N. 86 ORDINANZA (Atto di promovimento) 1 febbraio 2021

Ordinanza  del  2  febbraio  2021 del  Tribunale   di   Catania   nel
procedimento civile promosso da Di  Mauro  Giuseppa  Lucia  e  Albana
Vincenzo contro INPS - Istituto Nazionale Previdenza Sociale. 
 
Previdenza e assistenza - Previsione che, a decorrere dal 1°  gennaio
  1996, sono  tenuti  all'iscrizione  presso  una  apposita  Gestione
  separata, presso l'INPS, i soggetti che esercitano per  professione
  abituale, ancorche' non esclusiva, attivita' di lavoro  autonomo  -
  Interventi in materia previdenziale - Norma  di  interpretazione  -
  Obbligo di iscrizione, secondo la giurisprudenza di legittimita', a
  carico degli avvocati del libero foro non iscritti  alla  Cassa  di
  previdenza forense per  mancato  raggiungimento  delle  soglie  (di
  reddito o di volumi di affari) ex art. 22 della legge  n.  576  del
  1980. 
- Legge 8 agosto 1995, n.  335  (Riforma  del  sistema  pensionistico
  obbligatorio e complementare), art. 2, comma 26, come  interpretato
  dall'art. 18, comma 12, del decreto-legge  6  luglio  2011,  n.  98
  (Disposizioni  urgenti   per   la   stabilizzazione   finanziaria),
  convertito, con modificazioni, nella legge 15 luglio 2011, n. 111. 
In via subordinata: Previdenza e assistenza - Interventi  in  materia
  previdenziale - Norma di interpretazione  dell'art.  2,  comma  26,
  della legge n. 335 del 1995 - Obbligo, secondo la giurisprudenza di
  legittimita', di  iscrizione  presso  l'apposita  gestione  INPS  a
  carico degli avvocati del libero foro non iscritti  alla  Cassa  di
  previdenza forense per  mancato  raggiungimento  delle  soglie  (di
  reddito o di volumi di affari) ex art. 22 della legge  n.  576  del
  1980 - Decorrenza per i periodi successivi  all'entrata  in  vigore
  della norma - Omessa previsione. 
- Decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98  (Disposizioni  urgenti  per  la
  stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni,  nella
  legge 15 luglio 2011, n. 111, art. 18, comma 12. 
(GU n.24 del 16-6-2021 )
 
                        TRIBUNALE DI CATANIA 
                           sezione lavoro 
 
    Ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale  (articoli  134
della Costituzione e 23, legge 11 marzo 1953,  n.  87)  emessa  nella
causa civile iscritta al n. 8204/2017 R.G.L. ed in quella alla stessa
riunita iscritta al n. 313/2020 R.G.L.  avente ad oggetto: iscrizione
alla gestione separata ex art. 2, comma 26, legge  n. 335/1995  degli
avvocati non tenuti all'iscrizione alla  cassa  forense  per  mancato
raggiungimento delle soglie (di reddito e di volume d'affari) ex art.
22, legge n. 576/1980; 
    promosse da Giuseppa Lucia  Di  Mauro,  rappresentata  e  difesa,
giusta procura in atti, dall'avv. Maria Grazia Galdino, presso il cui
studio, sito in Giarre, viale Liberta' n. 5/B, e' domiciliata; 
    Vincenzo Albana, rappresentato e difeso, giusta procura in  atti,
dall'avv. Graziella Di Mauro, presso il cui studio, sito in  Catania,
via Principe Nicola n. 59, e' domiciliato; 
    contro  INPS,   rappresentato   e   difeso   dall'avv.   Riccardo
Vagliasindi, domiciliato presso la sede  dell'Avvocatura  provinciale
sita in Catania, piazza della Repubblica, n. 26, per mandato generale
alle liti n. 80974 del 21 luglio 2015, a rogito n. 21569  del  Notaio
dott. Paolo Castellini di Roma. 
1. Premessa. 
    Le  parti  attrici,  avvocati  del   libero   foro   non   tenuti
all'iscrizione alla Cassa di previdenza forense per motivi reddituali
ex art. 22, legge n. 576/1980, hanno  avversato  gli  atti  impugnati
emessi  dall'INPS,  con  i  quali  l'Istituto  ha  intimato  loro  il
pagamento di contributi richiesti ai sensi  dell'art.  2,  comma  26,
legge n. 335/1995  (gestione  separata)  per  periodo  di  competenza
relativo all'anno 2010. 
    In particolare, l'avv. Giuseppa Lucia Di Mauro  ha  agito  contro
l'avviso del 22 giugno 2016, con il  quale  l'INPS,  in  ragione  del
reddito imponibile di euro 4111 maturato da essa ricorrente nel  2010
quale avvocato, le ha comunicato l'iscrizione d'ufficio alla gestione
separata con decorrenza  dal  1  gennaio  2010  e  l'ammontare  degli
importi  conseguentemente  pretesi  per  tale  annualita',   pari   a
complessivi euro 1920,70 (di cui euro 1098,46 a titolo di  contributi
ed euro 822,24 a titolo di sanzioni). 
    Ha dedotto: 1) l'insussistenza dei presupposti  per  l'iscrizione
alla gestione separata ex art. 2, comma 26, legge n. 335/1995, tenuto
conto che la norma di interpretazione autentica di cui  all'art.  18,
comma   12,   decreto-legge   n.   98/2011,   confermerebbe   che   i
professionisti iscritti in albi, che abbiano  peraltro  adempiuto  al
pagamento del contributo integrativo ex art. 11, legge  n.  576/1980,
non  possono  essere  iscritti  presso  la  gestione  separata;  che,
pertanto, la pretesa dell'INPS nei suoi riguardi e' indebita, essendo
essa opponente avvocato iscritto all'albo degli avvocati dal 2009  ed
in regola con il pagamento del  contributo  integrativo  ex  art.  11
legge n. 576/1980 in favore della Cassa forense; 2) in subordine,  la
prescrizione dei crediti; 3) in ulteriore subordine, l'illegittimita'
dell'avviso opposto per difetto dei requisiti fondamentali  dell'atto
amministrativo, in violazione degli  articoli  21-septies,  legge  n.
241/1990, 24 e 97 della Costituzione,  poiche'  il  detto  atto,  non
preceduto dalla comunicazione di avvio dell'inizio del  procedimento,
non  recherebbe  l'indicazione  del  responsabile  del  procedimento,
dell'ufficio ove  e'  possibile  prendere  visione  degli  atti,  del
termine e dell'autorita' per la proposizione  di  eventuali  ricorsi,
ne' conterrebbe l'indicazione dei presupposti di fatto e  di  diritto
su cui si fonda la decisione dell'Istituto. 
    L'avv. Vincenzo Albana,  invece,  ha  agito  contro  l'avviso  di
addebito n. 59320170007816123000, notificato il 4 dicembre 2019,  con
il quale l'INPS, in ragione  del  reddito  imponibile  di  euro  5655
maturato da esso ricorrente nel 2010 quale avvocato, gli ha  intimato
il pagamento in favore della gestione separata della  somma  di  euro
2.743,35 (di cui euro 1511 a titolo di contributi ed euro  1131,06  a
titolo di sanzioni). 
    Ha dedotto l'illegittimita' dell'avviso di addebito, evidenziando
che lo stesso: 1) e' stato notificato mezzo  PEC,  come  allegato  in
formato pdf, non sottoscritto con firma digitale; 2)  e'  relativo  a
somme prescritte ex art. 3, comma 9, legge n.  335/1995;  3)  sarebbe
stato  emesso  dopo  che  l'ente   previdenziale   sarebbe   decaduto
dall'iscrizione  al  ruolo   ex   art.   25, legge   n. 46/1999;   4)
erroneamente richiede somme a titolo di  contributi,  posto  che  non
sarebbe stata superata la soglia reddituale minima  fissata  in  euro
5000, al di  sotto  della  quale  non  opererebbe  l'iscrizione  alla
gestione separata. 
    In entrambi i giudizi si e'  costituito  l'INPS,  il  quale,  nel
merito, ha sostenuto l'infondatezza dei ricorsi. 
    Al riguardo, ha  allegato  che,  nell'ambito  dell'operazione  di
verifica denominata «Poseidone», iniziata  nel  corso  del  2009,  ha
proceduto ad  iscrivere  d'ufficio  alla  gestione  separata  di  cui
all'art. 2, comma 26, legge n. 335/1995, a decorrere dal  1°  gennaio
2004, i soggetti che avevano dichiarato redditi  nel  quadro  RE  del
Mod.  Unico  PF  per  relativo  anno   d'imposta,   in   assenza   di
contribuzione alla suddetta gestione. 
    Ha  evidenziato  che  l'interpretazione  sostenuta  dalle   parti
ricorrenti risulta contrastare con l'art. 18, comma 12, decreto-legge
n. 98/2011 (conv. in legge n. 111/2011). Tale  disposizione,  secondo
l'Istituto, avrebbe individualo con chiarezza  le  due  categorie  di
lavoratori autonomi soggetti all'iscrizione  alla  gestione  separata
INPS, ovverosia: 
        a) i soggetti che svolgono attivita' il cui esercizio non sia
subordinato all'iscrizione in albi,  e  che  pertanto  siano  carenti
anche di  un  ente  preposto  alla  realizzazione  di  una  copertura
previdenziale; 
        b) i soggetti che  svolgono  attivita'  che,  pur  prevedendo
l'iscrizione  ad  un  albo,  non  siano  tenuti  al  versamento   dei
contributi c.d. soggettivi ai corrispondenti enti di previdenza. 
    L'INPS, quindi, ha osservato che le parti ricorrenti,  in  quanto
regolarmente iscritte all'albo professionale  degli  avvocati  e  non
assoggettate   all'obbligo   del   pagamento   della    contribuzione
soggettiva,  sono  state  legittimamente   iscritte   alla   gestione
separata. 
    Ha, quindi, chiesto: 1) l'accertamento della  legittimita'  degli
atti impugnati, con la loro conferma, ovverosia l'accertamento  della
legittimita'  dell'iscrizione  disposta   d'ufficio   alla   gestione
separata delle parti ricorrenti e del conseguente credito vantato  da
esso istituto; 2)  in  subordine  ed  in  ogni  modo,  l'accertamento
dell'obbligo  contributivo  gravante  sulle  parti  ricorrenti,  come
quantificato negli atti  impugnati,  con  condanna  degli  stessi  al
pagamento di quanto dovuto. 
    Nel corso del processo, le parti sono state invitate a  discutere
dei possibili dubbi di costituzionalita' della normativa  riguardante
la gestione separata dell'INPS. 
    All'udienza  del  23  dicembre  2020,   veniva   acquisita   nota
informativa dalla Cassa di previdenza forense  che  evidenziava,  per
quanto qui di interesse, che, nel regime  previgente  alla  legge  n.
247/2012, l'avvocato che non avesse maturato redditi pari o superiori
a quelli previsti dall'art. 22, legge n. 576/1980, e che  dunque  non
incorreva   nell'obbligo   di   iscrizione,    poteva    cionondimeno
facoltativamente iscriversi a detto ente, a domanda. 
    A scioglimento della riserva assunta in entrambi i  procedimenti,
previa loro riunione, si ritiene che gli stessi  non  possano  essere
decisi senza lo scrutinio di costituzionalita',  in  via  principale,
dell'art. 2, comma 26, legge n. 335/1995, come interpretato dall'art.
18, comma 12, decreto-legge n. 98/2011, nella parte  in  cui  prevede
l'obbligo di iscrizione alla gestione separata dell'INPS ex  art.  2,
co.mma 26, legge n. 335/1995 a carico degli avvocati del libero foro,
non obbligati all'iscrizione alla Cassa  di  previdenza  forense  per
mancato raggiungimento delle  soglie  (di  reddito  o  di  volumi  di
affari) ex art. 22, legge n. 576/1980, ovvero,  in  via  subordinata,
dell'art. 18, comma 12, decreto-legge n. 98/2011, nella parte in  cui
non prevede che il predetto obbligo di iscrizione  decorra,  in  ogni
modo, solo per i periodi successivi alla sua entrata in vigore. 
    In ordine alla possibilita' del giudice rimettente di prospettare
in  termini  gradatamente  sequenziali,  e  quindi   subordinati,   i
possibili esiti dello scrutinio di costituzionalita', si rinvia  alla
giurisprudenza costituzionale (ex  multis,  Corte  costituzionale  27
luglio 2018, n. 175; 10 luglio 2019, n. 170). 
2. Rilevanza. 
    Appare necessario procedere, innanzitutto,  alla  disamina  delle
questioni pregiudiziali  e  preliminari  e  del  quadro  normativa  e
giurisprudenziale applicabile. 
2.1 Disamina delle questioni pregiudiziali e preliminari. 
    Nessuno dei motivi  di  difesa,  sia  delle  parti  attrici,  sia
dell'INPS,  diversi  da  quelli  inerenti  all'applicabilita'   delle
disposizioni di cui agli articoli 2, comma 26, legge n. 335/1995, 18,
comma 12, decreto-legge n. 98/2011, appaiono assorbenti ed  in  grado
di risolvere i riuniti processi indipendentemente dalle questioni  di
costituzionalita' che vengono  sollevate,  la  cui  verifica  appare,
pertanto, indispensabile per la decisione. 
    Per quanto concerne il ricorso promosso dall'avv. Di Mauro  G.L.,
appare  innanzitutto   infondato   il   motivo   sub   2),   relativo
all'eccezione di prescrizione. 
    Ed  invero,  pur  aderendo  questo  ufficio  all'orientamento  di
legittimita' secondo cui la prescrizione dei contributi  dovuti  alla
gestione separata decorre dal momento in cui scadono i termini per il
relativo versamento (in tal senso, si rinvia a quanto  gia'  statuito
da Cass. Sez. lav. 31 ottobre 2018, n. 27950),  si  rileva  che,  nel
caso  di  specie,  la  prescrizione  e'  stata  utilmente  interrotta
dall'INPS attraverso la notifica dell'atto opposto, avvenuta per come
e' pacifico il 4 luglio 2016, prima  dello  spirare  del  termine  di
prescrizione quinquennale ex art. 3, comma 9, legge n. 335/1995. 
    Occorre, sul punto, ricordare che, per l'anno di imposta 2010, il
versamento del saldo era fissato  al  6  luglio  2011  come  previsto
dall'art. 1 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri  12
maggio 2011, recante il «Differimento, per l'anno 2011, di termini di
effettuazione dei versamenti dovuti  dei  contribuenti,  nonche'  dei
termini previsti dagli articoli 16 e 17 del decreto  ministeriale  31
maggio 1999, n. 64, relativi  agli  adempimenti  delle  dichiarazioni
modello 730/2011» (Gazzetta Ufficiale n. 111 del 14 maggio 2011), con
conseguente  slittamento  del  termine  per  la   maturazione   della
prescrizione al 6 luglio 2016. 
    Appare parimenti  infondato  anche  il  motivo  dedotto  sub  3),
relativo alla presunta  illegittimita'  dell'atto  opposto  per  vizi
dell'atto amministrativo, posto che l'atto gravato e' un mero  avviso
bonario,  si  limita  a  comunicare  alla  parte  ricorrente  la  sua
iscrizione presso la gestione separata, con l'invito a  corrispondere
quanto dovuto, e non riveste quindi  i  connotati  del  provvedimento
amministrativo. 
    Non si ravvisano motivi formali, pertanto, per invalidare la nota
gravata, i cui eventuali vizi, peraltro, non.  farebbero  venir  meno
l'obbligo del giudice di verificare la  sussistenza.  del  fondamento
credito contributivo, analogamente  ai  casi  in  cui  sia  ravvisata
l'invalidita' formale del ruolo (sul punto, tra le tante, Cass.  civ.
Sez. lavoro, Ord., 23 gennaio 2020, n. 1558, piu' ampiamente  infra),
atteso  che  l'azione  intrapresa   dalla   parte   ricorrente   deve
qualificarsi come azione di accertamento negativo del credito vantato
dall'ente previdenziale. 
    L'INPS  del  resto,  nelle  proprie  conclusioni,  in   subordine
rispetto alla domanda di accertamento della legittimita'  degli  atti
opposti, ha chiesto l'accertamento  dell'obbligo  contributivo  e  la
condanna della parte al pagamento dei contributi richiesti, e cio'  -
in forza della gia' citata giurisprudenza di legittimita' - evidenzia
la sussistenza dell'obbligo del giudice di  pronunziarsi  in  merito,
indipendentemente dalla validita' formale dell'atto. 
    Il rimanente motivo  dedotto  sub  1),  relativo  ai  presupposti
fattuali e normativi per l'iscrizione alla gestione separata ex  art.
2, comma  26,  legge  n.  335/1995,  presuppone  la  soluzione  delle
questioni di costituzionalita', posto che, come si  dira'  ampiamente
nel prosieguo, parte ricorrente risulta aver esercitato  abitualmente
la professione di avvocato, senza essere iscritta alla Cassa  forense
per motivi reddituali, e la pacifica giurisprudenza  di  legittimita'
ritiene in tal caso applicabile la normativa in questione. 
    Appaiono inidonee ad assorbire le questioni di  costituzionalita'
proposte anche le eccezioni formulate in  seno  al  ricorso  promosso
dall'avv.to Albana V.,  rubricate  ai  motivi  1),  2),  3),  4)  del
ricorso. 
    I motivi sub 1) e 3), attinenti all'asserito difetto di validita'
formale del titolo (mancata sottoscrizione  digitale  dell'avviso  di
addebito in quanto notificato quale allegato PEC in formato pdf,  non
sottoscritto digitalmente; decadenza ex art. 25, decreto  legislativo
n. 46/1999), appaiono innanzitutto tardivi, in quanto  qualificabili,
a differenza degli altri,  come  motivi  di  opposizione  «agli  atti
esecutivi», recando censure di carattere formale  del  titolo  o  del
processo di notificazione dello stesso, che  non  riguardano  il  suo
fondamento. 
    Il termine per proporre opposizione agli  atti  esecutivi  e'  di
venti  giorni,  come  previsto  dall'art.  617  c.p.c.,  quest'ultimo
richiamato dall'art. 29, decreto legislativo 26 febbraio 1999, n. 46,
secondo cui «le opposioni all'esecuzione ed agli  atti  esecutivi  si
propongono nelle forme ordinarie» (1) 
    Nel caso di specie, il ricorso, depositato il 13 gennaio 2020, e'
stato proposto oltre il ventesimo  giorno  dalla  notifica  dell'atto
opposto, avvenuta mezzo PEC il 4 dicembre 2019, come gia' evidenziato
nell'ordinanza emessa nel corso del processo il 29 maggio 2020. 
    Va, in secondo luogo, evidenziato che,  anche  in  caso  di  loro
ammissibilita' e fondatezza, i dedotti  vizi  formali  non  farebbero
venir  meno  l'obbligo  del  giudice  di  accertare  la   sussistenza
dell'obbligo contributivo,  alla  stregua  dei  principi  evidenziati
dalla giurisprudenza della Suprema Corte gia' citata (di  cui  adesso
si riportano alcuni brani motivazionali), secondo  cui  «la  ritenuta
illegittimita' del procedimento d'iscrizione a  ruolo  non  esime  il
giudice dall'accertamento, nel merito, della fondatezza  dell'obbligo
di pagamento dei premi e/o contributi (v., da ultimo, Cass. n.  12025
del 2019  e  i  precedenti  ivi  richiamati)»,  e  cio'  poiche'  «un
eventuale vizio formale della cartella  o  il  mancato  rispetto  del
termine  di  decadenza  previsto  ai  fini  dell'iscrizione  a  ruolo
comporta soltanto l'impossibilita', per l'istituto, di avvalersi  del
titolo esecutivo, ma non lo  fa  decadere  dal  diritto  di  chiedere
l'accertamento, in sede giudiziaria, dell'esistenza e  dell'ammontare
del proprio credito», ricorrendo i medesimi  principi  che  governano
l'opposizione al decreto ingiuntivo (Corte di Cassazione - Sez.  lav.
Ord., 23 gennaio 2020, n. 1558). 
    Anche  nel  caso  di  specie,  peraltro,  l'INPS,  nelle  proprie
conclusioni, ha chiesto non solo la conferma degli atti  opposti,  ma
anche, in via subordinata, l'accertamento  del  credito  contributivo
reclamato, indipendentemente dalla legittimita' formale degli atti. 
    Cio' impone la verifica  della  sussistenza  del  fondamento  del
detto  credito,  avendo,   peraltro,   la   Corte   evidenziato   che
«l'opposizione contro la cartella esattoriale di pagamento emessa per
la riscossione di contributi previdenziali da' luogo ad  un  giudizio
ordinario di cognizione su diritti e obblighi  inerenti  al  rapporto
contributivo, con la conseguenza che, per essere oggetto del giudizio
l'obbligazione  contributiva,   nell'an   e   nel   quantum,   l'ente
previdenziale  convenuto  puo'  limitarsi  a  chiedere   il   rigetto
dell'opposizione o  chiedere  anche  la  condanna  dell'opponente  al
pagamento del credito di cui  alla  cartella,  in  quest'ultimo  caso
senza che ne risulti mutata la domanda (v., per tutte, Cass. n.  3486
del 2016 e successive conformi), cosi' come se all'esito del giudizio
di opposizione il credito contributivo accertato  risulti  in  misura
inferiore a quella azionata dall'istituto, il giudice dovra' non gia'
accogliere  sic   et   simpliciter   l'opposizione,   ma   condannare
l'opponente a pagare la minor somma» (Corte di Cassazione - Sez. lav.
Ord., 23 gennaio 2020, n. 1558 cit.). 
    Tali  principi  appaiono  applicabili  anche  in   relazione   al
denunziato vizio della mancata  sottoscrizione  digitale  dell'avviso
opposto, in quanto notificato mezzo PEC, come mero  allegato  in  pdf
non sottoscritto digitalmente, dato  che  l'invalidita'  dedotta  non
puo' far venir meno l'obbligo contributivo ed il dovete  del  giudice
di procedere al relativo accertamento. 
    Del resto, il motivo appare anche infondato, tenuto  conto  della
giurisprudenza della Suprema Corte, secondo cui «In caso di  notifica
a mezzo PEC, la copia  su  supporto  informatica  della  cartella  di
pagamento, in  origine  cartacea,  non  deve  necessariamente  essere
sottoscritta con firma digitale, in assenza di prescrizioni normative
di segno diverso» (Cass. civ. Sez.  V  Ord.,  27  novembre  2019,  n.
30948). La stessa Corte di legittimita' ha anche evidenziato  che  il
difetto di sottoscrizione del titolo  notificato  (ruolo  o  cartella
esattoriale) non incide sulla sua validita' (Cass. civ. Sez. VI  -  5
Ord., 3 ottobre 2016, n. 19761). 
    I motivi sub 1) e 3) appaiono quindi  inidonei  ad  assorbire  le
questioni proposte. 
    Il motivo dedotto al n. 2), attinente alla prescrizione, sia  pur
tempestivamente  dedotto  poiche'  qualificabile   come   motivo   di
opposizione «al ruolo» ex art. 24, comma 5,  decreto  legislativo  n.
46/1999, e proposto entro il quarantesimo  giorno  utile  (come  gia'
precisato, il ricorso  e'  stato  depositato  telematicamente  il  13
gennaio 2020, mentre la  notifica  PEC  dell'avviso  di  addebito  e'
avvenuta 4 dicembre 2019), appare infondato. 
    In base ai principi sopra richiamati (Cass. Sez. lav. 31  ottobre
2018, n. 27950 cit.) ed al termine  di  scadenza  del  pagamento  dei
contributi per l'anno 2010,  fissato  dall'art.  1  del  decreto  del
Presidente del Consiglio dei ministri 12  maggio  2011  al  6  luglio
2011, si rileva che la prescrizione quinquennale ex.  art.  3,  comma
9, legge n. 335/1995, decorrente dalla suddetta  data  del  6  luglio
2011,  e'  stata  utilmente  interrotta  dall'INPS  con  la  notifica
dall'avviso bonario ricevuto dal ricorrente - come risulta dagli atti
- in data 1° luglio 2016. 
    La notifica dell'avviso di addebito del 4 dicembre 2019,  dunque,
e'  intervenuta  prima  dello  spirare  del  successivo  termine   di
prescrizione. 
    Infine, appare infondato gia' in punto di fatto anche il  emotivo
dedotto al n. 4),  attinente  al  mancato  superamento  della  soglia
reddituale pari ad euro 5000 ed alla presunta inapplicabilita' in tal
caso della normativa sulla gestione separata (anch'esso qualificabile
come opposizione al ruolo e, dunque, da ritenersi tempestivo  per  le
medesime ragioni gia' espresse con riferimento al motivo sub 2)). 
    Ed invero, dagli atti si rileva  che  parte  ricorrente,  per  il
periodo di competenza (anno 2010), ha maturato un reddito  imponibile
superiore a detta soglia, pari  ad  euro  5655  (cfr.  documentazione
prodotta da INPS). 
    Inoltre,  a  fronte  dell'iscrizione  d'ufficio   alla   gestione
separata, motivata dall'esercizio abituale di arti e professioni, non
ha contestato il  carattere  abituale  dell'esercizio  della  propria
professione. 
    Non ha, dunque, dedotto di aver esercitato  la  professione  solo
occasionalmente. 
    Il  requisito  dello  svolgimento  abituale  della   professione,
pertanto, puo' ritenersi un dato pacifico e non posto in discussione. 
    Alla luce di quanto  premesso,  appare  evidente  che  anche  nel
giudizio  promosso  dall'avv.  Albana,  al  fine  di  verificare   la
legittimita' della  richiesta  formulata  dall'Istituto  sia  con  la
notifica dell'avviso di addebito, sia con  le  conclusioni  poste  in
rassegna nell'atto di costituzione (laddove si richiede espressamente
l'accertamento della legittimita' dell'atto  impugnato,  nonche'  del
fondamento  dell'obbligo  contributivo  posto  a  carico   di   parte
ricorrente), risulta indispensabile verificare  la  costituzionalita'
delle norme impugnate con la presente ordinanza. 
    Vanno, infine, rigettate le richieste ed  eccezioni  preliminari,
per lo piu' di mero stile, sollevate dall'INPS. 
    Quanto al procedimento promosso dall'avv. Di  Mauro  si  rilevano
innanzitutto le richieste di verifica  della  giurisdizione  e  della
competenza, nonche' di accertamento della «eventuale  nullita'  e/  o
inesistenza della notifica». 
    Tali richieste sono infondate, posto che  la.  domanda,  vertendo
materia di contributi previdenziali  richiesti  a  lavoratori  liberi
professionisti,  derivanti  dall'applicazione  di  norme  riguardanti
forme  di  previdenza  e  assistenza  obbligatorie,   rientra   nella
giurisdizione del giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro
ex art. 442, codice di procedura civile (ex multis, Cass.  sez.  lav.
18 marzo 2002, n. 1821; S.U. 4 marzo 1988,  n.  2264)  e,  risiedendo
parte ricorrente in Piedimonte Etneo (CT), comune del circondario  di
questo   ufficio,   e'    stata    proposta    innanzi    all'ufficio
territorialmente competente, ai sensi dell'art. 444, 1° comma, codice
di procedura civile. 
    Risulta, poi, dagli atti la rituale notifica  del  ricorso  (cfr.
fascicolo telematica parte ricorrente, deposito del 23 aprile  2018),
sicche' anche la richiesta a tal fine formulata dall'INPS - del resto
costituitosi tempestivamente, con ampie ed articolate difese - appare
del tutto priva di ragione. 
    Si rileva, inoltre, che il ricorso non e' stato mai delegato, per
la sua trattazione o decisione, ad alcuno dei magistrati  onorari  in
servizio presso questo ufficio,  sicche'  e'  priva  di  interesse  e
rilevanza anche l'istanza di verifica delle ipotesi di astensione  ex
art.   51,   codice   di procedura   civile,   formulata   dall'INPS,
«nell'ipotesi di delega a GOT», in ordine alla  «insussistenza  delle
ipotesi di astensione di cui all'art. 51, codice di procedura civile,
anche in relazione a quanto  disposto  dal  decreto  legislativo,  n.
116/2017 in ordine alla tutela  previdenziale  ed  assistenziale  dei
magistrati onorari». 
    Si da' atto, infine, dell'infondatezza dell'eccezione di  difetto
di legittimazione passiva formulata dall'INPS  poiche'  «ex  art.  1,
comma 415, legge n. 311 /2004, le modalita' di recupero del  credito,
nonche'  le  azioni  cautelali   o   conservative   successive   alla
notificazione della cartella esattoriale e/o dell'avviso di addebito,
sono di esclusiva competenza del Concessionario». Nel caso di specie,
infatti, il ricorso riguarda l'avviso  bonario  notificato  dall'INPS
anteriormente alla notifica dell'avviso di addebito, e non gia'  atti
cautelaci o esecutivi successivi a quest'ultimo  del  concessionario;
sussiste  pertanto  la  piena  ed  esclusiva  legittimazione  passiva
dell'Istituto   in   merito   all'accertamento   della    sussistenza
dell'obbligo contributivo (ex  multis,  Cassazione  -  Sez.  lav.  12
maggio 2008 n. 11687). 
    Quanto al procedimento promosso dall'avv. Albana, si  ribadiscono
i  rilievi  gia'  formulati  in  merito   alle   analoghe   richieste
preliminari  formulate  dall'Istituto  in  punto  di   giurisdizione,
competenza e notifica, eventuale ipotesi di astensione  ex  art.  51,
codice di procedura  civile,  del  giudice  onorario,  posto  che  il
ricorso,  per  i  motivi  gia'  esposti  e  considerando  che   parte
ricorrente e' residente in Catania, e'  proposto  innanzi  a  giudice
avente giurisdizione e competente ai sensi degli articoli  442,  444,
1° comma, codice di procedura civile. 
    Inoltre, anche il  ricorso  in  scrutinio  e'  stato  ritualmente
notificato, come da documentazione prodotta telematicamente  in  data
26 maggio 2020, e la sua trattazione non e'  stata  mai  delegata  al
giudice onorario. 
    Si rileva, ancora, l'infondatezza  dell'eccezione  di  tardivita'
del ricorso, nella parte in cui e' qualificabile come opposizione  al
ruolo ex art. 24, comma 5, decreto legislativo n. 46/1999, posto  che
la notifica mezzo PEC dell'atto opposto  e'  stata  effettuata  il  4
dicembre 2019 ed il ricorso e' stato depositato telematicamente il 13
gennaio 2020, quarantesimo ed ultimo giorno utile:  la  data  del  14
gennaio  2020,  indicata   dall'INPS   nella   propria   memoria   di
costituzione a sostegno  dell'eccezione,  riguarda  l'adempimento  di
cancelleria dell'iscrizione al ruolo  (avvenuta  un  giorno  dopo  il
deposito) e non puo' pertanto incidere ai fini della tempestivita'. 
    Risulta, dunque, rispettato il  termine  previsto  dall'art.  24,
comma  5,  decreto  legislativo  n.  46/1999,  secondo  cui,  «contro
l'iscrizione a molo il  contribuente  puo'  proporre  opposizione  al
giudice del lavoro entro il termine di quaranta giorni dalla notifica
della cartella  di  pagamento.  Il  ricorso  va  notificato  all'ente
impositore». 
    Per completezza, va poi rilevato che il  pregresso  tentativo  di
notifica per mezzo di raccomandata A/R  non  risulta  andato  a  buon
fine, come risulta dalla stessa PEC inviata dall'Istituto alla  parte
attrice il 4 dicembre 2019, ove si da'  atto  che  «si  trasmette  in
allegato, coon valore  di  notifica,  l'avviso  di  addebito  di  cui
all'oggetto, formato il  9  dicembre  2017,  precedentemente  inviato
tramite raccomandata A/R risultata non consegnata»  (v.  allegati  al
ricorso introduttivo, sub «notif.pdf»). 
    In conclusione, nessuna delle  difese  spiegate  dalle  parti  e'
idonea a consentire la decisione dei giudizi indipendentemente  dalle
questioni di costituzionalita'  che  si  sollevano  con  la  presente
ordinanza. 
2.2. Ricostruzione normativa e giurisprudenziale. 
    Al fine di dimostrare la rilevanza e non  manifesta  infondatezza
delle questioni, appare utile effettuare una breve ricostruzione  del
quadro normativa e giurisprudenziale. 
    Nel periodo di  competenza  dei  contributi  richiesti  dall'INPS
(anno 2010), il regime previdenziale forense risulta  regolato  dalle
disposizioni della legge n. 576/1980, recante le norme sulla «Riforma
del sistema previdenziale forense» (nella  Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica  italiana del  27  settembre  1980,  n.  266),  per   come
temporalmente applicabili e  vigenti  prima  dell'entrata  in  vigore
dell'art. 21, comma 8, legge 31 dicembre 2012, n. 247 (nella Gazzetta
Ufficiale della  Repubblica  italiana -  18  gennaio  2013,  n.  15),
recante  la  «Nuova  disciplina  dell'ordinamento  della  professione
forense» (con la quale e' stato stabilito che  l'iscrizione  all'albo
degli avvocati  implica  la  contestuale  iscrizione  alla  cassa  di
previdenza forense). 
    Dal complesso delle  disposizioni  ratione  temporis  applicabili
della legge n. 576/1980 e, in particolare, dall'art. 22 della stessa,
si evince che l'iscrizione alla Cassa di previdenza forense -  a  cui
si  ricollega  l'obbligo  del  pagamento  del  contributo  soggettivo
previsto dall'art. 10 - e' obbligatoria  solo  per  gli  «avvocati  e
procuratori che esercitano la libera  professione  con  carattere  di
continuita', ai sensi dell'art. 2 della legge 22 luglio 1975, n. 319»
(art. 22, comma 1). 
    L'obbligo   di   iscrizione,   in   particolare,   sorge   quando
l'interessato abbia raggiunto «il minimo di reddito o  di  volume  di
affari, di natura professionale, fissati dal  comitato  dei  delegati
per l'accertamento  dell'esercizio  continuativo  della  professione»
(art. 22, cornma 2) (2) 
    In caso di infrazione,  l'interessato,  che  non  abbia  proposto
domanda nei termini fissati, viene iscritto  d'ufficio  dalla  Giunta
esecutiva, secondo quanto previsto dall'art. 22, comma  2,  legge  n.
576 cit.. 
    La legge  assegna  espressamente  al  Comitato  dei  delegati  il
compito di provvedere periodicamente (ogni cinque anni) «ad adeguare,
se necessario, i  criteri  per  accertare  l'esercizio  della  libera
professione ai sensi dell'art. 2, primo comma, della legge 22  luglio
1975, n. 319» (art. 22, comma 3) ed esclude  che  possano  iscriversi
alla Cassa di previdenza «gli avvocati e  i  procuratori  che,  quali
iscritti agli elenchi speciali, esercitano la professione nell'ambito
di un rapporto di impiego» (art. 22, comma 5). 
    L'art. 22, comma 6, stabilisce poi che «L'iscrizione  alla  Cassa
e' facoltativa per i praticanti abilitati al patrocinio». 
    In assenza di  un  espresso  divieto,  deve  ritenersi  del  pari
consentita  l'iscrizione   facoltativa   degli   avvocati   che   non
raggiungano le soglie di reddito o di  volume  d'affari  previste  ai
fini dell'iscrizione obbligatoria. 
    In tal senso, si pone anche l'informativa giunta con  nota  della
Cassa di previdenza forense  del  23  dicembre  2020,  prot.  504628,
acquisita telematicamente in pari data ed in atti, secondo cui  prima
dell'entrata in vigore del regolamento di  attuazione  dell'art.  21,
commi  8  e  9,  legge  n.  247/2012  «l'iscrizione alla  Cassa   era
facoltativa e, a domanda, nei  casi  in  cui  il  professionista  non
raggiungesse una soglia minima di reddito o di volume  d'affari  IVA,
di natura  professionale,  fissati  dal  comitato  dei  delegati  per
l'accertamento dell'esercizio continuativo della professione». 
    In tale quadro ordinamentale, gli avvocati iscritti alla Cassa di
previdenza o che sono obbligati all'iscrizione  devono  corrispondere
il contributo soggettivo previsto e regolato dall'art. 10,  legge  n.
576 cit. («Il contributo soggettivo obbligatorio  a  carico  di  ogni
iscritto alla Cassa e di ogni iscritto agli albi professionali tenuto
all'iscrizione  e'  pari...»),  mentre  il   contributo   integrativo
previsto e regolato dall'art. 11 viene posto a carico di  tutti  «gli
iscritti agli albi di avvocato», nonche'  a  carico  dei  «praticanti
avvocati iscritti alla Cassa». 
    L'ordinamento   previdenziale    forense,    pertanto,    esonera
espressamente gli avvocati non iscritti alla Cassa di  previdenza,  e
che  non  incorrono  nell'obbligo  di  iscrizione,  dall'obbligo   di
pagamento di contributi diversi da quello integrativo di cui all'art.
11. 
    Il pagamento del contributo soggettivo e l'iscrizione alla  cassa
assumono rilevanza  ai  fini  del  riconoscimento  delle  prestazioni
previste dalla legge  n.  576/1980,  nei  termini  specificati  dagli
articoli  2,  3,  4,  5  della  legge cit.  (pensione  di  vecchiaia,
anzianita', inabilita', invalidita'). 
    Il pagamento del contributo integrativo, da parte degli  avvocati
non iscritti alla  Cassa,  assume  rilevanza  mutualistica  ai  sensi
dell'art. 9, legge n. 576/1980,  che  prevede  che  «I  provvedimenti
assistenziali previsti  dalla  vigente  legislazione  possono  essere
adottati, oltre che a favore degli iscritti alla  Cassa  e  dei  loro
familiari,  a  favore  degli  avvocati  e  procuratori  che   abbiano
contribuito o contribuiscano alla Cassa ai sensi dell'art. 11 , e dei
loro familiari, nonche' degli iscritti agli elenchi speciali  di  cui
all'art. 3, quarto comma, lettera b), della legge 27  novembre  1933,
n. 1578 e loro familiari». 
    Nel sistema in esame e sopra sinteticamente descritto, assume  un
ruolo   di   oggettivo   rilievo   l'ente   previdenziale    forense,
rappresentato originariamente dall'ente di previdenza in favore degli
avvocati e procuratori di cui alla legge 13 aprile 1933, n.  406,  ed
oggi dalla Cassa nazionale di previdenza e  di  assistenza  a  favore
degli avvocati, istituita con legge 8 gennaio 1952, n. 6. 
    L'art. 1  della  predetta  legge  6  del  1952,  in  particolare,
espressamente prevede  che  «E'  istituita  la  "Cassa  nazionale  di
previdenza e di assistenza a favore degli avvocati e dei procuratori"
allo scopo di provvedere a trattamenti di previdenza e di assistenza.
La Cassa, con sede in Roma,  ha  personalita'  giuridica  di  diritto
pubblico». 
    La  Cassa  e'  stata  successivamente  oggetto  del  processo  di
privatizzazione sancito dal decreto legislativo 30  giugno  1994,  n.
509 (art. 1, commi 1 e 2; All. A al decreto legislativo n. 509/1994),
a  seguito  del  quale  ha  assunto  la  natura  di  fondazione   con
personalita' giuridica di diritto privato, per quanto sottoposta alla
vigilanza dello Stato e al controllo della Corte dei conti (art.  3),
mantenendo cionondirneno i suoi scopi, atteso che l'art. 1, comma  3,
del decreto legislativo n.  509  cit.,  ha  previsto  che  «Gli  enti
trasformati  continuano  a  svolgere  le  attivita'  previdenziali  e
assistenziali in  alto  riconosciute  a  favore  delle  categorie  di
lavoratori e professionisti per le quali sono  stati  originariamente
istituiti». 
    La Cassa forense, quindi, ha continuato a svolgere la funzione di
ente  previdenziale  per  la  categoria  degli  avvocati,  rientrando
nell'autonomia regolamentare della  Cassa -  espressamente  conferita
per legge - il compito di individuare il corretto dimensionamento dei
contributi nel modo piu' adeguato per  raggiungere  la  finalita'  di
solidarieta' mutualistica che l'ordinamento le assegna (in tal senso,
Corte costituzionale, 30 marzo 2018, n. 67). 
    In tale contesto normativa, che e' quello vigente nel periodo che
rileva   nel   presente   procedimento   (anno   2010),    si    pone
l'applicabilita' agli avvocati delle norme  sulla  gestione  separata
dell'art. 2, comma 26, legge n. 335/1995, come incise dalla norma  di
interpretazione    autentica    prevista    dall'art.    18,    comma
12, decreto-legge 6 luglio 2011,  n.  98  (nella  Gazzetta  Ufficiale
della  Repubblica  italiana,  6  luglio,  n.  155),  convertito,  con
modificazioni, in legge  15  luglio  2011,  n.  111  (nella  Gazzetta
Ufficiale della Repubblica italiana,  16  luglio,  n.  164),  recante
«Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria».  
     L'art. 2, comma 26, legge 8 agosto 1995 n. 335, in  particolare,
prevede  che  «a  decorrere  dal  1°  gennaio   1996,   sono   tenuti
all'iscrizione  presso  una  apposita  gestione  separata,  presso  e
finalizzata all'estensione dell'assicurazione  generale  obbligatoria
per l'invalidita', la vecchiaia  ed  i  superstiti,  i  soggetti  che
esercitano  per  professione  abituale,  ancorche'   non   esclusiva,
attivita' di lavoro autonomo, di cui al  comma  1  dell'art.  49  del
testo unico delle imposte sui  redditi,  approvato  con  decreto  del
Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986,  n.  917  e  successive
modificazioni ed integrazioni, nonche'  i  titolari  di  rapporti  di
collaborazione coordinata e continuativa, di cui al compia 2, lettera
a), dell'art. 49 del medesimo  testo  unico  e  gli  incaricati  alla
vendita a domicilio di cui all'art. 36 della legge 11 giugno 1971, n.
426. Sono esclusi dall'obbligo i soggetti  assegnatari  di  borse  di
studio, limitatamente alla relativa attivita'». 
    Tale norma,  prima  dell'intervento  di  interpretazione  di  cui
all'art.  18,  comma  12,  decreto-legge  n.  98/2011,  non  appariva
riferibile alla categoria  degli  avvocati,  posto  che  quest'ultima
fruiva, sotto il profilo previdenziale, del regime, degli obblighi  e
delle prestazioni previste dalla legge n.  576/1980,  nonche'  di  un
ente espressamente deputato  alla  gestione  dei  relativi  rapporti,
quale e', come visto, la Cassa di previdenza forense. 
    Tale conclusione risultava confermata  dall'ulteriore  previsione
dell'art. 2, comma 25, legge n. 335/1995, riferita ai  professionisti
iscritti in albi non dotati di un proprio ente previdenziale, nonche'
dalla   giurisprudenza   di   legittimita'   formatasi   prima    del
decreto-legge n. 98/2011, la  quale  sul  punto  evidenziava  che  le
disposizioni di cui ai commi 25 e 26 della legge  n.  335/1995  erano
state introdotte per assicurare una tutela previdenziale a  categorie
che in precedenza erano prive di un ente a tal fine istituito  e  che
la gestione separata ex art. 2, comma 26, legge n. 335/1995  non  era
applicabile ai professionisti iscritti in  albi,  sia  pur  privi  di
copertura assicurativa. 
    In particolare, veniva chiarito dalla Corte di cassazione che  «i
professionisti iscritti ad albi o elenchi  non  sono  iscritti  nella
gestione di cui alla legge n. 335 del 1995,  art.  2,  comma  26,  ma
nella gestione di cui al comma 25  del  citato  art.  2.  Va  infatti
rammentato che, nel complessivo  piano  di  estensione  della  tutela
previdenziale a categorie che in precedenza ne erano prive, la  legge
n. 335 del 1995 ha agito con due diverse disposizioni:  da  un  lato,
con l'art. 2, comma 25, ha delegato il Governo ad emanare norme volte
ad assicurare la tutela previdenziale  in  favore  dei  soggetti  che
svolgono attivita' autonoma di libera professione, il  cui  esercizio
e'  subordinato  all'iscrizione  in  appositi  albi  o  elenchi.   Si
trattava, in questo caso, di regolamentare quei liberi professionisti
per i quali esisteva un ente deputato alla tenuta degli albi, ma  che
non avevano, a differenza di altre categorie, una apposita  cassa  di
previdenza e che erano  quindi  privi  di  tutela  previdenziale.  In
attuazione della delega e' stato emanato il  decreto  legislativo  10
febbraio 1996, n. 103, che ha demandato proprio agli  enti  abilitati
alla tenuta degli  albi  di  scegliere  se  partecipare  ad  un  ente
pluricategoriale ovvero  se  costituire  un  ente  di  categoria  per
gestire l'assicurazione di detti professionisti (decreto  legislativo
n. 103 del 1996, art. 2).  Pertanto  per  i  professionisti  iscritti
all'albo, ossia per professionisti stricto sensu secondo  la  dizione
usata dall'istituto ricorrente, il soggetto deputato  nella  gestione
della tutela previdenziale  obbligatoria,  viene  scelto  dall'organo
professionale competente e non e' certo la gestione  separata  presso
l'Inps, che invece e' prevista, dal successivo  comma  26,  per  quei
lavoratori autonomi che svolgono attivita' professionale per la quale
non e' prevista l'iscrizione in albi o in elenchi e  che  quindi  non
hanno alcun ente deputato alla relativa  tenuta  che  possa  decidere
sulla forma di gestione della tutela previdenziale» (Cassazione  Civ.
sez. lav. 16 febbraio 2007, n. 3622; conf. 13218/2008). 
    Il  quadro  giuridico  e'  mutato  a  seguito   dell'introduzione
dell'art. 18, comma 12, del decreto-legge n. 98/2011  e  del  diritto
vivente formatosi nella materia. 
    L'art. 18, comma 12, del decreto-legge  6  luglio  2011,  n.  98,
conv. in legge legge 15 luglio 2011, n. 111, ha previsto  invero  che
«L'art. 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, si interpreta
nel senso che i soggetti che  esercitano  per  professione  abituale,
ancorche'  non  esclusiva,  attivita'  di  lavoro   autonomo   tenuti
all'iscrizione  presso  l'apposita  gestione   separata   INPS   sono
esclusivamente i soggetti che svolgono attivita' il cui esercizio non
sia subordinato all'iscrizione ad appositi albi professionali, ovvero
attivita' non soggette al versamento contributivo agli enti di cui al
comma 11, in base ai rispettivi statuti e ordinamenti, con esclusione
dei soggetti di cui al comma 11. Resta firma la disposizione  di  cui
all'art. 3. comma 1, lettera d), del decreto legislativo 10  febbraio
1996, n. 103. Sono fatti salvi i versamenti gia' effettuati ai  sensi
del citato art. 2, comma 26, della legge n. 335 del 1995». 
    Sebbene  la  formula  letterale  della   disposizione   sembrasse
escludere la categoria degli avvocati dall'obbligo di iscrizione alla
gestione separata (trattandosi di professionisti  iscritti  in  albi,
tenuti a versare - anche in caso di  mancata  iscrizione  alla  Cassa
forense - il contributo integrativo al proprio ente previdenziale  di
riferimento) (3) (4) (5) , tra il 2017 e il 2018, la Suprema Corte e'
progressivamente intervenuta nella  materia,  dapprima  con  riguardo
alle categorie degli ingegneri ed architetti titolari di rapporto  di
impiego (per i quali sussisteva un divieto di iscrizione alla propria
cassa di riferimento),  poi  con  riferimento  alla  categoria  degli
avvocati iscritti in altri enti di previdenza, successivamente  anche
con riguardo agli avvocati del libero foro non iscritti in alcun ente
di previdenza, per i quali non operava alcun  divieto  di  iscrizione
nella Cassa di previdenza forense. 
    Sin dalle prime pronunce che hanno riguardato la categoria  degli
avvocati, la Corte, relativamente a  contributi  richiesti  dall'INPS
per periodi anteriori all'entrata  in  vigore  del  decreto-legge  n.
98/2011, e con principi aventi  portata  generale,  ha  ritenuto  che
«l'unica forma di contribuzione obbligatoriamente  versata  che  puo'
inibire la forza espansiva della norma di  chiusura  contenuta  nella
legge  n.  335  del  1995,  art.  2,  comma  26,  come  chiarita  dal
decreto-legge n. 98 del 2011, art. 18, comma 12, non puo' che  essere
quella correlata ad un obbligo  di  iscrizione  ad  una  gestione  di
categoria,  in  applicazione  del  divieto  di   duplicazione   delle
coperture   assicurative   incidenti   sulla    medesima    attivita'
professionale» (Corte cassazione, sez.  lav.  12  dicembre  2018,  n.
32167, C.A c INPS). 
    La Corte, in particolare, sempre  con  riferimento  all'art.  18,
comma  12,  decreto-legge  n.  98/2011,   ha   rimarcato   che   tale
disposizione ha inteso «chiarire quali  liberi  professionisti  siano
tenuti alla iscrizione alla gestione separata», ritenendo  che  anche
gli avvocati iscritti in albi  vi  siano  assoggettati,  laddove  non
siano iscritti alla cassa di previdenza forense ed abbiano quindi  di
adempiuto al pagamento del solo contributo integrativo. 
    Ha, invero, rilevato che «la contribuzione integrativa, in quanto
non correlata all'obbligo di iscrizione alla cassa professionale,  ed
a prescindere dalla individuazione della funzione assolta all'interno
del sistema di finanziamento delle  attivita'  demandate  alla  cassa
professionale,  non   attribuisce   al   lavoratore   una   copertura
assicurativa per gli eventi della vecchiaia, dell'invalidita' e della
morte in favore dei superstiti per ad non puo'  essere  rilevante  ai
fini di escludere l'obbligo  di  iscrizione  alla  gestione  separata
presso l'INPS» (Cassazione 32167/2018, cit.). 
    La Corte, quindi, ha precisato che, in virtu'  del  principio  di
universalizzazione della copertura assicurativa ex articoli 35  e  38
della Costituzione, l'unico versamento contributivo rilevante ai fini
dell'esclusione di detto obbligo di iscrizione e' quello suscettibile
di  costituire  in  capo  al  lavoratore   autonomo   una   correlata
prestazione previdenziale. 
    I giudici di legittimita', a conferma  del  suesposto  indirizzo,
hanno  escluso  che  l'uso  della  congiunzione  «ovvero»,   presente
nell'art. 18, comma 12, decreto-legge n.  98/2011,  possa  avere  una
mera funzione esplicativa anziche'  disgiuntiva,  tale  da  escludere
dall'obbligo di iscrizione i soggetti che  esercitano  una  attivita'
professionale per il cui esercizio  e'  richiesta  l'iscrizione  agli
albi professionali, indipendentemente da ogni  ulteriore  obbligo  di
natura contributiva, quest'ultimo nel senso sopra chiarito. 
    L'orientamento in esame  e'  stato  confermato  dalle  successive
pronunce (Cassazione civ. sez. lavoro, 17 dicembre  2018,  n.  32608,
I.N.P.S c. I.D.; Cassazione civ. sez. lavoro,  11  gennaio  2019,  n.
519, I.N.P.S. c. L.C.) anche relative agli avvocati del  libero  foro
non aventi altre forme di impiego, non iscritti  in  altre  forme  di
previdenza, ma solo all'albo di categoria  e  per  questo  tenuti  al
pagamento del solo contributo integrativo (Corte di cassazione,  sez.
VI, 10 gennaio 2020, n. 317, I.N.P.S. c. D.R.; sez.  VI,  10  gennaio
2020, n. 318, I.N.P.S. c G.A.; sez. VI, 17 gennaio 2020, n. 1000 M.C.
c INPS; sez. VI, 17 novembre 2020, n. 26021, INPS c C.M.A.). 
    In tal senso, e' stato specificato che «Gli avvocati iscritti  ad
altre forme  di  previdenza  obbligatorie  che,  svolgendo  attivita'
libero  professionale  priva  del  carattere  dell'abitualita',   non
hanno - secondo la disciplina vigente ratione  temporis,  antecedente
l'introduzione  dell'automatismo  della  iscrizione  -  l'obbligo  di
iscrizione alla Cassa forense, alla quale versano  esclusivamente  un
contributo integrativo di carattere solidaristico in quanto  iscritti
all'albo professionale, cui  non  segue  la  costituzione  di  alcuna
posizione previdenziale a loro beneficio,  sono  tenuti  comunque  ad
iscriversi alla  gestione  separata  presso  l'INPS,  in  virtu'  del
principio di universalizzazione della copertura assicurativa, cui  e'
funzionale la disposizione di cui alla legge n. 335 del 1995, art. 2,
comma 26, secondo cui l'unico versamento  contributivo  rilevante  ai
fini  dell'esclusione  di  detto  obbligo  di  iscrizione  e'  quello
suscettibile  di  costituire  in  capo  al  lavoratore  autonomo  una
correlata prestazione previdenziale; detto principio va esteso  anche
al caso che viene qui in  rilievo  dell'avvocato  non  iscritto  alla
Cassa forense alla quale versa il contributo integrativo obbligatorio
previsto dal regolamento della Cassa per  il  solo  fatto  di  essere
iscritto all'albo forense» (Corte di cassazione, sez. VI, 10  gennaio
2020 n. 317; VI, 10 gennaio 2020, n. 318, cit.). 
    Si  e',  dunque,  precisato  che  l'obbligo  di  iscrizione  alla
gestione  separata  viene  meno  «solo   se   il   reddito   prodotto
dall'attivita' professionale predetta e' gia'  integralmente  oggetto
di  obbligo  assicurativo  gestito  dalla   cassa   di   riferimento»
(Cassazione n. 3799 cit.)» (Cassazione, sez. VI, 17 novembre 2020, n.
26021, INPS c C.M.A.). 
    A tale indirizzo si e'  ormai  conformata  la  giurisprudenza  di
merito (tra le tante, Corte appello Brescia sez. lav.,  21  settembre
2020, n. 137; Tribunale Catania sez. lav.,  3  marzo  2020,  n.  974;
Corte d'appello di Catania, sez. lav., 17 giugno 2019 n. 677). 
    Alla stregua del conforme indirizzo della Suprema Corte,  dunque,
deve ritenersi che l'art. 18, comma 12, decreto-legge n.  98/2011  va
interpretato nel senso che per soggetti  tenuti  all'iscrizione  alla
gestione separata di cui all'art. 2, comma 26, legge n. 335/1995,  si
intendono sia i soggetti che svolgono attivita' il cui esercizio  non
e'  subordinato  all'iscrizione  ad  appositi  albi  professionali  o
elenchi, sia  i  soggetti  che  (ancorche'  esercenti  attivita'  che
richiedono l'iscrizione  in  albi  o  elenchi)  non  sono  sottoposti
all'obbligo di versamento del contributo c.d.  soggettivo  in  quanto
non iscritti ad alcun ente di gestione, essendo irrilevante  il  mero
versamento  dell'eventuale  contribuzione  integrativa   alla   cassa
previdenziale di categoria. 
    Pertanto, alla luce di tale dato,  anche  gli  avvocati  che  non
incorrano  nell'obbligo  di  iscrizione  alla  Cassa  di   previdenza
forense, per aver maturato redditi o volumi d'affari sotto le  soglie
ex art. 22, legge n. 576/1980, devono essere iscritti  alla  gestione
separata ex art. 2, comma 26, legge n. 335/1995. 
    Dati  gli  effetti  «retroattivi»   dell'art.   18,   comma   12,
decreto-legge n. 98/2011, quale norma di interpretazione dell'art. 2,
comma 26, legge n. 335/1995, e' pacifico che l'obbligo di  iscrizione
alla  gestione  separata  operi  anche  per   i   periodi   anteriori
all'entrata in  vigore  dell'art.  18,  comma  12,  decreto-legge  n.
98/2011 cit.,  come  nei  casi  esaminati  dalla  Suprema  Corte  (si
considerino, ad es.,  quelli  scrutinati  da  Cassazione  32167/2018,
32608/2018, 519/2019, riguardanti contributi richiesti dall'INPS  per
l'anno 2005). 
2.3. Incidenza delle questioni nel caso concreto. 
    Sussiste la rilevanza concreta ed attuale delle questioni poste. 
    Le odierne parti ricorrenti sono, come anticipato,  avvocati  del
libero foro. 
    Come si evince dagli atti, non contestano il  carattere  abituale
dell'attivita'  professionale  esercitata,   del   resto   comprovata
dall'iscrizione all'albo, dal possesso di una  partita  IVA  e  della
predisposizione  di  un'organizzazione,  sia  pur  minima,   per   lo
svolgimento dell'attivita'. 
    Nel 2010, periodo di  competenza  degli  oneri  di  iscrizione  e
contribuzione  richiesti  dall'INPS  con  gli   atti   opposti,   non
risultavano iscritte alla Cassa forense, in quanto pacificamente  non
obbligate in ragione dei parametri  economici  realizzali,  sotto  le
soglie richiamate dall'art. 22, legge n. 576/1980  (come  anticipato,
in base alla delibera del Comitato  dei  delegati  del  28  settembre
2007, le soglie minime previste per il 2010  ex  art.  22,  legge  n.
576/1980 ai fini dell'obbligo di iscrizione erano di  euro  10.000,00
di reddito professionale netto o euro 15.000,00 di volume di affari). 
    Hanno, pertanto, versato, alla Cassa di previdenza forense,  solo
il contributo integrativo ex art. 11, legge n. 576/1980. 
    Alla luce del quadro giurisprudenziale sopra descritto,  ad  esse
appare pienamente applicabile l'art. 2, comma 26, legge n.  335/1995,
per come  interpretato  dall'art.  18,  comma  12,  decreto-legge  n.
98/2011, e dunque l'obbligo di  iscrizione  alla  gestione  separata,
tenuto conto che la Suprema Corte di cassazione ha ritenuto  operante
tale vincolo anche nei  riguardi  «dell'avvocato  non  iscritto  alla
Cassa Forense alla quale versa il contributo integrativo obbligatorio
previsto dal regolamento della Cassa per  il  solo  fatto  di  essere
iscritto all'Albo forense» (Corte di cassazione, sez. VI, 10  gennaio
2020 n. 317, INPS c D.R.; VI, 10 gennaio 2020, n. 318, INPS c G.A.). 
    La circostanza che la ricorrente avv. Di  Mauro  abbia  prodotto,
nell'anno in considerazione, un reddito poco  al  di  sotto  di  euro
5000,  non  esclude,  nel  caso  di  specie,  l'applicabilita'  della
disciplina in esame, posto  che,  come  si  e'  detto,  risulta  dato
pacifico che parte opponente ha svolto l'attivita' professionale  con
carattere di abitualita'. 
    Non appare, al riguardo, rilevante il dato  normativo  costituito
dall'art. 44, comma 2, decreto-legge  n.  269/2003,  secondo  cui  «A
decorrere dal 1° gennaio  2004  i  soggetti  esercenti  attivita'  di
lavoro autonomo occasionale e gli incaricati alle vendite a domicilio
di cui all'art. 19 del decreto legislativo 31  marzo  1998,  n.  114,
sono iscritti alla gestione separata di cui  all'art.  2,  comma  26,
della legge 8 agosto 1995, n. 335,  solo  qualora  il  reddito  annuo
derivante da dette attivita' sia superiore ad euro 5.000». 
    Tale  disposizione,  infatti,  fa  riferimento,  oltre  che  agli
incaricati alle vendite a domicilio, all'attivita' di lavoro autonomo
occasionale, e non puo' dunque applicarsi agli avvocati che  svolgano
la professione con carattere di abitualita'. 
    Ed invero, il limite reddituale ivi previsto, di euro  5000,  non
serve per qualificare il lavoro come occasionale, ma per  individuare
il  momento  a  partire  dal  quale  anche  il  lavoratore   autonomo
occasionale e' tenuto all'iscrizione alla gestione separata. 
    Come e' noto, il  lavoro  autonomo  occasionale  e'  un'attivita'
autonoma, esercitata senza  alcun  vincolo  di  subordinazione  o  di
coordinamento che pero' non richiede l'apertura  della  partita  IVA,
perche' e' svolta in modo saltuario (per pochi giorni durante l'anno)
ed   e'   priva   dei   requisiti   dell'organizzazione    e    della
professionalita'. 
    Secondo la  giurisprudenza  che  si  e'  allineata  all'indirizzo
espresso dalla Suprema Corte, invece, «l'iscrizione della  ricorrente
all'albo professionale -  requisito  indispensabile  per  l'esercizio
della professione come previsto dall'art. 2, comma 1 della  legge  n.
576/1980 - e l'apertura della partita IVA che costituisce adempimento
richiesto a chi intraprende un attivita' di lavoro autonomo a  titolo
di professione abituale (come si ricava dal combinato disposto  degli
articoli 35, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica  n.
633/1972 e 5, comma 1, dello  stesso  decreto  del  Presidente  della
Repubblica),  provano   in   via   presuntiva   l'abitualita'   dello
svolgimento dell'attivita' professionale. Pertanto, a fronte di  tali
elementi,  era  onere  della  ricorrente   allegare   e   documentare
circostanze  specifiche  atte  a   superare   la   prova   presuntiva
dell'abitualita' dell'esercizio della professione, onere nella specie
non assolto» (Corte d'appello di Catania, sez. lav., 17 giugno  2019,
n. 677, INPS c P.S.). 
    Nel  caso  di  specie,  quindi,  essendo  pacifico  il  requisito
dell'abitualita' anche con riguardo all'attivita' esercitata all'avv.
Di Mauro, deve ritenersi applicabile l'art. 2,  comma  26,  legge  n.
335/1995, come interpretato dall'art. 18, comma 12, decreto-legge  n.
98/2011. 
    Per quanto riguarda il ricorrente avv.  Albana,  l'applicabilita'
dell'art. 2, comma 26, legge n. 335/1995, e' vieppiu' pacifica,  dato
che, non solo non vi e' contestazione sui  requisiti  di  abitualita'
richiesti, ma il reddito percepito e' anche superiore all'importo  di
euro 5000 (essendo pari ad euro 5655), sicche'  in  alcun  modo  puo'
richiamarsi, in suo favore, il disposto di cui all'art. 44, comma  2,
decreto-legge n. 269/2003. 
    Infine, in sede di ricostruzione normativa  e  giurisprudenziale,
si e' dato atto degli effetti retroattivi  dell'art.  18,  comma  12,
decreto-legge n. 98/2011, quale norma di interpretazione dell'art. 2,
comma 26, legge n. 335/1995,  il  che  rende  operante  l'obbligo  di
iscrizione alla gestione separata anche per i periodi anteriori  alla
sua entrata in vigore. Cio' consente all'INPS di  agire,  come  fatto
nei riguardi delle odierne parti  ricorrenti,  per  il  recupero  dei
contributi relativi a periodi di competenza pregressi. 
    Da quanto premesso, si comprende la rilevanza della questione  di
costituzionalita' principale, relativa all'art. 2, comma 26, legge n.
335/1995, per come interpretato dell'art. 18, comma 12, decreto-legge
98/2011 (infra § 3, sub A)). 
    Ove, infatti, tale disposizione venisse  dichiarata  illegittima,
per  come  richiesto,  gli  odierni  ricorsi  verrebbero   certamente
accolti. 
    L'incostituzionalita' della normativa in esame, infatti,  farebbe
venir meno la fonte da cui trae fondamento  l'obbligo  di  iscrizione
delle  parti  ricorrenti  alla   gestione   separata   dell'INPS   e,
conseguentemente, il credito contributivo reclamato a tale titolo. 
    L'antinomia  prodotta  dalla  norma  impugnata,   rispetto   alle
previsioni dell'ordinamento previdenziale forense di cui  alla  legge
n. 576/1980, verrebbe, quindi, eliminata, con conseguente pacifica ed
esclusiva applicazione dell'art. 22, legge n. 576/1980. 
    Del pari, laddove non venisse reputata preliminare e  fondata  la
prima questione, appare  rilevante  anche  quella  sollevata  in  via
subordinata, in relazione all'art. 18,  comma  12,  decreto-legge  n.
98/2011 (intra § 3, sub B)). 
    Come gia' esposto e come si vedra'  in  punto  di  non  manifesta
infondatezza,  solo  dopo  l'introduzione  dell'art.  18,  comma  12,
decreto-legge   n.   98/2011    e    la    successiva    elaborazione
giurisprudenziale, e' stato affermato l'obbligo di iscrizione  presso
la gestione separata per gli avvocati esonerati dall'iscrizione  alla
cassa di previdenza forense, ex art. 22, legge n. 576/1980. 
    Precedentemente, l'assetto  normativo  e  giurisprudenziale  era,
invece, nel senso di escludere chiaramente un tale onere. 
    Laddove, pertanto, tale norma venisse dichiara illegittima, nella
parte in cui esplica effetti retroattivi, e dunque  nella  misura  in
cui non prevede che l'obbligo di iscrizione  alla  gestione  separata
per gli avvocati possa decorrere solo dalla sua entrata in vigore, le
domande attoree verrebbero parimenti accolte. 
    Ed invero, in tal caso, fino all'entrata in vigore dell'art.  18,
comma 12, decreto-legge  n.  98/2011,  verrebbe  meno  il  fondamento
normativo dell'obbligo di iscrizione  delle  parti  ricorrenti  nella
gestione  separata,  con  conseguente   insussistenza   dei   crediti
richiesti dall'INPS con riguardo all'anno 2010. 
    Per converso, laddove le questioni poste non venissero accolte  e
venisse pienamente confermato l'assetto normativo attuale, i  ricorsi
dovrebbero essere rigettati nel merito,  risultando  ormai  acquisito
nell'interpretazione giurisprudenziale il  principio  secondo  cui  i
contributi  richiesti  dall'art.  18,  comma  12,  decreto-legge   n.
98/2011,  ai  fini  dell'esonero   dall'iscrizione   dalla   gestione
separata, non sono quelli integrativi ex art. 11, legge n.  576/1980,
ma  quelli  soggettivi,  ex  art.  10,  legge  n.   576   cit.,   che
presuppongono l'iscrizione alla cassa di previdenza forense. 
3. Non manifesta infondatezza. 
    A) Art.  2,  comma  26,  legge  n.  335/1995,  come  interpretato
dall'art.  18,  comma  12,  decreto-legge  n.   98/2011.   Violazione
dell'art. 3 della Costituzione per irragionevolezza,  illogicita'  ed
incoerenza del sistema normativo. 
    Richiamata la ricostruzione  normativa  e  giurisprudenziale  che
precede (supra, § 2.2.), sussiste il dubbio che l'art. 2,  comma  26,
legge n. 335/1995,  come  interpretato  a  seguito  dell'introduzione
dell'art. 18, comma 12, decreto-legge n. 98/2011, sia viziato sotto i
profili di irragionevolezza, illogicita', incoerenza che esso provoca
nel sistema normativo, in violazione dell'art. 3 della  Costituzione,
e cio', in specie, nella parte in cui prevede l'obbligo di iscrizione
alla gestione separata dell'INPS a carico degli avvocati  del  libero
foro non iscritti  alla  Cassa  di  previdenza  forense  per  mancato
raggiungimento delle soglie (di reddito o di volume d'affari) ex art.
22, legge n. 576/1980. 
    Come visto, per la materia ed i periodi che rilevano nel presente
processo (obblighi previdenziali inerenti  ai  redditi  prodotti  nel
2010   per   l'esercizio   dell'attivita'   forense),   il    sistema
previdenziale forense risulta regolato dalla legge  n.  576/1980,  la
quale gradua gli obblighi di  natura  contributiva  e  previdenziale,
sostanzialmente  prevedendo  che  solo  gli  avvocati   che   abbiano
raggiunto determinate  soglie  (di  reddito  o  di  volume  d'affari)
incorrano nell'obbligo di iscrizione  alla  cassa  di  previdenza  e,
quindi, nell'obbligo di pagamento del contributo soggettivo  ex  art.
10, legge n. 576/1980 e disponendo conseguentemente che gli altri, al
di sotto di tali soglie, siano onerati a pagare  solo  il  contributo
integrativo  ex  art.  11,  legge  n.  576  cit.,  senza  obbligo  di
iscrizione. 
    Tale sistema non impedisce agli avvocati del libero foro che  non
raggiungano le soglie previste dall'art. 22,  legge  n.  576/1980  di
iscriversi, a domanda, alla Cassa forense e  di  avere,  dunque,  una
piena   copertura   assicurativa,   ma   rimette   tale   scelta   al
professionista. 
    Sul  punto,  si  rinvia  alla   ricostruzione   normativa   sopra
effettuata e si richiama la nota informativa ivi citata  della  Cassa
forense  n.  prot.   504628   del   23   dicembre   2020,   acquisita
telematicamente in pari data ed in atti, che  conferma  tale  assetto
(6) . 
    La legge n. 576/1980 costituisce lex  specialis  dell'ordinamento
previdenziale forense e, percio', non puo'  ritenersi  implicitamente
abrogata, neppure parzialmente, da quelle nonne, come l'art. 2, comma
26, legge n. 335/1995,  che,  ancorche'  successive,  non  riguardano
espressamente tale sistema. Quest'ultimo, del resto, ha mantenuto nel
tempo la propria specialita', come comprova l'entrata in vigore della
legge n. 247/2012,  con  la  quale,  peraltro,  e'  stata  confermata
l'esclusivita' del ruolo svolto nella materia dall'ente previdenziale
forense (v. articoli 21, comma 8 e 9, legge n. 247, cit.) (7) . 
    Stando cosi' le cose, l'art. 2, comma 26, legge n. 335/1995,  per
come interpretato dall'art. 18, comma 12, decreto-legge  n.  98/2011,
nella parte oggetto della presente questione,  appare  introdurre  un
elemento di  oggettiva  incoerenza  normativa,  che  rende  la  norma
illogica, irrazionale e dunque irragionevole, in violazione dell'art.
3 della Costituzione. 
    Da  un  canto,  invero,  l'ordinamento,  con  la  lex   specialis
destinata alla previdenza forense, riconosce al professionista - che,
per lo svolgimento dell'attivita' di  avvocato,  non  maturi  redditi
considerevoli, rimanendo  sotto  le  soglie  ex  art.  22,  legge  n.
576/1980 -  la  facolta'  di  iscriversi  alla   propria   cassa   di
previdenza;  lo  assoggetta  al  solo  obbligo  del   pagamento   del
contributo integrativo ex art. 11, legge n. 576 cit.; lo  esonera  da
ogni  ulteriore  onere  di  iscrizione  e  contribuzione;  riconosce,
quindi, all'autonomia regolamentare della Cassa forense il compito di
individuare i criteri in forza dei quali assoggettare  o  l'attivita'
forense  agli  obblighi  di  iscrizione  e  di  contribuzione  ed   a
dimensionare      gli      stessi      secondo      le      finalita'
solidaristico-mutualistiche (Corte costituzionale, 30 marzo 2018,  n.
67),  in  funzione  delle  previste  prestazioni   previdenziali   ed
assistenziali (articoli 1 e ss. legge n. 576/1980; per  gli  avvocati
non iscritti alla cassa, art. 9, legge n. 576/1980). 
    Dall'altra parte, invece, con la disposizione impugnata,  prevede
del tutto contraddittoriamente che, laddove i criteri della Cassa, in
applicazione dell'autonomia  regolamentare  che  le  e'  riconosciuta
dalla legge, esonerino l'avvocato  dagli  obblighi  di  iscrizione  e
contribuzione teste' descritti, si attivino allora a carico del detto
professionista ulteriori e ben distinti  oneri  previdenziali,  quali
l'iscrizione alla gestione separata ex art. 2,  comma  26,  legge  n.
335/1995 e l'obbligo di pagamento dei relativi contributi parametrati
al reddito, peraltro con ritenute diverse (e piu' esose)  rispetto  a
quelle previste dall'art. 10, legge n.  576/1980.  E  tutto  cio'  in
favore di una gestione  previdenziale,  quale  e'  quella  «separata»
dell'INPS, avulsa da quella forense  e  che  non  sorge  affatto  per
assicurare una tutela previdenziale alla categoria degli avvocati. 
    Appare  evidente  l'antinomia  prodotta  dalla  norma  impugnata,
l'oggettiva  incoerenza  del  sistema  normativo  che  essa  provoca,
l'irrazionalita' normativa di una previsione che impone  all'avvocato
l'obbligo di iscrizione in un  separato  ente  previdenziale  proprio
quando e nella misura in cui il suo stesso ordinamento previdenziale,
in base a disposizioni di legge, esclude un tale onere nei  confronti
della sua stessa cassa di categoria. 
    Trattasi,  verosimilmente,  di  un   effetto   non   voluto   dal
legislatore dell'art. 18, comma 12, decreto-legge  n.  98/2011,  come
sembra  desumersi  dalla  lettura  dei  lavori  preparatori  (si   fa
riferimento alla relazione al disegno  di  legge  di  conversione  n.
2814/2011, alla pag.  29)  e  cionondirneno  prodottosi  nel  diritto
vivente,  che  contrasta,  tuttavia,  con  riguardo  alla   categoria
professionale  degli  avvocati  sottosoglia  ex  art.  22,  legge  n.
576/1980, contro ogni principio di  razionalita'  normativa  (8)  (9)
(10) . 
    Laddove, invero, il legislatore avesse voluto estendere  anche  a
tali   professionisti   l'obbligo   di   iscrizione   ad   un    ente
previdenziale - come difatti e' accaduto, per i periodi successivi  a
quelli che rilevano nella presente causa, con  l'art.  21,  comma  8,
legge n. 247/2012 - esso lo avrebbe fatto agendo sullo stesso sistema
previdenziale forense  (ad  es.,  modificando  l'art.  22,  legge  n.
576/1980), mantenendone cosi' unitarieta' e coerenza. 
    Con  la  disposizione  in  esame,  invece,  non  solo  e'   stato
introdotto un onere che si rivela  del  tutto  incompatibile  con  il
regime delineato dalla lex specialis (art. 22, legge n. 576/1980), ma
si  e'  pervenuti  anche   all'illogico   risultato   di   disgregare
irragionevolmente il regime previdenziale dell'avvocato sotto  soglia
ex art. 22, legge n. 576/1980, creando un  farraginoso  frazionamento
degli enti a cui lo stesso deve rapportarsi: alla cassa  forense  per
il pagamento del contributo integrativo ex art. 11, legge n. 576/1980
e per la fruizione di eventuali prestazioni  assistenziali  (art.  9,
legge n. 576 cit.); all'INPS per il pagamento dei contributi ex  art.
2, comma 26, legge n. 335/1995. 
    Tale scomposizione appare del tutto insensata  poiche'  l'obbligo
di contribuzione richiesto in favore della gestione  separata  deriva
dall'esercizio della medesima attivita' - quella forense - a  cui  si
rapporta l'obbligo del contributo integrativo ex art.  11,  legge  n.
576/1980 in favore della Cassa forense, l'ente a cui l'ordinamento ha
sempre devoluto l'esclusiva competenza della  gestione  dei  rapporti
previdenziali della categoria. 
    Non appaiono quindi applicabili, al caso di  specie,  i  principi
affermati  dalla  Suprema  Corte  in  materia  di  duplicita'   delle
iscrizioni in  distinte  gestioni  previdenziali,  in  ragione  della
duplicita'  dell'attivita'  esercitata,  posto  che,  nel   caso   in
scrutinio, rileva un'unica attivita', quale e'  quella  forense,  che
risulta  gia'  disciplinata  dalla  legge  n.  576/1980  secondo   un
ordinamento speciale ed unitario, che la norma  impugnata,  concepita
per altre categorie di lavoratori, mira  invece  irragionevolmente  a
mettere in discussione ed a disarticolare. 
    L'effetto  disfacente  che  la  norma  produce,  peraltro,   pone
l'avvocato, che non raggiunga le soglie previste dall'art. 22,  legge
n. 576/1980 (e che  per  questo,  non  essendo  iscritto  alla  cassa
forense,  venga  assoggettato  alla  gestione   separata),   in   una
condizione previdenziale irrazionalmente diversa ed  anche  deteriore
rispetto a quella dell'avvocato che le abbia  raggiunte  (e  che  sia
percio'   obbligato   all'iscrizione   alla   Cassa   forense),   non
consentendogli di acquisire automaticamente presso la  propria  cassa
di categoria i requisiti  di  iscrizione  e  contribuzione  derivanti
dall'esercizio dell'attivita' forense, previsti dagli  articoli  1  e
ss.  legge  n.  576/1980,  per   la   fruizione   delle   prestazioni
previdenziali ivi regolate in favore degli avvocati. 
    Ed infatti,  la  contribuzione  versata  alla  gestione  separata
dell'INPS non viene riversata alla Cassa  di  previdenza  forense  e,
dunque, non viene ivi  accredita  all'avvocato,  ne'  in  vario  modo
destinata - benche' applicata  su  redditi  derivanti  dall'esercizio
della professione forense - all'ente deputato per legge ad assicurare
gli scopi mutualistici-solidaristici per la categoria. 
    D'altra   parte,   l'utilita'   della    contribuzione    versata
dall'avvocato alla gestione separata  INPS,  in  vista  di  possibili
prestazioni a carico della stessa, appare davvero  limitata,  se  non
improbabile, non solo per la esiguita' del gettito  contributivo,  in
quanto basato su redditi marginali quali sono quelli sotto le  soglie
ex art. 22, legge n. 576/1980, ma anche per l'estrema  esiguita'  del
periodo contributivo maturabile presso la detta gestione separata. 
     Si consideri, a tal riguardo, che l'operazione «Poseidone»,  con
la quale l'INPS ha iniziato a procedere all'iscrizione alla  gestione
separata degli avvocati sotto soglia ex art. 22, legge  n.  576/1980,
e' iniziata nel 2009 e cessata con l'entrata in vigore della legge n.
247/2012,  in  forza   della   quale   e'   venuto   meno   l'esonero
dall'iscrizione  alla  cassa  di  previdenza  forense   per   ragioni
economiche. 
    Le odierne parti  opponenti,  ad  esempio,  sono  state  iscritte
d'ufficio alla gestione separata a decorrere dal 2010  e,  a  seguito
dell'entrata in vigore dell'art. 21,  comma  8,  legge  n.  247/2012,
continuando a svolgere l'attivita' forense, sono incorse nell'obbligo
di  iscrizione  nella  Cassa  forense,  con  conseguente  preclusione
dell'INPS di mantenere la loro iscrizione alla gestione separata. 
    Sicche'   la   contribuzione   non   coperta   da   prescrizione,
richiedibile e richiesta dall'INPS per la gestione separata, a carico
degli avvocati, rimane circoscritta ad  un  limitato  arco  temporale
(molto  spesso  pari  soltanto  a   qualche   anno),   quasi   sempre
insufficiente per poter generare la maturazione di requisiti di legge
utili ai fini di eventuali prestazioni previdenziali a  carico  della
stessa gestione. 
    Del  resto,   anche   considerando   la   possibilita'   per   il
professionista  di  chiedere,  al  sussistere  dei  presupposti,   la
ricongiunzione della contribuzione versata a  favore  della  gestione
separata presso l'ente di categoria,  tale  operazione  non  potrebbe
avvenire senza ulteriori aggravi, sia di  tipo  procedurale,  sia  di
carattere economico. 
    E non si comprende davvero il  motivo  per  il  quale,  se  anche
l'avvocato sotto soglia ex art. 22, legge n.  576/1980  debba  essere
sottoposto a contribuzione con obbligo di iscrizione ad  un  ente  di
previdenza, cio' non avvenga con l'iscrizione presso il proprio  ente
di categoria, anziche' presso la gestione separata dell'INPS. 
    La norma  impugnata,  dunque,  non  solo  appare  incoerente,  ma
obiettivamente irragionevole,  poiche',  nel  porsi  in  rapporto  di
chiara inconciliabilita' con l'art. 22, legge n. 576/1980, genera  il
risultato di assoggettare le fasce di professionisti  piu'  deboli  e
con minori capacita' reddituali - quali sono gli  avvocati  esonerati
dall'obbligo di iscrizione ex art. 22,  legge  n.  576/1980 -  ad  un
regime previdenziale sui generis, frammentario, disorganico,  neppure
in grado di garantire una copertura assicurativa  certa  o  utile,  o
comunque, al piu',  in  grado  di  riconoscerne  una  immotivatamente
diversa rispetto a quella goduta dagli avvocati iscritti  alla  Cassa
forense,  la  cui  contribuzione   viene,   invece,   automaticamente
riversata  alla  Cassa  di  categoria,  con  l'automatica   e   certa
maturazione dei requisiti di iscrizione e contribuzione presso l'ente
previdenziale deputato per legge ad erogare le relative  prestazioni,
senza ulteriori aggravi. 
    Tutto  cio'  non  appare  giustificabile  neppure  attraverso  il
richiamo al principio di universalizzazione delle tutele ex  art.  38
della Costituzione, posto che tale principio  viene  applicato  dalla
stessa  Suprema  Corte  partendo  dal  presupposto  che   determinate
categorie non  possano  avere  una  copertura  assicurativa,  per  la
mancanza di un ente previdenziale  a  cio'  preposto  ovvero  per  la
presenza di espresse preclusioni che ne impediscono l'iscrizione:  si
pensi, ad esempio, all'ipotesi gia' menzionata  degli  ingegneri  che
esercitano  l'attivita'  professionale   essendo   contemporaneamente
titolari di un distinto rapporto di lavoro dipendente,  per  i  quali
vige il divieto di iscrizione presso l'ente di categoria (sul  punto,
si rinvia a quanto affermato dalla  Suprema  Corte  a  partire  dalla
pronuncia 18 dicembre 2017, n. 30344; cfr. anche  art.  7  Inarcassa,
consultabile        presso        il        sito        istituzionale
www.inarcassa.it/site/home/iscrizione/condizioni-per-liscrizione-obbl
igatoria.html) (11) 
    Nell'ipotesi in scrutinio, invece, all'avvocato del  libero  foro
sotto soglia ex art.  22,  legge  n.  576/1980  non  e'  preclusa  la
facolta' di iscrizione alla  propria  Cassa  di  previdenza  forense,
potendo l'avvocato accedere alla piena tutela assicurativa presso  il
predetto ente di gestione, a domanda: si rinvia alla  nota  pervenuta
da Cassa forense n. prot. 504628 del 23 dicembre 2020 cit. 
    Sul punto,  del  resto,  va  osservato  che  il  regime  previsto
dall'art. 22, legge n. 576/1980 di  escludere  dall'obbligo -  e  non
gia' dalla facolta' - di iscrizione gli avvocati che abbiano prodotto
redditi o volumi d'affari al di sotto delle soglie  previste  non  e'
volto a negare una tutela assicurativa o a mettere in  discussione  i
principi costituzionali che regolano la materia previdenziale, quanto
a riconoscere - secondo la valutazione del legislatore - un regime di
maggior favore nei riguardi degli avvocati  che  non  abbiano  potuto
produrre redditi o volume d'affari apprezzabili e,  dunque,  che  non
abbiano maturato un'effettiva capacita' di concorrere, anche sotto il
profilo  solidaristico,  al   sistema   previdenziale   forense   (si
considerino, ad es., i modesti redditi prodotti dalle  odierne  parti
ricorrenti, indicati in premessa). 
    E, d'altro canto,  va  ribadito  che  quando  il  legislatore  ha
ritenuto di eliminare le aree di esonero dall'obbligo  di  iscrizione
all'ente di previdenza forense, stabilendo  per  tutti  gli  avvocati
iscritti in albi l'obbligo di iscrizione, come  avvenuto  con  l'art.
21, comma 8, legge n.  247/2012,  esso  lo  ha  fatto  espressamente,
confermando al tempo  stesso,  tuttavia,  l'unicita'  della  gestione
affidata alla Cassa di previdenza. Cio',  peraltro,  senza  escludere
che i regolamenti della stessa Cassa  forense  potessero  riconoscere
trattamenti di maggior favore o regimi di esenzione dall'obbligazione
contributiva  nei  riguardi  degli   avvocati   che   versassero   in
determinate condizioni (v. art. 21, comma 9, legge n. 247/2012). 
    Quanto  premesso,  dunque,  porta  a  concludere  che  la   norma
impugnata, come  interpretata  a  seguito  dell'art.  18,  comma  12,
decreto-legge n. 98/2011, sia irragionevole  ed  illogica,  contrasti
con i principi di razionalita' normativa e di coerenza del sistema  e
si ponga in contrasto con l'art. 3 della Costituzione. 
    B) Art.  18,  comma  12,  decreto-legge  n.  98/2011.  Violazione
dell'art. 3 della Costituzione, per irragionevolezza  e  lesione  del
legittimo affidamento  generato  dall'art.  22,  legge  n.  576/1980;
violazione dell'art. 117, comma 1 della  Costituzione,  in  relazione
all'art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei  diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali. 
    Si  dubita  della  costituzionalita'  dell'art.  18,  comma   12,
decreto-legge  n.  98/2011,  nella  parte  in  cui  esplica   effetti
retroattivi,  non  prevedendo  che  l'obbligo  di  iscrizione   nella
gestione separata, a  carico  degli  avvocati  del  libero  foro  non
iscritti alla Cassa di previdenza forense per mancato  raggiungimento
delle soglie (di reddito o di volumi di affari) ex art. 22, legge  n.
576/1980, decorra dalla sua entrata in vigore, e cio'  per  possibile
violazione  dell'art.  3  e  117,   comma   1   della   Costituzione,
quest'ultimo  in  relazione  all'art.  6  della  Convenzione  per  la
salvaguardia dei diritti  dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali
firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e  resa  esecutiva  con
legge 4 agosto 1955, n. 848 (CEDU). 
 
                                  I 
 
    L'art. 18, comma 12, decreto-legge n. 98/2011, conv. in legge  15
luglio 2011, n. 111, prevede che:  «L'articolo  2,  comma  26,  della
legge 8 agosto 1995, n. 335, si interpreta nel senso che  i  soggetti
che esercitano per professione  abituale,  ancorche'  non  esclusiva,
attivita' di lavoro autonomo tenuti all'iscrizione presso  l'apposita
gestione separata INPS sono esclusivamente i  soggetti  che  svolgono
attivita' il cui esercizio  non  sia  subordinato  all'iscrizione  ad
appositi  albi  professionali,  ovvero  attivita'  non  soggette   al
versamento contributivo agli enti di cui al  comma  11,  in  base  ai
rispettivi statuti e ordinamenti, con esclusione dei soggetti di  cui
al comma 11. Resta ferma la disposizione di cui all'art. 3, comma  1,
lettera d), del decreto legislativo 10 febbraio 1996,  n.  103.  Sono
fatti salvi i versamenti gia' effettuati ai sensi del citato art.  2,
comma 26, della legge n. 335 del 1995». 
    Come gia' anticipato,  a  seguito  di  tale  disposizione  e  del
diritto vivente formatosi nella materia a partire dal 2018, e'  stato
riconosciuto l'obbligo di iscrizione alla gestione separata dell'INPS
nei riguardi degli avvocati del libero foro non iscritti  alla  Cassa
di previdenza in quanto con reddito o volume d'affari sotto le soglie
previste dall'art. 22, legge n. 576/1980. 
    Prima, la Suprema Corte di Cassazione, alla luce del chiaro  dato
normativo costituito dai commi 25 e 26 dell'art.  2  della  legge  n.
335/1995, aveva espressamente escluso l'applicabilita' della gestione
separata ex art. 2, comma 26, legge  n.  335/1995  ai  professionisti
iscritti in albi, anche se privi di un ente di previdenza (Cass. Civ.
sez. lav. 16 febbraio 2007 n. 3622; conf. 13218/2008 cit.), dovendosi
conseguentemente escludere, a fortiori,  che  tale  gestione  potesse
riguardare gli avvocati iscritti in albi, dotati da sempre di un ente
previdenziale. 
    Gli effetti retroattivi dell'art. 18, comma 12, decreto-legge  n.
98/2011, quale norma di interpretazione,  non  sono  in  discussione,
dato che e'  pacifico  che  l'obbligo  di  iscrizione  alla  gestione
separata riconosciuto  dalla  giurisprudenza  di  legittimita',  dopo
l'introduzione della predetta  norma  di  interpretazione,  e'  stato
accertato per periodi  anteriori  alla  sua  entrata  in  vigore:  si
considerino, ad es.,  i  casi  gia'  citati  ed  esaminati  da  Cass.
32167/2018,  32608/2018,  519/2019,  tutti   riguardanti   contributi
richiesti dall'INPS per l'anno 2005. 
    Anche nell'odierno giudizio, la disposizione in  esame  e'  stata
invocata dall'INPS per  giustificare  la  fondatezza  dell'iscrizione
d'ufficio nella gestione separata disposta con  riguardo  alle  parti
ricorrenti e delle  conseguenti  pretese  contributive  azionate  nei
riguardi delle stesse, in relazione  ad  un  periodo  di  competenza,
quale e' il 2010, anteriore all'entrata in vigore della norma. 
    Proprio il riconosciuto effetto retroattivo  della  disposizione,
derivante dalla sua natura di norma di interpretazione  dell'art.  2,
comma 26, legge n. 335/1995, pone il dubbio che la riguarda  sotto  i
citati profili dell'irragionevolezza e della  lesione  del  legittimo
affidamento, ex art. 3 Cost., e cio' alla luce dei  medesimi  criteri
richiamati dalla giurisprudenza costituzionale (ex multis,  C.  cost.
12 luglio 2019 n. 174). 
    La norma, invero, senza che sussistano  interessi  imperativi  di
carattere generale, nel decretare l'applicabilita' degli obblighi  di
iscrizione e contribuzione ex art. 2, comma  26,  legge  n.  335/1995
anche per i periodi anteriori alla  sua  entrata  in  vigore,  incide
retroattivamente ed irragionevolmente sulla condizione  giuridica  ed
economica degli  avvocati,  ledendone  il  legittimo  affidamento  in
ordine al regime previdenziale e contributivo  ad  essi  applicabile,
per come desumibile dal sistema delineato  dalla  normativa  ad  essi
dedicata e costituita dall'art. 22, legge n. 576/1980. 
    Tale disciplina, come si e' piu' volte ricordato, stabilisce  che
solo gli avvocati iscritti in albi che raggiungano determinate soglie
(di  reddito  o  di  volume  d'affari),  fissate  periodicamente  dal
comitato dei delegati, siano  obbligati  all'iscrizione  all'ente  di
previdenza e siano assoggettati ad ulteriori contributi, oltre quello
integrativo ex art. 11, legge n. 576/1980, e che  dunque  coloro  che
non superino le sopraddette soglie siano tenuti a corrispondere  solo
il pagamento del citato contributo integrativo. 
    L'impianto della legge n. 576/1980, prima dell'entrata in  vigore
della disposizione dell'art. 18, comma 12, decreto-legge n. 98/2011 e
del successivo diritto vivente, sviluppatosi, peraltro e come  detto,
solo dal 2018 in poi, ha quindi generato nei detti professionisti  la
piu' che legittima convinzione di  non  dover  essere  sottoposti  ad
alcun  ulteriore  onere  previdenziale  e  di  poter   scegliere   se
iscriversi alla propria cassa di previdenza o meno. 
    La norma  prevista  dall'art.  18,  comma  12,  decreto-legge  n.
98/2011, nel rendere applicabili agli  avvocati  gli  obblighi  sulla
gestione  separata  anche  per   i   periodi   pregressi   alla   sua
introduzione, lede, quindi, il loro legittimo affidamento,  incidendo
retroattivamente sulla  loro  condizione  giuridica  e  patrimoniale,
attraverso  oneri  ed  imposizioni  originariamente   non   previsti,
rispetto ai quali i diretti interessati non hanno  potuto  effettuare
alcuna preliminare valutazione o scelta (ad es., di non esercitare la
professione - o di non esercitarla a determinate condizioni - perche'
ritenuta eccessivamente onerosa ovvero di richiedere,  a  tal  punto,
l'iscrizione  facoltativa  alla  Cassa  forense,  onde   evitare   la
frammentazione del proprio regime previdenziale, come sopra descritto
§ 3, sub A), etc.). 
    Tale  lesione  avviene,  quindi,  in  forza  di  una   sorta   di
«tassazione» retroattiva, che nel caso di specie, peraltro,  colpisce
le fasce piu' deboli della categoria, poiche' produttive  di  redditi
marginali, che vengono cosi' ulteriormente gravate: si consideri,  ad
es., il caso della ricorrente Di Mauro, avvocato dal 2009  e  con  un
reddito imponibile nel 2010 di euro 4111,  che  risulta  notevolmente
inciso dall'importo richiesto per dall'INPS con l'atto opposto,  pari
ad euro 1920,70 (di cui euro 1098,46 a titolo di contributi  ed  euro
822,24 a titolo di sanzioni). 
    La   stessa   Corte   di   Cassazione   ha   riconosciuto    tali
caratteristiche, nella misura in cui ha affermato che  «piu'  che  un
contributo  destinato  ad  integrare  un  settore   previdenzialmente
scoperto, i conferimenti alla gestione separata  hanno  piuttosto  il
sapore di una tassa aggiuntiva su determinati tipi di reddito, con il
duplice scopo di "fare cassa" e di costituire un deterrente economico
all'abuso di tali forme di lavoro» (Cass. sez. lav. 32167/2018, §  8,
pag. 5, che richiama S.U. 3240/2010). 
    Nel caso in esame,  tuttavia,  l'applicazione  della  norma  agli
avvocati esonerati dall'iscrizione alla propria  cassa  ex  art.  22,
legge  n.   576/1980   determina   l'irragionevole   conseguenza   di
assoggettare  a  tale  «tassazione»,  retroattivamente,  anche   quei
professionisti che non avevano certamente  inteso  eludere  i  propri
obblighi contributivi, effettuando le  prescritte  dichiarazioni  dei
redditi (come riconosciuto dall'INPS, che  in  forza  delle  medesime
dichiarazioni ha potuto procedere alla loro iscrizione d'ufficio alla
gestione  separata)  e  facendo  affidamento  sul  regime   ad   essi
espressamente riconosciuto dall'art. 22, legge n. 576/1980. 
    E del  resto,  gli  stessi  lavori  preparatori  della  legge  di
conversione del decreto-legge n. 98/2011, con riguardo  all'art.  18,
comma 12, non sembravano preludere alla soluzione  poi  adottata  dal
diritto vivente rispetto agli avvocati iscritti  in  albi,  esonerati
all'iscrizione ex art. 22, legge n. 576/1980. Si richiama, in merito,
quanto gia' evidenziato sul contenuto della relazione al  disegno  di
legge di conversione del decreto-legge n. 98/2011, n. 2814/2011, pag.
29 e si  rinvia,  in  particolare,  alla  nota  sub  6  del  presente
provvedimento. 
    Non sussistono, peraltro, quei presupposti che, secondo la stessa
giurisprudenza costituzionale,  possono  consentire  un  giudizio  di
legittimita' costituzionale della norma, nella parte in  cui  esplica
effetti retroattivi. 
    Innanzitutto,  non  sussistono  motivi  imperativi  di  carattere
generale. 
    Al riguardo, si rileva lo  scarso  gettito  contributivo  che  la
disposizione impugnata appare destinata a produrre, dato che  vengono
coinvolti solo gli avvocati che hanno prodotto redditi  molto  bassi,
quali sono quelli al di sotto delle soglie ex art. 22, legge  n.  576
cit., e peraltro per un periodo di tempo molto limitato  (dall'inizio
dell'operazione «Poseidone» all'entrata in vigore dell'art. 21, comma
8, legge n. 247/2012). 
    In  ogni  modo,  come  e'  stato  piu'  volte   rimarcato   dalla
giurisprudenza, la mera esigenza di un maggior  gettito  contributivo
non costituisce un preminente interesse di carattere generale  idoneo
a  giustificare  l'incisione  retroattiva  di  posizioni   giuridiche
consolidate. 
    La   mancanza   di   un   preminente   interesse    generale    e
l'irragionevolezza della norma, nella misura in cui dispone anche per
il passato, appaiono  desumibili  anche  dalla  particolare  distanza
temporale  che  corre  tra  l'epoca   di   emanazione   della   norma
interpretata  (1995)   e   quella   di   approvazione   della   norma
interpretatrice (2011). 
    Inoltre, non appaiono sussistere quelle specifiche condizioni che
la stessa Corte costituzionale ha piu' volte richiamato,  anche  alla
luce della giurisprudenza della Corte europea dei diritti  dell'uomo,
e che possono  consentire  di  considerare  ragionevole  l'intervento
retroattivo, ovverosia la sussistenza di ragioni storiche epocali, la
necessita' di porre rimedio ad un'imperfezione  tecnica  della  legge
interpretata,   ristabilendo   un'interpretazione    piu'    aderente
all'originaria volonta' del legislatore, la necessita' di riaffermare
l'intento originale  del  Parlamento,  la  sussistenza  di  manifeste
sperequazioni determinate da istituti extra  ordinem  di  eccezionale
favore, profili di  illegittimita'  costituzionale  dalla  disciplina
anteriore interpretata (da ultimo, C. cost. 12 luglio 2019,  n.  174,
cit.). 
    Anzi, va ulteriormente ribadito come l'interpretazione  autentica
in esame abbia una valenza  sostanzialmente  innovativa,  atteso  che
l'applicazione della norma interpretata dell'art. 2, comma 26,  legge
n. 335/1995, alla luce della sua esegesi  anche  sistematica  con  il
comma 25 dello stesso articolo, appariva  chiaramente  preclusa  agli
avvocati del libero foro, in quanto professionisti iscritti  in  albi
dotati di un proprio ente di gestione previdenziale, come in generale
a tutti i professionisti comunque iscritti in  albi  (in  tal  senso,
prima del decreto-legge n. 98/2011, Cass. Civ. sez. lav. 16  febbraio
2007 n. 3622; conf. 13218/2008, cit.). 
    La   norma    in    scrutinio,    pertanto,    appare    incidere
irragionevolmente   sulla   posizione   giuridica   degli   avvocati,
addossando retroattivamente oneri previdenziali  non  previsti  dalla
legislazione  anteriore  e,  dunque,  incidendo  negativamente  sulla
condizione patrimoniale degli stessi, senza che sussistano motivi che
possano giustificare una siffatta lesione del legittimo  affidamento,
dei principi di certezza del diritto e dei diritti acquisiti. 
    La giurisprudenza della Corte costituzionale, sul tema,  ha  piu'
volte ricordato che negli ambiti diversi da quello del settore penale
il legislatore, se e' pur libero di emanare disposizioni retroattive,
anche di interpretazione autentica, incontra il limite  nell'adeguata
giustificazione sul piano della  ragionevolezza,  che  presuppone  un
puntuale  bilanciamento  tra  le  ragioni  che  hanno   motivato   la
previsione della norma retroattiva  e  i  valori,  costituzionalmente
tutelati, al contempo potenzialmente lesi  dall'efficacia  a  ritroso
della norma adottata, specificando che «i limiti posti alle leggi con
efficacia retroattiva si correlano  alla  salvaguardia  dei  principi
costituzionali dell'eguaglianza e della ragionevolezza,  alla  tutela
del  legittimo   affidamento,   alla   coerenza   e   alla   certezza
dell'ordinamento    giuridico,    al    rispetto    delle    funzioni
costituzionalmente riservate al potere  giudiziario»  (C.  Cost.,  12
luglio 2019 n. 174, cit.). 
 
                                 II 
 
    Infine, per completezza,  appare  doveroso  evidenziare  come  la
norma in esame presenti un ulteriore elemento di possibile  contrasto
con i parametri costituzionali invocati. 
    Come ha evidenziato l'INPS nelle proprie memorie di costituzione,
la  posizione  di  conflitto  tra  l'Istituto  e  la  categoria   dei
professionisti non iscritti alla gestione separata  -  tra  cui,  gli
avvocati non iscritti alla cassa forense, per mancato  raggiungimento
delle soglie previste dall'art. 22, legge n. 576/1980 - e' sorta  nel
2009, allorquando l'INPS, a fronte della mancata iscrizione di  detti
professionisti alla gestione  separata,  ha  ritenuto  di  iscriverli
d'ufficio e di procedere al recupero degli importi ritenuti spettanti
(c.d. operazione Poseidone). 
    All'epoca della comparsa  di  tale  posizione  di  conflitto,  la
giurisprudenza  di  legittimita'  aveva  gia'   chiaramente   escluso
l'applicabilita'  della  gestione  separata  per   i   professionisti
iscritti in albi (ex multis, Cass. Civ. sez. lav. 16 febbraio 2007 n.
3622; 13218/2008 cit.). 
    Appare pertanto oggettivo che, con l'intervento del  legislatore,
avvenuto con la formulazione dell'art. 18, comma 12, decreto-legge n.
98/2011, e' stata introdotta una norma che ha  alterato  la  «parita'
delle  armi»  nell'ambito  di   un   contenzioso   gia'   chiaramente
delineatosi tra l'INPS e i professionisti, ribaltando  l'orientamento
dapprima espresso dalla giurisprudenza di merito e di legittimita'. 
    La norma in esame, pertanto, nella parte in cui non  prevede  che
gli obblighi di iscrizione previsti dalla norma interpretata (art. 2,
comma 26, legge n. 335/1995) possano decorrere solo dalla entrata  in
vigore della norma interpretatrice, appare  collidere  non  solo  con
l'art. 3 Cost., ma anche con i principi di cui all'art. 6  CEDU,  per
come richiamati. dall'art. 117, comma 1, Cost., posto che essa incide
in favore dell'INPS, con effetti retroattivi, su  di  un  contenzioso
gia' in atto al momento della sua  emanazione  e  rispetto  al  quale
sussisteva un indirizzo della Suprema Corte di Cassazione  opposto  a
quello poi seguito dal legislatore. 
4) Interpretazioni costituzionalmente orientate. Esclusione. 
    Tenuto conto del quadro giurisprudenziale evidenziato in sede  di
ricostruzione normativa, che consente di individuare un  orientamento
univoco e stabile della Suprema Corte  in  ordine  all'applicabilita'
della disciplina di cui all'art. 2, comma 26, legge n. 335/1995, come
interpretato dall'art. 18, comma 12, decreto-legge n.  98/2011,  alla
categoria degli avvocati che non abbiano raggiunto le soglie previste
ex art.  22,  legge  n.  576/1980,  appare  vano  ogni  tentativo  di
procedere secondo interpretazioni costituzionalmente orientate. 
    Al  riguardo,  si  richiama,  peraltro,  l'indirizzo  piu'  volte
espresso  dalla  giurisprudenza  costituzionale,  secondo   cui   «in
presenza di un orientamento giurisprudenziale consolidato, il giudice
a quo - se e' pur libero di non uniformarvisi e di proporre  una  sua
diversa esegesi, essendo la "vivenza" della  norma  una  vicenda  per
definizione aperta, ancor piu'  quando  si  tratti  di  adeguarne  il
significato  a  precetti  costituzionali  -  ha  alternativamente  la
facolta'  di  assumere  l'interpretazione  censurata  in  termini  di
"diritto vivente" e di richiederne su tale presupposto  il  controllo
di compatibilita' con parametri costituzionali (sentenze n.  191  del
2013, n. 258 e n. 117 del 2012 e  n.  91  del  2004)»  (C.  cost.  24
ottobre 2014, n. 242). 

(1) Norma applicabile anche all'opposizione all'avviso di addebito ai
    sensi dell'art. 30, comma 14, D.L.  31/5/2010  2010,  n.  78  (in
    Suppl.  ordinario  n.  114  alla  G.  U.,  31/5/2010,  n.   125),
    convertito, con mod., in legge 30/7/2010,  n.  122,  secondo  cui
    "Ai fini [della procedura di  riscossione]  di  cui  al  presente
    articolo, i riferimenti contenuti in norme vigenti al ruolo, alle
    somme iscritte a ruolo e alla cartella di pagamento si  intendono
    effettuati ai fini del recupero delle somme  dovute  a  qualunque
    titolo all'INPS al titolo esecutivo emesso dallo stesso Istituto,
    costituito dall'avviso di addebito  contenente  l'intimazione  ad
    adempiere l'obbligo di pagamento delle  medesime  somme  affidate
    per il recupero agli agenti della riscossione". 

(2) In base alla delibera del Comitato dei delegati del 28  settembre
    2007,  le  soglie  minime  ex  art.  22  l.  576/1980   ai   fini
    dell'obbligo di iscrizione previste  per  il  2010  erano  di  €.
    10.000,00 di reddito professionale netto o €. 15.000,00 di volume
    di affari. 

(3) In tal senso, sembra deporre anche la  relazione  al  disegno  di
    legge di conversione n. 2814/2011, alla pag. 29, consultabile in 

(4) http://www.senato.it/bgt/pdf/s2814-1.pdf 

(5) (su cui piu' ampiamente infra, nota sub 6)).  

(6) Per comodita' di lettura, si riporta la nota in questione,  nella
    parte di interesse, secondo cui prima dell'entrata in vigore  del
    regolamento di attuazione dell'art. 21, commi 8  e  9,  legge  n.
    247/2012, «l'iscrizione alla Cassa era facoltativa e, a  domanda,
    nei casi in cui il professionista  non  raggiungesse  una  soglia
    minima  di  reddito  o  di  volume  d'affari   IVA,   di   natura
    professionale,   fissati   dal   comitato   dei   delegati    per
    l'accertamento dell'esercizio continuativo della professione». 

(7) Ai sensi dell'art. 21, comma 8, legge  n.  247/2012,  invero,  e'
    stato  previsto  che  «l'iscrizione   agli   albi   comporta   la
    contestuale iscrizione  alla  Cassa  nazionale  di  previdenza  e
    assistenza forense» e, ai sensi dell'art. 21, comma 9, che o  «La
    Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense,  con  proprio
    regolamento, determina, entro un anno dalla data  di  entrata  in
    vigore della presente legge, i  minimi  contributivi  dovuti  nel
    caso di soggetti iscritti senza il  raggiungimento  di  parametri
    reddituali, eventuali condizioni temporanee  di  esenzione  o  di
    diminuzione dei contributi per soggetti in particolari condizioni
    e l'eventuale applicazione del regime contributivo». 

(8) La relazione al disegno di legge n. 2814 cit. e' consultabile in 

(9) http://www.senato.it/bgt/pdf/s2814-1.pdf 

(10)    La  stessa,  proprio  in  merito  all'art.  18,   comma   12,
     decreto-legge   n.   98/2011,   sembra   giustificare   la   sua
     introduzione in relazione al fenomeno dell'elusione contributiva
     favorita da disposizioni statutarie e regolamentari  di  «alcuni
     enti» previdenziali, relativamente  all'attivita'  professionale
     esercitata «dopo la pensione», e non gia' all'esonero per motivi
     reddituali   previsto   da    specifiche    norme    di    legge
     dell'ordinamento previdenziale forense, come l'art. 22, legge n.
     576/1980. La relazione, inoltre, sembra  escludere  dall'obbligo
     di  iscrizione  alla  gestione  separata  coloro  che   svolgono
     un'attivita'  il  cui  esercizio  presuppone   l'iscrizione   ad
     appositi albi o elenchi. Essa, invero, illustra che «Il comma 12
     riguarda  la  contribuzione  in  tutti  i  casi  di  svolgimento
     dell'attivita' professionale. Le vigenti disposizioni statutarie
     e regolamentari di alcuni enti previdenziali di diritto  privato
     di cui  ai  decreti  legislativi  n.  509/1994  e  n.  103/1996,
     approvati dai vigilanti Ministeri del lavoro e  delle  politiche
     sociali e dell'economia  e  delle  finanze,  hanno  previsto  la
     possibilita', su  base  volontaria,  di  proseguire  l'esercizio
     della attivita' professionale una volta liquidato il trattamento
     pensionistico,  senza  essere   tenuti   al   versamento   della
     contribuzione ordinaria. Tali previsioni si  sono  rivelate  non
     coerenti con il principio di carattere generale in base al quale
     i redditi prodotti devono essere  assoggettati  a  contribuzione
     previdenziale,  per  cui  l'INPS  nell'ambito   di   una   vasta
     operazione finalizzata  a  contrastare  l'evasione  ed  elusione
     contributiva, ha ritenuto  di  contestare  in  tali  ipotesi  il
     mancato  versamento  della  contribuzione  presso   la   propria
     gestione separata, di cui all'art. 2, comma 26,  della  legge  8
     agosto 1995, n. 335». Specifica, quindi, che «la norma in  esame
     intende offrire quindi una  soluzione  alla  questione,  da  una
     parte, imponendo per il  futuro  l'obbligo  per  i  citati  enti
     previdenziali di diritto privato di prevedere  negli  statuti  e
     nei  regolamenti  l'obbligatorieta'  dell'iscrizione   e   della
     contribuzione in tutti  i  casi  di  svolgimento  dell'attivita'
     professionale (ossia, anche una volta  maturato  il  trattamento
     pensionistico)  e,  dall'altra,  precisando  che  sono  soggetti
     all'iscrizione presso  la  gestione  separata  INPS  coloro  che
     svolgono  attivita'  il  cui  esercizio   non   e'   subordinato
     all'iscrizione  ad  appositi  albi  o  elenchi,  salvo   diversa
     previsione legislativa». 

(11) Anche con riguardo alla categoria forense,  la  Cassazione,  nel
     confermare i principi  espressi  con  riguardo  agli  ingegneri,
     sembra  presupporre  l'impossibilita'  del  professionista   con
     redditi sotto le  soglie  ex  art.  22,  legge  n.  576/1980  di
     iscriversi alla  Cassa  forense:  si  consideri,  in  proposito,
     quanto affermato da  Cass.  32167/2018  cit.,  al  paragrafo  7,
     secondo cui «Giova ricordare, con riguardo al  caso  di  specie,
     che per l'iscrizione alla  Cassa  di  Previdenza  ed  Assistenza
     Forense, al tempo in cui si colloca la fattispecie,  occorrevano
     due requisiti: l'iscrizione all'albo professionale e l'esercizio
     della professione con carattere  di  continuita'.  Non  potevano
     usufruire della previdenza forense coloro  che  esercitavano  la
     libera professione in modo occasionale  pur  rimanendo  iscritti
     all'albo  professionale.  L'obbligo  di  iscriversi  alla  Cassa
     Forense, con conseguente obbligo  di  contribuzione  nei  limiti
     fissati dal Comitato dei Delegati  della  Cassa,  conseguiva  al
     raggiungimento, nel corso dell'anno, di un reddito netto e di un
     volume di affari (Iva) superiore ai limiti determinati, anno per
     anno, sempre dal Comitato dei Delegati». 
 
                              P. Q. M. 
 
    Visti gli articoli 134 Cost. e 23 legge 11 marzo 1953, n. 87; 
    Visti gli articoli 3, 117, comma 1 Cost., in relazione all'art. 6
Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
liberta' fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e
resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 (CEDU); 
    Ritenuto,  in   relazione   alle   suddette   disposizioni,   non
manifestamente infondate le questioni di legittimita'  costituzionale
relative: 
      A) in via principale, all'art. 2, comma 26, legge n.  335/1995,
come interpretato dall'art. 18, comma 12, decreto-legge  n.  98/2011,
nella parte in cui prevede, a carico degli avvocati del  libero  foro
non  iscritti  alla  Cassa  di   previdenza   forense   per   mancato
raggiungimento delle soglie (di reddito o di  volumi  di  affari)  ex
art. 22,  legge  n.  576/1980,  l'obbligo  di  iscrizione  presso  la
gestione separata INPS; 
      B) in  subordine,  all'art.  18,  comma  12,  decreto-legge  n.
98/2011, nella parte in cui non prevede che l'obbligo  di  iscrizione
alla gestione separata dell'INPS, a carico degli avvocati del  libero
foro non iscritti  alla  Cassa  di  previdenza  forense  per  mancato
raggiungimento delle soglie (di reddito o di  volumi  di  affari)  ex
art. 22, legge n. 576/1980, decorra per i periodi successivi alla sua
entrata in vigore; 
    Ritenuta la questione rilevante, per le  argomentazioni  indicate
in parte motiva; 
    Sospende il giudizio e  dispone  l'immediata  trasmissione  degli
atti alla Corte costituzionale; 
    Ordina che, a cura della Cancelleria, la presente ordinanza venga
notificata alle parti in causa e  al  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri e comunicata ai Presidenti della Camera dei Deputati  e  del
Senato della Repubblica. 
      Cosi' deciso, in Catania, 1° febbraio 2021 
 
                  Il Giudice del lavoro: Fiorentino