N. 109 SENTENZA 15 aprile - 27 maggio 2021

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Appalti  pubblici  -  Codice  dei  contratti   pubblici   -   Riserve
  contrattuali dell'appaltatore - Determinazione dell'importo massimo
  complessivo,   stabilito   nel   venti   per   cento   dell'importo
  contrattuale - Denunciata irragionevolezza, violazione del  diritto
  d'azione,  della  liberta'  d'impresa  e  del  principio  del  buon
  andamento - Non fondatezza delle questioni, nei  sensi  di  cui  in
  motivazione. 
- Decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, art. 240-bis, comma  1,
  come modificato dall'art. 4, comma 2, lettera hh), numero  1),  del
  decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni,
  nella legge 12 luglio 2011, n. 106. 
- Costituzione, artt. 3, 24, 41 e 97. 
(GU n.22 del 3-6-2021 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giancarlo CORAGGIO; 
Giudici :Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria  de  PRETIS,  Nicolo'
  ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,
  Giovanni  AMOROSO,  Francesco  VIGANO',  Luca   ANTONINI,   Stefano
  PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela  NAVARRETTA,  Maria  Rosaria  SAN
  GIORGIO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita'  costituzionale  dell'art.  240-bis,
comma 1, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163  (Codice  dei
contratti  pubblici  relativi  a  lavori,  servizi  e  forniture   in
attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE), come  modificato
dall'art. 4, comma 2, lettera hh), numero 1),  del  decreto-legge  13
maggio 2011, n. 70 (Semestre Europeo - Prime disposizioni urgenti per
l'economia), convertito, con modificazioni,  nella  legge  12  luglio
2011, n. 106,  promosso  dal  Tribunale  ordinario  di  Lecco,  prima
sezione civile, nel procedimento vertente tra la R. srl e  il  Comune
di Oggiono e altro, con ordinanza del 29 maggio 2019, iscritta al  n.
171 del registro ordinanze 2019 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 43, prima serie speciale, dell'anno 2019. 
    Visti l'atto di costituzione della  R.  srl,  nonche'  l'atto  di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udita  nell'udienza  pubblica  del  13  aprile  2021  la  Giudice
relatrice Emanuela Navarretta; 
    uditi l'avvocata Nicoletta Sersale per la  R.  srl  e  l'avvocato
dello Stato  Marco  Corsini  per  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri, in collegamento da  remoto,  ai  sensi  del  punto  1)  del
decreto del Presidente della Corte del 16 marzo 2021; 
    deliberato nella camera di consiglio del 15 aprile 2021. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza  del  13  maggio  2019,  iscritta  al  registro
ordinanze n. 171 del 2019, il Tribunale  ordinario  di  Lecco,  prima
sezione civile, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24,  41  e
97  della  Costituzione,  questioni  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 240-bis, comma 1, del decreto legislativo 12  aprile  2006,
n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a  lavori,  servizi  e
forniture in attuazione delle  direttive  2004/17/CE  e  2004/18/CE),
(d'ora in avanti, anche: cod. contratti  pubblici),  come  modificato
dall'art. 4, comma 2, lettera hh), numero 1),  del  decreto-legge  13
maggio 2011, n. 70 (Semestre Europeo - Prime disposizioni urgenti per
l'economia), convertito, con modificazioni,  nella  legge  12  luglio
2011, n. 106, nella parte in cui prevede che «[l]'importo complessivo
delle riserve non puo' in ogni caso essere  superiore  al  venti  per
cento dell'importo contrattuale». 
    1.1.- Il rimettente espone che  la  parte  attrice  nel  processo
principale, l'impresa R. srl, faceva valere in giudizio  sei  riserve
iscritte nei  registri  di  contabilita'  e  confermate  in  sede  di
sottoscrizione del conto finale  in  data  17  giugno  2015,  per  un
ammontare complessivo di euro 473.751,18. 
    Tali riserve - riferisce il giudice a quo - erano state iscritte,
ai sensi degli artt. 190 e  191  del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica 5 ottobre 2010,  n.  207  (Regolamento  di  esecuzione  ed
attuazione del decreto legislativo 12 aprile 2006,  n.  163,  recante
«Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture
in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE»),  nell'ambito
di un contratto di appalto di  lavori  stipulato  con  il  Comune  di
Oggiono, in data 15 marzo 2013, per  un  corrispettivo,  calcolato  a
misura, di euro 558.751,65, oltre IVA e oneri di sicurezza. 
    Il Tribunale di Lecco precisa che il Comune di Oggiono non  aveva
promosso il procedimento di accordo bonario di cui all'art.  240  del
d.lgs. n. 163 del 2006 e che, convenuto in  giudizio  dalla  R.  srl,
eccepiva l'inammissibilita' delle riserve ai sensi dell'art. 240-bis,
comma 1, cod. contratti pubblici. 
    1.2.- In punto di  rilevanza,  il  giudice  a  quo  osserva  che,
all'esito della consulenza tecnica d'ufficio  relativa  alle  riserve
iscritte, risulterebbero fondate le pretese dell'impresa appaltatrice
per la somma di euro 109.236,41, vale a dire per una cifra  inferiore
al venti per cento dell'importo contrattuale. 
    Tuttavia - prosegue  il  rimettente  -  poiche'  quanto  dovrebbe
riconoscersi all'impresa si ricava da  riserve  (la  terza  per  euro
3.653,68,  la  quarta  per  euro   87.182,88   e   la   maggiorazione
riconosciuta in fase di collaudo per euro 18.479,55), registrate dopo
che ne erano state iscritte altre per un  ammontare  che  aveva  gia'
raggiunto il limite del venti per  cento  dell'importo  contrattuale,
sarebbe preclusa la  possibilita'  di  accertare  nel  merito  quelle
annotate successivamente al superamento della  soglia  imposta  dalla
norma censurata. 
    Il giudice a quo sostiene, infatti, che  l'unica  interpretazione
dell'art. 240-bis, comma 1, cod. contratti  pubblici,  conforme  alla
sua lettera ed alle intenzioni del legislatore, «sembra essere quella
che  attribuisce  all'appaltatore  la  legittimazione  ad   iscrivere
riserve  solo  fino  alla  concorrenza  di  un  quinto   dell'importo
contrattuale» e non quella  che  riferisce  tale  soglia  all'importo
complessivo che  in  concreto  puo'  essere  riconosciuto.  Pertanto,
sarebbero ammissibili, nel caso di specie, le prime tre riserve e  il
giudice non potrebbe valutare nel merito  le  altre  che,  viceversa,
sembrerebbero fondate. 
    1.3.- In punto di non manifesta infondatezza, il  giudice  a  quo
rileva  che,  «anche  in  un'ottica  di  bilanciamento  tra  principi
costituzionali, le esigenze di contenimento della spesa pubblica  non
possono giustificare la creazione di una posizione di cosi'  smaccato
privilegio per la stazione appaltante, alla quale viene consentito di
liberarsi dalle proprie responsabilita' non solo in  caso  di  eventi
sopravvenuti imprevedibili, ma anche in caso  di  possibili  condotte
illegittime o inadempienti,  tutte  indistintamente  ricondotte  alla
categoria del rischio di impresa di cui l'appaltatore dovrebbe  farsi
carico». 
    In particolare, il Tribunale di Lecco dubita  della  legittimita'
costituzionale  della  disposizione   censurata,   in   relazione   a
molteplici parametri. 
    In primo luogo, ravvisa un contrasto con gli artt. 3 e 24  Cost.,
poiche' l'art. 240-bis, comma 1, cod. contratti pubblici  andrebbe  a
stravolgere l'equilibrio negoziale in favore di una sola delle  parti
del contratto, il che si tradurrebbe «sul piano sostanziale,  in  una
limitazione irragionevole delle pretese patrimoniali dell'appaltatore
e,  sul  piano   processuale,   in   una   compressione   altrettanto
inspiegabile del diritto d'azione». 
    In secondo luogo, il  giudice  a  quo  sospetta  l'illegittimita'
costituzionale  della  norma  in   relazione   all'art.   41   Cost.,
«concretandosi la disposizione in un'ingiustificata limitazione  alla
liberta' d'impresa»: l'imprenditore sarebbe arbitrariamente costretto
a sopportare anche il rischio di pregiudizi del tutto  estranei  alla
sua  sfera  di   controllo,   venendo   meno   «qualsiasi   possibile
proporzionalita'  tra  l'ablazione  dei  diritti  dell'appaltatore  e
l'intento del legislatore di arginare la proliferazione delle riserve
per contenere la spesa pubblica». 
    Infine, il giudice a  quo  reputa  il  citato  art.  240-bis  non
conforme all'art. 97 Cost., perche' la norma censurata incentiverebbe
la deresponsabilizzazione dei funzionari pubblici, in  contrasto  con
il principio di buon andamento della pubblica amministrazione. 
    2.- Il 6 novembre 2019 si e' costituita in giudizio  la  societa'
R.  srl,  la  quale,  soffermandosi  sulla  ratio  dell'istituto,  ha
sottolineato  che  le  riserve,  oltre  a  consentire  alle  stazioni
appaltanti di avere contezza delle richieste degli appaltatori e  dei
possibili aumenti di spesa, sono anche lo strumento che permette alla
parte privata di avanzare  richieste  per  compensi,  risarcimenti  o
indennizzi   relativi   ai   lavori   eseguiti.    Di    conseguenza,
l'impossibilita'  di  iscrivere  riserve  oltre  una   certa   soglia
comporterebbe, sul piano sostanziale e processuale, un  irragionevole
limite al diritto dell'appaltatore  di  ottenere  quanto  gli  spetta
sulla base del contratto e delle previsioni di legge. 
    2.1.-  La  difesa  della  societa'  appaltatrice  ha  ripercorso,
quindi, le argomentazioni spese dal giudice a quo per  illustrare  il
dubbio di legittimita' costituzionale  dell'art.  240-bis,  comma  1,
cod. contratti pubblici, in riferimento agli artt. 3,  24,  41  e  97
Cost. 
    2.2.-  La  violazione   dell'art.   3   Cost.   deriverebbe,   in
particolare,  da  «un  insanabile  contrasto  con  il  principio   di
ragionevolezza»: se l'istituto delle riserve e' concepito a  garanzia
dell'esatto e corretto adempimento del sinallagma, viceversa,  l'art.
240-bis cod. contratti pubblici comporterebbe  lo  stravolgimento  in
fase esecutiva  di  quanto  pattuito  con  il  contratto,  risultando
pertanto intrinsecamente irragionevole. 
    Inoltre,   l'inosservanza   dell'art.   3   Cost.   discenderebbe
dall'illegittima disparita' di trattamento  tra  operatori  economici
che  svolgono  l'attivita'  di  impresa  nel  settore  degli  appalti
pubblici e quelli che si dedicano agli appalti privati,  dal  momento
che, per questi ultimi, una  simile  limitazione  di  responsabilita'
sarebbe nulla, per contrarieta'  all'art.  1229  del  codice  civile,
persino se fosse stata oggetto di specifica negoziazione. 
    2.3.- Tali considerazioni - a parere della difesa della  societa'
appaltatrice - sosterrebbero anche l'illegittimita' costituzionale in
riferimento  all'art.   41   Cost.:   infatti,   talune   limitazioni
all'autonomia privata nelle scelte economiche ed imprenditoriali sono
ben ammissibili, onde realizzare un equo contemperamento di interessi
costituzionali potenzialmente confliggenti;  tuttavia,  nel  caso  di
specie, tale  circostanza  non  ricorrerebbe,  non  essendovi  alcuna
proporzionalita'  fra  l'ablazione  dei  diritti  dell'appaltatore  e
l'intento del legislatore di arginare la proliferazione  di  riserve,
per contenere la spesa pubblica. 
    2.4.- Da ultimo, la societa' appaltatrice sostiene che  la  norma
sia in contrasto anche con  gli  artt.  24  e  113  Cost.:  ai  sensi
dell'art. 190  del  d.P.R.  n.  207  del  2010,  l'omessa  tempestiva
formulazione delle riserve comporta la decadenza dal diritto  di  far
valere, anche in sede giurisdizionale, le  domande  che  ad  esse  si
riferiscono.  Una  limitazione  come  quella  imposta   dalla   norma
contestata integrerebbe, percio', una grave violazione di entrambi  i
parametri sopra  evocati,  senza  che  -  peraltro  -  risulti  dalla
formulazione dell'art. 240-bis cod. contratti pubblici quale  sia  il
diritto  costituzionalmente  riconosciuto  che  legittimi  una   tale
compressione. 
    3.- Il 12 novembre 2019 e' intervenuto in giudizio il  Presidente
del Consiglio dei ministri, rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate non
fondate. 
    La difesa erariale ha evidenziato che le riserve non garantiscono
solo la corrispettivita' delle prestazioni,  ma  soprattutto  servono
alla stazione appaltante  per  verificare  i  fatti  suscettibili  di
produrre un incremento delle spese previste, con un accertamento  che
si rivela meno dispendioso perche' immediato e continuativo.  In  tal
modo - osserva l'Avvocatura  generale  -  l'Amministrazione  potrebbe
adottare tempestivamente le proprie determinazioni, in armonia con il
bilancio pubblico, «fino ad esercitare  la  potesta'  di  risoluzione
unilaterale del contratto». Questo dimostrerebbe che l'istituto delle
riserve presidierebbe l'esigenza di evitare modifiche sostanziali del
contratto, a tutela anche dei concorrenti non aggiudicatari. Ne' cio'
determinerebbe una lesione alla liberta' di impresa o  all'iniziativa
economica,  perche',  da  un  lato,  l'art.  240-bis  cod.  contratti
pubblici integrerebbe il contratto d'appalto ai sensi dell'art.  1374
cod. civ. e, da un altro lato, l'insorgenza di sopravvenienze tali da
stravolgere l'intima essenza del  contratto  potrebbe  in  ogni  caso
condurre all'attivazione degli ordinari rimedi civilistici  a  tutela
dell'appaltatore. 
    4.-  In  prossimita'  dell'udienza,  l'Avvocatura   generale   ha
depositato memorie nelle quali ha ribadito quanto gia' argomentato in
ordine alla non fondatezza delle questioni. 
    In particolare, il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  ha
ricordato come il controllo di ragionevolezza, sviluppato sulla  base
dell'art. 3 Cost.,  sia  volto  a  verificare  la  rispondenza  degli
interessi tutelati  dalla  legge  ai  principi  costituzionali  e  al
bilanciamento  tra  gli  stessi,  potendo  da  cio'   inferirsi   una
contrarieta' a Costituzione solo ove non sia possibile ricondurre  la
disciplina ad alcuna esigenza protetta in via primaria oppure qualora
sussista una evidente sproporzione tra i mezzi approntati ed il  fine
perseguito. 
    Ebbene, nel caso di specie, tali  esigenze  sarebbero  perseguite
dalla norma  censurata:  l'art.  240-bis,  comma  1,  cod.  contratti
pubblici  sarebbe  finalizzato  ad  evitare   modifiche   sostanziali
dell'appalto e a contenere la spesa  pubblica.  Inoltre,  l'operatore
economico non si troverebbe privo di  autonoma  determinazione  e  di
tutela, di fronte alla possibilita' che la realizzazione  dei  lavori
ecceda il quinto del corrispettivo pattuito nel contratto: la  difesa
erariale richiama alcune sentenze della Corte  di  cassazione  e  del
Consiglio di Stato che avrebbero riconosciuto,  in  tali  ipotesi,  a
favore dell'appaltatore il rimedio della  risoluzione  per  eccessiva
onerosita'  sopravvenuta.  La  norma  censurata  non   comporterebbe,
pertanto,  alcuna  violazione  degli  artt.  3   e   41   Cost.   ne'
contrasterebbe con gli artt. 24 e 113 Cost. D'altro canto, proprio la
possibilita' di agire con i rimedi risolutori, e  con  le  azioni  ad
essi correlate, escluderebbe il rischio di una deresponsabilizzazione
dei funzionari pubblici. 
    Da ultimo - rammenta sempre  l'Avvocatura  generale  -  la  norma
censurata integrerebbe il contratto d'appalto,  rendendo  l'operatore
economico edotto della disciplina cui si sta  assoggettando,  sicche'
tale  «consapevolezza  lo   indurra'   ad   evitare   quantificazioni
artatamente dilatate delle pretese avanzate con le riserve  [...]  al
solo fine di conseguire vantaggi economici». 
    5.- Nell'udienza del 13 aprile 2021  sono  intervenute  la  parte
costituita in giudizio e la difesa erariale, che hanno insistito  per
le conclusioni rassegnate negli scritti difensivi. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con ordinanza del 13 maggio 2019, il Tribunale  ordinario  di
Lecco ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 41  e  97  della
Costituzione,  questioni  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.
240-bis, comma 1, del decreto legislativo  12  aprile  2006,  n.  163
(Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture
in attuazione delle direttive 2004/17/CE  e  2004/18/CE),  (d'ora  in
avanti, anche: cod. contratti pubblici), come modificato dall'art. 4,
comma 2, lettera hh), numero 1), del decreto-legge 13 maggio 2011, n.
70 (Semestre Europeo - Prime disposizioni  urgenti  per  l'economia),
convertito, con modificazioni, nella legge 12 luglio  2011,  n.  106,
nella parte in cui prevede che «[l]'importo complessivo delle riserve
non  puo'  in  ogni  caso  essere  superiore  al  venti   per   cento
dell'importo contrattuale». 
    Il giudice a quo ritiene, infatti, che, anche  «in  un'ottica  di
bilanciamento   tra   principi   costituzionali,   le   esigenze   di
contenimento  della  spesa  pubblica  non  possono  giustificare   la
creazione di una  posizione  di  cosi'  smaccato  privilegio  per  la
stazione appaltante, alla quale viene consentito di  liberarsi  dalla
proprie responsabilita' non  solo  in  caso  di  eventi  sopravvenuti
imprevedibili, ma anche in caso di possibili condotte  illegittime  o
inadempienti, tutte indistintamente  ricondotte  alla  categoria  del
rischio di impresa di cui l'appaltatore dovrebbe farsi carico». 
    1.1.- Il giudice rimettente argomenta nel  senso  che  il  tenore
letterale  della  disposizione  censurata   e   le   intenzioni   del
legislatore indurrebbero ad assegnare alla norma  il  significato  di
porre un limite alla  possibilita'  per  l'appaltatore  di  iscrivere
riserve fino alla concorrenza di un quinto dell'importo contrattuale. 
    Tale  interpretazione  renderebbe  le  questioni  rilevanti  e  -
secondo la prospettazione del giudice  a  quo  -  non  manifestamente
infondate rispetto ai su citati parametri costituzionali. 
    2.- E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, che ha sostenuto la non fondatezza delle questioni. 
    La   norma   censurata   avrebbe   introdotto   una   limitazione
giustificata e congrua alla possibilita'  per  l'appaltatore  di  far
valere le proprie ragioni, poiche', da un lato, l'art. 240-bis, comma
1, del  d.lgs.  n.  163  del  2006  sarebbe  finalizzato  ad  evitare
modifiche sostanziali del contratto e a contenere la  spesa  pubblica
e, da un altro lato, l'operatore economico, conscio della  disciplina
normativa cui si  sta  assoggettando,  non  si  troverebbe  privo  di
autonoma determinazione e di tutela: all'insorgenza di sopravvenienze
tali da rendere eccessivamente squilibrato il sinallagma contrattuale
o al verificarsi di inadempimenti  di  non  scarsa  importanza  della
controparte  potrebbe,  difatti,  avvalersi  degli  ordinari   rimedi
contrattuali. 
    3.- Si e' costituita in giudizio anche la societa'  R.  srl  che,
oltre a richiamare gli argomenti spesi dal giudice  a  quo  a  favore
della fondatezza, ha altresi' ravvisato una violazione dell'art.  113
Cost. A  tal  riguardo,  si  deve,  tuttavia,  precisare  che  questa
ulteriore questione prospettata dalla difesa della parte privata  non
e' suscettibile di esame, e dunque va ritenuta inammissibile. Secondo
la costante giurisprudenza di questa Corte, «l'oggetto  del  giudizio
di costituzionalita' in via incidentale e',  infatti,  limitato  alle
norme e ai parametri indicati  nelle  ordinanze  di  rimessione,  non
potendo essere prese in considerazione,  oltre  i  limiti  in  queste
fissati, ulteriori questioni o censure di  costituzionalita'  dedotte
dalle parti, sia che siano state eccepite ma non  fatte  proprie  dal
giudice a quo,  sia  che  siano  dirette  ad  ampliare  o  modificare
successivamente il contenuto delle stesse ordinanze (sentenza n.  327
del 2010, ordinanze n. 138 del 2017 e n. 469 del 1992)»  (da  ultimo,
sentenza n. 213 del 2017). 
    4.- Nel merito, le questioni non sono  fondate,  nei  termini  di
seguito illustrati. 
    5.- La disposizione censurata e' stata introdotta, nel codice dei
contratti pubblici, con  il  decreto-legge  13  maggio  2011,  n.  70
(Semestre Europeo  -  Prime  disposizioni  urgenti  per  l'economia),
convertito, con modificazioni, nella legge 12 luglio 2011, n. 106. 
    Per  comprendere  le  ragioni  di  tale   integrazione,   occorre
considerare che,  nella  prassi,  si  e'  fatto  spesso  un  utilizzo
improprio dell'istituto delle riserve, al fine  di  avanzare  pretese
non giustificate dal regolamento contrattuale  o  non  conformi  alle
previsioni legali sulle  procedure  che  danno  accesso  a  possibili
modifiche  dell'originario  accordo.  Documentano  la  preoccupazione
destata da simili condotte alcune determinazioni  dell'Autorita'  per
la vigilanza sui contratti pubblici di lavori,  servizi  e  forniture
(AVCP), nelle quali si censura, in special modo,  che  si  sia  fatto
ricorso  alle  riserve,  in  situazioni  in  cui  la  legge  avrebbe,
viceversa, richiesto la presentazione di una perizia di variante  (si
veda in particolare la determinazione AVCP del 30 maggio 2007, n. 5). 
    Non puo' dubitarsi, invero, che il  riconoscimento  di  richieste
con l'accordo bonario, in difformita' dal  chiaro  dettato  normativo
degli artt. 132 cod. contratti pubblici e 161, commi 1, 2 ed  11  del
decreto del Presidente  della  Repubblica  5  ottobre  2010,  n.  207
(Regolamento di esecuzione ed attuazione del decreto  legislativo  12
aprile 2006, n. 163, recante «Codice dei contratti pubblici  relativi
a  lavori,  servizi  e  forniture  in  attuazione   delle   direttive
2004/17/CE   e   2004/18/CE»),   faccia   illegittimamente    deviare
l'esecuzione  dell'appalto  dall'interesse  pubblico   cristallizzato
nella fase costitutiva del contratto e riflesso nella disciplina  che
regola le sue possibili modifiche per effetto di sopravvenienze. 
    L'art. 240-bis, comma 1, cod. contratti pubblici,  nel  prevenire
simili e altri abusi nell'utilizzo dell'istituto  delle  riserve,  ha
inteso, dunque, preservare interessi riconducibili agli artt. 81 e 97
Cost. (sotto il  profilo  del  buon  andamento  e  dell'imparzialita'
dell'amministrazione)   nonche',    indirettamente,    tutelare    la
concorrenza.  Non  era,  infatti,  infrequente  l'aggiudicazione   di
appalti a favore di imprese che,  confidando  nella  possibilita'  di
conseguire, grazie agli accordi bonari,  guadagni  aggiuntivi  e  non
dovuti, proponessero offerte notevolmente ribassate. 
    5.1.- Vero e' che l'elemento di  criticita'  delle  prassi  sopra
richiamate sono gli accordi bonari e non le riserve in  quanto  tali.
Opportunamente,  a  tal  riguardo,  il  nuovo  codice  dei  contratti
pubblici, approvato nel 2016 (decreto legislativo 18 aprile 2016,  n.
50, recante «Codice  dei  contratti  pubblici»),  e  non  applicabile
ratione temporis alla fattispecie oggetto  del  giudizio  a  quo,  ha
posto un limite (il quindici  per  cento  dell'importo  contrattuale)
solo alla possibilita'  di  definire  le  riserve  tramite  l'accordo
bonario (art. 205, comma 1, d.lgs. n. 50 del 2016). 
    5.2.- Cionondimeno, la  sussistenza  di  una  migliore  soluzione
normativa rispetto a quella censurata non e' di per  se'  sintomo  di
una  illegittimita'  costituzionale  della  scelta  legislativa  meno
appropriata (in termini simili, sentenza n. 122 del 2020). 
    Piuttosto, si tratta di accertare se l'aver  riferito  la  soglia
legale in senso lato alle riserve, anziche' alle  riserve  definibili
per accordo bonario, determini, nel bilanciamento con  gli  interessi
che la disposizione censurata mira  a  preservare,  un  irragionevole
vulnus ad altre istanze di  rango  costituzionale,  che  si  desumono
dalle funzioni assegnate dalla stessa legge alle riserve. 
    In  particolare,  la  loro  iscrizione  e'  stata  prevista   dal
legislatore a beneficio di un monitoraggio costante, da  parte  della
stazione appaltante, sull'esecuzione del contratto e, per questo,  e'
stata configurata quale onere  per  l'appaltatore,  che  intenda  far
valere pretese nei confronti del committente, onere  il  cui  mancato
rispetto e' sanzionato con la decadenza dalle relative  azioni  (art.
190 del d.P.R. n. 207 del 2010). 
    In considerazione, dunque, dell'interesse alla trasparenza  della
stazione appaltante e di quello a non decadere da  legittime  pretese
dell'impresa appaltatrice, l'esito del giudizio di  costituzionalita'
dipende da un duplice passaggio argomentativo. 
    Per un verso, si tratta di chiarire  in  via  ermeneutica  se  la
soglia legale si riferisca alla possibilita' di iscrivere riserve o a
quella di accordare loro riconoscimento, in via bonaria o giudiziale,
a prescindere dall'ordine con cui vengono annotate. 
    Per un altro verso, occorre  ricostruire  l'ampio  ventaglio  dei
rimedi civilistici, che non risentono tout court dell'istituto  delle
riserve o che non patiscono gli effetti del limite legale posto dalla
norma censurata. 
    6.- Il testo  dell'art.  240-bis,  comma  1,  nel  prevedere  che
«[l]'importo complessivo delle riserve non puo' in ogni  caso  essere
superiore al venti per cento dell'importo  contrattuale»,  non  rende
esplicito se il limite escluda la possibilita' di far  valere  quelle
iscritte oltre la  soglia  o  se  riguardi  l'entita'  delle  pretese
annotate che, nel complesso, possono essere riconosciute. 
    La prima interpretazione, sostenuta dal rimettente,  non  risulta
pienamente   coerente   con   la   collocazione   sistematica   della
disposizione   e,   soprattutto,   ove   accolta,   paleserebbe   una
irragionevolezza della norma, il  che  avrebbe  dovuto  suggerire  al
rimettente di non respingere - come invece ha ritenuto  di  fare,  in
maniera esplicita  e  argomentata  -  la  richiamata  interpretazione
alternativa, gia' sostenuta da altri giudici  di  merito  (si  vedano
Tribunale ordinario di Roma, sentenze 11 dicembre 2020, n. 17666 e 23
gennaio 2017, n. 1085; Tribunale ordinario  di  Milano,  sentenza  25
marzo 2020, n. 2207). 
    6.1.-  Sotto  il  profilo  sistematico,  la  norma  censurata  si
inserisce nella Parte IV del codice dei contratti pubblici,  che  non
regola l'esecuzione dell'appalto e l'iscrizione delle riserve, bensi'
il «Contenzioso» e  si  colloca  nel  contesto  di  un  articolo  che
disciplina  -  come  precisa  la  rubrica  -  la  «Definizione  delle
riserve». In particolare, posto  che  la  prima  parte  del  comma  1
stabilisce  che   possono   essere   proposte,   e   di   conseguenza
potenzialmente accolte, le  domande  che  non  superino  gli  importi
«quantificati nelle riserve stesse», e' naturale inferirne che  anche
la seconda parte  della  disposizione,  nel  fissare  la  soglia,  si
riferisca alle riserve che possono essere proposte  e  potenzialmente
definite, in via bonaria o giudiziale. 
    6.2.- Per converso, interpretare la  disposizione  nel  senso  di
escludere la possibilita' di far valere le riserve iscritte oltre  la
soglia legale  non  solo  si  rivela  asistematico,  e  fonte  di  un
possibile ossimoro rispetto alle norme  che  impongono  alle  imprese
appaltatrici l'onere di iscriverle per talune pretese, ma  oltretutto
pregiudicherebbe,  in  maniera  irragionevole,  gli  interessi  sopra
richiamati,  a  partire   dalla   trasparenza   nell'esecuzione   del
contratto, a beneficio della stazione appaltante. 
    6.2.1.- Se l'impresa appaltatrice, dopo aver annotato riserve per
il   venti   per   cento    dell'importo    contrattuale,    perdesse
automaticamente la possibilita' di avanzare pretese subordinate  alla
loro iscrizione in  riserva,  non  avrebbe  piu'  alcun  interesse  a
continuare a rispettare il relativo onere. Tuttavia, poiche' la legge
lo prevede anche per fatti suscettibili di evidenziare  inadempimenti
della  stazione  appaltante  e  questi  ultimi,  ove  di  non  scarsa
importanza, giustificherebbero comunque pretese  anche  risarcitorie,
ex art. 1453 del codice civile,  a  prescindere  dall'apposizione  di
riserve (ex  multis,  Corte  di  cassazione,  terza  sezione  civile,
ordinanza 6 maggio 2020, n. 8517; Corte di cassazione, prima  sezione
civile, ordinanza 5 settembre 2018, n. 21656 e  sentenza  3  novembre
2016, n. 22275), il committente si troverebbe esposto  a  un  rischio
significativo: quello di non aver avuto tempestiva contezza - a causa
della mancata annotazione delle pretese - di contestazioni relative a
sue stesse inadempienze,  con  la  conseguenza  di  non  aver  potuto
assumere opportune determinazioni, quale l'esercizio del  recesso  di
cui all'art. 134 cod. contratti pubblici. 
    Per contro, ove  si  riferisca  la  soglia  legale  alle  riserve
suscettibili di accoglimento, residuerebbe in capo all'appaltatore un
certo grado di aleatorieta' in merito al  raggiungimento  del  limite
delle pretese liquidabili, subordinatamente all'onere delle  riserve,
e tale incertezza dovrebbe indurlo, prudenzialmente, a continuare  ad
annotarle, a tutto beneficio delle esigenze della trasparenza. 
    In tal modo, il rischio per la  stazione  appaltante  di  doversi
affidare alla sua mera vigilanza viene limitato, in una maniera che -
come si dira' - non sacrifica  irragionevolmente  il  buon  andamento
della pubblica amministrazione, alla sola  ipotesi  in  cui  l'intera
somma (il venti per cento  dell'importo  contrattuale)  riconoscibile
attraverso le riserve sia stata accettata nel corso  dell'esecuzione,
tramite l'accordo bonario. 
    6.2.2.- Quanto poi agli interessi dell'impresa  appaltatrice,  si
palesa a fortiori la  manifesta  irragionevolezza  dell'esito  a  cui
condurrebbe l'interpretazione - per cio' stesso erronea - prospettata
dal rimettente. 
    Selezionare le riserve ammissibili in base all'ordine della  loro
iscrizione vorrebbe dire negare all'impresa di  poter  agire  in  via
giudiziale per dimostrare la fondatezza delle sue pretese, in ragione
di una circostanza che e' del tutto contingente, casuale e  priva  di
intrinseca ragionevolezza, qual  e'  l'ordine  di  annotazione  delle
richieste, condizionato dalla mera successione cronologica con cui si
pongono i vari problemi nell'esecuzione del contratto. 
    7.- Per le ragioni esposte, merita valutare la compatibilita' con
la Costituzione dell'interpretazione della giurisprudenza  prevalente
(si veda, supra, punto 6), secondo la quale, entro il venti per cento
dell'importo contrattuale, e'  possibile  riconoscere  la  fondatezza
delle pretese annotate con riserva, qualunque sia stato l'ordine  con
cui sono state iscritte. 
    La richiamata interpretazione  della  soglia  legale  di  cui  al
censurato art. 240-bis rinviene, infatti, una  giustificazione  nella
sua riferibilita' al margine di possibile adattamento del  contratto,
previsto,  in  caso  di  sopravvenienze,  dalla   stessa   disciplina
dell'appalto pubblico. Questa, infatti, identifica nel valore  di  un
quinto dell'importo contrattuale il discrimine che separa il grado di
adeguamento tollerato del  regolamento  di  interessi  dal  punto  di
rottura, oltre il quale o si  risolve  l'appalto  o  si  giunge  alla
stipula di un nuovo contratto tramite un'eventuale variante. 
    8.- Occorre, tuttavia, precisare che questa stessa  ricostruzione
ermeneutica deve tenere conto della non assoluta  corrispondenza  fra
la ratio della iscrizione delle riserve e la logica che  sovraintende
agli adeguamenti dell'appalto. Da un lato, infatti,  le  riserve  non
riguardano  solo   mutamenti   del   contratto,   bensi'   anche   la
contestazione di inadempienze della stazione  appaltante;  e,  da  un
altro lato, l'adeguamento dell'importo  contrattuale  in  ragione  di
sopravvenienze e' affidato ad un quadro di  strumenti  complesso  che
comprende  non  solo  le  riserve,  ma  anche  le   varianti   e   le
compensazioni. 
    Di  conseguenza,  si  deve  ulteriormente  valutare  il   profilo
relativo al possibile vulnus all'interesse dell'impresa appaltatrice,
che  intenda  far  valere  in  via   giudiziale   legittime   pretese
contrattuali, anche al di sopra del richiamato limite. 
    A tal proposito, e' opportuno tenere conto dell'estrema  varieta'
di ipotesi per le quali  lo  stesso  legislatore  impone  l'onere  di
iscrivere riserve: richieste di corretta esecuzione del contratto,  a
fronte  di  erronee  contabilizzazioni  da  parte  del   committente;
risarcimenti del danno per ritardi nella consegna o  per  sospensioni
dell'esecuzione  dovute  alla  stazione  appaltante;  maggiori  costi
derivanti  dalla  difformita'  dei  luoghi  e  dalla  loro   consegna
parziale; contestazioni - nel caso di variazioni inferiori al  quinto
dell'importo contrattuale - sia dell'equo compenso,  stabilito  dalla
stazione  appaltante  quando  le  modifiche  comportino  un  notevole
pregiudizio economico per singole categorie di lavorazioni  omogenee,
sia del  prezzo  non  concordato  per  lavorazioni  o  materiali  non
previsti nel contratto originario; cosi' come  il  dissenso  rispetto
alle determinazioni del responsabile unico del procedimento (RUP)  in
ipotesi di controversie tecniche. E non puo' tacersi che - secondo la
dottrina e la giurisprudenza - l'onere di iscrivere  riserve  ha  una
valenza generale e investe ogni pretesa di  carattere  economico  che
l'esecutore   dei   lavori   intenda   far   valere   nei   confronti
dell'amministrazione. 
    8.1.- Dinanzi al quadro  sopra  descritto,  occorre  innanzitutto
segnalare che i rimedi  contrattuali  di  natura  risolutoria,  e  le
correlate  azioni  anche   risarcitorie,   non   sono,   secondo   un
orientamento costante del diritto vivente,  subordinati  al  rispetto
dell'onere di iscrivere riserve. 
    Ove la soglia del venti per cento venisse superata con  richieste
ascrivibili  a  inadempimenti  della  stazione  appaltante  che,  nel
complesso, evidenziassero, da parte del committente, un inadempimento
di non scarsa importanza, sarebbe certamente consentita,  oltre  alla
risoluzione del contratto, anche l'azione risarcitoria  per  illecito
contrattuale (Corte di cassazione, prima sezione civile,  sentenze  5
settembre 2018, n. 21656; 3 novembre 2016,  n.  22275;  17  settembre
2014, n. 19531; 11 gennaio 2006, n. 388; 4 febbraio 2000, n. 1217; 17
marzo 1982, n. 1728). 
    Parimenti,  le  pretese  iscritte  a  riserva   relativamente   a
sopravvenienze oggettive potrebbero, nel caso concreto, dar luogo  ad
una risoluzione del contratto ai sensi dell'art. 132  cod.  contratti
pubblici, cosi' come il concorrere di plurime sopravvenienze potrebbe
legittimare un'azione di  risoluzione  del  contratto  riconducibile,
previa dimostrazione dell'eccessiva onerosita' sopravvenuta, all'art.
1467 cod. civ. (ex multis, Corte di cassazione, prima sezione civile,
sentenze 26  gennaio  2018,  n.  2047;  18  maggio  2016,  n.  10165;
Consiglio di Stato, sezione  quarta,  sentenza  19  agosto  2016,  n.
3653). 
    8.2.- Svolta tale premessa, non si puo', comunque, escludere che,
in ragione della richiamata varieta' di pretese soggette all'onere di
iscrizione in riserva e dell'ovvia eventualita' che possano  sommarsi
richieste eterogenee, residuino, oltre la  soglia  individuata  dalla
norma censurata, istanze legittime e, tuttavia, inidonee a fondare  i
richiamati rimedi contrattuali. Potrebbe trattarsi di  richieste  che
facciano valere l'adempimento della prestazione contrattuale (e/o  la
relativa  responsabilita')  o  di  pretese  che  la  legge  riconosce
all'appaltatore, regolando l'iscrizione  di  riserve  in  ipotesi  di
sopravvenienze contrattuali. 
    8.2.1.-  Ebbene,  ove  si  tratti  di   istanze   correlate   con
sopravvenienze di natura oggettiva,  la  soglia  legale  posta  dalla
disposizione censurata alla  sommatoria  delle  riserve  si  traduce,
evidentemente,   in   un   ampliamento   del   rischio   contrattuale
dell'impresa, rispetto a quello che  viene  disegnato  dalle  singole
disposizioni in materia di riserve. 
    Tuttavia, deve precisarsi che, tenuto conto che le pretese  sotto
soglia vengono accolte, che le modifiche del contratto affidate  alla
tecnica delle riserve riguardano ipotesi alquanto  marginali  e  che,
comunque, il contratto si puo'  sciogliere  se  si  dimostra  che  le
sopravvenienze  determinano,  anche  nella   loro   globalita',   una
eccessiva onerosita'  sopravvenuta,  il  maggior  rischio  che  va  a
gravare sull'appaltatore e' tale da non palesare una irragionevolezza
rispetto all'art. 41 Cost.  Si  tratta,  infatti,  di  un  sacrificio
ragionevole  nel   bilanciamento   con   gli   interessi   di   rango
costituzionale - sopra richiamati - che la norma censurata tutela. 
    8.2.2.-   Ulteriori   precisazioni   si   impongono,   poi,   per
l'eventualita' che l'impresa si trovi a sopportare -  a  causa  della
soglia legale censurata  di  cui  all'art.  240-bis,  comma  1,  cod.
contratti pubblici - i costi dell'inadempimento della controparte. In
tal caso, infatti, verrebbe a  delinearsi  un  esonero  legale  dalla
responsabilita' del committente, sia pure limitato  all'inadempimento
non grave che ecceda la soglia delle riserve liquidabili. 
    La qualificazione della fattispecie quale esonero legale se,  per
un verso, allontana lo spettro di una violazione degli artt. 3  e  24
Cost., che si avrebbe ipotizzando un mero impedimento a far valere in
via giudiziale l'azione di responsabilita' contrattuale, per un altro
verso, proprio in quanto  segnala  una  compressione  in  radice  del
diritto  sostanziale,  non  e'  certo  priva  di  conseguenze  e   di
implicazioni ermeneutiche. 
    Un esonero legale dalla responsabilita', infatti, in  tanto  puo'
superare il vaglio  di  costituzionalita',  sotto  il  profilo  della
ragionevolezza, in quanto rispetti un doppio ordine  di  presupposti:
l'idoneita' a perseguire  un  obiettivo  di  utilita'  sociale  e  il
carattere della proporzionalita' (ex plurimis, sentenze  n.  194  del
2018, n. 235 del 2014, n. 303 del 2011, n. 199 del 2005, n.  254  del
2002, n. 463 del 1997 e n. 420 del 1991). 
    Nel caso di specie, il sacrificio  per  l'impresa  si  giustifica
sulla base dei gia'  richiamati  interessi  di  rango  costituzionale
tutelati dalla norma censurata. 
    Quanto, invece, alla proporzionalita',  occorre  considerare  che
questa  Corte  la  esclude  ove  la  limitazione  legale  si  estenda
all'inadempimento doloso o gravemente colposo. 
    L'illegittimita' costituzionale di tali limitazioni discende,  in
particolare, dal coordinamento fra l'art. 3 e l'art.  41  Cost.,  nei
termini di un equo contemperamento  fra  gli  interessi  contrapposti
(sentenze n. 199 del 2005 e n. 420 del 1991). 
    Simile argomentazione si adatta molto efficacemente  al  contesto
in esame, che vede delinearsi un bilanciamento fra l'interesse a  far
operare il meccanismo deterrente  e  preventivo  sotteso  alla  norma
censurata e  quello  dell'impresa  appaltatrice  a  che  la  stazione
appaltante non sfrutti la piu' vantaggiosa distribuzione del  rischio
contrattuale, per violare dolosamente il contratto o  per  attenuare,
in maniera gravemente colposa, il proprio impegno nell'esecuzione. 
    Dunque,  nella  misura  in  cui  la  soglia  stabilita  dall'art.
240-bis, comma 1, cod. contratti pubblici puo' tradursi in un esonero
dalla responsabilita' del committente, si impone una  interpretazione
costituzionalmente conforme di tale previsione. Non potendo l'esonero
legale  estendersi,  nel  rispetto   dei   principi   costituzionali,
all'inadempimento doloso o gravemente colposo, la relativa azione nei
confronti  della  stazione   appaltante,   pur   soggetta   all'onere
dell'iscrizione a riserva (ex  multis,  Corte  di  cassazione,  prima
sezione civile, sentenze 5 agosto 2016, n. 16537; 28 gennaio 2015, n.
1619; 14 febbraio 2014, n. 3548), non deve, comunque,  risentire  del
limite legale posto alla riconoscibilita' delle pretese annotate. 
    9.- In sintesi,  relativamente  agli  interessi  che  fanno  capo
all'impresa appaltatrice, deve ritenersi che l'interpretazione  sopra
prospettata della norma censurata, coordinata  con  la  ricostruzione
ermeneutica  dell'apparato  di  tutele  contrattuali,   consenta   di
escludere un irragionevole vulnus  agli  invocati  diritti  di  rango
costituzionale. 
    Entro la soglia del venti per  cento  dell'importo  contrattuale,
qualunque pretesa dell'appaltatore puo' essere riconosciuta,  in  via
bonaria o previo accertamento giudiziale. 
    Oltre  tale  limite  legale  e',  viceversa,  certamente  inibito
accedere all'accordo bonario, mentre non  risultano  precluse  azioni
giudiziarie,  piuttosto  viene  lievemente  potenziato   il   rischio
contrattuale. 
    Infatti, per orientamento  uniforme  del  diritto  vivente,  sono
indifferenti all'istituto dell'iscrizione di riserve e, dunque,  sono
sempre ammissibili le azioni risolutorie e quelle ad esse  correlate,
a partire dal risarcimento del danno di cui all'art. 1453 cod. civ. 
    Inoltre, sulla  base  dell'interpretazione  sopra  proposta,  non
risente del limite legale posto dal censurato art. 240-bis, comma  1,
l'azione  di  risarcimento  del  danno  per  inadempimento  doloso  o
gravemente colposo della stazione appaltante, sempre che la  relativa
pretesa sia stata iscritta a riserva. 
    Per tutte le altre riserve  che  eccedono  la  soglia,  la  norma
censurata  implica:  una  ridefinizione  del  rischio  oggettivo  del
contratto, con un suo lieve incremento, nonche' un  limitato  esonero
dalla responsabilita' del committente, reso tuttavia conforme, in via
ermeneutica, ai principi costituzionali. 
    Ne  consegue   che   la   tutela   degli   interessi   di   rango
costituzionale, sottesi  alla  disposizione  censurata,  non  cagiona
alcuna violazione degli artt. 3 e 24 Cost. 
    D'altro canto, il lieve incremento del rischio contrattuale,  che
essa comporta,  non  determina  un  irragionevole  contrasto  con  il
combinato disposto  degli  artt.  3  e  41  Cost.  La  garanzia,  che
quest'ultima  norma  riconosce  alla  libera  iniziativa  privata  e,
indirettamente,  all'autonomia  contrattuale,  non  viene,   infatti,
intaccata nella sua sostanza e le menzionate liberta' subiscono  solo
una minima compressione, non irragionevole, nel bilanciamento con gli
interessi preservati dall'art. 240-bis cod. contratti pubblici. 
    10.- Da ultimo,  relativamente  alla  questione  di  legittimita'
costituzionale che il rimettente solleva rispetto all'art. 97  Cost.,
deve  ritenersi  che  il  rischio  di  deresponsabilizzazione   della
pubblica amministrazione si dilegui non appena si  consideri  proprio
la persistente responsabilita' della stazione appaltante in  caso  di
inadempimento di non lieve entita' e comunque in ipotesi  di  dolo  o
colpa grave. 
    Ugualmente  infondato  e'  il  dubbio  che  la  norma   censurata
pregiudichi il buon andamento della pubblica  amministrazione,  e  in
specie  l'interesse  alla  trasparenza  della  stazione   appaltante.
L'interpretazione adottata, nel riferire la soglia delle riserve  non
all'iscrizione ma al loro possibile  accoglimento,  conferma  l'onere
per l'appaltatore di iscrivere riserve e il suo persistente interesse
a rispettarlo, il che  preserva  l'esigenza  dell'amministrazione  di
avere una continua evidenza dei costi. Quanto poi all'ipotesi che  la
stazione  appaltante  riconosca,  per   accordo   bonario,   l'intero
ammontare delle riserve liquidabili e l'impresa appaltatrice non  sia
piu' motivata ad annotarle, si tratta di un rischio limitato  che  il
committente consapevolmente si assume e che dovrebbe suggerire - come
si e' gia' sopra anticipato - un potenziamento  della  vigilanza  del
cantiere da parte del direttore dei lavori e del  responsabile  unico
del procedimento. 
    Ad ogni modo, si deve ricordare che, a difesa del buon  andamento
della  pubblica  amministrazione,   concorrono,   altresi',   l'ampia
facolta' di recesso riconosciuta alla stazione  appaltante  dall'art.
134 del cod. contratti  pubblici  nonche'  la  responsabilita'  degli
stessi funzionari. 
    La  questione  di  legittimita'   costituzionale   sollevata   in
riferimento all'art. 97 Cost., alla luce delle soluzioni ermeneutiche
in precedenza prospettate, deve,  pertanto,  ritenersi  non  fondata,
mentre deve ribadirsi, per converso,  che  proprio  l'art.  97  Cost.
costituisce il  principale  sostrato  costituzionale  che  ispira  la
disposizione censurata. 
    11.- In conclusione, l'art.  240-bis,  comma  1,  cod.  contratti
pubblici, interpretato nei termini sopra argomentati e coordinato con
l'ampia gamma di rimedi contrattuali, che risultano  impermeabili  al
limite legale di cui  alla  norma  censurata,  non  determina  alcuna
violazione degli artt. 3, 24, 41 e 97 Cost. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara non  fondate,  nei  sensi  di  cui  in  motivazione,  le
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 240-bis, comma  1,
del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei  contratti
pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in  attuazione  delle
direttive 2004/17/CE e  2004/18/CE),  come  modificato  dall'art.  4,
comma 2, lettera hh), numero 1), del decreto-legge 13 maggio 2011, n.
70 (Semestre Europeo - Prime disposizioni  urgenti  per  l'economia),
convertito, con modificazioni, nella legge 12 luglio  2011,  n.  106,
sollevate,  in  riferimento  agli  artt.  3,  24,  41  e   97   della
Costituzione, dal Tribunale ordinario di Lecco, prima sezione civile,
con l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 15 aprile 2021. 
 
                                F.to: 
                   Giancarlo CORAGGIO, Presidente 
                   Emanuela NAVARRETTA, Redattrice 
             Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria 
 
    Depositata in Cancelleria il 27 maggio 2021. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA