N. 117 SENTENZA 12 maggio - 7 giugno 2021

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Reati e pene - Furto in  abitazione  -  Trattamento  sanzionatorio  -
  Minimo  edittale  -   Denunciata   violazione   dei   principi   di
  uguaglianza, di proporzionalita' e di ragionevolezza, nonche' della
  finalita' rieducativa della pena - Inammissibilita' della questione
  -  Invito  al  legislatore  a  considerare  la  pressione  punitiva
  relativa ai delitti contro il patrimonio. 
Reati e pene - Furto in  abitazione  -  Trattamento  sanzionatorio  -
  Divieto di bilanciamento tra circostanze  eterogenee  -  Denunciata
  violazione dei principi di uguaglianza, di  proporzionalita'  e  di
  ragionevolezza, nonche' della finalita' rieducativa  della  pena  -
  Non fondatezza della questione. 
- Codice penale, art. 624-bis, introdotto dall'art. 2, comma 2, della
  legge 26 marzo 2001, n. 128, come modificato dall'art. 1, comma  6,
  della legge 23 giugno 2017, n. 103 e, successivamente, dall'art.  5
  della legge 26 aprile 2019, n. 36. 
- Costituzione, artt. 3 e 27. 
(GU n.23 del 9-6-2021 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giancarlo CORAGGIO; 
Giudici :Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria  de  PRETIS,  Nicolo'
  ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,
  Giovanni  AMOROSO,  Francesco  VIGANO',  Luca   ANTONINI,   Stefano
  PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela  NAVARRETTA,  Maria  Rosaria  SAN
  GIORGIO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 624-bis del
codice penale, introdotto dall'art. 2, comma 2, della legge 26  marzo
2001, n. 128 (Interventi  legislativi  in  materia  di  tutela  della
sicurezza dei cittadini), come modificato dall'art. 1, comma 6, della
legge 23 giugno 2017, n. 103 (Modifiche al codice penale,  al  codice
di procedura penale e all'ordinamento penitenziario), successivamente
modificato dall'art. 5, comma 1, della legge 26 aprile  2019,  n.  36
(Modifiche al codice  penale  e  altre  disposizioni  in  materia  di
legittima difesa), promosso dal  Tribunale  ordinario  di  Lecce,  in
composizione monocratica, nel procedimento penale a carico di L. M. e
altro, con ordinanza del 19 febbraio 2020, iscritta  al  n.  182  del
registro ordinanze 2020 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 52, prima serie speciale, dell'anno 2020. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 12  maggio  2021  il  Giudice
relatore Stefano Petitti; 
    deliberato nella camera di consiglio del 12 maggio 2021. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 19 febbraio 2020, iscritta al  n.  182  del
registro  ordinanze  2020,  il  Tribunale  ordinario  di  Lecce,   in
composizione monocratica,  ha  sollevato  questioni  di  legittimita'
costituzionale  dell'art.  624-bis  del  codice  penale,   introdotto
dall'art. 2, comma 2, della legge 26 marzo 2001, n.  128  (Interventi
legislativi in materia di tutela della sicurezza dei cittadini), come
modificato dall'art. 1, comma 6, della legge 23 giugno 2017,  n.  103
(Modifiche  al  codice  penale,  al  codice  di  procedura  penale  e
all'ordinamento penitenziario), successivamente modificato  dall'art.
5, comma 1, della legge 26 aprile 2019, n. 36  (Modifiche  al  codice
penale e altre disposizioni in materia di legittima  difesa),  «nella
parte in  cui,  limitando  la  discrezionalita'  del  [g]iudice,  non
consente,  anche  attraverso  [un]   adeguato   bilanciamento   delle
circostanze concorrenti, ovvero la previsione di  una  ipotesi  lieve
autonomamente  sanzionata,  di  calibrare  la  sanzione  penale  alla
effettiva gravita' del reato». 
    Il rimettente evoca i parametri di cui agli artt. 3  e  27  della
Costituzione,  che  sarebbero  a  suo  avviso  violati  non  soltanto
dall'eccessivita'  della  pena  detentiva  prevista  dalla  censurata
disposizione per il reato di furto  in  abitazione,  ma  anche  dalla
limitazione del bilanciamento delle circostanze eterogenee  stabilita
dal quarto comma della  disposizione  stessa,  «laddove,  invece,  la
previsione di un minimo edittale piu' basso  e  la  eliminazione  dei
rigidi automatismi di cui al quarto comma  o  la  previsione  di  una
"ipotesi lieve", consentirebbe l'irrogazione di una pena  molto  piu'
adeguata alla peculiarita' del caso concreto». 
    1.1.- Il Tribunale di  Lecce  espone  di  dover  giudicare  sulle
imputazioni di furto aggravato in abitazione ascritte a L. M. e F. G.
in relazione a fatti commessi il 22 gennaio 2020, per essersi costoro
impossessati, in concorso fra loro, al fine di procurarsi un ingiusto
profitto, di alcuni oggetti di modesto valore,  asportandoli  da  una
privata dimora, nella quale si erano introdotti mediante l'effrazione
di una finestra. 
    Il giudice a quo osserva che,  pur  riconoscendo  agli  imputati,
persone incensurate, sia le  attenuanti  generiche  che  l'attenuante
comune della speciale tenuita' del danno patrimoniale,  e  nonostante
la diminuente per il rito abbreviato dagli stessi richiesto, la  pena
da irrogarsi loro non potrebbe essere inferiore  ad  anni  uno,  mesi
cinque e giorni ventisette di reclusione, oltre alla multa,  sanzione
da ritenersi «palesemente sproporzionata». 
    1.2.-   Richiamata   la   giurisprudenza   costituzionale   sulla
necessaria  proporzionalita'  e  individualizzazione  della  sanzione
penale, il rimettente assume  che  la  pena  edittale  del  furto  in
abitazione manifesti un «eccessivo  iato»  rispetto  ad  altri  reati
contro il  patrimonio,  come  emergerebbe  dal  confronto  col  furto
semplice  o  aggravato,  con  la  truffa  semplice  o  aggravata,  la
circonvenzione   di   persone   incapaci,   la    ricettazione,    il
danneggiamento di sistemi informatici,  la  frode  in  emigrazione  e
l'usura. 
    Il Tribunale di Lecce denuncia altresi' come lesivo degli evocati
parametri costituzionali che  il  legislatore,  avendo  tipizzato  il
furto in abitazione alla stregua di un'autonoma figura di reato,  non
ne abbia previsto un'ipotesi di lieve entita', sull'esempio del reato
di ricettazione, e abbia invece precluso  un  adeguato  bilanciamento
fra attenuanti e aggravanti. 
    2.- E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, che ha chiesto dichiararsi le questioni  inammissibili  o  non
fondate. 
    Ad avviso dell'interveniente, il severo trattamento sanzionatorio
e il divieto di bilanciamento  delle  circostanze  per  il  furto  in
abitazione costituirebbero opzioni discrezionali  non  manifestamente
irragionevoli,  attraverso  le  quali  il   legislatore   ha   inteso
rispondere all'esigenza di tutelare  non  solo  il  patrimonio  delle
persone offese, ma soprattutto l'inviolabilita' del  loro  domicilio,
valore garantito dall'art. 14 Cost., a fronte di un reato «diffuso  e
di particolare allarme sociale». 
    3.- In qualita' di amicus curiae, l'Unione camere penali italiane
(UCPI) ha presentato un'opinione  scritta,  portatrice  di  argomenti
favorevoli all'accoglimento delle questioni. 
    Come  starebbe  ad  evidenziare  la  fattispecie   concreta,   la
severita' e la rigidita' dell'apparato  sanzionatorio  del  furto  in
abitazione impedirebbe al giudice di adeguare la  pena  all'effettivo
disvalore del fatto, con il rischio che l'autore finisca  per  essere
«strumentalizzato a fini di prevenzione generale». 
    L'opinione e' stata ammessa  con  decreto  presidenziale  del  26
febbraio 2021. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Tribunale ordinario di Lecce, in composizione monocratica,
ha  sollevato  questioni  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.
624-bis del codice penale, introdotto dall'art.  2,  comma  2,  della
legge 26 marzo 2001, n. 128 (Interventi  legislativi  in  materia  di
tutela della sicurezza dei cittadini), come modificato  dall'art.  1,
comma 6, della legge 23 giugno 2017,  n.  103  (Modifiche  al  codice
penale,   al   codice   di   procedura   penale   e   all'ordinamento
penitenziario), successivamente  modificato  dall'art.  5,  comma  1,
della legge 26 aprile 2019, n. 36 (Modifiche al codice penale e altre
disposizioni in materia di legittima difesa). 
    Il rimettente dubita che la norma censurata violi gli artt.  3  e
27  della  Costituzione,  «nella   parte   in   cui,   limitando   la
discrezionalita' del [g]iudice, non consente, anche  attraverso  [un]
adeguato  bilanciamento  delle  circostanze  concorrenti,  ovvero  la
previsione  di  una  ipotesi  lieve  autonomamente   sanzionata,   di
calibrare la sanzione penale alla effettiva gravita' del reato». 
    L'eccessivita' della  pena  edittale  stabilita  dalla  censurata
disposizione per il reato di furto  in  abitazione  e  la  stringente
limitazione del bilanciamento delle circostanze prevista  dal  quarto
comma della  disposizione  medesima  sarebbero  in  contrasto  con  i
principi di proporzionalita'  e  individualizzazione  della  sanzione
penale, «laddove, invece, la previsione di un  minimo  edittale  piu'
basso e la eliminazione dei rigidi automatismi di cui al quarto comma
o la previsione di una "ipotesi lieve",  consentirebbe  l'irrogazione
di una pena molto piu' adeguata alla peculiarita' del caso concreto». 
    1.1.- Il Tribunale di  Lecce  espone  di  dover  giudicare  sulle
imputazioni di furto aggravato in abitazione ascritte a L. M. e F. G.
in relazione a fatti commessi il 22 gennaio 2020, per essersi costoro
impossessati, in concorso fra loro, al fine di procurarsi un ingiusto
profitto, di alcuni oggetti di modesto valore,  asportandoli  da  una
privata dimora, nella quale si erano introdotti mediante l'effrazione
di una finestra. 
    Il giudice a quo assume  che,  pur  riconoscendo  agli  imputati,
persone incensurate, le attenuanti generiche e quella della  speciale
tenuita' del danno patrimoniale, e nonostante la  diminuente  per  il
rito abbreviato, la pena  da  irrogarsi  loro  risulterebbe  comunque
«palesemente sproporzionata». 
    1.2.- Ad avviso del rimettente, la pena  edittale  del  furto  in
abitazione soffrirebbe un «eccessivo iato» rispetto  ad  altri  reati
contro il patrimonio, quali il furto semplice o aggravato, la  truffa
semplice o aggravata,  la  circonvenzione  di  persone  incapaci,  la
ricettazione, il danneggiamento di sistemi informatici, la  frode  in
emigrazione e l'usura. 
    Sarebbe  inoltre  lesivo   degli   evocati   parametri   che   il
legislatore, avendo tipizzato il furto in  abitazione  come  autonoma
figura di reato, non ne abbia previsto un'ipotesi di lieve entita'  e
abbia invece precluso un  adeguato  bilanciamento  fra  attenuanti  e
aggravanti. 
    2.- Il Presidente del  Consiglio  dei  ministri,  intervenuto  in
giudizio per mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato,  ha  chiesto
dichiararsi le questioni inammissibili o non fondate, atteso  che  il
pur  severo  trattamento  sanzionatorio  del  furto   in   abitazione
risponderebbe  a   opzioni   discrezionali   del   legislatore,   non
manifestamente irragionevoli, finalizzate al contrasto di un reato di
particolare allarme sociale. 
    3.- In qualita' di amicus curiae, l'Unione camere penali italiane
(UCPI) ha presentato un'opinione  favorevole  all'accoglimento  delle
questioni, in quanto la  rigidita'  dell'apparato  sanzionatorio  del
furto in abitazione  impedirebbe  al  giudice  di  adeguare  la  pena
all'effettivo disvalore  del  fatto,  con  il  rischio  che  l'autore
finisca per essere «strumentalizzato a fini di prevenzione generale». 
    4.-  Seppure  in  forma  contratta,  l'ordinanza  di   rimessione
denuncia il trattamento sanzionatorio del furto in  abitazione  sotto
tre distinti profili, a ciascuno dei quali  corrisponde  un  distinto
petitum. 
    In primo luogo, sarebbe eccessivo il minimo edittale  della  pena
detentiva, e  occorrerebbe  quindi  ridurne  l'entita';  sarebbe  poi
necessaria la previsione  di  una  "ipotesi  lieve",  e  occorrerebbe
quindi introdurne la fattispecie; infine, il divieto di bilanciamento
tra circostanze  impedirebbe  al  giudice  di  adeguare  la  pena  al
disvalore del fatto, e andrebbe quindi rimosso. 
    I tre petita devono essere esaminati separatamente, giacche', pur
ispirati da una medesima finalita' di  complessiva  attenuazione  del
rigore punitivo, definiscono tuttavia questioni  autonome,  una  sola
delle quali riferibile all'intero testo dell'art. 624-bis  cod.  pen.
(quella sulla mancata previsione di una "ipotesi lieve"),  mentre  le
altre due sono chiaramente rivolte al primo e al terzo comma  (quella
sull'eccessivita' del minimo edittale)  e  al  quarto  comma  (quella
sulla limitazione del bilanciamento delle circostanze eterogenee) del
medesimo articolo. 
    5.- Occorre  premettere  una  breve  illustrazione  dell'excursus
normativo che ha segnato il progressivo inasprimento del  trattamento
sanzionatorio del furto in abitazione. 
    Aggiunto dall'art. 2, comma 2,  della  legge  n.  128  del  2001,
l'art. 624-bis cod. pen., sotto la rubrica «[f]urto in  abitazione  e
furto con strappo», disponeva, nel testo originario, che  «[c]hiunque
si impossessa  della  cosa  mobile  altrui,  sottraendola  a  chi  la
detiene, al fine di trarne profitto per se'  o  per  altri,  mediante
introduzione in un edificio o in altro luogo destinato in tutto o  in
parte a privata dimora o nelle pertinenze di essa, e' punito  con  la
reclusione da uno a sei anni e con la multa da  lire  seicentomila  a
due milioni» (primo comma); «[a]lla stessa pena di cui al primo comma
soggiace chi si impossessa della cosa mobile altrui,  sottraendola  a
chi la detiene, al fine di trarne  profitto  per  se'  o  per  altri,
strappandola di mano o di dosso alla persona» (secondo comma);  «[l]a
pena e' della reclusione da tre a dieci anni e della  multa  da  lire
quattrocentomila a tre milioni se il reato e' aggravato da una o piu'
delle circostanze previste nel primo comma dell'articolo  625  ovvero
se ricorre una o piu' delle  circostanze  indicate  all'articolo  61»
(terzo comma). 
    La   ratio    dell'innovazione    normativa    risiedeva    nella
trasformazione del furto in abitazione (e del furto con  strappo)  da
reato  aggravato  in  reato  autonomo,  come   tale   ontologicamente
sottratto al bilanciamento delle  circostanze;  pertanto,  l'art.  2,
comma 3, della legge n. 128 del 2001 ha soppresso il  numero  1)  del
primo comma dell'art. 625 cod. pen., ove  la  condotta  di  chi  «per
commettere il fatto, si introduce o si trattiene in un edificio o  in
un  altro  luogo  destinato  ad   abitazione»   era   prevista   come
un'aggravante del furto (del pari e' stata espunta l'aggravante dello
strappo). 
    In pari tempo,  l'art.  2,  comma  4,  della  medesima  legge  ha
configurato    un'attenuante    speciale     mediante     l'addizione
dell'art. 625-bis cod. pen., che prevede una riduzione di pena da  un
terzo alla meta' per il furto - anche se  commesso  in  abitazione  -
«qualora  il  colpevole,  prima  del   giudizio,   abbia   consentito
l'individuazione  dei  correi  o  di  coloro  che  hanno  acquistato,
ricevuto od occultato la cosa sottratta o si sono comunque intromessi
per farla acquistare, ricevere od occultare». 
    L'art. 1, comma 6, della legge n. 103 del 2017 e' poi intervenuto
sull'art. 624-bis cod. pen. in piu' punti: con la lettera a),  ne  ha
modificato il primo comma, innalzando le pene (reclusione  da  tre  a
sei anni e multa da euro 927 a euro 1.500); con la lettera b), ne  ha
modificato il terzo comma, anche qui innalzando le  pene  (reclusione
da quattro a dieci anni e multa da euro 927 a  euro  2.000);  infine,
con la lettera c), vi ha aggiunto un quarto comma, a tenore del quale
«[l]e  circostanze  attenuanti,  diverse  da  quelle  previste  dagli
articoli 98 e 625-bis, concorrenti con una o piu'  delle  circostanze
aggravanti di cui  all'articolo  625,  non  possono  essere  ritenute
equivalenti o prevalenti rispetto a queste e le diminuzioni  di  pena
si operano  sulla  quantita'  della  stessa  risultante  dall'aumento
conseguente alle predette circostanze aggravanti». 
    Da ultimo, l'art. 5, comma 1, della  legge  n.  36  del  2019  ha
ulteriormente inasprito i riferimenti edittali dell'art. 624-bis cod.
pen.: con la lettera a), ha aumentato la pena  detentiva  di  cui  al
primo comma (ora da quattro a  sette  anni  di  reclusione);  con  la
lettera b), le pene di cui al terzo comma (ora da cinque a dieci anni
di reclusione e da euro 1.000 a euro 2.500 di multa). 
    L'art. 3, comma 1, della medesima legge ha modificato l'art.  165
cod. pen.,  aggiungendovi  la  previsione  per  cui  «[n]el  caso  di
condanna per il reato previsto dall'articolo 624-bis, la  sospensione
condizionale  della  pena  e'  comunque  subordinata   al   pagamento
integrale dell'importo dovuto per  il  risarcimento  del  danno  alla
persona offesa». 
    6.- Le questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 624-bis
cod. pen. sollevate dal Tribunale di Lecce riguardo  all'eccessivita'
del minimo edittale di pena detentiva e all'omessa previsione di  una
fattispecie attenuata di  reato  sono  inammissibili,  mentre  quella
attinente al divieto di bilanciamento tra circostanze eterogenee  non
e' fondata. 
    7.- In ordine alla denunciata eccessivita' del minimo edittale di
pena detentiva, che, come detto, puo' intendersi  riferita  ai  commi
primo e terzo dell'art. 624-bis cod. pen.,  occorre  rammentare  che,
come  questa  Corte  ha  piu'  volte  sottolineato,  le   valutazioni
discrezionali  di  dosimetria  penale  competono  in   esclusiva   al
legislatore, chiamato dalla riserva di  legge  ex  art.  25  Cost.  a
stabilire il grado di reazione  dell'ordinamento  al  cospetto  della
lesione  di  un  determinato  bene   giuridico:   il   sindacato   di
legittimita' costituzionale al metro degli artt. 3 e  27  Cost.  puo'
quindi esercitarsi unicamente su scelte  sanzionatorie  arbitrarie  o
manifestamente sproporzionate, tali da evidenziare  un  uso  distorto
della discrezionalita' legislativa (ex plurimis, sentenze n. 88 e  n.
40 del 2019, n. 233 e n. 222 del 2018, n. 179 del 2017 e n.  236  del
2016). 
    L'ammissibilita' delle questioni di  legittimita'  costituzionale
riguardanti   l'entita'   della   pena   edittale   e'    subordinata
all'indicazione  da  parte  del   giudice   a   quo   di   previsioni
sanzionatorie gia' rinvenibili nell'ordinamento, le quali,  trasposte
all'interno della norma censurata, garantiscano coerenza alla  logica
perseguita  dal  legislatore,  una  volta  emendata   dai   vizi   di
illegittimita' costituzionale addotti e riscontrati (sentenze  n.  40
del 2019 e n. 233 del 2018). 
    7.1.- Il Tribunale di Lecce  denuncia  l'«eccessivo  iato»  della
pena edittale del furto in abitazione rispetto ad altri reati  contro
il patrimonio, e ne menziona numerosi e assai diversi, e  non  indica
una grandezza preesistente, che possa  essere  trasposta  "per  linee
interne" nell'art. 624-bis cod. pen., sicche' quel che il  rimettente
chiede alla Corte non e' di rettificare una deviazione  delle  scelte
legislative, bensi' di sostituirsi ad esse. 
    D'altronde,  nessuno  dei  tertia  comparationis   elencati   dal
rimettente (furto semplice o aggravato, truffa semplice o  aggravata,
circonvenzione di persone incapaci, ricettazione,  danneggiamento  di
sistemi   informatici,   frode   in   emigrazione,   usura)   esprime
un'offensivita'  omogenea  a  quella   del   furto   in   abitazione,
caratterizzata, quest'ultima, dalla lesione  dell'inviolabilita'  del
domicilio assicurata dall'art. 14 Cost. 
    Un tertium omogeneo potrebbe semmai trovarsi nell'art. 628, terzo
comma,  numero  3-bis),  cod.  pen.,  che  tuttavia,  per  la  rapina
aggravata dall'essere stata commessa «nei luoghi di cui  all'articolo
624-bis», stabilisce un minimo di pena  detentiva  di  sei  anni,  in
proporzione scalare con il minimo di quattro  anni  previsto  per  il
furto in abitazione. 
    7.2.- La mancata indicazione di una grandezza predata,  non  meno
che  la  palese  eterogeneita'  dei   tertia   comparationis,   rende
inammissibile la questione sollevata dal Tribunale di Lecce in ordine
alla congruita' del minimo  di  pena  detentiva  stabilito  dall'art.
624-bis, primo e terzo comma, cod. pen. per il furto in abitazione. 
    Come gia' nella sentenza n. 190 del 2020,  questa  Corte  intende
tuttavia rimarcare che  il  rapido  e  significativo  incremento  dei
valori edittali dei reati contro  il  patrimonio  -  nell'ambito  del
quale si inscrive il progressivo inasprimento sanzionatorio del furto
in abitazione - segnala una  pressione  punitiva  ormai  estremamente
rilevante e «richiede percio' attenta  considerazione  da  parte  del
legislatore, alla luce di una valutazione, complessiva e comparativa,
dei beni giuridici tutelati dal  diritto  penale  e  del  livello  di
protezione loro assicurato». 
    8.- La questione sollevata dal Tribunale di Lecce con riferimento
alla mancata previsione di «una ipotesi lieve (come  nel  caso  della
ricettazione)»   ovvero   di   «una   ipotesi   lieve   autonomamente
sanzionata», che, come anticipato, deve intendersi riferita  all'art.
624-bis cod. pen. nel suo complesso, e' inammissibile per genericita'
e oscurita' del petitum. 
    Il giudice a quo non chiarisce se l'omissione normativa che  egli
denuncia  riguardi  la  previsione  di  una   specifica   circostanza
attenuante  (come  sembra  indicare  il  riferimento   all'attenuante
speciale della ricettazione di  particolare  tenuita'  ex  art.  648,
secondo  comma,  cod.  pen.)  oppure  la  previsione  di  un'autonoma
fattispecie  incriminatrice  distinta   per   lieve   entita'   (come
indicherebbe la locuzione «autonomamente sanzionata»). 
    In un caso analogo, nel quale il rimettente  si  doleva  in  modo
generico dell'omessa previsione di un'ipotesi attenuata di reato  per
le fattispecie di minore gravita',  questa  Corte  ha  dichiarato  la
manifesta inammissibilita' della  questione  (ordinanza  n.  184  del
2018). 
    8.1.- Il Tribunale di Lecce  neppure  specifica  l'oggetto  della
"lieve entita'" cui intende riferirsi, che  ovviamente  non  potrebbe
esaurirsi nella speciale tenuita' del danno patrimoniale, invero gia'
considerata quale attenuante comune dall'art. 62, primo comma, numero
4), cod. pen. 
    D'altronde, questa Corte ha avuto occasione di  evidenziare  come
la tecnica legislativa, consistente nel "ritagliare"  fattispecie  di
minore gravita' in funzione  di  un  riequilibrio  complessivo  della
disciplina penale, si addica essenzialmente alle ipotesi nelle  quali
il reato-base ha una formulazione molto ampia, come lo  "spaccio"  di
stupefacenti, la ricettazione, la bancarotta o la  violenza  sessuale
(sentenza n. 88 del 2019); per quest'ultimo reato, in particolare, la
fattispecie attenuata ex art. 609-bis,  terzo  comma,  cod.  pen.  e'
diretta proprio a temperare  la  notevole  ampiezza  dell'espressione
«atti sessuali», che costituisce il fulcro della norma incriminatrice
(sentenza n. 106 del 2014). 
    Se impiegare o meno la  tecnica  del  "ritaglio"  e'  quindi  una
scelta massimamente discrezionale del  legislatore,  poiche'  attiene
alla costruzione della fattispecie-base, secondo criteri di  maggiore
o minore latitudine. 
    Quella del furto  in  abitazione  e'  una  fattispecie  descritta
dall'art. 624-bis cod. pen. in termini  piuttosto  definiti,  ne'  il
giudice   a   quo   evidenzia   specifiche   ragioni   che    rendano
costituzionalmente  necessaria  l'introduzione  di  una   fattispecie
attenuata nel perimetro della  norma  incriminatrice.  Non  puo',  in
proposito, non rilevarsi che la  speciale  tenuita'  considerata  dal
rimettente concerne un aspetto soltanto - e forse il meno  importante
- del bene giuridico complesso protetto dalla norma, cioe'  l'aspetto
patrimoniale  (laddove,  peraltro,  la  modestia  della  lesione  non
necessariamente riflette la  volonta'  dell'autore),  mentre  l'altro
profilo, quello personalistico, non ne viene interessato affatto; del
resto,   quest'ultimo   e'   insuscettibile   di   una    graduazione
quantitativa, atteso che il domicilio, quale spazio della persona,  o
e' violato o non lo e', essendo pertanto inconcepibile gia' sul piano
logico un ingresso "lieve" nell'abitazione altrui. 
    9.- La questione sollevata dal Tribunale di Lecce a proposito del
divieto di  bilanciamento  tra  circostanze  eterogenee  sancito  dal
quarto comma dell'art. 624-bis cod. pen. puo' accedere  all'esame  di
merito,  previa  la  necessaria  delimitazione   in   rapporto   alla
fattispecie concreta. 
    Occorre infatti tenere presente che la norma censurata  riferisce
tale  divieto  al  concorso  tra  qualunque  circostanza   attenuante
(eccettuate  solo  la  minore  eta'  ex  art.  98  cod.  pen.  e   la
cooperazione ex art.  625-bis  cod.  pen.)  e  qualunque  circostanza
aggravante tra quelle previste per il furto dall'art. 625 cod. pen. 
    Sebbene formulata in termini  generali,  l'odierna  censura  deve
intendersi  quindi  riferita  alle  sole  circostanze  effettivamente
ricorrenti nella fattispecie concreta, cioe' - secondo quanto  espone
lo stesso giudice a quo - al  divieto  di  equivalenza  o  prevalenza
dell'attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuita'  ex  art.
62, primo comma, numero 4), cod. pen. e delle attenuanti generiche ex
art. 62-bis cod.  pen.  nella  comparazione  con  l'aggravante  della
violenza sulle cose ex art. 625, primo comma, numero 2),  cod.  pen.,
quest'ultima elevata dall'art. 624-bis, quarto comma,  cod.  pen.  al
rango di circostanza "privilegiata". 
    9.1.- Cosi' delimitata, la questione sollevata dal  Tribunale  di
Lecce  sul   divieto   di   bilanciamento   correlato   alla   natura
"privilegiata" dell'aggravante non e' fondata. 
    9.2.-   La   giurisprudenza   costituzionale   sulle   aggravanti
"privilegiate" si e' sviluppata prevalentemente in tema  di  recidiva
reiterata, dopo che l'art. 3, comma 1, della legge 5  dicembre  2005,
n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26  luglio  1975,  n.
354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio  di
comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di
prescrizione), sostituendo il quarto comma dell'art. 69 cod. pen., ha
stabilito il divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulla
recidiva ex art. 99, quarto comma, cod. pen. 
    La premessa costante di questa giurisprudenza e' che  le  deroghe
al regime  ordinario  del  bilanciamento  tra  circostanze  rientrano
nell'ambito  delle  scelte  discrezionali  del  legislatore  e   sono
sindacabili solo qualora trasmodino nella manifesta  irragionevolezza
o nell'arbitrio (ex plurimis, sentenze n. 55  del  2021,  n.  73  del
2020, n. 205 del 2017, n. 74 del 2016, n. 106 e n. 105 del  2014,  n.
251 del 2012), non potendo pero' giungere in alcun caso a determinare
un'alterazione  degli  equilibri  costituzionalmente  imposti   nella
strutturazione della responsabilita' penale (sentenze n. 55 del 2021,
n. 73 del 2020, n. 106 e n. 105 del 2014, n. 251 del 2012). 
    Su  tale  premessa,  questa   Corte   ha   pronunciato   numerose
declaratorie di illegittimita' costituzionale, restituendo al giudice
la possibilita' di apprezzare pienamente  in  sede  di  bilanciamento
circostanze attenuanti "ad effetto speciale"  (cioe'  implicanti  una
diminuzione di pena superiore a un terzo: art. 63, terzo comma,  cod.
pen.), come tali espressive di un minor disvalore del fatto dal punto
di  vista  dell'offensivita',  rispetto  alle  quali  il  divieto  di
prevalenza  finiva  per  indirizzare  l'individuazione   della   pena
concreta verso un'abnorme enfatizzazione delle componenti  soggettive
riconducibili alla recidiva, a detrimento delle componenti  oggettive
del reato (sentenze n. 205 del 2017, n. 106 e n. 105 del 2014, n. 251
del 2012). 
    Talora, la declaratoria di illegittimita' costituzionale e' stata
funzionale a tenere indenne dal concorso con la recidiva reiterata la
specifica  ratio  di  un'attenuante  premiale,  sempre  "ad   effetto
speciale" (sentenza n. 74 del 2016). 
    Questa Corte  e'  intervenuta  recentemente  per  reintegrare  la
pienezza del giudizio di  bilanciamento  nella  comparazione  con  la
recidiva reiterata  riguardo  ad  attenuanti  che,  pur  essendo  "ad
effetto comune" (cioe' implicanti  una  riduzione  non  eccedente  un
terzo: art.  65,  primo  comma,  numero  3,  cod.  pen.),  ineriscono
tuttavia alla struttura stessa dell'imputazione penale: cosi', per la
diminuente del vizio parziale di mente di cui all'art. 89  cod.  pen.
(sentenza n. 73 del 2020) e per l'attenuante del concorso anomalo  di
cui al secondo comma dell'art. 116 cod.  pen.  (sentenza  n.  55  del
2021). 
    9.3.- Il divieto  di  bilanciamento  sancito  dall'art.  624-bis,
quarto  comma,  cod.  pen.  opera  tuttavia  in  base  a  un  modello
differente rispetto a quello della recidiva reiterata, in quanto,  se
da un lato e' precluso anche il giudizio di equivalenza oltre che  di
prevalenza, cosi' rafforzandosi  il  "privilegio"  delle  aggravanti,
dall'altro e' pero' stabilito che  le  diminuzioni  di  pena  per  le
attenuanti siano comunque apportate, a valere «sulla quantita'  della
stessa risultante dall'aumento conseguente alle predette  circostanze
aggravanti». 
    9.3.1.- Questa Corte ha avuto modo di vagliare la legittimita' di
un "privilegio" esteso all'equivalenza fin dalle  questioni  relative
all'aggravante della finalita' di terrorismo o eversione  ex  art.  1
del decreto-legge 15 dicembre 1979, n. 625  (Misure  urgenti  per  la
tutela  dell'ordine  democratico   e   della   sicurezza   pubblica),
convertito, con modificazioni, nella legge 6 febbraio  1980,  n.  15,
nonche' alle aggravanti dell'evento  nei  delitti  di  attentato  per
finalita' terroristiche o di eversione ex art. 280 cod. pen. 
    Con la sentenza n. 38 del 1985 e, rispettivamente, con la n.  194
del  1985,  sono  state  dichiarate  non  fondate  le  questioni   di
legittimita' costituzionale del divieto di bilanciamento stabilito da
tali norme, sulla base dell'interpretazione adeguatrice  per  cui  il
giudice tiene pur sempre conto anche delle attenuanti,  sebbene  dopo
avere calcolato l'aumento di pena per le  aggravanti  "privilegiate":
da qui il periodo aggiunto ad entrambe le  disposizioni  dall'art.  4
della legge 14 febbraio 2003, n. 34  (Ratifica  ed  esecuzione  della
Convenzione  internazionale  per  la  repressione   degli   attentati
terroristici mediante utilizzo di esplosivo, adottata  dall'Assemblea
generale delle Nazioni Unite a New York il 15 dicembre 1997, e  norme
di  adeguamento  dell'ordinamento  interno),  secondo  il  quale  «le
diminuzioni di pena si operano sulla  quantita'  di  pena  risultante
dall'aumento conseguente alle predette aggravanti». 
    9.3.2.- Con la sentenza n. 88 del 2019 la Corte ha dichiarato non
fondate  le  questioni  di  legittimita'   costituzionale   dell'art.
590-quater cod. pen., inserito dall'art. 1, comma 2, della  legge  23
marzo 2016, n. 41 (Introduzione del reato di omicidio stradale e  del
reato  di  lesioni  personali  stradali,  nonche'   disposizioni   di
coordinamento al decreto legislativo 30 aprile 1992,  n.  285,  e  al
decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274),  norma  a  tenore  della
quale, se ricorrono le aggravanti  speciali  dei  reati  di  omicidio
stradale  e  lesioni  personali  stradali  gravi  o  gravissime,   le
eventuali attenuanti  «non  possono  essere  ritenute  equivalenti  o
prevalenti rispetto a  queste  e  le  diminuzioni  si  operano  sulla
quantita' di pena determinata ai  sensi  delle  predette  circostanze
aggravanti». 
    Ribadito in linea generale  che  «il  giudizio  di  bilanciamento
delle  circostanze  consente  al  giudice  di  apprezzare  meglio  lo
specifico  disvalore  della  condotta  penalmente   sanzionata»,   la
sentenza n. 88 del 2019, messo del pari in  luce  «l'allarme  sociale
suscitato dal ricorrente fenomeno delle "vittime della  strada"»,  ha
osservato che, «quando ricorrono particolari esigenze  di  protezione
di beni costituzionalmente tutelati, quale il diritto fondamentale  e
personalissimo  alla  vita  e  all'integrita'  fisica,  ben  puo'  il
legislatore  dare  un  diverso  ordine  al  gioco  delle  circostanze
richiedendo che  vada  calcolato  prima  l'aggravamento  di  pena  di
particolari circostanze». 
    9.4.- La questione oggi  in  scrutinio  deve  essere  decisa  nel
medesimo  senso  della  non  fondatezza,  poiche'   il   divieto   di
bilanciamento e' posto a servizio di un bene  giuridico  di  primario
valore - l'intimita' della persona raccolta nella sua  abitazione  -,
al quale il legislatore ha scelto di assegnare una tutela rafforzata,
con opzione discrezionale e non irragionevole. 
    9.4.1.- Occorre infatti considerare che nel furto  in  abitazione
l'offensivita'  patrimoniale  assume   una   peculiare   connotazione
personalistica, in ragione  dell'aggancio  con  l'inviolabilita'  del
domicilio  assicurata  dall'art.  14  Cost.,  domicilio  inteso  come
«proiezione spaziale della persona» (sentenza n. 135 del 2002). 
    E' in proposito significativo che le sezioni unite  penali  della
Corte di cassazione, chiamate a definire  la  «privata  dimora»  agli
effetti dell'art. 624-bis cod. pen., ne abbiano adottato una  nozione
restrittiva, aderente per l'appunto  alla  concezione  costituzionale
del domicilio  come  «proiezione  spaziale  della  persona»,  si'  da
ricomprendervi soltanto i luoghi aventi  le  caratteristiche  proprie
dell'abitazione ed escluderne viceversa i luoghi  di  lavoro,  «salvo
che il fatto sia avvenuto all'interno di un'area riservata alla sfera
privata della persona offesa» (sentenza 23 marzo 2017-22 giugno 2017,
n. 31345). 
    9.4.2.- La particolare gravita' del reato di furto in  abitazione
e' stata d'altronde evidenziata da questa Corte persino nel raffronto
con il reato di furto  con  strappo,  che  pure,  a  norma  dell'art.
624-bis, secondo comma, cod. pen.,  soggiace  alla  stessa  pena  del
furto in abitazione. 
    Si fa riferimento al divieto di sospensione dell'esecuzione,  che
l'art. 656, comma 9, lettera  a),  del  codice  di  procedura  penale
prevedeva indistintamente per i condannati per entrambi i delitti  di
cui  all'art.  624-bis  cod.  pen.  e   che   e'   stato   dichiarato
costituzionalmente illegittimo solo per il  furto  con  strappo,  non
anche per il furto in abitazione. 
    Invero,   la   sentenza   n.   125   del   2016   ha   dichiarato
costituzionalmente   illegittimo   il    divieto    di    sospensione
dell'esecuzione della condanna per  il  furto  con  strappo,  essendo
questo  un  reato  affine  alla  rapina  semplice  e   di   frequente
progressione in rapina semplice, titolo di  reato  per  il  quale  il
divieto di sospensione non e' previsto. 
    Al contrario, la  sentenza  n.  216  del  2019  non  ha  ritenuto
illegittimo il divieto di sospensione dell'esecuzione della  condanna
per il furto in abitazione, reato destinato a trasmodare non gia'  in
rapina semplice, bensi' in rapina aggravata ex art. 628, terzo comma,
numero 3-bis), cod. pen.,  titolo,  quest'ultimo,  per  il  quale  la
sospensione dell'esecuzione e'  preclusa  in  virtu'  dell'inclusione
nell'elenco dei reati di cui all'art. 4-bis, comma 1-ter, della legge
26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e  sulla
esecuzione delle misure privative e limitative della liberta'). 
    Nel giustificare il differente trattamento in executivis  di  due
reati pur soggetti ai medesimi valori edittali, la  sentenza  n.  216
del  2019  ha  chiarito  che  esso  trova  la  propria  ratio   nella
«discrezionale, e  non  irragionevole,  presunzione  del  legislatore
relativa alla particolare gravita' del fatto di chi,  per  commettere
il furto, entri in un'abitazione altrui, ovvero  in  altro  luogo  di
privata dimora o nelle sue pertinenze, e della speciale pericolosita'
soggettiva manifestata dall'autore di un simile reato». 
    L'assunto e' stato confermato dall'ordinanza n. 67 del  2020,  la
quale, nel dichiarare manifestamente infondate le medesime  questioni
gia' respinte dalla sentenza n. 216 del 2019, ha  precisato  «che  la
particolare gravita' del fatto e la speciale pericolosita' soggettiva
del suo autore, dimostrate dall'ingresso non autorizzato  nei  luoghi
predetti al fine di commettervi un furto, non  vengono  meno  per  il
solo fatto che l'autore non abbia usato  violenza  nei  confronti  di
alcuno». 
    9.4.3.- Con specifico  riferimento  alle  circostanze  eterogenee
concorrenti nella fattispecie concreta, il divieto  di  bilanciamento
sancito  dall'art.  624-bis,   quarto   comma,   cod.   pen.   mostra
efficacemente la sua non irragionevole finalita'. 
    Invero, nel concorso tra l'aggravante della violenza  sulle  cose
ex art. 625,  primo  comma,  numero  2),  cod.  pen.,  che  evidenzia
un'offesa ancora piu' intensa alla privatezza della sfera domiciliare
e  personale,  e  l'attenuante  della  speciale  tenuita'  del  danno
patrimoniale ex art. 62, primo  comma,  numero  4),  cod.  pen.,  che
viceversa  si  esaurisce  sul  piano  strettamente   economico,   non
irragionevolmente il legislatore esclude che la  prima  possa  essere
eguagliata  dalla  seconda,  o  possa  ad  essa  soccombere,  e   non
irragionevolmente  stabilisce  che  la  diminuzione   di   pena   per
l'attenuante si operi solo dopo l'aumento per l'aggravante. 
    9.4.4.-  In  ultimo,  sembra  opportuno  notare  come  la   forza
"privilegiata" delle aggravanti di cui al  combinato  disposto  degli
artt. 624-bis, quarto comma, e 625 cod. pen. ceda non solo di  fronte
all'attenuante della minore eta' ex art. 98 cod.  pen.,  ma  anche  a
quella della collaborazione  del  reo  ex  art.  625-bis  cod.  pen.,
attenuante  "ad  effetto   speciale",   quest'ultima,   appositamente
introdotta  dalla  legge  n.  128  del  2001,   la   cui   previsione
contribuisce   all'equilibrio   complessivo   di    una    disciplina
sanzionatoria pur certamente severa. 
    10.-  Per  tutto  quanto  esposto,   devono   essere   dichiarate
inammissibili le questioni di legittimita'  costituzionale  dell'art.
624-bis  cod.  pen.,  sollevate  dal  Tribunale   di   Lecce   quanto
all'eccessivita' del minimo edittale di pena detentiva  e  all'omessa
previsione di una fattispecie attenuata di reato, mentre deve  essere
dichiarata non fondata quella  sollevata  in  ordine  al  divieto  di
bilanciamento tra circostanze eterogenee. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    1)  dichiara   inammissibile   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 624-bis, primo e  terzo  comma,  del  codice
penale, introdotto dall'art. 2, comma 2, della legge 26  marzo  2001,
n. 128 (Interventi legislativi in materia di tutela  della  sicurezza
dei cittadini), come modificato dall'art. 1, comma 6, della legge  23
giugno 2017, n.  103  (Modifiche  al  codice  penale,  al  codice  di
procedura penale e  all'ordinamento  penitenziario),  successivamente
modificato dall'art. 5, comma 1, della legge 26 aprile  2019,  n.  36
(Modifiche al codice  penale  e  altre  disposizioni  in  materia  di
legittima difesa), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 27  della
Costituzione, dal  Tribunale  ordinario  di  Lecce,  in  composizione
monocratica, con l'ordinanza indicata in epigrafe; 
    2)  dichiara   inammissibile   la   questione   di   legittimita'
costituzionale  dell'art.  624-bis  cod.  pen.,  nel  suo  complesso,
sollevata, in riferimento agli artt. 3  e  27  Cost.,  dal  Tribunale
ordinario di Lecce,  in  composizione  monocratica,  con  l'ordinanza
indicata in epigrafe; 
    3)  dichiara   non   fondata   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 624-bis, quarto comma, cod. pen., sollevata,
in riferimento agli artt. 3 e 27 Cost., dal  Tribunale  ordinario  di
Lecce, in  composizione  monocratica,  con  l'ordinanza  indicata  in
epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 12 maggio 2021. 
 
                                F.to: 
                   Giancarlo CORAGGIO, Presidente 
                     Stefano PETITTI, Redattore 
             Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria 
 
    Depositata in Cancelleria il 7 giugno 2021. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA