N. 65 ORDINANZA (Atto di promovimento) 20 gennaio 2021
Ordinanza del 20 gennaio 2021 del Tribunale di Verona nel procedimento penale a carico di X. I. . Processo penale - Incompatibilita' del giudice determinata da atti compiuti nel procedimento - Giudizio di rinvio dopo l'annullamento da parte della Corte di cassazione - Incompatibilita' a partecipare al giudizio di rinvio in capo al giudice dell'esecuzione che abbia pronunciato ordinanza di rigetto (o di accoglimento) della richiesta di rideterminazione della pena avanzata a seguito della declaratoria di illegittimita' costituzionale di una norma incidente sulla commisurazione del trattamento sanzionatorio, annullata dalla Corte di cassazione - Mancata previsione. - Codice di procedura penale, artt. 34 e 623, comma 1, lettera a). In via subordinata: Processo penale - Incompatibilita' del giudice determinata da atti compiuti nel procedimento - Giudizio di rinvio dopo l'annullamento da parte della Corte di cassazione - Incompatibilita' a partecipare al giudizio di rinvio in capo al giudice dell'esecuzione che abbia pronunciato ordinanza di rigetto (o di accoglimento) della richiesta di rideterminazione della pena avanzata a seguito della declaratoria di illegittimita' costituzionale, ad opera della sentenza n. 40 del 2019, dell'art. 73, comma 1, del d.P.R. n. 309 del 1990 - Mancata previsione. - Codice di procedura penale, artt. 34 e 623, comma 1, lettera a).(GU n.20 del 19-5-2021 )
TRIBUNALE CIVILE E PENALE VERONA Ufficio del giudice per indagini preliminari Il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Verona, in funzione di giudice dell'esecuzione, dott.ssa Livia Magri nel procedimento n. 259/2020 SIGE a carico di X. I., nato in ... il ... attualmente detenuto presso la Casa circondariale di ... difeso dall'avv. Fabrizio Cardinali del Foro di Novara di fiducia, condannato con sentenza ex art. 444 del codice di procedura penale del giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Verona n. 3028/2018, irrevocabile l'11 gennaio 2019 alla pena di anni quattro mesi dieci di reclusione ed euro 25.000 di multa in ordine al reato di cui agli articoli 73, comma 1 e 80 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990 commesso in ... il ...; Solleva d'ufficio, con la presente ordinanza, ai sensi dell'art. 1 della legge costituzionale n. 1 del 1948 e 23, comma 3, legge n. 87 del 1953, questione di legittimita' costituzionale degli articoli 34 e 623, comma 1, lettera a), del codice di procedura penale, per contrasto con gli articoli 3 e 111 della Costituzione, nella parte in cui non prevedono l'incompatibilita' a partecipare al giudizio di rinvio in capo al giudice dell'esecuzione che abbia pronunciato ordinanza di rigetto (o di accoglimento) della richiesta di rideterminazione della pena avanzata a seguito della declaratoria di illegittimita' costituzionale di una norma - in particolare l'art. 73, comma 1, decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990, ad opera della sentenza della Corte costituzionale n. 40 del 2019 - incidente sulla commisurazione del trattamento sanzionatorio, annullata dalla Corte di cassazione. 1. La vicenda processuale. In data 3 maggio 2018 il G.I.P. presso il Tribunale di Verona (in persona di questo stesso giudice) emetteva nei confronti di X. I. sentenza ex art. 444 codice di procedura penale n. 3028/2018, irrevocabile in data 11 gennaio 2019, di applicazione della pena di anni quattro mesi dieci di reclusione ed euro 25.000 di multa per violazione dell'art. 73, comma 1 e 80, decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990 in relazione alla detenzione a fini di spaccio di sostanza stupefacente del tipo cocaina del peso complessivo di 8216 grammi, con principio attivo pari a 5793,291 grammi, 82% di concentrazione (fatto commesso in ... il ...). L'accordo raggiunto dalle parti e cristallizzato con la citata sentenza ex art. 444 codice di procedura penale era stato articolato come segue: riconosciute attenuanti generiche prevalenti sulla contestata aggravante in ragione dell'incensuratezza e del ruolo di mero corriere, pena base anni nove mesi nove di reclusione ed euro 45.000 di multa, ridotta per le attenuanti prevalenti ad anni sei mesi sei di reclusione ed euro 30.000 di multa, ridotta per il rito ad anni quattro mesi dieci di reclusione ed euro 25.000 di multa. Con istanza presentata il 12 aprile 2019 X. I. proponeva incidente di esecuzione -assegnato a questo giudice - per ottenere la rideterminazione della pena oggetto della suddetta sentenza ex art. 444 del codice di procedura penale, evidenziando come, dopo la formazione del giudicato, la Corte costituzionale, con sentenza n. 40 del 23 gennaio 2019, avesse dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 73, comma 1 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990 nella parte in cui prevede la pena minima edittale della reclusione nella misura di otto anni anziche' di sei anni. Richiamava, al riguardo, il ricorrente la sentenza delle Sezioni Unite della Corte di cassazione n, 42858/2014, secondo cui doveva ritenersi illegale la pena applicata con la sentenza in esecuzione in forza della norma dichiarata incostituzionale. Sosteneva il ricorrente che fosse possibile individuare una pena «proporzionalmente identica a quella patteggiata, ponendo quale base di calcolo il minimo edittale risultante dalla sentenza della Corte costituzionale n. 40/2019 (anni 6 di reclusione) cui addizionare la stessa percentuale in aumento individuata nell'accordo di applicazione della pena cosi' addivenendo alla pena base di anni 7 mesi 9 di reclusione ed euro 45.000 di multa, ritenute le attenuanti in regime di prevalenza rispetto alla contestata aggravante alla pena di anni 5 mesi 2 di reclusione ed euro 30.000 di multa, ridotta per il rito alla pena finale di anni 3 mesi 5 giorni 10 di reclusione ed euro 25,000 di multa». Il pubblico ministero, esaminata l'istanza, prestava per iscritto in data 15 aprile 2019 il «consenso per pena base anni 7 mesi 6 di reclusione (resto del calcolo come da sentenza)». All'udienza del 30 gennaio 2020 fissata ex art. 666 del codice di procedura penale non veniva raggiunto un accordo tra le parti sulla rideterminazione della pena e la difesa del condannato insisteva per raccoglimento del ricorso. Questo giudice, con ordinanza adottata alla medesima udienza del 31 gennaio 2020, rigettava la richiesta di rideterminazione della pena a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 40 del 2019, rilevando che il condannato trasportava un quantitativo ingente di cocaina, tanto che il fatto era contestato come aggravato ex art. 80 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990, precisamente ben 8,2 chili di cocaina con principio attivo pari a 5793 grammi (quasi sei chili), un fatto di allarmante gravita' per il quale, nella sentenza, si erano riconosciute attenuanti generiche prevalenti sulla contestata aggravante e si erano prese le mosse da una pena base ampiamente superiore a quello che all'epoca era il minimo edittale di otto anni di pena detentiva, ritenuto incongruo per difetto, in particolare essendosi prese le mosse dalla pena base di anni nove mesi nove di reclusione; pena base che, come argomentato nell'ordinanza, si riteneva dovesse essere tenuta ferma anche a seguito del citato intervento della Corte costituzionale; detta pena base - osservava questo giudice nell'ordinanza di rigetto della richiesta di rideterminazione della pena - era stata ridotta per le attenuanti prevalenti ad anni sei mesi sei di reclusione, dunque nella massima estensione pur a fronte dell'ingentissimo quantitativo di cocaina trasportata: si era successivamente operata una riduzione per il rito sino ad anni quattro mesi dieci di reclusione; pena che, si concludeva, «appare la minima indispensabile in ottica rieducativa ex art. 27 Cost. a fronte della spiccata gravita' del fatto». Quest'ultima ordinanza veniva impugnata con ricorso per cassazione dal difensore del condannato, il quale sosteneva l'inosservanza ed erronea applicazione degli articoli 132, 133 e 133-bis del codice penale, dell'art. 125 del codice procedura penale in relazione all'art. 606, comma 1, lettera b) del codice penale e contestuale contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione in relazione all'art. 606, comma 1, lettera e) del codice di procedura penale. Deduceva il ricorrente che la decisione assunta, di rigetto dell'istanza di rideterminazione della pena, fosse censurabile e richiamava, al riguardo, la massima (Cass. pen, Sez. Un. n. 33040 del 2015) secondo cui, «e' illegale la pena determinata dal giudice attraverso un procedimento di commisurazione che si sia basato sui limiti edittali dell'art. 73 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990 come modificato dalla legge n. 49/2006, in vigore al momento del fatto, ma dichiarato successivamente incostituzionale con sentenza n. 32/2014. anche nel caso in cui la pena concretamente inflitta sia compresa entro i limiti edittali previsti dall'originaria formulazione del medesimo articolo, prima della novella del 2006, rivissuto per effetto della stessa sentenza di incostituzionalita'». La Corte di cassazione, con sentenza n. 25097/20 pronunciata il 16 luglio 2020, in accoglimento del ricorso, annullava l'ordinanza impugnata, con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Verona, Ufficio giudice per le indagini preliminari, ritenendo, in sintesi che, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 40 del 2019, il principio della cd. flessibilita' del giudicato imponesse la rideterminazione della pena, da ritenersi illegale anche la' dove formalmente rientrante nella cornice edittale della «norma ripristinata»; escludendo criteri di tipo matematico-proporzionale o automatismi tali da replicare le scelte operate originariamente nella fase di cognizione; affermando che il giudice deve rideterminare la pena utilizzando i criteri di cui agli articoli 132 e 133 del codice penale secondo i canoni dell'adeguatezza e della proporzionalita' che tengano conto del nuovo quadro edittale; e concludendo nel senso che la riduzione della pena «e' necessaria nell'an, sviluppandosi la discrezionalita' giudiziale nel solo quantum, secondo i criteri previsti dagli articoli 132 e 133 del codice penale (anche chiarendo che «l'obbligo di motivazione si accresce in funzione dell'entita' della rideterminazione, risultando maggiore a fronte di riduzioni minime»). Il giudizio di rinvio veniva nuovamente assegnato a questo giudice, in applicazione dell'art. 623, comma 1, lettera a) del codice di procedura penale, per il quale «se e' annullata un'ordinanza, la Corte di cassazione dispone che gli atti siano trasmessi al giudice che l'ha pronunciata, il quale provvede uniformandosi alla pronuncia di annullamento»: previsione normativa alla quale si attenevano e si' attengono tuttora le tabelle organizzative della Sezione GIP-GUP del Tribunale di Verona. All'udienza del 15 dicembre 2020 fissata nel giudizio di rinvio ex art. 666 del codice di procedura penale, questo giudice rappresentava alle parti la propria volonta' di sollevare d'ufficio questione di legittimita' costituzionale come sinteticamente illustrato a verbale e, sentite le parti stesse (che nulla osservavano), si riservava di sollevare la preannunciata questione. Questione che viene, in effetti, sollevata con la presente ordinanza. 2. La rilevanza della questione. Non sembrano esservi dubbi, innanzi tutto, in ordine alla rilevanza della questione nel presente giudizio, aspetto sul quale si sono mostrati concordi, del resto, anche il pubblico ministero e la difesa del condannato all'udienza del 15 dicembre 2020. Infatti, laddove la questione venisse accolta, verrebbe designato, per la decisione nel sull'istanza di rideterminazione della pena in seguito all'annullamento da parte della Corte di cassazione dell'ordinanza di rigetto emessa da questo giudice il 30 gennaio 2020, un giudice diverso dell'Ufficio del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Verona. Diversamente, sarebbe questo stesso giudice a dover decidere sull'istanza di rideterminazione della pena a seguito dell'annullamento dell'ordinanza di rigetto della medesima istanza. Il che determina la sicura rilevanza in concreto della questione. E' evidente, peraltro, che questo giudice, laddove fosse chiamato a pronunciarsi nuovamente sulla questione, non potrebbe che ribadire le proprie valutazioni, gia' operate nell'ordinanza annullata (e non censurate dalla Corte di cassazione), in ordine alla spiccata gravita' in concreto del fatto (trasporto di oltre otto chili di cocaina, con principio attivo di quasi sei chili); fatto rispetto al quale ha gia' esplicitato di ritenere del tutto congrua (e anzi «la minima indispensabile in ottica rieducativa ex art. 27 Cost.»), la pena detentiva di anni quattro mesi dieci di reclusione applicata con la sentenza ex art. 444 codice di procedura penale, pur a fronte della cornice edittale «ripristinata» (invero, il riconoscimento di attenuanti generiche «prevalenti» rispetto all'aggravante dell'ingente quantita' dello stupefacente detenuto/trasportato ex art. 80, comma 2 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990 era dipeso, in sede di emissione della sentenza ex art. 444 del codice di procedura penale, proprio dalla severita' del regime sanzionatorio all'epoca vigente, fermo restando che si era ritenuto doveroso discostarsi in maniera sensibile dal minimo edittale di 8 anni di reclusione proprio per la spiccata gravita' del fatto in relazione all'ingente quantitativo di stupefacente trasportato; mentre, nella nuova cornice edittale «ripristinata», ben potrebbe/dovrebbe operarsi un diverso bilanciamento tra contrapposte circostanze, come ritenuto possibile da parte del S.C. con le sentenze sopra citate, ad esempio in termini di equivalenza, con scelta, poi, di una pena base meno elevata rispetto a quella a suo tempo considerata, ma con quantificazione di una pena finale, a seguito della riduzione per il rito, analoga, e solo di poco inferiore, a quella applicata con la sentenza qui in esecuzione; oppure potrebbe confermarsi il giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche sull'aggravante di cui all'art. 80, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990, potrebbe individuarsi una pena base detentiva decisamente inferiore rispetto a quella considerata in sede di' cognizione, ad esempio di anni otto di reclusione, ma operandosi una riduzione per le attenuanti prevalenti meno incisiva rispetto a quella operata con la sentenza di cognizione nel «vecchio» quadro normativo, scendendosi, con la riduzione per rito, poco al di sotto di anni quattro mesi dieci di reclusione). Inevitabilmente, a fronte delle suddette valutazioni gia' esplicitate nell'ordinanza annullata concernenti la concreta e spiccata gravita' del fatto, questo giudice sarebbe portato - dovendosi uniformare, come previsto dall'art. 623, comma 1, lettera a) del codice di procedura penale, alla sentenza di annullamento - ad operare, nei confronti del condannato X. I., una riduzione di pena assolutamente minima (tanto piu' considerato che questo giudice condivide appieno quell'orientamento della Suprema Corte, Sez. 5, sentenza n. 19370 dell'8 giugno 2020 - diverso da quello seguito nell'ambito della sentenza di annullamento pronunciata dalla Corte di cassazione nel presente giudizio - secondo il quale il giudice dell'esecuzione puo' anche conservare l'originaria sanzione applicata con sentenza ex art. 444 del codice di procedura penale, dovendo, in tal caso «motivare in modo specifico e con rafforzato grado di persuasivita' in virtu' di quali parametri, evincibili dalla sentenza irrevocabile, la pena applicata risulti ancora conforme al complessivo disvalore del fatto e funzionale al reinserimento sociale del condannato»). Dunque, la questione dell'incompatibilita' di questo giudice a decidere nuovamente la medesima questione di rideterminazione della pena nei confronti di X. I. appare indiscutibilmente rilevante in concreto nel presente giudizio (per inciso, si ritiene doveroso rappresentare a codesta Corte che il condannato terminera' di espiare la pena inflitta con la sentenza in esecuzione, allo stato non ancora «rideterminata», alla data del 1° ottobre 2021). 3. Le ragioni del ritenuto contrasto degli articoli 34 e 623, comma 1, lettera a) del codice di procedura penale con gli articoli 111 e 3 della Costituzione: non manifesta infondatezza della questione. Cio' premesso in punto di rilevanza della questione, debbono ora illustrarsi le ragioni per le quali si dubita della legittimita' costituzionale - in relazione agli articoli 111 e 3 della Costituzione della mancata previsione, da parte degli articoli 623, comma 1, lettera a) e 34 del codice di procedura penale, dell'incompatibilita' a partecipare al giudizio di rinvio in capo al giudice dell'esecuzione che ha emesso l'ordinanza; annullata, di rigetto dell'istanza di rideterminazione della pena a seguito di declaratoria di incostituzionalita' di una norma incidente sulla commisurazione del trattamento sanzionatorio, quale l'art. 73, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990 nella previsione del minimo edittale di 8 anni di reclusione, ritenuto costituzionalmente illegittimo da codesta Corte con sentenza n. 40 del 2019. La prima, fondamentale, considerazione e' che, innegabilmente, il giudice dell'esecuzione, chiamato a pronunciarsi su un'istanza di rideterminazione della pena oggetto di giudicato a fronte della sopravvenuta declaratoria di incostituzionalita' di una norma considerata in sede di cognizione incidente sul trattamento sanzionatorio (quale l'art. 73, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990 nella formulazione anteriore alla sentenza della Corte costituzionale n. 40 del 2019), deve esercitare penetranti poteri di valutazione di merito. Si riporta, al riguardo, a titolo esemplificativo, proprio con riferimento al caso che qui interessa relativo alla sentenza della Corte costituzionale n. 40 del 2019 e ai conseguenti poteri/doveri del giudice dell'esecuzione, ex plurimis, la sentenza della Corte di cassazione, Sez. 5, n. 27666 del 30 maggio 2019: «A seguito della sentenza Corte cost. n. 40 del 2019, che ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 73, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, nella porte in cui fissa in anni otto di reclusione, anziche' in anni sei, il minimo edittale, deve ritenersi illegale la pena inflitta sulla base della cornice sanzionatoria previgente, quand'anche questa sia stata in concreto fissata in una misura compatibile con la forbice edittale attualmente in vigore (per vero, cio' avviene sempre e comunque, se e' vero, come e' vero, che la pronuncia di incostituzionalita' di cui alla sentenza n. 40/2019 ha inciso unicamente sul minimo edittale, ed in senso favorevole al reo: n.d.r.) e laddove sia stata gia' pronunciata sentenza irrevocabile di condanna e il trattamento sanzionatorio non sia stato interamente eseguito, l'intervento "correttivo" compete al giudice dell'esecuzione, che potra' avvalersi dei penetranti poteri di accertamento e di valutazione conferitigli dalla legge». Il S.C., in varie pronunce, ha chiarito che, nell'effettuare la valutazione di rideterminazione della pena, il giudice dell'esecuzione non deve effettuare una mera trasposizione matematica del giudizio formulato in sede di cognizione entro la nuova cornice edittale (come invece richiesto, vale sottolineare, da X. I. nell'istanza di rideterminazione della pena rigettata da questo giudice con l'ordinanza successivamente annullata), ma deve effettuare un nuovo giudizio commisurativo, da operare alla stregua dei principi di cui agli articoli 132 e 133 del codice penale; egli deve operare una vera e propria rinnovazione in concreto della valutazione sanzionatoria secondo i criteri di cui agli articoli 132 e 133 del codice penale, tenendo conto della cornice edittale «ripristinata» (v., ad es., Cassazione, sez. 1, 21815/2020). Merita di essere segnalata, a conferma dei penetranti poteri di valutazione spettanti al giudice dell'esecuzione nella materia in esame, un'ulteriore, recente, pronuncia del S.C. (Sez. 1, sentenza n. 13453 del 3 marzo 2020) che ha affermato che «in tema di stupefacenti, non viola il divieto di "reformatio in peius" il giudice dell'esecuzione che, nel procedere a rideterminare la pena inflitta a seguito di patteggiamento, per il reato di cui all'art. 73, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, alla luce della diversa cornice edittale applicabile a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 40 del 2019, in assenza di accordo tra le parli, applichi una minore riduzione di pena per le circostanze attenuanti generiche e per il rito, purche' renda adeguatamente conto delle ragioni dei rispettivi scartamenti, con motivazione tanto piu' specifica quanto piu' essi sono ampi, fermo restando il necessario rispetto delle valutazioni concernenti il complessivo giudizio di disvalore gia' espresso in sentenza». Nello stesso solco si pone la sentenza della Corte di cassazione, Sez. 1, n. 4085 del 26 novembre 2019: «In tema di rideterminazione della pena inflitta con sentenza irrevocabile di condanna per il reato di cui all'art. 73, comma 1, decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, in applicazione della disciplina piu' favorevole determinatasi per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 40 del 2019, e' legittimo il provvedimento con cui il giudice dell'esecuzione, pur riducendo la pena in termini assoluti, quantifichi la diminuzione di pena per le concesse circostanze attenuanti generiche in misura proporzionalmente inferiore a quella stabilita in sede di cognizione, atteso che tale giudice e' chiamato a rinnovare l'intera valutazione in ordine allo commisurazione della pena attraverso la discrezionale rideterminazione sia della pena-base che della diminuzione per le menzionate attenuanti, quantificando in concreto siffatta diminuzione alla luce del sopravvenuto mutamento della cornice edittale quale nuovo indicatore astratto del disvalore del fatto». Analoga impostazione di fondo si rintraccia nella sentenza della Corte di cassazione, Sez. 1, n. 4084 del 26 novembre 2019, secondo cui «in tema di rideterminazione della pena inflitta con sentenza irrevocabile di condanna per il reato di cui all'art. 73, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, in applicazione della disciplina piu' favorevole determinatasi per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 40 del 2019, e' legittimo il provvedimento con cui il giudice dell'esecuzione, pur riducendo la pena in termini assoluti, quantifichi l'aumento di pena previsto per la ritenuta circostanza aggravante di cui all'art. 80, comma 2, del citato del decreto del Presidente della Repubblica in misura proporzionalmente superiore a quella stabilita in sede di cognizione, atteso che tale giudice e' chiamato a rinnovare l'intera valutazione in ordine alla commisurazione della pena attraverso la discrezionale rideterminazione sia della pena-base che dell'aumento per la menzionata aggravante, quantificando in concreto siffatto aumento alla luce del sopravvenuto mutamento della cornice edittale quale nuovo indicatore astratto del disvalore del fatto». Orbene, proprio il fatto che il giudice dell'esecuzione, chiamato a decidere su un'istanza di rideterminazione della pena a seguito di declaratoria di incostituzionalita' di una norma incidente sul trattamento sanzionatorio, debba esercitare penetranti poteri di valutazione di merito, effettuando un «nuovo giudizio commisurativo da operare alla stregua dei principi di cui agli articoli 132 e 133 del codice penale» sulla base della cornice edittale «ripristinata», impone di ritenere, ad avviso di questo G.E., che a decidere sul giudizio di rinvio, a seguito di annullamento da parte della Corte di cassazione dell'ordinanza di rigetto dell'istanza di rideterminazione della pena, non debba e non possa essere il medesimo giudice-persona fisica, che si e' gia' espresso, per l'appunto, con le proprie «penetranti valutazioni di merito», su un aspetto fondamentale quale e' quello della quantificazione della pena. L'art. 111, secondo comma, Cost., infatti, vuole che il giudice sia terzo e imparziale, mentre non e' terzo e imparziale quel giudice che - come la sottoscritta nel presente giudizio di esecuzione - dopo essersi pronunciato su una questione esprimendo un giudizio di merito, in particolare un giudizio attinente alla commisurazione della pena, venga nuovamente chiamato a decidere la medesima questione. Pertanto, appare non manifestamente infondata la questione dell'illegittimita' costituzionale degli articoli 623, comma 1, lettera a) e 34 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevedono l'incompatibilita' di cui si tratta, per contrasto con il principio dell'imparzialita' e terzieta' del giudice stabilito dall'art. 111 della Costituzione. Si dubita anche della compatibilita' delle medesime disposizioni processuali con l'art. 3 Cost., sotto il profilo dell'ingiustificata disparita' di trattamento tra le fasi della cognizione e dell'esecuzione (laddove si tratti di decisioni attinenti alla commisurazione della pena per quanto sin qui esposto). Infatti, nell'ipotesi in cui il giudice abbia deciso con sentenza in sede cognizione, l'annullamento con rinvio della sua decisione (concernente in particolare la commisurazione della pena) comporta, ai sensi dell'art. 623, comma 1, lettera d) del codice di procedura penale, l'impossibilita' per quel giudice-persona fisica di pronunciarsi nuovamente sulla vicenda (l'art. 623, comma 1, lettera d) del codice di procedura penale, infatti, recita: «se e' annullata la sentenza di un tribunale monocratico o di un giudice per le indagini preliminari, la Corte di cassazione dispone che gli atti siano trasmessi al medesimo tribunale; tuttavia, il giudice deve essere diverso da quello che ha pronunciato la sentenza annullata»). E, correlativamente e coerentemente, l'art. 34 del codice di procedura penale, al comma 1, contempla la corrispondente incompatibilita' (art. 34, comma 1, del codice di procedura penale: «Il giudice che ha pronunciato o ha concorso a pronunciare sentenza in un grado del procedimento non puo' esercitare funzioni di giudice negli altri gradi, ne' partecipare al giudizio di rinvio dopo l'annullamento o al giudizio per revisione»). Per contro, se l'identico giudizio - in particolare il giudizio relativo alla quantificazione della pena con applicazione dei criteri di cui agli articoli 132 e 133 del codice penale che in questa sede viene in rilievo - e' espresso, come nella specie, in fase di esecuzione, e dunque mediante ordinanza a mente dell'art. 666, comma 6, del codice di procedura penale, l'ulteriore pronuncia del medesimo giudice sulla stessa questione, a seguito di annullamento con rinvio da parte della Corte di cassazione, non e' preclusa. Anzi, paradossalmente potrebbe addirittura ritenersi «imposta», visto il dato letterale dell'art. 623, comma 1, lettera a) del codice di procedura penale, che recita: «se e' annullata un'ordinanza, la Corte di cassazione dispone che gli atti siano trasmessi al giudice che l'ha pronunciata, il quale provvede uniformandosi alla sentenza di annullamento». In effetti, la previsione di cui all'art. 623, comma 1, lettera a) del codice di procedura penale, per come formulata, potrebbe addirittura portare a ritenere che, nell'attuale assetto normativo, l'assegnazione, per previsione tabellare, del giudizio di rinvio ad un giudice dell'esecuzione-persona fisica diverso da quello che ha emesso l'ordinanza annullata, contrasti con il principio del «giudice naturale precostituito per legge», come individuato dal citato art. 623, comma 1, lettera a) del codice di procedura penale (1) . Si ritiene, pertanto, non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale degli articoli 34 e 623, comma 1, lettera a), codice di procedura penale per contrasto anche con l'art. 3 Cost. 4. Considerazioni conclusive. Per tutto quanto esposto, si ritiene di dover dichiarare rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale degli articoli 34 e 623, comma 1, lettera a), del codice di procedura penale nella parte in cui non prevedono l'incompatibilita' a partecipare al giudizio di rinvio in capo al giudice dell'esecuzione che abbia pronunciato ordinanza di rigetto (o di accoglimento) della richiesta di rideterminazione della pena avanzata a seguito della declaratoria di illegittimita' costituzionale di una norma incidente sulla commisurazione del trattamento sanzionatorio, annullata dalla Corte di cassazione, per contrasto con gli articoli 111 e 3 della Costituzione. Laddove codesta Corte ritenesse necessario circoscrivere maggiormente l'oggetto della questione in relazione alla specifica pronuncia di incostituzionalita' rilevante nel giudizio a quo (sentenza della Corte costituzionale n. 40 del 2019) e alla specifica norma incidente sulla commisurazione del trattamento sanzionatorio concretamente rilevante nel giudizio a quo (art. 73, comma 1, decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990 con riferimento al minimo edittale di anni 8 di reclusione), si ritiene di dover dichiarare, in via subordinata, rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale degli articoli 34 e 623, comma l, lettera a), codice di procedura penale nella parte in cui non prevedono l'incompatibilita' a partecipare al giudizio di rinvio in capo al giudice dell'esecuzione che abbia pronunciato ordinanza di rigetto (o di accoglimento) della richiesta di rideterminazione della pena avanzata a seguito della declaratoria di illegittimita' costituzionale, ad opera della sentenza n. 40 del 2019, dell'art. 73, comma l, decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990, annullata dalla Corte di cassazione, per contrasto con gli articoli 111 e 3 della Costituzione. Si tiene a sottolineare, in chiusura del presente atto, che la decisione di rimettere alla Corte costituzionale, d'ufficio, la questione di costituzionalita' sollevata e' stata assunta sulla base dell'insegnamento della stessa Corte costituzionale che, con la sentenza n. 183 del 2013, ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale degli articoli 34, comma 1, e 623, comma 1, lettera a), del codice di procedura penale nella parte in cui non prevedono che non possa partecipare al giudizio di rinvio dopo l'annullamento il giudice che ha pronunciato o concorso a pronunciare ordinanza di accoglimento o rigetto della richiesta di applicazione in sede esecutiva della disciplina del reato continuato e del concorso formale, ai sensi dell'art. 671 del codice di procedura penale. In quel caso, il giudice rimettente aveva sollevato questione di legittimita' costituzionale degli articoli 34 e 623, comma 1, lettera a) del codice di procedura penale per contrasto con gli articoli 111 e 3 della Costituzione, trovandosi in una situazione del tutto assimilabile a quella in cui si trova la sottoscritta. Detto giudice, infatti, in veste di giudice dell'esecuzione, aveva rigettato una richiesta di applicazione dell'istituto della continuazione in sede esecutiva ex art. 671 codice di procedura penale, l'ordinanza era stata annullata dalla Corte di cassazione per carenze motivazionali e il giudizio di rinvio era stato assegnato al medesimo magistrato. Questi, nel rimettere gli atti alla Corte costituzionale, evidenziava che, essendosi gia' pronunciato (in senso negativo) sulla questione concernente la sussistenza di un unico disegno criminoso comune ai reati oggetto delle sentenze in esecuzione, non avrebbe fatto altro, nel giudizio di rinvio (laddove non fosse prevista la sua incompatibilita'), che integrare e colmare le carenze motivazionali rilevate dalla Corte di cassazione nella sentenza di annullamento, ribadendo, comunque, l'insussistenza dei presupposti per l'applicazione dell'istituto della continuazione, per le motivazioni gia' espresse e meglio argomentate nella stessa ordinanza di rimessione. Ebbene, la Corte costituzionale, con ampie e autorevoli argomentazioni alle quali si rimanda integralmente, ha accolto la questione sollevata, ritenendo contrastante con il principio dell'imparzialita' e terzieta' del giudice sancito dall'art. 111 Cost. la mancata previsione, da parte degli articoli 34 e 623, comma 1, lettera a) del codice di procedura penale, di un'ipotesi di incompatibilita', con riferimento al giudizio di rinvio, in capo al giudice dell'esecuzione che abbia rigettato (o accolto) istanza ex art. 671 codice di procedura penale con ordinanza oggetto di annullamento; ed ha altresi' giudicato contrastanti con l'art. 3 Cost. le predette disposizioni processuali, per l'irragionevole disparita' di trattamento tra fase della cognizione e fase dell'esecuzione, visto che, laddove la valutazione relativa all'istituto della continuazione sia operata con sentenza poi annullata, il sistema processuale prevede espressamente l'incompatibilita' del giudice che ha pronunciato la sentenza rispetto al giudizio di rinvio a seguito di annullamento; mentre analoga incompatibilita' non e' prevista laddove quella medesima valutazione sia effettuata in sede esecutiva con ordinanza poi annullata. Ritiene questo giudice che identiche considerazioni valgano anche nel caso in esame, a fronte di quella «penetrante valutazione di merito» attinente al fondamentale aspetto della quantificazione della pena, che e' demandata al giudice dell'esecuzione (anche) in caso di istanza di rideterminazione della pena per sopravvenuta declaratoria di incostituzionalita' di una norma incidente sulla commisurazione della pena, quale l'art. 73, comma 1, decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990, dichiarato costituzionalmente illegittimo con sentenza n. 40 del 2019 nella previsione del minimo edittale di 8 anni anziche' di 6 anni di reclusione. (1) In realta', alla luce dell'art. 623, comma 1, lettera a) del codice di procedura penale, il principio che si e' affermato nella giurisprudenza di legittimita' e, piuttosto, che «in sede di rinvio puo' provvedere lo stesso giudice-persona fisica che ha pronunciato l'ordinanza annullata», perche', evidentemente, la questione dibattuta era se, nel giudizio di rinvio, potesse o non potesse pronunciarsi il medesimo giudice-persona fisica. Tale principio e' stato enunciato, in particolare, con riguardo all'ipotesi dell'annullamento con rinvio di ordinanze in materia di misure cautelari personali; e con riguardo, per l'appunto, all'annullamento con rinvio di provvedimenti del giudice dell'esecuzione, che assumono tipicamente la forma dell'ordinanza.
P.Q.M. Il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Verona, in funzione di giudice dell'esecuzione, visti gli articoli 1, legge costituzionale n. del 1948 e 23 legge n. 87 del 1953: dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale degli articoli 34 e 623, comma l, lettera a), del codice procedura penale, per contrasto con gli articoli 111 e 3 della Costituzione, nella parte in cui non prevedono l'incompatibilita' a partecipare al giudizio di rinvio in capo al giudice dell'esecuzione che abbia pronunciato ordinanza di rigetto (o di accoglimento) della richiesta di rideterminazione della pena avanzata a seguito della declaratoria di illegittimita' costituzionale di una norma incidente sulla commisurazione del trattamento sanzionatorio, annullata dalla Corte di cassazione; dichiara, in via subordinata, rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale degli articoli 34 e 623, comma 1, lettera a), del codice di procedura penale, per contrasto con gli articoli 111 e 3 della Costituzione, nella parte in cui non prevedono l'incompatibilita' a partecipare al giudizio di rinvio in capo al giudice dell'esecuzione che abbia pronunciato ordinanza di rigetto (o di accoglimento) della richiesta di rideterminazione della pena avanzata a seguito della declaratoria di illegittimita' costituzionale, ad opera della sentenza n. 40 del 2019, dell'art. 73, comma 1, decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990, annullata dalla Corte di cassazione; dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; sospende il procedimento; dispone che, a cura della cancelleria, copia della presente ordinanza sia notificata al pubblico ministero, al condannato X. I. e al relativo difensore, nonche' al Presidente del Consiglio dei ministri; dispone altresi' che la presente ordinanza sia comunicata a cura della cancelleria anche ai presidenti delle due Camere del Parlamento. Verona, 20 gennaio 2021 Il Giudice per le indagini preliminari in funzione di giudice dell'esecuzione Magri