N. 91 ORDINANZA (Atto di promovimento) 6 marzo 2021

Ordinanza del 6 marzo 2021  della  Corte  d'appello  di  Venezia  nel
procedimento civile promosso da INPS - Istituto Nazionale  Previdenza
Sociale c/A. G.. 
 
Previdenza e assistenza  -  Revoca  di  prestazioni  assistenziali  e
  previdenziali nei confronti di soggetti condannati per i  reati  di
  cui agli articoli 270-bis, 280, 289-bis,  416-bis,  416-ter  e  422
  cod.  pen.,  nonche'  per  i  delitti  commessi  avvalendosi  delle
  condizioni previste dal predetto articolo 416-bis ovvero al fine di
  agevolare l'attivita'  delle  associazioni  previste  dallo  stesso
  articolo - Applicazione a soggetti  gia'  condannati  con  sentenza
  passata in giudicato, con effetto non retroattivo. 
- Legge 28 giugno 2012, n. 92 (Disposizioni in materia di riforma del
  mercato del lavoro in una prospettiva di crescita), art.  2,  commi
  60 e 61. 
(GU n.25 del 23-6-2021 )
 
                     CORTE D'APPELLO DI VENEZIA 
                           Sezione lavoro 
 
    Ordinanza nella causa trattata con le modalita' di trattazione ex
art.  221,  comma  4,  legge  n.  77  del  2020  di  conversione  del
decreto-legge n. 34 del 2020 e l decreto-legge n. 2 del 2021 promossa
da INPS nei confronti di A.G.  avverso  la  sentenza  n.  152/19  del
giudice del lavoro del Tribunale di Rovigo; 
    La Corte, a scioglimento della riserva, osserva 
 
                              In fatto 
 
    1) A.G. risulta essere stato condannato per i delitti di cui agli
articoli 110, 575, 577 e 61, del codice penale, 12 - 14 legge n.  497
del 1994 (di cui da' atto il Tribunale di sorveglianza di Torino  con
l'ordinanza del 26 settembre 2007, richiamando  il  provvedimento  di
cumulo della  Corte  distrettuale  piemontese  del  7  aprile  2005),
nonche'  per  associazione  di  tipo  mafioso  e   del   delitto   di
ricettazione (sentenza  del  Tribunale  di  Napoli  richiamata  nella
stessa ordinanza). 
    I fatti  per  cui  l'appellante  e'  stato  condannato  con  pena
detentiva  risultano  commessi  pacificamente   in   data   anteriore
all'entrata in vigore della legge n. 92 del 2012. 
    Con ordinanza del 10 dicembre 2013 il Tribunale  di  sorveglianza
di Roma ha ammesso il  signor  A.  alla  detenzione  domiciliare  per
espiare le pene  oggetto  del  provvedimento  di  cumulo,  essendogli
riconosciuto lo status di collaboratore di giustizia. 
    Risulta essere cessato il programma di protezione  e,  con  esso,
sono venute meno anche le eventuali  misure  di  sostegno  sul  piano
economico che lo corredano. 
    2) La pena e' tuttora in fase di esecuzione. 
    3) A seguito di comunicazione del Ministero di giustizia ai sensi
dell'art. 2 della legge n. 92 del 2012, solo in data 19 febbraio 2017
(secondo quanto precisato nel messaggio del 5 giugno 2017,  n.  2302)
la prestazione di invalidita' civile n. 04410007060230  di  cui  egli
era in godimento dal maggio 2015, gia'  sospesa,  e'  stata  revocata
dall'INPS con decorrenza 1° marzo 2017. 
    Respinto il ricorso amministrativo  avverso  detto  provvedimento
(delibera del 20 dicembre 2017 del Comitato provinciale  di  Torino),
in ragione del rilievo che il ripristino della  prestazione  revocata
per i condannati per gravi reati ex art. 2, comma 59 della  legge  n.
92/2012 e' previsto solo a completa espiazione della pena, il  signor
A. ha proposto ricorso avanti il giudice del lavoro del Tribunale  di
Rovigo, che accogliendo la domanda ha ritenuto che la prestazione  in
godimento all'assistito, prevista dall'art. 13 della legge n. 118 del
1971 non fosse fra quelle oggetto della prevista revoca. 
    4) Ha proposto appello avverso tale decisione  l'Inps  sostenendo
che la stessa dizione  della  norma,  riferendosi  alle  «prestazioni
comunque denominate in base alla legislazione vigente», a  cui  segue
l'elencazione:  «indennita'  di  disoccupazione,   assegno   sociale,
pensione sociale  e  pensione  per  gli  invalidi  civili»,  porta  a
ritenere del tutto «singolare»  l'«opzione  ermeneutica  offerta  dal
primo  giudice»  che  ha  indebitamente  escluso  dalle   prestazione
interessate l'assegno per invalidi civili ex art. 13 della  legge  n.
118 del 1971. Reputa la difesa dell'ente che una lettura  restrittiva
determinerebbe l'introduzione di un differenziato trattamento di tale
prestazione assistenziale rispetto a  quelle  elencate,  senza  alcun
ragionevole fondamento, con la conseguenza  che  tale  lettura  della
norma esporrebbe la disposizione  ad  una  censura  sul  piano  della
legittimita' costituzionale. 
    5)  Nel  costituirsi  l'appellato  ha  invocato  i  principi   di
tassativita' e di legalita'; quest'ultimo deve essere declinato nelle
sue principali espressioni di sufficiente determinatezza della  norma
penale e di divieto di analogia in malam partem della  norma  penale.
Rammenta, inoltre, che il principio  di  legalita',  come  sanzionato
dall'art. 7 CEDU e' affermato «non solo con riferimento  al  precetto
penale ma anche con riferimento espresso e  specifico  alla  sanzione
collegata  alla  sua  violazione  (Cassazione   -   Sez.   Unite   n.
6240/2015).». 
    6)  La  causa,  discussa,  e'  stata  aggiornata  a  seguito   di
sollecitazione  dell'ufficio  anche  in  ragione  del   rilievo   che
risultano   proposte   questioni   di   legittimita'   costituzionale
(ordinanza n.  234  del  2019  T.  Roma,  pubblicata  nella  Gazzetta
Ufficiale n. 26 del 2020, ed ordinanza del Tribunale di Fermo  n.  68
del 2020, pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  n.  1  del  2020)  in
relazione alla medesima norma con riguardo all'ipotizzata  violazione
di distinti parametri (articoli 25  e  38  della  Costituzione),  con
riguardo alla natura del provvedimento in parola, in particolare alla
sua eventuale natura sanzionatoria e ai riflessi che  cio'  determina
rispetto all'ordinamento interno ed europeo. 
 
                             In diritto 
 
    7) Il collegio ritiene di sollevare in  quanto  rilevante  e  non
manifestamente infondata la questione di legittimita'  costituzionale
alla luce delle seguenti considerazioni e con riguardo  ai  parametri
di cui agli articoli 25, comma 2  e  117,  comma  1  (come  integrato
dall'art. 7 CEDU), sulla scorta di quanto dedotto con  il  motivo  di
appello dell'Inps e, quindi, sul presupposto che la norma  nella  sua
letterale dizione non consenta la limitata  applicazione  presupposta
dal giudice rodigino a fondamento della decisione:  cio'  in  ragione
della lata dizione della formula onnicomprensiva sopra richiamata, ma
anche dalla parte della disposizione prevedente la  sua  applicazione
ai «trattamenti previdenziali a carico degli enti  gestori  di  forme
obbligatorie di previdenza e assistenza, ovvero di forme sostitutive,
esclusive ed esonerative delle stesse ...); inoltre,  a  sostegno  di
tale ampia lettura, viene in considerazione la ragione che  fonda  la
disciplina: lo stigma verso comportamenti gravemente antisociali  che
escludono la loro compatibilita' con il sostegno dello  Stato  per  i
soggetti che si siano resi responsabili di uno dei gravi delitti  tra
quelli compresi nel numero chiuso indicato dalla norma in esame. 
    8) La legge n. 92 del 2012 prevede all'art. 2, commi 58-61:  «58.
Con la sentenza di condanna per i reati di cui agli articoli 270-bis,
280, 289-bis, 416-bis, 416-ter e 422 del codice penale, nonche' per i
delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste  dal  predetto
art.  416-bis  ovvero  al  fine  di   agevolare   l'attivita'   delle
associazioni previste dallo stesso articolo, il  giudice  dispone  la
sanzione accessoria della revoca delle seguenti prestazioni, comunque
denominate in base alla legislazione vigente, di  cui  il  condannato
sia eventualmente titolare:  indennita'  di  disoccupazione,  assegno
sociale, pensione sociale e pensione per gli invalidi civili. 
    Con la medesima sentenza il giudice dispone anche la  revoca  dei
trattamenti previdenziali  a  carico  degli  enti  gestori  di  forme
obbligatorie di previdenza e assistenza, ovvero di forme sostitutive,
esclusive ed esonerative delle stesse,  erogati  al  condannato,  nel
caso in cui accerti, o sia stato gia' accertato con sentenza in altro
procedimento giurisdizionale, che questi abbiano origine, in tutto  o
in parte, da un rapporto di lavoro fittizio a copertura di  attivita'
illecite connesse a taluno dei reati di cui al primo periodo. 
    59. I  condannati  ai  quali  sia  stata  applicata  la  sanzione
accessoria di cui al comma 58, primo  periodo,  possono  beneficiare,
una volta che la pena  sia  stata  completamente  eseguita  e  previa
presentazione di apposita domanda, delle prestazioni  previste  dalla
normativa vigente  in  materia,  nel  caso  in  cui  ne  ricorrano  i
presupposti. 
    60.  I  provvedimenti  adottati  ai  sensi  del  comma  58   sono
comunicati,  entro  quindici  giorni  dalla  data  di  adozione   dei
medesimi,   all'ente   titolare   dei   rapporti   previdenziali    e
assistenziali facenti capo al soggetto condannato, ai fini della loro
immediata esecuzione. 
    61. Entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente
legge, il Ministro della giustizia,  d'intesa  con  il  Ministro  del
lavoro e delle politiche sociali, trasmette agli  enti  titolari  dei
relativi rapporti l'elenco dei soggetti gia' condannati con  sentenza
passata in giudicato per i reati di cui al comma 58,  ai  fini  della
revoca, con effetto non retroattivo,  delle  prestazioni  di  cui  al
medesimo comma 58, primo periodo.». 
    9)  Il  comma  58   definisce   la   revoca   della   prestazione
assistenziale o previdenziale come «sanzione accessoria»  della  pena
principale qualora sia intervenuta condanna per i reati ivi elencati. 
    Rispetto a tale previsione il comma 61  impone  di  estendere  la
revoca anche in presenza di condanne gia' passate in giudicato,  pure
limitandone  l'effetto  sul  piano  temporale   non   includendo   le
prestazione gia' erogate («con effetto non retroattivo»). 
    La revoca, che nel caso del comma 58 costituisce  il  trattamento
sanzionatorio accessorio disposto dal giudice  penale,  nel  caso  in
esame, pertanto, e' disposta dall'ente titolare del rapporto. 
    10) Nel caso di specie la peculiarita' della fattispecie concreta
- ossia essere intervenuta la  revoca  rispetto  ad  una  provvidenza
riconosciuta con effetto da  un  momento  successivo  all'entrata  in
vigore della legge n.  92  del  2012  -  non  muta  i  termini  della
questione:  l'Istituto   previdenziale,   infatti,   al   tempo   del
riconoscimento del beneficio, non aveva avuto  ancora  notizia  della
condanna penale. 
    Invero si tratta pur  sempre  di  misura  che  produce  i  propri
effetti sul presupposto di una condanna penale anteriormente rispetto
alla norma che prevede la revoca della  prestazione.  E'  rispetto  a
tale modo di operare della disposizione,  infatti,  che  si  pone  il
dubbio di conformita' a Costituzione. 
    11) Ai fini dell'illustrazione della  ragioni  a  sostegno  della
questione che si prospetta in primo luogo va considerato che il  tema
della qualificazione della misura prevista dall'art. 2, comma 61 - in
particolare se si tratti di  «sanzione  accessoria»  o  mero  effetto
extra penale - non risulta dirimente alla luce dei parametri rispetto
ai quali deve essere verificato se si tratti di misura che  in  senso
lato costituisca «sanzione penale»: in ragione  delle  considerazioni
di seguito svolte la prospettiva in cui si deve  porre  l'interprete,
invero, e' costituita dall'indagine, non sul piano meramente  formale
(e quindi qualificatori), ma  su  quello  sostanziale  riguardante  i
presupposti, la finalita' e gli effetti propri della revoca. 
    Tale e' l'indefettibile approccio alla  questione  imposto  dalla
previsione dell'art. 117, comma 1  della  Costituzione  in  relazione
all'art. 7 della Convenzione EDU (Corte costituzionale n. 348  e  349
del 2007, per cui si reputa che l'art. 117, comma 1, «viene integrato
e reso operativo dalle norme della CEDU, la cui funzione e' quindi di
concretizzare  nella  fattispecie  la  consistenza   degli   obblighi
internazionali dello Stato.»). 
    Posta la ragione fondante della disciplina introdotta dalla legge
n. 92 del 2012 - sancire il marcato disvalore  sociale  per  i  reati
commessi  di  gravissimo  allarme  sociale,  ritenendo  trattarsi  di
condotta  incompatibile  con  le   finalita'   dell'art.   38   della
Costituzione -, va rimarcato che comuni alle previsioni dei commi  58
e 61 sono il presupposto, ossia l'intervenuta  sentenza  di  condanna
(nel caso qui  in  esame  passata  in  giudicato),  quale  condizione
necessaria per la revoca del beneficio,  e  lo  stato  di  esecuzione
della  pena  quale   limite   per   l'esclusione   temporanea   della
provvidenza,  momento  dopo  il  quale  la  prestazione  puo'  essere
ripristinata. 
    12) In questa prospettiva va ripresa la distinzione gia'  operata
dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 276 del 2016 che, nello
scrutinare la  diversa  materia  dell'incandidabilita',  decadenza  e
sospensione, ha ritenuto non fondata  la  questione  di  legittimita'
costituzionale della disciplina del decreto legislativo  n.  235  del
2012 (in violazione degli articoli 25, secondo comma,  e  117,  primo
comma della Costituzione, quest'ultimo, in relazione all'art. 7 della
CEDU), con riguardo alla previsione della  sospensione  dalla  carica
degli amministratori regionali e locali  che  abbiano  riportato  una
condanna non definitiva per uno dei reati in esse previsti,  poiche',
la loro applicazione  non  e'  limitata  alle  sentenze  di  condanna
relative a reati consumati dopo la loro entrata in vigore. 
    Nell'articolare il proprio ragionamento la Corte ha osservato che
«l'art. 25, secondo comma, della Costituzione riferisce il  principio
di stretta legalita' soltanto alla pena, disponendo che "nessuno puo'
essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in  vigore
prima  del  fatto  commesso".  Anche   con   riguardo   alle   misure
sanzionatorie diverse dalle pene in senso  stretto  questa  Corte  ha
affermato che sussiste  "l'esigenza  della  prefissione  ex  lege  di
rigorosi criteri di esercizio del potere relativo all'applicazione (o
alla non applicazione) di esse"» (sentenza n. 447  del  1988),  e  ha
inoltre precisato come la necessita' «che sia la legge a configurare,
con sufficienza adeguata alla fattispecie, i fatti da punire» risulti
pur sempre «ricavabile anche per le sanzioni amministrative dall'art.
25, secondo comma, della Costituzione» (sentenza n. 78 del 1967). 
    Da ultimo,  ha  affermato  che  il  principio,  desumibile  dalla
giurisprudenza della Corte di Strasburgo, secondo cui tutte le misure
di carattere punitivo-afflittivo devono essere soggette alla medesima
disciplina della sanzione penale  in  senso  stretto  e'  «desumibile
anche dall'art. 25, secondo comma della Costituzione, il  quale  data
l'ampiezza della sua formulazione ("Nessuno puo' essere punito  ...")
puo' essere interpretato nel senso che ogni intervento sanzionatorio,
il  quale  non  abbia  prevalentemente  la  funzione  di  prevenzione
criminale (e quindi non sia riconducibile in senso stretto a  vere  e
proprie misure di sicurezza), e' applicabile soltanto se la legge che
lo prevede risulti gia' vigente  al  momento  della  commissione  del
fatto sanzionato (sentenza n. 196 del 2010; nello stesso senso  anche
la successiva pronuncia n. 104 del 2014).». 
    Proprio con riguardo a tale ultimo profilo la Corte  prosegue  il
proprio  ragionamento  affermando:  «Nella  sua  ormai  quarantennale
giurisprudenza in tema, la Corte di  Strasbrugo  ha  individuato  tre
figure sintomatiche della natura penale di una sanzione (i cosiddetti
criteri "Engel"): la qualificazione dell'illecito operata dal diritto
nazionale; la natura della sanzione, alla  luce  della  sua  funzione
punitiva-deterrente;  la  sua  severita',  ovvero  la  gravita'   del
sacrificio imposto (sentenza  8  giugno  1976,  Engel  c.  Olanda;  i
principi da essa enunciati sono stati confermati  da  molte  sentenze
successive: 
        ... Come ribadito da ultimo  nella  sentenza  4  marzo  2014,
Grande Stevens e altri c. Italia, questi criteri sono "alternativi  e
non cumulativi", ma cio' non  impedisce  di  adottare  un  "approccio
cumulativo se l'analisi separata di ciascun criterio non permette  di
arrivare ad una conclusione chiara in merito alla sussistenza di  una
"accusa in materia penale" (Jussila c. Finlandia [GC],  n.  73053/01,
§§ 30 e 31, CEDU 2006-XIII, e Zaicevs c. Lettonia, n. 65022/01, § 31,
CEDU 2007-IX)" (paragrafo 94). 
        5.5. - La qualificazione sostanziale  come  pena,  nel  senso
della nozione elaborata dalla Corte  di  Strasburgo,  di  una  misura
prevista dall'ordinamento  interno  che  incida  negativamente  nella
sfera del destinatario, comporta che siano  applicabili  ad  essa  le
garanzie previste dalla CEDU, quali in  particolare:  il  diritto  al
giusto processo in materia civile e penale  (art.  6);  il  principio
nulla poena sine lege (art. 7); il divieto del bis in idem  (art.  4,
paragrafo 1, del protocollo n. 7). 
        Spetta nondimeno a questa Corte "valutare  come  ed  in  qual
misura  il  prodotto  dell'interpretazione  della  Corte  europea  si
inserisca nell'ordinamento costituzionale italiano.  La  norma  CEDU,
nel momento in cui va ad integrare il primo comma dell'art. 117 della
Costituzione, da questo ripete il suo rango nel sistema delle  fonti,
con  tutto  cio'  che  segue,  in  termini   di   interpretazione   e
bilanciamento, che sono le ordinarie operazioni cui questa  Corte  e'
chiamata in tutti i giudizi di sua competenza" (sentenza n.  317  del
2009).  In  altri  termini,  spetta   a   essa   di   apprezzare   la
giurisprudenza europea formatasi sulla norma conferente, "in modo  da
rispettarne la sostanza, ma con un  margine  di  apprezzamento  e  di
adeguamento  che  le  consenta  di  tener  conto  delle  peculiarita'
dell'ordinamento giuridico in cui la norma convenzionale e' destinata
a inserirsi (sentenza n. 311 del 2009)" (sentenza n. 236 del 2011; da
ultimo, sentenza n. 193 del 2016).». 
    Inoltre e' evidenziato che «La natura punitiva  della  misura  si
desume, secondo la giurisprudenza di Strasburgo, da un  complesso  di
elementi, tra i quali principalmente il tipo di condotta  sanzionata,
il nesso fra la misura inflitta e  l'accertamento  di  un  reato,  la
presenza di beni e interessi  tradizionalmente  affidati  alla  sfera
penale, il procedimento con il quale la misura e' adottata.». 
    13)  Si  debbono  trarre  le  necessarie  conseguenze   da   tale
ricognizione del dato normativo scrutinato e della  sua  collocazione
nel sistema delle fonti. 
    Nel caso di specie la revoca inerisce a condanna per  una  platea
di   reati   connotata   dell'estrema   gravita'   del    trattamento
sanzionatorio e per il tratto comune dell'elevato allarme sociale che
la loro commissione determina, di talche' il legislatore ha  ritenuto
che, a fronte  della  gravita'  della  lesione  perpetrata  in  danno
dell'ordinamento e del pregiudizio alla civile convivenza, le ragioni
ed i presupposti per il godimento del  beneficio  -  espressione  del
principio fissato dall'art.  38  della  Costituzione  -  riconosciuto
all'invalido, siano recessivi rispetto alla necessita' di un'adeguata
reazione dello ordinamento stesso. 
    14)  In  questa  prospettiva  risultano  integrati  i  cosiddetti
«criteri di Engel», quand'anche  in  via  tra  loro  alternativi  (la
qualificazione dell'illecito operata dal diritto nazionale, la natura
della sanzione, alla luce della sua funzione punitiva-deterrente;  la
sua severita', ovvero la gravita' del sacrificio imposto). 
    Quanto al primo si e' gia' precisato che si tratta di aspetto non
dirimente (secondo la stessa decisione CEDU, sentenza Engel e  a.  c.
Paesi Bassi (Grande Camera) dell'8 giugno 1976 (ricorsi  n.  5100/71;
5101/71; 5102/71; 5354/72; 5370/72, Serie A n. 22, § 82);  quanto  al
secondo  e'  gia'  stato  chiarito  che  si  tratta  di   trattamento
strettamente connesso alla condanna penale, tanto da  determinare  un
automatismo che non ammette sindacato  ne'  in  sede  amministrativa,
come in sede giurisdizionale, e l'applicazione opera nella  comunanza
dei presupposti nelle due sedi; la funzione  punitiva  e  deterrente,
quindi viene esaltata con l'aggravamento insito nella  «pena  civile»
di  cui  si  tratta;  quanto  al  terzo  la  sua  incidenza  e'   ben
rappresentabile, perlomeno nel caso in esame, in  cui  il  regime  di
detenzione  domiciliare  impone  necessariamente  al  condannato   di
procurarsi i mezzi necessari per la sua esistenza  in  condizione  di
accertata  invalidita'  e  nel  contempo   esclude   l'accesso   alla
prestazione previdenziale in  una  situazione  di  restrizione  della
liberta' personale, con  compromissione  della  capacita'  reddituale
(posto il relativo requisito fissato dall'art. 12, comma 2, legge  n.
118 del 1971, richiamato dallo disciplina sull'assegno di invalidita'
civile). 
    15) Giova richiamare i portati applicativi di tale  impostazione,
gia'  fatti  propri   dalla   stessa   giurisprudenza   della   Corte
costituzionale (sentenza n. 196  del  2010)  in  fattispecie  che  si
connota per le analogie con il caso in esame. 
    Con la sentenza citata e' stata oggetto di vaglio  costituzionale
la previsione  dell'art.  186  c.d.s.  rispetto  ai  parametri  degli
articoli 3 e 117 della  Costituzione,  con  specifico  riguardo  alla
«sanzione» della confisca del veicolo e conseguente  declaratoria  di
illegittimita' «limitatamente alle parole "ai  sensi  dell'art.  240,
secondo comma, del codice penale", dell'art. 186,  comma  2,  lettera
c». 
    In motivazione la Corte ha affermato: 
        a)  la  necessita'  di   chiarire   preliminarmente   se   il
legislatore qualifichi in termini di misura di sicurezza  o  meno  la
confisca «al fine di impedire che risposte  di  segno  repressivo,  e
quindi con i  caratteri  propri  delle  pene  in  senso  stretto,  si
prestino  ad  essere  qualificate  come  misure  di  sicurezza»,  con
«surrettizio aggiramento delle garanzie individuali che gli  articoli
6 e 7 riservano alla materia penale»; 
        b) la necessita' di adottare criteri interpretativi  che  «in
aggiunta a quello della qualificazione  giuridico-formale  attribuita
nel diritto nazionale» «sulla base di  due  sottocriteri,  costituiti
dall'ambito di applicazione della norma che lo preveda e dallo  scopo
della  sanzione  -  ovvero  alla  gravita',  o  meglio  al  grado  di
severita', della sanzione irrogata.»; 
        c) la necessita' di conformare l'interpretazione della  norma
interna in conformita' alla giurisprudenza della Corte di  Strasburgo
sull'interpretazione degli articoli 6 e 7 della CEDU, per cui  «tulle
le misure di carattere  punitivo-afflittivo  devono  essere  soggette
alla medesima disciplina della sanzione penale in senso stretto.»; 
        d) la coerenza di tale principio  con  quello  dell'art.  25,
secondo comma della Costituzione «il quale -  data  l'ampiezza  della
sua formulazione ("Nessuno puo' essere punito  ...")  -  puo'  essere
interpretato nel senso che ogni intervento  sanzionatorio,  il  quale
non abbia prevalentemente la funzione  di  prevenzione  criminale  (e
quindi non sia riconducibile - in senso stretto - a  vere  e  proprie
misure di sicurezza), e' applicabile soltanto  se  la  legge  che  lo
prevede risulti gia' vigente al momento della commissione  del  fatto
sanzionato.»; 
        e) la  natura  essenzialmente  sanzionatoria  della  confisca
dell'art. 186 c.d.s. in quanto al di  la'  della  sua  qualificazione
formale, presenta una funzione sanzionatoria e meramente repressiva e
non preventiva, trattandosi di misura  applicabile  anche  quando  il
veicolo   dovesse    risultare    incidentato    e    temporaneamente
inutilizzabile «sicche' la misura  della  confisca  si  presenta  non
idonea  a  neutralizzare  la  situazione  di  pericolo  per  la   cui
prevenzione e' stata concepita». 
    Come nel caso ora esaminato, quindi, si  impone  una  valutazione
circa il carattere  «elusivo»  della  previsione  sospettata  di  non
essere conforme al dettato costituzionale in quanto  riferita  ad  un
ambito,   quella   della   gestione   del   rapporto   previdenziale,
apparentemente neutro, come pure la considerazione circa il carattere
meramente punitivo della sanzione aggiuntiva. 
    La conseguenza di tale ricostruzione  porta  a  ritenere  che  la
previsione di  un'efficacia  retroattiva,  mediante  il  recupero  di
condanne irrogate in  epoca  anteriore  alla  previsione  legislativa
della revoca del beneficio, si tradurrebbe  nel  vulnus  ai  precetti
costituzionali sopra richiamati. 
    16)  Si  impone,   in   conclusione   il   vaglio   della   Corte
costituzionale. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Visti gli articoli 134 della Costituzione e 23 della legge n.  87
del 1953; 
        a) dichiara  rilevante  e  non  manifestamente  infondata  la
questione di legittimita' costituzionale, in rapporto  agli  articoli
25 e 117 della Costituzione dell'art. 2, commi 60 e 61 della legge n.
92 del 2012, nella parte in cui prevede la revoca  delle  prestazioni
previdenziale o assistenziale «... comunque denominate in  base  alla
legislazione  vigente,  di  cui  il  condannato   sia   eventualmente
titolare: indennita' di  disoccupazione,  assegno  sociale,  pensione
sociale e  pensione  per  gli  invalidi  civili»  nei  confronti  dei
«soggetti gia' condannati con sentenza passata  in  giudicato  per  i
reati di cui al comma 58, ... con effetto non retroattivo.»; 
        b) dispone la sospensione del presente giudizio; 
        c)  ordina  che,  a  cura  della  cancelleria,  la   presente
ordinanza sia notificata alle parti del giudizio ed al Presidente del
Consiglio dei ministri; 
        d) ordina, altresi', che  l'ordinanza  venga  comunicata  dal
cancelliere ai Presidenti delle due Camere del Parlamento; 
        e) dispone l'immediata trasmissione degli  atti,  comprensivi
della documentazione attestante il perfezionamento  delle  prescritte
notificazioni e comunicazioni, alla Corte costituzionale. 
          Venezia, cosi' deciso in Camera di  consiglio  il  5  marzo
2021 
 
                     Il presidente est.: Alessio