N. 73 ORDINANZA (Atto di promovimento) 11 dicembre 2020
Ordinanza dell'11 dicembre 2020 del Tribunale amministrativo regionale per la Calabria sul ricorso proposto da S.M. contro Ufficio territoriale del governo di Reggio Calabria e Ministero dell'interno. Mafia e criminalita' organizzata - Informazione antimafia interdittiva - Mancata previsione che il prefetto nell'adozione del provvedimento possa valutare la sua incidenza sui mezzi di sostentamento per l'interessato e per la sua famiglia. - Decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonche' nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136), art. 92.(GU n.22 del 3-6-2021 )
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA CALABRIA Sezione staccata di Reggio Calabria ha pronunciato la presente Ordinanza Sul ricorso numero di registro generale 151 del 2020, proposto da M.S., quale titolare del «...» di S.M., rappresentata e difesa dall'avvocato Giacomo Falcone, con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Reggio Calabria, via Arghilla' n. 62 - Villa San Giuseppe; Contro l'Ufficio territoriale del governo Reggio Calabria, Ministero dell'interno, ciascuno in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Reggio Calabria, domiciliataria ex lege in Reggio Calabria, via del Plebiscito n. 15; Per l'annullamento Del certificato con esito interdittivo rilasciato dalla Prefettura di ... Ufficio territoriale del governo del ... prot. uscita n. ... e della nota n. ... del ... ove e' riportata la motivazione, notificata contestualmente; Nonche' di ogni altro atto presupposto, preparatorio, prodromico, concernente, connesso o consequenziale, anche non conosciuto e comunque lesivo degli interessi della ricorrente comprese le indagini istruttorie sottese agli atti impugnati, di cui non si conoscono gli estremi e/o il contenuto. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio dell'Ufficio territoriale del governo Reggio Calabria e del Ministero dell'interno; Visto l'art. 79, comma 1, codice procedura amministrativa; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 luglio 2020 il dott. Antonino Scianna e uditi per le parti i difensori, mediante collegamento da remoto, ai sensi dell'art. 4 del decreto-legge 30 aprile 2020, n. 28, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 2020, n. 70, come specificato nel verbale; 1. M.S., nella qualita' di titolare dell'impresa individuale «...» di S.M., con il ricorso in epigrafe ha chiesto l'annullamento dell'informazione interdittiva antimafia emessa dal prefetto di ... il 27 febbraio 2020, prot. n. ... e della nota n. ... del 27 febbraio 2020 ove e' riportata la motivazione dell'atto prefettizio, notificatale contestualmente. 2. Il gravato provvedimento si fonda, per un verso, sui precedenti e le parentele del marito della ricorrente (R.D. imputato e detenuto per reati di mafia, accusato di svolgere il ruolo di capo-promotore-organizzatore della cosca denominata ... operante in ..., per altro verso, sui rapporti anche economici della stessa S. con il citato R.D., atteso che, fino al 19 dicembre 2013, la ricorrente e' stata socia della «...», il cui amministratore unico e' il ripetuto R.D., che gestisce quindi un'attivita' commerciale analoga a quella della S. Ancora il provvedimento impugnato evidenzia il contesto parentale fortemente controindicato della stessa ricorrente, atteso che il padre (S.P.) risulterebbe pure lui contiguo alla cosca R.; il fratello (S.S.), controllato in diverse occasioni con soggetti ritenuti contigui ad organizzazioni mafiose, annovera alcuni precedenti penali e lavora alle dipendenze della ..., impresa gia' destinataria di interdittiva antimafia emessa dalla Prefettura di ... il 9 agosto 2013; la sorella (S.S.) infine, e' pure lei gravata da pregiudizi penali per attivita' di gestione rifiuti non autorizzata, violazione di leggi ambientali ed in materia di edilizia, e risulta essere amministratore e socio unico della citata. 3. Contro il detto provvedimento interdittivo insorgeva, percio', la ricorrente con il presente ricorso affidato a molteplici censure, con le quali ci si duole dell'insanabile violazione di legge che affliggerebbe i provvedimenti gravati che sarebbero stati adottati in assenza dei prescritti presupposti di legge. Parte ricorrente ha inoltre dedotto, plurimi, profili di illegittimita' costituzionale e non conformita' alla normativa EDU di alcune disposizioni del Codice antimafia, tra cui gli articoli 67, 89-bis, 92 e 94. 4. In data 14 aprile 2020 si e' costituita con memoria l'amministrazione intimata che, nel chiedere il rigetto del ricorso, alla luce del profondo legame tra la ricorrente e le cosche sopra menzionate, e della attendibilita' della valutazione compiuta dall'Autorita' prefettizia, ha sostenuto che sarebbero manifestamente infondati i rilievi di incostituzionalita', ed i profili di violazione del diritto eurounitario ex adverso evidenziati. 5. Con ordinanza cautelare n. 85 del 23 aprile 2020, il collegio ha accolto la domanda di sospensione dell'efficacia dei provvedimenti impugnati. Esaurita la fase cautelare, la causa e' stata discussa all'udienza pubblica del 15 luglio 2020 durante la quale sono stati uditi per le parti i difensori, mediante collegamento da remoto, ai sensi dell'art. 4 del decreto-legge 30 aprile 2020, n. 28, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 2020, n. 70, all'esito della quale la causa e' stata nuovamente discussa dal collegio alla Camera di consiglio del 18 novembre 2020 e decisa quindi in primo grado con sentenza parziale di questa sezione, n. 695 del 9 dicembre 2020. Tale sentenza non definitiva ha respinto (ritenendoli non fondati) i motivi di ricorso dedotti dalla parte ricorrente, ivi comprese le ripetute eccezioni di legittimita' costituzionale e non conformita' alla normativa EDU di alcune disposizioni del Codice antimafia, ad eccezione di un profilo, prospettato dalla difesa della ricorrente con il terzo ordine di censure, con il quale si dubita della legittimita' costituzionale dell'art. 92 del decreto legislativo n. 159/2011. Viene evidenziata, in particolare, la disparita' di trattamento tra i soggetti destinatari di una misura di prevenzione e quelli attinti da informazione antimafia interdittiva, che deriverebbe dal fatto che, soltanto per i primi, il comma 5 dell'art. 67 del decreto legislativo n. 159/2011 prevede che «le decadenze e i divieti previsti dal presente articolo possono essere esclusi dal giudice nel caso in cui per effetto degli stessi verrebbero a mancare i mezzi di sostentamento all'interessato e alla famiglia». Tale misura infatti, non e' prevista in materia di informazione antimafia a contenuto interdittivo. La circostanza che in materia di interdittive antimafia sia preclusa al prefetto, quale autorita' che adotta l'atto, la possibilita' di escludere le decadenze ed i divieti previsti, nel caso in cui per effetto degli stessi verrebbero a mancare i mezzi di sostentamento all'interessato ed alla sua famiglia, concretizzerebbe un'evidente ed irragionevole disparita' di trattamento. 6. Il collegio reputa la questione dedotta rilevante perche' la ricorrente, oltre ad aver espressamente sollevato in ricorso la riferita eccezione di legittimita' costituzionale, ha evidenziato (con la domanda di misure cautelari monocratiche) che l'attivita' aziendale costituisce l'unica fonte di reddito della propria famiglia e che, in mancanza di essa, non avrebbe la possibilita' di mantenere quattro figli conviventi di cui tre minori. Inoltre, per effetto del gravato provvedimento, si porrebbe la indifferibile necessita' di licenziare otto dipendenti assunti con contratto a tempo pieno ed indeterminato i quali, considerato il periodo di crisi/emergenza, non troverebbero facilmente una nuova collocazione lavorativa. In presenza dell'attuale quadro normativo, (anche) questo motivo di censura dovrebbe essere rigettato, stante che l'art. 92 del decreto legislativo n. 159/2011 come detto, non contempla la possibilita' per il prefetto di prendere in esame gli effetti che dal provvedimento interdittivo derivano, dal che consegue la rilevanza della prospettata questione di costituzionalita'. Laddove venisse tuttavia accolta la questione di legittimita' costituzionale dianzi sinteticamente prospettata, il presente giudizio avrebbe un esito diverso, in quanto la riconosciuta incostituzionalita' in parte qua della norma oggetto di applicazione determinerebbe, per l'appunto, l'annullamento dell'informazione antimafia interdittiva adottata a carico della ricorrente dall'autorita' prefettizia, senza alcuna valutazione delle conseguenze del provvedimento interdittivo sui mezzi di sostentamento della S. e dei suoi familiari. Il tribunale ritiene, peraltro, che la norma, come formulata, non lasci margini per una sua eventuale lettura costituzionalmente orientata, dato che la lettera della stessa non contempla affatto l'attribuzione alla ripetuta autorita' prefettizia di un potere di valutazione analogo a quello di cui gode il giudice, ai sensi del citato art. 67, comma 5, decreto legislativo n. 159/2011. 7. Ad avviso di questo giudice, sussiste, altresi', la non manifesta infondatezza della questione, in relazione agli articoli 3 e 24 della Costituzione. 7.1. Richiamata la natura «cautelare e preventiva» delle interdittive antimafia su cui la giurisprudenza amministrativa concorda (per tutte, Consiglio di Stato, adunanza plenaria, sentenza 6 aprile 2018, n. 3), ritiene il collegio che l'impossibilita' per il prefetto deputato ad emanare il provvedimento interdittivo di esercitare i poteri previsti nel caso di adozione delle misure di prevenzione dall'art. 67, comma 5 del decreto legislativo n. 159 del 2011, possa concretizzare un'irragionevole violazione del principio di uguaglianza sostanziale di' cui all'art. 3, comma 2 della Costituzione. Posto, infatti, che le interdittive antimafia e le misure di prevenzione partecipano della medesima natura di provvedimenti idonei ad assicurare un'anticipata difesa della legalita' e sono altresi' accomunate dalle medesime conseguenze decadenziali previste dall'art. 67 del decreto legislativo n. 159/2011, la circostanza che il legislatore non abbia previsto la possibilita' che l'autorita' amministrativa preposta ad adottare il provvedimento interdittivo valuti l'incidenza di esso sui mezzi di sostentamento per l'interessato e per la sua famiglia, sembrerebbe concretizzare un'irragionevole disparita' di trattamento. Rammenta inoltre il collegio come la medesima questione fu giudicata dalla Corte costituzionale (con la richiamata sentenza n. 57/2020) meritevole di rimeditazione da parte del legislatore, ma non fu oggetto di una pronuncia specifica poiche', contrariamente a quanto avvenuto nella vicenda per cui e' causa, non dedotta in modo autonomo in quel procedimento. Va osservato altresi' sul punto come, a parere di questo collegio, la temporaneita' del provvedimento interdittivo non appaia idonea a legittimare la disparita' di trattamento tra i destinatari di interdittiva antimafia e di misure di prevenzione, atteso che dodici mesi (periodo di validita' dell'informativa antimafia ai sensi dell'art. 86, comma 2 del decreto legislativo n. 159 del 2011, come precisato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 57/2020) di inattivita' appaiono un periodo ampiamente sufficiente a pregiudicare in modo definitivo qualsiasi attivita' di impresa, cagionando un vulnus evidente a chi da quell'attivita' dovesse trarre i mezzi di sostentamento suoi e della sua famiglia. Ne' la disparita' e' esclusa per il fatto che ai sensi dell'art. 34-bis, comma 6 del decreto legislativo n. 159 del 2011 «Le imprese destinatarie di informazione antimafia interdittiva ai sensi dell'art. 84, comma 4, che abbiano proposto l'impugnazione del relativo provvedimento del prefetto, possono richiedere al tribunale competente per le misure di prevenzione l'applicazione del controllo giudiziario di cui alla lettera b) del comma 2 del presente articolo ...». Il controllo giudiziario infatti sospende, per il tempo della sua durata, gli effetti dell'interdittiva senza eliminarli e la sua applicazione, rimessa alla valutazione del tribunale competente, e' eventuale ed e' condizionata dall'impugnazione del provvedimento interdittivo. Esso, in ogni caso, interviene quando questo ultimo ha gia', almeno in parte, dispiegato i suoi effetti e non riabilita l'impresa ma, al contrario, presuppone la sussistenza e la permanenza del ripetuto provvedimento interdittivo (Consiglio di Stato, sezione V, n. 3268/2018). Data la natura del controllo giudiziario e atteso che da esso, come detto, discende la mera sospensione degli effetti dell'interdittiva (destinata, in quanto tale, ad operare per i rapporti futuri e non anche per il pregresso), non e' neppure possibile riconoscere a tale misura una efficacia retroattiva, dalla quale discenda l'automatico travolgimento degli atti medio tempore adottati dall'amministrazione. Con riguardo al profilo della ritenuta violazione dei principi di proporzionalita' e ragionevolezza di cui all'art. 3 della Costituzione pare, infine, opportuno ricordare che la ragionevolezza delle leggi e' corollario del principio di uguaglianza ed esige che le disposizioni normative contenute in atti aventi valore di legge siano adeguate, o congruenti, rispetto al fine perseguito dal legislatore, con la conseguenza che sussiste la violazione di tale principio laddove, come nel caso di specie, pare possibile riscontrare una contraddizione tra disposizioni legislative ispirate alla tutela del medesimo interesse pubblico. 8. Ad avviso di questo giudice, la questione di legittimita' costituzionale va posta anche in relazione all'art. 4 della Costituzione. I richiamati effetti derivanti dall'adozione di un'informativa interdittiva, incidono in maniera pervasiva sull'attivita' svolta dai soggetti che ne sono colpiti, inibiti non solo ai rapporti giuridici con la pubblica amministrazione ma anche ad attivita' private, sottoposte a regime autorizzatorio, che possono essere intraprese su segnalazione certificata di inizio attivita' da parte del privato alla pubblica amministrazione (in termini da ultimo, Consiglio di Stato, sezione III, 20 gennaio 2020, n. 452). Tanto premesso, appaiono evidenti gli effetti inibitori di tali provvedimenti sul diritto al lavoro di chi da essi venga attinto. Osserva il collegio come il diritto al lavoro costituisca diritto fondamentale di tutti i cittadini, e se tale deve ritenersi anche per il detenuto, per il quale il lavoro costituisce altresi' componente essenziale del trattamento rieducativo (Corte costituzionale n. 532 del 2002), a maggior ragione lo si deve ritenere tale per soggetti colpiti da un provvedimento di natura cautelare e preventiva, finalizzato, appunto, a prevenire un evento che, per scelta del legislatore, non necessariamente e' attuale, o inveratosi, ma anche solo potenziale, emesso da un'autorita' amministrativa sulla base della regola causale del «piu' probabile che non», alla cui discrezionalita' e' rimessa l'attivazione del contraddittorio procedimentale e che, in ogni caso, nell'adozione del provvedimento in questione, non puo' tenere conto dell'eventualita' che esso depauperi i mezzi di sostentamento che chi ne e' colpito trae dal proprio lavoro. In altri termini, se il pieno sindacato sui fatti posti alla base dell'interdittiva, esercitato tenendo conto delle allegazioni della parte privata, consente di attuare nel processo quel contraddittorio che l'esigenza di contrastare efficacemente le mafie impedisce nel procedimento, tuttavia poiche' i procedimenti in questione possono sfociare in provvedimenti idonei ad incidere sul diritto al lavoro dei loro destinatari, allora dovrebbe essere assicurato a questi ultimi che l'autorita' prefettizia a cio' deputata, valuti se l'adozione dei provvedimenti in questione non pregiudichi irrimediabilmente le condizioni economiche dei destinatari, 9. Il collegio dubita, infine, della compatibilita' della disposizione in esame con i diritti della difesa di cui all'art. 24 della Costituzione. Sul punto va sottolineato preliminarmente che il procedimento finalizzato all'emissione dell'informazione antimafia nel nostro ordinamento non sconta una totale assenza di contraddittorio, ma conosce una interlocuzione eventuale, prevista dall'art. 93, comma 7 del decreto legislativo n. 159 del 2011, secondo cui il prefetto competente al rilascio dell'informazione, ove lo ritenga utile, sulla base della documentazione e delle informazioni acquisite, invita in sede di audizione personale i soggetti interessati a produrre, anche allegando elementi documentali, ogni informazione utile. Cio' posto, come e' noto «ai sensi dell'art. 67, comma 1, lettera g) del decreto legislativo n. 159/2011, e' preclusa al soggetto colpito dall'interdittiva antimafia ogni possibilita' di ottenere "contributi, finanziamenti e mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunita' europee, per lo svolgimento di attivita' imprenditoriali", stante l'esigenza di evitare ogni esborso di matrice pubblicistica in favore di imprese soggette ad infiltrazioni criminali» (cfr., da ultimo, Consiglio di Stato, sezione III, 4 marzo 2019, n. 1500; Consiglio di Stato, adunanza plenaria, 6 aprile 2018, n. 3). In sostanza, l'adozione di un'informativa interdittiva nei confronti di un operatore, determina sempre e comunque in capo allo stesso uno stato di parziale incapacita' giuridica, si' da determinare «la insuscettivita' ... ad essere titolare di quelle situazioni giuridiche soggettive (diritti soggettivi, interessi legittimi) che determinano (sul proprio cd. lato esterno) rapporti giuridici con la pubblica amministrazione» (Consiglio di Stato, adunanza plenaria, 6 aprile 2018, n. 3). Tanto premesso, se e' per un verso evidente che, in alcune circostanze, «la discovery anticipata, gia' in sede procedimentale, di elementi o notizie contenuti in atti di indagine coperti da segreto investigativo o in informative riservate delle Forze di polizia, spesso connessi ad inchieste della magistratura inquirente contro la criminalita' organizzata e agli atti delle indagini preliminari, potrebbe frustrare la finalita' preventiva perseguita dalla legislazione antimafia ...» (Consiglio di Stato, sezione III, 31 gennaio 2020, n. 820), e' anche vero, alla luce delle spiegate conseguenze che gravano sugli operatori economici raggiunti dall'interdittiva, che precludere ai destinatari di detto provvedimento la possibilita' di sottoporre all'autorita' prefettizia le possibili conseguenze di esso, in termini di depauperamento dei mezzi di sostentamento suoi e della sua famiglia sembra integrare la violazione anche dell'art. 24 della Costituzione. Questo collegio non ignora che nell'interpretazione che ne da' il giudice delle leggi il diritto alla difesa non si estende nel suo pieno contenuto oltre la sfera della giurisdizione sino a coprire ogni procedimento contenzioso di natura amministrativa, ma cio' non significa che non possa avere riflessi anche in altri ambiti, rispecchiando un valore inerente ai diritti inviolabili della persona (Corte costituzionale, sentenza n. 128/1995). 10. Cio' premesso, questo tribunale sospende il presente giudizio e solleva la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 92 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, per contrasto con i principi di eguaglianza, proporzionalita' e ragionevolezza di cui all'art. 3 della Costituzione, con il diritto al lavoro di cui all'art. 4 della Costituzione e con il diritto di difesa di cui all'art. 24 della Costituzione.
P. Q. M. Il Tribunale amministrativo regionale per la Calabria, Sezione staccata di Reggio Calabria, visto l'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87, dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 92 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, nei limiti di cui in motivazione, in relazione agli articoli 3, secondo comma, 4 e 24 della Costituzione e dispone la sospensione del giudizio e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Ordina che, a cura della segreteria della sezione, la presente sentenza sia notificata alle parti in causa e al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Riserva alla decisione definitiva ogni ulteriore statuizione in rito, in merito e in ordine alle spese. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, commi 1 e 2 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'art. 10 del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignita' della parte interessata, manda alla segreteria di procedere all'oscuramento delle generalita' nonche' di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare i soggetti nominativamente citati nel presente provvedimento. Cosi' deciso in Reggio Calabria nelle camere di consiglio del giorno 15 luglio 2020 e del giorno 18 novembre 2020, con l'intervento dei magistrati: Caterina Criscenti, presidente; Agata Gabriella Caudullo, referendario; Antonino Scianna, referendario, estensore. L'estensore: Scianna Il presidente: Criscenti