N. 112 SENTENZA 27 aprile - 28 maggio 2021

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Edilizia residenziale pubblica -  Norme  della  Regione  Lombardia  -
  Determinazione del canone di locazione sopportabile -  Possibilita'
  di  collocare  nell'area  di  protezione  i  nuclei  familiari  che
  percepiscono redditi da lavoro autonomo  -  Esclusione,  anche  con
  ISEE-ERP di valore corrispondente a  tale  area  -  Violazione  del
  principio di uguaglianza - Illegittimita' costituzionale  in  parte
  qua. 
- Legge della Regione Lombardia 4 dicembre  2009,  n.  27,  art.  31,
  commi 3, ultimo capoverso, e 4, lettera a). 
- Costituzione, art. 3. 
(GU n.22 del 3-6-2021 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giancarlo CORAGGIO; 
Giudici :Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria  de  PRETIS,  Nicolo'
  ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,
  Giovanni  AMOROSO,  Francesco  VIGANO',  Luca   ANTONINI,   Stefano
  PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela  NAVARRETTA,  Maria  Rosaria  SAN
  GIORGIO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  31,  comma
3, ultimo capoverso, e comma 4, lettera a), della legge della Regione
Lombardia 4 dicembre 2009, n. 27 (Testo unico delle  leggi  regionali
in materia di edilizia residenziale pubblica), promosso dal Tribunale
amministrativo  regionale  per  la  Lombardia,  sezione  quarta,  nel
procedimento vertente tra M.G. T. e la  MM  Casa  spa  e  altri,  con
provvedimento («sentenza  non  definitiva»)  del  13  febbraio  2020,
iscritto al n. 111 del registro ordinanze  2020  e  pubblicato  nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  38,  prima  serie  speciale,
dell'anno 2020. 
    Visti gli atti  di  costituzione  di  M.G.  T.  e  della  Regione
Lombardia; 
    udita  nell'udienza  pubblica  del  27  aprile  2021  la  Giudice
relatrice Emanuela Navarretta; 
    uditi  l'avvocato  Pietro  Giambattista  Bembo  per  M.G.  T.   e
l'avvocata  Maria  Lucia  Tamborino  per  la  Regione  Lombardia,  in
collegamento da remoto,  ai  sensi  del  punto  1)  del  decreto  del
Presidente della Corte del 16 marzo 2021; 
    deliberato nella camera di consiglio del 27 aprile 2021. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con provvedimento («sentenza non definitiva») del 13 febbraio
2020, iscritto al registro ordinanze n. 111 del  2020,  il  Tribunale
amministrativo  regionale  per  la  Lombardia,  sezione  quarta,   ha
sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 31, comma 3, ultimo  capoverso,
e comma 4, lettera a), della legge della Regione Lombardia 4 dicembre
2009, n. 27 (Testo unico delle leggi regionali in materia di edilizia
residenziale  pubblica),  nella  parte  in   cui,   ai   fini   della
determinazione  dei  canoni  di   locazione,   «non   consentono   la
collocazione nell'area della protezione a soggetti  che  percepiscono
redditi da lavoro autonomo». 
    2.- In punto di fatto, il giudice rimettente riferisce  che  M.G.
T.,  parte  ricorrente  nel  giudizio  a  quo,  aveva  impugnato   il
provvedimento con il quale il  gestore  del  patrimonio  di  edilizia
residenziale pubblica (ERP) del Comune di Milano  aveva  respinto  il
suo reclamo avverso la determinazione, per il biennio 2018-2019,  dei
nuovi canoni di locazione relativi all'abitazione a lei assegnata. 
    2.1.- Il TAR Lombardia espone che il  gestore,  nello  stimare  i
canoni di locazione dovuti dalla ricorrente sulla base  della  classe
"B1" (area "accesso"), aveva  correttamente  fatto  applicazione  dei
commi 3 e 4 dell'art. 31 della legge reg. Lombardia n.  27  del  2009
alla tipologia di reddito, alla situazione patrimoniale e anagrafica,
nonche' al corrispondente valore ISEE-ERP dell'interessata. 
    Osserva, infatti, il giudice  a  quo  che  l'art.  31,  comma  4,
lettera  a)  della  legge  regionale  citata  riserva  l'area   della
"protezione", riferita  ai  nuclei  familiari  con  ISEE-ERP  fino  a
9.000,00 euro, ai soli assegnatari «con reddito imponibile  derivante
esclusivamente o prevalentemente da pensione o da  lavoro  dipendente
od assimilato, ivi compresi i redditi percepiti ai sensi della  legge
14 febbraio 2003, n. 30 (Delega al Governo in materia di  occupazione
e mercato del lavoro) e del decreto legislativo 10 settembre 2003, n.
276 (Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del
lavoro, di cui alla legge 14 febbraio  2003,  n.  30)  o  da  sussidi
erogati da enti pubblici o di  assistenza  o  beneficenza  legalmente
riconosciuti». Di conseguenza, la ricorrente, pur avendo  un  reddito
di entita' riferibile all'area  della  protezione  (nello  specifico:
euro 2.539,00  nell'anno  2015;  euro  534,00  nell'anno  2016;  euro
3.205,00 nell'anno 2017; euro 3.567,00  nell'anno  2018),  risultava,
necessariamente,  esclusa   da   tale   inquadramento,   in   ragione
dell'incontestata provenienza del suo unico reddito  da  un'attivita'
di  lavoro  autonomo.  Nella  fattispecie  -  riferisce,  dunque,  il
rimettente - non poteva che operare «la previsione residuale  di  cui
all'art. 31, comma 3, ultimo  capoverso,  con  l'applicazione  di  un
ISEE-ERP non inferiore a 9.001,00 euro e la conseguente  collocazione
dell'interessata nell'area dell'accesso, disciplinata  dai  commi  4,
lettera b) e 5, lettera b) del citato art. 31». 
    2.2.- Cosi' ricostruito il quadro  normativo,  il  TAR  Lombardia
contesta la legittimita'  costituzionale  dei  citati  commi  3  e  4
dell'art. 31 della legge reg. Lombardia n. 27 del 2009, in quanto,  a
fronte di una situazione patrimoniale ascrivibile per la sua  entita'
all'area della protezione, la posizione della ricorrente nel giudizio
a quo veniva esclusa da tale  inquadramento,  solo  a  cagione  della
provenienza del suo  reddito  da  un'attivita'  di  lavoro  autonomo,
consistente nello svolgimento di servizi stagionali di prenotazione e
di gestione di alloggi turistici per conto di terzi. 
    3.- In punto di rilevanza,  il  giudice  rimettente  afferma  che
«l'applicazione della norma della cui legittimita' costituzionale  si
dubita ha determinato il rigetto dell'istanza di  revisione  avanzata
dalla ricorrente» e soltanto «l'eventuale accoglimento della relativa
questione, con la conseguente caducazione della norma  sottoposta  al
vaglio di costituzionalita'», consentirebbe nel  giudizio  a  quo  di
annullare il provvedimento impugnato, che  confermava  l'applicazione
di un canone pari a euro 101,44 mensili per gli anni 2018 e 2019. 
    4.- Quanto alla non  manifesta  infondatezza,  il  TAR  Lombardia
ritiene che sussistano dubbi  di  legittimita'  costituzionale  della
normativa censurata, per  violazione  dell'art.  3  Cost.,  sotto  il
profilo della irragionevole disparita' di trattamento  fra  posizioni
sostanzialmente   uguali.   Secondo   il   rimettente,    le    norme
sottoporrebbero  a  una  disciplina  differenziata   «situazioni   di
precarieta' economico-reddituale analoghe o  addirittura  identiche»,
facendo irragionevolmente discendere  la  disparita'  di  trattamento
dalla mera diversita' della fonte del reddito. Ad avviso del  giudice
a quo, la scelta del legislatore regionale  di  sottoporre  interessi
cosi'  simili  a  regole  tanto  divergenti  sarebbe  «manifestamente
illogica». In particolare,  il  trattamento  deteriore  riservato  ai
lavoratori  autonomi  non  potrebbe  trovare   una   valida   ragione
giustificatrice  nel  distinto  regime  di  controllo  fiscale,   cui
sarebbero sottoposte le varie tipologie di reddito. 
    5.-  Il  giudice  rimettente  osserva,   inoltre,   che   sarebbe
impossibile interpretare in un senso conforme  alla  Costituzione  le
richiamate previsioni della legge  regionale,  poiche'  ad  impedirlo
sarebbe l'inequivoco dato testuale delle disposizioni richiamate, che
non lasciano alcun margine di flessibilita', sul  piano  ermeneutico,
tale da consentire  un  distacco  dal  significato  letterale,  fatto
proprio dal provvedimento introduttivo del processo incidentale. 
    6.- Con atto depositato il 20 luglio 2020,  il  Presidente  della
Regione  Lombardia  si   e'   costituito   in   giudizio,   eccependo
l'inammissibilita'  e   comunque   l'infondatezza   della   questione
sollevata. 
    6.1.- Nel merito, la  Regione  afferma  che  le  «situazioni  dei
lavoratori dipendenti e dei lavoratori autonomi»  sarebbero  soltanto
«"apparentemente" simili»,  in  quanto  la  differenziazione  avrebbe
fondate giustificazioni storiche, tuttora rilevanti. In  particolare,
il  diverso   trattamento   dei   lavoratori   autonomi   deriverebbe
dall'istituzione, con la legge 14 febbraio 1963, n. 60  (Liquidazione
del patrimonio edilizio della Gestione I.N.A.- Casa e istituzione  di
un programma decennale di costruzione di alloggi per lavoratori),  di
un  fondo  destinato  alla  costruzione  di  alloggi  per  l'edilizia
residenziale pubblica, alimentato, sino ai  primi  anni  Novanta  del
secolo scorso, mediante prelievi effettuati  sulle  retribuzioni  dei
lavoratori dipendenti. La difesa  regionale  osserva,  pertanto,  che
quelle dei lavoratori autonomi e dei lavoratori dipendenti  sarebbero
«situazioni non  sostanzialmente  uguali»,  in  quanto  i  primi  non
avrebbero contribuito ad alimentare il fondo per l'edilizia pubblica.
A tale riguardo, la Regione richiama il precedente  di  questa  Corte
(sentenza n. 424 del 1995, che a sua volta citava la sentenza n.  241
del 1989), secondo cui «l'ammissione  [...]  alla  fruizione  di  una
parte dei contributi [Gescal - Gestione case  per  i  lavoratori]  di
soggetti individuati soltanto in funzione della subita incidenza  nel
loro patrimonio immobiliare degli effetti  distruttivi  provocati  da
determinate calamita' naturali, a prescindere quindi  dalla  qualita'
di lavoratori dipendenti, oltre che palesarsi irragionevole  in  se',
comporta anche violazione del principio di uguaglianza a causa  della
parificazione del trattamento di situazioni diverse». 
    Le norme censurate sarebbero, dunque, motivate  dalla  necessita'
di  non  operare  una   parificazione,   sotto   il   profilo   della
determinazione  dei  canoni,  tra  posizioni  che  si  assumono  come
differenti, fermo restando che alle stesse sarebbe comunque riservato
un  medesimo  trattamento  relativamente   all'accesso   all'edilizia
residenziale pubblica. 
    A ulteriore  supporto  della  legittimita'  costituzionale  delle
disposizioni  censurate,  la   Regione   richiama,   infine,   taluni
provvedimenti  dello  Stato  nonche'  previsioni   di   altre   leggi
regionali, che introdurrebbero regimi differenziati per categorie  di
lavoratori nella disciplina degli alloggi pubblici. Sono evocate,  in
tal  senso:  la  delibera  del  Comitato  interministeriale  per   la
programmazione economica del 13 marzo 1995; l'art. 21 della  legge  5
agosto 1978, n. 457 (Norme per l'edilizia residenziale);  l'art.  31,
comma 1, della legge della Regione Puglia 7 aprile 2014, n. 10 (Nuova
disciplina per l'assegnazione  e  la  determinazione  dei  canoni  di
locazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica); l'art.  8
della legge della Regione Piemonte 7 febbraio 2010, n.  3  (Norme  in
materia di edilizia sociale). 
    In virtu' di tali premesse, la difesa regionale ritiene infondati
i dubbi di legittimita' costituzionale, posto che  la  disparita'  di
trattamento sarebbe giustificata da vicende storiche che  -  come  si
legge testualmente nell'atto di intervento - «forse ancora oggi hanno
ragione di giustificare una diversita' di disciplina, considerato che
i contributi GESCAL sono cessati solo in tempi recenti (1992) [recte:
1995] e che le costruzioni esistenti sono state realizzate  grazie  a
quei contributi». 
    7.- Con atto depositato il 17 settembre 2020 si e' costituita  in
giudizio M.G.  T.,  ricorrente  nel  procedimento  a  quo,  invocando
l'accoglimento della questione sollevata. 
    La  difesa  della  parte  insiste   sull'irragionevolezza   della
discriminazione   operata   dalla   disposizione    censurata,    che
applicherebbe un trattamento deteriore  ai  lavoratori  autonomi  con
redditi  particolarmente  bassi.  La  loro  situazione  economica   e
lavorativa sarebbe, invero, «ben peggiore  di  coloro  che  risultano
garantiti dalla norma impugnata, non avendo rispetto a questi ne'  la
certezza di stipendi  e  pensioni  mensili,  ne'  la  certezza  della
continuita' della collaborazione». 
    A sostegno della rilevanza della questione, si precisa,  inoltre,
che, se alla ricorrente fosse applicato  il  metodo  di  calcolo  del
canone per la  categoria  A1  (protezione),  anziche'  per  quella  B
(accesso), questo ammonterebbe alla somma di euro  240,00  annui,  in
luogo di euro 1.217,28 annui  (euro  101,44  mensili).  Ne'  potrebbe
dubitarsi   dell'attualita'   dell'«interesse   alla   pronuncia   di
illegittimita' costituzionale della norma impugnata», in quanto  essa
e' «condizione per la decisione del giudizio avanti al TAR, oltre che
per l'annullamento del provvedimento di MM  Casa  spa,  che  peraltro
anche in occasione della graduatoria per gli anni 2020-2021  continua
ad applicare il dettato normativo contestato e non mutato». 
    8.- Con memoria integrativa depositata in data 5 marzo  2021,  il
Presidente della Regione Lombardia ha ulteriormente ribadito  che  il
fondo   di   contribuzione   versato,   a   beneficio   dell'edilizia
residenziale pubblica, dai soli lavoratori  dipendenti  deporrebbe  a
favore del rigetto della questione sollevata. 
    9.- In data 2 aprile 2021, anche la parte privata  ha  depositato
memoria integrativa di replica alle difese della  Regione  Lombardia,
evidenziando il carattere meramente storico delle ragioni addotte  da
quest'ultima. Tali motivazioni, a distanza  di  un  trentennio  dalla
cessata riscossione dei contributi GESCAL  a  carico  dei  lavoratori
dipendenti, non sarebbero piu'  idonee  a  sostenere  una  disciplina
eterogenea nella determinazione dei canoni di locazione. 
    Si rileva, inoltre, il  carattere  inconferente  del  richiamo  a
leggi di altre Regioni ritenute analoghe rispetto a quella censurata,
dato   che,   viceversa,   esse   contemplerebbero   una   disciplina
nient'affatto equivalente a quella oggetto della  presente  questione
di  legittimita'   costituzionale.   Le   norme   regionali   evocate
«espressamente  prevedono  "l'anzianita'   di   contribuzione   nella
gestione case per i lavoratori GESCAL" quale criterio preferenziale»;
per converso, le disposizioni oggetto del giudizio non  menzionano  i
richiamati  contributi,   ne'   li   associano   ad   un   meccanismo
preferenziale, bensi' - secondo la difesa della parte  privata  -  si
limiterebbero ad imporre, a scapito dei redditi da  lavoro  autonomo,
uno sbarramento a priori all'accesso  ai  canoni  di  locazione  piu'
favorevoli. 
    10.- Nell'udienza del 27 aprile 2021 sono  intervenute  la  parte
costituita in giudizio e la difesa regionale, che hanno insistito per
le conclusioni rassegnate negli scritti difensivi. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con provvedimento («sentenza non definitiva») del 13 febbraio
2020,  iscritto  al  reg.  ord.  n.  111  del  2020,   il   Tribunale
amministrativo  regionale  per  la  Lombardia,  sezione  quarta,   ha
sollevato questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  31,
comma 3, ultimo capoverso, e comma 4, lettera a), della  legge  della
Regione Lombardia 4 dicembre 2009, n. 27  (Testo  unico  delle  leggi
regionali  in  materia  di  edilizia   residenziale   pubblica),   in
riferimento all'art. 3 della Costituzione, nella  parte  in  cui,  ai
fini della determinazione dei  canoni  di  locazione  "sopportabili",
«non consentono la collocazione nell'area della protezione a soggetti
che percepiscono redditi da lavoro autonomo». 
    L'art.  31,  comma  3,  ultimo  capoverso,  della  citata   legge
regionale prevede, in particolare, che «[p]er i nuclei familiari  con
una tipologia  di  reddito  con  caratteristiche  diverse  da  quelle
previste dal comma 4, lettera a), la verifica dell'incidenza  massima
del  canone  sull'ISE-ERP  e'  effettuata  sulla  base  della  classe
ISEE-ERP di appartenenza, comunque non  inferiore  a  9.001,00  euro,
considerando il corrispondente valore ISE-ERP». 
    In   sostanza,   i   redditi   diversi   da   quelli    derivanti
«esclusivamente o prevalentemente da pensione o da lavoro  dipendente
od assimilato» (art. 31, comma 4,  lettera  a),  pur  se  di  entita'
inferiore a 9.000,00 euro, vengono automaticamente collocati, ai fini
della  determinazione  del  canone  sopportabile,   nella   categoria
superiore a quella  della  "protezione",  che  l'art.  31,  comma  4,
lettera b), definisce area dell'"accesso". 
    Secondo il rimettente tali  previsioni  determinerebbero,  per  i
nuclei familiari con un reddito da lavoro autonomo  il  cui  ISEE-ERP
sia di entita' inferiore alla soglia dei  9.000,00  euro  -  come  si
riscontra nella situazione in cui versa la ricorrente nel giudizio  a
quo -, un'impossibilita' a vedersi collocati  nella  piu'  favorevole
categoria della protezione (art. 31, lettera a), in quanto  riservata
ai soli nuclei familiari, il cui reddito  provenga  esclusivamente  o
prevalentemente da pensione, da lavoro dipendente o assimilato. 
    2.- Ad avviso del rimettente, l'esclusione dalla categoria  della
protezione dei soggetti il cui  reddito  derivi  da  lavoro  autonomo
determinerebbe una violazione dell'«art. 3 della  Costituzione  sotto
il profilo del  trattamento  diverso  di  situazioni  sostanzialmente
uguali e della ragionevolezza della scelta operata dal legislatore». 
    Il  giudice  a  quo  ritiene  non  manifestamente  infondato   il
contrasto  con  l'art.  3  Cost.,  in  quanto  le   norme   censurate
«sottopongono a un  trattamento  differenziato  [...]  situazioni  di
precarieta' economico-reddituale  analoghe  o  addirittura  identiche
[...] sol perche' il reddito  posseduto  deriva  da  lavoro  autonomo
anziche' da pensione, lavoro dipendente o assimilato». 
    D'altro canto, il  TAR  Lombardia  esclude  che  «il  trattamento
deteriore riservato ai  soggetti  percettori  di  reddito  da  lavoro
autonomo [...] possa trovare  valida  ragione  giustificatrice  nella
differente tipologia di rapporto lavorativo che viene in rilievo». In
particolare, confuta  che  il  diverso  trattamento  «riservato  alle
entrate da lavoro dipendente, pensionistiche e  provenienti  da  enti
pubblici possa  trovare  giustificazione  nel  fatto  che  le  stesse
provengono da tipologie lavorative [...] sottopost[e] a un  controllo
a monte, mentre tipologie diverse di entrate non  sarebbero  soggette
ad alcun tipo di  verifica».  Le  modalita'  con  cui  si  attuano  i
controlli di natura tributaria non inficerebbero,  infatti,  la  loro
effettivita', ben potendo - secondo il rimettente - l'accertamento  a
posteriori  sulle  entrate  derivanti  dal  lavoro  autonomo   essere
effettuato in maniera non meno efficace del vaglio operato a priori. 
    3.- Preliminarmente, e' opportuno precisare che  la  forma  della
sentenza non definitiva,  in  luogo  dell'ordinanza,  quale  atto  di
promovimento del giudizio di legittimita' costituzionale, non inficia
in quanto tale l'ammissibilita' della questione. 
    Alla sentenza non definitiva puo' essere, infatti,  riconosciuto,
sul piano sostanziale, il  carattere  dell'ordinanza  di  rimessione,
sempre che il giudice a quo - come e' avvenuto nel caso  in  esame  -
abbia disposto, in conformita' a quanto previsto dall'art.  23  della
legge  11  marzo  1953,  n.  87  (Norme  sulla  costituzione  e   sul
funzionamento  della  Corte  costituzionale),  la   sospensione   del
procedimento  principale  e  la  trasmissione  del   fascicolo   alla
cancelleria di questa Corte, dopo aver valutato la rilevanza e la non
manifesta infondatezza della questione (sentenze n. 116 del 2018,  n.
275 del 2013, n. 256 del 2010, n. 151 del 2009 e n. 452 del 1997). 
    4.- Nel merito la questione e' fondata. 
    5.- Le disposizioni, che il rimettente  censura,  si  inseriscono
nel quadro di una disciplina  dettata  dalla  Regione  Lombardia  per
determinare il canone di locazione cosiddetto sopportabile,  relativo
ad immobili afferenti all'edilizia residenziale pubblica. 
    Tale tipologia di beni - come  ha  ribadito,  anche  di  recente,
questa Corte - e' volta a soddisfare un bisogno primario,  in  quanto
«serve a "garantire un'abitazione a  soggetti  economicamente  deboli
nel luogo ove e' la sede dei loro interessi"  (sentenza  n.  176  del
2000), al fine di assicurare un'esistenza dignitosa  a  tutti  coloro
che non dispongono di risorse sufficienti (art. 34  della  Carta  dei
diritti  fondamentali  dell'Unione  europea),  mediante  un  servizio
pubblico deputato alla "provvista di alloggi per i  lavoratori  e  le
famiglie meno abbienti" (sentenza n. 168 del 2014)» (sentenza  n.  44
del 2020). 
    La funzione che ispira le norme oggetto del presente giudizio e',
in sostanza, quella di promuovere  l'effettivita'  della  tutela  del
diritto   all'abitazione,   «incluso   nel   catalogo   dei   diritti
inviolabili», sin dalla sentenza  n.  404  del  1988  (si  vedano  di
seguito, fra le altre, sentenze n. 44 del 2020, n. 168 del  2014,  n.
161 del 2013, n. 61 del 2011, n. 176 del 2000 e l'ordinanza n. 76 del
2010), e che la giurisprudenza piu'  recente  ascrive  ai  «requisiti
essenziali caratterizzanti la socialita' cui  si  conforma  lo  Stato
democratico voluto dalla Costituzione» (sentenza n. 44 del 2020). 
    6.-  Se,  dunque,  la  disciplina  censurata  e'  finalizzata   a
consentire,   attraverso   canoni   di   locazione    particolarmente
vantaggiosi, il godimento  effettivo  di  un  diritto  inviolabile  a
beneficio di nuclei familiari che versano in condizioni  di  notevole
fragilita' economica, e' sullo sfondo di un simile obiettivo che deve
indagarsi la denunciata disparita' di trattamento. 
    Occorre, pertanto, in  tale  prospettiva,  valutare  se  sia  una
misura  dotata  di  ragionevole  giustificazione   l'aver   riservato
l'accesso alla categoria della protezione ai  soli  nuclei  familiari
con  redditi  da  pensione,  da  lavoro  dipendente   o   assimilato,
escludendo gli assegnatari che, a parita' di reddito, abbiano entrate
derivanti da un'attivita' di lavoro autonomo. 
    Come  questa  Corte  ha  avuto  modo   di   affermare,   infatti,
«l'introduzione  di  regimi  differenziati  e'  consentita  solo   in
presenza  di  una  causa  normativa  non  palesemente  irrazionale  o
arbitraria,  che  sia   cioe'   giustificata   da   una   ragionevole
correlazione tra la condizione cui e' subordinata l'attribuzione  del
beneficio e gli altri peculiari  requisiti  che  ne  condizionano  il
riconoscimento e ne definiscono la ratio [...] (sentenza n.  172  del
2013)» (sentenza n. 107 del 2018). 
    7.-  Ebbene,  in  considerazione  dell'obiettivo   sotteso   alla
normativa  censurata,  non  e'  dato  ravvisare  alcuna   ragionevole
giustificazione a fondamento della diversa determinazione del  canone
di locazione, a seconda  che  gli  assegnatari  degli  alloggi  siano
titolari di redditi da pensione, da lavoro dipendente o assimilato  o
percepiscano entrate da un'attivita' di lavoro autonomo. 
    In particolare, la ragionevolezza della disparita' di trattamento
non puo' rinvenirsi ne' sotto il profilo della differente  disciplina
tributaria che caratterizza le varie tipologie di reddito, ne' avendo
riguardo  al  contributo  finanziario  offerto  dai  soli  lavoratori
dipendenti, in un risalente passato, alla realizzazione dell'edilizia
residenziale pubblica. 
    7.1.- Nella prima prospettiva  -  ipotizzata  in  chiave  critica
dallo stesso rimettente - non puo' legittimamente afferire alla ratio
della disciplina censurata il meccanismo impositivo, che caratterizza
i redditi da lavoro autonomo e li differenzia da quelli da  pensione,
da lavoro dipendente o assimilato. 
    Supporre  che  una  simile  divergenza  possa   giustificare   la
normativa censurata equivarrebbe a presumere iuris et de iure la  non
veridicita' delle dichiarazioni  fiscali  effettuate  dai  lavoratori
autonomi, si' da ritenere tale categoria di assegnatari a priori meno
meritevole di beneficiare di politiche di giustizia sociale. 
    Dovendosi, dunque, escludere una tale ragione, la  diversita'  di
trattamento perde qualsivoglia giustificazione correlabile alla fonte
del reddito. 
    Il trattamento eterogeneo, sotto il profilo della  determinazione
dei canoni di locazione, andrebbe a differenziare il godimento di  un
diritto inviolabile, in ragione della diversa fonte  di  reddito  del
nucleo familiare e, piu' precisamente - in relazione  alla  questione
posta dal rimettente -, in ragione della sua provenienza da  distinte
tipologie di lavoro, quando invece il lavoro e' tutelato «in tutte le
sue forme» (art. 35, primo comma, Cost.). 
    7.2.-  Quanto  al  differente  argomento  esposto  dalla   difesa
regionale, anch'esso non puo'  validamente  porsi  a  sostegno  della
disparita' di trattamento denunciata. 
    Si tratta  della  motivazione  che  affonda  le  sue  radici  nel
contributo istituito con l'art. 10 della legge 14 febbraio  1963,  n.
60 (Liquidazione del patrimonio edilizio della Gestione I.N.A.-Casa e
istituzione di un programma decennale di costruzione di alloggi per i
lavoratori),  a  carico  dei   soli   lavoratori   dipendenti,   onde
finanziare,  tramite   il   cosiddetto   fondo   GESCAL,   l'edilizia
residenziale pubblica. 
    Occorre, infatti, a tal riguardo rilevare, in primo luogo, che  i
richiamati contributi erano integrati  da  una  quota  versata  dallo
Stato  (con  risorse,  dunque,  non  direttamente  ed  esclusivamente
erogate dai lavoratori dipendenti),  sicche'  i  fondi  GESCAL  erano
soltanto  uno  dei  tanti  canali  di  finanziamento  del  patrimonio
dell'edilizia residenziale pubblica. 
    In secondo luogo, e soprattutto, deve considerarsi che  il  fondo
alimentato con i contributi dei lavoratori dipendenti e'  cessato  il
31 dicembre 1995, data  ultima  in  cui  tale  categoria  e'  rimasta
assoggettata al relativo obbligo di versamento, in virtu' dell'art. 1
della legge 23 dicembre 1992, n. 498 (Interventi urgenti  in  materia
di finanza pubblica). Ne discende che il sottoinsieme  degli  attuali
lavoratori dipendenti, che possono aver dato un  parziale  contributo
economico alla realizzazione delle  opere  di  edilizia  residenziale
pubblica, deve oramai ritenersi non rappresentativo di tutti i nuclei
familiari con redditi da  lavoro  dipendente  o  assimilato,  si'  da
giustificare il loro esclusivo beneficio. Quanto, poi, alla categoria
dei pensionati, che pure si trovano a godere  della  piu'  favorevole
disciplina,  essa  -  a  ben  vedere  -  ricomprende  tanto  chi,  in
precedenza, era stato lavoratore dipendente, quanto chi aveva  svolto
un'attivita' di lavoro autonomo, il che ulteriormente  sconfessa  che
la ragionevolezza della norma possa  essere  associata  alla  diversa
contribuzione data all'edilizia residenziale pubblica. 
    Infine, non si puo' tacere l'irragionevolezza di  una  disparita'
di trattamento che, per dare  rilevanza  a  un  risalente  e  neppure
esclusivo  contributo  erogato  dai  lavoratori  dipendenti  per   la
realizzazione dell'edilizia residenziale pubblica, pregiudica  nuclei
familiari economicamente fra i piu' deboli, per  il  solo  fatto  che
essi sono sostenuti dal reddito di un'altra categoria di lavoratori. 
    7.2.1.- Da ultimo, deve ritenersi inconferente il rilievo addotto
dalla difesa della Regione Lombardia, secondo la  quale  anche  altre
leggi  regionali  e  provvedimenti  statali   differenzierebbero   la
disciplina delle locazioni nell'edilizia  residenziale  pubblica,  in
considerazione della tipologia di reddito percepito dal conduttore. 
    Anche a prescindere, infatti,  dalla  circostanza  che  le  norme
evocate presentano un differente tenore rispetto a quelle  censurate,
in quanto si limitano a dettare un criterio  preferenziale,  in  ogni
caso, si tratta di disposizioni del  tutto  inidonee  a  plasmare  il
parametro   della   legittimita'   costituzionale.   Sono,   infatti,
richiamate: una norma  statale  implicitamente  abrogata  (l'art.  21
della legge n. 457 del 1978); previsioni recate da una  delibera  del
Comitato interministeriale per la programmazione  economica  (del  13
marzo 1995); e, infine, discipline regionali  (l'art.  31,  comma  1,
della legge della Regione Puglia n. 10 del  2014  e  l'art.  8  della
legge della Regione Piemonte n. 3 del 2010), peraltro mai  sottoposte
al sindacato di legittimita' costituzionale. 
    8.-  In  conclusione,   in   mancanza   di   qualsivoglia   causa
giustificativa idonea a rendere ragionevole la  censurata  disparita'
di trattamento, deve ritenersi che il comma 3, ultimo capoverso, e il
comma 4, lettera a), dell'art. 31 della legge reg.  Lombardia  n.  27
del 2009, violino l'art. 3, primo comma, Cost., in quanto, a  parita'
di ISEE-ERP, comportano un'irragionevole disparita'  di  trattamento,
nella determinazione dei canoni  di  locazione  sopportabili,  fra  i
nuclei familiari che dipendono da  redditi  da  pensione,  da  lavoro
dipendente o assimilato, e quelli  sostenuti  da  redditi  da  lavoro
autonomo. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 31,  comma  3,
ultimo capoverso, e comma 4, lettera a), della  legge  della  Regione
Lombardia 4 dicembre 2009, n. 27 (Testo unico delle  leggi  regionali
in materia di edilizia residenziale pubblica), nella parte in cui non
consentono di inquadrare nell'area della protezione,  ai  fini  della
determinazione  del  canone  di  locazione  sopportabile,  i   nuclei
familiari con redditi da  lavoro  autonomo  con  ISEE-ERP  di  valore
corrispondente a tale area. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 27 aprile 2021. 
 
                                F.to: 
                   Giancarlo CORAGGIO, Presidente 
                   Emanuela NAVARRETTA, Redattrice 
             Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria 
 
    Depositata in Cancelleria il 28 maggio 2021. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA