N. 91 ORDINANZA (Atto di promovimento) 6 marzo 2021
Ordinanza del 6 marzo 2021 della Corte d'appello di Venezia nel procedimento civile promosso da INPS - Istituto Nazionale Previdenza Sociale c/A. G.. Previdenza e assistenza - Revoca di prestazioni assistenziali e previdenziali nei confronti di soggetti condannati per i reati di cui agli articoli 270-bis, 280, 289-bis, 416-bis, 416-ter e 422 cod. pen., nonche' per i delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto articolo 416-bis ovvero al fine di agevolare l'attivita' delle associazioni previste dallo stesso articolo - Applicazione a soggetti gia' condannati con sentenza passata in giudicato, con effetto non retroattivo. - Legge 28 giugno 2012, n. 92 (Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita), art. 2, commi 60 e 61.(GU n.25 del 23-6-2021 )
CORTE D'APPELLO DI VENEZIA Sezione lavoro Ordinanza nella causa trattata con le modalita' di trattazione ex art. 221, comma 4, legge n. 77 del 2020 di conversione del decreto-legge n. 34 del 2020 e l decreto-legge n. 2 del 2021 promossa da INPS nei confronti di A.G. avverso la sentenza n. 152/19 del giudice del lavoro del Tribunale di Rovigo; La Corte, a scioglimento della riserva, osserva In fatto 1) A.G. risulta essere stato condannato per i delitti di cui agli articoli 110, 575, 577 e 61, del codice penale, 12 - 14 legge n. 497 del 1994 (di cui da' atto il Tribunale di sorveglianza di Torino con l'ordinanza del 26 settembre 2007, richiamando il provvedimento di cumulo della Corte distrettuale piemontese del 7 aprile 2005), nonche' per associazione di tipo mafioso e del delitto di ricettazione (sentenza del Tribunale di Napoli richiamata nella stessa ordinanza). I fatti per cui l'appellante e' stato condannato con pena detentiva risultano commessi pacificamente in data anteriore all'entrata in vigore della legge n. 92 del 2012. Con ordinanza del 10 dicembre 2013 il Tribunale di sorveglianza di Roma ha ammesso il signor A. alla detenzione domiciliare per espiare le pene oggetto del provvedimento di cumulo, essendogli riconosciuto lo status di collaboratore di giustizia. Risulta essere cessato il programma di protezione e, con esso, sono venute meno anche le eventuali misure di sostegno sul piano economico che lo corredano. 2) La pena e' tuttora in fase di esecuzione. 3) A seguito di comunicazione del Ministero di giustizia ai sensi dell'art. 2 della legge n. 92 del 2012, solo in data 19 febbraio 2017 (secondo quanto precisato nel messaggio del 5 giugno 2017, n. 2302) la prestazione di invalidita' civile n. 04410007060230 di cui egli era in godimento dal maggio 2015, gia' sospesa, e' stata revocata dall'INPS con decorrenza 1° marzo 2017. Respinto il ricorso amministrativo avverso detto provvedimento (delibera del 20 dicembre 2017 del Comitato provinciale di Torino), in ragione del rilievo che il ripristino della prestazione revocata per i condannati per gravi reati ex art. 2, comma 59 della legge n. 92/2012 e' previsto solo a completa espiazione della pena, il signor A. ha proposto ricorso avanti il giudice del lavoro del Tribunale di Rovigo, che accogliendo la domanda ha ritenuto che la prestazione in godimento all'assistito, prevista dall'art. 13 della legge n. 118 del 1971 non fosse fra quelle oggetto della prevista revoca. 4) Ha proposto appello avverso tale decisione l'Inps sostenendo che la stessa dizione della norma, riferendosi alle «prestazioni comunque denominate in base alla legislazione vigente», a cui segue l'elencazione: «indennita' di disoccupazione, assegno sociale, pensione sociale e pensione per gli invalidi civili», porta a ritenere del tutto «singolare» l'«opzione ermeneutica offerta dal primo giudice» che ha indebitamente escluso dalle prestazione interessate l'assegno per invalidi civili ex art. 13 della legge n. 118 del 1971. Reputa la difesa dell'ente che una lettura restrittiva determinerebbe l'introduzione di un differenziato trattamento di tale prestazione assistenziale rispetto a quelle elencate, senza alcun ragionevole fondamento, con la conseguenza che tale lettura della norma esporrebbe la disposizione ad una censura sul piano della legittimita' costituzionale. 5) Nel costituirsi l'appellato ha invocato i principi di tassativita' e di legalita'; quest'ultimo deve essere declinato nelle sue principali espressioni di sufficiente determinatezza della norma penale e di divieto di analogia in malam partem della norma penale. Rammenta, inoltre, che il principio di legalita', come sanzionato dall'art. 7 CEDU e' affermato «non solo con riferimento al precetto penale ma anche con riferimento espresso e specifico alla sanzione collegata alla sua violazione (Cassazione - Sez. Unite n. 6240/2015).». 6) La causa, discussa, e' stata aggiornata a seguito di sollecitazione dell'ufficio anche in ragione del rilievo che risultano proposte questioni di legittimita' costituzionale (ordinanza n. 234 del 2019 T. Roma, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 26 del 2020, ed ordinanza del Tribunale di Fermo n. 68 del 2020, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 1 del 2020) in relazione alla medesima norma con riguardo all'ipotizzata violazione di distinti parametri (articoli 25 e 38 della Costituzione), con riguardo alla natura del provvedimento in parola, in particolare alla sua eventuale natura sanzionatoria e ai riflessi che cio' determina rispetto all'ordinamento interno ed europeo. In diritto 7) Il collegio ritiene di sollevare in quanto rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale alla luce delle seguenti considerazioni e con riguardo ai parametri di cui agli articoli 25, comma 2 e 117, comma 1 (come integrato dall'art. 7 CEDU), sulla scorta di quanto dedotto con il motivo di appello dell'Inps e, quindi, sul presupposto che la norma nella sua letterale dizione non consenta la limitata applicazione presupposta dal giudice rodigino a fondamento della decisione: cio' in ragione della lata dizione della formula onnicomprensiva sopra richiamata, ma anche dalla parte della disposizione prevedente la sua applicazione ai «trattamenti previdenziali a carico degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza, ovvero di forme sostitutive, esclusive ed esonerative delle stesse ...); inoltre, a sostegno di tale ampia lettura, viene in considerazione la ragione che fonda la disciplina: lo stigma verso comportamenti gravemente antisociali che escludono la loro compatibilita' con il sostegno dello Stato per i soggetti che si siano resi responsabili di uno dei gravi delitti tra quelli compresi nel numero chiuso indicato dalla norma in esame. 8) La legge n. 92 del 2012 prevede all'art. 2, commi 58-61: «58. Con la sentenza di condanna per i reati di cui agli articoli 270-bis, 280, 289-bis, 416-bis, 416-ter e 422 del codice penale, nonche' per i delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto art. 416-bis ovvero al fine di agevolare l'attivita' delle associazioni previste dallo stesso articolo, il giudice dispone la sanzione accessoria della revoca delle seguenti prestazioni, comunque denominate in base alla legislazione vigente, di cui il condannato sia eventualmente titolare: indennita' di disoccupazione, assegno sociale, pensione sociale e pensione per gli invalidi civili. Con la medesima sentenza il giudice dispone anche la revoca dei trattamenti previdenziali a carico degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza, ovvero di forme sostitutive, esclusive ed esonerative delle stesse, erogati al condannato, nel caso in cui accerti, o sia stato gia' accertato con sentenza in altro procedimento giurisdizionale, che questi abbiano origine, in tutto o in parte, da un rapporto di lavoro fittizio a copertura di attivita' illecite connesse a taluno dei reati di cui al primo periodo. 59. I condannati ai quali sia stata applicata la sanzione accessoria di cui al comma 58, primo periodo, possono beneficiare, una volta che la pena sia stata completamente eseguita e previa presentazione di apposita domanda, delle prestazioni previste dalla normativa vigente in materia, nel caso in cui ne ricorrano i presupposti. 60. I provvedimenti adottati ai sensi del comma 58 sono comunicati, entro quindici giorni dalla data di adozione dei medesimi, all'ente titolare dei rapporti previdenziali e assistenziali facenti capo al soggetto condannato, ai fini della loro immediata esecuzione. 61. Entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Ministro della giustizia, d'intesa con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, trasmette agli enti titolari dei relativi rapporti l'elenco dei soggetti gia' condannati con sentenza passata in giudicato per i reati di cui al comma 58, ai fini della revoca, con effetto non retroattivo, delle prestazioni di cui al medesimo comma 58, primo periodo.». 9) Il comma 58 definisce la revoca della prestazione assistenziale o previdenziale come «sanzione accessoria» della pena principale qualora sia intervenuta condanna per i reati ivi elencati. Rispetto a tale previsione il comma 61 impone di estendere la revoca anche in presenza di condanne gia' passate in giudicato, pure limitandone l'effetto sul piano temporale non includendo le prestazione gia' erogate («con effetto non retroattivo»). La revoca, che nel caso del comma 58 costituisce il trattamento sanzionatorio accessorio disposto dal giudice penale, nel caso in esame, pertanto, e' disposta dall'ente titolare del rapporto. 10) Nel caso di specie la peculiarita' della fattispecie concreta - ossia essere intervenuta la revoca rispetto ad una provvidenza riconosciuta con effetto da un momento successivo all'entrata in vigore della legge n. 92 del 2012 - non muta i termini della questione: l'Istituto previdenziale, infatti, al tempo del riconoscimento del beneficio, non aveva avuto ancora notizia della condanna penale. Invero si tratta pur sempre di misura che produce i propri effetti sul presupposto di una condanna penale anteriormente rispetto alla norma che prevede la revoca della prestazione. E' rispetto a tale modo di operare della disposizione, infatti, che si pone il dubbio di conformita' a Costituzione. 11) Ai fini dell'illustrazione della ragioni a sostegno della questione che si prospetta in primo luogo va considerato che il tema della qualificazione della misura prevista dall'art. 2, comma 61 - in particolare se si tratti di «sanzione accessoria» o mero effetto extra penale - non risulta dirimente alla luce dei parametri rispetto ai quali deve essere verificato se si tratti di misura che in senso lato costituisca «sanzione penale»: in ragione delle considerazioni di seguito svolte la prospettiva in cui si deve porre l'interprete, invero, e' costituita dall'indagine, non sul piano meramente formale (e quindi qualificatori), ma su quello sostanziale riguardante i presupposti, la finalita' e gli effetti propri della revoca. Tale e' l'indefettibile approccio alla questione imposto dalla previsione dell'art. 117, comma 1 della Costituzione in relazione all'art. 7 della Convenzione EDU (Corte costituzionale n. 348 e 349 del 2007, per cui si reputa che l'art. 117, comma 1, «viene integrato e reso operativo dalle norme della CEDU, la cui funzione e' quindi di concretizzare nella fattispecie la consistenza degli obblighi internazionali dello Stato.»). Posta la ragione fondante della disciplina introdotta dalla legge n. 92 del 2012 - sancire il marcato disvalore sociale per i reati commessi di gravissimo allarme sociale, ritenendo trattarsi di condotta incompatibile con le finalita' dell'art. 38 della Costituzione -, va rimarcato che comuni alle previsioni dei commi 58 e 61 sono il presupposto, ossia l'intervenuta sentenza di condanna (nel caso qui in esame passata in giudicato), quale condizione necessaria per la revoca del beneficio, e lo stato di esecuzione della pena quale limite per l'esclusione temporanea della provvidenza, momento dopo il quale la prestazione puo' essere ripristinata. 12) In questa prospettiva va ripresa la distinzione gia' operata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 276 del 2016 che, nello scrutinare la diversa materia dell'incandidabilita', decadenza e sospensione, ha ritenuto non fondata la questione di legittimita' costituzionale della disciplina del decreto legislativo n. 235 del 2012 (in violazione degli articoli 25, secondo comma, e 117, primo comma della Costituzione, quest'ultimo, in relazione all'art. 7 della CEDU), con riguardo alla previsione della sospensione dalla carica degli amministratori regionali e locali che abbiano riportato una condanna non definitiva per uno dei reati in esse previsti, poiche', la loro applicazione non e' limitata alle sentenze di condanna relative a reati consumati dopo la loro entrata in vigore. Nell'articolare il proprio ragionamento la Corte ha osservato che «l'art. 25, secondo comma, della Costituzione riferisce il principio di stretta legalita' soltanto alla pena, disponendo che "nessuno puo' essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso". Anche con riguardo alle misure sanzionatorie diverse dalle pene in senso stretto questa Corte ha affermato che sussiste "l'esigenza della prefissione ex lege di rigorosi criteri di esercizio del potere relativo all'applicazione (o alla non applicazione) di esse"» (sentenza n. 447 del 1988), e ha inoltre precisato come la necessita' «che sia la legge a configurare, con sufficienza adeguata alla fattispecie, i fatti da punire» risulti pur sempre «ricavabile anche per le sanzioni amministrative dall'art. 25, secondo comma, della Costituzione» (sentenza n. 78 del 1967). Da ultimo, ha affermato che il principio, desumibile dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, secondo cui tutte le misure di carattere punitivo-afflittivo devono essere soggette alla medesima disciplina della sanzione penale in senso stretto e' «desumibile anche dall'art. 25, secondo comma della Costituzione, il quale data l'ampiezza della sua formulazione ("Nessuno puo' essere punito ...") puo' essere interpretato nel senso che ogni intervento sanzionatorio, il quale non abbia prevalentemente la funzione di prevenzione criminale (e quindi non sia riconducibile in senso stretto a vere e proprie misure di sicurezza), e' applicabile soltanto se la legge che lo prevede risulti gia' vigente al momento della commissione del fatto sanzionato (sentenza n. 196 del 2010; nello stesso senso anche la successiva pronuncia n. 104 del 2014).». Proprio con riguardo a tale ultimo profilo la Corte prosegue il proprio ragionamento affermando: «Nella sua ormai quarantennale giurisprudenza in tema, la Corte di Strasbrugo ha individuato tre figure sintomatiche della natura penale di una sanzione (i cosiddetti criteri "Engel"): la qualificazione dell'illecito operata dal diritto nazionale; la natura della sanzione, alla luce della sua funzione punitiva-deterrente; la sua severita', ovvero la gravita' del sacrificio imposto (sentenza 8 giugno 1976, Engel c. Olanda; i principi da essa enunciati sono stati confermati da molte sentenze successive: ... Come ribadito da ultimo nella sentenza 4 marzo 2014, Grande Stevens e altri c. Italia, questi criteri sono "alternativi e non cumulativi", ma cio' non impedisce di adottare un "approccio cumulativo se l'analisi separata di ciascun criterio non permette di arrivare ad una conclusione chiara in merito alla sussistenza di una "accusa in materia penale" (Jussila c. Finlandia [GC], n. 73053/01, §§ 30 e 31, CEDU 2006-XIII, e Zaicevs c. Lettonia, n. 65022/01, § 31, CEDU 2007-IX)" (paragrafo 94). 5.5. - La qualificazione sostanziale come pena, nel senso della nozione elaborata dalla Corte di Strasburgo, di una misura prevista dall'ordinamento interno che incida negativamente nella sfera del destinatario, comporta che siano applicabili ad essa le garanzie previste dalla CEDU, quali in particolare: il diritto al giusto processo in materia civile e penale (art. 6); il principio nulla poena sine lege (art. 7); il divieto del bis in idem (art. 4, paragrafo 1, del protocollo n. 7). Spetta nondimeno a questa Corte "valutare come ed in qual misura il prodotto dell'interpretazione della Corte europea si inserisca nell'ordinamento costituzionale italiano. La norma CEDU, nel momento in cui va ad integrare il primo comma dell'art. 117 della Costituzione, da questo ripete il suo rango nel sistema delle fonti, con tutto cio' che segue, in termini di interpretazione e bilanciamento, che sono le ordinarie operazioni cui questa Corte e' chiamata in tutti i giudizi di sua competenza" (sentenza n. 317 del 2009). In altri termini, spetta a essa di apprezzare la giurisprudenza europea formatasi sulla norma conferente, "in modo da rispettarne la sostanza, ma con un margine di apprezzamento e di adeguamento che le consenta di tener conto delle peculiarita' dell'ordinamento giuridico in cui la norma convenzionale e' destinata a inserirsi (sentenza n. 311 del 2009)" (sentenza n. 236 del 2011; da ultimo, sentenza n. 193 del 2016).». Inoltre e' evidenziato che «La natura punitiva della misura si desume, secondo la giurisprudenza di Strasburgo, da un complesso di elementi, tra i quali principalmente il tipo di condotta sanzionata, il nesso fra la misura inflitta e l'accertamento di un reato, la presenza di beni e interessi tradizionalmente affidati alla sfera penale, il procedimento con il quale la misura e' adottata.». 13) Si debbono trarre le necessarie conseguenze da tale ricognizione del dato normativo scrutinato e della sua collocazione nel sistema delle fonti. Nel caso di specie la revoca inerisce a condanna per una platea di reati connotata dell'estrema gravita' del trattamento sanzionatorio e per il tratto comune dell'elevato allarme sociale che la loro commissione determina, di talche' il legislatore ha ritenuto che, a fronte della gravita' della lesione perpetrata in danno dell'ordinamento e del pregiudizio alla civile convivenza, le ragioni ed i presupposti per il godimento del beneficio - espressione del principio fissato dall'art. 38 della Costituzione - riconosciuto all'invalido, siano recessivi rispetto alla necessita' di un'adeguata reazione dello ordinamento stesso. 14) In questa prospettiva risultano integrati i cosiddetti «criteri di Engel», quand'anche in via tra loro alternativi (la qualificazione dell'illecito operata dal diritto nazionale, la natura della sanzione, alla luce della sua funzione punitiva-deterrente; la sua severita', ovvero la gravita' del sacrificio imposto). Quanto al primo si e' gia' precisato che si tratta di aspetto non dirimente (secondo la stessa decisione CEDU, sentenza Engel e a. c. Paesi Bassi (Grande Camera) dell'8 giugno 1976 (ricorsi n. 5100/71; 5101/71; 5102/71; 5354/72; 5370/72, Serie A n. 22, § 82); quanto al secondo e' gia' stato chiarito che si tratta di trattamento strettamente connesso alla condanna penale, tanto da determinare un automatismo che non ammette sindacato ne' in sede amministrativa, come in sede giurisdizionale, e l'applicazione opera nella comunanza dei presupposti nelle due sedi; la funzione punitiva e deterrente, quindi viene esaltata con l'aggravamento insito nella «pena civile» di cui si tratta; quanto al terzo la sua incidenza e' ben rappresentabile, perlomeno nel caso in esame, in cui il regime di detenzione domiciliare impone necessariamente al condannato di procurarsi i mezzi necessari per la sua esistenza in condizione di accertata invalidita' e nel contempo esclude l'accesso alla prestazione previdenziale in una situazione di restrizione della liberta' personale, con compromissione della capacita' reddituale (posto il relativo requisito fissato dall'art. 12, comma 2, legge n. 118 del 1971, richiamato dallo disciplina sull'assegno di invalidita' civile). 15) Giova richiamare i portati applicativi di tale impostazione, gia' fatti propri dalla stessa giurisprudenza della Corte costituzionale (sentenza n. 196 del 2010) in fattispecie che si connota per le analogie con il caso in esame. Con la sentenza citata e' stata oggetto di vaglio costituzionale la previsione dell'art. 186 c.d.s. rispetto ai parametri degli articoli 3 e 117 della Costituzione, con specifico riguardo alla «sanzione» della confisca del veicolo e conseguente declaratoria di illegittimita' «limitatamente alle parole "ai sensi dell'art. 240, secondo comma, del codice penale", dell'art. 186, comma 2, lettera c». In motivazione la Corte ha affermato: a) la necessita' di chiarire preliminarmente se il legislatore qualifichi in termini di misura di sicurezza o meno la confisca «al fine di impedire che risposte di segno repressivo, e quindi con i caratteri propri delle pene in senso stretto, si prestino ad essere qualificate come misure di sicurezza», con «surrettizio aggiramento delle garanzie individuali che gli articoli 6 e 7 riservano alla materia penale»; b) la necessita' di adottare criteri interpretativi che «in aggiunta a quello della qualificazione giuridico-formale attribuita nel diritto nazionale» «sulla base di due sottocriteri, costituiti dall'ambito di applicazione della norma che lo preveda e dallo scopo della sanzione - ovvero alla gravita', o meglio al grado di severita', della sanzione irrogata.»; c) la necessita' di conformare l'interpretazione della norma interna in conformita' alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo sull'interpretazione degli articoli 6 e 7 della CEDU, per cui «tulle le misure di carattere punitivo-afflittivo devono essere soggette alla medesima disciplina della sanzione penale in senso stretto.»; d) la coerenza di tale principio con quello dell'art. 25, secondo comma della Costituzione «il quale - data l'ampiezza della sua formulazione ("Nessuno puo' essere punito ...") - puo' essere interpretato nel senso che ogni intervento sanzionatorio, il quale non abbia prevalentemente la funzione di prevenzione criminale (e quindi non sia riconducibile - in senso stretto - a vere e proprie misure di sicurezza), e' applicabile soltanto se la legge che lo prevede risulti gia' vigente al momento della commissione del fatto sanzionato.»; e) la natura essenzialmente sanzionatoria della confisca dell'art. 186 c.d.s. in quanto al di la' della sua qualificazione formale, presenta una funzione sanzionatoria e meramente repressiva e non preventiva, trattandosi di misura applicabile anche quando il veicolo dovesse risultare incidentato e temporaneamente inutilizzabile «sicche' la misura della confisca si presenta non idonea a neutralizzare la situazione di pericolo per la cui prevenzione e' stata concepita». Come nel caso ora esaminato, quindi, si impone una valutazione circa il carattere «elusivo» della previsione sospettata di non essere conforme al dettato costituzionale in quanto riferita ad un ambito, quella della gestione del rapporto previdenziale, apparentemente neutro, come pure la considerazione circa il carattere meramente punitivo della sanzione aggiuntiva. La conseguenza di tale ricostruzione porta a ritenere che la previsione di un'efficacia retroattiva, mediante il recupero di condanne irrogate in epoca anteriore alla previsione legislativa della revoca del beneficio, si tradurrebbe nel vulnus ai precetti costituzionali sopra richiamati. 16) Si impone, in conclusione il vaglio della Corte costituzionale.
P.Q.M. Visti gli articoli 134 della Costituzione e 23 della legge n. 87 del 1953; a) dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale, in rapporto agli articoli 25 e 117 della Costituzione dell'art. 2, commi 60 e 61 della legge n. 92 del 2012, nella parte in cui prevede la revoca delle prestazioni previdenziale o assistenziale «... comunque denominate in base alla legislazione vigente, di cui il condannato sia eventualmente titolare: indennita' di disoccupazione, assegno sociale, pensione sociale e pensione per gli invalidi civili» nei confronti dei «soggetti gia' condannati con sentenza passata in giudicato per i reati di cui al comma 58, ... con effetto non retroattivo.»; b) dispone la sospensione del presente giudizio; c) ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata alle parti del giudizio ed al Presidente del Consiglio dei ministri; d) ordina, altresi', che l'ordinanza venga comunicata dal cancelliere ai Presidenti delle due Camere del Parlamento; e) dispone l'immediata trasmissione degli atti, comprensivi della documentazione attestante il perfezionamento delle prescritte notificazioni e comunicazioni, alla Corte costituzionale. Venezia, cosi' deciso in Camera di consiglio il 5 marzo 2021 Il presidente est.: Alessio