N. 77 ORDINANZA (Atto di promovimento) 17 dicembre 2020

Ordinanza del 17 dicembre 2020 della Commissione tributaria regionale
per la Calabria sul ricorso  proposto  da  Agenzia  delle  entrate  -
Riscossione Cosenza contro Pighini Mariano . 
 
Contenzioso tributario - Definizione agevolata dei  carichi  affidati
  all'agente di  riscossione  -  Prevista  sospensione  del  giudizio
  previa presentazione di apposita dichiarazione del contribuente con
  la quale manifesta la volonta'  di  procedere  alla  definizione  -
  Estinzione del giudizio subordinata  all'effettivo  perfezionamento
  della definizione e alla produzione, nello stesso  giudizio,  della
  documentazione attestante i pagamenti effettuati - Previsione della
  revoca da parte del giudice, in caso contrario,  della  sospensione
  su istanza di una delle parti. 
- Decreto-legge 23 ottobre 2018,  n.  119  (Disposizioni  urgenti  in
  materia fiscale  e  finanziaria),  convertito,  con  modificazioni,
  nella legge 17 dicembre 2018, n. 136, art. 3, commi 5 e 6. 
(GU n.23 del 9-6-2021 )
 
           LA COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DI CALABRIA 
                              Sezione 3 
 
    riunita con l'intervento dei sig.ri: 
        Lorelli Quirino, Presidente e relatore; 
        Arcuri Bruno Alfonso Pasquale, giudice; 
        Marincolo Michelino, giudice, 
    ha  emesso  la  seguente  ordinanza  sull'appello  n.  2818/2017,
depositato il 21 novembre 2017; 
    avverso la pronuncia sentenza n. 2008/2017 Sez.  9  emessa  dalla
Commissione tributaria provinciale di Cosenza; 
    contro: Agenzia Entrate Direzione  provinciale  Cosenza,  via  G.
Barrio - 87100 Cosenza; 
    contro: Pighini Mariano, viale dei Giardini - 87027 Paola; 
    difeso da: Biondo Ernesto, presso lo studio avv. Francesco  Leone
via De Filippis, 214 - 88100 Catanzaro; 
    proposto dall'appellante: Agenzia Entrate - Riscossione Cosenza; 
    difeso da: Bavasso Francesco, via N. Serra, 96  -  87100  Cosenza
CS.. 
    Atti impugnati: 
        avviso di intimazione n. 03420129011907289000  IRPEF-ADD.REG.
1998; 
        avviso di  intimazione  n.  03420129011907289000  IRPEF-ALTRO
1998; 
        avviso di intimazione n. 03420129011907289000 IVA-ALTRO 1998; 
        avviso di intimazione n. 03420129011907390000  IRPEF-ADD.REG.
1999; 
        avviso di  intimazione  n.  03420129011907390000  IRPEF-ALTRO
1999; 
        avviso di intimazione n. 03420129011907390000 IVA-ALTRO 1999; 
        avviso di intimazione n. 03420129011907600000  IRPEF-ADD.REG.
2000; 
        avviso di intimazione n. 03420129011907600000  IRPEF-ADD.COM.
2000; 
        avviso di  intimazione  n.  03420129011907600000  IRPEF-ALTRO
2000; 
        avviso di  intimazione  n.  03420129011907802000  IRPEF-ALTRO
1991; 
        avviso di intimazione n. 03420129011907802000 IVA-ALTRO 1991. 
 
                              Ordinanza 
 
    1. Con ricorso in appello depositato il 21 novembre 2017, Agenzia
delle entrate - Riscossione, con il patrocinio dell'avv. F.  Bavasso,
ha proposto appello avverso la sentenza n. 2008/2017,  depositata  il
31 marzo 2017,  resa  dalla  Commissione  tributaria  provinciale  di
Cosenza, la quale ha accolto il ricorso  proposto  dal  sig.  Mariano
Pighini avverso e per  l'annullamento  di  una  serie  di  avvisi  di
intimazione notificatigli dall'Agente della riscossione e relativi ad
imposte e tasse erariali. 
    Nel merito l'appellante lamenta come del  tutto  erroneamente  la
Commissione  tributaria  provinciale  di   Cosenza   abbia   ritenuto
inapplicabile il termine prescrizionale lungo decennale a  fronte  di
cartelle di pagamento non opposte nei termini di legge. Chiede quindi
l'annullamento della pronuncia di primo  grado,  con  vittoria  delle
spese di lite del doppio grado di giudizio. 
    Con comparsa depositata il 28 dicembre 2017 si e'  costituito  in
giudizio il contribuente, con  il  patrocinio  dell'avv.  E.  Biondo,
rappresentando la correttezza dell'indirizzo della sentenza di  primo
grado,  deducendo  come  il  termine  di  prescrizione   sia   quello
quinquennale, come ritenuto dalla Commissione tributaria  provinciale
e chiede quindi il rigetto del ricorso, con vittoria delle  spese  di
lite. 
    All'udienza di discussione  del  3  giugno  2019,  con  ordinanza
collegiale, veniva disposta la sospensione del  giudizio,  avendo  il
contribuente depositato il 9 maggio 2019, copia  della  dichiarazione
di adesione alla definizione agevolata delle liti, ai sensi dell'art.
3  del  decreto-legge  23  ottobre  2018,  n.  119,  convertito,  con
modificazioni, nella legge 17 dicembre 2018,  n.  136  («Rottamazione
ter»), inviata via PEC all'agente della riscossione. 
    Successivamente  al  deposito  della   sola   domanda   ed   alla
conseguente ordinanza di sospensione  null'altro  veniva  depositato.
All'udienza di discussione del 25 settembre 2020 la  causa  e'  stata
riservata per la  decisione;  quindi  veniva  adottata  ordinanza  n.
621/2020, depositata il 7 ottobre 2020,  con  la  quale  si  ordinava
all'Agenzia delle entrate - Riscossione, di depositare, entro  trenta
giorni,  copia  delle  ricevute  di  pagamento   ovvero   copia   del
provvedimento di rateizzazione previsto  dall'art.  3,  comma  5  del
decreto-legge n. 119/2018, fissando la  camera  di  consiglio  del  2
dicembre 2020, per  la  verifica  dell'incombente  ed  il  prosieguo.
All'esito   di   tale   ordinanza   nulla   e'    stato    depositato
dall'appellante, e nessuna  delle  parti  ha  depositato  istanza  di
revoca della sospensione del giudizio. 
    Alla Camera di consiglio del 2 dicembre 2020, svolta in modalita'
di collegamento da remoto, la causa e' stata decisa. 
    2. Questione di legittimita' costituzionale. 
    Preliminarmente e d'ufficio, ritiene questo Giudicante, di  dover
sollevare questione di legittimita' costituzionale dell'art. 3, comma
6  del  decreto-legge  23  ottobre  2018,  n.  119,  convertito,  con
modificazioni, nella legge 17 dicembre 2018, n. 136, per la parte  in
cui prevede una sospensione sine  die  del  giudizio  revocabile  dal
Giudice solo ad istanza  di  parte,  per  palese  contrasto  con  gli
articoli 3, 10, 11,  23,  24,  53,  81,  97,  comma  1  e  111  della
Costituzione, 113 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea,
6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU). 
    3. Rilevanza della questione nel giudizio a quo. 
    Il necessario «nesso di pregiudizialita' fra la risoluzione della
questione di legittimita' costituzionale  e  la  decisione  del  caso
concreto» (Corte cost., sentenza n. 77/1983) o la pretesa dedotta nel
processo principale (Corte cost., sentenza n. 420/1991)  implica,  da
un lato, che la rilevanza inerisca solo  al  giudizio  a  quo  (Corte
cost., sentenza n. 343/1993) e, dunque, a questioni aventi ad oggetto
norme  «applicabili   dal   rimettente»   -   in   proposito,   Corte
costituzionale,  nella  sentenza  n.  10/1979  ha  significativamente
affermato che «rilevanza della questione e applicabilita' della legge
nel giudizio di  merito  costituiscono  termini  inscindibili»  -  e,
dall'altro, che un'eventuale sentenza di accoglimento sia in grado di
spiegare un'influenza sul processo principale (Corte cost.,  sentenze
n. 92/2013 e n.  111/1977),  provocando  un  cambiamento  del  quadro
normativo assunto  dal  giudice  a  quo  (Corte  cost.,  sentenza  n.
390/1996). 
    Nel presente giudizio la rilevanza dalla questione e' data  dalla
circostanza  che  dopo  il  deposito  nello  stesso,  da  parte   del
contribuente appellato, della istanza di adesione al procedimento  di
definizione agevolata, di cui alla norma qui rimessa, questo  Giudice
ha  disposto  la  sospensione  (obbligatoria)  del   processo,   come
normativamente  previsto,  salvo  poi  dover  osservare   che   detta
sospensione  avrebbe  potuto  operare  sine  die,   con   conseguente
compromissione sia del principio costituzionale generale della tutela
dei crediti erariali e delle pubbliche finanze (arg. ex articoli  53,
81  e  97,  comma  1,  Cost.),  sia  di  quello,   piu'   prettamente
processuale, di garanzia del giusto processo (art. 111 Cost.). 
    Peraltro anche dopo lo spirare del  termine  di  pagamento  delle
somme indicate nella istanza, ovvero per la approvazione di un  piano
di rateizzazione delle somme stesse - individuabile al  16  settembre
2020, in virtu' dei vari differimenti da ultimo disposti  con  l'art.
149  del  decreto-legge  19  maggio  2020,  n.  34,  convertito   con
modificazioni nella legge 17 luglio 2020, n. 177 - nel giudizio a quo
nessuna delle parti in causa ha proceduto  al  deposito  delle  prove
dell'avvenuto pagamento, ne' tanto e' accaduto in esecuzione  di  una
specifica ordinanza istruttoria resa  dal  Collegio,  onde  si  rende
doveroso  rimettere  alla   Corte   costituzionale   il   vaglio   di
legittimita' sulle norme che, di fatto, determinano una paralisi  dei
processi tributari nei quali il contribuente abbia depositato la sola
istanza di adesione e null'altro. 
    4. Fondamento della questione di legittimita' costituzionale. 
    L'art. 3 del decreto-legge 23 ottobre 2018, n.  119,  convertito,
con  modificazioni,  nella  legge   17   dicembre   2018,   n.   136,
(«rottamazione ter») prevede, ai commi 1, 2, 5 e 6, che: 
        «1. I debiti, diversi da quelli di cui all'art. 5  risultanti
dai singoli carichi affidati agli agenti  della  riscossione  dal  1°
gennaio 2000 al 31  dicembre  2017,  possono  essere  estinti,  senza
corrispondere le sanzioni comprese in tali carichi, gli interessi  di
mora di cui all'art. 30, comma 1, del decreto  del  Presidente  della
Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, ovvero le sanzioni e  le  somme
aggiuntive di cui all'art. 27, comma 1  del  decreto  legislativo  26
febbraio 1999, n. 46, versando integralmente le somme: 
          a)  affidate  all'agente  della  riscossione  a  titolo  di
capitale e interessi; 
          b) maturate a  favore  dell'agente  della  riscossione,  ai
sensi dell'art. 17 del decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112,  a
titolo di aggio sulle somme di cui alla  lettera  a)  e  di  rimborso
delle spese per le procedure esecutive e di notifica  della  cartella
di pagamento. 
        2. Il pagamento delle somme di cui al comma 1 e' effettuato: 
          a) in unica soluzione, entro il 31 luglio 2019; 
          b) nel numero massimo  di  diciotto  rate  consecutive,  la
prima e la seconda delle quali, ciascuna di importo pari  al  10  per
cento delle somme complessivamente dovute ai fini della  definizione,
scadenti rispettivamente il 31 luglio  e  il  30  novembre  2019;  le
restanti, di pari ammontare, scadenti il 28 febbraio, il  31  maggio,
il 31 luglio e il 30 novembre di ciascun anno a decorrere dal 2020. 
        (...) 
        5. Il debitore manifesta all'agente della riscossione la  sua
volonta' di procedere alla definizione di cui al  comma  1  rendendo,
entro il 30 aprile 2019, apposita dichiarazione, con le  modalita'  e
in conformita' alla modulistica che lo  stesso  agente  pubblica  sul
proprio sito internet nel termine massimo di venti giorni dalla  data
di entrata in vigore del presente decreto; in tale  dichiarazione  il
debitore sceglie  altresi'  il  numero  di  rate  nel  quale  intende
effettuare il pagamento, entro il limite massimo previsto  dal  comma
1. 
        6. Nella dichiarazione di cui al comma 5 il  debitore  indica
l'eventuale pendenza di giudizi aventi ad oggetto i carichi  in  essa
ricompresi e assume l'impegno a rinunciare agli stessi giudizi,  che,
dietro presentazione di copia della dichiarazione e  nelle  more  del
pagamento delle somme dovute, sono sospesi dal giudice.  L'estinzione
del  giudizio  e'  subordinata  all'effettivo  perfezionamento  della
definizione  e  alla  produzione,  nello   stesso   giudizio,   della
documentazione attestante i pagamenti effettuati; in caso  contrario,
il giudice revoca la sospensione su istanza di una delle parti.». 
    Il  decreto-legge  26  ottobre  2019,  n.  124,  convertito   con
modificazioni dalla legge 19 dicembre 2019, n. 157, ha disposto  (con
l'art. 37, comma 1) che: 
        «La  scadenza  di  pagamento  del  31  luglio  2019  prevista
dall'art. 3, comma 2,  lettere  a)  e  b),  21,  22,  23  e  24,  del
decreto-legge 23 ottobre 2018, n. 119, convertito, con modificazioni,
dalla legge 17 dicembre 2018, n.  136,  e'  fissata  al  30  novembre
2019». 
    Il  decreto-legge  17  marzo  2020,   n.   18,   convertito   con
modificazioni dalla legge 24 aprile  2020,  n.  27,  quindi  operante
successivamente allo spirare del riferito termine di pagamento del 30
novembre 2019, ha disposto (con l'art. 68, comma 3) che: 
        «Sono differiti al 31 maggio il termine di versamento del  28
febbraio 2020 di cui all'art.  3,  commi  2,  lettera  b),  e  23,  e
all'art. 5, comma 1, lettera d), del decreto-legge 23  ottobre  2018,
n. 119, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre  2018,
n. 136, nonche' all'art. 16-bis, comma  1,  lettera  b),  n.  2,  del
decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34, convertito,  con  modificazioni,
dalla legge 28 giugno 2019, n. 58, e il termine di versamento del  31
marzo 2020 di cui all'art. 1, comma  190,  della  legge  30  dicembre
2018, n. 145». 
    L'art. 149 del decreto-legge 19 maggio 2020,  n.  34,  convertito
con modificazioni nella legge 17  luglio  2020,  n.  177,  ha  quindi
stabilito di prorogare al 16 settembre 2020 i termini  di  versamento
delle somme rateali  dovute  «ai  fini  delle  definizioni  agevolate
previste dagli articoli 1, 2, 6 e  7  del  decreto-legge  23  ottobre
2018, n. 119, convertito, con modificazioni, dalla legge 17  dicembre
2018, n. 136» (comma 4). Peraltro, secondo il comma 5 del citato art.
149, i versamenti «prorogati dalle disposizioni di  cui  al  presente
articolo sono effettuati, senza applicazione di sanzioni e interessi,
in un'unica soluzione entro il 16 settembre 2020 o, a  decorrere  dal
medesimo giorno del mese di settembre 2020, mediante rateazione  fino
a un massimo di 4 rate mensili di pari importo, con scadenza il 16 di
ciascun mese.». 
    Dato questo invero involuto impianto  normativo,  si  ricava  che
alla data  del  16  settembre  2020,  salva  ulteriore  rateizzazione
intervenuta  con  provvedimento  amministrativo   dell'agente   della
riscossione, tutti coloro i quali  avevano  presentato  l'istanza  di
definizione agevolata di cui all'art. 3, comma 5 del decreto-legge 23
ottobre 2018,  n.  119,  avrebbero  dovuto  provvedere  all'integrale
versamento delle somme dovute. 
    Sennonche'  l'estinzione  del  giudizio  innanzi  le  commissioni
tributarie, sospeso previa la sola presentazione della  istanza,  per
come previsto dal suddetto comma 5, e' stata  subordinata  (comma  6)
all'effettivo perfezionamento della definizione  e  alla  produzione,
nello stesso giudizio, della documentazione  attestante  i  pagamenti
effettuati, stabilendosi poi  che,  in  caso  contrario,  il  giudice
revoca la sospensione su istanza di una delle parti. 
    Questo giudicante dubita della conformita' a  Costituzione  delle
disposizioni di cui  ai  piu'  volte  richiamati  commi  5  e  6  del
decreto-legge 23 ottobre 2018,  n.  119,  vieppiu'  alla  luce  della
intervenuta scadenza, al 16 settembre 2020, del  termine  finale  per
potersi provvedere da parte del contribuente al  pagamento  in  unica
soluzione ovvero all'adozione  del  provvedimento  amministrativo  di
rateizzazione del concessionario della riscossione. 
    4.2. Emerge un primo profilo di contrarieta'  delle  disposizioni
in questione al principio generale di tutela dei crediti  erariali  e
delle pubbliche finanze (arg. ex articoli  53,  81  e  97,  comma  1,
Cost.) laddove questi risultino affidati ad un agente  esterno  della
riscossione, il quale, quindi,  nei  relativi  processi  innanzi  gli
organi della giustizia tributaria deve necessariamente  rappresentare
gli interessi superiori dell'erario, in nome e per conto del quale e'
chiamato ad operare, approntando le attivita' di riscossione. 
    In questo senso poiche' le disposizioni non prevedono un  obbligo
in capo all'agente della riscossione di richiedere al Giudice innanzi
al quale e' incardinato il processo di riprendere  questo,  ai  sensi
dell'art. 43 del decreto legislativo 31 dicembre 1992,  n.  546,  nel
caso di mancata definizione della domanda ovvero di mancato pagamento
ovvero  di  mancata  rateizzazione,   le   disposizioni   vengono   a
determinare  automaticamente  un  vulnus  alle  ragioni  dell'erario,
laddove la ripresa del processo finisce con il  divenire  una  scelta
discrezionale  della  parte  processuale  cioe'   dell'agente   della
riscossione il quale, tuttavia, dispone non  di  un  credito  proprio
bensi' dell'erario. 
    Inoltre la norma produce effetti diretti anche su  quei  giudizi,
in  specie  in  grado  di  appello,  nei  quali  parte  ricorrente  o
appellante sia costituita dall'agente della  riscossione,  il  quale,
quindi,  vanta  un  interesse  alla   sollecita   definizione   della
controversia stessa al fine di poter definire il  credito  tributario
contestato; in questo  caso  la  semplice  e  sola  dichiarazione  di
adesione alla definizione agevolata, proveniente da parte  resistente
od appellata, viene a determinare una ricaduta negativa  sulla  parte
formalmente  ricorrente  od  appellante,  con   la   conseguenza   di
compromettere pesantemente il diritto di difesa delle amministrazioni
impositrici (violando l'art. 24 Cost.) e quello  alla  parita'  delle
parti nel processo (violando l'art. 111 Cost.). 
    Tali  considerazioni  non  possono   ritenersi   superate   dalla
circostanza - ricordata dalla Corte costituzionale nella sentenza  n.
29/2018 e nella successiva  ordinanza  n.  32/2019  -  per  le  quali
«l'introduzione della definizione agevolata consegue  "alla  rilevata
necessita', per esigenze  di  finanza  pubblica  e  per  un  corretto
rapporto tra fisco e contribuente,  "di  ottimizzare  l'attivita'  di
riscossione adottando disposizioni per la soppressione di Equitalia e
per adeguare l'organizzazione dell'Agenzia  delle  entrate  anche  al
fine  di  garantire  l'effettivita'  del  gettito  delle  entrate   e
l'incremento del livello  di  adempimento  spontaneo  degli  obblighi
tributari e per i fini di cui all'art. 4, paragrafo 3,  del  Trattato
sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), e all'art. 81, comma 1,
della Costituzione"», posto che, nella fattispecie, la  norma  incide
sfavorevolmente sui principi  costituzionali  in  materia  di  giusto
processo, di  equa  durata  dello  stesso,  di  parita'  delle  parti
processuali, nonche' sull'istituto processuale della sospensione. 
    4.3. D'altro canto la disposizione denunciata di cui al  comma  6
dell'art. 3 del decreto-legge 23 ottobre  2018,  n.  119,  opera  una
ipotesi speciale di sospensione del processo,  estranea  all'impianto
processuale proprio di cui agli articoli 39 e  seguenti  del  decreto
legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, nella parte in cui non  prevede
una estinzione del processo  tributario  automaticamente  conseguente
alla inattivita' delle parti, finendo con il compromettere lo  stesso
principio di giusto processo di cui  all'art.  111  Cost.  e  minando
l'obbligo di svolgimento e conclusione dello  stesso  in  quei  tempi
ragionevoli di cui  all'art.  6  della  Convenzione  europea  per  la
salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali,
nella pacifica interpretazione della  Corte  costituzionale  e  delle
supreme Corti di legittimita' di tutti i Paesi  che  applicano  detta
convenzione. 
    Infatti poiche' la ripresa del  processo  e'  rimessa  unicamente
alla volonta' delle parti, senza  che  sia  prevista  una  automatica
estinzione per inattivita', per come invece disposto dalla previsione
generale di cui al surrichiamato art. 39 del decreto  legislativo  31
dicembre 1992, n. 546, tutti i processi innanzi il Giudice tributario
sospesi ai  sensi  dei  denunciati  commi  5  e  6  dell'art.  3  del
decreto-legge 23 ottobre 2018, n.  119,  potrebbero  rimanere  in  un
eterno limbo, con gravissima violazione tanto  dell'art.  111  Cost.,
quanto dell'art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia  dei
diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali. 
    Invero la Corte costituzionale si e' occupata dell'istituto della
sospensione  del  processo  tributario  ma   in   diverso   contesto,
escludendo una disparita' di trattamento  e,  quindi  una  violazione
dell'art. 3 Cost., («e' da reputare erronea la premessa  dalla  quale
muove il giudice  a  quo,  in  quanto  la  richiesta  prevista  dalla
disposizione sottoposta all'esame della Corte vale solo  ad  ottenere
la sospensione del giudizio, fermo restando che, fino  alla  scadenza
del termine ordinario, questo contribuente puo'  ancora  decidere  se
presentare  o  meno  la  dichiarazione  integrativa,   onde   nessuna
disparita' di trattamento egli subisce, sotto il  profilo  in  esame,
rispetto a tutti gli altri»), ma affermando il principio per il quale
«ove quest'ultima dichiarazione non venga  presentata,  il  giudizio,
cessata la causa di sospensione, riprende il suo corso» (Corte cost.,
sentenza n. 364/1994). Tale principio vale quindi  ad  escludere  che
possano operare nel processo tributario sospensioni sine  die,  come,
invece, determinano le disposizioni qui denunciate. 
    4.4. Un ulteriore profilo di contrarieta' agli articoli 3  e  97,
comma 1 Cost. e' poi rappresentato dal diverso trattamento - anche in
termini di effettivita' della tutela giurisdizionale di cui  all'art.
24, comma 1 della Costituzione  -  tra  i  casi  in  cui  un  credito
tributario sia stato affidato all'agente della  riscossione  esterno,
rispetto  a  quello   in   cui   sia   invece   tutelato   da   parte
dell'amministrazione creditrice. 
    Poiche' infatti la disponibilita' del credito non e'  dell'agente
della riscossione bensi' dell'amministrazione tributaria creditrice e
questa e' comunque doverosamente obbligata dagli articoli  23,  24  e
97, comma 1 della Costituzione  ad  esigere  il  pagamento  di  detti
crediti, la remissione all'agente della  riscossione  del  potere  di
riprendere  il  processo  tributario  -  processo  che  verte   sulla
legittimita' delle attivita' dell'agente della  riscossione,  ma  che
puo' riguardare anche il merito  della  pretesa  impositiva,  laddove
siano dedotti, insieme a vizi propri dell'atto di riscossione,  anche
vizi della  pretesa  stessa  -  sulla  base  di  una  propria  scelta
discrezionale, non  appare  conforme  alle  richiamate  disposizioni,
determinando  una  palese  disparita'  di  trattamento  del   credito
erariale rispetto ai casi in cui questo sia controverso non all'esito
di una cartella di pagamento, cioe' di un  atto  dell'agente  esterno
della riscossione, bensi' di un avviso di accertamento ovvero  di  un
atto esecutivo a questo  conseguente  posto  in  essere  direttamente
dall'amministrazione creditrice. 
    Infatti la norma denunciata, per espressa limitazione  posta  dal
comma 1 della stessa, riguarda solo i singoli carichi  affidati  agli
agenti della riscossione dal 1° gennaio 2000 al 31  dicembre  2017  e
non qualunque credito tributario contestato ed  oggetto  di  giudizio
innanzi i Giudici tributari. 
    Cosi' quanto alle imposte sui redditi l'art. 1  del  decreto  del
Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, stabilisce che
la relativa riscossione avviene mediante:  a)  ritenuta  diretta;  b)
versamenti diretti del contribuente all'esattoria e alle  sezioni  di
tesoreria provinciale dello Stato; c) iscrizione nei ruoli. 
    Analogamente per quanto riguarda l'IVA (nota come  imposta  sulla
cifra d'affari a livello comunitario) - tipica imposta armonizzata ai
sensi  dell'art.  113  del  Trattato  sul  funzionamento  dell'Unione
europea - l'art. 51, comma 1, cpv. 1 del decreto del Presidente della
Repubblica 26 ottobre 1972, n.  633,  stabilisce  che  vi  provvedono
direttamente i relativi «uffici dell'imposta sul valore aggiunto». 
    4.4.1. Vi e' poi che le ragioni di una delle parti del processo -
rappresentata dall'erario, che normalmente  vi  assume  la  veste  di
creditore nel rapporto tributario - rischiano di essere  compromesse,
in maniera irreparabile, dalla mera presentazione  della  istanza  di
adesione del contribuente nell'ambito  del  processo  tributario  nel
quale a tutelare le  ragioni  dell'erario  e'  pero'  l'agente  della
riscossione, che diviene titolare del potere di disporre del  credito
nei limiti in cui non decida  di  farsi  parte  per  la  ripresa  del
processo interrotto sine die dalle disposizioni qui contestate. 
    Con riferimento a  tale  possibile  situazione  e'  evidente  una
violazione    del    principio    di    parita'    delle    parti nel
processo tributario, garantito dal combinato disposto degli  articoli
3, 24, comma 1, 97, comma l e 111 della Costituzione. 
    Il contribuente infatti, con riguardo ad  un  credito  tributario
giudizialmente contestato ed affidato all'agente  della  riscossione,
diviene titolare dell'andamento del processo, finendo con il  poterne
unilateralmente  determinare  una  sospensione  sine  die,   che   e'
potenzialmente  dannosa  per  il  bilancio  dello  Stato  e/o   delle
amministrazioni impositrici, il tutto  in  violazione  del  principio
della parita' delle parti sancito dagli articoli 3, 24, comma 2 e 111
della Costituzione. Sotto questo profilo  la  disposizione  impugnata
viene a determinare addirittura una disparita' di trattamento  tra  i
contribuenti  che,  dopo  aver  presentato  l'istanza  di   adesione,
provvedono al pagamento delle somme pattuite nei termini stabiliti  e
quelli che non vi provvedono, posto che nel primo caso il processo si
estingue, nel secondo rimanendo comunque sospeso sine  die  crea  una
situazione  di  ingiustificato   vantaggio   proprio   in   capo   al
contribuente inadempiente anche rispetto  agli  obblighi  discendenti
dall'adesione  alla  definizione  agevolata  (sul  punto  valgono   i
principi fissati da Corte costituzionale, sentenza n. 175/1986). 
    4.4.2. Un profilo ulteriore inerente la denunciata violazione del
principio di parita' delle parti  nel  processo  tributario,  e'  poi
rappresentato dalla possibile lesione, che ne discende  direttamente,
degli interessi finanziari dell'Unione europea, nei limiti in cui  le
disposizioni speciali interne, compromettendo la  tutela  processuale
dei crediti erariali attraverso disposizioni impeditive della  stessa
e, segnatamente,  stabilendo  ipotesi  di  sospensione  del  processo
tributario sine die ed all'esito della  sola  volonta'  discrezionale
manifestata dal debitore, finiscono con il compromettere  i  suddetti
interessi finanziari. 
    La tutela degli interessi  finanziari  dell'Unione  riguarda  non
solo la gestione degli stanziamenti di  bilancio,  ma  si  estende  a
qualsiasi misura che incida o che minacci di  incidere  negativamente
sul suo patrimonio e su quello degli Stati membri,  nella  misura  in
cui e' di interesse per le politiche dell'Unione. 
    La convenzione elaborata in base all'articolo  K.3  del  Trattato
sull'Unione europea, relativa alla tutela degli interessi  finanziari
delle Comunita' europee del 26 luglio 1995 e  i  relativi  protocolli
del 27 settembre 1996, del 29 novembre 1996 e  del  19  giugno  1997,
stabiliscono norme  minime  riguardo  alla  definizione  di  illeciti
penali e di sanzioni nell'ambito della frode che lede  gli  interessi
finanziari dell'Unione. 
    Date tali premesse - contenute nella direttiva (UE) 2017/1371 del
Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2017, relativa  alla
lotta contro la frode che lede gli interessi  finanziari  dell'Unione
mediante il diritto penale - e' evidente che una compromissione delle
ragioni di tutela  dei  erediti  erariali  approntata  attraverso  la
introduzione  di  una  ingiustificata  lesione   della   parita'   di
trattamento delle parti  processuali,  determina  una  lesione  degli
interessi finanziari dell'Unione  e  delle  Comunita'  europee  nella
misura in cui l'Italia ne fa parte  (articoli  10,  11  ed  80  della
Costituzione), riconoscendo limitazioni  alla  propria  sovranita'  e
concorrendo alle relative spese (art. 81, commi 1 e  6  ed  art.  97,
comma 1 Costituzione). 
    4.4.3.  Un  altro  profilo  di  illegittimita'  delle  denunciate
disposizioni,  sempre   discendente   dalla   introduzione   di   una
ingiustificata disparita' di trattamento processuale tra  le  ragioni
del  credito  erariale  e  quelle  del  contribuente,  risiede  nella
violazione dell'art. 113 e seguenti del Trattato, laddove il processo
tributario verta su questioni inerenti  imposte  armonizzate  (IVA  o
cifra d'affari, in primis), con conseguente ricaduta  sugli  obblighi
di  armonizzazione  discendenti  dalle   suddette   disposizioni   di
Trattato. 
    Poiche' infatti le  imposte  armonizzate  vantano  una  copertura
sovranazionale  -  incidendo  indirettamente  sul   principio   della
concorrenza - ogni compromissione  delle  ragioni  erariali  ad  esse
connesse in sede processuale, mediante la adozione di norme nazionali
deteriori  e  che  costituiscano  impedimenti  alla  loro   effettiva
applicazione ed esazione da parte degli  Stati  nazionali,  determina
una possibile compromissione del principio di tutela degli  interessi
finanziari della  Comunita',  confliggendo  con  interessi  superiori
dell'Unione. 
    5. Per quanto esposto sopra, ai  sensi  dell'art.  23,  comma  3,
della legge n. 87/1953, si ritiene di sollevare  d'ufficio  questione
di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  3,  commi  5  e  6   del
decreto-legge 23 ottobre 2018, n. 119, convertito, con modificazioni,
nella legge 17 dicembre 2018, n. 136, per contrasto con gli  articoli
3, 10, 11, 23, 24, 53, 81, 97, comma 1 e 111 della Costituzione,  113
del  Trattato  sul  funzionamento  dell'Unione   europea,   6   della
Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU). 
 
                               P.Q.M. 
 
    La Commissione tributaria  regionale  per  la  Calabria,  Sezione
Terza, visti gli articoli  134  della  Costituzione,  1  della  legge
costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e 23 della legge 11 marzo  1953,
n. 87, 
    Solleva con riferimento agli articoli 3, 10, 11, 23, 24, 53,  81,
97,  comma  1  e  111  della  Costituzione,  113  del  Trattato   sul
funzionamento dell'Unione europea, 6 della  Convenzione  europea  dei
diritti dell'uomo (CEDU), questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 3, commi 5 e 6 del decreto-legge 23 ottobre 2018,  n.  119,
convertito, con modificazioni, nella legge 17 dicembre 2018, n.  136,
per la parte in cui prevedono una sospensione sine die  del  giudizio
tributario,  previo  il  solo  deposito  dell'istanza   di   adesione
agevolata, revocabile dal Giudice solo ad istanza di parte. 
    Ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale,  con
la  prova  delle  notificazioni  e  delle  comunicazioni   prescritte
nell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (ex articoli 1 e 2  del
regolamento della Corte costituzionale 7 ottobre 2008, pubblicato  in
Gazzetta Ufficiale 7 novembre 2008,  n.  261),  con  sospensione  del
giudizio. 
    Ordina che, a cura della segreteria della  Sezione,  la  presente
ordinanza sia notificata alle parti in causa  ed  al  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri,  nonche'  comunicata,  anche  via  PEC,  ai
presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. 
    Cosi' deciso nella Camera  di  consiglio  del  2  dicembre  2020,
svolta in modalita' telematica e da remoto, ai sensi dell'art. 27 del
decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137. 
 
                  Il Presidente, relatore: Lorelli