N. 20 ORDINANZA (Atto di promovimento) 30 ottobre 2020

Ripubblicazione dell'ordinanza del 30 ottobre 2020  della  Corte  dei
conti - Sezione regionale di controllo per l'Abruzzo nel giudizio  di
parificazione del rendiconto della Regione  Abruzzo  per  l'esercizio
finanziario 2018.. 
 
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(GU n.24 del 16-6-2021 )
 
                         LA CORTE DEI CONTI 
            Sezione regionale di controllo per l'Abruzzo 
 
    Composta dai magistrati: 
      Manuela Arrigucci - Presidente di sezione; 
      Marco Villani - Consigliere; 
      Luigi Di Marco - Consigliere (relatore); 
      Francesca Paola Anelli - Consigliere; 
      Antonio Dandolo - Consigliere; 
      Giovanni Guida - Primo referendario. 
    Ha  pronunciato   la   seguente   Ordinanza   nel   giudizio   di
parificazione del  Rendiconto  generale  della  Regione  Abruzzo  per
l'esercizio finanziario 2018; 
    Visti gli articoli 81, 97, 100, comma 2, 103, camma 2, 117, comma
1, e 136 della Costituzione; 
    Visto il testo unico delle leggi sulla Corte dei conti, approvato
con  regio  decreto  12  luglio   1934,   n.   1214,   e   successive
modificazioni; 
    Vista la legge 14 gennaio 1994, n. 20,  recante  disposizioni  in
materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti; 
    Visto il decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174,  convertito,  con
modificazioni,  in  legge  7  dicembre  2012,  n.  213  e  successive
modifiche ed integrazioni; 
    Visti gli articoli 38 e 40 del decreto  legislativo  n.  174/2016
(cd. Codice di giustizia contabile); 
    Vista la legge 27 dicembre 2017, n. 205, in particolare  i  commi
779, 780 e 782 dell'art. 1; 
    Vista la legge della Regione Abruzzo 5 febbraio 2018,  n.  7,  in
particolare l'art. 8, comma 1, lettera a); 
    Vista la deliberazione della Giunta regionale  n.  226/C  del  17
aprile 2018 con la quale e' stato  approvato  il  «Disegno  di  legge
regionale recante il Rendiconto  generale  per  l'esercizio  2016»  e
relativi allegati; 
    Vista la deliberazione  di  Giunta  regionale  n.  783/C  del  16
ottobre 2018, avente  ad  oggetto  «Riallineamento  rendiconti  2013,
2014, 2015 e 2016 - Provvedimenti»; 
    Vista la  deliberazione  di  Giunta  regionale  n.  918/C  del  3
dicembre 2018 con la quale e' stato approvato il  "Disegno  di  legge
regionale recante:  «Rendiconto  generale  per  l'esercizio  2017»  e
relativi allegati; 
    Vista la deliberazione di Giunta regionale n. 193/C del 15 aprile
2019 avente ad oggetto: «Conferma del disegno di legge  regionale  di
cui alla delibera 226/C del 17  aprile  2018  e  della  deliberazione
783/C del 16 ottobre 2018»; 
    Vista la deliberazione n. 257/C del  14  maggio  2019  avente  ad
oggetto: «Conferma  del  disegno  di  legge  regionale  di  cui  alla
delibera n. 918/C del 3 dicembre 2019 Disegno di  legge  regionale  -
Rendiconto generale per l'esercizio 2017»; 
    Vista la deliberazione di Giunta regionale n. 384/C del 2  luglio
2019 con la quale e' stato approvato il "Disegno di  legge  regionale
recante:  «Rendiconto  generale  per  l'esercizio  2018»  e  relativi
allegati; 
    Vista la deliberazione  di  Giunta  regionale  n.  619/C  del  23
ottobre 2019 avente ad oggetto: «Rettifica GR. n. 384/C del 2  luglio
2019 a seguito della  riapprovazione  con  modifiche  del  Conto  del
tesoriere con deliberazione di Giunta regionale del 23 ottobre  2019,
n. 610»; 
    Vista la deliberazione di Giunta regionale n. 74/C del 3 febbraio
2020 avente ad oggetto: «Rendiconto  esercizio  2016,  2017  e  2018.
Rettifiche alle deliberazioni di Giunta regionale di approvazione dei
disegni di legge»; 
    Uditi nella pubblica udienza del  30  luglio  2020  i  Magistrati
relatori, il  Procuratore  regionale  dott.  Antonio  Giuseppone,  il
Presidente della Giunta della Regione Abruzzo dott. Marco Marsilio  e
l'avvocato   Stefania   Valeri   in    qualita'    di    responsabile
dell'Avvocatura della Regione Abruzzo; 
    Vista la decisione n. 202/2010/Pari del 14 settembre 2020; 
    Ritenuto in 
 
                                Fatto 
 
    1. Con nota prot. regionale n. 0118895/18 del 24 aprile  2018  il
Direttore generale  della  Regione  Abruzzo  ha  trasmesso  a  questa
Sezione  regionale  di  controllo,  ai  fini   della   parifica,   la
deliberazione di Giunta regionale n. 226/C del 17 aprile 2018, avente
ad oggetto «Disegno di legge regionale recante:  Rendiconto  generale
per l'esercizio 2016». 
    2. Con nota prot. regionale n. 345302/2018 del 7 dicembre 2018 il
dirigente del Servizio bilancio della Regione Abruzzo ha trasmesso  a
questa sezione, ai fini della parifica, la  deliberazione  di  Giunta
regionale n. 918/C del 3 dicembre 2018, avente ad oggetto «Disegno di
legge regionale recante: Rendiconto generale per  l'esercizio  2017»,
unitamente alla relazione sulla gestione per l'esercizio  finanziario
2017. 
    3. Con deliberazioni n. 193/C del 15 aprile 2019 e n.  257/C  del
14 maggio 2019, la Giunta della  Regione  Abruzzo  ha  riapprovato  i
disegni di legge per i rendiconti relativi agli esercizi 2016 e 2017,
mantenendone inalterato il contenuto, al  fine  di  riavviare  l'iter
legislativo  di  approvazione  dei  rendiconti  stessi,   a   seguito
dell'inizio della nuova legislatura. 
    4. Con nota prot. regionale  n.  202790  del  9  luglio  2019  il
Dirigente del servizio bilancio della Regione Abruzzo ha trasmesso la
deliberazione di Giunta regionale  n.  1026  del  28  dicembre  2019,
avente ad oggetto «Riaccertamento straordinario  dei  residui  al  1°
gennaio 2018 ai sensi dell'art. 1, comma 783 della legge n.  205/2017
e del decreto ministeriale 14 febbraio 2018». 
    5. Con nota prot. regionale n.  224943  del  1°  agosto  2019  il
Dirigente del servizio bilancio della Regione Abruzzo ha trasmesso la
deliberazione di Giunta regionale n. 384/C del 2 luglio 2019,  avente
ad oggetto «Disegno di legge regionale recante:  Rendiconto  generale
per l'esercizio 2018». 
    6. Con deliberazione  n.  610  del  23  ottobre  2019  la  Giunta
regionale ha riapprovato, con modifiche, il Conto giudiziale reso dal
Tesoriere per l'esercizio finanziario 2018. 
    7. Con nota prot. regionale n. 335003 del  28  novembre  2019  il
Direttore generale ha trasmesso la deliberazione di Giunta  regionale
n. 619/C del 23 ottobre  2019,  avente  ad  oggetto  «Rettifica  alla
deliberazione G.R. n.  384/C  del  2  luglio  2019  a  seguito  della
riapprovazione  con   modifiche   del   Conto   del   tesoriere   con
deliberazione di Giunta regionale del 23 ottobre 2019, n. 610». 
    8. Con nota prot. regionale n,  30289  del  3  febbraio  2020  il
Dirigente del servizio bilancio della Regione Abruzzo ha trasmesso la
deliberazione di Giunta regionale n. 74/C del 3 febbraio 2020, avente
ad oggetto «Rendiconto esercizio 2016, 2017 e 2018.  Rettifiche  alle
deliberazioni di Giunta regionale  di  approvazione  dei  disegni  di
legge». 
    9. In conseguenza della suesposta sequela  procedimentale  questa
Sezione  regionale  di  controllo  ha,  quindi,  avviato  l'attivita'
istruttoria sui  disegni  di  legge  dei  rendiconti  degli  esercizi
finanziari 2016, 2017  e  2018,  ai  fini  dei  relativi  giudizi  di
parificazione, tenendo conto della necessita' di  colmare  i  ritardi
accumulati dalla  Regione  Abruzzo  nell'approvazione  dei  documenti
contabili, nonche' dei richiami della Corte costituzionale in  merito
all'esigenza di un riallineamento dei conti  regionali  (sentenza  n.
49/2018),  onde   pervenire   ad   una   definitiva   ed   aggiornata
illustrazione  della  situazione  finanziaria  e  patrimoniale  della
regione stessa. 
    10. Terminate le istruttorie e le verifiche di competenza, questa
Sezione, con ordinanza presidenziale n. 4/2020 del 10 febbraio  2020,
ha trasmesso alla Regione e alla Procura regionale apposito schema di
relazione,  suddiviso  in  quattro  volumi  (volume  I,  recante  «La
gestione   finanziaria   del   bilancio»;    volume    II,    recante
«Attendibilita' e affidabilita'  dei  dati  contabili»;  volume  III,
recante «La spesa sanitaria, le spese per il personale e i  controlli
interni»; volume IV,  recante  «Analisi  finanziaria  delle  societa'
partecipate e degli enti strumentali della Regione Abruzzo,  gestione
dei fondi strutturali e  di  investimento  europei»),  contenente  le
conclusioni istruttorie e ha convocato la Camera di consiglio, per la
disamina orale ed in contraddittorio delle reciproche  conclusioni  e
controdeduzioni, in data 11 marzo 2020. 
    11. Il Presidente  della  Sezione  regionale  di  controllo,  con
ordinanza n.  8/2020  del  21  febbraio  2020,  ha  poi  disposto  la
trasmissione all'Amministrazione regionale e al Procuratore regionale
dello schema di relazione  integrativa  del  volume  I  «La  gestione
finanziaria del bilancio», adottato nella Camera di consiglio del  21
febbraio 2020. 
    12. A  seguito  dell'emergenza  epidemiologica  da  COVID  19  il
Presidente della Sezione regionale di controllo, con  il  decreto  n.
3/2020 del 9 marzo 2020, ha rinviato, a data da destinarsi, la Camera
di consiglio dell'11 marzo 2020. 
    13. Con ordinanza n. 26/2020 del 12  giugno  2020  il  Presidente
della Sezione regionale  di  controllo  ha  convocato  la  Camera  di
consiglio  del  6  luglio  2020,  nel  contempo   trasmettendo   nota
aggiuntiva del Magistrato relatore contenente ulteriori  verifiche  e
considerazioni nell'ambito dell'istruttoria propedeutica al  giudizio
di parificazione, in relazione al volume I dello schema di relazione. 
    Con  le  richiamate   relazioni   istruttorie   integrative,   in
particolare, era stato  introdotto  il  dubbio  di  costituzionalita'
inerente i commi 779, 780, 781 e  782  dell'art.  1  della  legge  27
dicembre 2017, n. 205 con il quale sono state definite  le  modalita'
di recupero del disavanzo arretrato e l'art. 8, comma 1,  lettera  a)
della legge della Regione Abruzzo  5  febbraio  2018,  n.  7  recante
«Bilancio di previsione finanziario 2018/2020», nella  parte  in  cui
non provvede allo stanziamento delle quote di deficit generato  negli
esercizi successivi al  2014.  Le  disposizioni  censurate,  infatti,
prolungano, in modo assolutamente anomalo, i tempi di rientro di  ben
due disavanzi ordinari e consecutivi (quello al 31  dicembre  2014  e
quello  al  31  dicembre  2015),  ledendo  una  serie   di   principi
consustanziali alla sana gestione finanziaria. La legge regionale  di
approvazione del bilancio  previsionale  poi,  oltre  a  recepire  la
normativa nazione  di  cui  condivide  gli  enunciati  vizi,  risulta
affetta da ulteriori di illegittimita' per non aver tenuto conto,  ai
fini  del  necessario  ripiano,  i  disavanzi  successivi  a   quello
rinveniente dall'esercizio 2014. 
    La Regione Abruzzo ha depositato, in proposito, apposita  memoria
in cui ha fatto  rilevare  la  non  irragionevolezza  dell'intervento
legislativo statale del 2017, che tornando  ad  occuparsi  nuovamente
del disavanzo al 31 dicembre 2014, si porrebbe lungo la filiera delle
precedenti  misure  normative  volte  a  fronteggiare   la situazione
finanziaria scaturita dall'applicazione dei nuovi sistemi  contabili,
anche, probabilmente, alla luce della riscontrata fatica in cui  sono
incorse alcune regioni nel tentativo di rimettersi in bonis a seguito
dell'introduzione del nuovo sistema di contabilita' armonizzata, come
anche  della  perdurante  crisi  finanziaria  e   delle   conseguenti
difficolta' delle autonomie territoriali. L'equilibrio della  finanza
pubblica, necessariamente disancorato dall'orizzonte temporale  della
singola legislatura e da una mera «contabilita' di mandato»,  sarebbe
pertanto dinamicamente rivolto a garantire il  rispetto  dei  vincoli
tra diversi esercizi finanziari, in una prospettiva pluriennale. 
    Quanto alla richiamata esigenza di  garantire  l'esercizio  della
funzione  di  controllo  politico  da  parte  degli  elettori   sulle
decisioni di entrata e di spesa assunte entro l'orizzonte del mandato
elettorale,  la  regione  ha  fatto  osservare  come  non  solo   gli
amministrati, ma gli amministratori  stessi  erediterebbero  il  peso
delle  politiche  dei  propri  predecessori,  che   ne   condizionano
necessariamente l'operato. 
    Ne' le generazioni future  sarebbero  maggiormente  garantite  da
piani di rientro a  tappe  forzate  (ancor  piu'  forzate),  tali  da
mettere l'ente a rischio di default. 
    Ad   avviso   della   regione   inoltre,   alcune    riflessioni,
perfettamente condivisibili nell'ambito di un contesto  quale  quello
degli enti locali mal si attaglierebbero alla realta'  regionale  ed,
in particolare, a quella abruzzese che, in aggiunta, ha  vissuto  nel
2009 l'esperienza del terremoto con effetti  devastanti  proprio  nel
capoluogo regionale in cui risiedevano tutti gli uffici  contabili  e
che si e' trovata, proprio a causa di detto evento, a  dover  gestire
un complesso percorso di riallineamento contabile che si affiancava a
quello di implementazione del nuovo sistema armonizzato. 
    I  deficit  oggetto  di  analisi,  per   l'amministrazione,   non
sarebbero disavanzi «ordinari», caratterizzati  da  inadeguatezza  di
risorse disponibili rispetto  alla  spesa  contratta  che  l'ente  e'
obbligato a  colmare,  quanto  piuttosto  situazioni  provenienti  da
periodi pregressi o da applicazione di nuovi  istituti  previsti  dai
principi contabili. 
    Altro elemento valorizzato dalla regione e' poi stato quello  del
contrappeso che il Legislatore associa all'estensione  temporale  del
piano di rientro del disavanzo 2014 (da dieci a venti anni) e che  si
sostanzia nell'obbligo di incrementare la spesa per gli  investimenti
da parte delle regioni aderenti. 
    In relazione alla legge regionale di  approvazione  del  bilancio
previsionale 2018, l'Amministrazione ha poi sostenuto che per effetto
dell'approvazione dello schema di Rendiconto  2017,  la  somma  delle
quote di disavanzo rideterminate ai sensi del comma 782, dell'art.  1
della legge n. 205/2017, avrebbe determinato una quota  da  iscrivere
in bilancio pari ad  euro  20.525.903,15,  inferiore  ai  25  milioni
previsti  in  bilancio  di  previsione  2018.  La  norma   richiamata
permetterebbe all'ente, gia' in  sede  di  costruzione  del  bilancio
2018, di rideterminare il piano  di  ammortamento  sulla  base  dello
stock di disavanzo non ancora ripianato. 
    14. Nella Camera di consiglio del 6  luglio  2020,  ai  fini  del
contraddittorio, sono state illustrate le risultanze istruttorie e le
criticita' rilevate nell'attivita' di controllo dei rendiconti  2016,
2017 e 2018, ed i rappresentanti dell'Amministrazione regionale e  il
Procuratore  regionale   hanno   formulato   oralmente   le   proprie
considerazioni. Il Procuratore  regionale  si  e'  riservato  di  far
pervenire le proprie conclusioni prima del giudizio di parificazione. 
    15. Con ordinanza n. 30/2020 del  7  luglio  2020  il  Presidente
della Sezione regionale di controllo, previa riunione dei giudizi  di
parificazione relativi ai rendiconti generali per gli esercizi  2016,
2017, 2018, ha disposto la fissazione dell'udienza per il  16  luglio
2020  prevedendo,  altresi',  che  il  Procuratore  regionale  e   il
Presidente della  Regione  Abruzzo  potessero  depositare  presso  la
Segreteria  della  sezione  eventuali  note  conclusive  nel  termine
massimo di cinque giorni dall'emanazione della suddetta ordinanza. 
    16. Con nota acquisita al protocollo  della  sezione  n.  0003561
dell'8  luglio  2018  il  Procuratore  regionale  ha   trasmesso   la
requisitoria   conclusiva,   con   la   quale   manifestava    alcune
perplessita', in ordine al solo  Rendiconto  2018  in  considerazione
delle quali, all'udienza del 16 luglio 2020 il Collegio con ordinanza
n.  31/2020  ha  disposto  la  riunione,  in  un  unico  giudizio  di
parificazione, dei procedimenti propedeutici alla  parificazione  dei
rendiconti generali per gli esercizi finanziari  2016  e  2017  della
Regione Abruzzo e il rinvio  all'udienza  del  30  luglio  2020,  per
approfondimenti  istruttori,  della  trattazione  del   giudizio   di
parificazione  relativo  al  Rendiconto  generale   per   l'esercizio
finanziario 2018. 
    17. All'udienza del 30 luglio 2020 nel richiamarsi alle relazioni
istruttorie integrative, il  Magistrato  istruttore  ha  ribadito  il
dubbio di costituzionalita' inerente i commi  779,  780,  781  e  782
dell'art. 1 della legge 27 dicembre 2017, n. 205 con  il  quale  sono
state definite le modalita' di recupero  del  disavanzo  arretrato  e
l'art. 8, comma 1, lettera a) della legge  della  Regione  Abruzzo  5
febbraio 2018, n.  7  recante  «Bilancio  di  previsione  finanziario
2018/2020», nella parte in cui non provvede allo  stanziamento  delle
quote di deficit generato  negli  esercizi  successivi  al  2014.  Le
disposizioni censurate, infatti, prolungano,  in  modo  assolutamente
anomalo,  i  tempi  di  rientro  di  ben  due  disavanzi  ordinari  e
consecutivi (quello al 31 dicembre  2014  e  quello  al  31  dicembre
2015),  ledendo  una  serie  di  principi  consustanziali  alla  sana
gestione finanziaria. La legge regionale di approvazione del bilancio
previsionale poi, oltre  a  recepire  la  normativa  nazione  di  cui
condivide  gli  enunciati  vizi,  risulta  affetta  da  ulteriori  di
illegittimita' per non aver tenuto  conto,  ai  fini  del  necessario
ripiano, i disavanzi successivi a quello  rinveniente  dall'esercizio
2014. 
    Il Procuratore  regionale  ha  concluso  chiedendo  alla  Sezione
regionale di controllo per l'Abruzzo di volere, ritenuta la rilevanza
e la non manifesta infondatezza, sollevare, tra l'altro, questione di
legittimita' costituzionale delle seguenti norme: dell'art. 1,  commi
779, 780 e 782 della legge 27 dicembre 2017,  n.  205;  dell'art.  8,
comma 1, lettera a), della legge della  Regione  Abruzzo  5  febbraio
2018, n. 7. 
    Il Presidente  della  Regione  Abruzzo  ha  invece  sostenuto  la
infondatezza dei dubbi di costituzionalita' avanzati dai relatori. 
    Si e'  soffermato,  quindi,  sulla  problematica  riguardante  il
disavanzo  di  amministrazione.  Ha  ribadito   che   il   disavanzo,
prodottosi fondamentalmente in seguito all'armonizzazione  contabile,
sarebbe di fatto piu' virtuale che reale, nel senso che  trattasi  di
un valore contabile e non concreto  e  che  la  regione  non  sarebbe
affetta da crisi di liquidita'. Riferisce che  anche  altre  regioni,
aventi  situazioni  analoghe  a   quella   dell'Abruzzo,   starebbero
adottando piani ventennali per il ripiano e che un  incremento  degli
accantonamenti  comporterebbe  il  dover  «congelare»  disponibilita'
liquide, impedendo di immetterle sul  mercato  con  aggravio  di  una
situazione gia' problematica, soprattutto nel periodo  immediatamente
successivo alla crisi innescata dalla pandemia. Riferisce,  altresi',
che anche in materia di spesa del personale  dei  gruppi  consiliari,
altre regioni adotterebbero lo stesso comportamento, senza  incorrere
in questioni di  legittimita'  costituzionale.  Il  Presidente  della
regione ha quindi concluso confermando la richiesta di  parificazione
del Rendiconto relativo all'esercizio 2018. 
    E' intervenuta, inoltre,  l'avvocato  responsabile  del  Servizio
avvocatura della regione, riferendo circa le  problematiche  connesse
al riassorbimento del  disavanzo.  Nel  richiamare  il  principio  di
continuita' dei servizi sociali come interesse pubblico rilevante  da
bilanciare  con  quello  dell'equilibrio  di  bilancio,  ha  concluso
anch'essa    per    l'infondatezza    dei    sollevati    dubbi    di
costituzionalita'. 
    18. Le considerazioni svolte  dalla  Regione  Abruzzo  non  hanno
consentito di superare gli evidenziati dubbi di costituzionalita'. 
    Pertanto, all'esito dell'udienza pubblica  del  16  luglio  2020,
questo Collegio ha adottato la deliberazione n. 202/2020/Pari con cui
sospendeva il giudizio sul Rendiconto generale della Regione  Abruzzo
per l'esercizio 2018 in quanto inciso, nella complessita', della  sua
rappresentazione, dall'art. 1, commi 779, 780 e 782  della  legge  27
dicembre 2017, n. 205, e dall'art. 8 comma 1, lettera a) della  legge
della Regione Abruzzo 5 febbraio 2018, n.  7,  recante  «Bilancio  di
previsione finanziario 2018/2020», in relazione ai quali disponeva di
sollevare  con  separate   ordinanze,   questioni   di   legittimita'
costituzionale in riferimento al combinato  disposto  degli  articoli
97, 81, 2, 3, 1  della  Costituzione;  al  combinato  disposto  degli
articoli 97, 81 e 41 della Costituzione, e degli articoli  3  e  117,
comma 1, della Costituzione, per violazione del parametro  interposto
dell'art. 1, protocollo 1, Convenzione europea  per  la  salvaguardia
dei diritti dell'uomo e delle  liberta'  fondamentali;  al  combinato
disposto degli articoli 81 e 117, comma 2,  lettera  e),  e  comma  3
della Costituzione per  violazione  dei  parametri  interposti  degli
articoli 50 e 42, comma 12, del decreto legislativo 23  giugno  2011,
n. 118. 
 
                               Diritto 
 
    1. Nell'ambito del giudizio  di  parificazione  degli  schemi  di
Rendiconto della Regione Abruzzo per gli esercizi 2016, 2017 e  2018,
ai sensi  dell'art.  1,  comma  5,  del  decreto-legge  n.  174/2012,
convertito, con modificazioni, nella legge n.  213/2012,  la  Sezione
regionale di  controllo  per  l'Abruzzo  della  Corte  dei  conti  ha
ritenuto  di  sollevare,  d'ufficio,   pregiudiziale   questione   di
legittimita' costituzionale sull'art. 1, commi 779, 780 e  782  della
legge 27 dicembre 2017, n. 205 recante «Bilancio di previsione  dello
Stato per l'anno finanziario  2018  e  bilancio  pluriennale  per  il
triennio 2018-2020», pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n.  302  del
29 dicembre 2017, Supplemento ordinario n. 62 e sull'art. 8, comma 1,
lettera a), della legge della Regione Abruzzo 5 febbraio 2018, n.  7,
recante «Bilancio di previsione  finanziario  2018/2020»,  pubblicata
nel Bollettino Ufficiale della Regione Abruzzo n. 22, Serie speciale,
del 16 febbraio 2018. 
    Le norme statali oggetto della questione  intervengono  sull'art.
9, comma 5, del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78, convertito,  con
modificazioni, dalla legge 6 agosto 2015, n. 125 che gia'  consentiva
alle regioni il ripiano del disavanzo al 31 dicembre  2014  in  dieci
esercizi a quote costanti, in  deroga  all'art.  42,  comma  12,  del
decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, e successive modifiche. 
    Il richiamato comma 5 dell'art. 9, in particolare, prevedeva che: 
      «In deroga all'art. 42, comma 12, del  decreto  legislativo  23
giugno 2011, n. 118; e  successive  modifiche,  il  disavanzo  al  31
dicembre 2014 delle regioni, al netto del debito  autorizzato  e  non
contratto, puo' essere ripianto nei dieci esercizi successivi a quote
costanti, contestualmente all'adozione  di  una  delibera  consiliare
avente ad oggetto il piano di rientro dal  disavanzo,  sottoposto  al
parere del collegio  dei  revisori,  nel  quale  sono  individuati  i
provvedimenti necessari a ripristinare il pareggio. La 'deliberazione
di cui al presente comma contiene l'impegno  formale  di  evitare  la
formazione di ogni ulteriore potenziale disavanzo, ed e' allegata  al
bilancio  di  previsione  e  al   Rendiconto,   costituendone   parte
integrante. Con periodicita' almeno semestrale  il  Presidente  della
giunta regionale trasmette al Consiglio una relazione riguardante  lo
stato di attuazione del piano di rientro». 
    L'art. 42, comma 12, del decreto legislativo 23 giugno  2011,  n.
118, prevede che: 
      «L'eventuale disavanzo di amministrazione  accertato  ai  sensi
del comma 1, a seguito dell'approvazione del Rendiconto, al netto del
debito autorizzato e non contratto di cui all'art. 40,  comma  1,  e'
applicato   al   primo   esercizio   del   bilancio   di   previsione
dell'esercizio  in  corso  di  gestione.  La  mancata  variazione  di
bilancio che, in corso di gestione, applica il disavanzo al  bilancio
e' equiparata a tutti  gli  effetti  alla  mancata  approvazione  del
Rendiconto digestione. Il disavanzo  di  amministrazione  puo'  anche
essere  ripianato  negli  esercizi  considerati   nel   bilancio   di
previsione, in ogni  caso  non  oltre  la  durata  della  legislatura
regionale, contestualmente all'adozione di  una  delibera  consiliare
avente ad oggetto il piano di rientro dal disavanzo nel  quale  siano
individuati i provvedimenti necessari a ripristinare il pareggio.  Il
piano di rientro e' sottoposto al parere del collegio  dei  revisori.
Ai fini del rientro, possono essere utilizzate le economie di spesa e
tutte le entrate, ad eccezione di quelle provenienti  dall'assunzione
di prestiti e  di  quelle  con  specifico  vincolo  di  destinazione,
nonche' i proventi derivanti  da  alienazione  di  beni  patrimoniali
disponibili e da  altre  entrate  in  c/capitale  con  riferimento  a
squilibri di parte capitale». 
    Le norme statali della cui legittimita' costituzionale si  dubita
invece prevedono che: 
      779. Il ripiano del disavanzo al 31 dicembre 2014, disciplinato
dall'art. 9, comma 5,  del  decreto-legge  19  giugno  2015,  n.  78,
convertito, con modificazioni, dalla legge 6  agosto  2015,  n.  125,
puo' essere rideterminato in  quote  costanti;  in  non  oltre  venti
esercizi, per le regioni che si impegnano a riqualificare la  propria
spesa attraverso il progressivo  incremento  degli  investimenti.  Il
disavanzo di cui al  periodo  precedente  e'  quello  risultante  dal
consuntivo o, nelle more dell'approvazione del  Rendiconto  da  parte
del consiglio regionale, quello risultante dal  consuntivo  approvato
dalla giunta regionale. Le disposizioni di cui ai periodi  precedenti
si applicano anche con riferimento al disavanzo al 31 dicembre 2015; 
      780. Le regioni di cui al comma 779, per gli anni dal  2018  al
2026, incrementano i pagamenti complessivi per investimenti in misura
non inferiore al  valore  dei  medesimi  pagamenti  per  l'anno  2017
rideterminato  annualmente   applicando   all'anno   base   2017   la
percentuale del 2 per cento per l'anno 2018, del 2,5  per  cento  per
l'anno 2019, del 3 per cento per l'anno 2020 e del 4  per  cento  per
ciascuno degli anni dal 2021  al  2026.  Ai  fini  di  cui  al  primo
periodo, non rilevano gli investimenti aggiuntivi di cui all'art.  1,
commi 140-bis e 495-bis, della legge 11 dicembre 2016, n. 232, e, per
il solo calcolo relativo all'anno 2018, i pagamenti  complessivi  per
investimenti relativi all'anno 2017 da prendere a riferimento possono
essere desunti anche dal preconsuntivo; 
      781. Le regioni di cui  al  comma  779  certificano  l'avvenuta
realizzazione degli investimenti di cui al  comma  780  entro  il  31
marzo dell'anno successivo a quello di riferimento, mediante apposita
comunicazione  al  Ministero  dell'economia   e   delle   finanze   -
Dipartimento della  Ragioneria  generale  dello  Stato.  In  caso  di
mancata o parziale realizzazione degli investimenti, si applicano  le
sanzioni di cui all'art. 1, comma 475, della legge 11 dicembre  2016,
n. 232; 
      782. Le regioni di cui  al  comma  779  adeguano  il  piano  di
rientro del disavanzo 2014, approvato ai sensi dell'art. 9, comma  5,
del  decreto-legge  19  giugno   2015,   n.   78,   convertito,   con
modificazioni, dalla legge 6 agosto 2015, n. 125, in  attuazione  del
comma 779, a decorrere dal  2018,  con  riferimento  alla  quota  non
ancora  ripianata  del  disavanzo  2014.  Il  piano  di  rientro  del
disavanzo 2015 decorre dal  2018,  con  riferimento  alla  quota  non
ancora ripianata. Nel caso in cui i piani di rientro  siano  definiti
sulla base dei  consuntivi  approvati  dalla  giunta  regionale,  gli
stessi sono adeguati a seguito dell'approvazione dei rendiconti  2014
e 2015 da parte del consiglio regionale». 
    L'art. 8, comma 1, lettera a), della legge della Regione  Abruzzo
5 febbraio 2018, n. 7, recante «Bilancio  di  previsione  finanziario
2018/2020» infine, in applicazione delle richiamate norme statali, ha
previsto che: 
    «E' iscritta nello stato di previsione della spesa una quota  del
disavanzo  di  amministrazione  presunto  per  ciascuna   delle   tre
annualita' di bilancio (2018-2019-2020), cosi determinata: 
      a)  euro  25.544.172,01  quale  annualita'  del  disavanzo   di
amministrazione presunto al 31 dicembre 2014, in attuazione di quanto
previsto dall'art. 9, comma 5, del decreto-legge 19 giugno  2015,  n.
78  (Disposizioni  urgenti   in   materia   di   enti   territoriali.
Disposizioni  per  garantire  la  continuita'  dei   dispositivi   di
sicurezza e di  controllo  del  territorio.  Razionalizzazione  delle
spese del Servizio sanitario nazionale nonche' norme  in  materia  di
rifiuti e di emissioni  industriali),  convertito  con  modificazioni
dalla legge 6 agosto 2015, n. 125 in deroga all'art.  42,  comma  12,
del decreto legislativo n. 118/2011». 
    La Sezione ha, quindi, sospeso il giudizio di parificazione sullo
schema di Rendiconto generale della Regione Abruzzo  per  l'esercizio
2018 il quale  risultava  inciso  dall'attuazione  finanziaria  delle
predette disposizioni. 
    2.  In  via  preliminare,  appare  necessario  soffermarsi  sulla
legittimazione di questa Corte  ad  adire  il  Giudice  delle  leggi,
nonche' sulla rilevanza della questione nel giudizio in corso. 
    3. Per quanto riguarda il primo aspetto, la legittimazione  delle
sezioni regionali di controllo della  Corte  dei  conti  a  sollevare
questioni di legittimita' costituzionale in sede di parificazione dei
rendiconti regionali e' stata riconosciuta in  piu'  occasioni  dalla
Corte costituzionale (cfr. sentenze n.  181/2015,  n.  89/2017  e  n.
196/2018), la quale ha sottolineato la peculiare natura del  giudizio
di parificazione che si svolge con le formalita' della  giurisdizione
contenziosa (art. 40, regio decreto n. 1214/1934, testo  unico  delle
leggi  sulla  Corte  dei  conti),  prevede  la   partecipazione   del
Procuratore  generale  in  contraddittorio   con   i   rappresentanti
dell'Amministrazione e si conclude  con  una  pronunzia  adottata  in
esito a pubblica udienza. Sulla base di tali considerazioni la  Corte
costituzionale ha esteso ai giudizi di parificazione  dei  rendiconti
delle regioni a statuto ordinario le  medesime  conclusioni  cui  era
pervenuta con riguardo al giudizio di  parificazione  del  Rendiconto
generale  dello  Stato  o  di  quelli  delle  regioni  ad   autonomia
differenziata (sentenze n. 165/1963, n.  121/1966,  n.  142/1968,  n.
244/1995 e n. 213/2008). 
    Il giudizio di parificazione dei rendiconti regionali si risolve,
infatti, in una valutazione di  «conformita'  (...)  alle  norme  del
diritto oggettivo, ad esclusione di qualsiasi apprezzamento  che  non
sia di ordine strettamente giuridico». Una funzione cioe' di garanzia
dell'ordinamento, di «controllo  esterno,  rigorosamente  neutrale  e
disinteressato (...) preordinato  a  tutela  del  diritto  oggettivo»
(sentenza n. 384 del 1991). 
    Detti   caratteri   costituiscono   indubbio   fondamento   della
legittimazione  della  Corte  dei  conti  a  sollevare  questioni  di
costituzionalita',   atteso   che   il   riconoscimento    di    tale
legittimazione, legata alla specificita' dei suoi compiti nel  quadro
della finanza  pubblica,  «si  giustifica  anche  con  l'esigenza  di
ammettere  al  sindacato  costituzionale  leggi   che,   come   nella
fattispecie in esame, piu' difficilmente verrebbero per altra via, ad
essa sottoposte» (sentenza n. 226 del 1976). 
    Proprio in relazione a siffatte ipotesi la  Corte  costituzionale
ha auspicato (sentenza n. 406 del 1989) che, quando l'accesso al  suo
sindacato sia reso poco agevole, come accade in relazione ai  profili
attinenti all'osservanza di norme poste a tutela della sana  gestione
finanziaria e degli equilibri di bilancio, i  meccanismi  di  accesso
debbano essere arricchiti. La Corte dei conti e' la sede piu'  adatta
a far valere quei profili, e cio' in ragione della  peculiare  natura
dei suoi compiti,  essenzialmente  finalizzati  alla  verifica  della
gestione secundum legem delle risorse finanziarie. 
    Sul  punto,  occorre  infatti  ricordare  che  il   giudizio   di
parificazione, allo stato  della  legislazione  vigente,  e'  l'unica
possibilita' offerta dall'ordinamento per sottoporre a  scrutinio  di
costituzionalita' in via  incidentale,  in  riferimento  ai  principi
costituzionali  in  materia  di  finanza  pubblica,  le  disposizioni
legislative statali e regionali che, incidendo sui singoli  capitoli,
modificano l'articolazione del bilancio e  ne  possono  alterare  gli
equilibri  complessivi.  Conseguentemente,  ove  si   escludesse   la
legittimazione   di   questa   Corte   a   sollevare   questioni   di
costituzionalita' in riferimento ai parametri sopra  individuati,  si
verrebbe a creare, di fatto, una sorta di spazio  legislativo  immune
dal controllo di costituzionalita' attivabile in via incidentale. 
    Coerentemente,   nelle   piu'   recenti   pronunce,   la    Corte
costituzionale   (sentenza   n.   181/2015   e   n.    89/2017)    ha
progressivamente ampliato  i  parametri  costituzionali  rispetto  ai
quali la Corte dei conti puo' accedere al sindacato  di  legittimita'
costituzionale delle norme che vengono in  rilievo  nel  giudizio  di
parificazione.  La   legittimazione   di   questa   Corte,   infatti,
originariamente limitata al solo parametro  costituito  dall'art.  81
della  Costituzione,  e'  ora  riconosciuta   su   tutte   le   norme
costituzionali tese a presidiare gli equilibri di finanza pubblica e,
dunque, anche con riferimento all'art. 119, comma 6  (in  materia  di
indebitamento), e all'art. 97  (in  merito  alla  necessita'  che  le
pubbliche amministrazioni, in coerenza con l'ordinamento  dell'Unione
europea, assicurino l'equilibrio dei bilanci e la sostenibilita'  del
debito pubblico), della Costituzione. 
    Tale ampliamento risulta, peraltro,  in  linea  con  l'evoluzione
delle funzioni di controllo assegnate  alla  Corte  dei  conti,  alla
quale, in particolare a partire dal decreto-legge n.  174/2012  e  in
corrispondenza con l'entrata in vigore della legge costituzionale  20
aprile 2012, n.  1,  e'  stato  riconosciuto  il  ruolo  di  «garante
imparziale  dell'equilibrio  economico  -  finanziario  del   settore
pubblico». Dette forme di controllo, nella ricostruzione operata  dal
Giudice delle leggi (sentenza n. 60/2013), riposano su una pluralita'
di principi costituzionali, che non si esauriscono nell'art. 81 della
Costituzione. E' stato, al riguardo, affermato che  «alla  Corte  dei
conti     e'     attribuito     il     controllo      sull'equilibrio
economico-finanziario del complesso delle amministrazioni pubbliche a
tutela dell'unita'  economica  della  Repubblica,  in  riferimento  a
parametri costituzionali (articoli 81, 119 e 120 della  Costituzione)
e  ai  vincoli  derivanti  dall'appartenenza  dell'Italia  all'Unione
europea  (articoli  11  e  117,  primo  comma,  della  Costituzione)»
(sentenza n. 60/2013). Un ruolo centrale nell'ambito dei controlli di
legittimità-regolarita'   a   presidio   dei   richiamati   parametri
costituzionali e' svolto proprio dal  giudizio  di  parifica  per  le
regioni a statuto ordinario introdotto, come precisa il  primo  comma
dell'art. 1  del  citato  decreto-legge  n.  174/2012,  «al  fine  di
rafforzare il coordinamento della finanza  pubblica,  in  particolare
tra i livelli di governo statale  e  regionale,  e  di  garantire  il
rispetto   dei   vincoli   finanziari   derivanti   dall'appartenenza
dell'Italia all'Unione europea ... Omissis». Sussiste, pertanto,  una
corrispondenza tra i parametri costituzionali in  base  ai  quali  il
legislatore ha intestato alla Corte dei conti determinate funzioni di
controllo e i parametri  costituzionali  che  la  stessa  Corte  puo'
prendere  a  riferimento  per   sollevare   dubbi   di   legittimita'
costituzionale delle norme che, di volta in volta, vengono in rilievo
proprio nell'esercizio dei medesimi controlli. 
    La sezione quindi, ritiene di  essere  legittimata,  in  sede  di
giudizio di parificazione,  a  sollevare  questioni  di  legittimita'
costituzionale. 
    4. Quanto alla rilevanza  della  questione,  la  Sezione  ritiene
necessario  svolgere  alcune  considerazioni  preliminari  in  merito
all'oggetto del giudizio di parifica di cui  all'art.  39  del  testo
unico delle leggi sulla Corte dei  conti  (regio  decreto  12  luglio
1934, a 1214), al quale l'art.  1,  comma  5,  del  decreto-legge  n.
174/2012, fa rinvio. 
    Vale la pena innanzitutto richiamare l'evoluzione della natura  e
finalita' del bilancio pubblico, passato da «strumento descrittivo di
fenomeni  di   mera   erogazione   finanziaria»   a   «strumento   di
realizzazione di nuove funzioni di governo  e  piu'  in  generale  di
politica economica e finanziaria» finalizzata a «meglio  programmare,
definire e controllare le entrate  e  le  spese  pubbliche»  fino  ad
assumere il ruolo di «bene pubblico nel senso  che  e'  funzionale  a
sintetizzare e rendere certe le scelte dell'ente territoriale, sia in
ordine all'acquisizione delle entrate, sia alla individuazione  degli
interventi attuativi delle  politiche  pubbliche»  (ex  multis  Corte
costituzionale n. 184/2016). 
    Cio' ha indotto una inevitabile rivisitazione del ruolo assegnato
al giudizio di parifica intestato alla Corte dei conti. 
    Quest'ultimo,   allo   stato   attuale    della    giurisprudenza
costituzionale, ha come oggetto la verifica delle riscossioni  e  dei
pagamenti e dei relativi resti (residui) e, soprattutto, la  verifica
a consuntivo degli equilibri di  bilancio  sulla  base  del  bilancio
preventivo e di tutte  le  disposizioni  sopravvenute  che  ne  hanno
modificato la struttura. In tal modo, il giudizio di parificazione si
pone come strumentale al ruolo di garante imparziale  dell'equilibrio
economico-finanziario del settore  pubblico  che  il  legislatore  ha
attribuito alla Corte dei conti. 
    D'altra parte, in base art. 39, primo comma, del regio decreto n.
1214/1934, nell'ambito della «decisione», la  Corte  dei  conti  deve
effettuare un esame di doppia conformita' articolato in due fasi: 
      la prima attiene al riscontro della corretta ricostruzione  del
fatto («La Corte [...] confronta i risultati tanto  per  le  entrate,
quanto per le spese ponendoli a riscontro con le leggi del bilancio»)
e  soddisfa  l'esigenza  di  accertare  la   corretta   e   veritiera
rappresentazione, nel Rendiconto, della  reale  situazione  contabile
sia dal punto di vista finanziario che economico/patrimoniale; 
      la seconda operazione e' invece denominata «verificazione» («La
Corte  verifica   il   Rendiconto   generale   [...]»)   e   consiste
nell'accertamento    della    conformita'    al    «diritto»    della
rappresentazione e del calcolo come sopra effettuato  e  riscontrato.
In  questa   fase   acquisiscono   rilevanza,   ulteriori   interessi
finanziari,  adespoti,  orientati  al  pieno  funzionamento  e   alla
continuita' delle istituzioni repubblicane tramite il bilancio.  Tali
interessi coinvolgono categorie diverse dagli elettori, quali  quelli
del mercato (art. 41  della  Costituzione)  nonche'  delle  «persone»
diffusamente intese, le  quali  aspirano  ad  un  pieno  sviluppo  da
conseguirsi anche attraverso l'impegno dello Stato e della Repubblica
volto al superamento degli ostacoli, di natura economica  e  sociale,
che lo impediscono (articoli 2 e 3, comma 2 della Costituzione). Tali
interessi, astrattamente distinti da quello dell'amministrazione sono
veicolati e aggregati in giudizio dal Pubblico ministero contabile. 
    Considerato pertanto che l'essenza del giudizio di  parificazione
risiede proprio sul raffronto fra gli stanziamenti di  entrata  e  di
spesa ed i relativi presupposti  di  diritto,  occorre  accertare  se
l'atto di imputazione al bilancio previsionale - parte  spesa  -  del
quantum di disavanzo progresso sia compatibile con l'attuale  assetto
costituzionale e, per quanto piu' interessa in relazione al requisito
della rilevanza, se l'esito del predetto giudizio  di  compatibilita'
condizioni, in tutto o in parte, il giudizio di  parificazione  della
Sezione sul Rendiconto dell'esercizio 2018 della Regione Abruzzo. 
    Ebbene,  qualora  le  norme  sospettate  di   incostituzionalita'
dovessero essere espunte  dall'ordinamento  giuridico,  la  posta  di
disavanzo iscritto in spesa nel bilancio preventivo, si appaleserebbe
illegittima in  quanto  gravemente  sottostimata,  con  la  immediata
conseguenza della compromissione del principale  saldo  di  bilancio,
ovvero il risultato di amministrazione a fine esercizio, nella  parte
in cui quest'ultimo non registra, in termini di recupero del deficit,
il miglioramento imposto dall'art. 9, comma 5, del  decreto-legge  n.
78/2015. 
    Ed anzi le conseguenze  della  rilevante  sottostima  della  rata
annuale  di  rientro  dal  deficit,  a  ben  vedere,  travolgerebbero
l'intera programmazione di entrata e di spesa nella misura in cui non
tiene conto degli incrementi di  entrata  e/  o  riduzioni  di  spesa
altrimenti necessari a garantire il pareggio in  tutte  le  fasi  del
ciclo di bilancio. 
    D'altra parte, se l'oggetto del  giudizio  di  parificazione  dei
rendiconti  regionali  risiede,  ormai  pacificamente,  anche   nella
verifica del perseguimento  degli  obiettivi  intermedi  di  recupero
previsti dai piani di rientro in essere, e' evidente che  la  Sezione
remittente risulti impossibilitata a compiere tale controllo  laddove
permanga incertezza sulla compatibilita' costituzionale  delle  norme
di legge statali e regionali che quegli stessi obiettivi concorrono a
determinare. 
    Sotto altro ma  connesso  profilo  inoltre,  le  norme  censurate
consentono un  considerevole  incremento  della  capacita'  di  spesa
dell'amministrazione regionale  che,  allo  stesso  modo,  incide  in
maniera determinante sui saldi  finali  della  gestione  oggetto  del
giudizio di parificazione. 
    Per   effetto   delle   norme   sospettate   di    illegittimita'
costituzionale  infatti,  gli  stanziamenti  di  spesa  a  titolo  di
recupero del disavanzo al 31 dicembre 2014 ed  al  31  dicembre  2015
sono stati parametrati su un orizzonte temporale ventennale piuttosto
che decennale per il 2014 (come  avrebbe  invece  imposto  l'art.  9,
comma 5, del decreto-legge n. 78/2015)  e  ventennale  piuttosto  che
triennale per il 2015 (come avrebbe  invece  imposto  l'art.  42  del
decreto legislativo n. 118/2011). 
    Piu' nel dettaglio, al momento dell'entrata in vigore delle norme
della cui legittimita' costituzionale si dubita, il disavanzo  al  31
dicembre 2014 della Regione Abruzzo, cosi come esposto  nello  schema
di Rendiconto 2014, approvato con deliberazione giuntale n. 536/C del
29  settembre  2017,  era  pari  a  euro  510.883.440,00,  al   netto
dell'anticipazione di liquidita' di cui al decreto-legge n. 35/2013. 
    L'ulteriore disavanzo ascrivibile  alla  gestione  dell'esercizio
2015 era invece pari euro 88.081.513,53. Infatti,  con  deliberazione
giuntale n. 79/C del 12 febbraio 2018, di approvazione del disegno di
legge del Rendiconto 2015, al netto dell'anticipazione di liquidita',
il disavanzo e' stato determinato in euro 598.964.953,68. 
    Ne consegue che, in assenza delle norme  contestate,  l'ammontare
della rata del  piano  decennale  di  rientro  dal  deficit  2014  da
applicare all'esercizio 2018 ed agli esercizi successivi, in base  al
previgente art. 9, comma 5, del  decreto-legge  n.  78/2015,  avrebbe
dovuto essere pari a euro 51.088.344,00  (510.883.440,00/10);  mentre
l'ammontare della rata del piano triennale  di  rientro  dal  deficit
2015 da applicare all'esercizio 2018, in base all'art. 42 del decreto
legislativo n. 118/2011, atteso il mancato recupero certificato dalla
stessa regione nel corso dei due anni immediatamente  successivi  (il
2016 ed il 2017), avrebbe dovuto essere pari euro 88.081.513,53. 
    Al momento dell'emanazione della  legge  regionale  di  bilancio,
l'importo totale del deficit  da  applicare  all'esercizio  2018,  ed
oggetto di recupero a consuntivo, avrebbe dovuto pertanto essere pari
ad euro  139.169.857,53  [(510.883.440,00/10)  +  88.081.513,53].  Di
contro,   per   effetto   delle   norme   qui    in    contestazione,
l'Amministrazione ha  potuto  stanziare,  in  parte  spesa,  il  solo
importo di euro 25.544.172,00 (1/20 del disavanzo 2014). 
    I termini della questione  non  mutano  neanche  qualora  volesse
ammettersi la possibilita' (invero non consentita come si avra'  modo
di  dimostrare  nel  prosieguo)  di  una  rimodulazione  al   ribasso
dell'ammortamento annuale in considerazione dei maggiori recuperi del
deficit registrati successivamente all'entrata in vigore delle  norme
contestate. 
    Ebbene, anche in tale ipotesi, pur  volendo  tralasciare  la  non
irrilevante circostanza che lo schema di Rendiconto  2017  sia  stato
approvato  a  ridosso  della  scadenza  dell'esercizio  2018  (ed  in
particolare solo in data 3 dicembre 2018), tenendo conto che in  base
alla scomposizione del risultato  al  31  dicembre  2017  evidenziato
dalla stessa Amministrazione regionale  il  deficit  rinveniente  dal
2014 era pari a euro 305.242.577,10  e  che  quello  derivante  dalla
gestione dell'esercizio 2015  rimaneva  pari  a  euro  88.081.513,53,
l'importo totale del deficit da applicare al bilancio 2018 ed oggetto
di  recupero  a  consuntivo  avrebbe  dovuto  essere  pari   a   euro
118.605.771,24 [(305.242.577,10/10) + 88.081.513,53]. 
    L'art. 1, comma 779, della  legge  n.  208/2017,  recepito  nella
legge  regionale  n.  7/2018   invece,   ha   messo   in   condizione
l'amministrazione  di  inscrivere  nella  parte  spesa  del  bilancio
preventivo dell'esercizio 2018 il solo importo di euro  25.544.172,00
consentendo cosi', addirittura, di  realizzare  un  maggior  recupero
rispetto alle previsioni atteso che  il  deficit,  a  consuntivo,  ha
esposto  un  miglioramento  pari  a   euro   34.520.662,32   rispetto
all'esercizio precedente. 
    In  conclusione,   il   giudizio   non   puo'   essere   definito
indipendentemente dalla risoluzione della questione qui prospettata. 
    La  verifica  di  compatibilita'  costituzionale  e'  logicamente
preliminare   al   giudizio   di   parificazione    del    Rendiconto
dell'esercizio 2018 in quanto le  norme  impugnate,  modificando  gli
«obbiettivi intermedi»  e  «finali»  da  perseguire,  consentono  una
rilevante espansione della capacita' di spesa altrimenti  illegittima
perche'  priva  di  coperture  ed  in  violazione  del  principio  di
equilibrio di bilancio. 
    Infatti, in caso di conferma  della  loro  costituzionalita',  la
verifica dell'andamento del recupero dei deficit dovra' tenere  conto
della  correttezza  della  riduzione   degli   obbiettivi   intermedi
intervenuta per effetto della  ridetta  rimodulazione/riformulazione;
in  caso  di  declaratoria  di  illegittimita'  costituzionale,   gli
obiettivi di rientro concretamente perseguiti a consuntivo oltre  che
l'intera articolazione delle entrate e delle spese  si  rivelerebbero
di contro radicalmente incompatibili con i principi di equilibrio  di
bilancio e copertura delle spese. 
    «La' dove vengano denunciate, per  contrarieta'  con  l'art.  81,
quarto comma, della Costituzione, leggi che determinino veri e propri
effetti modificativi dell'articolazione del bilancio dello Stato, per
il  fatto  stesso  di  incidere,  in  senso  globale,  sulle   unita'
elementari dello stesso, vale a dire sui capitoli, con riflessi sugli
equilibri  di  gestione  disegnati  con  il  sistema  dei   risultati
differenziali di cui all'art. 6 della  legge  n.  468  del  1978,  le
questioni sollevate non possono non assumere rilevanza ai fini  della
decisione di competenza della Corte dei conti, donde l'ammissibilita'
delle medesime» (Corte costituzionale n.  244/1995.  Sul  punto  cfr.
anche Corte costituzionale n. 213/2008). 
    E' appena il caso di precisare, da  ultimo,  che  il  recepimento
della piu' favorevole disciplina statale dei tempi  di  recupero  del
deficit, sia avvenuta, solo in via di fatto, in quanto il Legislatore
regionale, nella legge di approvazione del bilancio previsionale,  ha
richiamato la previgente normativa, ovvero l'art.  9,  comma  5,  del
decreto-legge n. 78/2015, non  facendo  alcun  cenno  alle  modifiche
introdotte dalla contestata legge di  stabilita'  per  il  2018.  Pur
tuttavia, quantificando in euro 25.544.172,00 la rata  del  disavanzo
di  amministrazione  presunto  al  31  dicembre  2014  (pari,   giova
ribadirlo, ad euro 510.883.440,00), ha mostrato inequivocabilmente di
aver parametrato il  recupero  dello  stock  complessivo  di  deficit
residuo proprio  all'orizzonte  ventennale  introdotto  dall'art.  1,
comma 779, della legge n. 208/2017. 
    Per questi motivi la Sezione ritiene la questione «rilevante»  ai
sensi e per gli effetti degli articoli 23 e 24 della legge n. 87  del
1953. 
    5. La  Sezione  ritiene  inoltre  che  non  siano  manifestamente
infondati i profili di incostituzionalita' dei richiamati articoli 1,
commi 779, 780, 781 e 782 della legge 27 dicembre 2017, n. 205 ed  8,
comma 1, lettera a), della legge della  Regione  Abruzzo  5  febbraio
2018, n. 7, in riferimento ai  parametri  costituzionali  di  seguito
enunciati. 
    6. Prima di passare alla trattazione in dettaglio  dei  ravvisati
motivi di contrasto, occorre  tuttavia  verificare,  nell'ambito  dei
compiti e delle valutazioni che la legge e la  Costituzione  affidano
al giudice a quo (Corte  costituzionale,  sentenze  n.  221/2015,  n.
262/2015, n. 45/2016, n. 95/2016,  n.  240/2016);  se  sia  possibile
attribuire  alle  norme  contestate  un'applicazione   «conforme»   a
Costituzione,  attraverso  una  mera  operazione   esegetica   (Corte
costituzionale,  ex  plurimis,  sentenza  n.  356/1996;  sentenze  n.
219/2008 e n. 1/2013). 
    Sotto questo profilo pare alla Sezione che la formulazione  delle
norme contestate sia talmente chiara nel riconoscere  la  dilatazione
temporale  dei  deficit  pregressi  da  risultare  incompatibile  con
qualsiasi  interpretazione  diversa  da   quella   letterale   (Corte
costituzionale, sent. n. 36/2016). 
    Infatti,  la  rimodulazione  si  sostanzia  univocamente,   nella
facolta',  concretamente  esercitata  dalla   Regione   Abruzzo,   di
estensione della durata originaria dei piani  di  rientro  (raddoppio
per il deficit 2014 e moltiplicazione  esponenziale  per  il  deficit
2015), attraverso la riduzione della quota di  disavanzo  complessivo
applicabile  su  ogni  annualita'  di   bilancio,   con   conseguente
dilatazione dell'obiettivo finale di riequilibrio. 
    Non e' quindi  possibile  fornire  un'interpretazione  diversa  e
comunque conforme  all'art.  81  della  Costituzione  ed  agli  altri
precetti finanziari di rango costituzionale di seguito richiamati. 
    7. Art. 1, commi 779, 780, 781 e  782  della  legge  27  dicembre
2017, n. 205 ed art. 8,  comma  1,  lettera  a),  della  legge  della
Regione Abruzzo 5 febbraio 2018, n. 7 - Violazione degli articoli 81,
97 e 119, primo e  sesto  comma,  della  Costituzione,  in  combinato
disposto con gli articoli 2, 3 e 1 della Costituzione  sia  sotto  il
profilo  della  lesione  dell'equilibrio  e   della   sana   gestione
finanziaria del bilancio, sia per contrasto con  gli  interdipendenti
principi di copertura pluriennale della spesa  e  di  responsabilita'
nell'esercizio del mandato elettivo. 
    Nel  merito,  la  Sezione  ravvisa  a  carico  delle   richiamate
disposizioni, in primo luogo, la violazione degli articoli 81,  97  e
119  della  Costituzione,  sia  sotto  il   profilo   della   lesione
dell'equilibrio e della sana gestione finanziaria del  bilancio,  sia
per  contrasto  con  gli  interdipendenti   principi   di   copertura
pluriennale della  spesa  e  di  responsabilita'  nell'esercizio  del
mandato elettivo. 
    7.1. Sul punto, va in primo luogo ricordato, in  linea  generale,
che la Corte costituzionale, a seguito della legge costituzionale  n.
1 del 2012, ha rafforzato il precetto dell'equilibrio arricchendo  la
sua fattispecie e trasformandolo in una  «clausola  generale»  (Corte
costituzionale, sentenza n. 192/2012). 
    Invero,   «nel   sindacato   di   costituzionalita',    copertura
finanziaria ed equilibrio integrano una clausola generale in grado di
operare pure in assenza di norme interposte quando  l'antinomia  [con
le  disposizioni  impugnate]  coinvolga  direttamente   il   precetto
costituzionale: infatti "la  forza  espansiva  dell'art.  81,  quarto
[oggi terzo] comma, della Costituzione, presidio degli  equilibri  di
finanza pubblica,  si  sostanzia  in  una  vera  e  propria  clausola
generale in grado di colpire tutti gli enunciati normativi  causa  di
effetti  perturbanti  la  sana  gestione  finanziaria  e   contabile"
(sentenza n.  192  del  2012)»  (Corte  costituzionale,  sentenza  n.
184/2016). 
    Quest'ultima, «per effetto delle indicazioni fornite dalla  Corte
costituzionale, risulta articolarsi  su  due  principali  coordinate:
l'una quantitativa, afferente  la  proporzione  della  spesa  con  le
risorse economiche, finanziarie e patrimoniali disponibili, e l'altra
temporale, coincidente  con  l'orizzonte  cronologico  del  bilancio,
entro il quale devono essere corretti gli eventuali squilibri emersi.
Tali coordinate (quantitativa e temporale)  devono  sussistere  anche
sul piano della disciplina  "rimediale"  per  la  "salvaguardia"  del
bilancio e dei suoi equilibri» (Corte  conti,  Sezione  regionale  di
controllo per la Campania, ordinanza n. 19/2018/PRSP). 
     Nel   dettaglio,   sul   piano   quantitativo,    il    precetto
dell'equilibrio costituisce lo svolgimento dell'obbligo di  copertura
finanziaria  al  tempo  gia'  previsto  dalla  vecchia   formulazione
dell'art. 81 (al comma terzo). Infatti,  «copertura  economica  delle
spese  ed  equilibrio  del  bilancio  sono  due  facce  della  stessa
medaglia, dal momento che l'equilibrio presuppone che ogni intervento
programmato sia sorretto dalla previa individuazione delle pertinenti
risorse» (Corte costituzionale, sentenza  n.  274/2017,  punto  4  in
diritto). A differenza dell'obbligo di copertura, pero', nel  sistema
della  legge  costituzionale  n.  1/2012,  l'equilibrio   non   opera
marginalmente, a fronte  dell'aumento  o  diminuzione  delle  risorse
(cioe' sugli incrementi di  spesa  e  sulle  riduzioni  di  entrate),
bensi' a livello complessivo, sull'intero bilancio attraverso i saldi
tra entrate e spese, tra costi e  ricavi.  Ed  in  particolare,  esso
opera sul principale saldo della contabilita' finanziaria, ovvero sul
risultato  di  amministrazione.  In  ragione  di  cio',  l'equilibrio
prescrive che le risorse economiche, finanziare e patrimoniali  siano
sufficienti e proporzionate in modo da potere sostenere integralmente
le spese e i costi di gestione. 
    Sotto   il   secondo   profilo,   l'orizzonte   temporale   della
salvaguardia non puo' che essere, naturalmente, quello  del  medesimo
bilancio, in corso o immediatamente successivo; coerentemente,  nella
disciplina vigente degli enti  territoriali,  il  termine  e'  quello
triennale (articoli 162, 188, 193 e 194 Tuel per gli enti  locali  ed
art. 42, comma  12,  del  decreto  legislativo  n.  118/2011  per  le
regioni)  come   confermato,   in   piu'   occasioni,   dalla   Corte
costituzionale  secondo  cui  «il  recupero  dello  squilibrio   deve
avvenire  attraverso   i   bilanci   di   previsione   immediatamente
successivi; cio' in considerazione del principio della continuita' di
bilancio e degli esercizi  finanziari»  (sentenza  n.  274/2017).  Il
principio della continuita', infatti, e'  «essenziale  per  garantire
nel  tempo  l'equilibrio  economico,  finanziario   e   patrimoniale»
(sentenza n. 155/2015). 
    In altri termini il  precetto  dell'equilibrio  e/o,  come  nella
fattispecie  del  riequilibrio  di  bilancio,  non  puo'  che  essere
declinato in stretta correlazione con l'aspetto temporale. 
    Il tempo del riequilibrio assurge in pratica a suo  indefettibile
predicato. In assenza di un ben  definito  ancoraggio  temporale,  in
effetti,  il  principio  dell'equilibrio  rischia  di  perdere   ogni
concreto significato ed efficacia precettiva. 
    Collegare il principio dell'equilibrio, come  pretenderebbero  di
fare le norme censurate, ad un lasso di tempo a tal punto dilatato ne
determinerebbe   un   suo   significativo   svuotamento   consentendo
un'ingiustificata espansione della capacita' di spesa corrente  coeva
ad una situazione di squilibrio strutturale, per la durata del  piano
di rientro. 
    7.2. E' stato inoltre correttamente sostenuto che il bilancio  si
configuri come un bene giuridico  «pubblico»  (Corte  costituzionale,
sentenze n. 184/2016, n. 228/2017 e n. 247/2017),  costituzionalmente
tutelato (art. 81 e 97 della Costituzione), di cui occorre preservare
effettivita' e funzionalita' tramite il suo equilibrio.  Il  precetto
dell'equilibrio,    infatti,     presidia     fondamentali     valori
costituzionali, espressi dagli articoli, 3, 2 e 1 della Costituzione,
che del medesimo precetto costituiscono la ratio. 
    Il rispetto tendenziale dell'equilibrio di bilancio  con  risorse
effettive garantisce  in  effetti  la  concreta  realizzazione  delle
politiche   pubbliche   democraticamente   determinate,    necessarie
affinche' la Repubblica  possa  rimuovere  «gli  ostacoli  di  ordine
economico  e  sociale,  che,  limitando  di  fatto  la   liberta'   e
l'eguaglianza dei cittadini,  impediscono  il  pieno  sviluppo  della
persona umana», realizzando l'uguaglianza sostanziale  dei  cittadini
(art. 3, comma 2,  della  Costituzione:  cfr.  sentenze  della  Corte
costituzionale n. 10/2016 e n. 70/2015). 
    Tale uguaglianza, tra l'altro, proprio  grazie  allo  strutturale
carattere temporale del bilancio, deve realizzarsi  anche  in  chiave
trans-generazionale. 
    Poiche' l'equilibrio «economico, finanziario e patrimoniale» deve
essere realizzato «nel tempo» attesa la gia'  richiamata  continuita'
degli esercizi finanziari e del bilancio (cfr. Corte  costituzionale,
sentenza  n.  155/2015  cit.)  -  esso  costituisce  un   dovere   di
«solidarieta'  politica,  economica  e  sociale»  delle   generazioni
presenti con quelle future (art. 2 della Costituzione). 
    Le norme contestate consentono  di  contro  di  accedere  ad  una
disciplina di  ripiano  che  vanifica  la  dimensione  temporale  del
bilancio  e  la  necessita'  che  entro  tale  orizzonte  questo  sia
ripristinato in equilibrio. 
    7.3. Il precetto  di  equilibrio,  infine,  riguardato  sotto  il
profilo della «salvaguardia di bilancio», costituisce  uno  strumento
di  verifica  e  misurazione  della  responsabilita'   dei   soggetti
investiti  di  cariche  pubbliche:  la  violazione   dell'equilibrio,
infatti, attiva un sistema di responsabilita' giuridiche e politiche,
attraverso cui il principio della  legittimazione  democratica  delle
istituzioni si rende effettivo (art. 1 della Costituzione). 
    Come evidenziato  dal  Giudice  delle  leggi  nella  sentenza  n.
228/2017, la disciplina di salvaguardia  si  pone  come  «strumentale
all'effettivita' di adempimenti primari del  mandato  elettorale  [e]
indissolubilmente legata alla cura dei sottesi interessi  finanziari.
Tale disciplina si ricollega [...] a un'esigenza  sistemica  unitaria
dell'ordinamento,  secondo  cui  sia  la  mancata  approvazione   dei
bilanci, sia l'incuria del loro squilibrio strutturale interrompono -
in virtu' di una presunzione assoluta  -  il  legame  fiduciario  che
caratterizza il mandato elettorale e  la  rappresentanza  democratica
degli eletti». 
    La contestata dilatazione  temporale  quindi  non  consente  agli
amministratori eletti o eligendi di «presentarsi  al  giudizio  degli
elettori  separando  i   risultati   direttamente   raggiunti   dalle
conseguenze imputabili alle gestioni pregresse. Lo  stesso  principio
di rendicontazione, presupposto fondamentale del circuito democratico
rappresentativo, ne risulta quindi gravemente compromesso.  E'  stato
affermato da questa Corte che «[i]l carattere funzionale del bilancio
preventivo e di quello successivo, alla cui mancata approvazione, non
a caso, l'ordinamento  collega  il  venir  meno  del  consenso  della
rappresentanza democratica, [risiede essenzialmente  nell'assicurare]
ai membri della  collettivita'  la  cognizione  delle  modalita'  [di
impiego delle risorse e i risultati conseguiti da chi e' titolare del
mandato elettorale]» (sentenze n. 184 del 2016 e n. 228 del 2017). 
    7.4. Ricostruita  nei  termini  suesposti  la  regola,  non  puo'
naturalmente      sottacersi      l'esistenza,       nell'ordinamento
finanziario-contabile  degli  enti  territoriali,   di   deroghe   al
principio. 
    In caso di crisi della finanza  territoriale,  ove  «i  disavanzi
emersi non possano essere riassorbiti in un solo ciclo di  bilancio»,
la Corte costituzionale ha ritenuto  «inevitabili»  «misure  di  piu'
ampio  respiro  temporale.  Cio'  anche  al  fine  di  assicurare  lo
svolgimento delle funzioni della regione in ossequio al "principio di
continuita' dei  servizi  di  rilevanza  sociale  [affidati  all'ente
territoriale, che deve essere] salvaguardato"» (sentenza  n.  10  del
2016)» (sentenza n. 107/2016). 
    Ed  anzi  l'ordinamento  giuscontabile  degli  enti  territoriali
conosce molteplici ipotesi di riequilibrio pluriennale dei deficit. 
    A mero titolo esemplificativo, per gli  enti  locali;  rispondono
certamente alla logica della  crisi  della  finanza  territoriale  le
norme del Piano di riequilibrio pluriennale (art. 243-bis e ss) e del
dissesto (art. 244 e ss. Tuel) che, in caso  di  crisi  «strutturale»
della finanza dell'ente locale, gia' definiscono piu' ampi  orizzonti
per il rientro da situazioni di squilibrio. 
    La  disciplina  del  ripiano  trentennale  prevista  dal  decreto
legislativo n. 118/2011, poi, applicabile anche alle regioni,  appare
giustificata  dal   passaggio   alla   nuova   disciplina   contabile
realizzatosi attraverso il «riaccertamento straordinario dei residui»
e dal conseguente «disavanzo tecnico» di cui all'art.  3,  comma  13,
del decreto legislativo n. 118/2011, e/o dal «maggiore disavanzo», di
cui all'art. 3, comma 16, del decreto legislativo n.  118/2011  (cfr.
Corte costituzionale, sentenza n. 107/2016). 
    Le richiamate norme derogatorie tuttavia sono tutte il frutto  di
un   bilanciamento   secondo   ragionevolezza   con    il    precetto
dell'equilibrio di bilancio. 
    Con riferimento al riaccertamento straordinario  dei  residui  la
Corte costituzionale non ha escluso la possibilita' di un'eccezionale
misura legislativa ampliativa dei  tempi  del  recupero  del  maggior
disavanzo in quanto giustificata dall'esigenza  di  far  fronte,  una
tantum, alle conseguenze delle complesse operazioni di riaccertamento
dei  residui  finalizzate  a  far  emergere   la   reale   situazione
finanziaria degli enti e che hanno generato disavanzi non riassorbili
in un solo ciclo  di  bilancio  (Corte  costituzionale,  sentenza  n.
107/2016). 
    Ed anzi, proprio al condivisibile fine  di  favorire  l'emersione
dei disavanzi pregressi (ovvero delle gestioni  precedenti  al  2015)
sono  state   fornite   interpretazioni   particolarmente   estensive
dell'art. 3, comma 7, del  decreto  legislativo  n.  118/2011  e  dei
principi  contabili  applicati  ad   esso   allegati   in   tema   di
riaccertamento straordinario. 
    Cosi',   e'   stato   valutato   legittimo   l'inserimento,   nel
riaccertamento  straordinario,  della   cancellazione   dei   crediti
assolutamente inesigibili (residui attivi) in quanto non correlati ad
obbligazioni perfezionate gia'  in  base  alla  normativa  precedente
all'introduzione di quella armonizzata con accesso,  per  il  maggior
disavanzo da essa conseguente, al  ripiano  trentennale  ex  art.  3,
comma 16. E cio', nonostante la lettera a) del comma 7 del richiamato
art. 3, nel circoscrivere l'ambito del riaccertamento  straordinario,
faccia riferimento da una parte ai residui attivi e passivi correlati
ad obbligazioni perfezionate ma non ancora scadute ma, dall'altra, ai
soli residui passivi (e non  anche  agli  attivi)  non  correlati  ad
obbligazioni perfezionate. 
    Per quanto in questa sede  piu'  interessa  tuttavia,  rileva  la
circostanza che anche in questo caso i disavanzi  progressi  accedono
alle piu' favorevoli condizioni  temporali  di  ripiano  solo  ed  in
quanto transitati (seppure a  seguito  delle  citate  interpretazioni
estensive delle norme in  commento)  all'interno  dell'operazione  di
riaccertamento straordinario. 
    Ne' ignora il Collegio l'ulteriore tesi che  vorrebbe  ricondurre
anche  la  rateizzazione  prevista  dall'art.   9,   comma   5,   del
decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78 - ovvero dalla norma  su  cui  si
innesta   la   disciplina   sospettata   di   incostituzionalita'   -
all'esigenza di fronteggiare i disavanzi antecedenti  al  1°  gennaio
2015  in  quanto  derivanti  dall'introduzione   della   contabilita'
armonizzata. 
    Occorre  tuttavia  sottoporre  ad  un  attento,  vaglio   critico
l'opzione interpretativa in parola per poi, in ogni  caso,  delineare
le differenze, quali-quantitative, tra le disposizioni in questa sede
sospettate di incostituzionalita' e quelle pregresse. 
    Ad un piu' approfondito esame infatti, la fase del passaggio alla
nuova contabilita', plasticamente  rappresentata  dal  riaccertamento
straordinario dei residui, non si fa in alcun modo  carico  di  porre
rimedio  ai  deficit  preesistenti  giacche'  presuppone   l'avvenuta
approvazione del Rendiconto 2014 che, seppur coeva al  riaccertamento
stesso, avviene in un momento logicamente  precedente.  La  finalita'
dichiarata e' in effetti quella di  adeguare  al  principio  generale
della competenza finanziaria i residui attivi e passivi risultanti al
1° gennaio 2015 ovvero i residui  «sopravvissuti»  al  riaccertamento
ordinario strumentale all'approvazione del Rendiconto 2014. 
    L'interpretazione letterale delle norme in  commento  in  realta'
impone di concludere che il disavanzo generato dal passaggio al nuovo
sistema contabile, non a caso espressamente qualificato in termini di
maggior  disavanzo  (rispetto  al  precedente  gia'   accertato   con
l'approvazione consiliare  del  Rendiconto  2014),  sia  solo  quello
generato dall'introduzione delle  nuove  regole  contabili  quali,  a
titolo esemplificativo, quelle che hanno introdotto il Fondo  crediti
di  dubbia  esigibilita'  e/  o  altri   vincoli   o   accantonamenti
precedentemente non obbligatori. 
    Qualsiasi tentativo interpretativo difforme da  quello  letterale
rischia    di    generare    una    non    consentita    sostituzione
dell'interprete/operatore del diritto al Legislatore. 
    D'altra  parte  la  Corte  costituzionale   ha   precisato   come
l'originario piano di rientro decennale previsto dal decreto-legge n.
78/2015, «proprio in quanto rivolt[o] ai disavanzi riferiti a passate
gestioni ed accertati con riferimento agli esercizi antecedenti al 1°
gennaio 2015, ha implicita  valenza  retroattiva,  poiche'  viene  di
fatto a colmare [in modo sostanzialmente coerente con la disposizione
impugnata] l'assenza di previsioni specifiche che  caratterizzava  il
contesto normativo nel quale si e'  trovata  ad  operare  la  Regione
[Molise]  nel  dicembre  2014»  (Corte  costituzionale,  sentenza  n.
107/2016). 
    In altri termini,  il  Giudice  delle  leggi  si  e'  limitato  a
chiarire - peraltro solo incidentalmente - che il  piano  di  rientro
decennale di cui all'art. 9, comma 5, del  decreto-legge  n.  78/2015
puo'   essere   considerato   compatibile   con   l'attuale   assetto
costituzionale in ragione  di  situazioni  di  emergenza  finanziaria
generate  dalle  consolidate  prassi  patologiche  di   alcuni   enti
territoriali  e  che  hanno  portato  all'accertamento  di  disavanzi
antecedenti al 1° gennaio 2015. 
    Puo' ragionevolmente concludersi, pertanto, che l'intervento  del
Legislatore del 2015 sul recupero dei disavanzi ante  armonizzazione,
sia stato  solo  «occasionato»  dall'introduzione  della  riforma  ma
certamente da esso non dipendente o ad esso funzionalmente collegato. 
    La ratio ed al  tempo  stesso  la  compatibilita'  costituzionale
dell'art. 9, comma 5,  del  decreto-legge  n.  78/2015  vanno  quindi
ricercate nell'esigenza che i disavanzi pregressi, per via della loro
consistenza quantitativa, non potendo essere riassorbiti in  un  solo
ciclo di bilancio richiedevano inevitabilmente misure di  piu'  ampio
respiro temporale e come tali, necessariamente una tantum. 
    La Corte costituzionale in altri termini ha ritenuto  conforme  a
Costituzione l'intervento de quo in  quanto  presentava  i  caratteri
dell'eccezionalita' e,  soprattutto  della  definitivita'  nel  senso
della idoneita' a porre rimedio  una  volta  per  tutte  ed  in  modo
risolutivo, agli squilibri finanziari emersi. 
    La norma statale in questa sede contestata di contro, oltre  alla
rilevante ulteriore estensione temporale da dieci a  venti  anni  del
piano di rientro dal deficit 2014, estende  la  dilazione  ventennale
del recupero del disavanzo anche a quello rinveniente dalla  gestione
2015, ovvero ad un esercizio  in  cui  tra  l'altro  la  contabilita'
armonizzata, ampiamente conosciuta in quanto emanata gia'  nel  2011,
aveva trovato compiuta applicazione. 
    In  definitiva,  trascorsi  meno  di  due  anni  dal   precedente
intervento ritenuto legittimo perche' «eccezionale», il  Legislatore,
e' tornato nuovamente ad allentare le maglie gia' larghe dei piani di
rientro.  E  cio',  non  solo  attraverso  un  considerevole  aumento
dell'orizzonte temporale per il rientro dai deficit 2014 che passa da
dieci a ventanni anni, ma soprattutto attraverso l'estensione di tale
possibilita' anche al deficit al 31 dicembre 2015 non interessato dal
processo  di  riaccertamento  straordinario  dei   residui   che   ha
traghettato le amministrazioni verso la contabilita' armonizzata. 
    L'intervento legislativo  in  commento  pertanto  contraddice  il
principio della eccezionalita' delle misure derogatorie  dell'obbligo
di   copertura   delle   spese   e   dell'equilibrio   di    bilancio
cristallizzato, per la finanza regionale, nell'art. 42, comma 12, del
decreto legislativo n. 118/2011. 
    A titolo  meramente  esemplificativo  e'  sufficiente  richiamare
l'arresto della Corte costituzionale che, nel riferirsi al  piano  di
rientro trentennale previsto dall'art. 3 comma 16 del citato  decreto
infatti, aveva  espressamente  chiarito  che  «L'eccezionale  ipotesi
legislativa  era  sorretta  dal  convincimento   che   in   sede   di
riaccertamento straordinario sarebbero emersi, una volta per tutte, i
consistenti disavanzi reali, cui si sarebbe  posto  rimedio,  in  via
definitiva, con un rientro pluriennale». 
    Al contrario, la norma censurata ammette, con un  intervento  del
tutto asistematico, un'ulteriore duplice possibilita' di  ampliamento
dei tempi del rientro, cosi' ingenerando l'affidamento che le  misure
adottate possano assumere carattere ordinario anziche' eccezionale ed
isolato. 
    In definitiva, ritiene il Collegio che «non  possa  disconoscersi
la problematicita' delle richiamate normative continuamente  mutevoli
come quelle precedentemente  evidenziate,  le  quali  prescrivono  il
riassorbimento dei disavanzi in  archi  temporali  molto  vasti,  ben
oltre il ciclo di bilancio ordinario, con possibili ricadute negative
anche  in  termini  di  equita'  intergenerazionale»   (sentenze   n.
279/2016, n. 6/2017, n.107/2016, n. 274/2017 e n. 18/2019). 
    In conclusione, l'ulteriore  estensione  temporale  prevista  dai
commi 779 e ss. dell'art. 1 della legge n. 205/2017,  in  assenza  di
interessi   costituzionalmente   rilevanti   legati   a    situazioni
eccezionali e/o emergenziali che ne giustifichino l'adozione,  appare
integrare proprio la fattispecie da ultimo stigmatizzata dalla  Corte
costituzionale e come tale  si  rivela  incompatibile  con  l'attuale
assetto  costituzionale,  salvo   a   generare   una   indiscriminata
deresponsabilizzazione delle gestioni pubbliche contraria ai precetti
costituzionali innanzi richiamati. 
    7.5. In effetti,  al  di  fuori  di  un  contesto  giustificativo
compatibile  con  i  precetti  costituzionali  sopra  richiamati,  la
copertura di disavanzi con regole straordinarie quanto  ai  tempi  di
rientro «diventerebbe un veicolo per un indebito  allargamento  -  in
contrasto con l'art. 81 della Costituzione - della spesa di enti gia'
gravati dal  ripiano  pluriennale  di  disavanzi  di  amministrazione
pregressi (sentenza n. 279/2016). 
    Dalla ricognizione  delle  norme  che  disciplinano  i  disavanzi
ordinari degli enti territoriali (art. 9, comma  2,  della  legge  24
dicembre 2012, n. 243; art. 42 del decreto  legislativo  n.  118  del
2011; l'art. 188 del decreto legislativo n. 267  del  2000),  infatti
puo' estrarsi un principio generale,  consustanziale  all'ordinamento
finanziario-contabile, secondo cui in via gradata e' necessaria:  «a)
l'immediata copertura del deficit  entro  l'anno  successivo  al  suo
formarsi; b) il rientro  entro  il  triennio  successivo  (in  chiaro
collegamento con la programmazione triennale) all'esercizio in cui il
disavanzo viene alla  luce;  c)  il  rientro  in  un  tempo  comunque
anteriore alla scadenza del mandato elettorale nel  corso  del  quale
tale disavanzo si e' verificato. In sostanza, la  fattispecie  legale
di base stabilisce che: a) al deficit si deve  porre  rimedio  subito
per  evitare  che  eventuali  squilibri  strutturali  finiscano   per
sommarsi nel tempo  producendo  l'inevitabile  dissesto;  b)  la  sua
rimozione non puo' comunque superare il  tempo  della  programmazione
triennale e quello della scadenza del mandato  elettorale,  affinche'
gli  amministratori  possano  presentarsi  in  modo  trasparente   al
giudizio dell'elettorato al termine del loro mandato, senza  lasciare
"eredita'" finanziariamente onerose e indefinite ai loro successori e
ai futuri amministrati; c) l'istruttoria  relativa  alle  ipotesi  di
risanamento deve essere congrua e coerente sotto il profilo  storico,
economico e giuridico» (Corte costituzionale n. 18/2019). 
    La compatibilita' delle  norme  censurate  dunque  dipende  dalla
ragionevolezza del bilanciamento  tra  l'esigenza  di  assicurare  il
riequilibrio entro l'orizzonte temporale del bilancio e gli interessi
costituzionalmente  rilevanti   di   volta   in   volta   sottostanti
all'esigenza di dilatazione temporale dei  tempi  di  recupero  degli
squilibri. 
    Tale ragionevolezza non sussiste, ad  avviso  della  Sezione,  in
relazione ai tempi di ripiano dei disavanzi previsti dalle norme  qui
contestate. 
    Cio' in quanto il deficit, ed anzi i deficit,  oggetto  del  piu'
ampio lasso temporale previsto per il loro  ripiano,  sono  disavanzi
«ordinari», determinati da mera inadeguatezza di risorse  disponibili
rispetto alla spesa contratta che l'ente e' obbligato a colmare. 
    Si  tratta,  a  ben  vedere,  di  deficit  generati  da  ripetute
violazioni delle norme e principi consustanziali alla  sana  gestione
finanziaria, sia precedenti (per il deficit al 31 dicembre 2014)  che
successive (per il deficit al 31 dicembre  2015)  al  passaggio  alla
nuova contabilita' armonizzata, e che presiedono tutte  le  fasi  del
ciclo del bilancio: attendibilita'  delle  previsioni  di  entrata  e
congruita' degli stanziamenti di spesa  nel  rispetto  del  principio
autorizzatorio,  salvaguardia  degli  equilibri   nel   corso   della
gestione, rendicontazione veritiera e trasparente. 
    La    facolta'    prevista    dalle    norme    sospettate     di
incostituzionalita', in definitiva, non appare rispondere  a  nessuna
esigenza sistemica della finanza pubblica, quanto piuttosto a  quelle
contingenti  di  taluni  enti  di  accedere  ad  un   minore   rigore
finanziario. 
    In  conclusione,  al  di  fuori  di  un  contesto  giustificativo
compatibile  con  i  precetti  costituzionali  sopra  richiamati,  la
copertura di disavanzi con regole straordinarie quanto  ai  tempi  di
rientro «diventerebbe un veicolo per un indebito  allargamento  -  in
contrasto con l'art. 81 della Costituzione - della spesa di enti gia'
gravati dal  ripiano  pluriennale  di  disavanzi  di  amministrazione
pregressi (in tal senso, sentenza n. 279/2016). In  quanto  eccezione
al  principio  generale  dell'equilibrio  del  bilancio  infatti,  la
disciplina straordinaria per il ripiano di tali disavanzi e' comunque
di stretta interpretazione  e  deve  essere  circoscritta  alla  sola
irripetibile ipotesi normativa del riaccertamento  straordinario  dei
residui nell'ambito della  prima  applicazione  del  principio  della
competenza  finanziaria  potenziata,  in  ragione  delle  particolari
contingenze che hanno caratterizzato la  situazione  di  alcuni  enti
territoriali» (sentenza n. 6/2017). 
    7.6. Appaiono pertanto pienamente sovrapponili al caso di  specie
le considerazioni di  recente  espresse  dalla  Corte  costituzionale
secondo  cui,  «la  lunghissima  dilazione  temporale   finisce   per
confliggere   anche    con    elementari    principi    di    equita'
intergenerazionale, atteso che sugli amministrati futuri  verranno  a
gravare  sia  risalenti  e  importanti  quote  di  deficit,  sia   la
restituzione dei prestiti autorizzati nel corso  della  procedura  di
rientro dalla norma  impugnata.  Cio'  senza  contare  gli  ulteriori
disavanzi che potrebbero maturare negli esercizi intermedi,  i  quali
sarebbero  difficilmente  separabili  e  imputabili  ai  sopravvenuti
responsabili [omissis]. Al contrario, [le norme censurate  tracciano]
uno scenario incognito e imprevedibile  che  consente  di  perpetuare
proprio quella situazione di disavanzo che l'ordinamento nazionale  e
quello europeo percepiscono come intollerabile» (Corte costituzionale
n. 18/2019). 
    L'incremento del deficit strutturale e dell'indebitamento per  la
spesa corrente ha gia' indotto la Corte  costituzionale  a  formulare
chiari  ammonimenti  circa  l'impraticabilita'   di   soluzioni   che
trasformino il rientro  dal  deficit  e  dal  debito  in  una  deroga
permanente e progressiva al principio dell'equilibrio  del  bilancio:
«La  tendenza  a  perpetuare  il  deficit  strutturale   nel   tempo,
attraverso  uno  stillicidio  normativa  di   rinvii,   finisce   per
paralizzare qualsiasi ragionevole progetto  di  risanamento,  in  tal
modo  entrando  in  collisione  sia  con  il  principio  di   equita'
intragenerazionale che intergenerazionale. Quanto al primo, e'  stata
gia' sottolineata  da  questa  Corte  la  pericolosita'  dell'impatto
macroeconomico di misure che determinano  uno  squilibrio  nei  conti
della finanza pubblica  allargata  e  la  conseguente  necessita'  di
manovre finanziarie restrittive che possono gravare piu' pesantemente
sulle fasce deboli della popolazione (sentenza n. 10 del 2015).  Cio'
senza contare che il succedersi di norme  che  diluiscono  nel  tempo
obbligazioni passive  e  risanamento  sospingono  inevitabilmente  le
scelte degli amministratori verso politiche di "corto  respiro",  del
tutto subordinate alle contingenti disponibilita' di cassa. L'equita'
intergenerazionale comporta, altresi', la necessita' di  non  gravare
in  modo  sproporzionato  sulle  opportunita'   di   crescita   delle
generazioni  future,  garantendo  loro  risorse  sufficienti  per  un
equilibrato sviluppo. E' evidente che, nel caso della norma in esame,
l'indebitamento e il deficit strutturale  operano  simbioticamente  a
favore  di  un  pernicioso  allargamento  della  spesa  corrente.  E,
d'altronde, la regola aurea contenuta  nell'art.  119,  sesto  comma,
della  Costituzione  dimostra  come  l'indebitamento   debba   essere
finalizzato e riservato  unicamente  agli  investimenti  in  modo  da
determinare un tendenziale equilibrio  tra  la  dimensione  dei  suoi
costi e i benefici recati nel tempo alle collettivita'  amministrate"
[Omissis]. Il perpetuarsi di sanatorie e  situazioni  interlocutorie,
oltre che entrare  in  contrasto  con  i  precetti  finanziari  della
Costituzione, disincentiva  il  buon  andamento  dei  servizi  e  non
incoraggia  le  buone  pratiche  di  quelle  amministrazioni  che  si
ispirano  a  un'oculata  e  proficua  spendita  delle  risorse  della
collettivita'» (Corte costituzionale n. 18/2019). 
    Gli stessi principi  sono  stati  poi  ulteriormente  riaffermati
dalla Corte costituzionale con le sentenze n. 4/2020 e n. 115/2020. 
    Con la prima,  e'  stato  ribadito  che  «i  deficit  causati  da
inappropriate gestioni devono essere recuperati in tempi  ragionevoli
e nel rispetto del principio di responsabilita', secondo cui  ciascun
amministratore democraticamente eletto deve  rispondere  del  proprio
operato agli amministrati». 
    Con la seconda e' stato confermato che l'illegittimita' dell'art.
1, comma 714, della legge  n.  208  del  2015,  riconosciuta  con  la
precedente sentenza n.  18/2019,  non  fosse  dipesa  dall'intrinseca
durata del piano di  riequilibrio  quanto  piuttosto  dai  meccanismi
contabili previsti dalla disposizione  viziata  che  consentivano  di
destinare, per un trentennio, in ciascun esercizio  relativo  a  tale
periodo, alla spesa di parte corrente somme vincolate al rientro  dal
disavanzo. 
    Ebbene, proprio come nel caso dei due precedenti esaminati  dalla
Corte costituzionale, anche nella fattispecie, il  prolungamento  del
piano di recupero del deficit 2014 e  di  quello  del  2015,  integra
proprio quel meccanismo di manipolazione  del  disavanzo  complessivo
che consente di sottostimare l'accantonamento annuale finalizzato  al
risanamento e, conseguentemente, di peggiorare, anziche'  migliorare,
nel tempo del preteso riequilibrio, il risultato di  amministrazione.
Tale   meccanismo   manipolativo   permette,   tra    l'altro,    una
dilatazione della spesa corrente - pari alla differenza tra la giusta
rata  e  quella  sottostimata  -   che   finisce   per   incrementare
progressivamente l'entita' del disavanzo effettivo. 
    Ed anche nel caso  delle  disposizioni  in  esame,  il  descritto
meccanismo di manipolazione si  realizza  attraverso  la  strumentale
tenuta di piu' disavanzi, ovvero quello rinveniente dal 2014 e quello
ascrivibile al 2015 che si assommano a quello ordinario ex  art.  42,
comma 12 del decreto legislativo n. 118/2011 ed  a  quello  afferente
alla rateizzazione del  rimborso  delle  anticipazioni  necessarie  a
fronteggiare il ritardo nei pagamenti delle amministrazioni pubbliche
previste dal decreto-legge 8  aprile  2013,  n.  35  convertito,  con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 6  giugno  2013,  n.
64. 
    Le norme contestate in  ultima  analisi,  «autorizzano  a  tenere
separati disavanzi di amministrazione ai  fin  del  risanamento  e  a
ricalcolare la quota di accantonamento indipendentemente dall'entita'
complessiva  del  deficit.  E'  fuor  di  dubbio  che  ogni  bilancio
consuntivo puo' avere un solo risultato di amministrazione, il  quale
deriva dalla sommatoria delle situazioni giuridiche e contabili degli
esercizi precedenti fino a  determinare  un  esito  che  puo'  essere
positivo o negativo. Consentire di avere piu' disavanzi significa, in
pratica, permettere di tenere piu'  bilanci  consuntivi  in  perdita»
(Corte costituzionale n. 115/2020). 
    «E' evidente - prosegue la sentenza n. 115/2020 - che  consentire
per un trentennio  -  ma  il  principio  vale  per  qualsiasi  deroga
all'immediato  rientro  che  consenta  di  allargare  l'entita'   del
disavanzo anziche' ridurlo - all'ente territoriale di  "vivere  ultra
vires" comporta l'aggravio del deficit strutturale, anziche'  il  suo
risanamento. Cio' e' tanto vero che la regola fisiologica del rientro
dal disavanzo e' quella del rientro annuale, al massimo  triennale  e
comunque non superiore allo scadere del mandato elettorale (art.  42,
comma 12, del decreto legislativo 23 giugno  2011,  n.  118,  recante
«Disposizioni in materia di armonizzazione dei  sistemi  contabili  e
degli schemi di bilancio delle regioni, degli enti locali e dei  loro
organismi, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 5 maggio 2009, n.
42», e art. 188 del decreto legislativo n. 267 del 2000)». 
    7.7. Ne' si puo' ritenere che tale ampliamento sia giustificato o
giustificabile per l'esigenza di evitare  il  default  delle  regioni
caratterizzate da maggiore difficolta' economica. 
    Vero  e',  al  contrario,  che  spetta  al  Legislatore   trovare
soluzioni,  nell'alveo  dei  vigenti  principi  costituzionali,  alle
situazioni di crisi finanziarie degli enti territoriali, ammesso  che
quelle su cui le norme  sospettate  di  incostituzionalita'  incidono
siano effettivamente tali. 
    Di fronte all'impossibilita' di risanare  strutturalmente  l'ente
in disavanzo, non possono essere procrastinati in modo  irragionevole
uno o piu' piani di  rientro,  dovendosi  necessariamente  porre  una
cesura con il passato cosi' da consentire ai nuovi amministratori  di
svolgere il loro mandato senza gravose eredita'. 
    «Diverse soluzioni possono essere adottate  per  assicurare  tale
discontinuita',  e   siffatte   scelte   spettano,   ovviamente,   al
legislatore» (Corte costituzionale n. 18/2019). 
    Ne  consegue  che,  escludendo  i  disavanzi   ascrivibili   alle
patologie   organizzative,   quelli   strutturali   imputabili   alle
caratteristiche socioeconomiche della collettivita' e del territorio,
meritano l'intervento diretto dello  Stato  attraverso  l'attivazione
dei meccanismi di solidarieta' previsti dal terzo,  quarto  e  quinto
comma dell'art. 119 della Costituzione. 
    «Quando  le  risorse  proprie  non  consentono  ai  comuni,  alle
province, alle citta' metropolitane  e  alle  regioni  di  finanziare
integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite  deve  essere  lo
Stato ad intervenire con apposito fondo perequativo, senza vincoli di
destinazione, per  i  territori  con  minore  capacita'  fiscale  per
abitante e con ulteriori risorse aggiuntive  ai  fini  di  promozione
dello  sviluppo  economico,  della  coesione  e  della   solidarieta'
sociale,  per  rimuovere  gli  squilibri  economici  e  sociali,  per
favorire l'effettivo esercizio  dei  diritti  della  persona,  o  per
provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro  funzioni
(art. 119, terzo, quarto e  quinto  comma,  della  Costituzione).  Le
risorse necessariamente stanziate per tali  finalita'  -  proprio  in
virtu'  dei  superiori  precetti  costituzionali  -   devono   essere
prioritariamente destinate dallo Stato alle situazioni  di  accertato
squilibrio  strutturale  dei  bilanci  degli  [territoriali]»  (Corte
costituzionale n. 4/2020). 
    7.8. In conclusione, la disciplina introdotta dall'art. 1,  commi
779, 780, 781 e 782 della legge n. 208/2017 e dall'art. 8,  comma  1,
lettera a), della legge della Regione Abruzzo n. 7/2018 non ha  altra
finalita' e giustificazione se non quella di consentire  di  spalmare
disavanzi ordinari e rinvenienti da due esercizi finanziari (il  2014
ed il 2015) in un orizzonte temporale di venti anni. 
    Ad avviso  della  Sezione  cio'  risulta  incompatibile  con  una
gestione di bilancio equilibrata, in quanto ha l'esclusivo  scopo  di
spostare su generazioni successive il peso  finanziario  di  gestioni
prive di coperture, in danno del principio di cui agli  articoli  97,
119, 81, 3, 2 e 1 della Costituzione, sottraendo  gli  amministratori
al vaglio della loro responsabilita' politica e amministrativa. 
    8. Art. 1, commi 779, 780, 781 e  782  della  legge  27  dicembre
2017, n. 205 ed art. 8, comma 1, lettera a) della legge della Regione
Abruzzo  5  febbraio  2018,  n.   7   -   Violazione   del   precetto
dell'equilibrio di bilancio ai sensi  del  combinato  disposto  degli
articoli 97, 81 e 41 della Costituzione, e degli articoli  3  e  117,
comma 1 della Costituzione,  in  relazione  al  parametro  interposto
dell'art. 1, protocollo 1, Convenzione europea  per  la  salvaguardia
dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali. 
    8.1. La Sezione  ravvisa  altresi',  a  carico  delle  richiamate
disposizioni, la violazione del precetto dell'equilibrio di  bilancio
ai sensi del combinato disposto  degli  articoli  97,  81,  41  della
Costituzione. 
    Si ravvisano nell'ordinamento, in effetti, una serie di interessi
finanziari  adespoti,  costituzionalmente  rilevanti,  ascrivibili  a
tutti coloro che, a vario titolo, entrano in potenziale contatto  col
bilancio,  ed  in  particolare  a  coloro   che   con   la   pubblica
amministrazione hanno relazioni di mercato. 
    Invero, l'eccessivo protrarsi dei tempi di perfezionamento  e  di
definitivo assetto del ripiano  dei  deficit,  favorito  da  continui
interventi normativi  di  dubbia  razionalita'  e  coerenza,  possono
innescare ulteriori ritardi nei pagamenti e la  crisi  delle  imprese
che hanno fornito alla pubblica amministrazione beni e servizi. 
    La dilatazione temporale del ripiano del disavanzo  determina  in
effetti  una  proporzionale  espansione  della  capacita'  di   spesa
corrente coeva al prolungato permanere  dello  squilibrio,  con  cio'
assurgendo a prerequisito di ulteriori crisi di liquidita'. 
    Sotto questo aspetto  pertanto  le  censurate  disposizioni,  non
tenendo in alcuna considerazione gli interessi dei  creditori,  oltre
che  irragionevoli,  si   appalesano   contradditorie   rispetto   ad
innumerevoli  ulteriori  interventi  legislativi  volti   invece   al
soddisfacimento proprio di quegli interessi. 
    Ci si riferisce alle ripetute «iniezioni» di liquidita' poste  in
essere a partire dal decreto-legge n. 35/2013 che, per far fronte  ai
pagamenti dei debiti certi liquidi ed esigibili ovvero dei debiti per
i quali sia stata emessa fattura o richiesta equivalente di pagamento
maturati a causa  di  carenza  di  liquidita',  hanno  consentito  la
richiesta   al    Ministero    dell'economia    e    delle    finanze
dell'anticipazione di somme da destinare ai predetti pagamenti. 
    Parallelamente, la mancata previsione,  quale  precondizione  per
l'esercizio della facolta' di rimodulazione del piano,  del  rispetto
dei «tempi medi  di  pagamento»,  pone  i  presupposti  per  un  loro
inesorabile deterioramento. 
    Infatti,  l'ampiamento  della  capacita'  di  spesa  da  un  lato
consente di aggirare l'obbligo di reperire  la  reale  copertura  dei
debiti gia' esigibili, per altro  verso  getta  le  premesse  di  una
inevitabile crisi di cassa che nel tempo e' destinata  a  scaricarsi,
in termini di costi, sulla collettivita' degli utenti dei servizi  ed
in particolare sulle imprese gia'  creditrici  di  un'Amministrazione
inadempiente in quanto gia' in condizione di squilibrio. 
    In ultima  analisi,  si  pregiudica  la  capacita'  dell'ente  di
rispondere alle ragioni dei creditori autorizzando l'amministrazione,
attraverso  l'ampliamento  della  capacita'  di  spesa,  ad  assumere
ulteriori  impegni  ancor  prima  di  aver  soddisfatto,   in   tempi
ragionevoli, quelli gia' contratti. 
    8.2. In secondo luogo, le disposizioni di legge  statali  oggetto
della rimessione, cui quella regionale si adegua, inserendosi in  una
produzione  legislativa  di  continua  concessione  di  facolta'   di
rimodulazione  dei  recuperi   dei   deficit   pregressi,   determina
incertezza sulla misura del disavanzo  annuale  oggetto  del  ripiano
(l'obbiettivo intermedio) e sulla  disciplina  giuridica  applicabile
ponendosi cosi' in contrasto sia con l'art. 3 della Costituzione,  su
cui si fonda l'esigenza di un diritto «certo«», che con  l'art.  117,
comma 1, della Costituzione, per violazione dei parametri  interposti
dell'art. 1, protocollo 1 (diritto al rispetto della proprieta',  tra
cui rientra anche la tutela dei diritti di credito). 
    Basti pensare che la prima deroga al principio generale posto  in
tema di riequilibrio della finanza regionale scolpito nel  richiamato
comma 12 dell'art. 42 del decreto legislativo n. 118/2011, risale  al
2015 con l'emanazione del decreto-legge n. 78/2015 che,  in  base  al
comma 5 dell'art.  9,  consentiva  il  recupero  del  deficit  al  31
dicembre 2014 in sette annualita'. 
    Successivamente, a seguito delle modifiche apportate dalla  legge
di conversione 6 agosto 2015, n. 125 e, dall'art. 1, comma 691, della
legge 28 dicembre 2015, n. 208, a  decorrere  dal  1°  gennaio  2016,
l'orizzonte  temporale  del  recupero  e'  stato  ampliato  a   dieci
annualita'. 
    Infine, con le norme ora  contestate  il  tempo  massimo  per  il
recupero del disavanzo al 31 dicembre  2014  e'  stato  ulteriormente
prolungato  fino  a  giungere  al  ventennio  e,  parallelamente,  la
medesima possibilita' (di recupero ventennale) e' stata estesa  anche
all'ulteriore disavanzo generatosi nel corso del 2015. 
    Nel dipanarsi dei predetti inorganici ed asistematici  interventi
normativi, si ravvisa pertanto una palese  violazione  del  principio
della certezza del diritto inteso come possibilita' di  stabilire  in
maniera ragionevolmente  attendibile  le  conseguenze  giuridiche  di
determinati atti o fatti. 
    A ben vedere infatti, le disposizioni contestate incidono su  una
normativa gia' derogatoria rispetto al principio base ampliando,  per
la terza volta consecutiva  nel  corso  di  un  biennio,  l'orizzonte
temporale del ripiano di deficit effettivi rinvenienti dagli esercizi
2014 e 2015. 
    Le  norme  contestate   pertanto   concorrono   a   deframmentare
l'indefettibile criterio alla luce del quale sia possibile effettuare
valutazioni ragionevolmente attendibili sulle conseguenze  giuridiche
di  determinati  atti  o  fatti  e  che,  come  tale,   presiede   al
funzionamento dell'intero ordinamento giuridico, in quanto funzionale
alla   realizzazione   di   tutti   gli   altri   valori   perseguiti
dall'ordinamento  quali  la  tutela  dell'autonomia  individuale,  la
sicurezza dei traffici, l'uguaglianza, ponendosi, invece, a premio di
chi  la  legge  abbia  violato,   ed   addirittura   costituendo   un
disincentivo, per il futuro, alla sua osservanza. 
    La violazione dei principi generali della certezza  del  diritto,
del legittimo affidamento e della giustizia  effettiva  determina,  a
sua volta, la conseguente prevaricazione dei diritti dei creditori in
nome di asserite esigenze di bilancio. 
    In altri termini la soddisfazione delle  pretese  di  tali  terzi
viene esposta ad un sacrificio temporalmente indeterminato,  a  causa
del continuo dubbio e  dell'incertezza  sul  regime  di  riequilibrio
applicabile. 
    In modo siffatto, dunque, il Legislatore priva  continuamente  di
stabilita' la legge, impedendo che si costituisca il presupposto  per
la soddisfazione effettiva delle ragioni di terzi (in particolare dei
creditori),  oltre  che  l'interesse  dei  cittadini  destinatari  di
servizi  pubblici  ad  un  utilizzo  razionale  ed  efficiente  delle
risorse, vale a dire ad un bilancio riequilibrato. 
    8.3. Non va da ultimo tralasciata la circostanza che le censurate
norme, nell'introdurre l'estensione temporale del piano di rientro in
essere e, soprattutto, nell'estendere la facolta' in questione  anche
a disavanzi rinvenienti dall'esercizio 2015, oltre che da  quelli  al
31  dicembre   2014,   comporta   la   necessita'   di   un'ulteriore
scomposizione del disavanzo complessivo con conseguente necessita' di
individuazione delle sue aumentate quanto molteplici  componenti,  in
relazione alle quali occorre valutare l'andamento del relativo  piano
rientro. Il che appare in contrasto con i  principi  di  chiarezza  e
trasparenza che devono ispirare la redazione dei documenti contabili. 
    Le informazioni  contenute  nei  bilanci  infatti  devono  essere
comprensibili dagli utilizzatori e devono essere esposte  in  maniera
sintetica e analitica, in modo da rendere possibile l'esame dei  dati
contabili e un'adeguata rappresentazione dell'attivita' svolta. 
    Le norme contestate a ben vedere hanno  introdotto  un  ulteriore
elemento di complessita' nella scomposizione del disavanzo nelle  sue
varie componenti. 
    Accanto a quello generato: 
      dall'accertamento straordinario dei residui ex  art.  3,  comma
16, del decreto legislativo n. 118/2011; 
      e/o dal disavanzo tecnico ex art.  3,  comma  13,  del  decreto
legislativo n. 118/2011; 
      e/o dal disavanzo da costituzione del  fondo  anticipazioni  di
liquidita' ex decreto-legge n. 35/2013; 
      e/o dal disavanzo al 31 dicembre 2014 di cui all'art. 9,  comma
5 del decreto-legge n. 78/2015; 
      e/o dal debito autorizzato e non contratto; 
      e/o, in via residuale, accanto al disavanzo ordinario; 
      e' stato infatti inserito un'ulteriore voce di deficit,  quello
ascrivibile alla gestione 2015, a sua volta «beneficiato» da tempi  e
modi di ripiano difformi rispetto ai precedenti. 
    Tale scenario mina alla radice  la  certezza  del  diritto  e  la
veridicita' dei conti, nonche' il principio di chiarezza e univocita'
delle risultanze di amministrazione piu' volte enunciato dalla  Corte
costituzionale (ex plurimis, sentenza n. 274 del 2017). 
    D'altra  parte,   come   recentemente   ricordato   dalla   Corte
costituzionale, «E' fuor di dubbio che ogni bilancio consuntivo  puo'
avere un solo risultato di amministrazione,  il  quale  deriva  dalla
sommatoria delle situazioni giuridiche  e  contabili  degli  esercizi
precedenti fino a determinare un esito che  puo'  essere  positivo  o
negativo. Consentire di avere piu' disavanzi significa,  in  pratica,
permettere di tenere piu' bilanci consuntivi in perdita» (sentenza n.
115/2020). 
    9. Occorre a questo punto valutare se, ed  eventualmente  in  che
misura,  le  condizioni  imposte  dalla   normativa   sospettata   di
incostituzionalita'  per  accedere  al  prolungamento  dei  tempi  di
ripiano possano essere tali da controbilanciare e/o giustificare  gli
evidenziati profili di  incompatibilita'  con  la  clausola  generale
degli equilibri di bilancio. 
    Il  comma  779  in   particolare,   condiziona   l'accesso   alla
dilatazione temporale del piano alla «riqualificazione»  della  spesa
attraverso il progressivo incremento degli investimenti. 
    Il comma  780,  tuttavia,  nel  dettagliare  tale  obiettivo,  lo
declina in termini di  «incremento»  dei  pagamenti  complessivi  per
investimenti in misura non inferiore al valore dei medesimi pagamenti
per l'anno 2017. 
    E' infatti espressamente previsto che:  «Le  regioni  di  cui  al
comma 779, per gli anni dal 2018 al 2026,  incrementano  i  pagamenti
complessivi per investimenti in misura non inferiore  al  valore  dei
medesimi  pagamenti  per  l'anno   2017   rideterminato   annualmente
applicando all'anno base 2017 la percentuale  del  2  per  cento  per
l'anno 2018, del 2,5 per cento per l'anno 2019, del 3 per  cento  per
l'anno 2020 e del 4 per cento per ciascuno degli  anni  dal  2021  al
2026. Ai fini di cui al primo periodo, non rilevano gli  investimenti
aggiuntivi di cui all'art. 1, commi 140-bis e 495-bis, della legge 11
dicembre 2016, n. 232, e, per il solo calcolo relativo all'anno 2018,
i pagamenti complessivi per investimenti relativi  all'anno  2017  da
prendere   a   riferimento   possono   essere   desunti   anche   dal
preconsuntivo». 
    9.1.    Risulta    quindi    evidente    come    la    cosiddetta
«riqualificazione» della spesa in termini di spesa per  investimenti,
sia  considerata  dal  Legislatore  un  contrappeso   per   l'accesso
all'estensione temporale del piano di rientro. 
    Ebbene, occorre in primo luogo evidenziare la  contraddittorieta'
intrinseca intercorrente  tra  le  disposizioni  in  esame,  per  poi
riconsiderare in termini  critici  la  correttezza  del  concetto  di
«riqualificazione»  attribuito  dal  Legislatore   alla   fattispecie
concretamente regolamentata. 
    Sotto il primo profilo e' evidente come il comma 779, che delinea
l'obiettivo   da   perseguire,   prenda    in    considerazione    la
«riqualificazione», mentre il successivo comma  780,  che  di  contro
disciplina il meccanismo operativo per il perseguimento del  medesimo
obiettivo,   la   traduca   in   un   mero   «incremento»,   peraltro
esclusivamente in termini di cassa. 
    Si tratta di concetti ontologicamente differenti. 
    La  riqualificazione   presuppone   infatti   l'acquisizione   di
caratteristiche   qualitativamente   migliori   di   un   determinato
aggregato. Riferita alla  spesa,  nell'ottica  del  Legislatore,  non
potrebbe che concretizzarsi in una progressiva sostituzione di quella
corrente con quella di investimento. 
    Il che naturalmente presupporrebbe l'individuazione di sistemi di
valutazione e/o parametri idonei a misurare l'andamento del  processo
attraverso, ad esempio, la fissazione di rapporti percentuali tra  le
due componenti e/ o massimali complessivi di spesa. 
    L'incremento, di contro, e' un concetto meramente quantitativo. 
    Le contestate disposizioni lo riferiscono  alla  sola  spesa  per
investimenti e non tengono conto dell'andamento di quella corrente. 
    La normativa in esame pertanto, in contrasto con  le  sue  stesse
dichiarate finalita', non integra una  reale  riqualificazione  della
spesa per investimenti a discapito di  quella  corrente,  circostanza
questa che a ben vedere avrebbe potuto costituire uno sforzo virtuoso
delle amministrazioni interessate a fronte della recuperata capacita'
di spesa corrente, ma impone esclusivamente un  incremento  di  spesa
per investimenti peraltro solo in termini di cassa. 
    Si individua cioe', come contrappeso per la dilatazione temporale
del rientro dal deficit, un mero aumento di spesa, nell'ambito di una
situazione di squilibrio finanziario certificata. 
    In  buona  sostanza  si  prolunga   puramente   e   semplicemente
l'orizzonte temporale del  recupero  del  disavanzo  non  solo  senza
l'imposizione di misure volte a stimolare comportamenti  virtuosi  in
termini  di  reale  riqualificazione  della  spesa,  ma   addirittura
accostando  il  beneficio  in  parola  all'imposizione  di  ulteriori
aumenti di spesa per investimenti rispetto  a  quelle,  della  stessa
natura, sostenute in esercizi precedenti. 
    Cio', come se le spese in conto capitale fossero  altro  rispetto
al principio dell'equilibrio di bilancio. 
    Invero, non v'e' chi non veda, come l'art. 81 della  Costituzione
tuteli gli equilibri di bilancio nel loro complesso;  ne'  ammette  o
giustifica, la norma in commento, in alcun  modo  uno  squilibrio  di
parte  capitale.  Di   contro   l'ordinamento   finanziario-contabile
consente il ricorso  all'indebitamento  proprio  per  preservare  gli
equilibri di parte capitale (di cui le spese per  investimento  fanno
parte) attraverso l'accertamento della correlativa entrata. 
    Al contempo, la dilatazione temporale del rientro dal  deficit  e
la conseguente riduzione della quota di ammortamento da imputare alla
spesa di competenza di tutti gli esercizi dei nuovi piani di rientro,
comporta un'inesorabile espansione,  piu'  che  proporzionale,  anche
della spesa corrente per via  della  recuperata  capacita'  di  spesa
derivante dal prolungamento del piano di rientro. 
    In conclusione, il richiesto incremento dei pagamenti  per  spese
di investimento, lungi dal rappresentare un  efficace  contrappeso  a
fronte della evidenziata  deroga  ai  principi  di  equilibrio  e  di
copertura   delle   spese,   risulta   del   tutto   inconferente   e
contraddittorio    rispetto    all'obiettivo     dichiarato     della
riqualificazione. 
    Si assiste in  definitiva  ad  una  reale  eterogenesi  dei  fini
dichiarati. 
    Prendendo le mosse da una situazione finanziaria  in  squilibrio,
si individua il contrappeso delle previste misure  di  favore  in  un
mero  aumento  di  tutte  le  componenti  di  spesa:  di  quelle  per
investimento come  conseguenza  diretta  del  comma  780;  di  quelle
correnti come conseguenza indiretta  della  recuperata  capacita'  di
spesa derivante dall'applicazione del comma 779. 
    9.2. Ne' puo' essere tralasciata la circostanza che il  richiesto
incremento debba essere valutato esclusivamente in termini  di  cassa
facendo riferimento ai soli pagamenti. 
    Ancora una volta  la  misura  richiesta  si  appalesa  inefficace
rispetto all'obiettivo di stimolare azioni virtuose in capo agli enti
beneficiari dell'estensione temporale dei piani di rientro. 
    A ben vedere in  effetti,  specie  nel  breve/medio  periodo,  il
richiesto obiettivo di incremento puo' essere agevolmente  perseguito
semplicemente attingendo dal fondo cassa per  «finanziare»  pagamenti
da residui cioe' per dar seguito ad obbligazioni  passive  registrate
in esercizi  precedenti  l'introduzione  della  norma  contestata  o,
addirittura, con la reiscrizione (e il  pagamento)  di  risorse  gia'
acquisite al bilancio  e  confluite  nell'avanzo  di  amministrazione
vincolato, vanificando completamente la finalita' di riqualificazione
della spesa dichiarata dal Legislatore. 
    Cio' e' tanto piu' vero ove si consideri che  la  capienza  della
cassa, nella finanza delle regioni,  puo'  comunemente  dipendere  da
fattori estranei al reale stato  di  salute  dell'amministrazione  in
termini di sana ed equilibrata gestione finanziaria ed al conseguente
buon andamento della riscossione rispetto ai pagamenti. 
    Ci  si  riferisce,  a  titolo  meramente  esemplificativo,   alla
possibilita', neanche esercitata  nell'esercizio  di  riferimento  da
parte della Regione Abruzzo, di accedere alle iniezioni di liquidita'
di  cui  al  decreto-legge  n.  35/2013;  e/o  alla  consistenza  dei
trasferimenti nazionali e comunitari ed  alla  conseguente  rilevanza
della cassa sostanzialmente vincolata; e/o alla cassa sanitaria. 
    D'altra parte, benche' il disavanzo sostanziale sia tale da  aver
imposto il ricorso ai piani di rientro in commento,  al  31  dicembre
2018 il  fondo  cassa  della  Regione  Abruzzo  ha  fatto  registrare
l'importo di euro 474.705.848, mentre al 31 dicembre  2017  l'importo
di euro 487.655.323. 
    Una  reale  riqualificazione,  diversamente,  avrebbe   richiesto
azioni di  stimolo  incidenti  sulla  gestione  di  competenza  degli
esercizi presi in  considerazione  dal  prolungamento  del  piano  di
rientro attraverso l'imposizione di progressive politiche di sviluppo
in termini di aumento degli impegni di spesa di investimento. 
    9.3. Ma il meccanismo  dei  contrappesi  ideato  dal  Legislatore
risulta affetto  da  irragionevolezza  anche  in  base  ad  ulteriori
considerazioni. 
    La eterogeneita' degli aggregati di spesa posti  in  correlazione
(competenza in conto corrente in  relazione  alla  contrazione  della
rata annuale da stanziare per il recupero dei deficit; cassa in conto
capitale per l'incremento degli investimenti) infatti,  non  consente
di  valutare  l'efficacia  del  meccanismo   che   assicurerebbe   la
riqualificazione, neanche nel lungo periodo. 
    Occorre in effetti spazzare il campo dall'equivoco di  paragonare
i due aggregati  per  sostenere  -  come  mostra  invece  di  opinare
l'amministrazione regionale nella fase istruttoria del giudizio a quo
-  che  un  incremento  della  spesa  per  investimenti,  vigente  il
principio dell'equilibrio di bilancio, e quindi a parita' di entrate,
non potrebbe che determinare una riduzione  della  spesa  corrente  e
quindi una sua implicita riqualificazione. 
    L'assunto appare non  condivisibile  per  un  duplice  ordine  di
motivi. 
    Innanzitutto, in quanto, come detto, si  pretende  di  attribuire
rilievo  alla  somma  algebrica  tra  l'aumento  dei  pagamenti   per
investimenti, che sono considerati per cassa, e  la  riduzione  della
spesa corrente, che opera invece, in termini di competenza. Qualsiasi
argomento volto a dimostrare la coerenza del meccanismo in parola  si
scontra inesorabilmente con questa dirimente eccezione. 
    In secondo luogo, occorre considerare che la rata di ammortamento
a titolo di recupero del deficit ha  natura  di  spesa  corrente;  ne
consegue che all'intero di quest'ultimo aggregato  (spesa  corrente),
la  componente  che  per  effetto   delle   contestate   disposizioni
diminuisce, e'  certamente  quella  stanziata  per  il  recupero  del
deficit, mentre quella residua tende fisiologicamente a  riespandersi
in misura direttamente proporzionale. 
    In questo senso puo' concludersi che la contrazione  dell'importo
della rata di disavanzo da applicare al bilancio preventivo  prevista
dalle disposizioni  sospettate  di  incostituzionalita'  consente  in
realta' di finanziare proprio una  maggiore  spesa  corrente  residua
all'interno dell'aggregato in considerazione. 
    In altri termini, la quota parte di spesa corrente che diminuisce
in via diretta e' solo quella relativa alla riduzione della  rata  di
ammortamento; ad essa puo' seguire, a parita' di entrate, un  aumento
della spesa corrente residua in assenza di un limite  complessivo  di
spesa riferibile a tale aggregato. 
    Non si perviene a diverse conclusioni anche a  voler  considerare
il piano di recupero nel lungo periodo, in quanto lo sforzo associato
al citato incremento dei pagamenti per investimenti risulta del tutto
slegato  dalla  quantificazione   del   vantaggio   derivante   dalla
rimodulazione. 
    A fronte di un immediato «risparmio» di spesa corrente  in  conto
competenza pari alla meta' della quota annuale del disavanzo 2014  ed
al ventesimo (1/20) del disavanzo 2015 da applicare  al  bilancio  di
previsione, il reale  effetto  di  riqualificazione  della  spesa  in
termini di  stanziamenti  di  competenza  e'  solo  eventuale  e  non
quantificabile e/o  misurabile,  proprio  perche'  esso  puo'  essere
affiancato  se   non   addirittura   totalmente   sostituito,   dalla
riassegnazione   alla   competenza   delle   economie   vincolate   e
dall'utilizzo dei residui  in  presenza  di  un  cassa  capiente  per
ragioni non  riconducibili  al  reale  stato  di  salute  finanziaria
dell'ente. 
    10. Art. 1, comma 779 ultimo  periodo  della  legge  27  dicembre
2017, n. 205 - Violazione degli articoli 81, 97 e 119, primo e  sesto
comma della Costituzione, in combinato disposto con gli articoli 2, 3
e  1  della  Costituzione  sia  sotto  il   profilo   della   lesione
dell'equilibrio e della sana gestione finanziaria del  bilancio,  sia
per  contrasto  con  gli  interdipendenti   principi   di   copertura
pluriennale della  spesa  e  di  responsabilita'  nell'esercizio  del
mandato elettivo. Violazione del precetto  dell'equilibrio  ai  sensi
del combinato disposto degli articoli 97, 81 e 41 della Costituzione,
e degli articoli 3 e 117, comma 1 della Costituzione, in relazione al
parametro interposto dell'art. 1, protocollo  1, Convenzione  europea
per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo   e   delle   liberta'
fondamentali. 
    10.1. In via  subordinata,  il  dubbio  di  costituzionalita'  va
circoscritto alla parte in cui le  misure  ampliative  dei  tempi  di
recupero del deficit sono  estese  anche  al  disavanzo  2015  ed  in
particolare all'ultimo periodo del comma 779 dell'art. 1 della  legge
n. 205/2017 a norma del quale «Le  disposizioni  di  cui  ai  periodi
precedenti si applicano anche con  riferimento  al  disavanzo  al  31
dicembre 2015». 
    Anche in questo caso  i  parametri  costituzionali  violati  sono
rappresentati dagli articoli 81, 97 e 119, primo e sesto comma  della
Costituzione, in combinato disposto con gli articoli 2, 3 e  1  della
Costituzione sia sotto il profilo  della  lesione  dell'equilibrio  e
della sana gestione finanziaria del bilancio, sia per  contrasto  con
gli interdipendenti principi di copertura pluriennale della  spesa  e
di responsabilita' nell'esercizio del mandato elettivo. 
    La norma contrasta inoltre con  il  precetto  dell'equilibrio  ai
sensi del combinato  disposto  degli  articoli  97,  81  e  41  della
Costituzione, e degli articoli 3 e 117, comma 1  della  Costituzione,
per violazione del parametro interposto dell'art.  1,  protocollo  1,
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali. 
    Valgono al riguardo le medesime considerazioni espresse ai  punti
n. 7), n. 8) e n. 9) in quanto integralmente  riferibili  anche  alla
presente censura. 
    10.2. Ai precedenti rilievi occorre tuttavia aggiungere ulteriori
considerazioni specificamente riferibili al richiamato ultimo periodo
del comma 779. 
    In primo luogo si rileva che, ancor piu'  di  quanto  gia'  fatto
rilevare in ordine al disavanzo al  31  dicembre  2014,  alcun  nesso
possa essere ricostruito tra il disavanzo 2015 ed il «passaggio» alla
contabilita' armonizzata. 
    Se si esclude l'applicazione  dei  nuovi  schemi  di  bilancio  i
quali, lungi dal determinare gli esiti della gestione,  svolgono  una
funzione essenzialmente rappresentativa di  essa,  i  principi  della
competenza finanziaria cosiddetta potenziata introdotta  dal  decreto
legislativo n. 118/2011, nell'esercizio 2015 erano  gia'  obbligatori
ed a regime. 
    Ne' puo' ragionevolmente ritenersi che  i  disavanzi  rinvenienti
dalla gestione dell'esercizio finanziario in  considerazione  possano
essere conseguenza delle novita' introdotte dalla riforma.  Il  testo
normativo, unitamente ai principi contabili  generali  ed  applicati,
risultavano in effetti ampiamente conosciuti in quanto  emanati  gia'
nel 2011 e poi entrati in vigore nel 2015 a  seguito  dei  molteplici
rinvii normativi intervenuti. 
    Vieppiu', l'elevato grado di analiticita'  tecnica  delle  regole
introdotte dal decreto e dai suoi allegati principi risponde  proprio
all'esigenza di garantire, piu' che in passato, gestioni  finanziarie
rispettose dei principi costituzionali di  copertura  delle  spese  e
degli equilibri di bilancio. 
    D'altro canto, la Corte costituzionale ha giudicato le deroghe ai
principi  di  copertura  delle  spese  e  del  pareggio  di  bilancio
costituzionalmente conformi, da una parte solo  se  contemperate  con
altro interesse costituzionalmente rilevante, dall'altra a condizione
della loro eccezionalita'. 
    Ebbene, la  norma  censurata  appare  carente  sotto  entrambi  i
profili. 
    10.3. Della mancata riconducibilita' della norma, nella parte  in
cui estende il piu'  lasco  termine  di  ripiano  del  deficit  2015,
all'abusato  passaggio  alla  contabilita'  armonizzata  si  e'  gia'
ampiamente detto (il riferimento va all'art. 3, commi 16  e  13,  del
decreto legislativo  n.  118/2011  sul  rientro  nel  trentennio  dal
maggior disavanzo). 
    Occorre tuttavia in questa sede  aggiungere  che  il  Legislatore
aveva  gia'  introdotto  una  serie  di  efficaci  misure   volte   a
neutralizzare  anche   i   possibili   disavanzi   conseguenti   alle
difficolta' applicative dei nuovi principi una volta a regime. 
    Cosi', a titolo meramente esemplificativo e senza alcuna  pretesa
di esaustivita', riguardo la gestione dei residui attivi e del  fondo
crediti di dubbia esigibilita', e' stato previsto che: 
      per quanto riguarda il bilancio preventivo, nel primo esercizio
di applicazione della contabilita' armonizzata (appunto il  2015)  e'
possibile  stanziare  una  quota  almeno  pari  al  50%  dell'importo
dell'accantonamento quantificato nel prospetto riguardante  il  fondo
crediti di dubbia esigibilita' allegato al  bilancio  di  previsione.
Nel secondo esercizio lo  stanziamento  di  bilancio  riguardante  il
fondo  crediti  di  dubbia  esigibilita'  e'  pari  almeno   al   75%
dell'accantonamento quantificato nel prospetto riguardante  il  fondo
crediti di dubbia esigibilita' allegato al bilancio di previsione,  e
dal terzo esercizio  l'accantonamento  al  fondo  e'  effettuato  per
l'intero importo; 
      in sede  di  Rendiconto  relativo  all'esercizio  2015  e  agli
esercizi successivi, fino al 2018, la quota accantonata nel risultato
di amministrazione per il fondo crediti di dubbia  esigibilita'  puo'
essere determinata, pur tenendo conto  della  situazione  finanziaria
complessiva dell'ente e del rischio di rinviare  oneri  all'esercizio
2019, facendo ricorso al  cosiddetto  «metodo  semplificato»  che  in
buona sostanza consente di agganciare l'accantonamento, al fondo  del
precedente Rendiconto (il cui conseguente  disavanzo  risultava  gia'
beneficiato del piano di rientro trentennale) rideterminato  in  base
agli utilizzi del fondo  per  la  cancellazione  o  lo  stralcio  dei
crediti e dell'importo definitivamente accantonata  nel  bilancio  di
previsione. 
    A pare ispirato alla medesima ratio di riduzione del «peso» delle
nuove regole armonizzate anche l'art. 2, comma 6,  del  decreto-legge
n. 78 del 2015, poi dichiarato incostituzionale con  la  sentenza  n.
4/2020, secondo cui «[g]li enti destinatari  delle  anticipazioni  di
liquidita' a valere  sul  fondo  per  assicurare  la  liquidita'  per
pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili di  cui  all'art.  1
del  decreto-legge  8   aprile   2013,   n.   35,   convertito,   con
modificazioni, dalla legge 6 giugno 2013, n. 64, utilizzano la  quota
accantonata   nel   risultato   di    amministrazione    a    seguito
dell'acquisizione delle erogazioni, ai  fini  dell'accantonamento  al
fondo   crediti   di   dubbia   esigibilita'   nel    risultato    di
amministrazione». 
    Del pari, sempre nell'ottica della riduzione degli accantonamenti
obbligatori nei primi anni dell'armonizzazione, si  pone  l'art.  60,
comma 3, del decreto legislativo n. 118/2011 a  norma  del  quale,  a
seguito    dell'eliminazione    dell'istituto    della     perenzione
amministrativa, «una quota del risultato  di  amministrazione  al  31
dicembre  2014  e'  accantonata  per  garantire  la  copertura  della
reiscrizione  dei  residui  perenti,  per  un  importo  almeno   pari
all'incidenza delle richieste di  reiscrizione  dei  residui  perenti
degli ultimi tre esercizi rispetto all'ammontare dei residui  perenti
e comunque incrementando annualmente l'entita' dell'accantonamento di
almeno il 20 per cento, fino  al  70  per  cento  dell'ammontare  dei
residui perenti». 
    Si puo' pertanto concludere che, prima dell'intervento  normativo
contestato, a piu' riprese il Legislatore si era gia' fatto carico di
alleggerire  i  tempi   di   recupero   dei   disavanzi   ascrivibili
rispettivamente: 
      1) agli esercizi pregressi al 1° gennaio  2015  con  l'art.  9,
comma 5, del decreto-legge n. 78/2015; 
      2) al passaggio al sistema armonizzato con l'art. 3, commi 16 e
13, del decreto legislativo n. 118/2011; 
      3) alle difficolta' applicative della contabilita'  armonizzata
a regime con le richiamate norme del decreto legislativo n.  118/2011
e del decreto legislativo n.  118/2011  e  del  «Principio  contabile
applicato concernente la contabilita' finanziaria» ad  esso  allegato
(Allegato n. 4/2). 
    Una verifica in concreto di quanto affermato  si  ritrae  d'altra
parte proprio dall'osservazione dell'evoluzione del  disavanzo  della
Regione Abruzzo tra l'esercizio 2014 ed il  2015,  come  risulta  dai
prospetti che seguono. 
 
                            Tabella n. 1 
 
 
=====================================================================
|                    |         2014          |         2015         |
+====================+=======================+======================+
|Saldo di competenza |-228.913.005           |-329.472.084          |
+--------------------+-----------------------+----------------------+
|Saldo residui       |-6.518.565             |-317.386.210          |
+--------------------+-----------------------+----------------------+
 
 
                              Tabella 2 
 
 
=====================================================================
|                   |                |              | Differenziale |
|    Descrizione    |      2014      |     2015     |tra 2015 e 2014|
+===================+================+==============+===============+
|RISULTATO CONTABILE|                |              |               |
|DI AMMINISTRAZIONE |919.309.406     |272.451.112   |-646.858.294   |
+-------------------+----------------+--------------+---------------+
|Fondo crediti di   |                |              |               |
|dubbia esigibilita'|                |              |               |
|al 31/12           |0               |27.193.069    |27.193.069     |
+-------------------+----------------+--------------+---------------+
|Accantonamento     |                |              |               |
|residui perenti al |                |              |               |
|31/12              |25.569.934      |7.482.571     |-18.087.363    |
+-------------------+----------------+--------------+---------------+
|Fondo anticipazioni|                |              |               |
|liquidita'         |                |              |               |
|decreto-legge n.   |                |              |               |
|35 del 2013 e      |                |              |               |
|successive         |                |              |               |
|modifiche e        |                |              |               |
|finanziamenti      |170.442.960     |166.764.376   |-3.678.584     |
+-------------------+----------------+--------------+---------------+
|Fondo perdite      |                |              |               |
|societa'           |                |              |               |
|partecipate        |0               |4.861.281     |4.861.281      |
+-------------------+----------------+--------------+---------------+
|Fondo contenzioso  |0               |26.404.404    |26.404.404     |
+-------------------+----------------+--------------+---------------+
|Altri              |                |              |               |
|accantonamenti     |0               |55.925.172    |55.925.172     |
+-------------------+----------------+--------------+---------------+
|TOTALE PARTE       |                |              |               |
|ACCANTONATA        |196.012.894     |288.630.874   |92.617.980     |
+-------------------+----------------+--------------+---------------+
|Vincoli derivanti  |                |              |               |
|da leggi e dai     |                |              |               |
|principi contabili |0               |0             |0              |
+-------------------+----------------+--------------+---------------+
|Vincoli derivanti  |                |              |               |
|da trasferimenti   |1.404.622.912   |749.549.569   |-655.073.343   |
+-------------------+----------------+--------------+---------------+
|Vincoli derivanti  |                |              |               |
|dalla contrazione  |                |              |               |
|di mutui           |0               |0             |0              |
+-------------------+----------------+--------------+---------------+
|Vincoli formalmente|                |              |               |
|attribuiti         |                |              |               |
|dall'ente          |0               |0             |0              |
+-------------------+----------------+--------------+---------------+
|Altri vincoli      |0               |0             |0              |
+-------------------+----------------+--------------+---------------+
|TOTALE PARTE       |                |              |               |
|VINCOLATA          |1.404.622.912   |749.549.569   |-655.073.343   |
+-------------------+----------------+--------------+---------------+
|TOTALE PARTE       |                |              |               |
|DESTINATA AGLI     |                |              |               |
|INVESTIMENTI       |0               |0             |0              |
+-------------------+----------------+--------------+---------------+
|TOTALE PARTE       |                |              |               |
|DISPONIBILE        |-681.326.400    |-765.729.331  |-84.402.931    |
+-------------------+----------------+--------------+---------------+
 
 
                            Tabella n. 3 
 
 
         RICONCILIAZIONE CON ANDAMENTO DISAVANZO SOSTANZIALE 
 
      +-----------------------------+-------------------------+
      |Totale saldo competenza      |                         |
      |esercizio 2015 (A)           |-329.472.084             |
      +-----------------------------+-------------------------+
      |Totale saldo residui         |                         |
      |esercizio 2015 (B)           |-317.386.210             |
      +-----------------------------+-------------------------+
      |Differenziale accantonamenti |                         |
      |2015-2014 (C)                |92.617.980               |
      +-----------------------------+-------------------------+
      |Differenziale vincoli        |                         |
      |2015-2014 (D)                |-655.073.343             |
      +-----------------------------+-------------------------+
      |Peggioramento «Totale parte  |                         |
      |disponibile» nel biennio     |                         |
      |214-2015 (E=A+B-C-D)         |-84.402.931              |
      +-----------------------------+-------------------------+
 
    I dati in commento dimostrano ancora una volta  che  l'incremento
del disavanzo non puo' essere in alcun modo ascrivibile al  passaggio
alla contabilita' armonizzata. 
    In  effetti  a  fronte  di  un  modesto  incremento  della  parte
accantonata rispetto all'esercizio precedente pari a euro 92.617.979,
l'Amministrazione riduce in maniera piu' che proporzionale i  vincoli
nella misura di euro -655.073.343 (cfr. Tabella n. 2). 
    Nonostante la citata consistente riduzione del saldo tra  vincoli
ed accantonamenti, il risultato registra un  rilevante  peggioramento
che va tuttavia attribuito (cfr. Tabella  n.  1)  al  saldo  negativo
della gestione di competenza (euro -329.472.084) ed  a  quello  della
gestione dei residui (euro -317.386.210) senza  che  su  quest'ultimo
abbia influito il riaccertamento straordinario operato, di contro, al
1 gennaio 2018 per effetto dell'art. 1, comma 783, della legge n. 205
del 2017. 
    Alla luce di quanto esposto, l'ulteriore estensione al  ventennio
del piano di rientro dal deficit all'esito  dell'esercizio  2015  non
appare  giustificata  dall'esigenza  di  contemperamento  con   altro
interesse costituzionalmente rilevante  e  si  appalesa  radicalmente
scollegata dall'introduzione, oltre che dall'applicazione,  a  regime
della contabilita' armonizzata. 
    La compatibilita' della norma contestata  con  l'attuale  assetto
costituzionale appare in definitiva esclusa laddove si consideri  che
la Corte costituzionale (sentenza  n.  107/2016),  ha  affermato  che
l'ampliamento dell'orizzonte temporale per il ripiano puo' ammettersi
in ragione di eventi contabili che facciano emergere un disavanzo che
puo' essere ritenuto «straordinario» nelle  sue  cause  e  nelle  sue
dimensioni e che deve, quindi, essere fronteggiato normativamente  in
modo da consentire agli enti di recuperare le coperture in un arco di
tempo che sia ragionevole, e compatibile con la capacita' di reperire
le  risorse  mancanti  e  necessarie  ad  erogare  le  su  richiamate
prestazioni costituzionalmente imprescindibili. 
    10.4. Ne' puo' ragionevolmente ritenersi trattarsi di  una  crisi
«strutturale» della finanza  territoriale  tale  da  giustificare  il
predetto prolungamento (Corte costituzionale n. 107/2016). 
    Si tratta a ben vedere di disavanzi accumulatisi nel corso di  un
solo   esercizio   finanziario   peraltro    indifferente    rispetto
all'eventuale peso dell'adeguamento dei residui attivi e passivi alle
regole dell'armonizzazione (aspetto quest'ultimo neutralizzato  delle
misure di cui all'art. 3 del decreto  legislativo  n.  118/2011);  ed
immediatamente  successivo  ad  altro  esercizio,  il  2014,  il  cui
disavanzo indistinto era stato gia' integralmente sottoposto ad altro
piano di rientro decennale e poi ventennale. 
    Il censurato intervento normativo si appalesa, in buona sostanza,
episodico ed asistematico in quanto  incide  sui  risultati  negativi
della sola gestione 2015. 
    10.5. Viola inoltre il  piu'  volte  richiamato  principio  della
necessaria eccezionalita' e definitivita' degli interventi  normativi
derogatori rispetto agli ordinari tempi di riassorbimento dei deficit
previsti  dall'ordinamento  finanziario  e   contabile   degli   enti
territoriali. 
    Al riguardo  e'  opportuno  richiamare  le  univoche  indicazioni
fornite dalla Corte costituzionale che, in riferimento  al  disavanzo
tecnico di cui all'art. 3,  comma  13,  del  decreto  legislativo  n.
118/2011, ha avuto modo  di  chiarire  che  «Avere  riguardo  a  tale
fenomeno  patologico  e  consentire  questa  ulteriore  facolta'   di
disavanzo  -  oltre  a  quelle  decennali  (art.  9,  comma  5,   del
decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78, recante "Disposizioni urgenti in
materia  di  enti  territoriali.  Disposizioni   per   garantire   la
continuita'  dei  dispositivi  di  sicurezza  e  di   controllo   del
territorio. Razionalizzazione  delle  spese  del  Servizio  sanitario
nazionale  nonche'  norme  in  materia  di  rifiuti  e  di  emissioni
industriali")  e  trentennali  (art.  3,  comma   16,   del   decreto
legislativo  n.  118  del  2011),  nonche'  alle   anticipazioni   di
liquidita'  per  debiti  inevasi  (da  restituire  anch'esse  in   un
trentennio: articoli 2 e 3 del decreto-legge 8 aprile  2013,  n.  35,
recante «Disposizioni urgenti per il  pagamento  dei  debiti  scaduti
della pubblica amministrazione, per il riequilibrio finanziario degli
enti territoriali, nonche' in materia di versamento di tributi  degli
enti locali") - costituisce certamente una dimostrazione  di  fiducia
del  legislatore  statale  nei  confronti  degli  enti  territoriali;
dimostrazione di fiducia sicuramente corredata  dall'aspettativa  che
la sua utilizzazione sia una tantum e non  ingeneri  la  convinzione,
negli stessi enti destinatari - che possano ripetersi  e  perpetuarsi
le disfunzioni amministrative nella riscossione delle entrate e nella
copertura  delle  spese,  magari  confidando  in  nuovi   eccezionali
provvedimenti  legislativi  di  dilazione  delle  passivita'»  (Corte
costituzionale, sentenza n. 6/2017). 
    La norma sospettata di costituzionalita', incidendo su un  quadro
normativo gia' ampiamente derogatorio rispetto all'enunciata clausola
generale del pareggio di bilancio, invero, non  integra  affatto  una
misura una tantum, ma si appalesa come l'ennesima ipotesi derogatoria
che rischia di trasformare l'eccezione in  regola  cosi'  ingenerando
l'affidamento  che  le  norme  adottate  possano  assumere  carattere
ordinario  anziche'  eccezionale  ed  isolato,   sospingendo   cosi',
inevitabilmente, «le scelte degli amministratori verso  politiche  di
"corto   respiro",   del   tutto   subordinate    alle    contingenti
disponibilita' di cassa» (Corte costituzionale sentenza n. 18/2019). 
    In  conclusione,   l'estensione   del   rilevante   prolungamento
temporale del  recupero  anche  al  deficit  2015,  ad  avviso  della
Sezione: 
      risulta incompatibile con una gestione di bilancio equilibrata; 
      ingenera l'affidamento che  le  norme  contestate,  slegate  da
interessi  costituzionalmente   rilevanti   che   ne   possano   aver
giustificato  l'adozione,  possano   assumere   carattere   ordinario
anziche' eccezionale ed isolato; 
      ha l'esclusivo effetto di spostare su generazioni successive il
peso finanziario di una gestione priva di  coperture,  in  danno  dei
principi di cui agli articoli 97, 81, 3 e 2 della Costituzione; 
      induce inevitabilmente «le scelte  degli  amministratori  verso
politiche di "corto respiro", del tutto subordinate alle  contingenti
disponibilita' di cassa»; 
      sottrae gli amministratori al vaglio della loro responsabilita'
politica e amministrativa (art. 1 della Costituzione). 
    In conclusione, come fatto rilevare dalla  Corte  costituzionale,
«ferma restando la discrezionalita' del legislatore nello scegliere i
criteri e le modalita' per porre riparo  a  situazioni  di  emergenza
finanziaria come quella in esame, non puo'  [tuttavia]  disconoscersi
la problematicita' di soluzioni normative continuamente mutevoli come
quelle  precedentemente  evidenziate,   le   quali   prescrivono   il
riassorbimento dei disavanzi in  archi  temporali  molto  vasti,  ben
oltre il ciclo di bilancio ordinario, con possibili ricadute negative
anche  in  termini  di  equita'  intergenerazionale»   (sentenza   n.
107/2016). 
    11. Art. 8, comma  1,  lettera  a),  della  legge  della  Regione
Abruzzo 5 febbraio 2018, n. 7 - Violazione degli articoli  81,  97  e
119 primo e sesto comma della Costituzione, in combinato disposto con
gli articoli 2, 3 e 1 della Costituzione sia sotto il  profilo  della
lesione  dell'equilibrio  e  della  sana  gestione  finanziaria   del
bilancio, sia per  contrasto  con  gli  interdipendenti  principi  di
copertura pluriennale della spesa e di responsabilita' nell'esercizio
del mandato elettivo. 
    Violazione del precetto dell'equilibrio ai  sensi  del  combinato
disposto degli articoli 97, 81  e  41  della  Costituzione,  e  degli
articoli 3 e  117,  comma  1  della  Costituzione,  in  relazione  al
parametro interposto dell'art. 1, protocollo 1,  Convenzione  europea
per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo   e   delle   liberta'
fondamentali. 
    La norma in commento, presenta dubbi di  incostituzionalita'  per
un duplice ordine di profili. 
    Sotto un primo aspetto, essendo stata  adottata  in  applicazione
dei commi 779 e seguenti dell'art. 1  della  legge  n.  208/2017,  ne
condivide gli  aspetti  di  incompatibilita'  con  l'attuale  assetto
costituzionale per tutti i motivi sopra esposti che in questa sede si
considerano integralmente richiamati. 
    12. Art. 8, comma 1, lettera a) della legge della Regione Abruzzo
5 febbraio 2018, n. 7 - Violazione degli articoli 81, 97 e 117, comma
2, lettera  e),  e  comma  3  della  Costituzione,  in  relazione  ai
parametri interposti degli articoli 42, comma 12 e  50,  del  decreto
legislativo 23 giugno 2011, n. 118. 
    Sotto altro aspetto, la norma regionale si appalesa incompatibile
con l'attuale assetto costituzionale nella parte in cui, omettendo di
valutare gli andamenti dei progressi  esercizi,  non  prevede  alcuno
stanziamento per il recupero del deficit rinveniente  dagli  esercizi
finanziari 2015 e 2016, in riferimento agli articoli  81,  97  e  117
comma 2 lettera e) e comma 3 della Costituzione, per  violazione  dei
parametri interposti degli articoli 42 comma 12,  e  50  del  decreto
legislativo 23 giugno  2011,  n.  118  (Disposizioni  in  materia  di
armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle
regioni, degli enti locali  e  dei  loro  organismi,  a  norma  degli
articoli 1 e 2 della legge 5 maggio 2009, n. 42). 
    La norma contestata prevede che: 
      «E' iscritta nello stato di previsione della  spesa  una  quota
del disavanzo di amministrazione  presunto  per  ciascuna  delle  tre
annualita' di bilancio (2018-2019-2020) cosi' determinata: 
        a) euro  25.544.172,01  quale  annualita'  del  disavanzo  di
amministrazione presunto al 31 dicembre 2014, in attuazione di quanto
previsto dall'art. 9, comma 5, del decreto-legge 19 giugno  2015,  n.
78  (Disposizioni  urgenti   in   materia   di   enti   territoriali.
Disposizioni  per  garantire  la  continuita'  dei   dispositivi   di
sicurezza e di  controllo  del  territorio.  Razionalizzazione  delle
spese del Servizio sanitario nazionale nonche' norme  in  materia  di
rifiuti e di emissioni  industriali),  convertito  con  modificazioni
dalla legge 6 agosto 2015, n. 125 in deroga all'art.  42,  comma  12,
del decreto legislativo 118/2011». 
    12.1. Per quanto attiene alla  legittimazione,  va  premesso  che
«per effetto della riforma di cui alla legge costituzionale 20 aprile
2012, n. 1 (Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella
Carta costituzionale), la  tutela  della  finanza  pubblica  e  degli
equilibri  di  bilancio  coinvolge  tutte  le   amministrazioni   del
consolidato pubblico, anche al fine  di  garantire  il  rispetto  dei
vincoli economici e finanziari derivanti dall'appartenenza all'Unione
europea, e alla Corte dei conti e' stata  conferita  la  funzione  di
verifica della legittimita' del sistema di bilancio  regionale  anche
con riguardo ai parametri costituzionali di cui agli articoli 28, 81,
97, 100 e 119 della Costituzione. 
    Conseguentemente, si e' estesa a quest'ultima la legittimazione a
sollevare  questione  di  legittimita'  costituzionale,  includendovi
[anche] la violazione  dei  suddetti  parametri  e  del  criterio  di
riparto di competenze tra Stato  e  regioni,  di  cui  all'art.  117,
secondo e terzo comma,  della  Costituzione,  che  si  riverbera  sul
potere di allocare risorse e di adottare provvedimenti implicanti una
spesa» (Corte costituzionale n. 112/2020). 
    E' stata cosi' riconosciuta la  legittimazione  della  Corte  dei
conti, sezione  regionale  di  controllo,  in  sede  di  giudizio  di
parificazione del Rendiconto  regionale,  a  sollevare  questioni  di
legittimita' costituzionale,  «anche  in  riferimento  all'art.  117,
secondo  comma,  lettera  l),  della  Costituzione,  se  evocato   in
correlazione funzionale con l'art. 81 e con l'art. 97,  primo  comma,
della Costituzione (sentenze n. 146 del 2019  e  n.  196  del  2018)»
(Corte costituzionale n. 112/2020). 
    12.2.  Quanto  alla  rilevanza,  nel  rinviare  alle   precedenti
considerazioni circa  la  natura  e  le  finalita'  del  giudizio  di
parificazione,  in  questa  sede  vale  la  pena  soffermarsi   sulla
circostanza che la  norma  regionale  di  approvazione  del  bilancio
previsionale in contestazione, omettendo di computare  nel  disavanzo
complessivo da recuperare quello rinveniente dagli  esercizi  2015  e
2016, ha determinato una evidente sottostima  degli  stanziamenti  di
spesa a titolo di recupero del deficit stesso con cio'  condizionando
il  giudizio  di   parificazione   della   Sezione   sul   Rendiconto
dell'esercizio 2018 della Regione Abruzzo. 
    Qualora la  norma  regionale  sospettata  di  incostituzionalita'
dovesse essere espunta dall'ordinamento  giuridico,  in  effetti,  la
posta di disavanzo iscritto in  spesa  nel  bilancio  preventivo,  si
appaleserebbe illegittima in quanto gravemente sottostimata,  con  la
immediata conseguenza della compromissione del  principale  saldo  di
bilancio, ovvero il risultato di amministrazione  a  fine  esercizio,
nella parte in cui quest'ultimo non registra, in termini di recupero,
il deficit formalmente emerso negli esercizi 2015 e 2016. 
    Ed anzi le conseguenze  della  rilevante  sottostima  della  rata
annuale  di  rientro  dal  deficit,  a  ben  vedere,  travolgerebbero
l'intera programmazione di entrata e di spesa  nella  misura  in  cui
quest'ultima  non  tiene  conto  degli  incrementi  di  entrata   e/o
riduzioni di spesa altrimenti necessari a garantire  il  pareggio  in
tutte le fasi del ciclo di bilancio. 
    Occorre al riguardo considerare che il disavanzo fatto registrare
al 31 dicembre 2015 e' stato quantificato  in  euro  88.081.513,53  e
quello al 31 dicembre 2016 in euro 3.239.707,30, giuste deliberazioni
giuntali di approvazione dei rispettivi schemi di Rendiconto n.  79/C
del 12 febbraio  2018  e  n.  226/C  del  17  aprile  2018,  entrambe
precedenti al termine ultimo  per  l'adozione  dei  provvedimenti  di
salvaguardia  previsti  dall'art.  50  del  decreto  legislativo   n.
118/2011. 
    Conseguentemente, l'ammontare della rata del piano di rientro dal
deficit 2015 da applicare all'esercizio 2018 in base all'art. 42  del
decreto  legislativo  n.  118/2011,  atteso   il   mancato   recupero
certificato  dalla  stessa   regione   nel   corso   dei   due   anni
immediatamente successivi (il 2016 ed il 2017), avrebbe dovuto essere
pari euro 88.081.513,53 o, qualora le disposizioni di  cui  ai  commi
779 e ss. dell'art. 1 della  legge  n.  205/2017  fossero  dichiarate
costituzionalmente legittime, avrebbe  dovuto  essere  pari  ad  euro
4.404.075,68 (88.081.513,53/20). Allo stesso modo, l'ammontare  della
rata  del  piano  di  rientro  dal  deficit  2016,   pari   ad   euro
3.239.707,30,  in  base  all'art.  42  del  decreto  legislativo   n.
118/2011, avrebbe dovuto essere ripartita nel corso del  2018  e  del
2019, atteso il mancato recupero della  stessa  nel  primo  esercizio
immediatamente successivo alla sua emersione (il 2017). 
    Di contro con la norma qui in contestazione, l'Amministrazione ha
stanziato, in parte spesa, il solo  importo  di  euro  25.544.172,00,
ovvero 1/20 del disavanzo 2014. 
    Per questi motivi la Sezione ritiene la questione «rilevante»  ai
sensi e per gli effetti degli articoli 23 e 24 della legge n. 87  del
1953. 
    12.3. Occorre inoltre svolgere  alcune  ulteriori  considerazioni
preliminari a seguito delle controdeduzioni regionali  acquisite  nel
corso dell'istruttoria propedeutica al giudizio di parificazione. 
    Ha   sostenuto   la   Regione   Abruzzo    che,    per    effetto
dell'approvazione dello schema di Rendiconto  2017,  la  somma  delle
quote di disavanzo rideterminate ai sensi del comma 782  dell'art.  1
della legge n. 205/2017, avrebbe determinato una quota  da  iscrivere
in bilancio pari ad  euro  20.525.903,15,  inferiore  ai  25  milioni
previsti in bilancio di previsione 2018. 
    La norma richiamata  permetterebbe  all'ente,  gia'  in  sede  di
costruzione  del  bilancio  2018,  di  rideterminare  il   piano   di
ammortamento sulla base dello stock di disavanzo non ancora ripianto. 
    Sempre  ad  avviso  dell'Amministrazione,  «l'Ente,   una   volta
quantificato il disavanzo  2015  ed  anche  2016,  ha  effettuato  un
riscontro sulla capienza dell'accantonamento effettuato  in  sede  di
costruzione  del  bilancio  di  previsione   (stanziamento   pari   a
25.544.172,01) e avendone riscontrato la  capienza  a  contenere  gli
stanziamenti rettificati ai sensi del comma  782  dell'art.  1  della
legge n. 205/2017 - ha  ritenuto  di  non  procedere  (anche  per  un
principio di prudenza) ad una rideterminazione in meno  del  suddetto
stanziamento. Applicando, infatti, il comma 782 al disavanzo  2014  e
2015, cosi' come rideterminato al 1° gennaio  2018  e,  cioe',  cosi'
come  risultante  dal  Rendiconto  2017,  si   sarebbero   venuti   a
determinare le seguenti voci da iscrivere nel disavanzo: 
      disavanzo  2014  non  ripianato  305.242.577,10  quota  annuale
15.262.128,85 su base ventennale; 
      disavanzo  2015  non  ripianato  83.677.437,85  quota   annuale
4.183.871,89 su base ventennale; 
      disavanzo  2016  non  ripianato  3.239.707,30   quota   annuale
1.079.902,30 su base triennale. 
    Come si vede, la somma delle tre quote rideterminate ai sensi del
comma 782 avrebbe determinato una quota da iscrivere in bilancio pari
a 20.525.903,15, inferiore ai 25  milioni  previsti  in  bilancio  di
previsione 2018». 
    Le richiamate considerazioni tuttavia appaiono prive di pregio in
ragione del dirimente aspetto  temporale  in  relazione  al  quale  i
passaggi sopra descritti sono venuti effettivamente a ricadere. 
    In effetti, in  data  5  febbraio  2020  e'  stato  approvato  il
bilancio previsionale 2018/2020. 
    In data 12  febbraio  2018,  e'  stato  approvato  lo  schema  di
Rendiconto  generale  per   l'esercizio   2015   con   un   risultato
d'amministrazione   negativo,   al   netto   dell'anticipazione    di
liquidita', di euro 598.964.953,68. 
    In  data  17  aprile  2018,  e'  stato  approvato  lo  schema  di
Rendiconto  generale  per   l'esercizio   2016   con   un   risultato
d'amministrazione   negativo,   al   netto   dell'anticipazione    di
liquidita', di euro 604.190.892,56. 
    In data  3  dicembre  2018,  e'  stato  approvato  lo  schema  di
Rendiconto  generale  per   l'esercizio   2017   con   un   risultato
d'amministrazione   negativo,   al   netto   dell'anticipazione    di
liquidita', di euro 388.920.014,95. 
    Appare pertanto sin troppo  evidente  che,  in  applicazione  del
comma 782, il momento a cui avere  riguardo  per  la  quantificazione
della quota non ancora ripianata del disavanzo 2014  non  poteva  che
essere quello dell'adeguamento del  piano  di  rientro,  naturalmente
coevo all'approvazione del bilancio previsionale 2018/2020. 
    L'espressione «quota non ancora ripianata del disavanzo 2014»  di
cui al comma 782, in effetti, salvo  a  volerne  svilire  la  portata
applicativa, va inevitabilmente riferita alla data  dell'approvazione
del  bilancio  preventivo.  Richiedendo  in  effetti  la  norma,   la
necessaria individuazione di un preciso momento  in  cui  fotografare
l'importo del disavanzo residuo, quello cui fare riferimento non puo'
che coincidere con l'approvazione del bilancio previsionale o con  il
termine ultimo previsto dalla legge per la sua variazione. 
    Il fatto che i disavanzi 2015 e 2016  poi,  fossero  emersi  solo
successivamente all'approvazione del bilancio previsionale, ma  prima
del termine ultimo per la sua obbligatoria variazione con la legge di
assestamento, avrebbe del pari  imposto  alla  regione  di  adeguare,
proprio in quella sede, lo stanziamento della quota  di  ammortamento
includendovi quella  ascrivibile  ai  disavanzi  successivi  al  2014
quanto meno nella misura «agevolata» (per quello del  2015)  prevista
dal comma 789 qui in contestazione. 
    In effetti, all'epoca dell'approvazione della legge  di  bilancio
previsionale 2018/2020 (del 5 febbraio 2018),  il  disavanzo  residuo
del 2014 non era certo diminuito ed anzi si era aggravato per effetto
delle gestioni dei successivi esercizi. 
    In  conclusione,  la  regione  avrebbe  dovuto  tener  conto  del
disavanzo  2014,  nella  sua  quantificazione  originaria,   per   la
determinazione della rata di ammortamento  del  relativo  deficit  in
occasione dell'approvazione del bilancio  previsionale  2018/2020;  e
non avrebbe dovuto sottrarsi all'obbligo, entro il  termine  previsto
dall'art. 50 del decreto legislativo n. 118/2011 e quindi entro il 31
luglio 2018, di assestare le previsioni di spesa  includendovi  anche
le quote dei deficit accertati con i disegni di legge dei  rendiconti
2015 e 2016 di cui rispettivamente alle delibere giuntali n. 79/C del
12 febbraio 2018 e n. 226/C del 17 aprile 2018. 
    La  circostanza   che   in   un   tempo   ampiamente   successivo
all'approvazione della rimodulazione del piano ai sensi del comma 782
ed al termine ultimo previsto dalla legge dello Stato  per  apportare
modifiche agli stanziamenti  di  entrata  e  di  spesa,  fosse  stato
approvato il Rendiconto 2017, oltretutto  a  ridosso  della  scadenza
dell'esercizio cui il bilancio preventivo si riferiva (cfr.  delibera
di Giunta regionale n. 918/C del 3 dicembre 2018), non  poteva  certo
determinare un'ulteriore non giustificata  rimodulazione  al  ribasso
del piano gia' approvato. 
    Diversamente  opinando  si  aprirebbe  la  strada  ad   una   non
consentita facolta', in quanto priva di limiti temporali di scadenza,
di rimodulazione continua delle rate di  ammortamento  del  piano  di
rientro  ogni  qual  volta   l'amministrazione   dovesse   perseguire
l'obiettivo - peraltro connaturale alle finalita' stesse del medesimo
piano  -  di  riduzione  del   deficit   originario,   con   continue
rideterminazioni al ribasso delle stesse quote di ammortamento. 
    D'altra parte l'unica possibilita' di adeguamento  dei  piani  di
rientro definiti in sede di approvazione del  documento  previsionale
2018, e' espressamente prevista proprio dall'ultimo periodo del comma
782 che la circoscrive  all'ipotesi  in  cui  i  piani  stessi  siano
definiti sulla base dei consuntivi approvati dalla giunta regionale a
seguito dell'approvazione dei rendiconti 2014 e  2015  da  parte  del
consiglio regionale e  non  certo  a  seguito  dell'approvazione  dei
rendiconti delle annualita' successive. 
    Vale al contrario la regola secondo cui  gli  eventuali  maggiori
recuperi della quota  di  disavanzo  rispetto  a  quella  programmata
determinano la formazione  di  un  avanzo  libero.  Considerando  che
l'art. 42, comma 6, del decreto legislativo 118/2011, nello stabilire
l'ordine  con  il  quale  puo'  essere  impiegata  la  quota   libera
dell'avanzo di  amministrazione,  la  destina  prioritariamente  alle
misure di salvaguardia, deve  dedursi  l'esistenza  di  un  principio
implicito che fa divieto  di  sfruttare  il  vantaggio  derivante  da
un'accelerazione del recupero ottenuto in un esercizio  in  occasione
degli  esercizi  successivi,  potendo  tale   vantaggio   determinare
esclusivamente una riduzione dei tempi originari del risanamento. 
    Gli  eccessi  di  recupero  rispetto  agli  obiettivi   intermedi
predeterminati nel piano  di  rientro  pertanto  non  possono  essere
portati in compensazione con le quote di  deficit  da  stanziare  nei
bilanci preventivi dei successivi esercizi finanziari.  Di  tal  che,
l'eccesso di  recupero  fatto  registrare  con  l'approvazione  dello
schema di Rendiconto 2017 in data 3 dicembre 2018,  non  giustificava
il mancato  stanziamento  della  rata  di  ammortamento  del  deficit
rinveniente dal 2015 e dal 2016; e cio' indipendentemente dagli esiti
dei successivi risultati di amministrazione. 
    Ne' potrebbe essere condivisa l'eccezione secondo cui,  a  fronte
di  un  obiettivo  annuo  di  recupero  complessivo  pari   ad   euro
29.948.247,68 (25.544.172,01 + 4.404.075,67),  il  disavanzo  a  fine
esercizio  sarebbe  comunque  migliorato  per  un  importo  di   euro
34.520.662,32.  Cio'  in  quanto  la  corretta  programmazione  degli
stanziamenti di spesa a titolo di recupero del deficit avrebbe dovuto
far registrare  un  ulteriore  miglioramento  del  risultato  a  fine
esercizio  ed  un  conseguente  ulteriore,  e  dovuto,  avvicinamento
dell'obiettivo di definitivo riequilibrio. 
    Il mancato stanziamento del disavanzo 2015, neanche nella  misura
di 1/20 previsto dal contestato comma 779 della legge  di  stabilita'
per il 2018 (come anche di quello ascrivibile all'esercizio 2016), in
ultima analisi ha determinato una riduzione della quota di  disavanzo
da ripianare a carico dell'esercizio 2018. 
    Il che si appalesa in contrasto con i principi: 
      dell'obbligo  di  traslazione  della  quota  di  disavanzo  non
ripianata (nella  fattispecie  il  disavanzo  al  31  dicembre  2014)
all'esercizio successivo (Corte conti, Sezioni  riunite  in  speciale
composizione n. 1/2019/ EL); 
      del  divieto   di   sfruttare   il   vantaggio   derivante   da
un'accelerazione  del  recupero  del   disavanzo   sulle   annualita'
successive del bilancio; 
      del conseguente obbligo dell'ente, ricadente  nella  precedente
fattispecie, di ridurre i tempi del ripiano ovverosia  di  perseguire
l'avvicinamento  temporale  dell'obiettivo  finale  di  rientro   dal
deficit. 
    Solo  con  l'emanazione   dell'art.   111,   comma   4-bis,   del
decreto-legge n. 18/2020, e' stata dettata una  deroga  al  suesposto
principio consistente nella possibilita' di non applicare al bilancio
degli esercizi successivi il disavanzo di  amministrazione  ripianato
(di importo superiore di quello applicato al  bilancio),  scomputando
il maggiore recupero effettuato  in  un  determinato  esercizio,  dal
disavanzo gia'  iscritto  a  bilancio  sulle  annualita'  successive,
secondo le previsioni del piano originariamente approvato, e portando
cosi' ad una maggiore capacita' di spesa. 
    Si tratta tuttavia di una disposizione  derogatoria  che  da  una
parte non fa che confermare, a contrario, i principi  generali  sopra
ricostruiti e che, dall'altra, naturalmente non  risulta  applicabile
ratione temporis al caso di  specie,  la  cui  attuazione  resta  tra
l'altro subordinata alla circostanza, anch'essa non ricorrente  nella
fattispecie, che  il  maggior  recupero  del  disavanzo  discenda  da
maggiori entrate e spese minori collegate all'anticipo di attivita' e
azioni programmate per le annualita' successive, fissate nel piano di
rientro. 
    Il Legislatore in pratica non  fa  che  codificare  il  principio
secondo  cui  il  piano  di  rientro  esplica  i  propri  effetti  di
risanamento  finanziario  attraverso  l'imposizione  di   progressivi
avanzi di competenza. 
    Di contro, il  miglioramento  del  risultato  di  amministrazione
disponibile fatto registrare dall'amministrazione  a  fine  esercizio
2017, tradendo la su indicata ratio del piano di rientro  si  rivela,
nel primo triennio  della  sua  applicazione  (2015-2017),  piuttosto
riconducibile alla riduzione delle parti accantonate e vincolate  del
risultato in misura ampiamente superiore  rispetto  al  recupero  del
deficit nello stesso periodo. 
    La tabella che segue, mostra una riduzione al 31 dicembre 2017 di
euro 973.748.696 delle parti accantonate e vincolate (rispettivamente
+ euro 46.856.438  e  -  euro  1.020.605.134)  rispetto  al  dato  di
partenza (31 dicembre 2014) a fronte di un recupero,  in  termini  di
disavanzo, pari ad euro 129.436.689 nel medesimo periodo considerato. 
 

              Parte di provvedimento in formato grafico

 
     Il dato risulta del pari confermato ove si volga lo sguardo alla
gestione di competenza che, come  noto,  tra  i  saldi  di  bilancio,
restituisce     l'informazione      maggiormente      rappresentativa
dell'andamento della gestione di un esercizio finanziario, in  quanto
depurato dall'andamento dei residui, ovvero  da  grandezze  contabili
conseguenti ad obbligazioni attive  e  passive  assunte  in  esercizi
precedenti  a  quelli  oggetto  di  esame,   e   dai   risultati   di
amministrazione degli esercizi precedenti. 
    Ebbene, anche in questo caso non  puo'  non  osservarsi  come  il
saldo complessivo di competenza del primo  triennio  di  applicazione
del piano di rientro sia ampiamente negativo,  attestandosi  ad  euro
-483.236.647  (cfr.  Corte  dei conti,  Sezione  regionale  controllo
Abruzzo, n. 202/2020/Pari). 
 

              Parte di provvedimento in formato grafico

 
    La Tabella che segue mostra, da ultimo, la descrizione  analitica
delle reali componenti che hanno consentito il recupero del deficit 
         RICONCILIAZIONE CON ANDAMENTO DISAVANZO SOSTANZIALE 
 
+-------------------------------------+-----------------------------+
|Totale saldo competenza              |                             |
|triennio 2015-2017 (A)               |-483.236.647                 |
+-------------------------------------+-----------------------------+
|Totale saldo residui triennio        |                             |
|2015-2017 (B)                        |-361.075.360                 |
+-------------------------------------+-----------------------------+
|Differenziale accantonamenti tra il  |                             |
|2014 ed il triennio 2015-2017 (C)    |46.856.438                   |
+-------------------------------------+-----------------------------+
|Differenziale vincoli tra il 2014 ed |                             |
|il triennio 2015-2017 (D)            |-1.020.605.134               |
+-------------------------------------+-----------------------------+
|Miglioramento *Totale parte          |                             |
|disponibile* nel periodo 2015-2017   |                             |
|(E=A+B-C-D)                          |129.436.689                  |
+-------------------------------------+-----------------------------+
 
     In  conclusione,  il  miglioramento  del   disavanzo   descritto
dall'amministrazione nelle controdeduzioni, se analizzato  alla  luce
dei dati  sopra  esposti,  si  dimostra  ascrivibile  interamente  ad
operazioni contabili sui fondi  e  non  a  politiche  prudenziali  di
contrazione della spesa rispetto all'andamento delle entrate. E cio',
nonostante la vigenza dei piani di rientro dal deficit che impongono,
o avrebbero dovuto imporre, progressivi avanzi  di  competenza  quali
unici strumenti di riduzione del disavanzo di amministrazione. 
    12.4. La legge regionale n. 7/2018 del 5 febbraio 2018,  che  non
ha subito variazioni in corso  di  esercizio,  quindi,  ai  fini  del
ripiano, ha preso in considerazione  il  solo  disavanzo  rinveniente
dall'esercizio  2014,  tralasciando  illegittimamente  di  verificare
l'andamento del risultato nel corso degli esercizi successivi.  Sotto
il profilo della non manifesta infondatezza la norma si pone pertanto
in contrasto con i parametri fissati dagli articoli  81,  97,  119  e
117, secondo comma, lettera e), e terzo comma  della  Costituzione  e
degli interposti parametri dell'art. 50 e dell'art. 42, comma 12, del
decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118. 
    Nel caso di specie, il vulnus di  costituzionalita'  della  legge
regionale contestata e' originato in  primo  luogo  per  lesione  del
principio  costituzionale  dell'equilibrio  e  della  sana   gestione
finanziaria  del  bilancio,  oltre  che   per   contrasto   con   gli
interdipendenti principi di copertura pluriennale della spesa,  posti
dagli  articoli  81,  97,  41  e  119  primo  e  sesto  comma   della
Costituzione, in combinato disposto con gli articoli 2, 3 e  1  della
Costituzione. Al riguardo  valgono  tutte  le  considerazioni  svolte
relativamente alla questione di legittimita' dell'art. 1, commi 779 e
ss. della legge  n.  205/2017  che  qui  si  intendono  integralmente
richiamate. 
    Sotto questo profilo, si puo' in questa sede  aggiungere  come  i
mancati stanziamenti di spesa per il recupero  dell'intero  disavanzo
emerso allo scadere del termine per l'adozione dei  provvedimenti  di
cui all'art. 50 del decreto legislativo n. 118/2011, si pongono  come
strumentali ad una manovra elusiva della salvaguardia degli equilibri
del  bilancio,  rendendo  la   norma   impugnata   costituzionalmente
illegittima  in  riferimento  diretto  all'art.  81,   terzo   comma,
della Costituzione, anche indipendentemente  dalla  violazione  delle
segnalate norme interposte. 
    La violazione consiste,  giova  ribadirlo,  nell'aver  omesso  di
ripianare rilevanti quote di disavanzo pregresso consentendo cosi  di
impegnare spese  in  misura  superiore  al  complesso  delle  entrate
disponibili. 
    In proposito, la Corte costituzionale ha gia' affermato  che  «la
"forza espansiva  dell'art.  81,  quarto  [ora  terzo]  comma,  della
Costituzione [...] costituisce una  clausola  generale  in  grado  di
colpire tutti gli enunciati normativi di  carattere  finanziario  con
essa collidenti» (sentenza n. 279 del 2016; nello  stesso  senso;  in
precedenza, sentenza n. 70 del 2012). 
    Ma la norma regionale impugnata si appalesa  in  contrasto  anche
con l'art. 117, secondo comma lettera e) della  Costituzione  poiche'
la legge regionale ha derogato  le  disposizioni  della  legge  dello
Stato espressamente adottate in  applicazione  della  suddetta  norma
costituzionale (cfr. art. 1, comma  1,  del  decreto  legislativo  n.
118/2011) e, segnatamente, gli  articoli  42,  comma  12  e  50,  del
decreto  legislativo  n.  118/2011  che  dettano  norme  in  tema  di
armonizzazione dei sistemi contabili delle regioni. 
    I richiamati incrementi della spesa  corrente,  poi,  violano  le
disposizioni volte al suo contenimento ponendosi cosi'  in  contrasto
anche con l'art. 117, terzo comma,  della  Costituzione  per  lesione
della competenza statale a disciplinare i principi  di  coordinamento
della  finanza  pubblica  riservati  alla  sfera  di  competenza  del
legislatore  statale,  funzionali  ad  assicurare  il  rispetto   del
parametro  dell'unita'  economica  della  Repubblica  e  a  prevenire
squilibri di bilancio (Corte costituzionale sentenze n. 112/2020,  n.
104/2013, n. 79/2013, n. 60/2013, n. 51/2013, n.  28/2013  e  n.  78/
2011). 
    12.5. La mancata approvazione  degli  schemi  di  Rendiconto,  al
momento della approvazione della legge  di  bilancio  regionale,  non
puo'  naturalmente  costituire  una  ragione   giustificativa   della
segnalata mancanza. 
    L'ordinamento  contabile  infatti  non  subordina  l'adozione  di
misure di salvaguardia alla formale  approvazione  dei  documenti  di
sintesi da cui emergano situazioni di  deficit;  conseguentemente  il
ritardo nell'adozione di questi ultimi non puo' porsi a motivo  della
mancata applicazione al bilancio  previsionale  2018/2020  dei  reali
squilibri registrati nel corso  delle  successive  gestioni.  D'altra
parte, la mancata o ritardata approvazione dei conti consuntivi o dei
relativi  schemi  da  parte  della  Giunta  regionale,  nei   termini
normativamente  imposti  non  poteva  trovare   causa   nei   ritardi
accumulati  a  seguito  del   contenzioso   costituzionale   che   ha
interessato la Regione Abruzzo. L'Amministrazione pertanto non poteva
certo giovarsi di un proprio inadempimento per  trarne  vantaggio  in
termini di mancato  stanziamento  di  spesa  a  valere  sul  bilancio
preventivo in esame. 
    Vale la pena al riguardo rammentare quanto chiarito  dalla  Corte
costituzionale che, sul piano temporale, ha qualificato  il  precetto
dell'equilibrio di bilancio in termini dinamici o tendenziali,  ossia
come «ricerca di un armonico e simmetrico bilanciamento  tra  risorse
disponibili e spese necessarie per il perseguimento  delle  finalita'
pubbliche»    (sentenza    n.    250/2013),    tale    da     imporre
«all'amministrazione un impegno  non  circoscritto  al  solo  momento
dell'approvazione del bilancio, ma esteso a tutte  le  situazioni  in
cui tale equilibrio venga a mancare per  eventi  sopravvenuti  o  per
difetto genetico conseguente all'impostazione della stessa  legge  di
bilancio» (ibidem). 
    In maniera ancor piu' pregnante poi il  Giudice  delle  leggi  ha
fatto rilevare che «i ritardi accumulati nella definizione  contabile
delle annualita' pregresse da parte della Regione Abruzzo, nonche' la
primaria  esigenza  di  riallineare  la  gestione   corrente   e   la
rendicontazione,  pervenendo   ad   una   definitiva   e   aggiornata
illustrazione  della  situazione  patrimoniale  e  finanziaria  della
regione stessa appaiono poter giustificare una  deroga  all'ordinaria
scansione  temporale   degli   adempimenti   contabili,   consentendo
l'approvazione, da parte della Giunta, di disegni di legge aventi  ad
oggetto rendiconti annuali, senza  ne'  il  previo  espletamento  del
giudizio di  parificazione  ne'  la  finalizzazione  delle  procedure
legislative  di  approvazione  dei  rendiconti  relativi  agli   anni
precedenti.  D'altronde,  autorevoli  richiami  ad  operare  in  modo
risolutivo, anche attraverso formule  derogatorie,  provengono  dalla
stessa Corte costituzionale (cfr. sentenza  n.  49/2018)  secondo  la
quale «ben potrebbe - anzi dovrebbe - la Regione  Abruzzo  effettuare
le operazioni  necessarie  per  recuperare  immediatamente,  in  modo
costituzionalmente corretto, tutti gli adempimenti  scaduti  inerenti
ai rendiconti successivi, pur nel  rispetto  dei  separati  riscontri
secondo la partizione annuale». 
    Sotto altro seppur connesso aspetto poi, non puo' non attribuirsi
rilievo alla circostanza che lo  schema  di  Rendiconto  2015  veniva
approvato a distanza di soli sette giorni dall'emanazione della legge
qui contestata, evidenziando proprio quel deficit  di  cui  la  legge
regionale di bilancio invece si disinteressava. 
    Diversamente   opinando   si   perverrebbe   alla   irragionevole
conclusione di sottrarre al vaglio costituzionale una  legge  per  il
solo  fatto  che  l'amministrazione  che  l'ha   emanata   ne   abbia
artatamente anticipato l'approvazione ad un momento in cui il deficit
dell'esercizio pregresso, ormai ampiamente  chiuso  e  manifestatosi,
non fosse stato ancora formalizzato. 
    12.6.  L'amministrazione   in   definitiva,   fino   al   termine
normativamente imposto per l'adozione del provvedimento  di  verifica
degli equilibri  di  cui  all'art.  50  del  decreto  legislativo  n.
118/2011 (31 luglio 2018),  ha  omesso  di  verificare  lo  stato  di
equilibrio finanziario  alla  luce  dei  risultati  rinvenenti  dagli
esercizi 2015 e 2016 di cui gli schemi di Rendiconto risultavano gia'
approvati. 
    Atteso il principio di  continuita'  di  bilancio,  l'assenza  di
qualsivoglia atto ricognitivo dell'andamento  del  deficit  pregresso
rende pertanto la programmazione  di  bilancio  radicalmente  slegata
dalla reale situazione finanziaria e come tale  in  contrasto  con  i
principi costituzionali di copertura delle spese e di  equilibrio  di
bilancio. 
    La legge regionale si e' limitata, giova ribadirlo, ad  applicare
in parte spesa del preventivo  2018/2020  la  sola  quota  parte  del
disavanzo 2014 non  tendo  conto  del  fatto  che,  nel  corso  della
gestione  2018,  si  registrava  un  consistente  peggioramento   del
deficit, che, al netto dell'anticipazione di liquidita',  passava  da
euro 510.883.440,15 del 2014, ad euro 598.964.953,68 del 2015, fino a
giungere ad euro 604.190.892,56 del 2016. 
    Ometteva  l'amministrazione  regionale  infatti,  in   violazione
dell'art. 50 del decreto legislativo n. 118/2011,  di  approvare  con
legge l'assestamento delle previsioni di bilancio. 
    A questo passaggio la legge riconnette l'obbligo  della  verifica
del permanere degli equilibri generali di  bilancio  e,  in  caso  di
accertamento negativo, di assunzione dei necessari  provvedimenti  di
riequilibrio con allegazione di una nota integrativa nella quale sono
indicati tra l'atro: «c) le  modalita'  di  copertura  dell'eventuale
disavanzo di amministrazione tenuto conto  della  struttura  e  della
sostenibilita'  del  ricorso   all'indebitamento,   con   particolare
riguardo ai  contratti  di  mutuo,  alle  garanzie  prestate  e  alla
conformita'  dei  relativi  oneri  alle  condizioni  previste   dalle
convenzioni  con  gli  istituti  bancari  e  i  valori  di   mercato,
evidenziando  gli  oneri  sostenuti   in   relazione   ad   eventuali
anticipazioni di cassa concesse dall'istituto tesoriere». 
    Ebbene, al 31 luglio 2018, data  entro  la  quale  la  richiamata
disposizione  imponeva  di  effettuare   l'adempimento   in   parola,
l'ammontare del  deficit  era  ulteriormente  aumentato  attestandosi
rispettivamente ad euro 598.964.953,68 a  fine  esercizio  2015  come
certificato dalla deliberazione giuntale n. 79/C del 12 febbraio 2018
e  ad  euro  604.190.892,56  come  certificato  dalla   deliberazione
giuntale n. 226/C del 17 aprile 2018. 
    Ciononostante, l'Amministrazione persisteva nel  considerare,  ai
fini del ripiano e delle conseguenti  misure  correttive  che  invece
venivano radicalmente omesse, il solo disavanzo  rinveniente  a  fine
esercizio 2014 pari ad euro 510.883.440,15. 
    Ne' si avvaleva, l'Amministrazione regionale, della  possibilita'
introdotta dalla legge di stabilita' per il 2018 sopra contestata, di
spalmare l'ulteriore quota di disavanzo maturata  nel  corso  2015  -
evidenziatosi nel febbraio 2018 nell'importo di euro 88.081.513,53  -
in un ventennio in deroga a quanto previsto dall'art. 42,  comma  12,
del decreto legislativo n. 118/2011. 
    In conclusione, anche nella denegata ipotesi in cui i  richiamati
commi 779 e ss.  dell'art.  1  della  legge  n.  205/2017  contestati
superassero il vaglio di costituzionalita', la  norma  regionale  ora
all'esame si appalesa comunque incompatibile con  il  vigente  quadro
costituzionale  perche',  non  prevedendo  le  necessarie  misure  di
salvaguardia  resesi  attuali  dall'aggravamento   della   situazione
finanziaria   dell'ente   attraverso   l'applicazione   al   bilancio
preventivo 2018 dell'ulteriore disavanzo  proveniente  dall'esercizio
2015, neanche nella misura ridotta di un ventesimo, e  dall'esercizio
2016, si pone  in  chiara  violazione  dei  parametri  fissati  dagli
articoli 81, 97 e 117, secondo comma, lettera e), e terzo comma della
Costituzione e degli interposti parametri dell'art. 50 e dell'art 42,
comma 12, del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118. 
 
                              P. Q. M. 
 
    1. Solleva, per le ragioni indicate in parte motiva, la questione
di legittimita' costituzionale dell'art. 1,  commi  779,  780  e  782
della legge 27 dicembre 2017, n. 205 e dell'art. 8, comma 1,  lettera
a), della legge della Regione Abruzzo  5  febbraio  2018,  n.  7,  in
riferimento ai parametri stabiliti dagli articoli 81, 97 e 119, primo
e sesto comma, della Costituzione,  in  combinato  disposto  con  gli
articoli 2, 3 e 1 della  Costituzione  sia  sotto  il  profilo  della
lesione  dell'equilibrio  e  della  sana  gestione  finanziaria   del
bilancio, sia per  contrasto  con  gli  interdipendenti  principi  di
copertura pluriennale della spesa e di responsabilita' nell'esercizio
del mandato elettivo. 
    2. Solleva, per le ragioni indicate in parte motiva, la questione
di legittimita' costituzionale dell'art.1, commi 779, 780 e 782 della
legge 27 dicembre 2017, n. 205 e dell'art. 8, comma  1,  lettera  a),
della  legge  della  Regione  Abruzzo  5  febbraio  2018,  n.  7,  in
riferimento ai parametri stabiliti dagli articoli 97, 81 e  41  della
Costituzione, e degli articoli 3 e 117, comma 1, della  Costituzione,
per violazione del parametro interposto dell'art.  1,  protocollo  1,
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali. 
    3. Solleva, per le ragioni indicate in parte motiva, la questione
di legittimita' costituzionale  dell'ultimo  periodo  del  comma  779
dell'art. 1 della legge n. 205/2017 ovvero alla norma secondo cui «Le
disposizioni di cui ai periodi  precedenti  si  applicano  anche  con
riferimento al disavanzo al 31  dicembre  2015»,  in  riferimento  ai
parametri stabiliti dagli articoli 81, 97 e 119, primo e sesto, comma
della Costituzione, in combinato disposto con gli articoli 2, 3  e  1
della Costituzione sia sotto il profilo della lesione dell'equilibrio
e della sana gestione finanziaria del bilancio, sia per contrasto con
gli interdipendenti principi di copertura pluriennale della  spesa  e
di responsabilita' nell'esercizio del mandato  elettivo;  nonche'  in
riferimento ai parametri stabiliti dagli articoli 97, 81 e  41  della
Costituzione, e degli articoli 3 e 117, comma 1, della  Costituzione,
per violazione del parametro interposto dell'art.  1,  protocollo  1,
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali. 
    4. Solleva, per le ragioni indicate in parte motiva, la questione
di legittimita' costituzionale dell'art.  8,  comma  1,  lettera  a),
della legge della Regione Abruzzo 5  febbraio  2018,  n.  7,  recante
«Bilancio di previsione finanziario 2018/2020» nella  parte  in  cui,
omettendo di valutare  gli  andamenti  dei  pregressi  esercizi,  non
prevede alcuno stanziamento di spesa  per  il  recupero  del  deficit
rinveniente dagli esercizi finanziari 2015  e  2016,  in  riferimento
agli articoli 81, 97 e 117, secondo comma, lettera e), e terzo gomma,
della Costituzione per violazione dei parametri interposti  dell'art.
50 e dell'art. 42, comma 12, del decreto legislativo 23 giugno  2011,
n. 118. 
    Sospende il giudizio di parificazione sullo schema di  rendiconto
dell'esercizio finanziario 2018 della Regione Abruzzo,  inciso  dalle
predette disposizioni normative, ordinando la trasmissione degli atti
alla Corte costituzionale per l'esame delle questioni sollevate. 
    Dispone che, a cura della  Segreteria  della  sezione,  ai  sensi
dell'art. 23, ultimo comma, della legge 11  marzo  1953,  n.  87,  la
presente ordinanza sia notificata al Presidente della Regione Abruzzo
e al Procuratore regionale quali parti in causa e sia  comunicata  al
Presidente del Consiglio regionale dell'Abruzzo. 
        Cosi' disposto in L'Aquila, nella Camera di consiglio del  30
luglio 2020. 
 
                      Il Presidente: Arrigucci 
 
                                     Il Magistrato relatore: Di Marco 
 
                               ______ 
 
Avvertenza 
    Si ripubblica il testo dell'atto di promovimento n. 20 del  2021,
gia' pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana  -
1ª  Serie  speciale  -  n.  8  del  24  febbraio  2021,  per   omessa
notificazione e omessa comunicazione.