N. 78 ORDINANZA (Atto di promovimento) 5 marzo 2020
Ordinanza del 5 marzo 2020 del Tribunale di sorveglianza di Messina nel procedimento di sorveglianza nei confronti di C. M.. Esecuzione penale - Richiesta di riabilitazione - Decisione del tribunale di sorveglianza adottata con rito camerale de plano. - Codice di procedura penale, artt. 667, comma 4, e 678, comma 1-bis, in relazione all'art. 178 e seguenti del codice penale e all'art. 683 del codice di procedura penale.(GU n.23 del 9-6-2021 )
TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA DI MESSINA Riunito in Camera di consiglio nelle persone dei signori: 1) dott. Nicola Mazzamuto, Presidente relatore; 2) dott.ssa Gemma Occhipinti, magistrato di sorveglianza; 3) dott. Vittorio Crupi, esperto; 4) dott. Fabio Giuseppe Bilardi, esperto; Sciogliendo la serva di decidere all'udienza del 18 dicembre 2019 nel procedimento di sorveglianza promosso da C. M., nato a il , con istanza di riabilitazione in relazione alle condanne riportate nel certificato del Casellario giudiziale; Letta l'istanza e gli altri atti del procedimento; Ritenuta la propria giurisdizione e competenza; Ritenuta l'ammissibilita' dell'istanza, ricorrendo le condizioni previste dall'art. 179 del codice penale in ordine all'espiazione ed estinzione delle pene ed al decorso temporale dei termini prescritti; Ai fini del presente giudizio di riabilitazione, si appalesa rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale degli articoli 667, comma 4, e 678, comma 1-bis del codice di procedura penale, in relazione agli articoli 178 e ss. del codice penale e 683 codice di procedura penale, per contrasto con gli articoli 24, 27, 111 e 117 della Costituzione. A) Sotto il profilo della rilevanza. Gli articoli 667, comma 4, e 678, comma 1-bis del codice di procedura penale, stabiliscono che la materia sostanziale della riabilitazione venga trattata nella forma processuale del rito cd. de plano. La giurisprudenza consolidata dell'Autorita' nomofilattica (cfr. ex multis l'ordinanza n. 19826 del 16 aprile 2019 della Cassazione acquisita in atti) ha statuito l'obbligatorieta' del rito semplificato nelle materie per cui e' previsto dalla legge e l'irritualita' dell'immediata trattazione con procedimento giurisdizionale disposto ope iudicis con contraddittorio pieno, pena la retrocessione procedimentale. Si aggiunga che la rilevanza della sollevata questione di incostituzionalita' deriva non solo da tale passaggio obbligatorio attraverso le «forche caudine» del rito de plano sancito dalla giurisprudenza nomofilattica, ma anche dalla considerazione che - pur ipotizzando di disattendere l'indirizzo giurisprudenziale della Suprema Corte e rimettendo la scelta del rito, se non all'arbitrium iudicis, alla discrezionalita' dell'organo procedente - non verrebbero comunque soddisfatte le esigenze sostanziali e processuali sottese ai plurimi profili di incostituzionalita' della disciplina impugnata. B) Sotto il profilo della non manifesta infondatezza della questione di legittimita' sollevata. La questione giuridica che si solleva d'ufficio attiene alla incompatibilita' delle citate disposizioni di cui agli articoli 667, comma 4, e 678, comma 1-bis del codice di procedura penale - con particolare riferimento al rito previsto in materia di riabilitazione di cui agli articoli 178 e ss. del codice penale e 683 del codice di procedura penale - rispetto agli articoli 24, 27, 111 e 117 della Costituzione (quest'ultimo in quanto parametro interposto per l'applicazione del diritto sovrannazionale e, nello specifico, dell'art. 6 della Convenzione europea dei Diritti dell'uomo). Al fine di valutare la legittimita' costituzionale delle norme procedurali denunziate, e' necessario e opportuno, in primo luogo, esaminare l'esatta portata e la rilevanza specifica dei principi costituzionali richiamati. Con riguardo all'art. 27 della Costituzione, sebbene la Giurisprudenza costituzionale oscilli in ordine al finalismo rieducativo della pena tra la teoria polifunzionale e la teoria monofunzionale e le loro varianti, resta il dato inoppugnabile chel'unica funzione della pena espressamente menzionata in Costituzione e' quella rieducativa che, al di la' del problema del bilanciamento con le altre funzioni e finalita' e dei loro rapporti in termini di prevalenza o di equivalenza, non puo' non assumere un posto eminente nella gerarchia dei valori costituzionali. Se tale e' il rango costituzionale del finalismo rieducativo, la sua estensione non puo' che abbracciare l'intera vicenda penale: dalla previsione incriminatrice e sanzionatoria - del legislatore alla commisurazione giudiziale della pena nel processo di cognizione, all'esecuzione penale e penitenziaria, all'ampio spettro delle misure alternative alla detenzione nel procedimento di sorveglianza .... usque ad riabilitationem ... et ultra! Invero, il finalismo rieducativo non puo' non predicarsi anche dell'istituto della riabilitazione che si colloca oltre il tempo dell'esecuzione della pena principale di cui presuppone l'intervenuta estinzione ed il decorso da essa di un congruo lasso temporale, in cui il condannato dimostri il suo ravvedimento operoso con prove effettive e costanti di buona condotta, e si proietta nel settennio successivo alla sua concessione in cui il soggetto riabilitato e' chiamato ad astenersi dalla commissione di reati, pena la revoca del beneficio in una sorta di «penalita' regressiva». Con riguardo agli articoli 24, 111 e 117 della Costituzione e 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, occorre richiamare i fondamentali principi del giusto processo in ordine alle garanzie del diritto di difesa e del contraddittorio processuale, alla formazione della prova nell'immediatezza, oralita' e concentrazione di tale contraddittorio ed alla pubblicita' dell'udienza e occorre riaffermare la centralita' di tali principi, non solo nel giudizio di cognizione, ma anche nel procedimento di esecuzione e di sorveglianza. In relazione al procedimento di sorveglianza, assumono particolare valore e significato nel presente giudizio gli insegnamenti della Corte europea dei diritti dell'uomo sia in ordine all'indispensabilita' della partecipazione personale dell'interessato nei procedimenti giurisdizionali che comportano l'accertamento della sua personalita', del suo carattere o del suo stato mentale, al fine di consentire al giudice di intrattenere un rapporto diretto con il soggetto e di ricavare a personal impression of the applicant, sia in ordine alla configurabilita' della violazione dell'art. 6 della Convenzione in caso di assenza di pubblica udienza, laddove si prevede che ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un certo termine ragionevole da un Tribunale indipendente ed imparziale (Corte EDU 8-2-00 Cooke c. Austria; 10-2-02 Waite c. Regno Unito; 6.10.04, Dondarini c. San Marino, 25-4-13, Zahirovic c. Croazia). Assumono, altresi', particolare rilievo in subiecta materia le pronunce della Corte costituzionale che hanno affermato che la pubblicita' del giudizio, specie di quello penale, costituisce principio connaturato ad un ordinamento democratico fondato sulla sovranita' popolare, cui deve conformarsi l'amministrazione della giustizia, la quale, in forza dell'art. 101, comma 1 della Costituzione, trova in quella sovranita' la sua legittimazione e che la pubblicita' delle procedure giudiziarie tutela le persone soggette alla giurisdizione contro una giustizia segreta, che sfugge al controllo del pubblico, e costituisce anche uno strumento per preservare la fiducia nei giudici, contribuendo cosi' a realizzare lo scopo dell'art. 6, paragrafo 1 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, ossia l'equo processo. Come attestano le eccezioni previste nella seconda parte della norma, questa non impedisce, in assoluto, alle autorita' giudiziarie di derogare al principio di pubblicita' in udienza. La stessa Corte europea ha ritenuto che alcune situazioni eccezionali, attinenti alla natura delle questioni da trattare - quale, ad esempio, il carattere altamente tecnico del contenzioso - possano giustificare che si faccia o meno un'udienza pubblica. In ogni caso l'udienza a porte chiuse, per tutta o parte della durata, deve essere strettamente imposta dalle circostanze della causa» (cfr. ex multis Corte costituzionale 12/1979, 50/1989, 69/1991, 373/1992 e 97/2015). Con specifico riferimento al procedimento di sorveglianza in materia di misure di sicurezza, di misure alternative alla detenzione e nelle altre materie di competenza del Tribunale di sorveglianza, la Corte costituzionale con le sentenze n. 135/2014 e n. 97/2015 ha sancito, in capo al soggetto interessato, il diritto potestativo alla celebrazione del rito nelle forme dell'udienza pubblica. Alla luce dei principi costituzionali del giusto processo e dei chiari orientamenti della giurisprudenza costituzionale ed europea, come sopra esaminati, occorre collocare «in cima al monte» il modello ideale di processo penale con contraddittorio pieno ed udienza pubblica che rispecchi tutte le caratteristiche strutturali e funzionali del giusto processo. Nell'attuale ordinamento processuale italiano, nell'ambito del procedimento di esecuzione e di sorveglianza, e' riscontrabile una varieta' di moduli procedimentali che derogano, in tutto o in parte, a tale modello. 1) Il rito camerale con contraddittorio pieno e con udienza pubblica, non in quanto prevista ex lege come forma processuale ordinaria, sibbene come conseguenza della scelta potestativa del soggetto interessato alla stregua delle pronunce additive della Corte costituzionale sopra esaminate. 2) Il rito camerale con contraddittorio pieno e senza udienza pubblica, in quanto non richiesta dal soggetto interessato. 3) Il rito de plano nel primo grado di giudizio senza contraddittorio, ne' originario ne' differito, come nei procedimenti in materia di liberazione anticipata, di competenza dell'organo monocratico con possibilita' di reclamo al Tribunale di sorveglianza. 4) Il rito de plano con contraddittorio eventuale e differito, con facolta' dell'interessato e delle parti processuali di proporre opposizione contro l'ordinanza decisori a, instaurando il contraddittorio dinanzi allo stesso Collegio giudicante, anche nella medesima composizione, non costituendo tale opposizione un mezzo di impugnazione sibbene uno strumento potestativo di attuazione del contraddittorio differito. Il problema della costituzionalita' dei moduli procedimentali sub 1) e 2), in ordine al quesito se il principio costituzionale e convenzionale di pubblicita' delle udienze giudiziarie sia soddisfatto o meno dalla previsione di subordinare tale pubblicita' alla scelta potestativa della parte privata, senza prescriverla ex lege nell'interesse generale alla trasparenza ed al controllo popolare dell'attivita' giurisdizionale - salva sempre la possibilita' delle porte chiuse per speciali ragioni di riservatezza meritevoli di tutela - e senza prevedere neppure il potere del pubblico ministero di chiederla e del giudice, anche motu proprio, di disporla, e' problema manifestamente fondato, ma con altrettanta evidenza estraneo al petitum ed alla causa petendi del presente giudizio. Il problema della costituzionalita' del modulo procedimentale sub 3), anch'esso estraneo ai limiti del presente giudizio, e' stato comunque affrontato con le ordinanze n. 352/2003 e n. 291/2005 della Corte costituzionale in materia di liberazione anticipata e risolto in senso favorevole alla legittimita' costituzionale, nel presupposto discutibile della natura del beneficio individuata in una «mera riduzione quantitativa» della pena e non come misura premiale assiologicamente e teleologicamente pregnante in chiave rieducativa e risocializzativa, nonche' alla luce degli argomenti, altrettanto discutibili, della frequenza statistica degli accoglimenti e delle esigenze della prassi giudiziaria di speditezza e snellimento procedurale. Si pone, invece, in tutta la sua rilevanza e manifesta fondatezza, il problema della (in)costituzionalita' del modulo procedimentale sub 4) con riferimento al giudizio di riabilitazione, in quanto prevede l'esclusione «coatta» della necessita' originaria della partecipazione delle parti processuali e del loro contraddittorio, della presenza personale dell'interessato, della formazione della prova nel contraddittorio e della pubblicita' dell'udienza. Il thema probandum ed il thema decidendum del giudizio di riabilitazione vertono sull'accertamento altamente discrezionale del raggiungimento o meno delle finalita' rieducative, risocializzative e riparative della pena espiata o comunque estinta. A differenza della riabilitazione «di diritto», che operava ex tunc, con effetti dichiarativi, al verificarsi obiettivo di determinati presupposti, istituto previsto dal codice penale italiano del 1913 e poi abrogato dall'attuale codice, la riabilitazione «discrezionale» opera ex nunc con effetti costitutivi e involge un complesso giudizio personologico ad elevato tasso di discrezionalita' che presenta una duplice dimensione. La prima dimensione diagnostico-retrospettiva e' quella che accerta il requisito altamente discrezionale della buona condotta e ricerca, nel tempo trascorso prescritto dalla legge, le prove effettive e costanti di essa. Buona condotta che va intesa, non in senso eticizzante come emenda morale in foro interno, come tale insondabile, neppure come assenza di procedimenti penali pendenti o di rilievi negativi, reintroducendo in modo surrettizio una riabilitazione di diritto «travestita», bensi' come condotta attiva, non necessariamente esemplare, comunque rispettosa delle leggi non solo penali dello Stato laico, osservante dei doveri costituzionali del cittadino, dei principi di convivenza civile; una buona condotta nel senso di un ravvedimento «operoso» attraverso comportamenti socialmente apprezzabili, in particolare, attraverso il risarcimento dei danni morali e materiali alle parti offese e l'adempimento delle altre obbligazioni civili nascenti dal reato, nei limiti delle proprie possibilita', laddove il raggiungimento di tale finalita' riparativa rileva, non come fatto civilistico satisfattivo, sibbene quale indice privilegiato di tale ravvedimento operoso e di un atteggiamento resipisciente di autentica comprensione del disvalore sociale del reato e di concreta solidarieta' verso le sue vittime. L'altra dimensione di tipo prognostico-preventivo del giudizio di riabilitazione si puo' desumere dalla rilevanza della recidiva e della delinquenza qualificata, ai fini dell'allungamento del termine temporale prescritto, nonche' della pericolosita' sociale derivante dalla sottoposizione a misura di sicurezza come impedimento preclusivo ex lege del beneficio, con conseguente incompatibilita' tra il requisito della buona condotta e l'attuale pericolosita' del riabilitando che, in base a tale assunto, puo' anche risultare aliunde e ope iudicis nel corso del giudizio. Tale dimensione comporta la necessita' giudiziale di una inferenza prognostica dei comportamenti futuri del soggetto, in particolare la previsione ragionevole che lo stesso, in quanto ravveduto, si asterra' dal commettere reati nel settennio successivo. La duplice dimensione del giudizio di riabilitazione si apprezza, altresi', considerando l'efficacia dell'istituto che realizza la restitutio in integrum del soggetto, elidendo gli effetti desocializzanti e stigmatizzanti derivanti dalla vicenda penale che possono essere pregiudizievoli, se non criminogeni, comunque d'ostacolo al suo pieno renserimento sociale. Si pensi, a titolo esemplificativo, alle facolta', recuperate grazie alla riabilitazione, di partecipare ai pubblici concorsi e di svolgere attivita' lavorative lecite, in mancanza delle quali il soggetto potrebbe essere indotto, se non costretto, a ricadere in scelte di vita devianti e criminali. Si aggiunga che, se puo' essere pregiudizievole o addirittura criminogeno il diniego della riabilitazione nei confronti di un soggetto meritevole, in quanto ravveduto, altrettanto puo' esserlo, o ancor di piu', la sua concessione senza che ne ricorrano i presupposti sostanziali, consentendo al riabilitato immeritevole di continuare a svolgere attivita' illecite sotto le mentite spoglie di una ritrovata e bugiarda verginita' penale e sociale. Alla luce delle precedenti considerazioni, l'istituto della riabilitazione appare in tutta la sua importanza giuridica e sociale, sicche' la sua applicazione processuale non puo' risolversi in un giudizio notarile con rilascio cartaceo di un certificato burocratico di buona condotta! Si osservi ancora come nella foce del giudizio di riabilitazione confluiscono fiumi diversi, essendo diversi i modi di estinzione delle pene principali: l'espiazione carceraria della pena detentiva, l'espiazione della pena detentiva trasformata in executivis in misura alternativa alla detenzione senza giudizio finale sull'esito della misura, come nei casi di detenzione domiciliare e di semiliberta', l'estinzione della pena detentiva a seguito del giudizio finale sull'esito positivo dell'affidamento in prova al sevizio sociale, anche in casi particolari, o della liberazione condizionale, l'estinzione a seguito della sospensione condizionale della pena e della sospensione condizionale «condizionata» della pena, l'estinzione a seguito di patteggiamento, l'estinzione a seguito di amnistia e indulto, l'estinzione della pena pecuniaria per intervenuto pagamento, l'estinzione della pena pecuniaria insoluta e convertita nelle sanzioni sostitutive della liberta' controllata e del lavoro sostitutivo. Se tali sono la complessita' sostanziale e processuale e lo spessore cognitivo del giudizio di riabilitazione si deve escludere, con ferma convinzione giuridica, che lo stesso possa rientrare nelle ipotesi in cui la giurisprudenza costituzionale ed europea ritengono possibile la deroga al contraddittorio necessario con udienza pubblica e soddisfare i criteri che rendono legittimo il procedimento a contraddittorio eventuale e differito. Tali ipotesi e criteri sono riassumibili e riconducibili: 1) alla natura delle questioni trattate ed al loro carattere altamente tecnico; 2) alla non particolare complessita', se non alla semplicita', della regiudicanda; 3) alla frequenza statistica delle decisioni di accoglimento; 4) alle esigenze di economia processuale derivanti dalle prassi, di snellimento procedurale, di accelerazione dei tempi procedurali e di risparmio e migliore destinazione delle risorse organizzative. Il carattere altamente discrezionale e la particolare complessita' del giudizio di riabilitazione, come sopra evidenziati, escludono la sua sussumibilita' sub a) e b), laddove le ipotesi e i criteri sub c) e d) non possono rivestire una autonoma rilevanza se non congiunti ai caratteri precedenti, pena l'ingiustificato avallo di prassi decisorie lassiste con rischio di elevato numero di «cattivi» accoglimenti e di prassi acceleratorie in cui la fretta e' cattiva consigliera e rischia di partorire decisioni cieche. L'incompatibilita' del giudizio di riabilitazione con il rito de plano si apprezza, altresi', dalla comparazione con le altre ipotesi in cui il legislatore ha previsto tale rito, in alcune delle quali la scelta legislativa appare giustificata alla luce dei criteri prima esaminati (si pensi all'accertamento in caso di dubbio sull'identita' fisica della persona detenuta, alla rateizzazione e conversione delle pene pecuniarie, alla remissione del debito, alla esecuzione della semidetenzione e della liberta' controllata, al differimento obbligatorio dell'esecuzione della pena dei numeri 1) e 2) dell'art. 146 del codice di procedura penale, mentre in altre ipotesi tale scelta si rivela, come nel caso della riabilitazione, costituzionalmente censurabile (si pensi alla valutazione giudiziale sull'esito della liberazione condizionale e dell'affidamento in prova, anche nei casi particolari). Con riguardo a tale ultimo giudizio, atteso il suo carattere discrezionale, la sua complessita' diagnostica e prognostica e la sua valenza rieducativa e specialpreventiva, nonche' la sua diretta incidenza nella sfera della liberta' personale del condannato, questo Tribunale con ordinanza coeva ha sollevato analoga eccezione di incostituzionalita'. Si aggiunga la considerazione che, a differenza della vigente riabilitazione «discrezionale», l'istituto previgente della riabilitazione «di diritto», atteso il carattere meramente ricognitivo del relativo provvedimento, avrebbe potuto convenientemente trattarsi con il rito de plano. Non bisogna, altresi', dimenticare che, ripercorrendo la storia dell'istituto, la riabilitazione veniva trattata nel previgente codice di rito con la forma provvedimentale «solenne» della sentenza, di competenza dell'organo apicale della giurisdizione di merito, ossia la Corte d'Appello. Il successivo degrado delle forme provvedimentali (da sentenza ad ordinanza) e processuali (da udienza camerale con contraddittorio all'attuale rito de plano) rischia, come e' evidente, di degradare e svilire l'istituto sostanziale. In tale ottica, si ritiene opportuno inscrivere il presente scrutinio di costituzionalita' nel quadro della parabola normativa e giurisprudenziale che ha visto, in una prima fase, il progressivo affermarsi del principio di giurisdizionalizzazione dell'esecuzione penale e del procedimento di sorveglianza (dalla sentenza della Corte costituzionale n. 204 del 1974, alla legge-delega del codice di procedura penale del 1987 che all'art. 2 n. 96 sancisce le garanzie di giurisdizionalita' nella fase della esecuzione, con riferimento ai provvedimenti concernenti le pene e le misure di sicurezza, fino alla sentenza n. 53/1993 della stessa Corte costituzionale che ha imposto l'applicazione degli articoli 666 e 678 codice di procedura penale al procedimento di reclamo avverso il provvedimento di esclusione dal computo della pena del tempo trascorso in permesso premio) e, in una fase successiva, il progressivo abbandono della giurisdizionalita' «necessaria» in favore di una giurisdizionalita' «eventuale» e «posticipata», con il rischio di una tendenza, sia legislativa che giurisprudenziale, a cartolarizzare, deprocessualizzare e depersonalizzare il giudizio, sacrificando fondamentali garanzie, a tutela sia dell'individuo che della collettivita', in omaggio ad un paradigma di efficientismo giudiziario che privilegia in chiave statistica la quantita' a scapito della qualita' delle decisioni giudiziarie. Occorre, a parere del giudice remittente, invertire tale tendenza e riaffermare che il procedimento giurisdizionale con contraddittorio pieno, nella forma collegiale e con l'ausilio degli esperti, non e' un intralcio alla celerita' ed efficienza delle decisioni giudiziarie, non e' un orpello inutile o una sovrabbondanza retorica, sibbene e' il modello assiologicamente pregnante, il metodo genetico e funzionale della giurisdizione rieducativa, in quanto costitutivamente discorsiva, dialettica, multidisciplinare, individualizzata e personalizzata, garanzia fondamentale della qualita' dei giudizi personologici e prognostici, fattuali e teleologici, architrave che lega in un ponte ideale e reale il Collegio giudiziale, da un lato, con l'Istituzione penitenziaria e l'equipe' di osservazione e trattamento, dall'altro lato, con gli ambienti sociali e istituzionali esterni, con i contesti socio-familiari, con i Servizi territoriali e le Forze dell'ordine, con le Agenzie primarie e secondarie di formazione, di (ri)educazione e di mediazione sociale, culturale e penale; contraddittorio processuale che e' chiave di volta che unifica i saperi giuridici con gli «altri» saperi, inverando l'idea e la realta' del procedimento di sorveglianza come luogo privilegiato e culmine giudiziario del trattamento rieducativo che vede la persona e la comunita' al centro della prossemica processuale. E' rispetto a tale profilo alto della giurisdizione rieducativa ed ai giudizi altamente discrezionali in cui essa si invera e si concretizza che si pone la necessita' della pienezza delle garanzie processuali secondo il brocardo ubi iudex ibi processus e ubi processus ibi iudex. In altri termini, il binomio che lega la discrezionalita' al processo e' costitutivo della giurisdizione rieducativa, sicche' piu' elevato e' il tasso della discrezionalita' giudiziale, maggiore e' la necessita' di un processo pieno iure in cui condividere i pesi e i rischi di tale discrezionalita' nella collegialita' «mista» e multidisciplinare e nella coralita' di tutti gli attori processuali. Al contrario, il rito de plano nei giudizi discrezionali induce fenomeni di cartolarizzazione, di burocratizzazione, di pregiudizio routinario, di automatismo decisionale, di monocratizzazione di fatto, rischiando di immiserire gli istituti sostanziali sottesi a tali giudizi, giacche' degradare il rito significa degradare la misura cui e' preordinato, la cui dignita' dipende non solo dall'an della concessione ma anche e soprattutto dal quomodo! E' nel modus procedendi che si esalta o si mortifica la funzione nobile del processo! In particolare, nel giudizio di riabilitazione - che, ripetasi, non e' materia a carattere esclusivamente o prevalentemente tecnico, bensi' istituto in cui i profili prevalenti attengono anzi al merito discrezionale della valutazione diagnostica e prognostica del pieno recupero del condannato e del soddisfacimento di tutti i suoi obblighi - la cartolarizzazione del rito sacrifica il contraddittorio inter praesentes, esclude la formazione delle prove costituende, in particolare sottrae al Collegio giudicante ed alle parti processuali l'osservazione e l'audizione diretta del riabilitando, impedisce la piena partecipazione di tutti gli attori processuali e opacizza il giudizio, gravido di conseguenze individuali e sociali, in un cono d'ombra che non consente il controllo del popolo sovrano e delle stesse vittime, attuali e potenziali, dei reati. Invero, i plurimi profili di incostituzionalita' della disciplina denunziata si possono osservare sotto i diversi angoli visuali dei vari protagonisti del procedimento di sorveglianza e delle lesioni degli interessi processualmente qualificati e costituzionalmente rilevanti di cui sono portatori. 1) Dal punto di vista del soggetto interessato. La presenza personale dell'interessato nel giudizio di riabilitazione rappresenta un momento essenziale nel coronamento del percorso rieducativo, riabilitativo, riparativo e riconciliativo. Il rito de plano sacrifica sine iusta causa il diritto del soggetto riabilitando a partecipare personalmente al giudizio fin dalla sua scaturigine, nel contraddittorio delle parti processuali, con l'assistenza tecnica del difensore e nel contatto diretto con i giudici, togati e non togati, influendo ab initio sul loro convincimento, non solo con le prove documentali «precostituite», ma anche e soprattutto con le prove «costituende» (osservazione inter praesentes ed esame diretto dell'interessato, assunzione di testimoni, audizione di assistenti sociali, forze dell'ordine e - ove necessario e opportuno - delle stesse parti offese etc.), senza subire il pregiudizio di una decisione cartolare inaudita altera parte che non puo' non condizionare lo stesso giudice nel caso di giudizio conseguente alla eventuale opposizione. Si aggiunga il diritto e l'interesse del soggetto riabilitando all'udienza pubblica, ossia a vedere riconosciuto pubblicamente il proprio ravvedimento, ottenendo la riabilitazione attraverso un procedimento avente potenzialmente la medesima risonanza sociale e mediatica rispetto a quello in cui ha subito la condanna. Richiamando gli insegnamenti della giurisprudenza costituzionale ed europea in ordine alla fondamentale garanzia dell'udienza pubblica, illustrati nell'overture della presente ordinanza, non puo' non riconoscersi tale diritto in capo al soggetto riabilitando, attesa la natura ed il carattere del giudizio di riabilitazione, degli interessi ivi coinvolti, dell'elevata «posta in gioco» e della gravita' delle conseguenze. Invero, il diritto di azione e di difesa del soggetto riabilitando non viene soddisfatto dal semplice esito favorevole dell'an della concessione, ma anche e, in un certo senso, soprattutto dal suo quomodo, come pieno riconoscimento giurisdizionale del suo ravvedimento, sicche' una riabilitazione meramente cartolare e fascicolare partorita nel chiuso di una Camera di consiglio in un procedimento senza udienza non ha lo stesso valore personale e sociale, giuridico e morale, di una riabilitazione come apice in cui culmina dell'intera vicenda penale e come frutto maturo del processo giurisdizionale con udienza pubblica nella coralita' dell'Aeropago giudiziario! Si consideri, tuttavia, che tale diritto non puo' trovare attuazione nel rito de plano, in quanto procedimento senza udienza e senza parti costituite e come tale strutturalmente inidoneo a realizzare l'udienza pubblica, ne', allo stato della normativa vigente e della giurisprudenza costituzionale, puo' configurarsi un diritto potestativo del soggetto interessato a chiedere, nella stessa istanza che promuove il procedimento, e ad ottenere per saltum il rito con contraddittorio pieno nella forma dell'udienza pubblica possibilita' precluse alla parte pubblica ed allo stesso giudice - giacche' la Corte costituzionale, con la sentenza n. 97/2015 prima citata, ha statuito la garanzia e l'esercizio del diritto potestativo all'udienza pubblica limitatamente alle materie di competenza del Tribunale di sorveglianza che vengono trattate nelle forme del giudizio ex articoli 666 e 678, comma 1 del codice di procedura penale e non nelle materie in cui e' previsto il rito de plano. Si avrebbe cosi' il paradosso che il soggetto riabilitando debba passare strumentalmente attraverso la decisione de plano allo scopo di opporvisi, indipendentemente dall'esito, per ottenere l'udienza pubblica, sia nel caso di accoglimento, ammesso che sia configurabile in tale caso un interesse ad opporsi ad una decisione favorevole e con il rischio del re melius perpensa e della reformatio in peius nel giudizio non impugnatorio conseguente a tale opposizione davanti allo stesso giudice, sia nel caso di rigetto, con l 'ulteriore paradosso di dover auspicare tale rigetto ove costituisse l 'unico modo per opporsi ed ottenere l 'udienza pubblica nel conseguente giudizio con contraddittorio e di dover risentire in esso il pregiudizio condizionante della precedente decisione negativa. Dal labirinto di tali paradossi si puo' e si deve uscire, a parere del giudice remittente, reinserendo a pieno titolo il giudizio di riabilitazione nel novero delle materie trattate con il procedimento pleno iure ex articoli 666 e 678, comma 1 del codice di procedura penale. 2) Dal punto di vista del difensore. Il rito de plano sacrifica il diritto del difensore di esercitare ab origine il suo munus difensivo nella immediatezza ed oralita' del contraddittorio, di fronte al giudice ed all'altra parte processuale, nella deduzione dei mezzi di prova, nella loro assunzione in udienza e nella esposizione oratoria delle ragioni tecnico-giuridiche e di merito sostanziale, personali, familiari e sociali, a sostegno e suffragio dell'istanza di riabilitazione. 3) Dal punto di vista della parte pubblica. Premesso che il pubblico ministero, in quanto «parte imparziale» nell'interesse della legge, agisce sia a tutela degli interessi della collettivita', sia a favore del soggetto riabilitando, ove ricorrano presupposti del beneficio invocato, risulta evidente che il rito de plano impedisce alla parte pubblica di contribuire fin dall'inizio all'attivita' istruttoria, di partecipare all'udienza ed alla formazione della prova, di influire direttamente sul convincimento del giudice e di non vedersi costretta all'alternativa tra l'opposizione strumentale e l'avallo cieco di decisioni preconfezionate, con il rischio, frequente nella prassi, di una sostanziale rinunzia alla funzione di controllo. In tale contesto occorre, invece, riaffermare il fondamentale ruolo del pubblico ministero nel giudizio di riabilitazione, sia come advocatus diaboli per scongiurare le «cattive» riabilitazioni, sia come amicus curiae per favorire le riabilitazioni «meritevoli», ruolo che il rito de plano compromette gravemente. 4) Da punta di vista del giudice collegiale. Le garanzie del giusto processo, nel loro profondo significato gnoseologico ed epistemologico, si configurano come irrinunciabile metodo giudiziale, come esigenza cognitiva del giudice che deve poter disporre di un quadro informativo completo e di un corredo probatorio comprensivo delle prove costituite e costituende, dell'esame personologico diretto del soggetto interessato e degli apporti conoscitivi di tutti gli attori processuali, nella pienezza del contraddittorio giudiziale. Si aggiunga che l'udienza che ospita e governa tale contraddittorio, oltre ad una fondamentale funzione conoscitiva, riveste, altresi', una funzione orientativa delle condotte, ove si rifletta circa la natura della giurisdizione rieducativa in quanto esercitata rebus sic stantibus, avente oggetto mobile, in cui i rapporti sottesi alla regiudicanda sono in continua evoluzione. Si consideri, altresi', l'irragionevolezza e la disfunzionalita' di un sistema di contraddittorio differito ed eventuale che subordina il giudizio con cognitio plena all'iniziativa delle parti, dimenticando che il beneficio, la sua concessione ricorrendone i presupposti o il suo diniego in difetto di essi, corrisponde ad interessi pubblici che trascendono la sfera di disponibilita' delle parti processuali, perfino di quella pubblica, il che spiega, tra l'altro, la ragione fondamentalissima che sta alla base della regola aurea della procedibilita' ex officio nei giudizi di competenza della Magistratura di sorveglianza! Invero, il giudizio di riabilitazione non e' un procedimento «unilaterale» nell'esclusivo interesse del riabilitando ed il carattere indisponibile degli interessi ivi coinvolti si puo' apprezzare, tangibilmente, esaminando casi pratici, tratti dall'esperienza giurisprudenziale, aventi valore paradigmatico. Si pensi alla concessione con rito de plano della riabilitazione in favore dell'autore di un reato di molestie sessuali di modesta entita', in base alle risultanze cartolari attestanti la buona condotta intesa come assenza di procedimenti penali pendenti e di rilievi negativi (criterio decisori o frequente nelle prassi giudiziarie lassiste), senza aver guardato in faccia il soggetto interessato e senza avere con lui intrattenuto un dialogo processuale, che in realta' si rivela un pericoloso stalker pedofilo nient'affatto ravveduto, come sarebbe invece emerso da un esame approfondito nel contraddittorio processuale, il quale, grazie alla riabilitazione coperta dal giudicato conseguente alla mancata opposizione, ripulisce la sua fedina penale e viene assunto come baby sitter da ignari datori di lavoro, pur guardinghi nel richiedere il suo certificato penale, i quali finiscono con affidargli la cura e la custodia dei propri figli minorenni. Si pensi al caso opposto di un soggetto autore seriale di gravi reati di rapine ed estorsione, autenticamente ravveduto e desideroso di reinserimento sociale, con l'urgenza della riabilitazione per accedere ad un posto di lavoro, cui l'istanza viene respinta con rito de plano per difetto dell'attivita' risarcitoria, attivita' che nell'udienza in camera di «consiglio» avrebbe potuto orientarsi nei modi giusti e nei tempi utili, sollecitando ad esempio il rilascio di dichiarazioni liberatorie delle parti offese o limitando il quantum risarcibile secondo le concrete possibilita' economiche del soggetto, il quale, a seguito del rigetto, perde l'opportunita' lavorativa, cade in grave depressione e sfoga la rabbia e la disperazione in gesti autolesionistici e in manifestazioni eteroaggressive, ricadendo nella spirale della violenza e del crimine. In entrambi i casi il rito de plan, per motivi diversi, partorisce esiti potenzialmente criminogeni, laddove, in presenza di un quadro informativo completo, garantito dal contraddittorio iniziale e necessario e non eventuale e differito, la riabilitazione ab ovo non si sarebbe concessa nel primo caso e si sarebbe, invece, concessa nel secondo. Nel caso specifico, che ha originato il presente giudizio, il condannato istante esibisce un curriculum criminale costellato da reati di non particolare gravita' e, tuttavia, caratterizzato da recidiva specifica reiterata, e prospetta, nell'arco degli otto anni decorrenti dall'estinzione delle pene principali, di aver tenuto buona condotta, lavorando come pastore e pagando le spese di giustizia. In realta', dietro il paravento delle risultanze cartolari del fascicolo e della loro ambivalenza o ambiguita', possono prefigurarsi scenari diversi, personali, familiari e sociali, civili o criminali, che soltanto il pieno contraddittorio processuale puo' disvelare, scandagliare e approfondire nei molteplici aspetti rilevanti ai fini della riabilitazione. In simili casi, concedere o negare la riabilitazione, che e' beneficio apicale, senza gli apporti conoscitivi della parti processuali e dell'interessato nella pienezza del contraddittorio; significa concedere o negare «al buio», in base ad apparenze o, persino, ad evidenze cartolari che possono poi rivelarsi ingannevoli ed esser contraddette dalla realta' dei fatti. Si osservi, infine, che il rito de plano, escludendo la presenza personale del riabilitando, svuota la collegialita' mista e multidisciplinare, vanifica il ruolo dei giudici esperti, che abbisognano dell'osservazione viva del processo inter praesentes per esercitare le loro competenze specialistiche, e induce nella prassi giudiziaria una monocratizzazione di fatto con sostanziale concentrazione del reale potere decisionale in capo al giudice relatore. 5) Dal punto di vista del popolo sovrano. Come visto in precedenza, il rito de plano e' strutturalmente inidoneo a garantire il controllo del popolo sovrano, nel cui nome e' amministrata la giustizia, in ordine alla trasparenza, obiettivita', imparzialita' e qualita' delle decisioni giudiziarie in un procedimento altamente discrezionale, come quello riabilitativo, in cui sono coinvolti fondamentali e indisponibili interessi costituzionalmente rilevanti della persona e della comunita'. Non si comprendono le ragioni in virtu' delle quali l'ergastolo debba infliggersi in udienza pubblica nel processo di cognizione, l'applicazione di una misura alternativa all'ergastolano debba celebrarsi nel giudizio camerale con contraddittorio pieno ed eventuale udienza pubblica, mentre la concessione allo stesso soggetto del piu' ampio dei benefici come la riabilitazione, in quanto comporta la sua piena restitutio in integrum e rappresenta il momento apicale dell'intera vicenda penale, possa avvenire nel chiuso di una udienza camerale, con procedura de plano, in assenza dell'interessato, senza parti processuali e con esclusione radicale della possibilita' che le vittime del reato partecipino o, almeno, assistano all'udienza in cui si discute e si decide della sorte riabilitativa del reo. Se l'invocazione dell'udienza pubblica «necessaria», garantita ex lege nell'interesse generale, non rientra nei limiti del presente giudizio, la causa petendi ed il petitum di esso possono e devono focalizzarsi in ordine alla necessita' originaria del rito con contraddittorio pieno, in cui sia garantita almeno la «possibilita'» dell'udienza pubblica, a richiesta del soggetto interessato, alla stregua dei chiari e cogenti insegnamenti della giurisprudenza costituzionale.
P.Q.M Visti gli articoli 134 della Costituzione e 23 della legge n. 87/53: Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale degli articoli 667, comma 4, e 678, comma 1-bis del codice di procedura penale, in relazione al presente giudizio di riabilitazione ex articoli 178 e ss. del codice penale e 683 del codice di procedura penale, per contrasto con gli articoli 24, 27, 111 e 117 della Costituzione, nei sensi di cui in motivazione; Ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e la sospensione del giudizio in corso; Dispone che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata all'interessato, al pubblico ministero ed al Presidente del Consiglio dei ministri e sia comunicata ai Presidenti del Senato e della Camera dei deputati. Cosi' deciso in Messina, 18 dicembre 2019 Il Presidente: Mazzamuto Il magistrato di sorveglianza: Occhipinti