N. 73 ORDINANZA (Atto di promovimento) 11 dicembre 2020

Ordinanza  dell'11  dicembre  2020   del   Tribunale   amministrativo
regionale per la Calabria sul ricorso proposto da S.M. contro Ufficio
territoriale del governo di Reggio Calabria e Ministero dell'interno. 
 
Mafia   e   criminalita'   organizzata -    Informazione    antimafia
  interdittiva - Mancata previsione che il prefetto nell'adozione del
  provvedimento  possa  valutare  la  sua  incidenza  sui  mezzi   di
  sostentamento per l'interessato e per la sua famiglia. 
- Decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159  (Codice  delle  leggi
  antimafia e delle misure di prevenzione, nonche' nuove disposizioni
  in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1  e
  2 della legge 13 agosto 2010, n. 136), art. 92. 
(GU n.22 del 3-6-2021 )
 
        IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA CALABRIA 
                 Sezione staccata di Reggio Calabria 
 
ha pronunciato la presente 
 
                              Ordinanza 
 
    Sul ricorso numero di registro generale 151 del 2020, proposto da
M.S., quale titolare  del  «...»  di  S.M.,  rappresentata  e  difesa
dall'avvocato Giacomo Falcone, con domicilio digitale come da PEC  da
Registri di giustizia e domicilio eletto  presso  il  suo  studio  in
Reggio Calabria, via Arghilla' n. 62 - Villa San Giuseppe; 
    Contro  l'Ufficio  territoriale  del  governo  Reggio   Calabria,
Ministero dell'interno, ciascuno in persona del legale rappresentante
pro tempore,  rappresentati  e  difesi  dall'Avvocatura  distrettuale
dello Stato di Reggio Calabria,  domiciliataria  ex  lege  in  Reggio
Calabria, via del Plebiscito n. 15; 
 
                         Per l'annullamento 
 
    Del  certificato  con   esito   interdittivo   rilasciato   dalla
Prefettura di ... Ufficio territoriale  del  governo  del  ...  prot.
uscita n. ... e della nota  n.  ...  del  ...  ove  e'  riportata  la
motivazione, notificata contestualmente; 
    Nonche' di ogni altro atto presupposto, preparatorio, prodromico,
concernente,  connesso  o  consequenziale,  anche  non  conosciuto  e
comunque lesivo degli interessi della ricorrente comprese le indagini
istruttorie sottese agli atti impugnati, di cui non si conoscono  gli
estremi e/o il contenuto. 
    Visti il ricorso e i relativi allegati; 
    Visti  gli  atti  di  costituzione   in   giudizio   dell'Ufficio
territoriale  del   governo   Reggio   Calabria   e   del   Ministero
dell'interno; 
    Visto l'art. 79, comma 1, codice procedura amministrativa; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 luglio 2020 il dott.
Antonino  Scianna  e  uditi  per  le  parti  i  difensori,   mediante
collegamento da remoto, ai sensi dell'art.  4  del  decreto-legge  30
aprile 2020, n. 28, convertito, con  modificazioni,  dalla  legge  25
giugno 2020, n. 70, come specificato nel verbale; 
    1. M.S., nella  qualita'  di  titolare  dell'impresa  individuale
«...» di S.M., con il ricorso in epigrafe ha  chiesto  l'annullamento
dell'informazione interdittiva antimafia emessa dal prefetto  di  ...
il 27 febbraio 2020, prot. n. ... e della nota n. ... del 27 febbraio
2020  ove  e'  riportata  la   motivazione   dell'atto   prefettizio,
notificatale contestualmente. 
    2.  Il  gravato  provvedimento  si  fonda,  per  un  verso,   sui
precedenti e le parentele del marito della ricorrente (R.D.  imputato
e detenuto per reati di mafia,  accusato  di  svolgere  il  ruolo  di
capo-promotore-organizzatore della cosca denominata ...  operante  in
..., per altro verso, sui rapporti anche economici  della  stessa  S.
con il citato  R.D.,  atteso  che,  fino  al  19  dicembre  2013,  la
ricorrente e' stata socia della «...», il cui amministratore unico e'
il  ripetuto  R.D.,  che  gestisce  quindi  un'attivita'  commerciale
analoga a quella della S. 
    Ancora il provvedimento impugnato evidenzia il contesto parentale
fortemente controindicato della  stessa  ricorrente,  atteso  che  il
padre (S.P.)  risulterebbe  pure  lui  contiguo  alla  cosca  R.;  il
fratello  (S.S.),  controllato  in  diverse  occasioni  con  soggetti
ritenuti  contigui  ad  organizzazioni   mafiose,   annovera   alcuni
precedenti penali e lavora alle dipendenze della  ...,  impresa  gia'
destinataria di interdittiva antimafia emessa dalla Prefettura di ...
il 9 agosto 2013; la sorella (S.S.) infine, e' pure  lei  gravata  da
pregiudizi penali per attivita' di gestione rifiuti non  autorizzata,
violazione di leggi ambientali ed in materia di edilizia,  e  risulta
essere amministratore e socio unico della citata. 
    3. Contro il detto provvedimento interdittivo insorgeva, percio',
la ricorrente con il presente ricorso affidato a molteplici  censure,
con le quali ci si duole  dell'insanabile  violazione  di  legge  che
affliggerebbe i provvedimenti gravati che sarebbero stati adottati in
assenza dei prescritti presupposti  di  legge.  Parte  ricorrente  ha
inoltre dedotto, plurimi, profili di illegittimita' costituzionale  e
non conformita' alla normativa EDU di alcune disposizioni del  Codice
antimafia, tra cui gli articoli 67, 89-bis, 92 e 94. 
    4.  In  data  14  aprile  2020  si  e'  costituita  con   memoria
l'amministrazione intimata che, nel chiedere il rigetto del  ricorso,
alla luce del profondo legame tra la ricorrente  e  le  cosche  sopra
menzionate,  e  della  attendibilita'  della   valutazione   compiuta
dall'Autorita' prefettizia, ha sostenuto che sarebbero manifestamente
infondati  i  rilievi  di  incostituzionalita',  ed  i   profili   di
violazione del diritto eurounitario ex adverso evidenziati. 
    5. Con ordinanza cautelare n. 85 del 23 aprile 2020, il  collegio
ha accolto la domanda di sospensione dell'efficacia dei provvedimenti
impugnati. 
    Esaurita  la  fase  cautelare,  la  causa   e'   stata   discussa
all'udienza pubblica del 15 luglio 2020 durante la quale  sono  stati
uditi per le parti i difensori, mediante collegamento da  remoto,  ai
sensi  dell'art.  4  del  decreto-legge  30  aprile  2020,   n.   28,
convertito, con modificazioni, dalla legge 25  giugno  2020,  n.  70,
all'esito della quale la  causa  e'  stata  nuovamente  discussa  dal
collegio alla Camera di consiglio  del  18  novembre  2020  e  decisa
quindi in primo grado con sentenza parziale di questa sezione, n. 695
del 9 dicembre 2020. 
    Tale  sentenza  non  definitiva  ha  respinto  (ritenendoli   non
fondati) i motivi di ricorso  dedotti  dalla  parte  ricorrente,  ivi
comprese le ripetute eccezioni di legittimita' costituzionale  e  non
conformita' alla normativa EDU  di  alcune  disposizioni  del  Codice
antimafia, ad eccezione di un profilo, prospettato dalla difesa della
ricorrente con il terzo ordine di censure, con  il  quale  si  dubita
della  legittimita'   costituzionale   dell'art.   92   del   decreto
legislativo n. 159/2011. 
    Viene evidenziata, in particolare, la disparita'  di  trattamento
tra i soggetti destinatari di una  misura  di  prevenzione  e  quelli
attinti da informazione antimafia interdittiva, che  deriverebbe  dal
fatto che, soltanto per i primi, il comma 5 dell'art. 67 del  decreto
legislativo n.  159/2011  prevede  che  «le  decadenze  e  i  divieti
previsti dal presente articolo possono essere esclusi dal giudice nel
caso in cui per effetto degli stessi verrebbero a mancare i mezzi  di
sostentamento all'interessato e alla famiglia». Tale misura  infatti,
non e' prevista in materia  di  informazione  antimafia  a  contenuto
interdittivo. La circostanza che in materia di interdittive antimafia
sia preclusa al prefetto,  quale  autorita'  che  adotta  l'atto,  la
possibilita' di escludere le decadenze ed  i  divieti  previsti,  nel
caso in cui per effetto degli stessi verrebbero a mancare i mezzi  di
sostentamento all'interessato ed alla sua famiglia,  concretizzerebbe
un'evidente ed irragionevole disparita' di trattamento. 
    6. Il collegio reputa la questione dedotta rilevante  perche'  la
ricorrente, oltre ad  aver  espressamente  sollevato  in  ricorso  la
riferita eccezione di  legittimita'  costituzionale,  ha  evidenziato
(con la domanda di misure  cautelari  monocratiche)  che  l'attivita'
aziendale costituisce l'unica fonte di reddito della propria famiglia
e che, in mancanza di essa, non avrebbe la possibilita' di  mantenere
quattro figli conviventi di cui tre minori. Inoltre, per effetto  del
gravato provvedimento, si porrebbe  la  indifferibile  necessita'  di
licenziare otto dipendenti assunti con contratto  a  tempo  pieno  ed
indeterminato i quali, considerato il periodo di crisi/emergenza, non
troverebbero facilmente una nuova collocazione lavorativa. 
    In presenza dell'attuale quadro normativo, (anche) questo  motivo
di censura dovrebbe  essere  rigettato,  stante  che  l'art.  92  del
decreto  legislativo  n.  159/2011  come  detto,  non  contempla   la
possibilita' per il prefetto di prendere in esame gli effetti che dal
provvedimento interdittivo derivano, dal che  consegue  la  rilevanza
della prospettata questione di costituzionalita'. 
    Laddove venisse tuttavia accolta  la  questione  di  legittimita'
costituzionale  dianzi  sinteticamente   prospettata,   il   presente
giudizio  avrebbe  un  esito  diverso,  in  quanto  la   riconosciuta
incostituzionalita' in parte qua della norma oggetto di  applicazione
determinerebbe,  per  l'appunto,   l'annullamento   dell'informazione
antimafia   interdittiva   adottata   a   carico   della   ricorrente
dall'autorita'   prefettizia,   senza   alcuna   valutazione    delle
conseguenze del provvedimento interdittivo sui mezzi di sostentamento
della S. e dei suoi familiari. 
    Il tribunale ritiene, peraltro, che la norma, come formulata, non
lasci  margini  per  una  sua  eventuale  lettura  costituzionalmente
orientata, dato che la lettera della  stessa  non  contempla  affatto
l'attribuzione alla ripetuta autorita' prefettizia di  un  potere  di
valutazione analogo a quello di cui gode il  giudice,  ai  sensi  del
citato art. 67, comma 5, decreto legislativo n. 159/2011. 
    7. Ad avviso  di  questo  giudice,  sussiste,  altresi',  la  non
manifesta infondatezza della questione, in relazione agli articoli  3
e 24 della Costituzione. 
    7.1.  Richiamata  la  natura  «cautelare  e   preventiva»   delle
interdittive  antimafia  su  cui  la  giurisprudenza   amministrativa
concorda (per tutte, Consiglio di Stato, adunanza plenaria,  sentenza
6 aprile 2018, n. 3), ritiene il collegio che l'impossibilita' per il
prefetto  deputato  ad  emanare  il  provvedimento  interdittivo   di
esercitare i poteri previsti nel caso di  adozione  delle  misure  di
prevenzione dall'art. 67, comma 5 del decreto legislativo n. 159  del
2011, possa concretizzare un'irragionevole violazione  del  principio
di  uguaglianza  sostanziale  di'  cui  all'art.  3,  comma  2  della
Costituzione. 
    Posto, infatti, che le interdittive  antimafia  e  le  misure  di
prevenzione partecipano della medesima natura di provvedimenti idonei
ad assicurare un'anticipata difesa della legalita'  e  sono  altresi'
accomunate dalle medesime conseguenze decadenziali previste dall'art.
67 del  decreto  legislativo  n.  159/2011,  la  circostanza  che  il
legislatore  non  abbia  previsto  la  possibilita'  che  l'autorita'
amministrativa preposta ad  adottare  il  provvedimento  interdittivo
valuti  l'incidenza  di  esso  sui   mezzi   di   sostentamento   per
l'interessato  e  per  la  sua  famiglia,  sembrerebbe  concretizzare
un'irragionevole disparita' di trattamento. 
    Rammenta inoltre  il  collegio  come  la  medesima  questione  fu
giudicata dalla Corte costituzionale (con la richiamata  sentenza  n.
57/2020) meritevole di rimeditazione da parte del legislatore, ma non
fu oggetto di  una  pronuncia  specifica  poiche',  contrariamente  a
quanto avvenuto nella vicenda per cui e' causa, non dedotta  in  modo
autonomo in quel procedimento. 
    Va  osservato  altresi'  sul  punto  come,  a  parere  di  questo
collegio, la temporaneita' del provvedimento interdittivo non  appaia
idonea a legittimare la disparita' di trattamento tra  i  destinatari
di interdittiva antimafia e di  misure  di  prevenzione,  atteso  che
dodici mesi (periodo di validita' dell'informativa antimafia ai sensi
dell'art. 86, comma 2 del decreto legislativo n. 159 del  2011,  come
precisato dalla Corte costituzionale con la sentenza n.  57/2020)  di
inattivita' appaiono un periodo ampiamente sufficiente a pregiudicare
in modo definitivo qualsiasi  attivita'  di  impresa,  cagionando  un
vulnus evidente a chi da quell'attivita' dovesse trarre  i  mezzi  di
sostentamento suoi e della sua famiglia. 
    Ne' la disparita' e' esclusa per il fatto che ai sensi  dell'art.
34-bis, comma 6 del decreto legislativo n. 159 del 2011  «Le  imprese
destinatarie  di  informazione  antimafia   interdittiva   ai   sensi
dell'art. 84,  comma  4,  che  abbiano  proposto  l'impugnazione  del
relativo provvedimento del prefetto, possono richiedere al  tribunale
competente per le misure di prevenzione l'applicazione del  controllo
giudiziario di cui alla lettera b) del comma 2 del presente  articolo
...». Il controllo giudiziario infatti sospende, per il  tempo  della
sua durata, gli effetti dell'interdittiva senza eliminarli e  la  sua
applicazione, rimessa alla valutazione del tribunale  competente,  e'
eventuale ed  e'  condizionata  dall'impugnazione  del  provvedimento
interdittivo. Esso, in ogni caso, interviene quando questo ultimo  ha
gia', almeno in parte, dispiegato i  suoi  effetti  e  non  riabilita
l'impresa ma, al contrario, presuppone la sussistenza e la permanenza
del ripetuto provvedimento interdittivo (Consiglio di Stato,  sezione
V, n. 3268/2018). Data la natura del controllo giudiziario  e  atteso
che da esso, come detto, discende la mera sospensione  degli  effetti
dell'interdittiva (destinata,  in  quanto  tale,  ad  operare  per  i
rapporti futuri e  non  anche  per  il  pregresso),  non  e'  neppure
possibile riconoscere a tale misura una efficacia retroattiva,  dalla
quale discenda l'automatico travolgimento degli  atti  medio  tempore
adottati dall'amministrazione. 
    Con riguardo al profilo della ritenuta violazione dei principi di
proporzionalita'  e  ragionevolezza   di   cui   all'art.   3   della
Costituzione pare, infine, opportuno ricordare che la  ragionevolezza
delle leggi e' corollario del principio di uguaglianza ed  esige  che
le disposizioni normative contenute in atti aventi  valore  di  legge
siano  adeguate,  o  congruenti,  rispetto  al  fine  perseguito  dal
legislatore, con la conseguenza che sussiste la  violazione  di  tale
principio  laddove,  come  nel  caso  di   specie,   pare   possibile
riscontrare una contraddizione tra disposizioni legislative  ispirate
alla tutela del medesimo interesse pubblico. 
    8. Ad avviso di questo  giudice,  la  questione  di  legittimita'
costituzionale  va  posta  anche  in  relazione  all'art.   4   della
Costituzione. 
    I richiamati effetti derivanti  dall'adozione  di  un'informativa
interdittiva, incidono in maniera pervasiva sull'attivita' svolta dai
soggetti che ne sono colpiti, inibiti non solo ai rapporti  giuridici
con la  pubblica  amministrazione  ma  anche  ad  attivita'  private,
sottoposte a regime autorizzatorio, che possono essere intraprese  su
segnalazione certificata di inizio attivita'  da  parte  del  privato
alla pubblica amministrazione (in termini  da  ultimo,  Consiglio  di
Stato, sezione III, 20 gennaio 2020, n. 452). 
    Tanto premesso, appaiono evidenti gli effetti inibitori  di  tali
provvedimenti sul diritto al lavoro di chi  da  essi  venga  attinto.
Osserva il collegio come il diritto  al  lavoro  costituisca  diritto
fondamentale di tutti i cittadini, e se tale deve ritenersi anche per
il detenuto, per il quale il lavoro costituisce  altresi'  componente
essenziale del trattamento rieducativo (Corte costituzionale  n.  532
del 2002), a maggior ragione lo si deve ritenere  tale  per  soggetti
colpiti  da  un  provvedimento  di  natura  cautelare  e  preventiva,
finalizzato, appunto, a prevenire  un  evento  che,  per  scelta  del
legislatore, non necessariamente e' attuale, o inveratosi,  ma  anche
solo potenziale, emesso da  un'autorita'  amministrativa  sulla  base
della  regola  causale  del  «piu'  probabile  che  non»,  alla   cui
discrezionalita'  e'  rimessa   l'attivazione   del   contraddittorio
procedimentale e che, in ogni caso, nell'adozione  del  provvedimento
in questione,  non  puo'  tenere  conto  dell'eventualita'  che  esso
depauperi i mezzi di sostentamento che chi ne  e'  colpito  trae  dal
proprio lavoro. 
    In altri termini, se il pieno sindacato sui fatti posti alla base
dell'interdittiva, esercitato tenendo conto delle  allegazioni  della
parte privata, consente di attuare nel processo quel  contraddittorio
che l'esigenza di contrastare efficacemente le  mafie  impedisce  nel
procedimento, tuttavia poiche' i procedimenti  in  questione  possono
sfociare in provvedimenti idonei ad incidere sul  diritto  al  lavoro
dei loro destinatari, allora  dovrebbe  essere  assicurato  a  questi
ultimi  che  l'autorita'  prefettizia  a  cio'  deputata,  valuti  se
l'adozione   dei   provvedimenti   in   questione   non   pregiudichi
irrimediabilmente le condizioni economiche dei destinatari, 
    9.  Il  collegio  dubita,  infine,  della  compatibilita'   della
disposizione in esame con i diritti della difesa di cui  all'art.  24
della Costituzione. Sul punto va sottolineato preliminarmente che  il
procedimento finalizzato  all'emissione  dell'informazione  antimafia
nel  nostro  ordinamento   non   sconta   una   totale   assenza   di
contraddittorio, ma conosce una  interlocuzione  eventuale,  prevista
dall'art. 93, comma 7  del  decreto  legislativo  n.  159  del  2011,
secondo cui il prefetto competente al rilascio dell'informazione, ove
lo  ritenga  utile,  sulla  base   della   documentazione   e   delle
informazioni acquisite, invita  in  sede  di  audizione  personale  i
soggetti   interessati   a   produrre,   anche   allegando   elementi
documentali, ogni informazione utile. 
    Cio' posto, come e' noto «ai sensi dell'art. 67, comma 1, lettera
g) del decreto legislativo  n.  159/2011,  e'  preclusa  al  soggetto
colpito dall'interdittiva antimafia  ogni  possibilita'  di  ottenere
"contributi, finanziamenti e  mutui  agevolati  ed  altre  erogazioni
dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati  da  parte
dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunita' europee, per lo
svolgimento  di  attivita'  imprenditoriali",  stante  l'esigenza  di
evitare ogni esborso di matrice pubblicistica in  favore  di  imprese
soggette ad infiltrazioni criminali» (cfr., da ultimo,  Consiglio  di
Stato, sezione III, 4  marzo  2019,  n.  1500;  Consiglio  di  Stato,
adunanza plenaria, 6 aprile 2018, n. 3). In sostanza,  l'adozione  di
un'informativa interdittiva nei confronti di un operatore,  determina
sempre  e  comunque  in  capo  allo  stesso  uno  stato  di  parziale
incapacita' giuridica, si' da determinare «la insuscettivita' ...  ad
essere titolare di quelle situazioni giuridiche  soggettive  (diritti
soggettivi, interessi legittimi) che  determinano  (sul  proprio  cd.
lato esterno) rapporti giuridici  con  la  pubblica  amministrazione»
(Consiglio di Stato, adunanza plenaria, 6 aprile 2018, n. 3). 
    Tanto premesso, se e'  per  un  verso  evidente  che,  in  alcune
circostanze, «la discovery anticipata, gia' in  sede  procedimentale,
di elementi o notizie  contenuti  in  atti  di  indagine  coperti  da
segreto investigativo o  in  informative  riservate  delle  Forze  di
polizia, spesso connessi ad inchieste della  magistratura  inquirente
contro  la  criminalita'  organizzata  e  agli  atti  delle  indagini
preliminari, potrebbe frustrare la  finalita'  preventiva  perseguita
dalla legislazione antimafia ...» (Consiglio di Stato,  sezione  III,
31 gennaio 2020, n. 820), e' anche vero,  alla  luce  delle  spiegate
conseguenze  che  gravano   sugli   operatori   economici   raggiunti
dall'interdittiva,   che   precludere   ai   destinatari   di   detto
provvedimento la possibilita' di sottoporre all'autorita' prefettizia
le possibili conseguenze di esso, in termini  di  depauperamento  dei
mezzi di sostentamento suoi e della sua famiglia sembra integrare  la
violazione anche dell'art. 24 della Costituzione. 
    Questo collegio non ignora che nell'interpretazione che ne da' il
giudice delle leggi il diritto alla difesa non  si  estende  nel  suo
pieno contenuto oltre la sfera della  giurisdizione  sino  a  coprire
ogni procedimento contenzioso di natura amministrativa, ma  cio'  non
significa che  non  possa  avere  riflessi  anche  in  altri  ambiti,
rispecchiando un valore inerente ai diritti inviolabili della persona
(Corte costituzionale, sentenza n. 128/1995). 
    10. Cio' premesso, questo tribunale sospende il presente giudizio
e solleva la questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.  92
del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, per contrasto con i
principi di eguaglianza, proporzionalita'  e  ragionevolezza  di  cui
all'art. 3 della Costituzione,  con  il  diritto  al  lavoro  di  cui
all'art. 4 della Costituzione e con  il  diritto  di  difesa  di  cui
all'art. 24 della Costituzione. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Il Tribunale amministrativo regionale per  la  Calabria,  Sezione
staccata di Reggio Calabria, visto l'art. 23, legge 11 marzo 1953, n.
87, dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 92 del  decreto  legislativo  6
settembre 2011,  n.  159,  nei  limiti  di  cui  in  motivazione,  in
relazione agli articoli 3, secondo comma, 4 e 24 della Costituzione e
dispone la sospensione del giudizio e la trasmissione degli atti alla
Corte costituzionale. 
    Ordina che, a cura della segreteria della  sezione,  la  presente
sentenza sia notificata alle parti  in  causa  e  al  Presidente  del
Consiglio dei ministri, nonche' comunicata ai Presidenti della Camera
dei deputati e del Senato della Repubblica. 
    Riserva alla decisione definitiva ogni ulteriore  statuizione  in
rito, in merito e in ordine alle spese. 
    Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, commi 1
e 2 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196,  e  dell'art.  10
del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del  Consiglio
del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignita' della parte
interessata, manda alla segreteria di procedere all'oscuramento delle
generalita' nonche' di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare  i
soggetti nominativamente citati nel presente provvedimento. 
    Cosi' deciso in Reggio Calabria nelle  camere  di  consiglio  del
giorno 15 luglio 2020 e del giorno 18 novembre 2020, con l'intervento
dei magistrati: 
      Caterina Criscenti, presidente; 
      Agata Gabriella Caudullo, referendario; 
      Antonino Scianna, referendario, estensore. 
 
                        L'estensore: Scianna 
 
                                             Il presidente: Criscenti