N. 120 SENTENZA 25 maggio - 10 giugno 2021
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Imposte e tasse - Riscossione - Remunerazione del servizio - Imposizione a carico del debitore di un aggio in percentuale fissa, integrale o ridotta, anziche' riferito all'effettivo costo del servizio - Denunciata lesione del diritto di difesa, violazione dei principi di ragionevolezza e di non discriminazione, della riserva di legge, di capacita' contributiva e di progressivita' del sistema tributario, di imparzialita' e buon andamento della pubblica amministrazione, eccesso di delega - Inammissibilita' delle questioni. - Decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112, art. 17, comma 1, come modificato dall'art. 32, comma 1, lettera a), del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 18, convertito, con modificazioni, nella legge 28 gennaio 2009, n. 2. - Costituzione, artt. 3, 23, 24, 53, 76 e 97.(GU n.24 del 16-6-2021 )
LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente:Giancarlo CORAGGIO; Giudici :Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO,
ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 17, comma 1, del decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112 (Riordino del servizio nazionale della riscossione, in attuazione della delega prevista dalla legge 28 settembre 1998, n. 337), come sostituito dall'art. 32, comma 1, lettera a), del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185 (Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale), convertito, con modificazioni, nella legge 28 gennaio 2009, n. 2, promosso dalla Commissione tributaria provinciale di Venezia nel procedimento vertente tra l'Azienda unita' locale socio sanitaria (ULSS) 12 Veneziana e Equitalia Nord spa - agente di riscossione Venezia, con ordinanza del 5 giugno 2019, iscritta al n. 85 del registro ordinanze 2020 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 29, prima serie speciale, dell'anno 2020. Visti l'atto di costituzione dell'Azienda ULSS 12 Veneziana, nonche' l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nell'udienza pubblica del 25 maggio 2021 il Giudice relatore Luca Antonini; uditi gli avvocati Massimo Luciani e Loris Tosi per l'Azienda ULSS 12 Veneziana e l'avvocato dello Stato Gianni De Bellis per il Presidente del Consiglio dei ministri, questi ultimi in collegamento da remoto, ai sensi del punto 1) del decreto del Presidente della Corte del 18 maggio 2021; deliberato nella camera di consiglio del 25 maggio 2021. Ritenuto in fatto 1.- Con ordinanza del 5 giugno 2019 (reg. ord. n. 85 del 2020), la Commissione tributaria provinciale (CTP) di Venezia ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 23, 24, 53, 76 e 97 della Costituzione, questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 17, comma 1, del decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112 (Riordino del servizio nazionale della riscossione, in attuazione della delega prevista dalla legge 28 settembre 1998, n. 337), come sostituito dall'art. 32, comma 1, lettera a), del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185 (Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale), convertito, con modificazioni, nella legge 28 gennaio 2009, n. 2. La disposizione censurata, nella versione applicabile, ad avviso del rimettente, al caso di specie, disponeva (in combinato disposto con l'art. 5, comma 1, primo periodo, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, recante «Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonche' misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario», convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 135, che ha ridotto di un punto la percentuale dell'aggio) che «[l']attivita' degli agenti della riscossione e' remunerata con un aggio, pari al nove [otto] per cento delle somme iscritte a ruolo riscosse e dei relativi interessi di mora e che e' a carico del debitore: a) in misura del 4,65 per cento delle somme iscritte a ruolo, in caso di pagamento entro il sessantesimo giorno dalla notifica della cartella. In tal caso, la restante parte dell'aggio e' a carico dell'ente creditore; b) integralmente, in caso contrario». 1.1.- Le questioni sono sorte nel corso di un giudizio proposto dall'Azienda ULSS 12 Veneziana contro Equitalia Nord spa avverso una cartella di pagamento dell'importo di complessivi euro 4.249.745,75, di cui euro 188.838,07 a titolo di «compensi (aggio) di riscossione», notificata il 3 settembre 2014 ed emessa a seguito di iscrizione a ruolo del 16 giugno 2014 per imposte, sanzioni, interessi e compensi della riscossione dovuti per gli anni dal 1998 al 2001, in relazione ad avvisi di accertamento divenuti definitivi per effetto della sentenza della Corte di cassazione, sezione quinta civile, del 9 aprile 2014, n. 8320. Il giudice a quo riferisce che l'impugnazione della predetta cartella «riguarda unicamente i compensi di riscossione» e che con essa la ricorrente ha chiesto: a) in via pregiudiziale, di sollevare questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 17, comma 1, del d.lgs. n. 112 del 1999 per contrasto con gli artt. 3, 23, 24, 53, 76 e 97 Cost.; b) in via principale, di dichiarare illegittima in tutto o in parte la cartella di pagamento con riferimento alla pretesa dell'aggio di riscossione; c) in via subordinata, di dichiarare illegittima in tutto o in parte la cartella medesima per errata determinazione dell'aggio della riscossione. Illustrate nel dettaglio le ragioni esposte dall'Azienda ULSS nel ricorso introduttivo del 2014 a sostegno della richiesta di rimessione, la CTP fa proprie tali doglianze della contribuente, precisando che debbono considerarsi recepite nonche' trascritte «per extenso in questa sede», e aggiunge ulteriori argomentazioni e osservazioni. 1.2.- In punto di diritto, il giudice a quo premette che la suddetta censurata normativa e' applicabile ratione temporis al caso di specie, data la mancanza di efficacia delle modifiche, in difetto dell'apposito decreto attuativo da esse previsto, successivamente apportate all'art. 17, comma 1, del d.lgs. n. 112 del 1999 dall'art. 10, comma 13-quater, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l'equita' e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214. 1.3.- Quanto alle ragioni della non manifesta infondatezza, il rimettente ritiene che la disciplina denunciata violerebbe l'art. 3 Cost., perche' la previsione di un aggio di riscossione, pari a una percentuale fissa delle somme riscosse, irragionevolmente non consentirebbe di commisurare la remunerazione dell'agente di riscossione al costo effettivo del servizio, tanto che l'aggio sarebbe dovuto anche in assenza di costi. Inoltre, nel caso di tributi di importo esiguo o di ammontare elevato, la stessa disciplina determinerebbe una remunerazione, rispettivamente, largamente inferiore o superiore ai costi, senza neppure il ragionevole correttivo costituito da un opportuno prefissato tetto massimo e minimo, come nell'ipotesi esaminata da questa Corte nella sentenza di rigetto n. 480 del 1993, idoneo a determinarne un ancoraggio ai costi del servizio. Secondo il giudice a quo, da tale precedente si dovrebbe concludere che l'introduzione di una disposizione che preveda la remunerazione del servizio di riscossione in misura percentuale al tributo sarebbe non irragionevole soltanto a condizione «che venga prestabilito un importo minimo e massimo entro cui l'aggio deve necessariamente essere contenuto» e «un rapporto inversamente proporzionale all'ammontare della somma da riscuotere». La mancanza di un ancoraggio al costo del servizio farebbe perdere al compenso per la riscossione il suo carattere di controprestazione economica, creando un'ingiustificata «disparita' di trattamento tra i contribuenti» che, a parita' di servizio reso - ad esempio la compilazione della cartella di pagamento -, sarebbero tenuti al pagamento di un aggio diverso in relazione agli importi dovuti. La norma censurata sarebbe infine irragionevole sotto un ulteriore profilo, relativo alla circostanza che detti compensi maturerebbero anche in relazione a voci accessorie (come gli interessi di mora) che nulla avrebbero a che fare con la pretesa tributaria. 1.4.- L'art. 17, comma 1, del d.lgs. n. 112 del 1999, applicabile ratione temporis, violerebbe poi l'art. 23 Cost. Non sarebbe rispettato, infatti, il principio della riserva di legge espresso dall'evocato parametro in quanto, ad avviso del rimettente, i compensi di riscossione, proprio perche' non commisurati ai costi del servizio, costituirebbero «in concreto» prestazioni patrimoniali imposte rispetto alle quali il legislatore non avrebbe individuato il presupposto e la misura della prestazione ovverosia, rispettivamente, gli atti esecutivi o in generale gli oneri a carico del contribuente e la misura del costo dell'esecuzione coattiva. 1.5.- La disposizione censurata contrasterebbe inoltre con il diritto di difesa sancito all'art. 24 Cost. Non imponendo al concessionario «di indicare nella sezione "dettaglio degli addebiti" gli atti esecutivi compiuti in ogni singolo procedimento di riscossione», essa impedirebbe, infatti, di rendere conosciute o conoscibili al contribuente le effettive attivita' esecutive, precludendo un «controllo della proporzionalita' (o addirittura della effettiva necessita') delle attivita' poste in essere dall'ente riscossione». 1.6.- Il rimettente lamenta ancora l'illegittimita' costituzionale della norma indubbiata per violazione dell'art. 53 Cost. Sarebbe compromesso, in particolare, il principio di capacita' contributiva da esso enunciato perche' l'imposizione tributaria aumentata dei compensi per la riscossione «non risulterebbe piu' commisurata al potere del cittadino di concorrere alle spese pubbliche con la propria redditivita'», ma alle imposte dovute dal contribuente ovverosia a debiti che per loro natura non potrebbero mai «essere indici di ricchezza». Peraltro, le prescritte modalita' di determinazione dei compensi contrasterebbero anche con il criterio di progressivita' del sistema tributario, «che [...] in relazione ad esborsi economici correlati all'esercizio di un'attivita' istituzionale dovrebbe trasformarsi in "regressivita'"». Inoltre, tale disciplina dell'aggio discriminerebbe i contribuenti, i quali si vedrebbero «privati del diritto a dosare la propria contribuzione in base al reddito, scegliendo in questo modo l'intensita' delle proprie prestazioni lavorative». 1.7.- Secondo la CTP, il censurato art. 17, comma 1, del d.lgs. n. 112 del 1999, «non prescrivendo alcuna verifica puntuale e precisa dei costi realmente sostenuti per la riscossione dei ruoli affidati dall'ente creditore», violerebbe altresi' l'art. 76 Cost. in quanto eccederebbe i limiti della legge 28 settembre 1998, n 337 (Delega al Governo per il riordino della disciplina relativa alla riscossione), che all'art. 1, comma 1, lettera e), aveva delegato il Governo ad adottare un decreto legislativo che prevedesse «un sistema di compensi collegati alle somme iscritte a ruolo effettivamente riscosse, alla tempestivita' della riscossione e ai costi della riscossione». Precisa il rimettente che cio' varrebbe «sia in generale, sia con specifico riferimento ai costi sostenuti per la riscossione delle imposte dovute dal singolo contribuente». 1.8.- La norma indubbiata lederebbe infine i principi di imparzialita' e buon andamento della pubblica amministrazione sanciti all'art. 97 Cost., sotto distinti profili. Innanzitutto, secondo il rimettente, l'assenza di un preciso dettato normativo che individui in modo specifico le procedure della riscossione, la tipologia degli atti e i relativi costi, nonche' la mancanza di una forma di responsabilita' del concessionario in ordine alle scelte operate, esporrebbe il contribuente al rischio di essere «onerato da costi ingenti per azioni inutili (inesistenza di beni da aggredire) o eccessivamente dispendiose», in pregiudizio dei cennati principi. Inoltre, la norma censurata contrasterebbe con il principio di buon andamento della pubblica amministrazione in quanto, disponendo criteri e modalita' di riscossione irrazionali, non sarebbe finalizzata ad assicurare l'efficienza del servizio. Tale lesione troverebbe ulteriore conferma nella circostanza che, a differenza del sistema previgente, per effetto della riforma attuata con il d.lgs. n. 112 del 1999, Equitalia spa non assumerebbe alcun rischio d'impresa per la mancata riscossione delle imposte iscritte a ruolo dall'Ufficio finanziario (dato che puo' esercitare il diritto di discarico per inesigibilita' di cui all'art. 19 del medesimo decreto), non subendo «alcun danno patrimoniale per effetto dell'inadempimento del contribuente». Cio' renderebbe dunque evidente la sproporzione dell'aggio, che la legge riconosce all'agente della riscossione anche qualora l'attivita' svolta risulti infruttuosa per inesigibilita' del credito erariale. 1.9.- Secondo il giudice a quo, infine, le questioni sono rilevanti, in quanto la sorte del giudizio dipenderebbe unicamente dall'applicazione della norma censurata. La modifica intervenuta per effetto dell'art. 5 del d.l. n. 95 del 2012, come convertito, non riguarderebbe, poi, «la quota parte a carico del ricorrente» (giacche' - come nel caso di specie - anche qualora il pagamento avvenga entro il termine di sessanta giorni dalla notifica della cartella detta quota rimarrebbe comunque pari al 4,65 per cento). 2.- Con atto depositato il 4 agosto 2020, e' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o comunque non fondate. 2.1.- La difesa statale eccepisce la manifesta inammissibilita' delle questioni ritenendo di poter estendere all'odierno incidente le ragioni gia' indicate da questa Corte nell'ordinanza n. 65 del 2018. Il giudice a quo avrebbe, infatti, denunciato «una generica irrazionalita' del sistema» dolendosi «dell'aggio non in quanto tale, ma in quanto questo non [verrebbe] ancorato al costo effettivo dell'attivita' di riscossione». Pertanto, l'intervento richiesto non sarebbe in senso totalmente caducatorio, ma «teso a ridisegnare la disciplina del compenso dell'agente di riscossione in maniera tale da garantire tale ancoraggio». In mancanza di criteri da seguire per la quantificazione dell'aggio, la richiesta sarebbe irrimediabilmente ambigua in quanto la prospettazione dell'ordinanza si presterebbe a una duplice lettura dell'asserita sproporzione del compenso, nell'alternativa tra riferirla al costo della specifica procedura esecutiva oppure ai costi complessivi dell'attivita' svolta dall'agente della riscossione. Da qui l'indeterminatezza e oscurita' del petitum, che resterebbe irrisolta anche nelle conclusioni dell'ordinanza con cui si pone una generica richiesta di declaratoria di illegittimita' costituzionale dell'art. 17, comma 1, del d.lgs. n. 112 del 1999. 2.2.- A sostegno della non fondatezza delle questioni, l'Avvocatura generale premette che la norma censurata, laddove pone, in tutto o in parte, a carico del debitore l'onere generato dalla riscossione, costituirebbe frutto di una precisa scelta di politica fiscale finalizzata a far gravare tale onere sui soggetti morosi, piuttosto che farlo ricadere interamente sulla fiscalita' generale (e, dunque, anche sui contribuenti in regola con gli adempimenti fiscali). In base a tale prospettazione, sarebbero morosi anche coloro che, raggiunti da una cartella di pagamento, adempiano nel termine di sessanta giorni dalla sua notifica, in quanto ciascun contribuente puo' sempre evitarla, adempiendo tempestivamente ai propri obblighi fiscali e contributivi. Ad avviso della difesa statale, dall'ordinanza resterebbe quindi del tutto indimostrato l'assunto del rimettente per cui la determinazione della remunerazione stabilita dal censurato art. 17, comma 1, del d.lgs. n. 112 del 1999 comporterebbe una sovracompensazione del servizio. A confutazione di cio', l'Avvocatura generale rileva in particolare che il rischio della «mancata esazione» costituirebbe uno dei principali «fattori di costo del sistema della riscossione», cosicche' sarebbe ragionevole che «il costo delle esecuzioni infruttuose» venga ripartito sui «contribuenti solventi» che comunque, con il loro inadempimento, hanno concorso a rendere necessaria l'istituzione di uno specifico servizio della riscossione; cio' in quanto «la legge parte dal presupposto che una parte di quel compenso va a remunerare i costi che l'Agente della riscossione sconta in relazione alle operazioni che si rivelano infruttuose». Dunque, non potrebbe ritenersi sindacabile, in sede di giudizio di costituzionalita' la mancata previsione di un limite massimo di compenso, in quanto esso potrebbe pregiudicare la copertura dei predetti costi di struttura, con la conseguenza di dover trasferire nuovamente una parte degli oneri della riscossione dai debitori inadempienti alla fiscalita' generale, secondo scelte che sarebbero tuttavia riservate alla discrezionalita' del legislatore. La difesa statale si sofferma poi, ampiamente, sulle ragioni per le quali sarebbe impossibile trasferire in modo automatico sul censurato art. 17, comma 1, del d.lgs. n. 112 del 1999, nella versione applicabile nel giudizio principale, i principi - asseritamente - enucleati da questa Corte costituzionale nella citata sentenza n. 480 del 1993, emessa in relazione ad altre, risalenti disposizioni di legge, di contenuto oggettivamente diverso e collocate in un quadro di riferimento profondamente mutato a seguito di articolati e complessi interventi legislativi, che hanno riguardato sia l'assetto generale della riscossione, sia la disciplina dei singoli strumenti di recupero coattivo. 2.3.- Secondo l'Avvocatura generale le ragioni sopra illustrate condurrebbero altresi' alla non fondatezza delle questioni di legittimita' sollevate in riferimento agli artt. 23, 24 e 97 Cost., muovendo tutte dal medesimo ed erroneo presupposto interpretativo in forza del quale l'aggio debba remunerare il costo della specifica attivita' di riscossione relativa al singolo contribuente in concreto inciso dalla procedura. 2.4.- Anche la censura formulata in riferimento al principio di capacita' contributiva sarebbe manifestamente infondata. Ed infatti, questa Corte avrebbe gia' chiarito che «va esclusa in radice l'adombrata violazione dell'art. 53 Cost., atteso che con detto precetto - che attiene al momento sostanziale dell'imposizione, quanto alla individuazione del presupposto economico del tributo, (che deve appunto rispecchiare la capacita' contributiva dell'obbligato) - non puo' collidere norma [sulla riscossione regionale dei tributi], quale e' quella in oggetto, che ha riguardo solo al diverso e successivo aspetto della riscossione del tributo stesso» (sentenza n. 480 del 1993; in senso conforme viene citata anche la sentenza n. 7 del 1993). 2.5.- L'Avvocatura generale ritiene infine altresi' insussistente il vulnus asseritamente arrecato all'art. 76 Cost. per eccesso di delega in relazione ai criteri previsti dalla legge n. 337 del 1998. Da un lato, infatti, la norma indubbiata sarebbe stata successivamente oggetto di interventi legislativi, rispetto ai quali non sussisterebbero piu' i vincoli che astringono solo l'emanazione del decreto legislativo attuativo; dall'altro lato, l'assunto del rimettente per cui essa sarebbe eccedente il criterio di remunerare i costi della riscossione, costituirebbe «al piu', un'illazione non dimostrata». 3.- Con atto depositato il 10 agosto 2020, si e' costituita la contribuente Azienda ULSS 12 Veneziana, chiedendo che le questioni siano accolte. La parte privata preliminarmente argomenta a sostegno dell'ammissibilita' di tutte le sollevate questioni, evidenziando che il rimettente avrebbe: a) puntualmente ricostruito i «fatti di causa»; b) identificato la norma oggetto di censura; c) motivato in ordine alla rilevanza e alla non manifesta infondatezza; d) formulato un chiaro petitum. In particolare, secondo l'Azienda ULSS, il petitum si identificherebbe chiaramente nella richiesta di una pronuncia additiva, in quanto il rimettente avrebbe inteso censurare proprio la «assenza di un prefissato tetto massimo e di un rapporto inversamente proporzionale all'ammontare della somma da riscuotere». Il che differenzierebbe il caso di specie da quello dichiarato inammissibile con l'ordinanza n. 65 del 2018 della Corte costituzionale. Una tale richiesta non impingerebbe nella discrezionalita' del legislatore, sia in ragione di un nuovo indirizzo di questa Corte che non subordinerebbe piu' le sentenze additive all'esistenza delle cosiddette rime obbligate (viene citata la sentenza n. 99 del 2019), sia per la circostanza che, in riferimento alla norma censurata, sarebbero proprio l'assenza di un limite massimo alla misura dell'aggio e di una proporzionalita' inversa del suo ammontare a determinare i lamentati vulnera. Ne' infine si verserebbe in un caso di petitum ambiguo, poiche' il rimettente avrebbe precisato che le doglianze attengono alla disciplina dell'«aggio in quanto esso non risulta piu' ancorato alla effettiva remunerazione dell'attivita' effettuata e dei costi sostenuti dall'Agente della riscossione», con cio' palesando inequivocabilmente il riferimento ai costi sostenuti per la «specifica procedura esecutiva». 3.1.- La contribuente, infine, in adesione all'ordinanza di rimessione, ribadisce le ragioni della fondatezza delle singole censure gia' illustrate nel ricorso introduttivo del giudizio principale. In particolare, la violazione del principio di ragionevolezza e di non discriminazione sarebbero accomunate dal fatto che, in entrambi i casi, a difettare sarebbe «il sinallagma fra la modesta prestazione resa dall'esattore e l'enormita' dell'aggio riconosciutogli», non essendo il compenso ancorato in alcun modo ai costi reali del servizio. Il contrasto con l'art. 3 Cost. sarebbe dunque palese, tanto che la somma dovuta non potrebbe essere qualificata «ne' come rimborso o congrua remunerazione di un servizio specifico, ne' copertura del servizio generale, ma come una vera e propria sanzione indiretta, se non addirittura, un aggravio del carico fiscale o soprattassa», peraltro corrisposta all'agente della riscossione quale soggetto privato, ancorche' a partecipazione pubblica. A cio' aggiunge che dalle motivazioni della sentenza di questa Corte n. 269 del 2017 (pur relativa alla diversa fattispecie del contributo per il finanziamento dell'Autorita' garante della concorrenza e del mercato, AGCM, avente natura tributaria) si dovrebbe trarre il principio di una generale esigenza equitativa per cui sarebbe necessario contenere il carico dei singoli contribuenti, evitando - per traslato - che taluni di essi siano trasformati in «"super-finanziatori" dell'agente di riscossione». 4.- A ridosso dell'udienza l'Avvocatura generale ha depositato memoria insistendo per la dichiarazione di inammissibilita' e comunque di non fondatezza delle questioni. La difesa statale precisa, tra l'altro, che la richiesta additiva formulata dal rimettente al fine di «introdurre un tetto massimo all'aggio del concessionario della riscossione e la proporzionalita' inversa tra la percentuale dell'aggio e l'importo da recuperare» non sarebbe stata supportata - secondo la giurisprudenza di questa Corte (e' citata la sentenza n. 99 del 2019) - dall'indicazione della presenza nell'ordinamento di una o piu' soluzioni costituzionalmente adeguate, che possano considerarsi coerenti con la logica perseguita dal legislatore nella disciplina censurata. L'Avvocatura, inoltre, ritiene che il rimettente muoverebbe da un erroneo presupposto laddove intende che un livello di remunerazione rapportato all'onerosita' dell'attivita' debba necessariamente significare un ancoraggio al costo minuto della singola operazione e non anche «alle responsabilita', al tempo, alle risorse impiegate e al costo opportunita' delle alternative» in considerazione, quindi, dell'attivita' dell'agente della riscossione nel suo complesso. 5.- Anche la parte privata ha depositato memoria fornendo argomenti a contestazione della dedotta inammissibilita' delle questioni per contraddittorieta' del petitum, che - a suo avviso - sarebbe, invece, chiaramente da riferire «ai costi della singola procedura esecutiva». La contribuente sostiene poi che la denunciata assenza di meccanismi che consentano di agganciare il compenso di riscossione ai costi della procedura e, in particolare, l'«assenza di un prefissato tetto massimo e di un rapporto inversamente proporzionale all'ammontare della somma da riscuotere» indicherebbe chiaramente il «verso» della richiesta in via da addizione, cui questa Corte, sulla base della propria giurisprudenza, potrebbe rispondere sia mediante una pronuncia additiva di principio, sia attraverso un'ordinanza di rinvio della trattazione della causa con contestuale monito al legislatore (sono citate le ordinanze n. 132 del 2020 e n. 207 del 2018). Quanto al merito, la difesa ribadisce sostanzialmente quanto gia' precedentemente illustrato nell'atto di costituzione precisando, che «a seguire la tesi dell'Avvocatura dello Stato, sarebbero i soggetti piu' virtuosi a dover rispondere per i soggetti morosi o comunque incapienti», con cio' determinando una trasposizione dell'onere tributario dal soggetto che ne dovrebbe essere per legge attinto a quello che, invece, semplicemente puo' essere di fatto aggredito dal riscossore. Considerato in diritto 1.- Con ordinanza del 5 giugno 2019 (reg. ord. n. 85 del 2020), la Commissione tributaria provinciale (CTP) di Venezia ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 23, 24, 53, 76 e 97 della Costituzione, questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 17, comma 1, del decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112 (Riordino del servizio nazionale della riscossione, in attuazione della delega prevista dalla legge 28 settembre 1998, n. 337), come sostituito dall'art. 32, comma 1, lettera a), del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185 (Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale), convertito, con modificazioni, nella legge 28 gennaio 2009, n. 2. La disposizione censurata, nella versione ritenuta applicabile al caso di specie, disponeva - per effetto del combinato disposto con l'art. 5, comma 1, primo periodo, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, recante «Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonche' misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario», convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 135 (che ha ridotto di un punto la percentuale dell'aggio) - che «[l']attivita' degli agenti della riscossione e' remunerata con un aggio, pari al nove [otto] per cento delle somme iscritte a ruolo riscosse e dei relativi interessi di mora e che e' a carico del debitore: a) in misura del 4,65 per cento delle somme iscritte a ruolo, in caso di pagamento entro il sessantesimo giorno dalla notifica della cartella. In tal caso, la restante parte dell'aggio e' a carico dell'ente creditore; b) integralmente, in caso contrario». Il giudice a quo correttamente premette che la suddetta censurata normativa e' applicabile ratione temporis al caso di specie, data la mancanza di efficacia delle modifiche, in difetto del previsto apposito decreto attuativo, successivamente apportate all'art. 17, comma 1, del d.lgs. n. 112 del 1999 dall'art. 10, comma 13-quater, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l'equita' e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214. 1.1.- Ad avviso del rimettente la disciplina denunciata violerebbe l'art. 3 Cost., in quanto la previsione di un aggio di riscossione, pari a una percentuale fissa delle somme riscosse, irragionevolmente non consentirebbe di commisurare la remunerazione dell'agente di riscossione al costo effettivo del servizio, tanto che l'aggio sarebbe dovuto anche in assenza di costi. Inoltre, nel caso di tributi di importo esiguo o di ammontare elevato, determinerebbe una remunerazione, rispettivamente, largamente inferiore o superiore ai costi, senza neppure il ragionevole correttivo costituito da un tetto massimo e minimo (come nell'ipotesi esaminata da questa Corte nella sentenza n. 480 del 1993), idoneo a determinarne un ancoraggio ai costi del servizio, nonche' da un rapporto inversamente proporzionale all'ammontare della somma da riscuotere. La mancanza di tale ancoraggio farebbe perdere al compenso per la riscossione il suo carattere di controprestazione economica, creando un'ingiustificata disparita' di trattamento tra i contribuenti che, a parita' di servizio reso (ad esempio la compilazione della cartella di pagamento), sarebbero tenuti al pagamento di un aggio diverso in relazione agli importi dovuti. Dal presupposto interpretativo per cui i compensi della riscossione non sarebbero commisurati ai costi dell'attivita' della riscossione, il rimettente fa discendere, quindi, la violazione dell'art. 23 Cost., in quanto l'aggio si risolverebbe in una prestazione patrimoniale imposta, per la quale, tuttavia, mancherebbe una previsione legislativa volta a determinarne il presupposto e la misura e, quindi, a limitare la discrezionalita' dell'ente impositore. La disciplina indubbiata contrasterebbe poi con l'art. 24 Cost., poiche' non imporrebbe all'agente di riscossione di indicare, nel dettaglio degli addebiti, gli atti esecutivi compiuti in ogni singolo procedimento di riscossione, cosi' non consentendo di valutare la proporzionalita' o la necessita' dell'attivita' svolta dall'agente e, conseguentemente, limitando i diritti di difesa del contribuente. Sulla base dei medesimi presupposti, sarebbe violato l'art. 53 Cost., in quanto i previsti compensi di riscossione si risolverebbero in una prestazione patrimoniale imposta non proporzionale al dovere del cittadino di concorrere alle spese pubbliche con il proprio reddito, peraltro contrastando anche con il criterio della progressivita'. Sarebbe poi leso l'art. 76 Cost., in quanto la norma censurata, nel fissare un aggio in una misura percentuale fissa delle somme dovute dal contribuente, senza prevedere alcuna verifica puntuale e precisa dei costi realmente sostenuti per la riscossione dei ruoli, avrebbe violato il principio di delega disposto dalla legge 28 settembre 1998, n 337 (Delega al Governo per il riordino della disciplina relativa alla riscossione), che aveva previsto un sistema di compensi collegati alle somme iscritte a ruolo effettivamente riscosse, alla tempestivita' della riscossione e ai costi della riscossione, normalizzati secondo criteri individuati dal Ministero delle finanze. La norma censurata lederebbe, infine, i principi di imparzialita' e buon andamento della pubblica amministrazione di cui all'art. 97 Cost. L'assenza di un preciso dettato normativo che individui in modo specifico le procedure della riscossione, la tipologia degli atti e i relativi costi, nonche' la mancanza di una forma di responsabilita' del concessionario in ordine alle scelte operate, esporrebbe, infatti, il contribuente al rischio di essere onerato da costi ingenti per azioni inutili o eccessivamente dispendiose. Inoltre, tale disciplina, disponendo criteri e modalita' di riscossione irrazionali, non sarebbe finalizzata ad assicurare l'efficienza del servizio e in ogni caso l'agente della riscossione, ancorche' ormai «ente pubblico», si troverebbe a esercitare un'attivita' imprenditoriale sostanzialmente priva di rischi d'impresa, non subendo «alcun danno patrimoniale per effetto dell'inadempimento del contribuente». 2.- Il Presidente del Consiglio dei ministri, intervenuto in giudizio tramite l'Avvocatura dello Stato, nel richiedere nel merito la dichiarazione di non fondatezza delle questioni, ha preliminarmente sollevato varie eccezioni di inammissibilita'. In particolare, tra l'altro, ha eccepito che la richiesta e' diretta a una riforma di sistema senza che risultino precedenti normativi o giurisprudenziali adeguati (e' citata la sentenza n. 99 del 2019). 2.1.- L'eccezione e' fondata nei termini di seguito precisati. 2.1.1.- Nella disciplina censurata l'aggio e' strutturato come il meccanismo di finanziamento ordinario dell'intera attivita' di riscossione, la quale, secondo quanto osservato dall'Avvocatura generale, vede nel rischio della «mancata esazione» uno dei suoi principali «fattori di costo». Tale istituto e' rimasto sostanzialmente invariato anche nella normativa attualmente vigente, a seguito della riforma operata con il decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 159, recante «Misure per la semplificazione e razionalizzazione delle norme in materia di riscossione, in attuazione dell'articolo 3, comma 1, lettera a), della legge 11 marzo 2014, n. 23». Il rilievo dell'Avvocatura e' esatto: la suddetta disciplina e' effettivamente funzionale «a remunerare i costi che l'Agente della riscossione sconta in relazione alle operazioni che si rivelano infruttuose» e cio' in base, continua la difesa dello Stato, alla «precisa scelta di politica fiscale» di far gravare l'onere complessivo della riscossione «sui soggetti morosi, piuttosto che farlo ricadere interamente sulla fiscalita' generale (e, dunque, anche sui contribuenti in regola con gli adempimenti fiscali)». In forza di tale logica sono quindi considerati «morosi» anche coloro che, raggiunti da una cartella di pagamento, adempiono nel termine di sessanta giorni dalla sua notifica, nonche' quelli che decidono di ricorrere per contestare la correttezza della pretesa tributaria e assolvono l'esecuzione provvisoria: a tali "contribuenti solventi" viene quindi addossato, attraverso l'aggio, il costo delle esecuzioni infruttuose. 2.1.2.- Sulla dimensione di tali esecuzioni infruttuose e' preliminarmente opportuno soffermarsi. I costi complessivi della riscossione, infatti, costituiscono la premessa di fatto sulla cui base, nella disposizione impugnata, si e' stabilito che l'aggio dovesse essere pari «al nove [otto] per cento delle somme iscritte a ruolo riscosse e dei relativi interessi di mora e che e' a carico del debitore: a) in misura del 4,65 per cento delle somme iscritte a ruolo, in caso di pagamento entro il sessantesimo giorno dalla notifica della cartella [...]; b) integralmente, in caso contrario» (percentuali che nella disciplina attualmente vigente, nella specie non applicabile, risultano solo ridotte, rispettivamente al 3 per cento e al 6 per cento). Come si vedra' qui di seguito, tuttavia, tali costi sono fortemente condizionati dall'abnorme dimensione delle esecuzioni infruttuose, che quindi incidono altrettanto fortemente sulla proporzionalita' dell'onere riversato sul contribuente che, sebbene inadempiente (o ricorrente avverso la pretesa tributaria), assolve il proprio debito tributario. 2.1.3.- La Corte dei conti, sezioni riunite in sede di controllo, nella Relazione sul rendiconto generale dello Stato per l'esercizio 2019, ha evidenziato che «il volume complessivo delle riscossioni a mezzo ruoli fra il 2000 e il 2019 e' stato di 133,4 miliardi, a fronte di un carico netto di 1.002,8 miliardi, con un indice di riscossione del 13,3 per cento», precisando, peraltro, come tale «affievolirsi delle azioni di riscossione coattiva» risulti di dubbia compatibilita' con «il conseguimento degli obiettivi di contrasto all'evasione fiscale e con la complessiva tenuta del sistema tributario» (Corte dei conti, sezioni riunite in sede di controllo, decisione 24 giugno 2020, n. 10, relazione annessa, volume I, tomo I, pagine 23 e 24). Un'ulteriore conferma dell'insufficiente indice di riscossione che ha caratterizzato l'ultimo ventennio si rinviene nella recente audizione del Direttore dell'Agenzia delle entrate presso la Camera dei deputati (VI Commissione finanze, Individuazione delle priorita' nell'utilizzo del Recovery Fund, con particolare riferimento a possibili interventi di riforma del sistema fiscale e della riscossione, Roma, 14 settembre 2020, pagina 17), dove si precisa che «[a]lla data del 30 giugno 2020, il valore del carico contabile residuo, affidato dai diversi enti creditori all'Agente della riscossione dal 1° gennaio 2000, ammonta a circa 987 miliardi di euro». Tale dimensione delle entrate pubbliche non riscosse, nella medesima audizione viene quindi definita la piu' evidente «particolarita'» (ma ben si dovrebbe parlare di grave anomalia) che «emerge dal confronto del sistema della riscossione italiano con il panorama internazionale». 2.1.4.- In base al consolidato orientamento della Corte di cassazione l'aggio deve essere inteso come «finalizzato non tanto a remunerare le singole attivita' compiute dal soggetto incaricato della riscossione, ma a coprire i costi complessivi del servizio» (Corte di cassazione, sezione quinta civile, sentenza 3 dicembre 2020, n. 27650) e assume «natura retributiva e non tributaria» (Corte di cassazione, sezione quinta civile, sentenza 12 febbraio 2020, n. 3416), «trattandosi del compenso per l'attivita' esattoriale» (Corte di cassazione, sezione quinta civile, sentenza 11 maggio 2020, n. 8714). E' del tutto evidente, pero', che tale remunerazione, deve restare coerente con la sua funzione e non assumere un carattere arbitrario, come invece puo' facilmente verificarsi nel caso (non infrequente, per le ragioni sopra viste) di eccessiva entita' del costo del non riscosso addossato al contribuente "solvente". In questa situazione, infatti, il meccanismo di finanziamento della funzione di riscossione degenera nel paradosso di addossare su una limitata platea di contribuenti, individuati in ragione della loro solvenza (tardiva rispetto alla fase dell'accertamento dei tributi), il peso di una solidarieta' ne' proporzionata, ne' ragionevole, perche' originata, in realta', dall'ingente costo della «sostanziale impotenza dello Stato a riscuotere i propri crediti» (Corte dei conti, sezioni riunite in sede di controllo, deliberazione 8 aprile 2021, n. 4, pagina 9) nei confronti dei contribuenti insolventi. 2.1.5.- E' opportuno precisare che questa situazione di inefficienza della riscossione coattiva, che incide negativamente su una fase essenziale della dinamica del prelievo delle entrate pubbliche, non solo si riflette di fatto sulla ragionevolezza e proporzionalita' dell'aggio, ma determina altresi' una grave compromissione, in particolare, del dovere tributario. Questa Corte ha gia' precisato che tale dovere, riconducibile al valore inderogabile della solidarieta' di cui all'art. 2 Cost., e' «preordinato al finanziamento del sistema dei diritti costituzionali, i quali richiedono ingenti quantita' di risorse per divenire effettivi» (sentenza n. 288 del 2019). Si deve ora ribadire che un'adeguata riscossione e' essenziale non solo per la tutela dei diritti sociali, ma anche di gran parte di quelli civili, data l'ingente quantita' di risorse necessaria al funzionamento degli apparati sia della tutela giurisdizionale sia della pubblica sicurezza, entrambi indispensabili per la garanzia di tali diritti. Da questo punto di vista, la descritta, grave inadeguatezza dei meccanismi legislativi della riscossione coattiva nel nostro Paese concorre a impedire «di fatto» alla Repubblica di rimuovere gli ostacoli di cui all'art. 3, secondo comma, Cost.: la funzione della riscossione, infatti, e' essenziale «condizione di vita per la comunita'», al punto da esprimere un interesse «protetto dalla Costituzione (art. 53) sullo stesso piano di ogni diritto individuale» (sentenza n. 45 del 1963). E' quindi urgente che il legislatore statale provveda a riformare tali meccanismi. 2.1.6.- Le modalita' con cui cio' potrebbe avvenire - superando i profili di irragionevolezza della censurata disciplina dell'aggio (sostanzialmente riprodotta, come detto, nella sua essenziale struttura anche nella disciplina vigente) e garantendo risorse adeguate alla funzione pubblica della riscossione - possono pero' essere molteplici e sono rimesse in prima battuta alla discrezionalita' del legislatore. Il rimettente, del resto, non invoca affatto una pronuncia ablativa della norma censurata, ma richiede una soluzione additiva, ovvero la previsione sia di un minimo e un massimo, sia di un rapporto inversamente proporzionale alla somma da riscuotere, che non e' certo l'unica astrattamente compatibile con la Costituzione (ove fosse determinabile in precisi parametri numerici, peraltro non indicati dal giudice a quo). Ne' quanto prospettato dalla CTP indica un adeguato punto di riferimento (nel senso affermato, ex multis, dalla sentenza n. 222 del 2018). La sentenza n. 480 del 1993 di questa Corte, evocata dal rimettente, atteneva, infatti, a un meccanismo legislativo regionale che stabiliva esclusivamente un minimo e un massimo, mentre una soluzione analoga a quella richiesta venne prevista solo nella fase iniziale della storia della riscossione italiana, nella cosiddetta «legge Sella» del 20 aprile 1871, n. 192, serie seconda (Sulla riscossione delle imposte dirette). In quel contesto la previsione di un limite minimo e massimo alla percentuale dell'aggio rappresentava un sostanziale ancoraggio della misura ai costi del sistema di riscossione; la contestuale previsione che tale percentuale fosse inversamente proporzionale al gettito dei ruoli affidati si giustificava invece al fine di rendere funzionale il servizio del concessionario privato, organizzato in modo competitivo su base territoriale, e di ridurre il divario tra le esattorie che gestivano un maggior gettito e quelle che ne gestivano uno minore. E' chiaro che tali ragioni sono oggi del tutto venute meno: cio' esclude la possibilita' di convalidare come soluzione costituzionalmente adeguata quella prefigurata dal rimettente. 2.1.7.- La circostanza che il servizio della riscossione sia ormai sostanzialmente accentrato, salve limitate eccezioni in ambito locale, presso l'ente pubblico Agenzia delle entrate - Riscossione (e gia' al tempo della disciplina censurata, presso Equitalia spa, societa' a totale partecipazione pubblica), potrebbe, peraltro, essere considerata dal legislatore al fine di valutare se l'istituto dell'aggio mantenga ancora, in tale contesto, una sua ragion d'essere - posto che rischia di far ricadere (o fa attualmente ricadere, come si e' visto) su alcuni contribuenti, in modo non proporzionato, i costi complessivi di un'attivita' ormai svolta quasi interamente dalla stessa amministrazione finanziaria e non piu' da concessionari privati -; o non sia piuttosto divenuto anacronistico e costituisca una delle cause di inefficienza del sistema. Infatti, se il finanziamento della riscossione, da un lato, finisce per gravare prevalentemente sui cosiddetti "contribuenti solventi" e, dall'altro, fornisce risorse insufficienti al corretto esercizio della funzione pubblica di riscossione, si determina anche un disincentivo alla lotta della cosiddetta "evasione da riscossione" nei confronti di chi riesce a sfuggire in senso totale ai propri obblighi, soprattutto se di importo relativamente modesto. Risulta del resto enorme il numero dei ruoli relativi a tali importi e che, in ogni caso, contribuisce alla genesi delle imponenti cifre che caratterizzano la massa del non riscosso (come risulta dalla memoria del Presidente dell'Ufficio parlamentare del bilancio sul disegno di legge AS 2144, dell'8 aprile 2021, Commissioni riunite V e VI del Senato della Repubblica): cio' anche per l'effetto di un quadro normativo che impone lo svolgimento di attivita' pressoche' indistinte per tutte le tipologie di somme iscritte a ruolo. Su tale aspetto, peraltro, questa Corte ha gia' sollecitato il legislatore a una revisione dei criteri di riscossione in modo da garantire maggiore efficacia e tempestivita' (sentenza n. 51 del 2019). Anche un obbligo tributario di ridotto ammontare, come puo' essere spesso quello derivante da imposte locali, concretizza l'inderogabile dovere di solidarieta' di cui all'art. 2 Cost. e in quanto tale deve essere considerato dall'ordinamento, pena non solo la perdita di rilevanti quote di gettito ma altresi' il determinarsi di «disorientamento e amarezza per coloro che tempestivamente adempiono e ulteriore spinta a sottrarsi al pagamento spontaneo per molti altri» (Corte dei conti, sezioni riunite in sede di controllo, deliberazione 8 aprile 2021, n. 4, pagina 31). Peraltro, la necessita' di «un'ampia e organica revisione dell'intero sistema della riscossione per individuare soluzioni idonee a potenziare l'efficienza della struttura amministrativa e tutelare adeguatamente l'interesse dello Stato» e' stata nuovamente evidenziata dalla Corte dei conti anche sotto l'ulteriore punto di vista della dimensione dei residui attivi, impropriamente ritenuti di riscossione certa - anche a causa di difetti di gestione e di comunicazione dei dati -, che si riflettono in termini negativi anche sulla stessa affidabilita' dei bilanci pubblici (Corte dei conti, sezioni riunite in sede di controllo, Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica approvato il 24 maggio 2021, pagina 140). 2.1.8.- Il servizio della riscossione coattiva deve quindi essere messo in condizioni di funzionare correttamente secondo i principi di efficienza e buon andamento, anch'essi evocati dal rimettente: tuttavia le modalita' con cui cio' puo' avvenire sono ben piu' complesse e varie rispetto alla soluzione dallo stesso richiesta. I principali Paesi europei (Germania, Francia, Spagna, Gran Bretagna) hanno, del resto, da tempo superato l'istituto dell'aggio e posto a carico della fiscalita' generale le ingenti risorse necessarie al corretto funzionamento della riscossione. Tale soluzione, peraltro, e' stata in vigore per circa quindici anni anche nel nostro ordinamento con il d.P.R. 29 settembre 1973, n. 603 (Modifiche ed integrazioni al testo unico delle leggi sui servizi della riscossione delle imposte dirette approvato con d.P.R. 15 maggio 1963, n. 858). Quest'ultimo, sebbene in un contesto ancora legato alla concessione a soggetti privati dell'attivita' di riscossione, all'art. 3, primo comma, gia' disponeva che «[p]er le riscossioni effettuate sia mediante versamenti diretti dei contribuenti sia mediante ruoli l'esattore e' retribuito con un aggio a carico degli enti destinatari del gettito dei tributi». Non e' marginale rilevare che la piu' autorevole dottrina avesse ritenuto tale soluzione particolarmente efficace, sia in termini di trasparenza contabile, sia al fine di eliminare le disparita' di trattamento tra i contribuenti. 2.1.9.- Al riscontrato vulnus degli evocati valori costituzionali questa Corte non puo', allo stato, porre rimedio, dato che, come detto, il quomodo delle soluzioni attinge, in ogni caso, alla discrezionalita' del legislatore, secondo uno spettro di possibilita' che varia dalla fiscalizzazione degli oneri della riscossione (cosi' come lo sono gia', del resto, quelli relativi all'attivita' di controllo e di accertamento), eventualmente escluse le spese di notifica della cartella e quelle esecutive, alla previsione di soluzioni, anche miste, che prevedano criteri e limiti adeguati per la determinazione di un "aggio" proporzionato. Le questioni sollevate dal rimettente vanno percio' dichiarate inammissibili, perche' le esigenze prospettate, pur meritevoli di considerazione (nei sensi sopra precisati), implicano una modifica rientrante nell'ambito delle scelte riservate alla discrezionalita' del legislatore (sentenza n. 219 del 2019). Nel pervenire a tale conclusione questa Corte ritiene, pero', opportuno rimarcare, ancora una volta, l'indifferibilita' della riforma, al fine sia di superare il concreto rischio di una sproporzionata misura dell'aggio, sia di rendere efficiente il sistema della riscossione.
per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara inammissibili le questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 17, comma 1, del decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112 (Riordino del servizio nazionale della riscossione, in attuazione della delega prevista dalla legge 28 settembre 1998, n. 337), come sostituito dall'art. 32, comma 1, lettera a), del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185 (Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale), convertito, con modificazioni, nella legge 28 gennaio 2009, n. 2, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 23, 24, 53, 76 e 97 della Costituzione, dalla Commissione tributaria provinciale di Venezia, con l'ordinanza indicata in epigrafe. Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 maggio 2021. F.to: Giancarlo CORAGGIO, Presidente Luca ANTONINI, Redattore Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria Depositata in Cancelleria il 10 giugno 2021. Il Direttore della Cancelleria F.to: Roberto MILANA