N. 65 ORDINANZA (Atto di promovimento) 20 gennaio 2021

Ordinanza  del  20  gennaio  2021  del  Tribunale   di   Verona   nel
procedimento penale a carico di X. I. . 
 
Processo penale - Incompatibilita' del giudice  determinata  da  atti
  compiuti nel procedimento - Giudizio di rinvio dopo  l'annullamento
  da parte della Corte di cassazione - Incompatibilita' a partecipare
  al giudizio di rinvio in capo al giudice dell'esecuzione che  abbia
  pronunciato  ordinanza  di  rigetto  (o  di   accoglimento)   della
  richiesta di rideterminazione della pena avanzata a  seguito  della
  declaratoria  di  illegittimita'  costituzionale   di   una   norma
  incidente  sulla  commisurazione  del  trattamento   sanzionatorio,
  annullata dalla Corte di cassazione - Mancata previsione. 
- Codice di procedura penale, artt. 34 e 623, comma 1, lettera a). 
In via subordinata: Processo penale -  Incompatibilita'  del  giudice
  determinata da atti compiuti nel procedimento - Giudizio di  rinvio
  dopo  l'annullamento  da  parte  della  Corte   di   cassazione   -
  Incompatibilita' a partecipare al giudizio di  rinvio  in  capo  al
  giudice dell'esecuzione che abbia pronunciato ordinanza di  rigetto
  (o di accoglimento) della richiesta di rideterminazione della  pena
  avanzata   a   seguito   della   declaratoria   di   illegittimita'
  costituzionale, ad opera della sentenza n. 40 del  2019,  dell'art.
  73, comma 1, del d.P.R. n. 309 del 1990 - Mancata previsione. 
- Codice di procedura penale, artt. 34 e 623, comma 1, lettera a). 
(GU n.20 del 19-5-2021 )
 
                   TRIBUNALE CIVILE E PENALE VERONA 
            Ufficio del giudice per indagini preliminari 
 
    Il giudice per le indagini preliminari  presso  il  Tribunale  di
Verona, in funzione di giudice dell'esecuzione, dott.ssa Livia  Magri
nel procedimento n. 259/2020 SIGE a carico di X. I., nato in  ...  il
... attualmente detenuto presso la Casa circondariale di  ...  difeso
dall'avv.  Fabrizio  Cardinali  del  Foro  di  Novara   di   fiducia,
condannato con sentenza ex art. 444 del codice  di  procedura  penale
del giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Verona
n. 3028/2018, irrevocabile  l'11  gennaio  2019  alla  pena  di  anni
quattro mesi dieci di reclusione ed euro 25.000 di multa in ordine al
reato di cui  agli  articoli  73,  comma  1  e  80  del  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 309/1990 commesso in ... il ...; 
    Solleva d'ufficio, con la presente ordinanza, ai sensi  dell'art.
1 della legge costituzionale n. 1 del 1948 e 23, comma 3, legge n. 87
del 1953, questione di legittimita' costituzionale degli articoli  34
e 623, comma 1, lettera a),  del  codice  di  procedura  penale,  per
contrasto con gli articoli 3 e 111 della Costituzione, nella parte in
cui non prevedono l'incompatibilita' a  partecipare  al  giudizio  di
rinvio in capo  al  giudice  dell'esecuzione  che  abbia  pronunciato
ordinanza  di  rigetto  (o  di  accoglimento)  della   richiesta   di
rideterminazione della pena avanzata a seguito della declaratoria  di
illegittimita' costituzionale di una norma -  in  particolare  l'art.
73, comma 1, decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990,  ad
opera della sentenza della Corte costituzionale  n.  40  del  2019  -
incidente  sulla  commisurazione   del   trattamento   sanzionatorio,
annullata dalla Corte di cassazione. 
1. La vicenda processuale. 
    In data 3 maggio 2018 il G.I.P. presso il Tribunale di Verona (in
persona di questo stesso giudice) emetteva nei  confronti  di  X.  I.
sentenza ex  art.  444  codice  di  procedura  penale  n.  3028/2018,
irrevocabile in data 11 gennaio 2019, di applicazione della  pena  di
anni quattro mesi dieci di reclusione ed euro  25.000  di  multa  per
violazione dell'art. 73, comma 1 e 80, decreto del  Presidente  della
Repubblica n. 309/1990 in relazione alla detenzione a fini di spaccio
di sostanza stupefacente del tipo cocaina  del  peso  complessivo  di
8216 grammi, con principio attivo pari  a  5793,291  grammi,  82%  di
concentrazione (fatto commesso in ... il ...). 
    L'accordo raggiunto dalle parti e cristallizzato  con  la  citata
sentenza ex art. 444 codice di procedura penale era stato  articolato
come segue: 
        riconosciute attenuanti generiche prevalenti sulla contestata
aggravante  in  ragione  dell'incensuratezza  e  del  ruolo  di  mero
corriere, pena base anni nove mesi nove di reclusione ed euro  45.000
di multa, ridotta per le attenuanti prevalenti ad anni sei  mesi  sei
di reclusione ed euro 30.000 di multa, ridotta per il  rito  ad  anni
quattro mesi dieci di reclusione ed euro 25.000 di multa. 
    Con  istanza  presentata  il  12  aprile  2019  X.  I.  proponeva
incidente di esecuzione -assegnato a questo giudice - per ottenere la
rideterminazione della pena oggetto della suddetta sentenza  ex  art.
444 del codice  di  procedura  penale,  evidenziando  come,  dopo  la
formazione del giudicato, la Corte costituzionale, con sentenza n. 40
del   23   gennaio   2019,   avesse    dichiarato    l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 73, comma 1 del decreto del Presidente della
Repubblica n. 309/1990 nella parte in  cui  prevede  la  pena  minima
edittale della reclusione nella misura di otto anni anziche'  di  sei
anni. 
    Richiamava, al riguardo, il ricorrente la sentenza delle  Sezioni
Unite della Corte di cassazione n,  42858/2014,  secondo  cui  doveva
ritenersi illegale la pena applicata con la sentenza in esecuzione in
forza della norma dichiarata incostituzionale. 
    Sosteneva il ricorrente che fosse possibile individuare una  pena
«proporzionalmente identica a quella patteggiata, ponendo quale  base
di calcolo il minimo edittale risultante dalla sentenza  della  Corte
costituzionale n. 40/2019 (anni 6 di reclusione) cui  addizionare  la
stessa   percentuale   in   aumento   individuata   nell'accordo   di
applicazione della pena cosi' addivenendo alla pena base  di  anni  7
mesi 9 di reclusione ed euro 45.000 di multa, ritenute le  attenuanti
in regime di prevalenza rispetto alla contestata aggravante alla pena
di anni 5 mesi 2 di reclusione ed euro 30.000 di multa,  ridotta  per
il rito alla pena finale di anni 3 mesi 5 giorni 10 di reclusione  ed
euro 25,000 di multa». 
    Il pubblico ministero, esaminata l'istanza, prestava per iscritto
in data 15 aprile 2019 il «consenso per pena base anni 7  mesi  6  di
reclusione (resto del calcolo come da sentenza)». 
    All'udienza del 30 gennaio 2020 fissata ex art. 666 del codice di
procedura penale non veniva raggiunto un accordo tra le  parti  sulla
rideterminazione della pena e la difesa del condannato insisteva  per
raccoglimento del ricorso. 
    Questo giudice, con ordinanza adottata alla medesima udienza  del
31 gennaio 2020, rigettava la  richiesta  di  rideterminazione  della
pena a seguito della sentenza della Corte costituzionale  n.  40  del
2019, rilevando che il condannato trasportava un quantitativo ingente
di cocaina, tanto che il fatto era contestato come aggravato ex  art.
80  del  decreto  del  Presidente  della  Repubblica   n.   309/1990,
precisamente ben 8,2 chili di cocaina con  principio  attivo  pari  a
5793 grammi (quasi sei chili), un fatto di allarmante gravita' per il
quale, nella sentenza, si  erano  riconosciute  attenuanti  generiche
prevalenti sulla contestata aggravante e si erano prese le  mosse  da
una pena base ampiamente superiore a  quello  che  all'epoca  era  il
minimo edittale di otto anni di pena  detentiva,  ritenuto  incongruo
per difetto, in particolare essendosi prese le mosse dalla pena  base
di anni nove mesi nove di reclusione; pena base che, come argomentato
nell'ordinanza, si riteneva  dovesse  essere  tenuta  ferma  anche  a
seguito del citato intervento della Corte costituzionale; detta  pena
base - osservava  questo  giudice  nell'ordinanza  di  rigetto  della
richiesta di rideterminazione della pena - era stata ridotta  per  le
attenuanti prevalenti ad anni sei  mesi  sei  di  reclusione,  dunque
nella massima estensione pur a fronte dell'ingentissimo  quantitativo
di cocaina trasportata: si era successivamente operata una  riduzione
per il rito sino ad anni quattro mesi dieci di reclusione; pena  che,
si concludeva, «appare la minima indispensabile in ottica rieducativa
ex art. 27 Cost. a fronte della spiccata gravita' del fatto». 
    Quest'ultima  ordinanza  veniva   impugnata   con   ricorso   per
cassazione  dal  difensore  del  condannato,   il   quale   sosteneva
l'inosservanza ed erronea applicazione  degli  articoli  132,  133  e
133-bis del codice penale, dell'art. 125 del codice procedura  penale
in relazione all'art. 606, comma 1, lettera b) del  codice  penale  e
contestuale  contraddittorieta'   e   manifesta   illogicita'   della
motivazione in relazione all'art. 606, comma 1, lettera e) del codice
di procedura penale. 
    Deduceva il ricorrente  che  la  decisione  assunta,  di  rigetto
dell'istanza di rideterminazione  della  pena,  fosse  censurabile  e
richiamava, al riguardo, la massima (Cass. pen, Sez. Un. n. 33040 del
2015) secondo cui, «e'  illegale  la  pena  determinata  dal  giudice
attraverso un procedimento di commisurazione che si  sia  basato  sui
limiti  edittali  dell'art.  73  del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 309/1990 come modificato dalla  legge  n.  49/2006,  in
vigore  al  momento  del   fatto,   ma   dichiarato   successivamente
incostituzionale con sentenza n. 32/2014. anche nel caso  in  cui  la
pena concretamente inflitta sia  compresa  entro  i  limiti  edittali
previsti dall'originaria formulazione del  medesimo  articolo,  prima
della novella del 2006, rivissuto per effetto della  stessa  sentenza
di incostituzionalita'». 
    La Corte di cassazione, con sentenza n. 25097/20  pronunciata  il
16 luglio 2020, in accoglimento del  ricorso,  annullava  l'ordinanza
impugnata, con rinvio per nuovo  giudizio  al  Tribunale  di  Verona,
Ufficio giudice per le indagini preliminari,  ritenendo,  in  sintesi
che, a seguito della sentenza della Corte costituzionale  n.  40  del
2019, il principio della cd. flessibilita' del giudicato imponesse la
rideterminazione della pena, da ritenersi  illegale  anche  la'  dove
formalmente  rientrante   nella   cornice   edittale   della   «norma
ripristinata»; escludendo criteri di tipo matematico-proporzionale  o
automatismi tali da replicare le scelte operate originariamente nella
fase di cognizione; affermando che il giudice deve  rideterminare  la
pena utilizzando i criteri di cui agli articoli 132 e 133 del  codice
penale secondo i canoni dell'adeguatezza e della proporzionalita' che
tengano conto del nuovo quadro edittale; e concludendo nel senso  che
la riduzione della pena  «e'  necessaria  nell'an,  sviluppandosi  la
discrezionalita' giudiziale  nel  solo  quantum,  secondo  i  criteri
previsti dagli articoli 132 e 133 del codice penale (anche  chiarendo
che «l'obbligo di motivazione si accresce  in  funzione  dell'entita'
della rideterminazione, risultando maggiore  a  fronte  di  riduzioni
minime»). 
    Il giudizio  di  rinvio  veniva  nuovamente  assegnato  a  questo
giudice, in applicazione dell'art.  623,  comma  1,  lettera  a)  del
codice  di  procedura  penale,  per  il  quale   «se   e'   annullata
un'ordinanza, la Corte di  cassazione  dispone  che  gli  atti  siano
trasmessi  al  giudice  che  l'ha  pronunciata,  il  quale   provvede
uniformandosi alla pronuncia di annullamento»:  previsione  normativa
alla  quale  si  attenevano  e  si'  attengono  tuttora  le   tabelle
organizzative della Sezione GIP-GUP del Tribunale di Verona. 
    All'udienza del 15 dicembre 2020 fissata nel giudizio  di  rinvio
ex  art.  666  del  codice  di  procedura  penale,   questo   giudice
rappresentava alle parti la propria volonta' di  sollevare  d'ufficio
questione  di   legittimita'   costituzionale   come   sinteticamente
illustrato  a  verbale  e,  sentite  le  parti  stesse   (che   nulla
osservavano), si riservava di sollevare la  preannunciata  questione.
Questione che viene, in effetti, sollevata con la presente ordinanza. 
2. La rilevanza della questione. 
    Non  sembrano  esservi  dubbi,  innanzi  tutto,  in  ordine  alla
rilevanza della questione nel presente giudizio, aspetto sul quale si
sono mostrati concordi, del resto, anche il pubblico ministero  e  la
difesa del condannato all'udienza del 15 dicembre 2020. 
    Infatti,  laddove  la   questione   venisse   accolta,   verrebbe
designato, per la  decisione  nel  sull'istanza  di  rideterminazione
della pena in  seguito  all'annullamento  da  parte  della  Corte  di
cassazione dell'ordinanza di rigetto emessa da questo giudice  il  30
gennaio 2020, un giudice diverso  dell'Ufficio  del  Giudice  per  le
indagini preliminari del Tribunale di Verona. 
    Diversamente, sarebbe questo  stesso  giudice  a  dover  decidere
sull'istanza   di   rideterminazione    della    pena    a    seguito
dell'annullamento dell'ordinanza di rigetto della medesima istanza. 
    Il che determina la sicura rilevanza in concreto della questione. 
    E' evidente, peraltro, che questo giudice, laddove fosse chiamato
a pronunciarsi nuovamente sulla questione, non potrebbe che  ribadire
le proprie valutazioni, gia' operate nell'ordinanza annullata (e  non
censurate  dalla  Corte  di  cassazione),  in  ordine  alla  spiccata
gravita' in concreto del fatto (trasporto  di  oltre  otto  chili  di
cocaina, con principio attivo di quasi sei chili); fatto rispetto  al
quale ha gia' esplicitato di ritenere del tutto congrua (e  anzi  «la
minima indispensabile in ottica rieducativa ex art.  27  Cost.»),  la
pena detentiva di anni quattro mesi dieci di reclusione applicata con
la sentenza ex art. 444 codice di  procedura  penale,  pur  a  fronte
della cornice edittale «ripristinata» (invero, il  riconoscimento  di
attenuanti    generiche    «prevalenti»    rispetto    all'aggravante
dell'ingente quantita'  dello  stupefacente  detenuto/trasportato  ex
art. 80, comma 2 del  decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n.
309/1990 era dipeso, in sede di emissione della sentenza ex art.  444
del codice di procedura penale, proprio dalla  severita'  del  regime
sanzionatorio all'epoca vigente, fermo restando che si  era  ritenuto
doveroso discostarsi in maniera sensibile dal minimo  edittale  di  8
anni di reclusione proprio per la  spiccata  gravita'  del  fatto  in
relazione  all'ingente  quantitativo  di  stupefacente   trasportato;
mentre,   nella   nuova   cornice   edittale   «ripristinata»,    ben
potrebbe/dovrebbe operarsi un diverso bilanciamento tra  contrapposte
circostanze, come  ritenuto  possibile  da  parte  del  S.C.  con  le
sentenze sopra citate, ad esempio  in  termini  di  equivalenza,  con
scelta, poi, di una pena base meno elevata rispetto a  quella  a  suo
tempo considerata, ma con  quantificazione  di  una  pena  finale,  a
seguito della  riduzione  per  il  rito,  analoga,  e  solo  di  poco
inferiore, a quella applicata con  la  sentenza  qui  in  esecuzione;
oppure  potrebbe  confermarsi  il  giudizio   di   prevalenza   delle
attenuanti generiche sull'aggravante di cui all'art. 80, comma 2, del
decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n.  309/1990,   potrebbe
individuarsi una pena base detentiva decisamente inferiore rispetto a
quella considerata in sede di' cognizione, ad esempio di anni otto di
reclusione, ma operandosi una riduzione per le attenuanti  prevalenti
meno incisiva rispetto a quella operata con la sentenza di cognizione
nel «vecchio» quadro normativo, scendendosi,  con  la  riduzione  per
rito, poco al di sotto di anni quattro mesi dieci di reclusione). 
    Inevitabilmente,  a  fronte  delle  suddette   valutazioni   gia'
esplicitate  nell'ordinanza  annullata  concernenti  la  concreta   e
spiccata  gravita'  del  fatto,  questo  giudice  sarebbe  portato  -
dovendosi uniformare, come previsto dall'art. 623, comma  1,  lettera
a) del codice di procedura penale, alla sentenza di annullamento - ad
operare, nei confronti del condannato X. I., una  riduzione  di  pena
assolutamente minima  (tanto  piu'  considerato  che  questo  giudice
condivide appieno quell'orientamento della  Suprema  Corte,  Sez.  5,
sentenza n. 19370 dell'8 giugno 2020  -  diverso  da  quello  seguito
nell'ambito della sentenza di annullamento pronunciata dalla Corte di
cassazione nel presente  giudizio  -  secondo  il  quale  il  giudice
dell'esecuzione puo' anche conservare l'originaria sanzione applicata
con sentenza ex art. 444 del codice di procedura penale, dovendo,  in
tal caso «motivare in  modo  specifico  e  con  rafforzato  grado  di
persuasivita' in virtu' di quali parametri, evincibili dalla sentenza
irrevocabile,  la  pena  applicata   risulti   ancora   conforme   al
complessivo disvalore del fatto e funzionale al reinserimento sociale
del condannato»). 
    Dunque, la questione dell'incompatibilita' di  questo  giudice  a
decidere nuovamente la medesima questione di  rideterminazione  della
pena nei confronti di X. I.  appare  indiscutibilmente  rilevante  in
concreto nel presente  giudizio  (per  inciso,  si  ritiene  doveroso
rappresentare a codesta Corte che il condannato terminera' di espiare
la pena inflitta con la sentenza in esecuzione, allo stato non ancora
«rideterminata», alla data del 1° ottobre 2021). 
3. Le ragioni del ritenuto contrasto degli articoli 34 e  623,  comma
1, lettera a) del codice di procedura penale con gli articoli 111 e 3
della Costituzione: non manifesta infondatezza della questione. 
    Cio' premesso in punto di rilevanza della questione, debbono  ora
illustrarsi le ragioni per le  quali  si  dubita  della  legittimita'
costituzionale  -  in  relazione  agli  articoli  111   e   3   della
Costituzione della mancata previsione, da parte degli  articoli  623,
comma  1,  lettera  a)  e  34  del  codice   di   procedura   penale,
dell'incompatibilita' a partecipare al giudizio di rinvio in capo  al
giudice dell'esecuzione che  ha  emesso  l'ordinanza;  annullata,  di
rigetto dell'istanza di rideterminazione  della  pena  a  seguito  di
declaratoria di incostituzionalita'  di  una  norma  incidente  sulla
commisurazione del trattamento sanzionatorio, quale l'art. 73,  comma
1, del decreto del Presidente  della  Repubblica  n.  309/1990  nella
previsione del minimo edittale di  8  anni  di  reclusione,  ritenuto
costituzionalmente illegittimo da codesta Corte con  sentenza  n.  40
del 2019. 
    La prima, fondamentale, considerazione e' che, innegabilmente, il
giudice dell'esecuzione, chiamato a  pronunciarsi  su  un'istanza  di
rideterminazione della pena  oggetto  di  giudicato  a  fronte  della
sopravvenuta  declaratoria  di  incostituzionalita'  di   una   norma
considerata  in  sede  di  cognizione   incidente   sul   trattamento
sanzionatorio (quale l'art. 73, comma 1, del decreto  del  Presidente
della  Repubblica  n.  309/1990  nella  formulazione  anteriore  alla
sentenza della Corte costituzionale n. 40 del 2019), deve  esercitare
penetranti poteri di valutazione di merito. 
    Si riporta, al riguardo, a titolo  esemplificativo,  proprio  con
riferimento al caso che qui interessa relativo  alla  sentenza  della
Corte costituzionale n. 40 del 2019 e  ai  conseguenti  poteri/doveri
del giudice dell'esecuzione, ex plurimis, la sentenza della Corte  di
cassazione, Sez. 5, n. 27666 del 30 maggio  2019:  «A  seguito  della
sentenza  Corte  cost.  n.   40   del   2019,   che   ha   dichiarato
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 73, comma  1,  del  decreto
del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, nella porte  in  cui
fissa in anni otto di reclusione, anziche' in  anni  sei,  il  minimo
edittale, deve ritenersi illegale la pena inflitta sulla  base  della
cornice sanzionatoria previgente, quand'anche  questa  sia  stata  in
concreto fissata in una misura compatibile con  la  forbice  edittale
attualmente in vigore (per vero, cio' avviene sempre e  comunque,  se
e' vero, come e' vero, che la pronuncia di incostituzionalita' di cui
alla sentenza n. 40/2019 ha inciso unicamente sul minimo edittale, ed
in senso  favorevole  al  reo:  n.d.r.)  e  laddove  sia  stata  gia'
pronunciata  sentenza  irrevocabile  di  condanna  e  il  trattamento
sanzionatorio  non  sia  stato  interamente  eseguito,   l'intervento
"correttivo" compete al giudice dell'esecuzione, che potra' avvalersi
dei penetranti poteri di accertamento e di  valutazione  conferitigli
dalla legge». 
    Il S.C., in varie pronunce, ha chiarito che,  nell'effettuare  la
valutazione   di   rideterminazione   della    pena,    il    giudice
dell'esecuzione non deve effettuare una mera trasposizione matematica
del giudizio formulato in sede di cognizione entro la  nuova  cornice
edittale  (come  invece  richiesto,  vale  sottolineare,  da  X.   I.
nell'istanza di  rideterminazione  della  pena  rigettata  da  questo
giudice  con  l'ordinanza   successivamente   annullata),   ma   deve
effettuare un nuovo giudizio commisurativo, da operare  alla  stregua
dei principi di cui agli articoli 132 e 133 del codice  penale;  egli
deve operare una  vera  e  propria  rinnovazione  in  concreto  della
valutazione sanzionatoria secondo i criteri di cui agli articoli  132
e 133  del  codice  penale,  tenendo  conto  della  cornice  edittale
«ripristinata» (v., ad es., Cassazione, sez. 1, 21815/2020). 
    Merita di essere segnalata, a conferma dei penetranti  poteri  di
valutazione spettanti al giudice  dell'esecuzione  nella  materia  in
esame, un'ulteriore, recente, pronuncia del S.C. (Sez. 1, sentenza n.
13453  del  3  marzo  2020)  che  ha  affermato  che  «in   tema   di
stupefacenti, non viola  il  divieto  di  "reformatio  in  peius"  il
giudice dell'esecuzione che, nel procedere a  rideterminare  la  pena
inflitta a seguito di patteggiamento, per il reato  di  cui  all'art.
73, comma 1, del decreto del Presidente della  Repubblica  9  ottobre
1990, n. 309, alla luce della diversa cornice edittale applicabile  a
seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 40 del 2019,  in
assenza di accordo tra le parli, applichi  una  minore  riduzione  di
pena per le circostanze attenuanti generiche e per il  rito,  purche'
renda adeguatamente conto delle ragioni dei  rispettivi  scartamenti,
con motivazione tanto piu' specifica  quanto  piu'  essi  sono  ampi,
fermo restando il necessario rispetto delle  valutazioni  concernenti
il complessivo giudizio di disvalore gia' espresso in sentenza». 
    Nello stesso solco si pone la sentenza della Corte di cassazione,
Sez. 1, n. 4085 del 26 novembre 2019: «In  tema  di  rideterminazione
della pena inflitta con sentenza  irrevocabile  di  condanna  per  il
reato di cui all'art. 73,  comma  1,  decreto  del  Presidente  della
Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, in applicazione  della  disciplina
piu' favorevole determinatasi per effetto della sentenza della  Corte
costituzionale n. 40 del 2019, e' legittimo il provvedimento con  cui
il  giudice  dell'esecuzione,  pur  riducendo  la  pena  in   termini
assoluti,  quantifichi  la  diminuzione  di  pena  per  le   concesse
circostanze  attenuanti   generiche   in   misura   proporzionalmente
inferiore a quella stabilita in sede di cognizione, atteso  che  tale
giudice e' chiamato a rinnovare l'intera valutazione in  ordine  allo
commisurazione    della    pena    attraverso    la     discrezionale
rideterminazione sia della pena-base che  della  diminuzione  per  le
menzionate attenuanti, quantificando in concreto siffatta diminuzione
alla luce del sopravvenuto mutamento  della  cornice  edittale  quale
nuovo indicatore astratto del disvalore del fatto». 
    Analoga impostazione di fondo si rintraccia nella sentenza  della
Corte di cassazione, Sez. 1, n. 4084 del 26  novembre  2019,  secondo
cui «in tema di rideterminazione della  pena  inflitta  con  sentenza
irrevocabile di condanna per il reato di cui all'art.  73,  comma  1,
del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990,  n.  309,
in applicazione della disciplina piu'  favorevole  determinatasi  per
effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 40 del 2019,  e'
legittimo il provvedimento con cui il  giudice  dell'esecuzione,  pur
riducendo la pena in termini assoluti, quantifichi l'aumento di  pena
previsto per la ritenuta circostanza aggravante di cui  all'art.  80,
comma 2, del citato del decreto del Presidente  della  Repubblica  in
misura proporzionalmente superiore a  quella  stabilita  in  sede  di
cognizione, atteso che tale giudice e' chiamato a rinnovare  l'intera
valutazione in ordine alla commisurazione della  pena  attraverso  la
discrezionale rideterminazione sia della pena-base  che  dell'aumento
per la menzionata  aggravante,  quantificando  in  concreto  siffatto
aumento alla luce del sopravvenuto mutamento della  cornice  edittale
quale nuovo indicatore astratto del disvalore del fatto». 
    Orbene, proprio il fatto che il giudice dell'esecuzione, chiamato
a decidere su un'istanza di rideterminazione della pena a seguito  di
declaratoria  di  incostituzionalita'  di  una  norma  incidente  sul
trattamento sanzionatorio,  debba  esercitare  penetranti  poteri  di
valutazione di merito, effettuando un «nuovo  giudizio  commisurativo
da operare alla stregua dei principi di cui agli articoli 132  e  133
del codice penale» sulla base della cornice edittale  «ripristinata»,
impone di ritenere, ad avviso di questo  G.E.,  che  a  decidere  sul
giudizio di rinvio, a seguito di annullamento da parte della Corte di
cassazione dell'ordinanza di rigetto dell'istanza di rideterminazione
della pena, non debba e non possa essere il medesimo  giudice-persona
fisica, che si e'  gia'  espresso,  per  l'appunto,  con  le  proprie
«penetranti valutazioni di merito», su un aspetto fondamentale  quale
e' quello della quantificazione della pena. 
    L'art. 111, secondo comma, Cost., infatti, vuole che  il  giudice
sia terzo e imparziale, mentre non e' terzo e imparziale quel giudice
che - come la sottoscritta nel presente giudizio di esecuzione - dopo
essersi pronunciato  su  una  questione  esprimendo  un  giudizio  di
merito, in particolare  un  giudizio  attinente  alla  commisurazione
della  pena,  venga  nuovamente  chiamato  a  decidere  la   medesima
questione. 
    Pertanto,  appare  non  manifestamente  infondata  la   questione
dell'illegittimita'  costituzionale  degli  articoli  623,  comma  1,
lettera a) e 34 del codice di procedura penale, nella  parte  in  cui
non prevedono l'incompatibilita' di cui si tratta, per contrasto  con
il principio dell'imparzialita' e  terzieta'  del  giudice  stabilito
dall'art. 111 della Costituzione. 
    Si dubita anche della compatibilita' delle medesime  disposizioni
processuali con l'art. 3 Cost., sotto il profilo  dell'ingiustificata
disparita'  di  trattamento  tra   le   fasi   della   cognizione   e
dell'esecuzione  (laddove  si  tratti  di  decisioni  attinenti  alla
commisurazione della pena per quanto sin qui esposto). 
    Infatti, nell'ipotesi in cui il giudice abbia deciso con sentenza
in sede cognizione, l'annullamento con  rinvio  della  sua  decisione
(concernente in particolare la commisurazione della  pena)  comporta,
ai sensi dell'art. 623, comma 1, lettera d) del codice  di  procedura
penale,  l'impossibilita'  per   quel   giudice-persona   fisica   di
pronunciarsi nuovamente sulla vicenda (l'art. 623, comma  1,  lettera
d) del codice di procedura penale, infatti, recita: «se e'  annullata
la sentenza di un tribunale  monocratico  o  di  un  giudice  per  le
indagini preliminari, la Corte di cassazione  dispone  che  gli  atti
siano trasmessi al medesimo  tribunale;  tuttavia,  il  giudice  deve
essere diverso da quello che ha pronunciato la sentenza  annullata»).
E,  correlativamente  e  coerentemente,  l'art.  34  del  codice   di
procedura  penale,  al   comma   1,   contempla   la   corrispondente
incompatibilita' (art. 34, comma 1, del codice di  procedura  penale:
«Il giudice che ha pronunciato o ha concorso a  pronunciare  sentenza
in un grado del procedimento non puo' esercitare funzioni di  giudice
negli altri  gradi,  ne'  partecipare  al  giudizio  di  rinvio  dopo
l'annullamento o al giudizio per revisione»). 
    Per contro, se l'identico giudizio - in particolare  il  giudizio
relativo alla quantificazione della pena con applicazione dei criteri
di cui agli articoli 132 e 133 del codice penale che in  questa  sede
viene in rilievo -  e'  espresso,  come  nella  specie,  in  fase  di
esecuzione, e dunque mediante ordinanza a mente dell'art. 666,  comma
6, del codice di procedura penale, l'ulteriore pronuncia del medesimo
giudice sulla stessa questione, a seguito di annullamento con  rinvio
da  parte  della  Corte  di  cassazione,  non  e'   preclusa.   Anzi,
paradossalmente potrebbe addirittura ritenersi  «imposta»,  visto  il
dato letterale dell'art. 623, comma  1,  lettera  a)  del  codice  di
procedura penale, che recita: «se e' annullata un'ordinanza, la Corte
di cassazione dispone che gli atti siano  trasmessi  al  giudice  che
l'ha pronunciata, il quale provvede uniformandosi  alla  sentenza  di
annullamento». 
    In effetti, la previsione di cui all'art. 623, comma  1,  lettera
a) del codice di  procedura  penale,  per  come  formulata,  potrebbe
addirittura portare a ritenere che, nell'attuale  assetto  normativo,
l'assegnazione, per previsione tabellare, del giudizio di  rinvio  ad
un giudice dell'esecuzione-persona fisica diverso da  quello  che  ha
emesso l'ordinanza annullata, contrasti con il principio del «giudice
naturale precostituito per legge», come individuato dal  citato  art.
623, comma 1, lettera a) del codice di procedura penale (1) . 
    Si ritiene, pertanto, non manifestamente infondata  la  questione
di legittimita' costituzionale degli articoli  34  e  623,  comma  1,
lettera a), codice di procedura penale per contrasto anche con l'art.
3 Cost. 
4. Considerazioni conclusive. 
    Per  tutto  quanto  esposto,  si  ritiene  di  dover   dichiarare
rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita'
costituzionale degli articoli 34 e 623,  comma  1,  lettera  a),  del
codice  di  procedura  penale  nella  parte  in  cui  non   prevedono
l'incompatibilita' a partecipare al giudizio di  rinvio  in  capo  al
giudice dell'esecuzione che abbia pronunciato ordinanza di rigetto (o
di accoglimento)  della  richiesta  di  rideterminazione  della  pena
avanzata   a   seguito   della   declaratoria    di    illegittimita'
costituzionale  di  una  norma  incidente  sulla  commisurazione  del
trattamento sanzionatorio, annullata dalla Corte di  cassazione,  per
contrasto con gli articoli 111 e 3 della Costituzione. 
    Laddove  codesta   Corte   ritenesse   necessario   circoscrivere
maggiormente l'oggetto della questione in  relazione  alla  specifica
pronuncia  di  incostituzionalita'  rilevante  nel  giudizio  a   quo
(sentenza della Corte costituzionale n. 40 del 2019) e alla specifica
norma incidente sulla commisurazione  del  trattamento  sanzionatorio
concretamente rilevante nel giudizio a quo (art. 73, comma 1, decreto
del Presidente della Repubblica n. 309/1990 con riferimento al minimo
edittale di anni 8 di reclusione), si ritiene di dover dichiarare, in
via  subordinata,  rilevante  e  non  manifestamente   infondata   la
questione di legittimita' costituzionale degli  articoli  34  e  623,
comma l, lettera a), codice di procedura penale nella  parte  in  cui
non prevedono l'incompatibilita' a partecipare al giudizio di  rinvio
in capo al giudice dell'esecuzione che abbia pronunciato ordinanza di
rigetto (o di accoglimento) della richiesta di rideterminazione della
pena  avanzata  a  seguito  della  declaratoria   di   illegittimita'
costituzionale, ad opera della sentenza n. 40 del 2019, dell'art. 73,
comma  l,  decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n.  309/1990,
annullata dalla Corte di cassazione, per contrasto con  gli  articoli
111 e 3 della Costituzione. 
    Si tiene a sottolineare, in chiusura del presente  atto,  che  la
decisione di  rimettere  alla  Corte  costituzionale,  d'ufficio,  la
questione di costituzionalita' sollevata e' stata assunta sulla  base
dell'insegnamento della  stessa  Corte  costituzionale  che,  con  la
sentenza  n.   183   del   2013,   ha   dichiarato   l'illegittimita'
costituzionale degli articoli 34, comma 1, e 623,  comma  1,  lettera
a), del codice di procedura penale nella parte in cui  non  prevedono
che non possa partecipare al giudizio di rinvio  dopo  l'annullamento
il giudice che ha pronunciato o concorso a pronunciare  ordinanza  di
accoglimento o  rigetto  della  richiesta  di  applicazione  in  sede
esecutiva della  disciplina  del  reato  continuato  e  del  concorso
formale, ai sensi dell'art. 671 del codice di procedura penale. 
    In quel caso, il giudice rimettente aveva sollevato questione  di
legittimita' costituzionale degli articoli 34 e 623, comma 1, lettera
a) del codice di procedura penale per contrasto con gli articoli  111
e 3 della  Costituzione,  trovandosi  in  una  situazione  del  tutto
assimilabile a quella in cui si trova la sottoscritta. 
    Detto giudice, infatti,  in  veste  di  giudice  dell'esecuzione,
aveva rigettato una richiesta  di  applicazione  dell'istituto  della
continuazione in sede esecutiva  ex  art.  671  codice  di  procedura
penale, l'ordinanza era stata annullata dalla Corte di cassazione per
carenze motivazionali e il giudizio di rinvio era stato assegnato  al
medesimo magistrato. 
    Questi,  nel  rimettere  gli  atti  alla  Corte   costituzionale,
evidenziava che, essendosi gia' pronunciato (in senso negativo) sulla
questione concernente la sussistenza di un  unico  disegno  criminoso
comune ai reati oggetto delle sentenze  in  esecuzione,  non  avrebbe
fatto altro, nel giudizio di rinvio (laddove non  fosse  prevista  la
sua  incompatibilita'),  che   integrare   e   colmare   le   carenze
motivazionali rilevate dalla Corte di cassazione  nella  sentenza  di
annullamento, ribadendo, comunque,  l'insussistenza  dei  presupposti
per  l'applicazione  dell'istituto  della   continuazione,   per   le
motivazioni gia' espresse e meglio argomentate nella stessa ordinanza
di rimessione. 
    Ebbene,  la  Corte  costituzionale,  con   ampie   e   autorevoli
argomentazioni alle quali si rimanda  integralmente,  ha  accolto  la
questione  sollevata,  ritenendo  contrastante   con   il   principio
dell'imparzialita' e terzieta'  del  giudice  sancito  dall'art.  111
Cost. la mancata previsione, da parte degli articoli 34 e 623,  comma
1, lettera a) del  codice  di  procedura  penale,  di  un'ipotesi  di
incompatibilita', con riferimento al giudizio di rinvio, in  capo  al
giudice dell'esecuzione che abbia rigettato (o  accolto)  istanza  ex
art.  671  codice  di  procedura  penale  con  ordinanza  oggetto  di
annullamento; ed ha altresi'  giudicato  contrastanti  con  l'art.  3
Cost.  le  predette  disposizioni  processuali,  per  l'irragionevole
disparita'  di  trattamento  tra  fase  della   cognizione   e   fase
dell'esecuzione,  visto  che,   laddove   la   valutazione   relativa
all'istituto  della  continuazione  sia  operata  con  sentenza   poi
annullata,   il    sistema    processuale    prevede    espressamente
l'incompatibilita'  del  giudice  che  ha  pronunciato  la   sentenza
rispetto al giudizio di rinvio  a  seguito  di  annullamento;  mentre
analoga incompatibilita' non  e'  prevista  laddove  quella  medesima
valutazione sia  effettuata  in  sede  esecutiva  con  ordinanza  poi
annullata. 
    Ritiene questo giudice che identiche considerazioni valgano anche
nel caso in esame, a fronte  di  quella  «penetrante  valutazione  di
merito» attinente al fondamentale aspetto della quantificazione della
pena, che e' demandata al giudice dell'esecuzione (anche) in caso  di
istanza di rideterminazione della pena per sopravvenuta  declaratoria
di incostituzionalita' di una norma  incidente  sulla  commisurazione
della pena, quale l'art. 73, comma 1, decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 309/1990, dichiarato costituzionalmente illegittimo con
sentenza n. 40 del 2019 nella previsione del  minimo  edittale  di  8
anni anziche' di 6 anni di reclusione. 

(1) In realta', alla luce dell'art. 623,  comma  1,  lettera  a)  del
    codice di procedura penale, il  principio  che  si  e'  affermato
    nella giurisprudenza di legittimita' e, piuttosto, che  «in  sede
    di rinvio puo' provvedere lo stesso giudice-persona fisica che ha
    pronunciato l'ordinanza annullata»,  perche',  evidentemente,  la
    questione dibattuta era se, nel giudizio di rinvio, potesse o non
    potesse pronunciarsi il  medesimo  giudice-persona  fisica.  Tale
    principio  e'  stato  enunciato,  in  particolare,  con  riguardo
    all'ipotesi dell'annullamento con rinvio di ordinanze in  materia
    di misure cautelari personali; e  con  riguardo,  per  l'appunto,
    all'annullamento  con  rinvio  di   provvedimenti   del   giudice
    dell'esecuzione,    che    assumono    tipicamente    la    forma
    dell'ordinanza. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Il giudice per le indagini preliminari  presso  il  Tribunale  di
Verona, in funzione di giudice dell'esecuzione, visti gli articoli 1,
legge costituzionale n. del 1948 e 23 legge n. 87 del 1953: 
        dichiara  rilevante  e  non   manifestamente   infondata   la
questione di legittimita' costituzionale degli  articoli  34  e  623,
comma l, lettera a), del codice procedura penale, per  contrasto  con
gli articoli 111 e 3 della  Costituzione,  nella  parte  in  cui  non
prevedono l'incompatibilita' a partecipare al giudizio di  rinvio  in
capo al giudice dell'esecuzione che abbia  pronunciato  ordinanza  di
rigetto (o di accoglimento) della richiesta di rideterminazione della
pena  avanzata  a  seguito  della  declaratoria   di   illegittimita'
costituzionale  di  una  norma  incidente  sulla  commisurazione  del
trattamento sanzionatorio, annullata dalla Corte di cassazione; 
        dichiara, in via subordinata, rilevante e non  manifestamente
infondata la questione di legittimita' costituzionale degli  articoli
34 e 623, comma 1, lettera a), del codice di  procedura  penale,  per
contrasto con gli articoli 111 e 3 della Costituzione, nella parte in
cui non prevedono l'incompatibilita' a  partecipare  al  giudizio  di
rinvio in capo  al  giudice  dell'esecuzione  che  abbia  pronunciato
ordinanza  di  rigetto  (o  di  accoglimento)  della   richiesta   di
rideterminazione della pena avanzata a seguito della declaratoria  di
illegittimita' costituzionale, ad opera  della  sentenza  n.  40  del
2019, dell'art. 73, comma 1, decreto del Presidente della  Repubblica
n. 309/1990, annullata dalla Corte di cassazione; 
        dispone  l'immediata  trasmissione  degli  atti  alla   Corte
costituzionale; 
        sospende il procedimento; 
        dispone che, a cura della cancelleria, copia  della  presente
ordinanza sia notificata al pubblico ministero, al condannato X. I. e
al relativo  difensore,  nonche'  al  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
        dispone altresi' che la presente ordinanza sia  comunicata  a
cura della cancelleria anche  ai  presidenti  delle  due  Camere  del
Parlamento. 
          Verona, 20 gennaio 2021 
 
               Il Giudice per le indagini preliminari 
               in funzione di giudice dell'esecuzione 
                                Magri