N. 85 ORDINANZA (Atto di promovimento) 25 marzo 2021

Ordinanza del 25 marzo 2021 del Tribunale di Palermo nel procedimento
penale a carico di L.P. D. 
 
Processo penale - Dibattimento - Contestazione suppletiva di un reato
  concorrente - Facolta' dell'imputato di richiedere  la  sospensione
  del procedimento con messa alla prova - Omessa previsione. 
- Codice di procedura penale, art. 517. 
(GU n.24 del 16-6-2021 )
 
                        TRIBUNALE DI PALERMO 
                        Sezione terza penale 
 
    Il giudice Fabrizio Molinari, esaminati gli atti del procedimento
n. 16213/2015 R.G.N.R. e n. 7344/2017 R.G.T.; 
 
                          Premesso in fatto 
 
    Il pubblico ministero emetteva decreto di  citazione  a  giudizio
nei confronti di L P D , in atti generalizzata, chiamata a rispondere
del seguente reato: 
      «reato p.  e  p.  dall'art.  44  lettera  b)  del  decreto  del
Presidente della Repubblica 380/2001 perche',  quale  proprietaria  e
committente dei lavori nell'immobile sito al terzo piano in ,  Via  ,
distinto in catasto al foglio , particella , sub  ,  in  assenza  del
permesso di costruire, realizzava le seguenti opere abusive: 
        1) l'ampliamento di un vano nella misura di mq. 16,  mediante
la demolizione della muratura di prospetto; 
        2) creazione di un solaio ex novo in travi, tavole  e  guaina
di mq. 30,00 circa; 
        3) realizzazione di due portici in legno per complessivi  mq.
37,00 prospicienti la via , in , in epoca antecedente e  prossima  il
giorno 1° settembre 2015» 
    Dichiarata  l'apertura  del  dibattimento  ed  ammesse  le  prove
richieste dalle parti, nel corso del giudizio veniva escusso un teste
della lista del pubblico ministero ed acquisita documentazione. 
    All'udienza del 29 gennaio 2019 il pubblico ministero  contestava
gli ulteriori seguenti reati: 
      capo b) «reato p. e p. dagli articoli 81 cpv. codice penale, 64
e 71 decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001,  per  avere
realizzato  in  cemento  armato  la  suddetta  opera  edilizia  senza
progetto esecutivo redatto da tecnico abilitato e iscritto all'albo»; 
      capo c) «reato p. e p. dagli articoli 81 cpv. codice penale  65
e 95 decreto del Presidente della Repubblica n.  380/2001  per  avere
iniziato in cemento armato l'opera suddetta omettendo di darne avviso
ai Genio civile competente»; 
      capo d) «reato p. e p. dagli articoli 81 cpv. codice penale  93
e 95 decreto del Presidente della Repubblica n.  380/2001  per  avere
iniziato i lavori abusivi descritti al capo  a)  in  zona  a  rischio
sismico senza averne dato preavviso al sindaco di e  all'ufficio  del
Genio civile di ». 
    All'udienza del 19 marzo 2019, il difensore dell'imputato, munito
di procura  speciale,  avanzava  istanza  di  messa  alla  prova  con
riferimento ai reati oggetto di nuova contestazione. 
    Alla successiva udienza, l'U.E.P.E. di , trasmetteva il programma
di trattamento relativo alla richiesta di  messa  alla  prova  ed  il
giudice riservava la decisione. 
    Cio' posto, evidente che tra  il  reato  oggetto  dell'originaria
contestazione formulata con decreto di citazione diretta a giudizio e
quelli oggetto della contestazione suppletiva effettuata in corso  di
giudizio vi e' connessione ai sensi dell'art. 12 lettera b) codice di
procedura penale, in considerazione dell'omogeneita' delle violazioni
contestate, tutte afferenti la normativa urbanistico-edilizia  e  del
fatto che le condotte hanno interessato il medesimo  immobile  in  un
unitario contesto temporale. 
    Siamo, dunque, nell'ambito della contestazione suppletiva di  cui
all'art. 517 codice di procedura penale. 
    Com'e' noto, l'art. 464-bis, comma 2, codice di procedura  penale
prevede che nel procedimento di citazione diretta a  giudizio,  quale
quello in esame, la richiesta di  sospensione  del  procedimento  con
messa alla prova puo' essere  avanzata  fino  alla  dichiarazione  di
apertura del dibattimento. 
    Detta  disposizione,  tuttavia,  non  consente  la   proposizione
dell'istanza di messa alla prova con riferimento ai reati oggetto  di
nuova contestazione. 
    Si  intende,  dunque,  in  questa  sede  sollevare  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 517 codice di procedura  penale
in relazione agli articoli 3 e 24 della Costituzione, nella parte  in
cui non prevede la facolta' dell'imputato di  richiedere  al  giudice
del dibattimento la  sospensione  del  procedimento  con  messa  alla
prova,  relativamente  al  reato   concorrente   oggetto   di   nuova
contestazione. 
    La questione e' indubbiamente rilevante ai fini del  decidere  in
quanto da essa dipende  l'accoglimento  o  meno  della  richiesta  di
sospensione del procedimento con messa alla prova. 
    E', inoltre, non manifestamente infondata per le ragioni  che  di
seguono si espongono. 
    La   tematica   dei   rapporti   tra   le   nuove   contestazioni
dibattimentali  ed  il  «recupero»,  da  parte  dell'imputato,  della
facolta' di formulare in quella sede  richiesta  di  applicazione  di
riti  alternativi  -  opzioni,  queste,  temporalmente  precluse  dal
raggiungimento   di   uno    stadio    processuale    concettualmente
«incompatibile» con modelli procedimentali ad esso, per  definizione,
«alternativi» - ha formato oggetto di numerosi  interventi  da  parte
della Corte costituzionale, contrassegnati  da  una  linea  evolutiva
ispirata ad una sempre maggiore apertura. 
    L'istituto delle  nuove  contestazioni  dibattimentali  si  pone,
peraltro, in possibile frizione  col  diritto  di  difesa  e  con  le
opzioni relative ai riti alternativi, che di quel diritto sono  parte
essenziale. Rispetto al tema di accusa contestato in dibattimento - e
che costituisce un novum rispetto alla contestazione elevata all'atto
dell'esercizio della azione penale - vengono, infatti, in discorso le
facolta' difensive che l'imputato  avrebbe  potuto  esercitare  prima
della mutatio libelli (basti  pensare,  al  riguardo,  alle  facolta'
difensive esercitabili in sede di  udienza  preliminare  e,  piu'  in
generale, al tema del diritto alla  prova,  anche  nella  prospettiva
delle cosiddette indagini difensive, ignote nella versione originaria
del codice  di  rito),  nonche'  le  preclusioni  che  caratterizzano
l'accesso ai riti speciali. 
    Le nuove contestazioni dibattimentali hanno dunque rappresentato,
proprio sotto quest'ultimo profilo, un vero e proprio punctum dolens,
che ha comportato, sin dai primi  tempi  di  applicazione  del  nuovo
codice di procedura, l'attenzione della Corte,  dal  momento  che,  a
fronte del «nuovo» quadro contestativo, risultavano ormai  spirati  i
termini entro i quali formulare la richiesta di procedimenti speciali
e  dei  meccanismi  di  definizione   anticipata   del   procedimento
(oblazione). Riti e meccanismi che, per giurisprudenza costituzionale
costante  (da  ultimo,  sentenza  n.  141  del  2018),  costituiscono
anch'essi modalita' di esercizio, e tra  le  piu'  qualificanti,  del
diritto di difesa. 
    Per  effetto  delle  nuove  contestazioni  elevate  dal  pubblico
ministero nel corso del  dibattimento,  l'imputato  potrebbe  infatti
trovarsi a dover fronteggiare un'accusa in ordine alla quale  sarebbe
suo interesse chiedere i citati riti  o  meccanismi  alternativi;  ma
tali opportunita' gli sono  normativamente  precluse,  essendo  ormai
decorsi i termini utili per le relative richieste. 
    Da qui, l'avvio di uni  progressivo  percorso  di  riallineamento
costituzionale della disciplina codicistica, le  cui  tappe  salienti
non pare superfluo rievocare. 
    In una prima - e ormai superata  -  fase,  l'atteggiamento  della
Corte costituzionale fu, come e'  noto,  improntato  ad  un  rigoroso
atteggiamento negativo rispetto a possibilita' di «recupero»  postumo
della facolta' di accedere ai riti alternativi, una volta spirato  il
termine «fisiologico» del loro espletamento. 
    La Corte ha, infatti, piu' volte  osservato,  tanto  a  proposito
dell'applicazione di pena concordata quanto a proposito del  giudizio
abbreviato, che l'interesse dell'imputato a beneficiare dei  vantaggi
conseguenti a tali giudizi, in tanto rileva, in quanto  egli  rinunzi
al dibattimento e venga percio' effettivamente adottata una  sequenza
procedimentale che consenta  di  raggiungere  l'obiettivo  di  rapida
definizione   del   processo   perseguito   dal    legislatore    con
l'introduzione di detti riti speciali. 
    Ed ha altresi' ritenuto, piu' specificamente, che la  preclusione
all'ammissione  di   tali   giudizi,   in   caso   di   contestazione
dibattimentale suppletiva, non risultasse irragionevole.  Si  tratta,
infatti - ha  affermato  la  Corte  -  di  un'evenienza  che  non  e'
infrequente in un sistema  processuale  imperniato  sulla  formazione
della prova in dibattimento ed e' - soprattutto  -  ben  prevedibile,
dato lo stretto rapporto intercorrente tra  l'imputazione  originaria
ed il reato connesso; e, per contro, di un'evenienza che preclusa ove
tali riti siano introdotti. 
    Di  conseguenza,  si  osservo',  il  relativo   rischio   rientra
naturalmente nel calcolo in base al quale l'imputato si  determina  a
chiederli o meno, onde egli non ha che da addebitare a  se'  medesimo
le conseguenze della propria scelta (tra le tante,  sentenze  n.  129
del 1993, n. 316 del  1992,  n.  277  e  n.  593  del  1990,  nonche'
l'ordinanza n. 213 del 1992). 
    Il tema, pero', e' stato poco dopo approfonditamente riesaminato,
specie alla luce della «non colpevole inerzia» serbata  dall'imputato
a fronte della  «tardivita'»  della  contestazione  nuova  mossa  dal
pubblico ministero, in quanto  elevata  in  forza  di  elementi  gia'
acquisiti all'atto della contestazione originaria, posta a  base  del
provvedimento dispositivo del giudizio. 
    La giurisprudenza della Corte costituzionale ha cosi' finito  per
«adeguare» gradualmente l'accesso ai riti alternativi,  a  fronte  di
contestazioni  dibattimentali   cosiddette   «patologiche»,   appunto
perche' frutto di un «ritardo» imputabile al pubblico ministero. 
    Gia' con la sentenza n. 265 del 1994,  la  Corte  ha  rivisto  le
proprie  posizioni,  in  caso,  appunto,   di   nuove   contestazioni
«patologiche». Nel frangente, la  Corte  ha  infatti  osservato  che,
poiche' le valutazioni dell'imputato circa la  convenienza  del  rito
speciale  -  giudizio  abbreviato  e  di  applicazione   della   pena
(«patteggiamento»)   -   vengono   indissolubilmente   a   dipendere,
anzitutto, dalla concreta impostazione data al processo dal  pubblico
ministero, e cioe'  dalla  natura  dell'addebito,  quando  non  possa
rinvenirsi  alcun  profilo  di  inerzia  dell'imputato  e  quindi  di
addebitabilita'  al  medesimo   delle   conseguenze   della   mancata
instaurazione del rito differenziato - come nel caso di errore, sulla
individuazione del fatto e del titolo del reato, in  cui  incorso  il
pubblico ministero - risulta lesivo del diritto di difesa  precludere
all'imputato  l'accesso  ai  riti  speciali  a   seguito   di   nuove
contestazioni per fatto diverso o per reato concorrente nel corso del
dibattimento, dal momento che l'imputazione  subisce  una  variazione
sostanziale. E cio', anche nel caso in cui il procedimento  richiesto
dall'imputato sia stato ingiustificatamente  o  erroneamente  negato,
con    la    conseguente    inapplicabilita',    relativamente     al
«patteggiamento», del comma  1  dell'art.  448  codice  di  procedura
penale con riguardo alla nuova contestazione: in tal  modo,  infatti,
risulterebbe inevitabilmente incongrua la pena richiesta,  in  quanto
formulata con riferimento ad imputazione  modificata  nel  corso  del
dibattimento. 
    Tale preclusione - ha osservato  la  Corte  -  risultava  inoltre
censurabile in  riferimento  all'art.  3  Cost.,  venendo  l'imputato
irragionevolmente discriminato, ai fini dell'accesso ai  procedimenti
speciali,  in  dipendenza  della  maggiore  o  minore   esattezza   o
completezza della discrezionale valutazione circa le risultanze delle
indagini preliminari, operata dal pubblico ministero. 
    Conseguentemente, con riguardo al  procedimento  di  applicazione
della pena su richiesta, avendo la Corte gia' affermato che possibile
fare applicazione dell'istituto della  restituzione  nel  termine,  e
quindi non  sussistendo  ostacoli  di  carattere  logico-sistematico,
vennero dichiarati incostituzionali, per violazione degli articoli  3
e 24 Cost., gli articoli 516 e 517 codice di procedura penale,  nella
parte in cui non prevedevano la facolta' dell'imputato di  richiedere
al  giudice  del  dibattimento  l'applicazione  della  pena  a  norma
dell'art. 444 codice di  procedura  penale,  relativamente  al  fatto
diverso o al reato concorrente contestato in dibattimento, quando  la
nuova contestazione concernesse un fatto  che  gia'  risultava  dagli
atti di indagine preliminare al  momento  dell'esercizio  dell'azione
penale, ovvero quando l'imputato avesse tempestivamente e ritualmente
proposto  la  richiesta  di  applicazione  di  pena  in  ordine  alle
originarie imputazioni. 
    Con riferimento al giudizio abbreviato, con la  sentenza  n.  333
del 2009 la Corte ha  ritenuto  costituzionalmente  illegittimo,  per
violazione degli articoli 3 e 24, secondo comma,  Cost.,  l'art.  517
codice di procedura penale, nella  parte  in  cui  non  prevedeva  la
facolta' dell'imputato di richiedere al giudice del  dibattimento  il
giudizio abbreviato relativamente al reato concorrente contestato  in
dibattimento, quando la nuova contestazione concerneva un  fatto  che
gia' risultava  dagli  atti  di  indagine  al  momento  di  esercizio
dell'azione penale. Premesso - rilevo' la Corte - che  il  dubbio  di
costituzionalita'  investiva  la  fattispecie   della   contestazione
suppletiva  tardiva  (derivante,  cioe',  da  un'incompletezza   gia'
apprezzabile  sulla  base  degli  atti  di  indagine  e   non   dalla
fisiologica emersione di nuovi  elementi  nel  corso  dell'istruzione
dibattimentale), e che oggetto di scrutinio era la perdita, da  parte
dell'imputato, della facolta', di  accesso  al  giudizio  abbreviato,
essendo la nuova contestazione intervenuta dopo che  era  spirato  il
termine ultimo di proposizione della  relativa  richiesta,  la  norma
censurata violava gli evocati parametri costituzionali, poiche', come
gia' riconosciuto dalla sentenza n. 265  del  1994,  nell'ipotesi  di
contestazione   dibattimentale   tardiva,   precludere   all'imputato
l'accesso ai  riti  speciali  e'  «lesivo  del  diritto  di  difesa»,
risultando la libera scelta dell'imputato verso il  rito  alternativo
sviata da aspetti di anomalia nella condotta processuale del pubblico
ministero,    collegati    all'erroneita'     o     all'incompletezza
dell'imputazione, riscontrabili sulla base degli  elementi  acquisiti
nel corso delle indagini. 
    Si ritenne anche violato  l'art.  3  Cost.,  «venendo  l'imputato
irragionevolmente discriminato, ai fini dell'accesso ai  procedimenti
speciali,  in  dipendenza  della  maggiore  o  minore   esattezza   o
completezza della discrezionale valutazione  delle  risultanze  delle
indagini preliminari operata dal pubblico  ministero  nell'esercitare
l'azione penale». 
    La dichiarazione di illegittimita' costituzionale, per violazione
degli articoli 3 e 24, secondo comma, Cost., dell'art. 517 codice  di
procedura  penale  comportava  la  dichiarazione  di   illegittimita'
costituzionale consequenziale, ai sensi dell'art. 27 della  legge  11
marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della
Corte costituzionale), dell'art. 516 del medesimo codice, nella parte
in cui non prevedeva  la  facolta'  dell'imputato  di  richiedere  al
giudice del dibattimento  il  giudizio  abbreviato  relativamente  al
fatto  diverso  contestato   in   dibattimento,   quando   la   nuova
contestazione concernesse un fatto che gia' risultava dagli  atti  di
indagine al  momento  di  esercizio  dell'azione  penale  infatti,  i
profili  di  violazione  degli  evocati   parametri   costituzionali,
riscontrabili con riferimento all'ipotesi di contestazione nel  corso
del dibattimento di un reato concorrente, sussistevano,  allo  stesso
modo, anche in rapporto  alla  parallela  ipotesi  in  cui  la  nuova
contestazione dibattimentale consista, ai sensi dell'art. 516  codice
di procedura penale, nella modifica dell'imputazione  originaria  per
diversita' del fatto. 
    Il  progressivo  «sgretolamento»  delle   preclusioni   ai   riti
alternativi in caso di contestazione «patologica» e' stato portato ad
ulteriore stadio con la sentenza n. 184 del 2014,  con  la  quale  e'
stato dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione degli
articoli 3 e 24, secondo comma, Cost., l'art. 517 codice di procedura
penale, nella parte in cui non prevedeva la facolta'  dell'imputa  di
richiedere al giudice del  dibattimento  l'applicazione  di  pena,  a
norma dell'art. 444 codice  di  procedura  penale,  in  seguito  alla
contestazione nel dibattimento di una circostanza aggravante che gia'
risultava  dagli  atti  di   indagine   al   momento   dell'esercizio
dell'azione penale. 
    L'ultimo «tassello» che ha completato l'operazione di  «recupero»
dei riti  alternativi  in  caso  di  contestazioni  «patologiche»  e'
rappresentato dalla sentenza n. 139 del 2015, con la quale  e'  stato
dichiarato  costituzionalmente  illegittimo,  per  violazione   degli
articoli 3 e 24 Cost., l'art. 517 codice di procedura  penale,  nella
parte in cui, nel caso di contestazione di una circostanza aggravante
che gia' risultava dagli atti di indagine al  momento  dell'esercizio
dell'azione  penale,  non  prevedeva  la  facolta'  dell'imputato  di
richiedere  al  giudice  del  dibattimento  il  giudizio   abbreviato
relativamente al reato oggetto della nuova contestazione. 
    Il fulcro delle decisioni di cui  innanzi  si  e'  detto  appare,
dunque, essere concentrato essenzialmente sulla «non addebitabilita'»
all'imputato dello spirare del termine «fisiologico»  per  la  scelta
dei riti alternativi, l'opzione per i quali non puo' non  presupporre
un completamento della imputazione elevata nei suoi  confronti.  Solo
attraverso una esauriente e tempestiva cristallizzazione  del  quadro
di accusa infatti possibile assegnare un termine per  l'esercizio  di
facolta' processuali che - come le scelte sui riti alternativi -  con
quel quadro devono necessariamente misurarsi, traendo  esse  naturale
alimento proprio dalla  natura  e  specificazione  delle  fattispecie
incriminatrici e dalle correlative basi fattuali. 
    La  giurisprudenza  costituzionale  ha  pero'   subito   notevoli
evoluzioni  anche  per  cio'  che  attiene  al  terreno  delle  nuove
contestazioni che nascano da acquisizioni dibattimentali  e,  dunque,
del tutto «fisiologiche» nel quadro della mutatio  libelli.  Il  che,
come  si  rammentato,  costituiva  la  ragione  di  fondo  che  aveva
orientato inizialmente la Corte  ad  escludere  qualsiasi  «recupero»
postumo, sul piano del le  richieste  di  riti  alternativi,  proprio
facendo leva sulla «prevedibilita'» che  l'imputazione  possa  subire
modifiche alla luce della istruzione probatoria dibattimentale. 
    Gia' con la sentenza n.  530  del  1995,  infatti,  la  Corte  ha
dichiarato  costituzionalmente  illegittimo,  per  violazione   degli
articoli 3, primo comma, e  24,  secondo  comma,  Cost.,  l'art.  517
codice procedura penale, nella parte in cui non prevedeva la facolta'
dell'imputato di  proporre  domanda  di  oblazione,  ai  sensi  degli
articoli 162 e 162-bis del  codice  penale,  relativamente  al  reato
concorrente  contestato  in  dibattimento,  in  quanto  -  posto  che
l'istituto dell'oblazione si fonda sia sull'interesse dello Stato  di
definire con economia di tempo e di spesa i procedimenti relativi  ai
reati di minore importanza, sia sull'interesse dei contravventore  di
evitare l'ulteriore corso del procedimento e  la  eventuale  condanna
(con tutte le conseguenze della stessa);  e  comporta,  come  effetto
tipico,  la  estinzione  del  reato  -  la  preclusione  dell'accesso
all'istituto stesso (ed ai connessi benefici), nel  caso  in  cui  il
reato suscettibile di estinzione per oblazione costituisca oggetto di
contestazione  nel  corso  dell'istruzione  dibattimentale  ai  sensi
dell'art. 517  codice  di  procedura  penale,  risultava  lesiva  del
diritto di difesa, nonche' priva di razionale giustificazione. 
    Nel frangente, venne  dichiarato  costituzionalmente  illegittimo
(ai sensi dell'art. 27 della legge n. 87 del  1953),  per  violazione
degli articoli 3, primo comma, e  24,  secondo  comma,  Cost.,  anche
l'art. 516 codice  di  procedura  penale,  nella  parte  in  cui  non
prevedeva la facolta' dell'imputato di proporre domanda di oblazione,
ai sensi degli articoli 162 e 162-bis codice penale, relativamente al
fatto diverso contestato in dibattimento. 
    Il «cammino» della Corte e' poi proseguito con la sentenza n. 237
del  2012,  con  la  quale  e'  stato  dichiarato  costituzionalmente
illegittimo, per violazione degli articoli 3 e 24 Cost.,  l'art.  517
codice di procedura penale, nella  parte  in  cui  non  prevedeva  la
facolta' dell'imputato di  richiedere  al  giudice  del  dibattimento
giudizio abbreviato relativamente al  reato  concorrente  emerso  nel
corso dell'istruzione dibattimentale, che forma oggetto  della  nuova
contestazione. 
    Dopo aver sottolineato  che  la  questione  di  costituzionalita'
aveva  ad  oggetto  la  fattispecie  della  contestazione  suppletiva
«fisiologica»  di  un  reato  concorrente,  vale  a  dire  la   nuova
contestazione in dibattimento di  un  fatto  emerso  solo  nel  corso
dell'istruzione dibattimentale, e che oggetto  di  scrutinio  era  la
perdita,  da  parte  dell'imputato,  della  facolta'  di  accesso  al
giudizio abbreviato, essendo la nuova contestazione intervenuta  dopo
che era spirato il termine  ultimo  di  proposizione  della  relativa
richiesta, la Corte ha ritenuto  che  la  norma  censurata,  valutata
nell'odierno panorama ordinamentale, violasse gli  evocati  parametri
costituzionali, dal  momento  che,  rappresentando  la  contestazione
suppletiva di reato concorrente operata ai sensi dell'art. 517 codice
di  procedura  penale  un  atto  equipollente  agli  atti  tipici  di
esercizio dell'azione penale, il mancato riconoscimento  all'imputato
della facolta' di  optare,  anche  in  tale  caso,  per  il  giudizio
abbreviato era fonte di ingiustificata disparita' di trattamento e di
compressione delle facolta' difensive. 
    Poiche' l'esigenza di corrispettivita' tra riduzione della pena e
deflazione  processuale  non  puo'   prevalere   sul   principio   di
uguaglianza, ne' tantomeno sul diritto di difesa,  e  atteso  che  la
decisione di valersi del giudizio abbreviato  costituisce  una  delle
scelte piu' delicate attraverso le quali  si  esplicano  le  facolta'
defensionali,  allorche'  all'accusa  originaria  ne  venga  aggiunta
un'altra, sia  pure  connessa,  non  possono  non  essere  restituiti
all'imputato termini e condizioni per esprimere le proprie opzioni. 
    Inoltre, l'accesso al rito alternativo per il reato oggetto della
contestazione suppletiva tardiva, anche quando avvenga  in  corso  di
dibattimento, risulta comunque sia idoneo a produrre  un  effetto  di
economia processuale, giacche' consente al giudice  del  dibattimento
di decidere sulla nuova imputazione allo stato degli atti. 
    La declaratoria di incostituzionalita' della norma  censurata  si
imponeva, altresi' - osservo' ancora la Corte - al fine di  rimuovere
la disparita' di trattamento tra giudizio abbreviato e oblazione dopo
che la sentenza  n.  530  del  1995  ha  dichiaralo  l'illegittimita'
costituzionale degli articoli 516 e 517 codice di  procedura  penale,
nella parte in cui  non  prevedevano  la  facolta'  dell'imputato  di
proporre domanda di oblazione relativamente al  fatto  diverso  e  ai
reato concorrente contestati in dibattimento,  indipendentemente  dal
carattere «patologico» o «fisiologico» della nuova contestazione. 
    Un rilievo, quest'ultimo, in forza del quale  la  Corte  si  fece
carico di «armonizzare» fra loro situazioni, scaturite  dalle  stesse
decisioni della Corte, che imponevano  un  necessario  riallineamento
sul piano della  ammissione  ai  riti  alternativi  o  meccanismi  di
soluzione  anticipata  della  regiudicanda;  pena,   altrimenti,   la
evidente compromissione del principio di uguaglianza. 
    Un ulteriore «segmento» inerente al critico rapporto tra  mutatio
libelli e riti alternativi venne rimosso con la sentenza n.  273  del
2014. 
    Con   tale    pronuncia,    infatti,    e'    stato    dichiarato
costituzionalmente illegittimo, per violazione degli articoli 3 e 24,
Cost., l'art. 516 codice di procedura penale, nella parte in cui  non
prevedeva la facolta' dell'imputato  di  richiedere  al  giudice  del
dibattimento il giudizio abbreviato relativamente  al  fatto  diverso
emerso nel corso dell'istruzione dibattimentale,  che  forma  oggetto
della nuova contestazione. Sono,  infatti,  estensibili  osservo'  la
Corte - le considerazioni svolte nella richiamata sentenza n. 237 del
2012 con la quale era stato dichiarato illegittimo l'art. 517  codice
di procedura penale, nella parte in cui non  consentiva  all'imputato
di chiedere il giudizio abbreviato al  giudice  del  dibattimento  in
relazione al reato concorrente oggetto  di  contestazione  suppletiva
«fisiologica», volta, cioe', ad  adeguare  l'imputazione  alle  nuove
risultanze dell'istruzione dibattimentale. 
    Pertanto, anche in rapporto alla contestazione «fisiologica»  del
fatto diverso, l'imputato che subisce la nuova contestazione viene  a
trovarsi in posizione diversa e deteriore - quanto alla  facolta'  di
accesso  ai  riti  alternativi  e  alla  fruizione   della   conciata
diminuzione di pena - rispetto a chi, della stessa imputazione, fosse
stato  chiamato  a  rispondere  sin  dall'inizio.   La   disposizione
censurata, inoltre, determinava - ribadi', ancora una volta, la Corte
-  una  ingiustificata  disparita'  di  trattamento   di   situazioni
analoghe,   tenuto   conto   del   possibile   recupero,   da   parte
dell'imputato, della facolta' di accesso al giudizio  abbreviato  per
circostanze puramente «occasionali» che  determinino  la  regressione
del procedimento, come  nel  caso  in  cui,  a  seguito  delle  nuove
contestazioni, il reato rientri tra quelli per  cui  si  procede  con
udienza preliminare e questa non sia stata tenuta. 
    A   completamento   degli   interventi   che   hanno   preso   in
considerazione il tema delle nuove contestazioni  «fisiologiche»,  va
rammentata la sentenza n. 206  del  2017,  con  la  quale  la  Corte,
rievocando   precedenti   dicta,   ha   dichiarato   l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 516 codice di procedura penale, nella  parte
in cui non prevedeva  la  facolta'  dell'imputato  di  richiedere  al
giudice del dibattimento l'applicazione della pena a norma  dell'art.
444 codice di procedura penale, relativamente al fatto diverso emerso
nel corso dell'istruzione dibattimentale,  che  forma  oggetto  della
nuova contestazione. 
    L'importanza di correlare la domanda di applicazione  della  pena
ad un  quadro  accusatorio  «ben  sedimentato»  giustifica  l'assunto
secondo il quale al «patteggiamento»  non  puo'  essere  riservato  -
proprio sul  terreno  delle  nuove  contestazioni  -  un  trattamento
deteriore rispetto a quello riconosciuto (al  lume  della  richiamata
giurisprudenza costituzionale) al giudizio abbreviato. 
    Con riferimento al rapporto tra nuove contestazioni e  l'istituto
della messa alla prova, deve segnalarsi, in primo luogo  la  sentenza
n. 141 del  2018,  che  costituisce  un  punto  sostanziale  e  quasi
definitivo di «approdo» della giurisprudenza costituzionale,  con  la
quale si e' operato un tendenziale superamento della distinzione  tra
nuove   contestazioni   «fisiologiche»   o   «patologiche»   con   la
declaratoria di illegittimita' costituzionale dell'art. 517 codice di
procedura  penale,  nella  parte  in  cui,  in  seguito  alla   nuova
contestazione  di  una  circostanza  aggravante,  non  prevedeva   la
facolta' dell'imputato di richiedere al giudice del  dibattimento  la
sospensione del procedimento con messa alla prova. 
    L'istituto della messa alla prova, introdotto  con  gli  articoli
168-bis,  168-ter  e  168-quater  del  codice  penale   «ha   effetti
sostanziali, perche'  da'  luogo  all'estinzione  del  reato,  ma  e'
connotato  da  un'intrinseca  dimensione   processuale,   in   quanto
consistente  in  un  nuovo  procedimento  speciale,  alternativo   al
giudizio, nel corso del quale  giudice  decide  con  ordinanza  sulla
richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova  (cfr.
Corte costituzionale sentenza 240 del 2015). 
    Nella pronuncia n, 141 del 2018, la  Corte  ha  sottolineato  che
«[i]n un quadro complessivo di principi, quale quello  che,  come  e'
stato ricordato, si andato delineando  in  modo  sempre  piu'  nitido
attraverso l'evoluzione giurisprudenziale, e' chiaro che, nel caso di
contestazione suppletiva di una circostanza aggravante, non prevedere
nell'art. 517 codice di procedura penale la facolta'  per  l'imputato
di chiedere la sospensione del procedimento con messa alla  prova  si
risolve, come stato ritenuto per il patteggiamento e per il  giudizio
abbreviato, in una violazione degli articoli 3 e 24 Cost.». 
    La Corte ha, infatti,  ribadito  che  «[l]a  richiesta  dei  riti
alternativi  «costituisce  [...]   una   modalita',   tra   le   piu'
qualificanti (sentenza n. 148 del 2004), di esercizio del diritto  di
difesa (ex plurimis, sentenze n. 219 del 2004, n. 70 del 1996, n. 497
del  1995  e  n.  76  del  1993)»  (sentenza  237  del  2012),  e  si
determinerebbe una situazione in contrasto  con  il  principio  posto
dall'art. 3 Cost. se  nella  medesima  situazione  processuale  fosse
regolata diversamente la facolta' di chiederli». 
    D'altra parte, va pure osservato  che  non  avrebbe  alcun  senso
l'aver imposto - anche in ragione di non pochi interventi della Corte
(fra le altre, sentenze n. 201 del 2016, n. 148 del 2004 e n. 497 del
1995) -  la  previsione  dell'avviso  a  pena  di  nullita',  rivolto
all'imputato nei vari atti con i quali  si  dispone  il  giudizio  in
mancanza  di  udienza  preliminare  (a  proposito  di   quest'ultima,
ordinanza n. 309 del 2005), circa la facolta' di richiesta  dei  riti
alternativi, ove ad un siffatto avviso - sanzionato,  se  omesso,  in
modo cosi'  grave,  e,  dunque,  chiamato  a  svolgere  una  funzione
tutt'altro che meramente «didascalica» - fosse correlata una facolta'
processuale  che,  peraltro,  finirebbe  per  risultare   nei   fatti
sostanzialmente elusa, nelle ipotesi in cui i contorni dell'accusa  -
oggetto  e  termine   di   riferimento   delle   «scelte»   difensive
dell'imputato - subiscano in dibattimento («fisiologicamente» o meno)
un  significativo  e  qualificato  mutamento  contenutistico,   senza
offrire una possibilita' di «rinnovare»  quelle  scelte  in  rapporto
alla «novazione» della accusa. 
    La  Corte  ha  avuto  modo  di  puntualizzare,  nella  richiamata
sentenza  n.  141  del  2018,  che  «[i]l  dato  rilevante  [...]  la
sopravvenienza di una contestazione suppletiva, quali che  siano  gli
elementi che l'hanno giustificata, esistenti  fin  dalle  indagini  o
acquisiti nel  corso  del  dibattimento,  ed  e'  ad  essa  che  deve
ricollegarsi  la  facolta'  dell'imputato   di   chiedere   un   rito
alternativo, indipendentemente dalla ragione per cui la richiesta  in
precedenza mancata». 
    Se, dunque, la possibilita' di richiedere i riti  alternativi  si
salda a filo doppio al diritto di difesa - in particolare, al diritto
di scegliere il modello processuale congeniale all'esercizio di  quel
diritto   -   e   se   la   regiudicanda,   nelle   sue    dimensioni
«cristallizzate», a costituire la base su cui  operare  tali  scelte,
non puo' che desumersi la incoerenza con quel  diritto  di  qualsiasi
preclusione che ne limiti l'esercizio concreto, tutte le volte in cui
il sistema ammetta una mutati libelli in sede dibattimentale. 
    All'esito   dell'ampia   digressione   e   ricostruzione,    puo'
chiaramente affermarsi che le medesime  argomentazioni  svolte  dalla
Corte costituzionale nella sentenza n. 141 del 2018 con cui e'  stata
dichiarata l'illegittimita' costituzionale dell'art.  517  codice  di
procedura  penale,  nella  parte  in  cui  non  prevede  la  facolta'
dell'imputato  di  richiedere  ai   giudice   del   dibattimento   la
sospensione del procedimento con messa alla prova relativamente  alla
circostanza aggravante oggetto di nuova contestazione sono del  tutto
sovrapponibili e pertinenti  al  caso,  come  quello  di  specie,  di
richiesta da parte dell'imputato di sospensione del procedimento  con
messa alla prova con riferimento  ai  reati  concorrenti  oggetto  di
nuova contestazione. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Visti gli articoli 134 della Costituzione e  23  della  legge  11
marzo 1953 n. 87, 
      solleva questione di legittimita'. costituzionale, in relazione
agli articoli 3 e 24 della Costituzione, dell'art. 517 del codice  di
procedura  penale  nella  parte  in  cui  non  prevede  la   facolta'
dell'imputato  di  richiedere  al   giudice   del   dibattimento   la
sospensione del procedimento con messa alla prova,  relativamente  al
reato concorrente oggetto di nuova contestazione; 
      sospende il procedimento e dispone  la  immediata  trasmissione
degli atti alla Corte Costituzionale; 
      ordina che a cura della Cancelleria la presente  ordinanza  sia
notificata all'imputata ed a suo difensore, al pubblico  ministero  e
al Presidente del  Consiglio  dei  ministri,  e  che  la  stessa  sia
comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. 
        Palermo, 25 marzo 2021 
 
                                                 Il giudice: Molinari