N. 84 ORDINANZA (Atto di promovimento) 26 febbraio 2021
Ordinanza del 26 febbraio 2021 del Tribunale di Roma nel procedimento civile promosso da Mohamed Hizam Fathia contro Cosi' Per Gioco 2 srls. Lavoro e occupazione - Disciplina del contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti - Tutela del lavoratore nei casi di licenziamento ingiustificato intimato da un datore di lavoro che non raggiunga i requisiti dimensionali di cui all'art. 18, ottavo e nono comma, della legge n. 300 del 1970 - Previsione che l'ammontare dell'indennita' e dell'importo, previsti dall'art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 23 del 2015, e' dimezzato e non puo' in ogni caso superare il limite delle sei mensilita'. - Decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23 (Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183), art. 9, comma 1.(GU n.24 del 16-6-2021 )
TRIBUNALE DI ROMA II Sezione lavoro e previdenza R.G. 2949\19 (Fathia Mohamed Hizam vs. Cosi' Per Gioco 2 S.R.L.S.) Il Tribunale di Roma, II Sezione lavoro e previdenza, nella persona del Presidente di Sezione dott. Ermanno Cambria, Magistrato designato per la trattazione dell'emarginata causa, a scioglimento della riserva assunta all'udienza del 15 dicembre 2020, ha pronunciato la seguente ordinanza, Premesso che con ricorso ritualmente depositato Fathia Mohamed Hizam conveniva in giudizio la soc. Cosi' per Gioco 2 s.r.l.s. esponendo, in sintesi: 1) di aver lavorato alle dipendenze della convenuta dal 1° settembre 2016 al 18 luglio 2018 con contratto di lavoro a tempo indeterminato, con inquadramento nel 5° livello del c.c.n.l. Scuole Private Aninsei e mansioni di maestra d'inglese, inizialmente presso la scuola dell'infanzia e, dal 2016, presso la scuola primaria gestite dalla resistente; 2) di aver osservato, da ultimo e dopo alcune modifiche, un orario di 6 ore settimanali, con ultima retribuzione lorda di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto pari ad euro 278,49; 3) di essere stata licenziata con lettera del 17 luglio 2018 con effetti a partire dal 18 luglio 2018 «ai sensi dell'art. 3 della legge n. 604/1966 per giustificato motivo oggettivo di riorganizzazione aziendale»; 4) di aver tempestivamente impugnato il predetto licenziamento con lettera raccomandata a.r. 4-6 settembre 2018, rimanendo a disposizione per la ripresa del servizio; 5) che, con lettera raccomandata a.r. datata 18 settembre 2018, indirizzata alla CGIL Centro Ovest Litoranea di via Ostiense 164 M in Roma, spedita il 26 settembre 2018 e recapitata il 28 successivo, la resistente comunicava la revoca del predetto licenziamento invitandola a riprendere servizio per la data del 1° ottobre 2018 alle medesime condizioni contrattuali in precedenza applicate; 5) di aver comunicato, con telegramma 29 settembre 2019, nonche' con lettera raccomandata 28 settembre - 2 ottobre 2019, alla resistente la tardivita' della revoca anzidetta ai sensi dell'art. 5 decreto legislativo n. 23/2015, revoca da ritenersi pertanto inefficace, insistendo nella impugnativa di licenziamento e nelle rivendicazioni ivi formulate; 6) che i motivi addotti a fondamento del licenziamento erano insussistenti ed infondati, precisando che: I) il licenziamento era privo di una reale motivazione giacche' faceva generico riferimento ad una non meglio specificata «riorganizzazione aziendale» senza alcuna verifica di ricollocazione della ricorrente nell'ambito dell'organizzazione aziendale, apparendo, tale motivazione, una mera petizione di principio priva di valore descrittivo in ordine alla ragione del licenziamento; II) non vi era stata alcuna soppressione del suo posto di lavoro poiche' la lavoratrice avrebbe potuto essere ricollocata nell'ambito dell'organizzazione aziendale della resistente, anche in mansioni inferiori; III) la resistente non aveva avuto alcun ridimensionamento aziendale tant'e' che, dalla visura camerale della convenuta, il personale dipendente risultava invariato dal 2016, consistente in 7 unita'; IV) le classi della scuola primaria, ove lavorava la ricorrente, erano aumentate nel tempo, e in ciascuna classe era impiegata un'insegnante di inglese indicando, in particolare, le assunzioni di nuovo personale fra cui insegnanti di inglese risultanti dal sito internet della resistente www.bimbiingioco.it - V) la societa' resistente, nella scelta dei dipendenti da licenziare, non aveva operato alcun raffronto delle posizioni lavorative fungibili con quella della ricorrente sulla base dei criteri posti dall'art. 5 legge n. 223/1991, mentre quest'ultima aveva indicato le dipendenti comparabili con minore anzianita' di servizio e carico familiare, specificando altresi' di avere un figlio minore a carico (Gianlorenzo Greco nato il 21 giugno 2014 a Roma); che, cio' posto, ella deduceva in sintesi: A) che la revoca del licenziamento era palesemente tardiva e inefficace perche' comunicata a un soggetto terzo e non alla ricorrente ai sensi dell'art. 5 del decreto legislativo citato; B) che la disciplina applicabile, essendo il rapporto di lavoro sorto successivamente al 7 marzo 2015, era quella di cui al decreto legislativo 23 del 2015 e, in particolare, gli articoli 3 e 9 del medesimo decreto con la precisazione che trattandosi, nella specie, di un'impresa priva dei requisiti di cui all'art. 18, comma 8 e 9, legge n. 300/1970, in caso di accoglimento della domanda, l'indennizzo sarebbe risultato dimezzato e non avrebbe potuto superare le sei mensilita' dell'ultima retribuzione percepita; C) che il giustificato motivo oggettivo era del tutto insussistente sia sotto il profilo della presunta soppressione del posto di lavoro che in ordine al c.d. repêchage e comunque anche la scelta della ricorrente come unita' in esubero da licenziare risultava in contrasto coi principi di correttezza e buona fede; D) che dal di' del licenziamento era rimasta disoccupata e priva di reddito; E) che sulla misura dell'indennita' risarcitoria sollevava dubbi in ordine alla conformita' costituzionale del sistema sanzionatorio previsto dall'art. 9 del decreto legislativo n. 23/2015 per le «piccole imprese»; che, dopo aver esposto quanto fin qui riportato, chiedeva: a) accertarsi la non ricorrenza del giustificato motivo oggettivo e/o la violazione del requisito di motivazione e dichiarare risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento con condanna della resistente al pagamento in suo favore della indennita' di cui all'art. 9, comma 1, del decreto legislativo n. 23/2015 chiedendo peraltro al Giudice di sollevare questione di costituzionalita' della predetta norma alla stregua delle previsioni di cui agli articoli 3, comma 1, 4 e 35 comma 1, della Costituzione nonche' dell'art. 117, comma 1, della Costituzione in relazione all'art. 24 della Carta sociale europea, risultando la questione rilevante nel presente giudizio e non manifestamente infondata; che restava contumace la societa' resistente, sebbene ritualmente evocata in giudizio; che, istruita la causa per documenti, il Giudice rilevava che la questione di costituzionalita' proposta era meritevole di approfondimenti e invitava il difensore a voler redigere brevi e concise note riepilogative con riferimento alla non manifesta infondatezza e rilevanza concreta della questione nel presente giudizio; che, alla luce di tali premesse, Osserva I) Sulla rilevanza della questione. I.1) Dagli atti di causa risulta pienamente dimostrata l'esistenza del rapporto di lavoro, le modalita' essenziali del suo svolgimento (mansioni, orario e retribuzione) e la sua risoluzione ad iniziativa della resistente per giustificato motivo oggettivo. Si puo' quindi affermare che tra la ricorrente e la resistente e' intercorso un rapporto di lavoro subordinato dal 1° settembre 2016 sino al 18 luglio 2018. I.2) Il licenziamento intimato alla ricorrente per motivo oggettivo e' illegittimo per il mancato assolvimento, da parte della resistente, dell'onere di provarne il fondamento. I.3) Le conseguenze sono quelle di cui all'art. 3, comma 1, del decreto legislativo n. 23/2015 («... nei casi in cui risulta accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo o per giustificato motivo soggettivo o giusta causa, il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un'indennita' non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a due mensilita' dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a sei e non superiore a trentasei mensilita'») con la correzione prevista dall'art. 9, comma 1, del medesimo decreto («Ove il datore di lavoro non raggiunga i requisiti dimensionali di cui all'art. 18, ottavo e nono comma, della legge n. 300 del 1970, ... l'ammontare delle indennita' e dell'importo previsti dall'art. 3, comma 1, ... e' dimezzato e non puo' in ogni caso superare il limite di sei mensilita'»). I.4) Riguardo all'applicabilita' dell'art. 9 cit., la stessa ricorrente ha confermato in ricorso l'assenza del requisito occupazionale/dimensionale. I.5) Nessun ostacolo all'applicazione delle previsioni anzidette puo' discendere dalla revoca del licenziamento sopra descritta per la sua palese tardivita' e, quindi, inefficacia come previsto dall'art. 5 del medesimo decreto («nell'ipotesi di revoca del licenziamento, purche' effettuata entro il termine di quindici giorni dalla comunicazione al datore di lavoro dell'impugnazione del medesimo, il rapporto di lavoro si intende ripristinato senza soluzione di continuita', con diritto del lavoratore alla retribuzione maturata nel periodo precedente alla revoca, e non trovano applicazione i regimi sanzionatori previsti dal presente decreto») in quanto l'impugnativa e' intervenuta il 4-6 settembre 2018 e la revoca il 28 settembre 2018. La revoca, inoltre, era stata comunicata a soggetto terzo e non alla lavoratrice. I.6) Sulla base di quanto premesso, il licenziamento impugnato dovra' essere dichiarato illegittimo e sanzionato secondo l'art. 3, comma 1 e 9, comma 1, del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23, con conseguente applicazione degli articoli 3 e 9 del decreto legislativo n. 23/2015, trovando quindi conferma la rilevanza della questione di costituzionalita'. II. Sulla non manifesta infondatezza. Il quadro normativo. II.1) La tipologia di tutela prevista dall'art. 9, comma 1, decreto legislativo n. 23/2015 riguarda i dipendenti dei datori di lavoro che non raggiungano i requisiti di cui all'art. 18, ottavo e nono comma, della legge n. 300 del 1970 (ottavo comma: « ... datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, che in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto luogo il licenziamento occupa alle sue dipendenze piu' di quindici lavoratori o piu' di cinque se si tratta di imprenditore agricolo, nonche' al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, che nell'ambito dello stesso comune occupa piu' di quindici dipendenti e all'impresa agricola che nel medesimo ambito territoriale occupa piu' di cinque dipendenti, anche se ciascuna unita' produttiva, singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti, e in ogni caso al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che occupa piu' di sessanta dipendenti»). Inoltre per costoro non trova attuazione l'art. 3, comma 2, del decreto legislativo n. 23/2015 (art. 9, comma 1, cit.) e quindi, a fronte di un licenziamento ingiustificato, trova applicazione unicamente la sanzione costituita da un'indennita' risarcitoria. II.2) La sentenza n. 194/2018 della Corte costituzionale ha dichiarato incostituzionale l'art. 3, comma 1, del decreto legislativo n. 23/2015 con riferimento alla determinazione dell'indennita' spettante al lavoratore ingiustamente licenziato ancorata unicamente al criterio dell'anzianita' di servizio. Inevitabilmente, l'incostituzionalita' si e' estesa all'art. 9, comma 1, del medesimo decreto in quanto la previsione, applicabile nella specie in ragione delle dimensioni occupazionali della convenuta, recita testualmente: «... l'ammontare delle indennita' e dell'importo previsti dall'art. 3, comma 1, ... e' dimezzato e non puo' in ogni caso superare il limite di sei mensilita'». Nel caso di specie, pertanto, l'indennita' dovra' essere individuata (vds. anche infra sub II.5)) nello stretto varco risultante fra il minimo di tre e il massimo di sei mensilita', determinata utilizzando i parametri indicati nella sentenza della Corte costituzionale n. 194 del 2018 e confermati nella sentenza n. 150 del 2020 (anzianita' di servizio del lavoratore, numero dei dipendenti occupati, dimensioni dell'attivita' economica, comportamento e condizioni delle parti). Nella fattispecie in esame, pertanto, in considerazione della retribuzione lorda di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto pari a euro 278,49, la misura dell'indennizzo potra' variare fra euro 835,47 ed euro 1.670,94. II.3) L'originaria tutela c.d. «obbligatoria» contenuta nell'art. 8 della legge n. 604/1966, applicabile ai lavoratori assunti da datori di lavoro antecedentemente al 7 marzo 2015, salvo il caso previsto dall'art. 1, comma 3, del decreto legislativo n. 23/2015, e' riservata ai dipendenti da datori di lavoro che abbiano un numero di lavoratori come sopra indicato e alle c.d. organizzazioni di tendenza (art. 4, comma 2, legge n. 108/1990 alle quali, pero', per i dipendenti assunti dopo l'entrata in vigore del decreto legislativo n. 23/2015, trova invece integrale applicazione quest'ultima normativa). II.4) L'originaria tutela c.d. «obbligatoria» contenuta nell'art. 8 della legge n. 604/1966 prevede, ancora oggi quando applicabile, una tutela costituita dalla riassunzione in servizio o, in mancanza, dal pagamento di una indennita' variabile fra 2,5 e, al ricorrere di alcune condizioni, un massimo di 14 mensilita' («Quando risulti accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giusta causa o giustificato motivo, il datore di lavoro e' tenuto a riassumere il prestatore di lavoro entro il termine di tre giorni o, in mancanza, a risarcire il danno versandogli un'indennita' di importo compreso tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 6 mensilita' dell'ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo al numero dei dipendenti occupati, alle dimensioni dell'impresa, all'anzianita' di servizio del prestatore di lavoro, al comportamento e alle condizioni delle parti. La misura massima della predetta indennita' puo' essere maggiorata fino a 10 mensilita' per il prestatore di lavoro con anzianita' superiore ai dieci anni e fino a 14 mensilita' per il prestatore di lavoro con anzianita' superiore ai venti anni, se dipendenti da datore di lavoro che occupa piu' di quindici prestatori di lavoro»). Risulta, quindi, che l'art. 9, comma 1, del decreto legislativo n. 23/2015 non riproduce, se non in piccola parte, le disposizioni di cui all'art. 8 della legge n. 604/1966 (cfr. Corte costituzionale n. 150/2020 punto 6.2). II.5) L'intervento del decreto-legge 12 luglio 2018, n. 87, convertito dalla legge 9 agosto 2018, n. 96 che ha innalzato la soglia dell'indennita' contemplata nell'art. 3, comma 1, del decreto legislativo n. 23/2015, ha avuto quale effetto quello di restringere l'intervallo entro cui deve essere determinata l'indennita' prevista per i datori di lavoro sotto-soglia portandolo ad un range che va da tre a sei mensilita'. II.6) Le sentenze n. 194 del 2018 e n. 150 del 2020 della Corte costituzionale hanno chiarito che la determinazione dell'indennita' non puo' essere ancorata al solo criterio dell'anzianita' di servizio «inidonea a esprimere le mutevoli ripercussioni che ogni licenziamento produce nella sfera personale e patrimoniale del lavoratore» (sent. n. 150/2020 pp. 11.4 e 12) precisando che, «in chiave correttiva» il giudice potra' ponderare anche altri criteri desumibili dal sistema, facendo espresso richiamo all'art. 18, sesto comma, legge n. 300/1970 e all'art. 8 della legge n. 604 del 1966 e' quindi: (i) la gravita' delle violazioni, (ii) il numero degli occupati, (iii) le dimensioni dell'impresa, (iv) il comportamento e le condizioni delle parti. II.7) Volendo riassumere si puo' affermare che la tutela prevista dall'art. 9, comma 1, decreto legislativo n. 23/2015 riguarda i lavoratori dipendenti da datori di lavoro individuati esclusivamente sulla base del numero dei dipendenti occupati e prevede unicamente una soluzione indennitaria che puo' essere determinata nello strettissimo intervallo fra tre e sei mensilita'. III) Interpretazione adeguatrice. III.1) La tesi secondo cui l'art. 9, comma 1, cit. non sarebbe idoneo a soddisfare il test di adeguatezza e, soprattutto, di dissuasivita' nella reazione dell'ordinamento di fronte ad un licenziamento ingiustificato non sembra poter esser risolta in via interpretativa, neppure per mezzo della cd. «interpretazione adeguatrice». Cio' perche' l'art. 9 e' assolutamente inequivoco, nel suo tenore letterale, nel parametrare l'indennita' dimezzandola rispetto a quella indicata nell'art. 3, comma 1, cit., ma, comunque, nel limite delle sei mensilita'. Non e' esperibile, pertanto, a fronte dell'univoco tenore letterale della norma censurata, un'interpretazione adeguatrice non ravvisandosene alcuna (Corte costituzionale, Sent., 9 novembre 2020, n. 234, p. 13.1.1.). IV) Violazione dei principi di effettivita' e ragionevolezza. IV.1) La distinzione fra le tutele in ragione delle dimensioni occupazionali datoriali e' fondata su un elemento che risulta esterno al rapporto di lavoro. La ragione e lo scopo di tale differenza e' costituito dal fatto che, nelle piccole realta' lavorative, potrebbe risultare problematico il riassorbimento del prestatore, mentre nelle realta' di grandi dimensioni, ove il rapporto e' piu' spersonalizzato, il ripristino del rapporto risulterebbe certamente piu' agevole. IV.2) Tuttavia entrambe le tutele mirano ad affermare che il «diritto al lavoro» (art. 4, primo comma, della Costituzione), affiancato alla «tutela» del lavoro «in tutte le sue forme ed applicazioni» (art. 35, primo comma, della Costituzione), si sostanzia nel riconoscere, tra l'altro, che i limiti posti al potere di recesso del datore di lavoro correggano un disequilibrio di fatto esistente nel contratto di lavoro (Corte costituzionale n. 194/18 punto 9.1). Sebbene il legislatore, in caso di licenziamento invalido, ben possa, «nell'esercizio della sua discrezionalita', prevedere un meccanismo di tutela anche solo risarcitorio-monetario» cio' deve avvenire «nel rispetto del principio di ragionevolezza» (Corte costituzionale n. 194/18 - punto 9.2). Inoltre, «la qualificazione come "indennita'" dell'obbligazione prevista dall'art. 3, comma 1, del decreto legislativo n. 23 del 2015 [e dell'art. 9 in questione] non ne esclude la natura di rimedio risarcitorio, a fronte di un licenziamento» (Corte costituzionale n. 194/18 - punto 10). In particolare la Corte costituzionale afferma che, sebbene la regola generale di integralita' della riparazione e di equivalenza della stessa al pregiudizio cagionato al danneggiato non abbia copertura costituzionale, deve essere «garantita l'adeguatezza del risarcimento» che, «ancorche' non necessariamente riparatorio dell'intero pregiudizio subito dal danneggiato, deve essere necessariamente equilibrato» (punto 12.1). IV.3) La mancata adeguatezza del ristoro nei termini precisati, ad avviso della Corte costituzionale, viola l'art. 3, comma 1, ma anche l'art. 4 e l'art. 35, comma 1 della Costituzione (Corte costituzionale 194/18 - punto 13). Inoltre il mancato adeguato ristoro del pregiudizio patito dal lavoratore per l'ingiustificato licenziamento entra i tensione con il parametro interposto costituito dall'art. 24 della Carta sociale europea secondo cui «l'indennizzo e' congruo se e' tale da assicurare un adeguato ristoro per il concreto pregiudizio subito dal lavoratore licenziato senza un valido motivo» (Corte costituzionale 194/18 - punto 14). IV.4) Un primo argomento a sostegno della irragionevolezza della tutela apprestata per i lavoratori dipendenti da datori di lavoro sotto-soglia e' costituito dalla estrema esiguita' della tutela che non puo' superare le sei mensilita' e non prevede neanche l'alternativa della riassunzione. Quindi una misura che non garantisce un'equilibrata compensazione del risarcimento anche nella prospettiva della non necessaria integrale riparazione del pregiudizio. La misura dell'adeguatezza dell'indennizzo deve tener conto, come rilevato dalla Corte costituzionale, dell'«adeguato contemperamento degli interessi in conflitto» (Corte costituzionale 194/2018 - punto 12.1) ovvero «la liberta' di organizzazione dell'impresa da un lato e la tutela del lavoratore ingiustamente licenziato dall'altro» (Corte costituzionale 194/2018 - punto 12.3). IV.5) Oltre a cio', giova rilevare che, se dal contemperamento delle protezioni costituzionali fra piccole imprese e lavoratori risulti lampante come sia del tutto inadeguata la previsione di un indennizzo cosi' esiguo da parte dell'art. 9 cit., deve anche valutarsi la portata dissuasiva della sanzione. Invero, la Corte costituzionale ha correttamente accostato alla funzione risarcitoria del pregiudizio patito dal dipendente per l'adozione di un atto illecito da parte del datore di lavoro anche la funzione dissuasiva volta ad evitare che il datore assuma tali atti. Quindi, nel contemperamento degli interessi protetti, non solo occorre garantire un adeguato ristoro per il pregiudizio patito dal lavoratore ma anche correggere il disequilibrio di fatto esistente nel contratto di lavoro dissuadendo la parte piu' forte, ovvero il datore di lavoro, anche se impresa minore, dall'adottare un licenziamento ingiustificato che gli costerebbe un'esigua indennita'. Giova riprendere il principio contenuto nell'art. 24 della Carta sociale europea ove si fa esplicito riferimento al «diritto dei lavoratori licenziati senza un valido motivo, ad un congruo indennizzo o altra adeguata riparazione» e la giurisprudenza del Comitato europeo dei diritti sociali che ha espresso un chiaro principio secondo cui il risarcimento per il licenziamento illegittimo deve essere allo stesso tempo proporzionato rispetto alla perdita sofferta dalla vittima e sufficientemente dissuasivo per i datori di lavoro, con l'avvertimento che qualsiasi limite massimo al risarcimento che impedisce che i danni siano commisurati al pregiudizio subito e che non abbiano un carattere sufficientemente dissuasivo e' proibito. IV.6) Fra le decisioni del Comitato europeo dei diritti sociali, pur non assistite, nel sistema nazionale, dalla forza vincolante propria dello ius cogens ma certamente dotate di un peso orientativo soft sull'interpretazione del diritto interno, quella pubblicata l'11 febbraio 2020 (sul reclamo collettivo n. 158/2017) si occupa espressamente anche della disposizione di cui all'art. 9 del decreto legislativo n. 23 del 2015 e si esprime nel modo seguente: «Il Comitato ricorda che, ai sensi della Carta, i lavoratori licenziati senza un valido motivo devono ottenere un indennizzo o un altro risarcimento adeguato. I meccanismi indennitari sono ritenuti conformi alla Carta quando prevedono: il rimborso delle perdite finanziarie subite tra la data del licenziamento e la decisione dell'organo del ricorso; la possibilita' di reintegro del lavoratore e/o indennita' di un importo sufficientemente elevato da dissuadere il datore di lavoro e compensare il danno subito dalla vittima» (punto 87) «... qualsiasi tetto massimo (plafond), che svincola le indennita' scelte dal danno subito e non presenti un carattere sufficientemente dissuasivo, e', in linea di principio, contrario alla Carta, come, in una certa misura, ha gia' espresso la Corte costituzionale nella decisione n. 194/2018» (punto 96) «... in caso di licenziamento illegittimo (...), la vittima ha la scelta tra due opzioni risarcitorie per il danno materiale giudiziario o extra giudiziario limitato da un tetto massimo (plafond) che non copre le perdite finanziarie effettivamente sostenute dalla data del licenziamento. Il Comitato ritiene che le condizioni di ciascuna di queste due opzioni risarcitorie sono tali da incoraggiare, o quanto meno da non dissuadere, il ricorso al licenziamento illegittimo» (punto 101). IV.7) Ne consegue che la disposizione di cui all'art. 9 del decreto legislativo n. 23 del 2015 risulta palesemente viziata per incostituzionalita' nella parte in cui determina un limite massimo del tutto inadeguato e per nulla dissuasivo in caso di licenziamento ingiustificato comminato da un datore di lavoro che non raggiunga i requisiti dimensionali di cui all'art. 18, ottavo e nono comma, della legge n. 300 del 1970. V) L'irragionevolezza del rigido criterio del «numero degli occupati». V.1) Nelle sentenze della Corte costituzionale n. 194/2018 e 150/2020 viene evidenziato come il criterio per la determinazione dell'indennizzo costituito dalla sola anzianita' di servizio sia rigido e, per questo, inadeguato e irragionevole (Corte costituzionale 194/2018 punto 3 e Corte costituzionale 150/2020 punto 11.3). V.2) Afferma la Corte che «nell'appiattire la valutazione del giudice sulla verifica della sola anzianita' di servizio, la disposizione in esame determina un'indebita omologazione di situazioni che, nell'esperienza concreta, sono profondamente diverse e cosi' entra in conflitto con il principio di eguaglianza» mentre «l'adeguatezza deve essere valutata alla luce della molteplicita' di funzioni che contraddistinguono l'indennita' disciplinata dalla legge. Alla funzione di ristoro del pregiudizio arrecato dal licenziamento illegittimo si affianca, infatti, anche quella sanzionatoria e dissuasiva» (Corte costituzionale n. 150/2020 - pp. 12 e 13). V.3) Il sistema di tutele disegnato dall'art. 9, comma 1, decreto legislativo n. 23/2015 che prevede una misura indennitaria ricompresa in un divario fra tre e sei mensilita' risulta talmente limitato da costituire una forma pressoche' uniforme di tutela. Cio' si coglie in maniera molto evidente nei casi, come quello di specie, ove il divario fra il minimo e il massimo e' strettissimo in quanto la misura dell'indennizzo potra' variare fra euro 835,47 ed euro 1.670,94. In questo modo, si riducono in modo apprezzabile sia la funzione compensativa sia l'efficacia deterrente della tutela indennitaria (cfr. Corte costituzionale 150/2020 n. 13.1). V.4) L'argomento di fondo che permea le motivazioni delle sentenze n. 194/2018 e n. 150/2020 e' costituito dal fatto che «in un prudente bilanciamento tra gli interessi costituzionalmente rilevanti, l'esigenza di uniformita' di trattamento e di prevedibilita' dei costi di un atto, che l'ordinamento qualifica pur sempre come illecito, non puo' sacrificare in maniera sproporzionata l'apprezzamento delle particolarita' del caso concreto» risultando necessario consentire al Giudice di utilizzare, «in chiave correttiva», anche altri criteri desumibili dal sistema, facendo espresso richiamo all'art. 18, sesto comma, legge n. 300/1970 e all'art. 8 della legge n. 604 del 1966 e quindi, oltre all'anzianita' di servizio, la gravita' delle violazioni, il numero degli occupati, le dimensioni dell'impresa, il comportamento e le condizioni delle parti. V.5) Al contrario, nel sistema di tutele disegnato dall'art. 9, comma 1, decreto legislativo n. 23/2015, il criterio del numero degli occupati costituisce l'unico effettivo criterio di determinazione dell'indennita'. Esso e' un criterio che non serve ad adeguare l'indennita' bensi' unicamente a limitarla. L'esiguita' dell'intervallo concesso al Giudice nella determinazione dell'indennizzo non consente di valorizzare nessuno degli ulteriori criteri indicati dalla Corte costituzionale sopra indicati. In particolare, trattandosi di licenziamento ingiustificato, nessun rilievo puo' essere dato alla gravita' della violazione il che integra una inosservanza del principio di uguaglianza/ragionevolezza, che conduce a sanzionare in modo pressoche' uguale violazioni non solo produttive di danni diseguali, ma di gravita' che possono essere, a loro volta, totalmente differenti. V.6) In piu' deve rilevarsi come il numero dei dipendenti e' un criterio trascurabile nell'ambito di quella che e' l'attuale economia che, com'e' notorio, ha permesso a un colosso come Instagram di sostenere nel 2015 un'impresa gigantesca con tredici dipendenti mentre, nello stesso periodo, la Kodak, che aveva un'attivita' di impresa analoga, ma analogica e non digitale, aveva 140 mila dipendenti. V.7) Piu' significativo e' invece il criterio delle dimensioni dell'impresa, criterio correttivo per adeguare l'indennizzo al caso concreto, piu' elastico rispetto a quello del solo numero dei dipendenti in quanto riferibile anche ai dati economico/finanziari ricavabili dai bilanci. Questo criterio ben potra' essere utilizzato dal Giudice valorizzandone la portata anche alla luce dell'art. 44 della Costituzione ove e' sancito un principio generale di favore per le piccole imprese. Con la precisazione che da esso, pero', non puo' desumersi l'esclusione di un'adeguata tutela del posto di lavoro (cfr. Corte costituzionale 143/98). V.8) Alla luce di cio', puo' affermarsi che il criterio di determinazione dell'indennita' risarcitoria previsto dall'art. 9, comma 1, decreto legislativo n. 23/2015, non e' affatto idoneo a soddisfare il test di adeguatezza alla stregua dei principi costituzionali (art. 3, comma 1, 4, 35, comma 1, e 117, comma 1, della Costituzione) e sovranazionali (art. 24 della Carta sociale europea). VI) Conclusioni. In conclusione, il licenziamento ingiustificato intimato da un datore di lavoro privo dei requisiti di cui all'art. 18, commi 8 e 9, legge n. 300/1970 integra un illecito che deve dar luogo a un'indennita' «adeguata e personalizzata», ancorche' forfettizzata, secondo la stessa logica che regge le sentenze della Corte costituzionale n. 194/2018 e n. 150/2020. Appare quindi non manifestamente infondata, in rapporto agli articoli 3, comma 1, 4, 35 comma 1, e 44, comma 1, della Costituzione nonche' dell'art. 117, comma 1, della Costituzione in relazione all'art. 24 della Carta sociale europea, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 9, comma 1, del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23, con riguardo alle parole «ove il datore di lavoro non raggiunga i requisiti dimensionali di cui all'art. 18, ottavo e nono comma, della legge n. 300 del 1970, ... l'ammontare delle indennita' e dell'importo previsti dall'art. 3, comma 1, ... e' dimezzato e non puo' in ogni caso superare il limite di sei mensilita'». La questione di legittimita' costituzionale e', oltre che ammissibile, anche rilevante, in quanto la norma positiva di cui si tratta impedisce l'accoglimento della domanda attorea, possibile soltanto attraverso l'eliminazione o l'integrazione della stessa merce' l'intervento della Corte delle leggi;
P. Q. M. Visto l'art. 134 della Costituzione e l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Vista l'istanza formulata dalla difesa di parte ricorrente; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 9, comma 1, del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23, con riguardo alle parole «ove il datore di lavoro non raggiunga i requisiti dimensionali di cui all'art. 18, ottavo e nono comma, della legge n. 300 del 1970, ... l'ammontare delle indennita' e dell'importo previsti dall'art. 3, comma 1, ... e' dimezzato e non puo' in ogni caso superare il limite di sei mensilita'» in rapporto agli articoli 3, comma 1, 4, 35 comma 1 della Costituzione nonche' dell'art. 117, comma 1, della Costituzione in relazione all'art. 24 della Carta sociale europea; Dispone la sospensione del giudizio; Ordina alla cancelleria di notificare la presente ordinanza alle parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' di comunicarla ai Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica; Ordina alla cancelleria di trasmettere gli atti alla Corte costituzionale, unitamente alla prova delle avvenute notificazioni e comunicazioni. Roma, 24 febbraio 2021 Il Presidente di Sezione: Cambria