N. 81 ORDINANZA (Atto di promovimento) 12 aprile 2021
Ordinanza del 12 aprile 2021 del Magistrato di sorveglianza di Padova nel procedimento di sorveglianza nei confronti di C. M.. Ordinamento penitenziario - Permessi premio - Prevista concessione ai condannati per uno dei delitti di cui all'art. 4-bis, comma 1, della legge n. 354 del 1975 la cui collaborazione risulti impossibile o inesigibile, ove accertata l'assenza di collegamenti con la criminalita' organizzata. - Legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della liberta'), art. 4-bis, comma 1-bis.(GU n.23 del 9-6-2021 )
UFFICIO DI SORVEGLIANZA DI PADOVA Il Magistrato di sorveglianza dott.ssa Tecla Cesaro, lette le istanze con cui C. M., nato a ... il ... , detenuto presso la Casa di reclusione di ..., in espiazione della pena di cui alla sentenza della Corte d'assise d'appello di Venezia del 21 febbraio 2014 (inizio pena: 14 aprile 2011; fine pena: 30 dicembre 2022) chiede la concessione del beneficio del permesso premio; Ha pronunciato la seguente ordinanza. Il sig. C. M. in epigrafe generalizzato, con istanza da ultimo presentata in data 29 giugno 2020 ha chiesto al Magistrato di sorveglianza di poter fruire del beneficio del permesso premio ai sensi dell'art. 30-ter o.p. ai fini di poter incontrare i due figli minori, attualmente residenti con la madre in Germania. L'istante sta espiando la pena di anni 14 e giorni 20 di reclusione in relazione ad una condanna per reati di cui all'art. 4-bis, comma 1, legge 26 luglio 1975, n. 354 (di seguito «o.p.»): associazione di stampo mafioso, sequestro di persona a scopo di estorsione, usura ed estorsione (tutti reati aggravati dall'art. 7, legge n. 203/1991). I fatti riguardano un'associazione a delinquere di stampo mafioso costituita da soggetti provenienti dall'area del casertano e della Campania, e da personaggi che operavano nella zona di Padova, dediti ad attivita' di usura, che si incaricavano di porre in essere attivita' di recupero crediti anche con modalita' estorsive. in particolare, tra il 2009 e il 2011, i componenti dell'associazione, qualificandosi come appartenenti al cosiddetto "...", hanno conseguito profitti coartando la volonta' degli imprenditori in crisi finanziaria, riscuotendo dagli stessi tassi usurari e facendo ricorso ad esplicita violenza. Il C., inoltre, si e' reso responsabile di un grave episodio di sequestro di persona a scopo di estorsione aggravato dal metodo mafioso ai danni di B. M. e del figlio A. (per il quale ha riportato una pena di anni 8 mesi 10 giorni 20). Tanto premesso, va evidenziato che l'istanza presentata dal sig. C. e' temporalmente ammissibile avendo il detenuto espiato ben oltre meta' della pena di tutti i reati (la recidiva reiterata infatti non opera essendo stata ritenuta subvalente rispetto alle attenuanti generiche: cfr. Cassazione, sez. I, 13 dicembre 2011, n. 3358). Nel dettaglio, il detenuto, tenendo conto dell'inizio pena in data 14 aprile 2011 e degli 855 giorni di liberazione anticipata ha, invero, espiato ben oltre meta' della pena per il reato di cui all'art. 630 c.p. (1) oltre che la pena per il reato di cui all'art. 416-bis o.p. (2) . Va peraltro evidenziato che, ad eccezione di un unico e del tutto occasionale rilievo disciplinare del 13 gennaio 2021 per atteggiamento offensivo 2021 (sanzionato con 10 giorni di esclusione dalle attivita' ricreative e sportive per aver serbato un atteggiamento arrogante e offensivo nei confronti del personale di polizia penitenziaria, fatto per il quale l'interessato si e' assunto, nell'immediatezza, la propria responsabilita' ed ha presentato le proprie scuse), il percorso carcerario nel corso del lungo periodo di detenzione e' sempre stato regolare e partecipativo alle attivita' trattamentali, risultandosi cosi' integrato il requisito della meritevolezza. Essendo in espiazione reati ex art. 4-bis o.p., osserva il Magistrato che si pone il problema di valutare il profilo della pericolosita' del C. - persona che, secondo la nota 24 giugno 2020 della Prefettura di ..., Ufficio ordine e sicurezza pubblica, «ha rivestito un ruolo dirigenziale all'interno del sodalizio, subordinato solamente a M. C.; ha costituito l'alter ego del capo e in caso di sua assenza si e' occupato direttamente in prima persona sia nella gestione complessiva delle riscossioni del ratei usurari sia soprattutto della attuazione delle minacce e delle violenze ai danni delle vittime» - unicamente in relazione all'assenza di collegamenti con la criminalita' organizzata avendo il C. visto accertata (successivamente alla pronuncia della sentenza costituzionale n. 253 del 2019) l'impossibilita' di una collaborazione con la giustizia ex art. 4-bis comma 1-bis o.p. in relazione al reato di sequestro di persona a scopo di estorsione. Sul punto va evidenziato che se con una prima ordinanza del 24 maggio 2017 il Tribunale di sorveglianza di Venezia aveva rigettato l'istanza di collaborazione impossibile in relazione al reato associativo evidenziando che, nonostante la posizione verticistica ricoperta in seno al clan, C. aveva sempre minimizzato il suo ruolo, non fornendo indicazioni sulle sue conoscenze del traffico di droga svolto dal gruppo in Campania e degli appartenenti al ... in contatto con lui, con la successiva ordinanza del 19 febbraio 2020 il Tribunale di sorveglianza Venezia dato atto che il C. aveva gia' espiato la porzione di pena riferibile al reato associativo, riconosceva la collaborazione: impossibile con riferimento al reato di sequestro di persona a scopo di estorsione la cui porzione di pena era ancora in esecuzione. L'ordinanza in parola e' divenuta definitiva in data 3 dicembre 2020 a seguito di declaratoria di inammissibilita' del ricorso per cassazione presentato dalla Procura generale presso la Corte d'appello di Venezia che sosteneva non esservi interesse alla decisione in seguito alla sentenza n. 253/2020 della Corte costituzionale. Piu' precisamente, con ordinanza n. 17496/2020 la Corte di cassazione, dando continuita' alle piu' recenti pronunce di legittimita', ha evidenziato che la sentenza n. 253/2020 della Corte costituzionale, introducendo una presunzione relativa di pericolosita' e regole probatorie finalizzate ad escludere non solo la attualita' di collegamenti con la criminalita' organizzata ma anche il pericolo di ripristino di siffatti collegamenti, «non riguarda le disposizioni in tema di collaborazione impossibile che restano vigenti nella loro distinta portata precettiva, sia in ragione della diversita' parziale delle regole dimostrative della assenza di pericolosita', sia in ragione della differenza ontologica che riveste l'accertamento in positivo della impossibilita' della collaborazione». Secondo l'orientamento che appare ormai consolidato della suprema Corte di cassazione, sposato anche nel caso di specie e da ritenere per questo Magistrato «diritto vivente», si giustificano due regimi di valutazione della pericolosita' dei condannati per reati ex art. 4-bis o.p. che non abbiano collaborato con la giustizia. A fronte della possibilita' generale introdotta dalla Corte costituzionale per il condannato ex art. 4-bis o.p. di accedere al permesso premio previa verifica della assenza di collegamenti con la criminalita' organizzata e del pericolo di ripristino, per i collaboranti «impossibili» o «inesigibili» il Magistrato si dovrebbe limitare a valutare la sola sussistenza di rapporti attuali con il contesto malavitoso come prescritto dall'art. 4-bis, comma 1-bis, o.p., senza estendere la verifica all'aspetto prognostico tipico della valutazione di pericolosita', ossia alla verifica del pericolo di ripristino di collegamenti con la criminalita' organizzata come invece previsto dall'art. 4-bis, comma 1, o.p. per tutti gli altri condannati che non abbiano collaborato con la giustizia (motivo per il quale persisterebbe l'interesse all'accertamento della collaborazione impossibile o inesigibile, come affermato del resto proprio nel caso in esame). Questo Magistrato ritiene che l'art. 4-bis, comma 1-bis, o.p., interpretato nel senso che - anche dopo la pronuncia della Corte costituzionale n. 253 del 2019 - sia consentito ai condannati non collaboranti di accedere alla collaborazione impossibile o inesigibile per vedere valutati i permessi premio con il diversificato regime di valutazione della pericolosita', si traduca in una norma penale irragionevole e pertanto contrastante con l'art. 3 della Costituzione; Ma prima ancora, questo Magistrato ritiene che la differenziazione del regime di valutazione della pericolosita' nei casi di collaborazione impossibile o inesigibile, rispetto alle ipotesi riguardanti condannati non collaboranti, nei termini sopra esposti (3) , sia irragionevole per entrambe le categorie e si risolva in lettura non costituzionalmente orientata del disposto introdotto dalla Corte costituzionale con sentenza n. 253 del 2019. Ne deriva, peraltro, una irragionevole limitazione per il giudice di sorveglianza, impossibilitato ad effettuare una valutazione individualizzata e concreta della pericolosita' del singolo condannato che, per qualsiasi voglia ragione, non collabori con la giustizia. Infatti, si ritiene che la valutazione giurisdizionale, per essere conforme al noto principio di individualizzazione della fase esecutiva della pena (art. 27, comma 3, Cost.), debba essere parametrata anche all'effettivo spessore criminale del singolo detenuto. Discostandosi da questi principi, l'attuale regime introdotto dal diritto vivente e come esplicitato, tra le altre, nella sentenza della Corte di cassazione n. 5553 del 2020 differenzia tra: detenuti per cui sussista un margine di utile collaborazione con la giustizia, in relazione ai quali si richiedono rafforzati oneri di allegazione e di prova correlati all'«assenza di un pericolo di ripristino di collegamenti» che viene interpretato come requisito autonomo e aggiuntivo rispetto a quello dell'«assenza di collegamenti attuali con la criminalita' organizzata» di cui all'art. 4-bis, comma 1-bis o.p., peraltro di difficile concretizzazione pratica: «...li' dove vi sia l'opzione del silenzio la dimostrazione probatoria e' - come si e' notato - piu' complessa ed include il parametro aggiuntivo (sia pure di problematica aderenza a canoni epistemiologici basati sulla materialita' dell'oggetto della prova), della assenza del pericolo di ripristino di tali collegamenti» (cosi' la Corte di legittimita' nella sentenza citata); detenuti che, pur silenti, abbiano visto accertata la impossibilita' o inesigibilita' della collaborazione in relazione ai quali si ritiene sufficiente la prova dell'«assenza di collegamenti attuali con la criminalita' organizzata» (senza necessita' di valutare il pericolo di ripristino dei collegamenti e senza tener conto dell'effettivo spessore criminale rivestito dal condannato nonche' dell'atteggiamento soggettivo manifestato). Di seguito, pertanto, verranno illustrati i passaggi argomentativi che conducono a ritenere rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' dell'art. 4-bis, comma 1-bis, o.p. cosi' come interpretato dall'orientamento prevalente della Corte di cassazione, per contrasto con gli articoli 3 e 27, comma 3, Cost. La genesi della collaborazione c.d. impossibile. Come e' noto, l'art. 4-bis, comma 1, o.p., come modificato dall'art. 15 del decreto-legge n. 306 del 1992, prevede come regola, per i condannati di reati di criminalita' organizzata, che l'accesso ai benefici penitenziari (tra i quali, fino alla pronuncia della Corte costituzionale, anche i permessi premio) sia condizionato al fatto che il condannato abbia collaborato attivamente con l'autorita' giudiziaria a norma dell'art. 58-ter o.p. La norma pone una preclusione assoluta nel presupposto che «e' solo la scelta collaborativa ad esprimere con certezza quella volonta' di emenda che l'intero ordinamento penale deve tendere a realizzare». L'art. 4-bis, comma 1-bis, o.p. consente, peraltro, l'accesso ai benefici nelle ipotesi di collaborazione inesigibile per la limitata partecipazione del condannato al fatto criminoso e di collaborazione impossibile per l'integrale accertamento dei fatti, sempre che venga accertata l'assenza di collegamenti con la criminalita' organizzata. Con la citata disposizione normativa, il legislatore ha recepito le indicazioni del Giudice delle leggi fornite dalle sentenze 1° marzo 1995, n. 68 e 27 luglio 1994, n. 357 con cui si e' dichiarata la illegittimita' costituzionale dell'art. 4-bis o.p. nella parte in cui non consentiva al condannato di accedere ai benefici penitenziari nelle ipotesi in cui non vi fosse margine per un'utile collaborazione con la giustizia. Tale evenienza, in particolare, si verifica nelle ipotesi in cui la sentenza di merito abbia garantito una piena ricostruzione fattuale della vicenda criminosa oppure nei casi in cui il patrimonio conoscitivo del condannato non gli consenta di collaborare. La ratio della disposizione, ben manifestata nella stessa sentenza n. 68/1995 della Corte costituzionale, e' quella di evitare di frustrare inutilmente il precetto sancito dall'art. 27 della Costituzione richiedendo come presupposto, per l'applicazione di istituti funzionali alla rieducazione del condannato, un comportamento che obiettivamente non puo' essere prestato (ad impossibilia nemo tenetur). In queste ipotesi, peraltro, la concessione del beneficio e' subordinata alla acquisizione, da parte del Giudice investito della richiesta dell'istituto premiale, di elementi indicativi della assenza di un collegamento con la criminalita' organizzata sulla base di una presunzione di permanenza della pericolosita'; ne consegue un meccanismo di inversione dell'onere della prova che richiede al detenuto, in caso di informazioni di polizia che non diano conto di elementi positivi di distacco dall'ambiente criminale di provenienza, di dimostrare la insussistenza di collegamenti con la criminalita' organizzata. Gli orientamenti post sentenza n. 253 del 2019. Com'e' noto, con sentenza n. 253 del 2019 la Corte costituzionale ha dichiarato che il sistema delineato dagli articoli 4-bis, comma 1, e 58-ter o.p. e' costituzionalmente illegittimo nella parte in cui si non prevede che, ai detenuti per i delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall'art. 416-bis codice penale ovvero al fine di agevolare l'attivita' delle associazioni in esso previste, possano essere concessi permessi premio anche in assenza di collaborazione con la giustizia, allorche' siano stati acquisiti elementi tali da escludere sia l'attualita' di collegamenti con la criminalita' organizzata sia il pericolo del ripristino di tali legami malavitosi. Ne deriva che la condanna per taluno dei reati contemplati dalla citata disposizione dell'ordinamento penitenziario consente di fondare una mera presunzione relativa, di tal che il Giudice puo' considerare altri elementi rilevanti, in concreto, per la concessione dei permessi premio. Mentre l'ammissione al lavoro all'esterno e l'accesso alle misure alternative alla detenzione e' possibile solo se il condannato collabori utilmente con la giustizia (salve le ipotesi di collaborazione impossibile o inesigibile quali eccezioni alla regola generale), con riferimento ai permessi premio la regola generale e', oggi, quella per cui l'accesso ai medesimi e' consentito a prescindere dal fatto che vi sia stato accertamento della collaborazione attiva, ferma restando la necessita' di una verifica . della assenza di collegamenti con la criminalita' organizzata e del pericolo del loro ripristino. Quanto alla problematica della sopravvivenza della disciplina della collaborazione impossibile o irrilevante, di cui al comma 1-bis dell'art. 4-bis o.p., a seguito della richiamata pronuncia del Giudice delle leggi, l'ormai consolidato indirizzo giurisprudenziale della Corte di cassazione ritiene che le disposizioni in materia di collaborazione impossibile continuano comunque ad applicarsi «sia in ragione della diversita' parziale delle regole dimostrative della assenza di pericolosita', sia in ragione di una percepibile differenza ontologica tra le ipotesi dei collaboranti che scelgono di non collaborare (comma 1) e coloro che invece non possono farlo (comma 1-bis)» (Cass., sez. I, 28 gennaio 2020, n. 5553, Grasso; cfr., nello stesso senso, Cassazione, sez. I, 24 settembre 2020, n. 31025, Vigerelli; Cassazione, sez. I, 14 settembre 2020, n. 31017, Rotondale; Cassazione, sez. I, 14 settembre 2020, n. 29151, Maccarrone). A fronte della regola generale per cui il condannato puo' accedere ai permessi premio previa verifica della assenza di collegamenti attuali e del pericolo di ripristino, la Corte di legittimita' ritiene giustificato l'interesse del detenuto a ottenere l'accertamento della collaborazione impossibile in ragione della «diversita' parziale delle regole dimostrative dell'assenza di pericolosita'». Infatti, nel caso di accertamento dell'inesigibilita'/impossibilita' della collaborazione, il condannato puo' beneficiare di un'attenuazione del rigore previsto sia per l'oggetto della prova (assenza di collegamenti attuali senza necessita' di vagliare il pericolo di ripristino), sia per il regime probatorio (rafforzato nel caso dell'art. 4-bis, comma 1, o.p. in quanto esteso all'onere di fornire veri e propri elementi di prova a sostegno dell'assenza di collegamenti e pericolo di ripristino, se le informazioni pervenute dal comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica depongano in senso negativo). Il tutto a fronte di «una percepibile differenza ontologica, posto che l'accertamento in positivo della impossibilita' o inesigibilita' della collaborazione consente di qualificare in termini univoci la scelta del detenuto di non fornire informazioni all'autorita' giudiziaria» (Cass. 10551/2020). Si dice: un conto e' la posizione di «chi puo' collaborare ma soggettivamente non vuole (silente per sua scelta), un conto e' la posizione di chi vuole collaborare ma oggettivamente non puo' (silente suo malgrado)». Sulla non manifesta infondatezza dei dubbi di legittimita' costituzionale della disposizione normativa in esame dopo la sentenza n. 253 del 2019 (4) Come sopra evidenziato, la Corte di cassazione, dichiarando inammissibile il ricorso proposto dalla Procura generale presso la Corte d'appello di Venezia, ha imposto a questo Giudice di interpretare l'art. 4-bis o.p., cosi' come rivisto alla luce della sentenza n. 253 del 2019, nel senso di dare continuita' alla portata precettava della collaborazione impossibile e di applicare il regime probatorio «rafforzato» di cui al primo comma dell'art. 4-bis o.p. ai soli condannati che, pur potendo collaborare, scelgono di non farlo. Tale conclusione non pare ragionevole in quanto, come gia' evidenziato, non si ravvede una base argomentativa razionale per una differenziazione nella valutazione della pericolosita' e quindi per escludere un regime probatorio unitario che consenta al magistrato di sorveglianza una individualizzazione del vaglio di pericolosita' sia con riferimento ai condannati per reati di cui all'art. 4-bis o.p. non collaboranti sia con riguardo ai condannati appartenenti alla categoria dei collaboranti c.d. «impossibili» o «inesigibili». Occorre evidenziare, infatti, che l'accertamento della collaborazione impossibile nulla esprime in merito all'atteggiamento soggettivo del singolo condannato (effettiva volonta' di collaborare, da escludersi nel caso di condannato non resipiscente e non penitente, come nel caso in esame) e, piu' in generale, al profilo di pericolosita' concreta del singolo condannato in relazione alla posizione apicale o marginale rivestita all'interno della organizzazione criminale (si veda, in questi termini, la gia' richiamata Cassazione, sez. I, 23 gennaio 2017, n. 3263). Ed e' proprio per tale ragione che non vi e' alcuna ragione per escludere il «collaboratore impossibile» (in particolare quello che continui a tenere un atteggiamento non penitente e che abbia rivestito nell'organizzazione criminale un ruolo apicale, come nel caso in esame) dal meccanismo probatorio delineato dalla Corte costituzionale per quanti mantengano il silenzio c.d. qualificato, interpretato nel senso che si andra' ad evidenziare. Se e' ragionevole ipotizzare una presunzione di collegamento con la criminalita' organizzata nei confronti di chi, pur potendo parlare, tace non e' altrettanto ragionevole ritenere escluso o affievolito siffatto collegamento per il solo fatto che l'interessato sia stato destinatario di una sentenza che abbia consentito l'integrale accertamento dei fatti di reato posti a fondamento della pronuncia di condanna passata in giudicato. Cio', si ribadisce, vale a maggior ragione per quelle ipotesi in cui il condannato non abbia mai collaborato con la giustizia ed abbia, al contempo, dimostrato la volonta' di non collaborare (come nel caso di negazione dei fatti di reato). In conclusione, l'argomentazione su cui si fonda la differenziazione del regime della pericolosita' «l'accertamento in positivo della impossibilita' o inesigibilita' della collaborazione consente di qualificare in termini univoci la scelta del detenuto di non fornire informazioni all'autorita' giudiziaria» non ha fondamento se si considera che, come gia' evidenziato, rimane estraneo alla verifica dell'accertamento della collaborazione impossibile (oltre che inesigibile) qualsivoglia verifica sull'atteggiamento soggettivo del detenuto e, in particolare, sulla circostanza che egli voglia effettivamente collaborare, rilevando unicamente il solo dato oggettivo dell'impossibilita' della collaborazione. Anzi, puo' capitare che l'atteggiamento soggettivo delle due diverse figure di non collaboranti sia identico, perche' anche chi si vede accertata la collaborazione impossibile puo' non voler collaborare (come nel caso di specie). Ed invero, appare piu' corretto l'orientamento di alcune sentenze che evidenziano come, in questi casi, il silenzio sia neutro, nel senso che non e' dato sapere se il detenuto voglia o meno collaborare. E, allora, se e' possibile che il detenuto abbia la volonta' di collaborare ma non sia in grado di farlo perche' la sentenza ha operato una completa ricostruzione della vicenda criminosa o, comunque, il suo patrimonio di conoscenze e' limitato, appare altrettanto possibile che egli non abbia mai voluto collaborare e continui a non volerlo fare. L'orientamento in esame, dunque, porterebbe a valutare diversamente, sotto il profilo della pericolosita', due situazioni affini rappresentate da detenuti che - pure portatori di analoga caratura criminale - mai hanno espresso la volonta' di collaborare. Non e' da escludere, infatti, che un detenuto di elevatissima caratura criminale che non abbia mai espresso alcuna volonta' di collaborare possa vedersi riconosciuta la collaborazione impossibile, a differenza di un condannato di spessore criminale piu' modesto. Per contro, una valutazione in concreto potrebbe rivelare addirittura una minore pericolosita' del soggetto che sceglie di non collaborare pur potendolo fare (ad esempio perche' mosso dai timori per la propria e l'altrui incolumita'), rispetto a quello che si trova nell'impossibilita' di farlo ma che non lo avrebbe comunque fatto (perche' si e' sempre rifiutato di farlo senza manifestare alcun atteggiamento di distacco da logiche associative e magari rivestendo all'interno dell'associazione criminosa un ruolo apicale). In definitiva, non pare giustificarsi l'instaurazione del procedimento volto all'accertamento della collaborazione impossibile o inesigibile finalizzato, ora e per quanto riguarda i permessi premio, ad una valutazione processualmente differenziata - e, nei termini esposti piu' favorevole - dell'elemento della pericolosita' criminale del singolo. L'illustrato regime differenziato contrasta, inoltre, con il principio di individualizzazione della risposta sanzionatoria previsto dal terzo comma dell'art. 27 Cost., che deve accompagnare il detenuto anche durante la fase di esecuzione della condanna divenuta oramai definitiva. In questo senso, e' necessario che le valutazioni esprimibili dalla magistratura di sorveglianza siano in grado di valorizzare le specificita' di ogni singolo detenuto, senza aprioristici ed astratti automatismi normativi. Invero, gia' il primo comma dell'art. 13 o.p. stabilisce che «Il trattamento penitenziario deve rispondere ai particolari bisogni della personalita' di ciascun soggetto», con cio' esprimendo la necessita' di valorizzare ogni elemento della struttura personologica del condannato e consentendo (anche) ai magistrati di sorveglianza di adeguare gli istituti predisposti dall'ordinamento penitenziario alle specifiche esigenze trattamentali dei singoli condannati. Per tali ragioni, si ritiene l'eliminazione del regime differenziato imposto dal diritto vivente restituira' al magistrato di sorveglianza, nei confronti di tutti i condannati per reati ex art. 4-bis, comma 1, o.p. che intendano accedere al beneficio del permesso premio, il potere di effettuare una valutazione individualizzata della personalita', e quindi anche della pericolosita', del singolo detenuto istante. Soluzione alternativa rinvenibile nel sistema e impraticabilita' di una interpretazione conforme. Ritiene il Magistrato che sia possibile rinvenire nel sistema una soluzione alternativa rispettosa dei parametri della costituzione, come peraltro evidenziato da autorevole dottrina. Avuto riguardo al gia' descritto scopo della disciplina contenuta nel comma 1-bis dell'art. 4-bis o.p. (contenere le ipotesi di presunzione assoluta di pericolosita' sociale in assenza di collaborazione utile), e' ragionevole ritenere che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 253, abbia inteso estendere a tutte le ipotesi di condannati non collaboranti il regime probatorio in precedenza esistente nel nostro ordinamento, senza voler introdurre - come invece sostiene il piu' recente indirizzo della giurisprudenza di legittimita' - una pluralita' di regimi probatori volti alla dimostrazione della sopravvenuta recisione dei legami con gli ambienti associativi di appartenenza, con conseguente abrogazione implicita in parte qua delle disposizioni in tema di collaborazione impossibile o inesigibile (che restano vigenti e continuano ad avere una portata percettiva originaria con riferimento ai benefici diversi dal permesso premio). A ben vedere, dalle stesse motivazioni della Corte costituzionale, si ricava che per la concessione dei permessi premio ai condannati non collaboranti viene ripristinato il regime probatorio originariamente formulato nel decreto-legge n. 152 del 1991: «... prima dell'introduzione del decisivo requisito della collaborazione con la giustizia, l'art. 1 del decreto-legge n. 152 del 1991, come convertito, gia' stabiliva, per i reati della "prima fascia" (comprendenti l'associazione di tipo mafioso, i relativi "delitti-satellite", il sequestro di persona a scopo di estorsione e l'associazione finalizzata al narcotraffico), che l'accesso a taluni benefici previsti dall'ordinamento penitenziario fosse possibile alla stregua di un parametro probatorio particolarmente elevato, cioe' solo se fossero stati acquisiti "elementi tali da escludere l'attualita' di collegamenti con la criminalita' organizzata o eversiva"; [...] In tale contesto, l'acquisizione di stringenti informazioni in merito all'eventuale attualita' di collegamenti con la criminalita' organizzata (a partire da quelli di natura economico-patrimoniale) non solo e' criterio gia' rinvenibile nell'ordinamento (sentenze n. 40 del 2019 e n. 222 del 2018) - nel caso di specie, nella stessa disposizione di cui e' questione di legittimita' costituzionale (sentenza n. 236 del 2016) - ma e' soprattutto criterio costituzionalmente necessario (sentenza n. 242 del 2019) per sostituire in parte qua la presunzione assoluta caducata, alla stregua dell'esigenza di prevenzione della "commissione di nuovi reati" (sentenze n. 211 del 2018 e n. 177 del 2009) sottesa ad ogni previsione di limiti all'ottenimento di benefici penitenziari (sentenza n. 174 del 2018)». La Corte costituzionale evidenzia che l'accostamento del requisito dell'esclusione dell'attualita' dei rapporti (gia' previsto nel comma 1-bis) all'ulteriore prova dell'esclusione del pericolo di ripristino dei collegamenti medesimi - «tenuto conto delle concrete circostanze personali e ambientali» - costituisce un «aspetto logicamente collegato al precedente, del quale condivide il carattere necessario alla luce della Costituzione, al fine di evitare che il gia' richiamato interesse alla prevenzione della commissione di nuovi reati, tutelato dallo stesso art. 4-bis ordin. penit., finisca per essere vanificato». Come pure osservato da una certa parte della dottrina, la valutazione circa l'assenza del pericolo di ripristino dei collegamenti potrebbe essere letto come la concreta declinazione, per gli autori di reati della criminalita' organizzata, del requisito dell'assenza di pericolosita' sociale, da valutare - in senso prognostico e probabilistico - ai fini della concessione del beneficio di cui all'art. 30-ter o.p. Secondo tali argomentazioni, l'assenza del pericolo del ripristino era requisito gia' valutabile dal magistrato di sorveglianza che si trovava a valutare la concedibilita' del permesso ai sensi del comma 1-bis dell'art. 4-bis o.p., anche per la considerazione logica per cui, rispetto a un condannato per reati di criminalita' organizzata di stampo mafioso che abbia trascorso un significativo periodo di detenzione carceraria, il problema principale che si pone, piu' che quello relativo alla sussistenza attuale di collegamenti con la criminalita' organizzata spesso da escludere soprattutto nei casi di condannati non sottoposti a regime ex art. 41-bis op, e' proprio quello del pericolo di ripristino dei collegamenti. Questo Magistrato ritiene che la sentenza n. 253 del 2019 della Corte costituzionale dovrebbe essere intesa nel senso di rendere applicabili le regole dimostrative della assenza di pericolosita' di cui al comma 1-bis a tutti i condannati non collaboranti, senza distinzione tra condannati che scelgono di non collaborare e condannati che non possono collaborare, con effetto abrogativo del disposto dell'art. 4-bis, comma 1-bis nella parte relativa ai permessi premio. L'interpretazione offerta e' stata seguita da un primissimo orientamento della Corte di cassazione che affermava come, a seguito della sentenza della Corte costituzionale doveva negarsi la persistenza dell'interesse alla collaborazione impossibile o inesigibile poiche' il presupposto della collaborazione impossibile o inesigibile era stato introdotto nell'ordinamento quale sorta di contraltare alla collaborazione effettiva con la giustizia nei casi in cui la stessa non fosse utilmente praticabile: «... Una volta venuta meno l'assoluta necessita' della sussistenza di quest'ultima per poter accedere al permesso premio viene a perdere giustificazione anche la prima» (sentenza n. 3309 del 2020, ric. Spampinato; nello stesso senso: Cassazione, sez. I, 13 dicembre 2019, n. 1636, Marrone; Cassazione, sez. I, 10 dicembre 2019, n. 7931, Triglia). Tuttavia, tale soluzione e' stata superata dall'orientamento contrario della perdurante vigenza di un regime differenziato tra comma 1 e comma 1-bis dell'art. 4-bis o.p. adottato da tutte le successive sentenze della Corte di cassazione sino a divenire un orientamento oramai stabilizzato. Si richiamano sul punto le sentenze della Corte di cassazione sez. V, 22 ottobre 2020, (ud. 22 ottobre 2020, dep. 21 dicembre 2020), n. 36887, Cassazione sez. I, 24 settembre 2020, (ud. 24 settembre 2020, dep. 6 novembre 2020), n. 31025, Cassazione sez. I, 22 giugno 2020, (ud. 22 gigno 2020, dep. 21 ottobre 2020), n. 29140 e n. 29141, Cassazione sez. I, 24 settembre 2020, (ud. 24 settembre 2020, dep. 21 ottobre 2020), n. 29151, Cassazione sez. I, 12 dicembre 2019, (ud. 12 dicembre 2019, dep. 23 marzo 2020), n. 10551 Cass. sez. I, 28 gennaio 2020, (ud. 28 gennaio 2020, dep. 12 febbraio 2020), n. 5553, tutte concordi nel ritenere che «il dictum della Consulta abbia eliminato il procedimento di accertamento ex art. 4-bis, comma 1-bis ord. pen. anche in relazione alla materia dei permessi premio, osservandosi come il novum portato dalla decisione costituzionale sia quello di aver introdotto una opzione decisoria aggiuntiva, rispetto a quelle gia' esistenti, e che il condannato puo' chiedere di attivare». In tal senso «la decisione della Corte costituzionale non riguarda ... le disposizioni in terna di collaborazione impossibile o inesigibile (tenute espressamente al di fuori dell'oggetto del giudizio)...». In tale quadro giurisprudenziale, univoco e solido nell'interpretazione del dettato dell'art. 4-bis o.p. come esitato dalla pronuncia della Corte costituzionale n. 253/2019, non appare praticabile una diversa interpretazione che consenta di superare i dubbi di legittimita' costituzionale gia' evidenziati. Inoltre, nel caso di specie, ogni opzione interpretativa alternativa e' preclusa dal fatto che tale orientamento e' stato recepito dalla Corte di cassazione con l'ordinanza del 3 dicembre 2020 che si e' espressa nel presente procedimento dichiarando espressamente l'inammissibilita' del reclamo della Procura generale che aveva sostenuto l'orientamento contrario citato. Per le esposte motivazioni e data l'impossibilita' di fornire un'interpretazione conforme al dato costituzionale dell'art. 4-bis o.p. per come interpretato dalla suprema Corte di cassazione (anche nel caso de quo), questo Giudice ritiene di sollevare la questione di legittimita' costituzionale con riferimento agli articoli 3 e 27, comma 3 della Costituzione nella parte in cui, ai fini della concessione del permesso premio, richiede un doppio binario, diversificando la posizione di chi esprima la scelta di non collaborare rispetto a colui che si trovi nella condizione di non poterlo fare. Sulla rilevanza della questione. Gli esposti dubbi di legittimita' costituzionale manifestano la loro rilevanza nel caso di specie posto che, secondo l'interpretazione accolta dalla Corte di cassazione in sede di dichiarazione di inammissibilita' del ricorso avanzato dalla Procura generale, questo Magistrato, investito dell'istanza di permesso premio da parte del sig. C., condannato per reati di cui all'art. 4-bis, comma 1, o.p., dovrebbe limitarsi, a fronte dell'accertamento della collaborazione impossibile operata dal Tribunale di sorveglianza di Venezia, a valutare la sussistenza di collegamenti attuali tra l'istante e la criminalita' organizzata secondo il diverso, e piu' favorevole regime delineato dall'art. 4-bis, comma 1-bis o.p. Tale conclusione esprime la propria irragionevolezza se raffrontata con l'opera valutativi che il Giudice di sorveglianza e' chiamato ad effettuare - a seguito della sentenza costituzionale n. 253 del 2019 - nei confronti della restante generalita' dei condannati non collaboranti ex art. 4-bis, comma 1 o.p., in relazione ai quali l'accesso ai permessi premio e' subordinato non solo alla verifica dell'assenza di collegamenti attuali con il crimine organizzato ma anche della mancanza di un pericolo di ripristino dei collegamenti stessi. Tale conclusione si impone nel caso di specie in quanto il sig. C., esponente di vertice dell'associazione camorristica insediatasi nel padovano, avendo espiato la quota parte di pena relativa ai restanti delitti, ha ottenuto l'accertamento della collaborazione impossibile limitatamente al delitto di sequestro a scopo di estorsione posto in essere ai danni di B. M. e del figlio A. Trattasi di reato realizzato nell'ambito delle attivita' illecite del gruppo malavitoso in relazione al quale la sentenza della Corte d'assise appello di Venezia del 21 febbraio 2014 ha accertato compiutamente, senza lasciare elementi insoluti, la specifica vicenda criminosa. Quanto all'atteggiamento del C. in merito alla sua appartenenza al gruppo di stampo mafioso, egli continua a minimizzare il suo ruolo, non fornendo indicazioni utili in relazione alle sue conoscenze in merito al traffico di droga svolto dal gruppo camorristico in Campania e all'individuazione degli appartenenti al ... che si sono posti in contatto con lui. Tanto esposto, questo Giudice ritiene che l'interpretazione della Corte di cassazione volta ad introdurre un regime probatorio differenziato sia ancor piu' irragionevole in quelle ipotesi, come quelle del caso in esame, in cui risultano in espiazione reati caratterizzati dalla stessa eguale connotazione ostativa e in cui si giustificherebbe il medesimo vaglio della sussistenza di un pericolo di ripristino di collegamenti con la criminalita' organizzata. L'interpretazione del dato normativo offerta dalla suprema Corte di cassazione nell'odierno procedimento difetta, in definitiva, di eccessiva astrattezza e finisce per creare automatismi e presunzioni processuali che, in materia di permessi premio ex art. 30-ter o.p., sono stati abbandonati dalla Corte costituzionale proprio con la citata sentenza n. 253 del 2019. Tanto esposto, infine, pare opportuno sottolineare che l'odierna questione di legittimita' e' volta solo apparentemente a richiedere una pronuncia in malam partem - in ogni caso ammissibile secondo l'insegnamento della Corte costituzionale da ultimo ribadito con la sentenza n. 236 del 2018 - nei confronti dei condannati non collaboranti. Difatti, questo Giudice ritiene che il venir meno del regime differenziato della valutazione della pericolosita' ora legittimato dall'art. 4-bis comma 1-bis o.p., restituira' al magistrato di sorveglianza, nei confronti di tutti i condannati per reati ex art. 4-bis, comma 1, o.p. che intendano accedere al permesso premio, il potere di effettuare una valutazione omogenea e individualizzata della pericolosita' del detenuto non collaborante (suo malgrado o comunque renitente), con la possibilita' di indagare anche le ragioni che hanno indotto lo stesso a scegliere il silenzio e con un metro di giudizio unitario, utilizzando un sistema valutativo non meno rispetto a quello preesistente, risalente al decreto-legge n. 152 del 1991 e che potra' intendersi operante anche per i condannati che non abbiano vista accertata la collaborazione impossibile. Si sottolinea in questo senso che la riconosciuta costituzionalita' del regime unitario consentirebbe una valutazione individualizzata volta anche perimetrare la vigente «probatio diabolica» («di problematica aderenza a canoni epistemologici basati sulla materialita' dell'oggetto della prova» cfr. Cassazione, sez. I pen, 28 gennaio 2020, n. 5553) richiesta ai fini della dimostrazione dell'assenza del pericolo di ripristino dei collegamenti con la criminalita' organizzata, cosi' come attualmente interpretato dalla suprema Corte di cassazione con riferimento ai condannati non collaboranti ex art. 4-bis, comma 1 o.p. __________ (1) Reato per il quale, come si andra' ad evidenziare, ha visto accertata la impossibilita' della collaborazione ex art. 4-bis, comma 1-bis o.p. (2) Reato per il quale, come si andra' ad evidenziare, ha visto rigettata la richiesta di accertamento della impossibilita' della collaborazione. (3) Concedibilita' del permesso previa acquisizione di elementi tali da escludere l'attualita' di collegamenti con la criminalita' organizzata, terroristica o eversiva in deroga alla regola generale come introdotta a seguito della pronuncia della Corte costituzionale n. 253 del 2019, che richiede l'acquisizione di elementi tali da escludere l'attualita' di collegamenti con la criminalita' organizzata terroristica o eversiva e il pericolo di ripristino degli stessi. (4) Ovverosia dell'art. 4-bis, comma 1-bis nella parte in cui consente di accedere alla collaborazione impossibile o inesigibile per accedere ai permessi premio previa valutazione della «assenza di collegamenti con la criminalita' organizzata» o comunque di accedere ai permessi premio previa valutazione della «assenza di collegamenti con la criminalita' organizzata», interpretato il disposto, dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 253/2019, nei termini sopra indicati.
P.Q.M. letto l'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87, ritenuta la rilevanza e non manifesta infondatezza solleva, nei termini dinanzi indicati, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4-bis, comma 1-bis, legge 26 luglio 1975, n. 354 nella parte in cui prevede che i permessi premio di cui all'art. 30-ter, legge n. 354/1975 possano essere concessi ai condannati che abbiano ottenuto la collaborazione impossibile e inesigibile, ove accertata l'assenza di collegamenti con la criminalita' organizzata, per contrasto con gli articoli 3 e 27, comma 3, della Costituzione e, per l'effetto, dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, sospendendo il procedimento in corso. Ordina che, a cura della cancelleria, l'ordinanza di rimessione degli atti alla Corte costituzionale sia notificata al sig. M. C. e al suo difensore, al pubblico ministero, al Procuratore generale, al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata ai presidenti delle due Camere del Parlamento. Visto l'art. 52, decreto legislativo n. 196/2003 dispone che, in caso di diffusione della presente ordinanza in qualsiasi forma per finalita' di informazione giuridica su riviste, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l'indicazione delle generalita' e degli altri dati identificativi. Cosi' deciso in Padova, nella Camera di consiglio del 12 aprile 2021 Il Magistrato di sorveglianza: Cesaro