N. 80 ORDINANZA (Atto di promovimento) 26 novembre 2020
Ordinanza del 26 novembre 2020 del Giudice di pace di Sondrio nel procedimento civile promosso da B. A. contro Prefettura delle Provincia di Sondrio. Sanzioni amministrative - Atti contrari alla pubblica decenza - Previsione che chiunque, in un luogo pubblico o aperto o esposto al pubblico, compie atti contrari alla pubblica decenza e' soggetto alla sanzione amministrativa pecuniaria da euro 5.000 a euro 10.000 - Misura della sanzione nelle ipotesi colpose. - Codice penale, art. 726, come sostituito dall'art. 2, comma 6, del decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 8 (Disposizioni in materia di depenalizzazione, a norma dell'articolo 2, comma 2, della legge 28 aprile 2014, n. 67).(GU n.23 del 9-6-2021 )
UFFICIO DEL GIUDICE DI PACE di Sondrio Il giudice di pace dott.ssa Laura Moroni, letti gli atti del procedimento n. 687/2019 R.G., promosso dal sig. B. A., nato in ... e residente in ... (CF ...) contro Prefettura della Provincia di Sondrio, in persona del prefetto pro-tempore, domiciliato per la carica presso il Palazzo della Prefettura sito in Sondrio, via Vittorio Veneto 27, avente per oggetto l'impugnazione, ai sensi dell'art. 6, decreto legislativo n. 150/2011, dell'ordinanza - ingiunzione emessa dal Prefetto della Provincia di Sondrio, fasc. 968/2019 S.A., notificata in data 12 settembre 2019. In data 12 settembre 2019 veniva notificata al ricorrente ordinanza - ingiunzione per la somma di euro 5.000,00, piu' euro 10,65 di spese del procedimento; Tale ordinanza - ingiunzione, emessa dalla Prefettura di Sondrio, scaturisce dal verbale redatto in data con il quale il Comando stazione carabinieri di Morbegno ha contestato al sig. B. la violazione dell'art. 726 del codice penale (atti contrari alla pubblica decenza); L'art. 726 del codice penale, prima di essere modificato dal decreto legislativo n. 8/2016, cosi' recitava: «Chiunque, in un luogo pubblico o aperto o esposto al pubblico, compie atti contrari alla pubblica decenza e' punito con l'arresto fino ad un mese o con l'ammenda da euro 10,00 ad curo 206,00»; L'illecito configurato nell'art. 726 del codice penale era quindi una contravvenzione punita con pena alternativa (arresto o ammenda); Come anticipato, l'art. 2, comma 6 del decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 8 ha depenalizzato l'illecito in questione, modificando l'art. 726 del codice penale a decorrere dal 6 febbraio 2016; Pertanto, l'attuale formulazione dell'art. 726 del codice penale - a seguito delle modifiche apportate dal decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 8, e' la seguente: «Chiunque, in un luogo pubblico o aperto o esposto al pubblico, compie atti contrari alla pubblica decenza, e' soggetto alla sanzione amministrativa pecuniaria da euro 5.000,00 ad euro 10.000,00»; L'intervenuta depenalizzazione ad opera del decreto legisaltivo n. 8/2016 ha solo prima facie mutato la disciplina in melius, in quanto se e' vero che la fattispecie di cui all'art. 726 del codice penale non e' piu' prevista come reato, e' altrettanto vero che per il trasgressore viene prevista una sanzione amministrativa sensibilmente maggiore, da un minimo di euro 5.000,00 fino ad euro 10.000,00; A parere di questo giudice, l'art. 726 del codice panale, come modificato dall'art. 2, comma 6, decreto legislativo n. 8/2016, presenta profili di incostituzionalita', che verranno di seguito illustrati. 1. Il fatto. L'ordinanza ingiunzione impugnata dal sig. B. riporta la contestazione della violazione di cui all'art. 726 del codice penale, contenuta nel verbale n. ... del ... Si legge che il sig. B. «il giorno ..., alle ore 00.00 in ... - via ... veniva sorpreso ad orinare in luogo pubblico all'interno del parcheggio della discoteca «...» in prossimita' di una delle porte di emergenza, nonostante i bagni riservati al pubblico fossero correttamente funzionanti». Dalla formulazione della contestata violazione, si evince come non vi sia alcun riferimento all'elemento soggettivo del ricorrente. Invero, l'art. 3 della legge n. 689/1981 prevede che «nelle violazioni in cui e' applicabile una sanzione amministrativa, ciascuno e' responsabile della propria azione od omissione, cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa». Da tale disposizione, la giurisprudenza maggioritaria fa derivare una vera e propria presunzione relativa di colpa a carico del trasgressore: «in tema di sanzioni amministrative ai sensi della legge n. 689/1981, art. 3, per le violazioni colpite da sanzione amministrativa e' necessaria e al tempo stesso sufficiente la coscienza e volonta' della condotta attiva o omissiva, senza che occorra la concreta dimostrazione del dolo o della colpa, giacche' la norma pone una presunzione di colpa in ordine al fatto vietato in carico a colui che lo abbia commesso, riservando poi a questo l'onere di provare di aver agito senza colpa» (ex multis Cass. 13610 dell'11 giugno 2007). Considerato, quindi, che la norma pone una presunzione di colpa in capo al trasgressore e che, nel caso di specie, non si ravvisano circostanze ed elementi tali da far ritenere che il coefficiente soggettivo in capo al ricorrente fosse il dolo e, per altro verso, il sig. B non ha fornito prova di aver agito senza colpa, deve ritenersi connotata da colpa la condotta ascritta al sig. B. Il sig. B., infatti, per mera leggerezza, colto da un impellente bisogno di orinare, si risolveva a farlo nei pressi della discoteca E , senza voler, neppure in via eventuale, ledere o mettere in pericolo il bene giuridico tutelato dall'art. 726 del codice di procedura civile, ovvero la pubblica decenza, intesa come senso comune di compostezza. Il fatto ascrittogli puo', quindi, denotare una certa noncuranza, trascuratezza, leggerezza, disattenzione rispetto alle norme sociali che regolano la convivenza, ma sicuramente non la volonta' (id est il dolo) di offesa. 2. Violazione dell'art. 3 della Costituzione. Lo scrivente giudicante dubita della legittimita' costituzionale dell'art. 726 del codice penale, come modificato dall'art. 2, comma 6, decreto legislativo n. 8/2016, laddove prevede che la forbice edittale della sanzione amministrativa pecuniaria vada da euro 5.000,00 nel minimo ad euro 10.000,00 nel massimo, anche per le condotte colpose, ravvisando la violazione dell'art. 3 della Costituzione. Orbene, nel caso di specie, la sanzione comminata al sig. B. e' pari ad euro 5.000,00 e la sua condotta si appalesa e' colposa: pertanto la questione si presenta rilevante nel giudizio a quo. In particolare, l'attuale cornice edittale della sanzione amministrativa prevista nell'art. 726 del codice penale si appalesa irragionevole, irrispettosa del principio di proporzionalita' della pena (estensibile anche alle sanzioni amministrative, come verra' meglio esplicato nel prosieguo) e foriera, nella sua applicazione, di disparita' di trattamento. A questo proposito, e' doveroso confrontare la fattispecie di cui all'art. 726 del codice penale con quella prevista dall'art. 527 del codice penale, ovvero gli «atti osceni», in quanto fattispecie affine alla prima. La dottrina maggioritaria sostiene che il criterio discretivo tra le due fattispecie sia misto, qualitativo ma anche quantitativo: il concetto di decenza, infatti, racchiuderebbe le manifestazioni della vita non limitate alle sessualita', presentando carattere di maggiore ampiezza rispetto a quello di pudore, mentre il delitto di atti osceni sarebbe configurabile solo qualora il pudore sia offeso in modo giuridicamente rilevante. Recentemente, la Cassazione ha affermato che la differenza tra gli atti osceni e quelli contrari alla pubblica decenza risiede nel fatto che i primi presentano sempre una connotazione di tipo sessuale, mentre i secondi comprendono, piu' genericamente, le offese al pudore intese come conseguenze della violazione di norme etico-sociali che impongono decoro, riserbo e compostezza. In tale occasione, inoltre, a proposito del bene giuridico tutelato, i giudici hanno precisato che gli atti osceni ledono il sentimento della moralita' sessuale in maniera cosi' elevata da suscitare disprezzo e repulsione in chi vi assista, mentre, nel caso di atti contrari alla pubblica decenza, il bene giuridico si concreta con il venire meno del doveroso riserbo attinente la sfera sessuale che genera disagio, fastidio o riprovazione (Cassazione penale, sez. III, sentenza n. 30242 del 29 luglio 2011). Il criterio discretivo tra le fattispecie di cui agli articoli 527 e 726 va, quindi, individuato nel contenuto piu' specifico del delitto di atti osceni, che si richiama alla verecondia sessuale, rispetto a quel complesso di regole etico-sociali, che impongono a ciascuno di astenersi da tutto quanto possa offendere il sentimento collettivo della piu' elementare costumatezza (Cassazione, sez. III, sentenza n. 26388 dell'11 giugno 2004). Orbene, l'art. 527, primo comma, del codice penale e' stato depenalizzato dall'art. 2, comma 1, lettera a) del decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 8. Prima della intervenuta depenalizzazione, l'art. 527, comma primo del codice penale prevedeva che «chiunque in un luogo pubblico o aperto o esposto al pubblico, compie atti osceni e' punito con la reclusione da tre mesi a tre anni», punendo quindi gli atti osceni compiuti con dolo. A seguito della depenalizzazione operata dal decreto legisaltivo n. 8/2016, il primo comma dell'art. 527 del codice penale cosi' recita: «chiunque in un luogo pubblico o aperto o esposto al pubblico, compie atti osceni e' soggetto alla sanzione amministrativa pecuniaria da euro 5.000,00 ad euro 30.000,00». La sanzione amministrativa pecuniaria, da un minimo di cinquemila euro ad un massimo di trentamila euro, e' tuttora applicabile alle sole ipotesi di atti osceni compiuti in forma dolosa. Infatti, e' il terzo comma dell'art. 527 del codice penale ad essere applicabile alle fattispecie colposa, per espresso disposto legislativo: «se il fatto avviene per colpa, si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 51 ad euro 309». Gli atti osceni in forma colposa erano gia' stati depenalizzati per effetto del decreto legislativo n. 507/1999. A parere dello scrivente giudicante, e' evidente la lesione del principio di proporzionalita' della sanzione e, dunque, dell'art. 3 della Costituzione. Il legislatore, infatti, intervenendo con il decreto legislativo n. 8/2016 sia sull'art. 527 del codice penale, primo comma (atti osceni dolosi), sia sull'art. 726 del codice penale (atti contrari alla pubblica decenza), ha previsto, nell'ipotesi di cui al primo comma dell'art. 527 (atti osceni commessi con dolo) una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 5.000,00 ad euro 30.000,00, mentre, nell'ipotesi di cui all'art. 726 del codice penale (atti contrari alla pubblica decenza, commessi sia con dolo sia con colpa) ha introdotto una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 5.000,00 ad euro 10.000,00. A questo proposito, si evidenzia come la sanzione amministrativa da euro 5.000,00 ad euro 30.000,00 introdotta al primo comma dell'art. 527 del codice penale riguardi soltanto gli atti osceni commessi con dolo; nel caso di atti osceni colposi, invece, la cornice edittale della sanzione amministrativa e' (rimasta) molto piu' bassa, ovvero da euro 51,00 ad euro 309,00. Nel caso degli atti contrari alla pubblica decenza, invece, il legislatore ha previsto, sia per le ipotesi dolose, sia per quelle colpose, un'unica cornice edittale per la sanzione amministrativa: da euro 5.000,00 ad euro 10.000,00. Tale scelta legislativa, lo si ribadisce, si appalesa violativa del principio della proporzionalita' della sanzione e quindi dell'art. 3 della Costituzione. Infatti, da cio' deriva una disparita' di trattamento in relazione al trattamento sanzionatorio, in quanto un soggetto che dovesse commettere colposamente atti osceni in luogo pubblico, rischierebbe solo una sanzione amministrativa da euro 51,00 ad euro 309,00 mentre compiendo, sempre per colpa, atti contrari alla pubblica decenza, la cornice sanzionatoria risulterebbe sensibilmente e irragionevolmente superiore: da euro 5.000,00 ad euro 10.000,00. Il vulnus inflitto dal legislatore all'art. 3 della Costituzione, sub specie di irragionevolezza e non proporzionalita' della misura della sanzione amministrativa prevista dall'art. 726 del codice penale e' massimo se si ha riguardo alla previsione di cui all'art. 3, legge n. 689/1981, per cui ciascuno e' responsabile della propria azione ed omissione, cosciente e volontaria, sia essa dolosa e colposa. Infatti, per giurisprudenza pacifica, l'art. 3, legge n. 689/1981 pone una presunzione relativa di colpa, (ex multis, Cass. sent. n. 3251 dei 10 febbraio 2009 e n. 1554 del 21 gennaio 2009), che spetta all'opponente in giudizio vincere. Pertanto, affinche' possa essere comminata una sanzione pecuniaria di (almeno) euro 5.000,00, basta che il soggetto (come il sig. B.), lungi dal volere consapevolmente offendere la pubblica decenza, colto da un impellente bisogno di orinare, si risolva a farlo in un luogo pubblico o aperto al pubblico. Nella condotta ascritta al sig. B. puo' riscontrarsi leggerezza, trascuratezza rispetto a quelle che sono le norme di convivenza sociale, giammai lucida volonta' di porre in percolo (o peggio ledere) il bene giuridico protetto dalla norma, ovvero i comuni sentimenti di compostezza e riservatezza. Fattispecie colposa connotata da una disvalore di gran lunga inferiore rispetto a chi, consapevolmente, compie atti osceni ai sensi dell'art. 527, comma primo, del codice penale, ma punita con una sanzione amministrativa ingiustificatamente elevata nell'importo specie confrontandola con il terzo comma dell'art. 527, comma terzo, del codice penale, che per gli atti osceni in forma colposa prevede una sanzione da euro 51,00 ad euro 309,00. Il legislatore ha creato una irragionevole disparita' di trattamento tra chi compie atti contrari alla pubblica decenza in forma colposa (726 del codice penale) e il soggetto che commette colposamente atti osceni, per cui e' prevista una ben piu' modesta sanzione amministrativa (art. 527, terzo comma del codice penale). In merito al sindacato sulla proporzionalita' della sanzione amministrativa che la Corte costituzionale puo' svolgere, si richiama Corte costituzionale n. 115/2019, in cui la Corte ha affermato che «possono essere infatti estesi alla materia delle sanzioni amministrative gli approdi della giurisprudenza costituzionale in tema di ampiezza e di limiti degli interventi di questa Corte sulla misura delle sanzioni penali fissata dal legislatore. In base ad essi, se e' vero che non appartengono a questa Corte valutazioni discrezionali di dosimetria sanzionatoria, di esclusiva pertinenza del legislatore, spettando alla rappresentanza politica il compito di individuare il grado di reazione dell'ordinamento al cospetto della lesione di un determinato bene giuridico, cio' tuttavia non preclude l'intervento di questa stessa Corte laddove le scelte sanzionatorie adottate dal legislatore si siano rivelate manifestamente arbitrarie o irragionevoli e il sistema legislativo consenta l'individuazione di soluzioni, anche alternative tra loro che, per la omogeneita' che le connota rispetto alla norma censurata, siano tali da ricondurre a coerenza le scelte gia' delineate a tutela di un determinato bene giuridico, procedendo puntualmente, ove possibile, all'eliminazione di ingiustificabili incongruenze». (Corte costituzionale, sentenza 115/2019 che richiama la n. 236/2016 e 233/2018). «Perche' cio' sia possibile - aggiunge la Corte - non e' necessario che esista, nel sistema, un'unica soluzione costituzionalmente vincolata, in grado di sostituirsi a quella dichiarata illegittima, come quella prevista per una norma avente identica struttura e ratio, idonea ad essere assunta come tertium comparationis, essendo sufficiente che il sistema nel suo complesso offra alla Corte precisi punti di riferimento e soluzioni gia' esistenti (sentenza n. 236/2016), ancorche' non costituzionalmente obbligate, che possano sostituirsi alla previsione sanzionatone dichiarata illegittima» (sentenza n. 115/2019 che richiama la n. 40/2019 e la n. 222/2018). Sulla scorta di tali insegnamenti, si ritiene che, nel caso di specie, l'art. 726 del codice penale debba essere dichiarato incostituzionale nella parte in cui prevede, anche per gli atti contrari alla pubblica decenza colposi, una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 5.000,00 ad euro 10.000,00, anziche' la sanzione amministrativa prevista per le ipotesi di atti osceni colposi)(art. 527, terzo comma, del codice penale) che va da euro 51,00 ad euro 309,00. 3. Sulla rilevanza e sulla non manifesta infondatezza della questione. La rilevanza presuppone un collegamento giuridico fra norma della cui costituzionalita' si dubita e la controversia all'esame del giudice. La questione si palesa rilevante nella fattispecie concreta giacche' la stessa ha una incidenza immediata e diretta sulla questione dedotta in giudizio. Infatti, posto il carattere colposo della condotta ascrivibile al sig. B., troverebbe applicazione la sanzione amministrativa di cui all'art. 726 del codice penale, la cui cornice edittale va da euro 5.000,00 ad euro 10.000,00, concretandosi la violazione dell'art. 3 della Costituzione. Quanto alla non manifesta infondatezza, essa appare evidente laddove si consideri che non vi e' spazio per procedere ad una interpretazione cosiddetta adeguatrice della norma censurata, visto e considerato che ad essere illegittima costituzionalmente e' la cornice sanzionatoria predisposta dal legislatore per l'illecito e, sotto altro profilo, lo scrivente giudicante non puo' sottrarsi alla disposizione di legge procedendo alla semplice disapplicazione della norma reputata illegittima.
P. Q. M. Visto l'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 726 del codice penale, come modificato dall'art. 2, comma 6, del decreto legislativo n. 8/2016, in riferimento alla violazione dell'art. 3 della Costituzione, per le ragioni sopra indicate e nei seguenti termini: 1) nella parte in cui prevede una sanzione amministrativa da euro 5.000,00 a euro 10.000,00, anziche' una sanzione amministrativa da euro 51,00 ad euro 309,00; Sospende il giudizio in corso e dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, unitamente all'attestazione di avvenuta notificazione della presente ordinanza agli organi di seguito indicati; Dispone che la presente ordinanza, di cui e' stata data lettura in pubblica udienza, sia notificata a cura della cancelleria al Presidente del Consiglio dei ministri e sia comunicata anche ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Sondrio, 26 novembre 2020 Il giudice di pace: Moroni