazione delle norme di raccordo tra i due sistemi, non si sia rappresentato l'ipotesi che si potesse mai giungere all'esito cui e' pervenuto il procedimento di cui oggi si tratta. Del resto, occorre anche far presente che il Legislatore e' intervenuto in materia in un'epoca in cui l'accertamento sull'eta' dell'imputato era ragionevolmente piu' agevole. A fronte di un'organizzazione statale idonea a garantire il controllo anagrafico dei cittadini, quale indubbiamente e' quella italiana, le situazioni che possono porre e - come dimostra la vicenda sottoposta a questo Tribunale - pongono problemi di accertamento dell'effettiva eta' dell'indagato/imputato, riguardano in massima parte soggetti stranieri. Orbene, i mutamenti che hanno interessato la composizione del tessuto sociale, in particolare il massiccio flusso migratorio degli ultimi decenni, in sede di elaborazione del codice del 1988 erano fenomeni ancora troppo marginali perche' il Legislatore potesse percepirli e tenerne conto. Tuttavia, pur ritenendo che la carenza di disciplina evidenziata sia frutto di una mera svista, non si puo' eludere il confronto con il dato normativa e, in particolare, con l'art. 670 c.p.p. nella sua attuale formulazione. 7. Cio' premesso in punto di rilevanza, la lacuna normativa riscontrata appare a questo Tribunale confliggere con diversi principi costituzionali, facendo emergere il fondato dubbio che l'art. 670 c.p.p. possa ritenersi non conforme a Costituzione nella parte in cui non consente al giudice dell'esecuzione di rilevare la nullita' della sentenza costituente titolo esecutivo per violazione della competenza funzionale del Tribunale per i Minorenni. 7.1 Un primo profilo di illegittimita' costituzionale si rileva rispetto all'art. 3 Cost., espressivo del principio di uguaglianza formale (c. 1) e sostanziale (c. 2). Nell'interpretazione offerta dalla Consulta di tale norma e' stato precisato che sussiste violazione del principio di uguaglianza, non solo laddove il Legislatore preveda un diverso trattamento per situazioni omogenee, ma anche nel caso in cui la legge assoggetti alla medesima disciplina situazioni che no sono assimilabili. Secondo l'insegnamento della Corte, le eventuali disparita' di' trattamento previste dalla legge (o a contrario l'eventuale assoggettamento a disciplina unitaria) per essere conformi a Costituzione devono poggiare su un giudizio di ponderazione degli interessi costituzionali in gioco che consenta di connotare la scelta legislativa in termini di ragionevolezza, sub specie della proporzionalita', adeguatezza e ragionevolezza in senso stretto del bilanciamento operato dal Legislatore. Sotto questo profilo, la norma della cui costituzionalita' si dubita appare prestare il fianco al rilievo che, limitando i poteri di controllo del giudice dell'esecuzione sul titolo esecutivo, essa prevede un indifferenziato trattamento per le ipotesi di nullita' derivanti da violazione delle norme procedurali sulla competenza maturate nel giudizio per gli imputati maggiorenni e la nullita' derivante dalla violazione dell'art. 3, decreto del Presidente della Repubblica n. 448/1988, che sarebbero indistintamente sanate dall'intervento del giudicato. Tale parificazione appare a questo Tribunale manifestamente irragionevole. Posto che il principio dell'intangibilita' del giudicato non trova un esplicito riconoscimento in Costituzione - rappresentando piuttosto un principio generale che esprime un'esigenza di chiusura del sistema giuridico nel suo complesso - recentemente la giurisprudenza di legittimita' ne ha individuato un possibile riferimento costituzionale nell'art. 111 Cost., quale predicato del principio di "ragionevole durata del processo". Secondo la citata giurisprudenza, impedendo la rivedibilita' di quanto stabilito nella sentenza irrevocabile, l'intangibilita' del giudicato tutelerebbe il diritto dell'imputato a non essere sottoposto per troppo tempo allo stress del procedimento e del processo penale. (15) Per altro verso, la dottrina riconosce al giudicato una funzione di garanzia per l'imputato contro il divieto di bis in idem. Precludendo un ulteriore pronunciamento dopo l'intervenuta definitivita' della sentenza, infatti, il giudicato impedirebbe di aggravare ex post quanto cristallizzato nella res iudicata. Tali argomenti, tuttavia, poggiano su una lettura pro-reo del principio del giudicato, intesa a tutelarne i diritti avverso la pretesa punitiva dello Stato, e non pare possano essere spesi nel caso in cui il giudicato consenta viceversa la cristallizzazione e l'attuazione di un decisum palesemente illegale - illegittimo. In questi casi, il principio in questione si pone in contrasto con altrettanto primari valori costituzionali e deve essere, dunque, essere oculatamente bilanciato con essi. Sotto questo profilo, la scelta legislativa di prediligere sempre la certezza del diritto-ragionevole durata del processo alla regolarita' formale della sentenza sub specie dell'incompetenza del giudice una volta che la pronuncia sia divenuta irrevocabile, puo' ritenersi astrattamente legittima, a parere di questo Tribunale, solo se riferita ad irregolarita' maturate all'interno del procedimento, per cosi' dire, "ordinario". L'eventuale incompetenza del giudicante, infatti, pur se vizio particolarmente grave dell'atto, non appare in tal caso idonea ad incidere sul procedimento e sulla decisione finale in modo cosi' significativo da giustificare la sua rilevabilita' anche oltre il giudicato. A fronte di un'irregolarita' siffatta, le garanzie processuali, i possibili esiti del processo, le regole di fondo dell'attivita' giurisdizionale svolta e di giudizio rimangono all'evidenza omogenee. Sicche' non sembra che la violazione della competenza possa tradursi ipso facto in una lesione talmente grave da attingere i diritti fondamentali del condannato, al punto da richiedere una necessaria prevalenza di tali istanze sull'esigenza di intangibilita' del giudicato. Viceversa, per le considerazioni gia' spese sulla necessita' costituzionale della giustizia penale minorile e sulle specificita' del relativo rito, l'eventuale sottrazione del minore alta competenza del Tribunale per i Minorenni non si risolve in una mera questione formale, ma si riverbera sull'intero impianto processuale e financo sostanziale della decisione resa. Anzitutto perche', consentendo l'aggiramento della procedura propria del minore, lede direttamente i diritti costituzionalmente e convenzionalmente riconosciuti all'imputato minorenne, alla cui tutela il processo minorile e' preposto. In secondo luogo, perche', anche in punto di diritto sostanziale, preclude al minore istituti quali il perdono giudiziale e l'applicazione della specifica circostanza attenuante della minore eta' prevista all'art. 98 c.p. La sentenza cosi' emessa, dunque, si colorerebbe delle fosche tinte dell'illegalita' manifesta anche in punto di trattamento sanzionatorio. Alla luce della rilevata non omogeneita' delle situazioni sostanziali sottese e degli interessi costituzionali in gioco (in particolare dei gia' richiamati gli articoli 31 comma 2 Cost. e 27 comma. 3 Cost.), la parificazione della nullita' in esame agli altri errores in procedendo operata dalla lettera dell'art. 670 c.p.p. appare non esprimere un'adeguata ponderazione della scelta legislativa, rilevandosi intrinsecamente arbitraria, sproporzionata e manifestamente irragionevole. In questi termini, dunque, si ritiene non manifestamente infondato il dubbio di costituzionalita' della norma censurata rispetto all'art. 3 Cost. 7.2 Ulteriore profilo di frizione della disciplina prevista all'art. 670 c.p.p. con la Carta Costituzionale pare doversi cogliere con riferimento all'art. 10 Cost., laddove prevede che l'ordinamento giuridico italiano si debba conformare alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute. Che la tutela del minore sia espressione di un principio generalmente riconosciuto in ambito internazionale puo' agevolmente trarsi dalle numerose fonti in materia: sin dalla "Dichiarazione dei diritti del bambino", adottata dalla Quinta Assemblea Generale della Lega delle Nazioni nel 1924, passando per la "Dichiarazione universale dei diritti del fanciullo" delle Nazioni Unite del 1959, arrivando, con particolare riferimento alla condizione processuale del minore, alle gia' citate "Regole di Pechino" del 1985 ed alla Raccomandazione del Consiglio d'Europa n. 87/20, i cui principi hanno orientato anche il Legislatore delegato. Occorre dare inoltre atto che l'attenzione alle esigenze del minore dinnanzi al potere giudiziario ha avuto, negli anni successivi all'approvazione del codice, ulteriore e significativo sviluppo. Basti solo citare, senza pretesa di esaustivita', la gli articoli 37 lett. d) (16) e 40 (17) della "Convenzione internazionale sui diritti dell'infanzia" adottata a New York dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989 e ratificata in Italia con legge n. 176 del 27 maggio 1991 - testo fondamentale in materia, risultando ad oggi il trattato con il maggior numero di ratifiche al mondo (192) - e le "Linee guida del Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa" per una giustizia a misura di minore "adottate dal Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa" il 17 novembre 2010, all'interno del Programma del Consiglio d'Europa "Costruire un'Europa per e con i bambini". Tale ultima fonte, in particolare, sottolinea in diversi passaggi la necessita' di garantire piena effettivita' alla tutela del minore all'interno della dinamica processuale, assicurando all'interno del Consiglio "sistemi giudiziari che garantiscono il rispetto e l'effettiva attuazione di tutti i diritti dei minori al piu' alto livello possibile, tenendo presenti i principi indicati qui in appresso e prendendo in debita considerazione il livello di maturita' e di comprensione del minore nonche' le circostanze del caso. Si tratta, in particolare, di una giustizia accessibile, adeguata all'eta', rapida, diligente, adatta alle esigenze e ai diritti del minore e su di essi incentrata, nel rispetto dei diritti del minore, tra cui il diritto al giusto processo, alla partecipazione e alla comprensione del procedimento, al rispetto della vita privata e familiare, all'integrita' e alla dignita'". Da un esame congiunto delle fonti citate sembrano doversi trarre alcuni principi generali, tra cui: la necessita' che il minore sia giudicato da un'autorita' competente e specializzata, (18) secondo un rito che sia modellato in funzione dell'interesse superiore del minore e tenga conto della sua condizione, in cui vi sia minimo ricorso alla carcerazione e che preveda strumenti di fuoriuscita dal processo al fine di evitare l'effetto stigmatizzante del procedimento penale. Tutti principi cui sembra fornire adeguata attuazione il processo minorile disciplinato dal decreto del Presidente della Repubblica n. 448/1988. Orbene, appare di tutta evidenza che consentire un aggiramento delle tutele ivi previste per il minore attraverso lo "scudo" del giudicato e, di conseguenza, autorizzare l'esecuzione della pena resa da un giudice incompetente a giudicare chi all'epoca dei fatti era minorenne, si porrebbe in palese contrasto con l'effettivita' delle garanzie riconosciute al minore dal diritto internazionale. Sotto questo profilo dunque, si rileva la non manifesta infondatezza del dubbio di illegittimita' costituzionale dell'art. 670 c.p.p. con riferimento all'art. 10 Cost. 7.3 Proseguendo, l'art. 670 c.p.p. appare altresi' censurabile rispetto agli articoli 13 Cost. e 117 Cost., in riferimento all'art. 5 CEDU, laddove le citate norme affermano il principio di inviolabilita' della liberta' personale e individuano criteri di legalita' della detenzione a livello costituzionale e convenzionale. Non puo' non sfuggire, infatti, che in un'ottica sistematica e costituzionalmente orientata l'esecuzione della pena rappresenta il momento culminante del procedimento penale, in cui si realizza in concreto la privazione della liberta' personale. Nell'esecuzione, infatti, la forza giuridica dei provvedimenti giurisdizionali si tramuta in forza effettiva che incide direttamente sul bene costituzionale in esame. Sul punto, l'art. 13 Cost. stabilisce che non e' consentita alcuna farina di detenzione se non per atto motivato dell'autorita' giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge. Pur se la norma costituzionale si limita ad affermare la necessita' che l'atto dell'autorita' giudiziaria idoneo a determinare una restrizione della liberta' personale sia sorretto da motivazione, senza esplicitare eventuali ulteriori requisiti di legittimita' dello stesso, il riferimento ai "casi e modi previsti dalla legge" porterebbe a ritenere che la legalita' della detenzione debba potersi apprezzare anche sotto il profilo della legalita' della pronuncia di condanna. In altri termini, l'illegalita' del provvedimento che dispone la restrizione del condannato, non puo' non riverberarsi anche sul giudizio di legalita' della sua detenzione. Pur dovendo ammettersi che nell'attivita' giurisdizionale sussistano sempre spazi di discrezionalita' valutativa e che, dunque, una quota di fallibilita' del giudizio sia ineliminabile, un ordinamento ispirato all'inviolabilita' della liberta' personale non dovrebbe poter consentire l'esecuzione di un provvedimento che si manifesti ictu oculi e, senza necessita' di valutazioni nel merito, affetto da nullita' radicale. In tal senso, peraltro, sovviene anche il disposto dell'art. 5 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, che - secondo il noto orientamento della Consulta espresso nelle sentenze 348 e 349 del 2007 - si colloca nel sistema delle fonti quale parametro di legittimita' interposto alla luce del richiamo operato dall'art. 117 Cost. L'art. 5, rubricato "Diritto alla liberta' e alla sicurezza" contiene una serie di enunciazioni di principi e di diritti che delimitano lo statuto convenzionale della privazione della liberta' personale, stabilendo che questa non possa considerarsi conforme alla Convenzione se non nei modi previsti dalla legge e "nei casi seguenti" espressamente indicati. A tale enunciazione segue, dunque, un elenco che fissa i parametri di legalita' della detenzione e dell'arresto, a qualsiasi titolo operati. Tra le ipotesi esplicitate dalla norma, per quel che e' di interesse in questa sede, deve rilevarsi il disposto della lett. a) laddove si prevede che la privazione della liberta' personale e' legittima se il condannato e' "detenuto regolarmente in seguito a condanna da parte di un tribunale competente". La Convenzione, dunque, pur rinviando agli ordinamenti degli Stati aderenti la definizione delle regole di attribuzione della competenza, pare sancire espressamente che la competenza del giudice che ha emesso il provvedimento rappresenti presupposto indefettibile per affermare la legalita' convenzionale della detenzione. Sotto questo profilo, si segnala che nell'interpretazione fornita dalla Corte di Strasburgo dell'art. 5 § 1 lett. a) CEDU in merito al requisito della "competenza", la Corte ha riscontrato violazione del principio convenzionale nel caso in cui la composizione del giudicante che ha emesso la sentenza non sia quella stabilita per legge. In particolare, ne] caso Yefimenko v. Russia, nell'affermare la violazione dell'art. 5 § 1 CEDU, la Corte ha censurato il fatto che l'organo giudicante che aveva reso la pronuncia che aveva comportato la detenzione dell'imputato, pur avendo in astratto competenza sul caso, aveva seduto in una composizione diversa da quella prevista per legge. (19) In questo senso, non puo' tacersi che la violazione censurata dalla Corte sotto il profilo della "competenza" nel caso richiamato riguardava un'ipotesi che nel nostro ordinamento rappresenterebbe un vizio attinente alle condizioni di capacita' del giudice ed alla composizione dei collegi. Vale a dire l'ipotesi di nullita' ex art. 178, comma 1, lett. a), che si realizza proprio nel caso di violazione della competenza funzionale del Tribunale per i Minorenni. L'art. 5, peraltro, contiene al § 4 un'ulteriore previsione di sicuro interesse per il caso di cui ci si occupa. Stabilisce, infatti, la norma che ogni persona privata della liberta' personale mediante arresto o detenzione ha diritto di indirizzare ricorso ad un tribunale che possa decidere sulla "legalita' della sua detenzione e ne ordini la scarcerazione se la detenzione e' illegale". La possibilita' di provocare il sindacato di un giudice sulla legalita' della propria detenzione, da valutarsi alla luce dei parametri esplicitati nei commi precedenti, rappresenta dunque un diritto convenzionalmente garantito al soggetto che sia a qualsiasi titolo privato della liberta' personale. In quest'ottica, l'art. 670 c.p.p., nel limitare il sindacato del giudice dell'esecuzione alla mera esistenza del titolo o alla sua definitivita', opera una scelta che pare sacrificare tout court sull'altare del giudicato la liberta' personale del condannato ed il suo diritto a far accertare la legalita' della propria detenzione. E cio' anche in ipotesi, come quella del caso in esame, in cui l'illegalita' procedurale realizzata dalla violazione della competenza del giudice sia talmente grave e manifesta da minare alla radice l'atto della cui esecuzione si tratta. Alla luce della ricostruzione operata, appare non manifestamente infondato il dubbio che la norma si ponga in contrasto con gli articoli 13 Cost. e 5 CEDU, richiamato come parametro interposto di costituzionalita' ai sensi dell'art. 117 Cost. 7.4 Infine, l'art. 670 c.p.p. pare prestare il fianco a rilievi anche quanto alla sua compatibilita' con l'art. 25, comma 1 Cost., laddove, consentendo l'eseguibilita' di una pena fondata su una sentenza emessa in violazione della competenza funzionale del Tribunale per i Minorenni, permetterebbe l'elusione del principio del giudice naturale precostituito per legge. Per le considerazioni che si sono sin qui svolte, infatti, dovrebbe essere ormai superfluo ribadire che il giudice naturale del minore e' il Tribunale per i Minorenni e non un qualsiasi altro giudice dell'ordinamento giudiziario. 8. Cio' premesso in ordine alla rilevanza ed alla non manifesta infondatezza delle questioni poste, si deve altresi' rilevare che i numerosi dubbi emersi non potrebbero essere superati da questo Tribunale attraverso un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 670 c.p.p., il cui dato letterale pare precludere spazi ad operazioni ermeneutiche in tal senso. La norma, infatti, recita testualmente: "Quando il giudice dell'esecuzione accerta che il provvedimento manca o non e' divenuto esecutivo, valutata anche nel merito l'osservanza delle garanzie previste nel caso di irreperibilita' del condannato, lo dichiara con ordinanza e sospende l'esecuzione, disponendo, se occorre, la liberazione dell'interessato e la rinnovazione delta notificazione non validamente eseguita. In tal caso decorre nuovamente il termine per l'impugnazione". Il dettato normativo circoscrive abbastanza precisamente i limiti del sindacato del giudice dell'esecuzione. In particolare, laddove specifica che questi possa valutare anche nel merito la sola osservanza delle norme sull'irreperibilita', pare stabilire una disciplina eccezionale che sottintende la generale indeducibilita' di altri vizi attinenti al merito processuale o sostanziale del titolo. Ne' potrebbe considerarsi praticabile un'interpretazione che, facendo leva sulla rilevata manifesta nullita' della sentenza per i profili gia' evidenziati, si spingesse al punto di ritenere che il vizio dedotto possa assurgere ad un'ipotesi di "mancanza" del titolo sulla base di un giudizio di assimilazione tra nullita' radicale ed inesistenza della pronuncia. Tale approdo ermeneutico, infatti, si porrebbe evidentemente in aperto contrasto con il dettato normativo. Si ritiene, dunque, necessario un pronunciamento dell'adita Corte che, accogliendo la questione sottoposta, consenta a questo Tribunale di rilevare la nullita' della sentenza e, conseguentemente, dichiarare la non eseguibilita' della stessa in quanto in idonea a fondare valido titolo esecutivo. (1) "Quando il giudice dell'esecuzione accerta che il provvedimento manca o non e' divenuto esecutivo, valutata anche nel merito l'osservanza delle garanzie previste nel caso di irreperibilita' del condannalo, lo dichiara con ordinanza e sospende l'esecuzione, disponendo, se occorre, la liberazione dell'interessato e la rinnovazione della notificazione non validamente eseguita. In tal caso decorre nuovamente il termine per l'impugnazione". (2) Cass., Sez. I, n. 31854 del 16/07/2019 che richiama Cass., Sez. I, n. 5880 dell'11/12/2013, RV. 258765; ex pluribus cfr. Cass. Sez. I n. 8776 del 28/01/2008, RV. 239509, secondo cui "le nullita' asseritamente incorse nel giudizio di cognizione non possono essere fatte valere con l'incidente di esecuzione, che affida al giudice soltanto il controllo sull'esistenza del titolo esecutivo e sulla legittimita' della sua emissione". (3) Cass. Sez. I, n. 10577 dell'08/02/2019 "il giudicato sana anche le nullita' assolute prodottesi nel processo di cognizione. Si e' ripetutamente affermato che in sede di esecuzione, il giudice deve limitare il proprio accertamento alla regolarita' formale e sostanziale del titolo su cui si fonda l'esecuzione, non potendo attribuire rilievo alle nullita' eventualmente verificatesi nel corso del processo di cognizione in epoca precedente al passaggio in giudicato della sentenza. che devono essere fatte valere con i mezzi di impugnazione (Sez. I, n. 16958 del 23/02/2018 - dep. 16/04/2018, Esposito, Rv. 27260401: Sez. I. n. 5880 dell'11/12/2013 - dep. 06/02/2014, Amore, Rv. 25876501): la cosa giudicata si forma anche nei confronti di provvedimenti affetti da nullita' assoluta (Sez. I. n. 3370 del Corte di Cassazione - copia non ufficiale 13/12/2011 - dep. 27/01/2012, Comisso Fiore, Rv. 251682)". (4) Si riporta parte del testo della Sentenza Costituzionale n. 222/1983, nella quale si da' atto, a titolo riepilogativo, dei piu' significativi precedenti della Consulta in tema di giustizia minorile: "nella sentenza n. 25 del 1964 aveva osservato come la giustizia minorile abbia una particolare struttura "in quanto e' diretta in modo specifico alla ricerca delle forme piu' adatte per la rieducazione dei minorenni" ha hanno fatto in proposito richiamo, nella sentenza n. 46 del 1978, alla "necessita' di valutazioni del giudice fondale su prognosi ovviamente individualizzare in ordine alla prospettiva di recupero del minore deviante", nell'ambito di quella "protezione della gioventu'", che trova fondamento nell'ultimo comma dell'art. 31 della Costituzione. La "tutela dei minori" si colloca cosi' tra gli interessi costituzionalmente garantiti, come questa Corte ha sottolineato in varie pronunce (sentenze n. 25 del 1965, nn. 16 e 17 del 1981); ed il tribunale per i minorenni, considerato nelle sue complessive attribuzioni, oltre che penali, civili ed amministrative, ben puo' essere annoverato tra quegli "istituii" dei quali la Repubblica deve favorire lo sviluppo ed il funzionamento, cosi' adempiendo al precetto costituzionale che la impegna alla "proiezione della gioventu'". A conferma di gale configurazione stanno la particolare struttura del collegio giudicante (composto, accanto ai magistrati togati, da esperti, benemeriti dell'assistenza sociale, scelti fra i cultori di biologia, psichiatria, antropologia criminale, pedagogia, psicologia), gli altri organi che ne preparano o fiancheggiano l'operato, nonche' le peculiari garanzie che assistono l'imputato minorenne nell'iter processuale davanti all'organo specializzato. E sullo cio', appunto, in vista dell'essenziale finalita' del "recupero del minore deviante", mediante la sua rieducazione ed il suo reinserimento sociale, in armonia con la meta additata dal terzo comma dell'art. 27 della Costituzione, nonche' dell'art. 14, paragrafo 4, del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici (adottato a New York il 19 dicembre 1966 e la cui ratifica ed esecuzione sono state disposte con legge 25 ottobre 1977, n. 881), a norma del quale la procedura applicabile ai minorenni rispetto alla legge penale dovra' tener conto della loro eta' e dell'interesse a promuovere la loro rieducazione. (5) C. Cost. n. 17/1981 "La competenza del Tribunale per i minorenni e la speciale disciplina del processo minorile sono dirette al conseguimento di finalita' di tutela del minore". (6) Le "Regole di Pechino" all'art. 5 prevedono che "Il sistema di giustizia minorile deve avere per obiettivo la tutela del giovane ed assicurare che la misura adottata nei confronti del giovane sia proporzionale alle circostanze del reato e all'autore dello stesso.". L'art. 14, in tema di competenza, stabilisce invece che "Se il caso di un giovane che delinque non puo' essere oggetto di una procedura extra-giudiziaria (previsto dall'art. 11) esso sara' esaminato dall'autorita' competente (corte, tribunale, commissione, consiglio. ecc.) secondo il principio di un processo giusto ed equo. La procedura seguita deve tendere a proteggere al meglio gli interessi del giovane che delinque e deve svolgersi in un clima di comprensione, permettendogli di parteciparvi e di esprimersi liberamente". (7) Tali soluzioni, peraltro, si limitano a recepire le indicazioni contenute in precedenti arresti della Consulta, che avevano gia' scolpito la necessita' di evitare l'operativita' della connessione rispetto ai minorenni. Cfr. in particolare C. Cost. 198/1972 e C. Cost. 222/1983. (8) Cfr. Cassazione penale sez. V, 02/03/2018, n. 15723 "I reati di competenza del GdP se commessi da minorenne sono di competenza del Tribunale per i minorenni (Annulla con rinvio, App. Sez. Minorenni Bari, 23/06/2017) Il Tribunale per i minorenni e' competente a giudicare i reali altrimenti di competenza del Giudice di pace se commessi da persona minore di eta', ma deve in tal caso irrogare le pertinenti sanzioni previste dal decreto legislativo n. 274 del 200". Fonte: CED Cass. pen. 2018 - Conformi: In senso conforme: Cass. Pen., sez. 05, del 26/04/2005, n. 22680 - In senso conforme: Cass. Pen., sez. 05, del 03/04/2013, n. 35247. (9) Cassazione penale sez. V, 19/02/2018, n. 16751 "Il procedimento e' sottoposto a scissione se i reati uniti in continuazione sono stati commessi prima e dopo la maggiore eta' (Annulla con rinvio, App. Milano, 14/09/2010) Qualora all'imputato si contesti la commissione di una pluralita' di reati avvinti dalla continuazione, alcuni dei quali commessi quando il soggetto era minorenne ed altri dopo il raggiungimento della maggiore eta', deve operarsi la scissione del procedimento, in modo da attribuire la competenza a giudicare i primi episodi al tribunale per i minorenni e la competenza a giudicare gli altri episodi al tribunale ordinario." Fonte: CED Cass. Pen. 2018 - Conformi: In senso conforme: n. 18033 del 2004 - In senso conforme: Cass. Pen., sez. 02, del 13/02/2009, n. 8352 - Vedi: vedi anche: n. 54996 del 2016 - Fonti Normative: D.P.R. 22 settembre 1988 n. 448, art. 3 - Codice penale, Art. 81 - Codici commentati: Codice Penale, Art. 57 - Codice Penale, Art. 595. (10) Seppure la Corte di Cassazione abbia (spesso apoditticamente) ribadito la validita' del metodo in questione, voci critiche si sono levate soprattutto nella letteratura scienti fica di riferimento. In particolare, nelle scienze mediche e' stata piu' volte rilevata la differenza tra eta' anagrafica ed eta' biologica. Basti, per brevita', richiamare l'articolo "Alcune considerazioni sull'uso forense dell'eta' biologica" a firma di L. Benso e S. Milani, ove si rileva che "l'ampia e inevitabile variabilita' nella maturazione osservabile tra soggetti coetanei di simili condizioni di urla e di salute, e appartenenti alla stessa etnia e classe sociale (variabilita' biologica) comporta che il 94% dei soggetti con una data maturazione scheletrica ha eta' cronologica compresa in ara intervallo di ±2 anni attorno all'eta' inedia corrispondente a tale grado di maturazione. L'entita' di questa variabilita' biologica deve essere sempre indicala nel referto, che, in caso contrario. non ha significato dal punto di vista scientifico". Sul punto, peraltro, anche la circolare 9.7.2007, prot. 17272/7 del Ministero dell'Interno, in tema di accertamento dell'eta' degli stranieri, con riferimento al metodo dell'esame antropometrico mediante RX al polso, indica che "tali accertamenti non forniscono di regola risultati esalti, limitandosi ad indicare la fascia di eta' compatibile con i risultati ottenuti, puo' accadere che il margine di errore comprenda al suo interno sia la minore che fa maggiore eta'. Il Comitato sui diritti dell'infanzia dell'UNICEF nell'affermare l'importanza prioritaria della valutazione dell'eta' del minore in modo scientifico, sicuro e rispettoso dell'eta', del sesso, dell'integrita' fisica e della dignita' del minore, raccomanda, in casi incerti, di "accordare comunque alla persona il beneficio del dubbio, trattandola come se fosse un bambino". (11) Cfr. pag. 221 della Relazione. (12) Si abbia riferimento a A. and Others v. Bulgaria, § 69 e D.G. V. Ireland, § 79 "If the State has chosen a system of educational supervision involving o deprivation of liberty, it is obliged to put in place appropriate institutional facilities which meet the security and educational demands of that system in order to satisfy the requirements of Article 5 § 1 d)". (13) C. Cost 253/2020. (14) Tra le piu' recenti e significative si guardi C. Cost. 253/2020 "nell'ipotesi di accoglimento delle sollevate questioni, il giudice a quo dovrebbe decidere secondo una diversa regola di giudizio, attingendola dalla disciplina di riferimento, privata della norma in ipotesi dichiarata incostituzionale. E quand'anche l'esito del giudice a quo sia il medesimo - la non concessione del permesso premio - la pronuncia di questa Corte influirebbe di certo sul percorso argomentativo che il rimettente dovrebbe a questo punto seguire per decidere sulla richiesta". (15) Cass. SS.UU. 24 ottobre 2013 n. 18821. (16) "i fanciulli privati di liberta' abbiano diritto ad avete rapidamente accesso ad un'assistenza giuridica o ad ogni altra assistenza adeguata, nonche' il diritto di contestare la legalita', della loro privazione di liberta' dinanzi un tribunale o altra autorita' competente, indipendente ed imparziale, ed una decisione sollecita sia adottata in materia." (17) In particolare il comma 3 prevede che: "Gli Stati Parti si sforzano di promuovere la adozione di leggi, di procedure, la costituzione di autorita' e di istituzioni destinate specificamente ai fanciulli sospettati, accusati o riconosciuti colpevoli di aver commesso reato, ed in particolar modo: A) di stabilire un'eta' minima al di sotto della quale si presume che i fanciulli non abbiano la capacita' di commettete reato; B) di adottare provvedimenti ogni qualvolta cio' sia possibile ed auspicabile per trattare questi fanciulli senza ricorrere a procedure giudiziarie rimanendo tuttavia inteso che i diritti dell'uomo e le garanzie legali debbono essere integralmente rispettate. 4. Sara' prevista tutta una gamma di disposizioni concernenti in particolar modo le cure, l'orientamento, la supervisione, i consigli, la liberta' condizionata, il collocamento in famiglia, i programmi di formazione generale e professionale, nonche' soluzioni alternative all'assistenza istituzionale, in vista di assicurare ai fanciulli un trattamento conforme al loro benessere e proporzionato sia alla loro situazione che al reato." (18) Cfr. Art. 63 delle "Linee guida del Comitato dei ministri dei Consiglio d'Europa per una giustizia a misura di minore": "Per quanto possibile, dovrebbero essere istituiti tribunali (o sezioni) speciali, procedure e istituzioni per i minori in conflitto con la legge. Cio' potrebbe comprendere l'istituzione di unita' speciali in seno alla polizia, alla magistratura, al sistema giudiziario e alla procura". (19) Si veda il caso Yefimenko v. Russia, §§ 109-11, ove la Corte afferma che "A court is not "competent" if its composition is not "established by law".
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87. Ritenuta la rilevanza e la non manifesta infondatezza, solleva, nei termini indicati, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 670 del codice di procedura penale per violazione degli articoli 3 Cost., 10 Cost., 25 c. 1 Cost., e 117 Cost., in riferimento all'art. 5 § 1 lett. a) e § 4 CEDU, nella parte in cui non consente al giudice dell'esecuzione di rilevare la nullita' della sentenza di merito passata in giudicato derivante dalla violazione della competenza funzionale del Tribunale per i Minorenni. Sospende il giudizio in corso sino all'esito del giudizio incidentale di legittimita' costituzionale. Dispone che, a cura della cancelleria, gli atti siano immediatamente trasmessi alla Corte costituzionale, e che la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa ed al pubblico ministero, nonche' al Presidente del Consiglio dei ministri, e che sia anche comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Bologna, 23 dicembre 2020 Il Giudice: Barbensi