N. 96 ORDINANZA (Atto di promovimento) 21 maggio 2021
Ordinanza del 21 maggio 2021 della Corte di cassazione sul ricorso proposto da J. G.. Ordinamento penitenziario - Detenuti sottoposti al regime speciale di detenzione - Sottoposizione a visto di censura della corrispondenza - Mancata previsione dell'esclusione della sottoposizione a visto di censura della corrispondenza indirizzata ai difensori. - Legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della liberta'), art. 41-bis, comma 2-quater, lettera e).(GU n.27 del 7-7-2021 )
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE prima sezione penale Composta da: Mariastefania Di Tomassi - Presidente; Domenico Fiordalisi; Giacomo Rocchi; Teresa Liuni; Daniele Cappuccio - Relatore ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso proposto da J. G. nato a il avverso l'ordinanza del 9 luglio 2020 del Tribunale di Locri; udita la relazione svolta dal Consigliere Daniele Cappuccio; lette le conclusioni del PG, il quale ha chiesto l'annullamento con rinvio del provvedimento impugnato Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 9 luglio 2020 il Tribunale di Locri ha rigettato il redamo proposto da G - imputato davanti a quell'autorita' giudiziaria, condannato, all'esito dei giudizio di primo grado, alla pena di venticinque anni di reclusione perche' ritenuto esponente di vertice di un clan di stanziato sul territorio di e sottoposto al regime detentivo differenziato previsto dall'art. 41-bis legge 26 luglio 1975, n. 354 - avverso il decreto con cui, il 12 maggio 2020, il Presidente del Tribunale ha disposto trattenimento di un telegramma da lui indirizzato ai difensore di fiducia, avv. Giuseppe Milicia. Ritenuto di potere integrare la motivazione, radicalmente assente, del provvedimento impugnato, il Tribunale calabrese ha stimato la sussistenza di un pericolo per l'ordine e la sicurezza pubblica, connesso all'ambiguita' del contenuto della missiva, composta da una serie di periodi non legati da un filo logico in grado di rendere coerente e comprensibile il testo nella sua interezza. Ha aggiunto che l'incongruenza del testo non e' spiegabile in ragione del modesto grado di istruzione dell'autore il quale, redigendo personalmente il reclamo, si e' mostrato capace di esporre i motivi con prosa chiara e lineare. 2. G. J. propone, con l'assistenza dell'avv. Giuseppe Milicia, ricorso per cassazione affidato ad un unico, articolato motivo, con il quale deduce violazione di legge e vizio di motivazione per avere il Tribunale - titolare, a suo modo di vedere, del potere di integrare la motivazione del decreto emesso dall'organo monocratico, ma non anche di ovviare alla sua totale assenza - male interpretato la normativa in materia di controllo sulla corrispondenza dei detenuti, che ammette il trattenimento delle sole comunicazioni dal contenuto illecito, che celino al proprio interno qualcosa o contengano scritti pericolosi per la sicurezza e l'ordine pubblico. Tale non puo' essere considerato, ha obiettato, il telegramma con cui egli, imminente la scadenza dei termini per la proposizione dell'appello avverso la sentenza di condanna emessa all'esito del primo grado di giudizio, ha inteso interloquire con il proprio difensore in merito ai contenuti del redigendo atto, da stabilirsi anche in relazione a quello, che egli reputava insoddisfacente, gia' presentato da altro difensore. 3. Procuratore generale ha chiesto, con requisitoria scritta, l'annullamento con rinvio del provvedimento impugnato, osservando che «sebbene il detenuto si trovi sottoposto al regime di cui all'art. 41 bis O.P. deve poter conoscere sia pure in modo sintetico le ragioni del trattenimento della corrispondenza soprattutto se si tratta di corrispondenza con il difensore (Cass. Sez. V^ n. 32452 del 2019)»: Considerato in diritto 1. L'art. 15 della legge 26 luglio 1975, n. 354, prevede che il trattamento del condannato e dell'internato sia svolto, tra l'altro, agevolando opportuni contatti con il mondo esterno e i rapporti con la famiglia, che sono garantiti da colloqui visivi con soggetti liberi e dalla corrispondenza telefonica, epistolare o telegrafica. La legge di ordinamento penitenziario contempla, per la corrispondenza epistolare o telegrafica, limitazioni meno stringenti di quanto non accada per i colloqui e le telefonate, giacche' non prevede un numero massimo di lettere che il detenuto puo' inviare o ricevere, ne' restrizioni generali rispetto ai soggetti con cui egli puo' intrattenere scambi epistolari, e stabilisce, anzi, all'art. 18, quinto comma, al fine di favorire e di garantire il diffuso accesso a questa forma di corrispondenza, che l'amministrazione penitenziaria ponga a disposizione dei detenuti e degli internati, che ne sono sprovvisti, gli oggetti di cancelleria necessari per la corrispondenza. 2. Il diritto a tenere una corrispondenza epistolare e telegrafica puo' essere sottoposto, con provvedimento giurisdizionale, a limitazioni e controlli individuali, ossia riguardanti il singolo detenuto o internato. La legge n. 354 del 1975 non regolava, nella sua formulazione originaria, i casi, le modalita' ed il tempo massimo per cui potevano essere adottate siffatte misure, cio' che aveva indotto a dubitare della compatibilita' della disciplina della corrispondenza epistolare in carcere con gli artt. 15 Cost., 8 e 13 Cedu ed era valso all'Italia ripetute condanne da parte della Corte di Strasburgo (cfr., tra le molte, Corte EDU, 15 novembre 1996, Calogero Diana c./Italia; Corte EDU, 24 ottobre 2002, Messina c./Italia). Tale lacuna normativa e' stata colmata mediante l'introduzione, ad opera della legge 8 aprile 2004, n. 95, dell'art. 18-ter della legge 26 luglio 1975, n. 354, che individua le tipologie di limitazioni che possono essere imposte alla liberta' e alla segretezza della corrispondenza, i relativi presupposti e tempi, nonche' le autorita' competenti e i meccanismi di tutela giurisdizionale. L'art. 18-ter dispone, al primo comma, che per esigenze attinenti le indagini o investigative o di prevenzione dei reati, ovvero per ragioni di sicurezza o di ordine dell'istituto, possano essere disposte, nei confronti dei singoli detenuti o internati, per un periodo non superiore a sei mesi, prorogabile per periodi non superiori a tre mesi, tre diverse forme di restrizione all'invio e alla ricezione di missive, connotate da un crescente grado di intrusivita'. La forma piu' lieve di restrizione e' il controllo del contenuto delle buste che racchiudono la corrispondenza, senza lettura della medesima, finalizzato a verificare, alla presenza dell'interessato, che nell'involucro non siano celati valori o oggetti non consentiti. La limitazione piu' intensa consiste, invece, nell'inibizione totale o parziale della facolta' di spedire o di ricevere corrispondenza, cui e' propedeutica la sottoposizione a visto di controllo, operazione di lettura e analisi - ad opera dell'autorita' giudiziaria ovvero, su sua delega, dal direttore del carcere o di un appartenente all'amministrazione penitenziaria designato dallo stesso direttore - del contenuto delle missive in entrata ed in uscita. Essa puo', dunque, eventualmente sfociare nel trattenimento della missiva, disposto con provvedimento giurisdizionale, adottato dal Magistrato di sorveglianza, per i condannati, o dal giudice che procede, per gli imputati, per effetto del quale lo scritto non viene consegnato al suo destinatario, che deve essere immediatamente informato. 3. L'art. 18-ter, pur contenendo una specifica disciplina anche della successiva operazione di trattenimento, non individua espressamente le ragioni che lo consentono. Nondimeno, la giurisprudenza di legittimita' ha da tempo chiarito, in proposito, che, stante lo stretto collegamento funzionale con il visto di censura, il trattenimento puo' essere disposto qualora, dall'esame dei contenuti della corrispondenza, l'autorita' giudiziaria ritenga che sussista una situazione di pericolo concreto per quelle esigenze di ordine e di sicurezza pubblica che costituiscono i presupposti per l'adozione del visto - di controllo (cosi', tra le piu' recenti, Sez. 1, n. 51187 del 17 maggio 2018, Falsone, Rv. 274479, e Sez. 5, n. 32452 del 22 febbraio 2019, Falsone, Rv. 277527, entrambe in motivazione). Il secondo comma 18-ter prevede, poi, che nessuna forma di controllo possa essere esercitata sulla corrispondenza epistolare e telegrafica indirizzata ai soggetti indicati nel comma 5 dell'articolo 103 cod. proc. pen. (difensori, investigatori privati autorizzati e incaricati in relazione al procedimento, consulenti tecnici e loro ausiliari), all'autorita' giudiziaria, alle autorita' indicate nell'art. 35 (direttore dell'istituto, provveditore regionale, capo del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, Ministro della giustizia, autorita' giudiziarie e sanitarie in visita all'istituto, garante nazionale, garanti regionali o locali dei. diritti dei detenuti, presidente della giunta regionale, magistrato di sorveglianza, Capo dello Stato), ai membri del Parlamento, alle Rappresentanze diplomatiche o consolari dello Stato di cui gli interessati sono cittadini ed agli organismi internazionali, amministrativi o giudiziari, preposti alla tutela dei diritti dell'uomo di cui l'Italia fa parte. 4. La disciplina generale e', tuttavia, derogata dall'art. 41-bis, legge 26 luglio 1975, n. 354, che contiene, tra l'altro, regole specificamente dedicate alla tutela della liberta' e della segretezza della corrispondenza epistolare e telegrafica per i detenuti sottoposti al regime differenziato. Tale disposizione - nel testo modificato dalla legge 15 luglio 2009, n. 94 - contiene infatti, al comma 2-quater, un elenco puntuale di limitazioni al trattamento penitenziario tra le quali, alla lett. e), «la sottoposizione a visto di censura della corrispondenza, salvo quella con i membri del Parlamento o con autorita' europee o nazionali aventi competenza in materia di giustizia». L'utilizzo di un termine («censura») diverso da quello indicato all'art. 18-ter («controllo») non ha impedito la sostanziale assimilazione, da parte dei commentatori cosi come della giurisprudenza, dei concetti, che rimandano, entrambi, all'esame di una missiva, effettuato dall'autorita' preposta, strumentale ad evitare la trasmissione di informazioni suscettibili di mettere a repentaglio i valori a cui presidio le disposizioni sono rispettivamente poste. Cosi, in specie, se l'art. 18-ter presuppone la necessita' di salvaguardare la fruttuosita' di indagini ed investigazioni, di prevenire la commissione di reati e di garantire la sicurezza e l'ordine dell'istituto, l'architettura del regime detentivo speciale previsto dall'art. 41-bis. e' precipuamente diretta ad interrompere il flusso comunicativo tra gli esponenti criminali che versino in condizione detentiva, nonche' tra gli stessi e gli esponenti delle associazioni a delinquere di riferimento che si trovino in liberta'. In un caso e nell'altro, dunque, l'intrusione nella sfera privata nella quale si traducono controllo e censura non e' circoscritta alla conoscenza del contenuto delle comunicazioni e si riconnette in via diretta alla possibilita' di bloccare l'inoltro della corrispondenza, ovvero di non procedere alla sua consegna al destinatario. 5. L'equivalenza tra visto di controllo e visto di censura consente di affermare che tra le disposizioni che, rispettivamente, li prevedono sussiste un rapporto di specialita' e, quindi, che, nell'ipotesi di lettura della corrispondenza nei confronti dei detenuti sottoposti al regime speciale, la disciplina dell'art. 18-ter si applica solo per gli aspetti non disciplinati dall'art. 41-bis, comma 2-quater, lett. e). In questo senso si e', del resto, orientata la giurisprudenza di legittimita' (cfr., in particolare, Sez. 1, n. 51187 del 17 maggio 2018, Falsone, Rv, 274479, in motivazione, e Sez. 1, n. 48365 del 21 novembre 2012, Di Trapani, Rv. 253978) nel ritenere l'applicabilita' agli imputati ed ai condannati che siano assoggettati al regime di cui all'art. 41-bis delle regole previste, per la generalita' dei detenuti, dall'art. 18-ter e dall'art. 38 del relativo regolamento di esecuzione con riferimento all'operazione, successiva alla censura, di eventuale di trattenimento, sulla quale l'art. 41-bis e' silente. 6. L'analisi comparata delle disposizioni in commento evidenzia un significativo momento di divaricazione nella differente delimitazione della corrispondenza che, in via di eccezione, e' sottratta alle limitazioni sopra descritte. Se, infatti, l'art. 18-ter prevede, al comma 2, che «Le disposizioni del comma 1 non si applicano qualora la corrispondenza epistolare o telegrafica sia indirizzata ai soggetti indicati nel comma 5 dell'articolo 103 del codice di procedura penale, all'autorita' giudiziaria, alle autorita' indicate nell'articolo 35 della presente legge, ai membri del Parlamento, alle Rappresentanze diplomatiche o consolari dello Stato di cui gli interessati sono cittadini ed agli organismi internazionali amministrativi o giudiziari preposti alla tutela dei diritti dell'uomo di cui l'Italia fa parte», l'art. 41-bis sottrae, invece, al visto di censura la sola corrispondenza con i membri del Parlamento o con autorita' europee o nazionali aventi competenza in materia di giustizia. Ne discende che, per i detenuti sottoposti al piu' rigoroso regime detentivo, il visto di censura deve essere apposto anche con riferimento alla corrispondenza intercorsa con i soggetti indicati all'art. 103, comma 5, cod. proc. pen. (difensori, investigatori privati, consulenti tecnici e loro ausiliari). Tanto, in ragione del gia' indicato rapporto di specialita' tra l'art. 18-ter, comma 2, e l'art. 41-bis, comma 2-quater, lett. e), e del fatto che la norma speciale contiene l'espressa elencazione della corrispondenza sottratta alla censura. 7. La validita' della precedente conclusione non e' revocata in dubbio dall'esistenza, nel codice di rito, di autonoma disciplina relativa alla corrispondenza tra imputati e difensori, compendiata all'art. 103, comma 6, cod. proc. pen., che vieta, tra l'altro, «ogni forma di controllo della corrispondenza tra l'imputato e proprio difensore in quanto riconoscibile dalle prescritte indicazioni, salvo che l'autorita' giudiziaria abbia fondato motivo di ritenere che si tratti di corpo del reato». La menzionata disposizione trova completamento nell'art, 35 disp. att. cod. proc. pen. che, da un canto, enuncia, ai primi tre commi, gli adempimenti richiesti per garantire la riconoscibilita' della corrispondenza tra imputato e difensore, e, dall'altro, specifica, al comma 4, che «Alla corrispondenza tra l'imputato detenuto e il suo difensore, recante le indicazioni stabilite nei commi 1 e 2, non si applicano le disposizioni dell'articolo 18 commi 8 e 9 della legge 26 luglio 1975, n. 354». La previsione del comma 4, sulla quale il legislatore non e' intervenuto, e', dunque, volta ad escludere la sottoposizione della corrispondenza tra imputato e difensore al visto di controllo previsto dall'art. 18, commi 8 e 9, ord. pen. che, nel testo vigente al tempo dell'introduzione dell'attuale codice di procedura penale, aveva portata onnicomprensiva e non contemplava la sottrazione di determinate tipologie di comunicazioni. Essa, dunque, ha la funzione di sancire, al cospetto di norme primarie, e dunque di pari grado, con un diverso ed inconciliabile contenuto precettivo, la prevalenza di quella codicistica su quella di ordinamento penitenziario. In proposito, deve, tuttavia, notarsi come, all'atto dell'approvazione, con la legge 8 aprile 2004, n. 95, di una nuova disciplina dei controlli sulla corrispondenza dei detenuti, contenuta nell'art. 18-ter, con contestuale abrogazione dell'art. 18, commi 8 e 9, il legislatore non abbia adeguato il testo dell'art. 35, comma 4, disp. att. che, quindi, deve intendersi, all'attualita' ed a dispetto di quanto, di recente ma in modo del tutto sporadico ed incidentale, affermato in giurisprudenza (cfr. Sez. 1, n. 1901 del 30 settembre 2020, dep. 2021, Attanasio, non massimata), privo di concreta portata precettiva. Cio', deve ragionevolmente ritenersi, in ragione della circostanza che l'inserimento, al comma 2 dell'art. 18-ter, dei soggetti indicati all'art. 103, comma 5, cod. proc. pen. (e, quindi, anche del difensore) nel novero di coloro la cui corrispondenza con il detenuto - imputato o condannato - e' sottratta alle limitazioni previste dal comma 1, assicura la compatibilita', per i detenuti imputati, tra la disciplina di ordinamento penitenziario e quella prevista dal codice di rito. Posto che, al contrario dell'art. 18-ter, l'art. 41-bis non stabilisce la sottrazione della corrispondenza tra imputato e difensore al visto di censura, il contrasto tra l'art. 103, comma 6, cod. proc. pen., che inibiste il controllo, e l'art. 41-bis, che, invece, lo ammette, deve risolversi nel senso dell'applicazione della norma di ordinamento penitenziario, inserita in un piu' ampio catalogo di restrizioni al trattamento finalizzate a garantire, con esclusivo riferimento ad una specifica categoria di detenuti, prevalenti esigenze preventive. Al riguardo, e' utile osservare, innanzitutto, che nulla autorizza ad assegnare alla norma codicistica carattere di inderogabilita', per come, tra l'altro, indirettamente confermato dal fatto che il legislatore del 1988 abbia ritenuto la necessita' di specificare espressamente, all'art. 35 disp. att., che la disciplina sul visto di controllo, che, al tempo, non prevedeva eccezioni di sorta, si applicasse alla corrispondenza tra imputato e difensore. L'art. 41-bis, comma 2-quater, lett. c), e' stata, d'altro canto, costruito come norma speciale, destinata, in quanto tale, a derogare alle norme generali che disciplinano la stessa materia e che non sono inderogabili, quale, tra le altre, l'art. 103, comma 6, cod. proc. pen.. Considerato, allora, che il codice di rito e la legge di ordinamento penitenziario non escludono expressis verbis che l'art. 41-bis possa derogare la disciplina contenuta nell'art. 103, comma 6, cod. proc. pen., deve conclusivamente ritenersi che la disciplina del visto di censura trovi applicazione alla corrispondenza tra imputato sottoposto a regime speciale di detenzione e difensore. 8. La ricostruzione del tessuto di regole che si' sono succedute nel tempo e che concorrono a disciplinare la materia e' funzionale all'esame del ricorso proposto da G. J. il quale, il 3 maggio 2020, invio', dal carcere milanese nel quale era ristretto, un telegramma all'avv. Giuseppe Milicia, che aveva da poco nominato quale difensore, affiancandolo all'avv. Caterina Fuda, che lo aveva assistito in primo grado, nell'ambito di un procedimento penale, pendente innanzi al Tribunale di Locri, nel quale egli aveva riportato condanna alla pena di venticinque anni di reclusione. Stando alla prospettazione del ricorrente, l'utilizzo del mezzo telegrafico si era imposto per l'esigenza di presentare, in tempo utile, un atto di appello ulteriore rispetto a quello gia' depositato dall'avv. Fuda, che J. riteneva insoddisfacente, impugnazione che l'avv. Milicia presento', effettivamente, il 5 giugno 2020. Il telegramma fu provvisoria mente bloccato dall'amministrazione penitenziaria, che informo' il Presidente del Tribunale, il quale dispose il trattenimento con provvedimento che il Tribunale, su reclamo dell'interessato, confermo' sul rilievo della sussistenza di un concreto pericolo per l'ordine pubblico e la sicurezza. 9. Con l'unico motivo di ricorso, il detenuto lamenta l'illegittimita' della motivazione con cui il Tribunale di Locri ha confermato il provvedimento di trattenimento. Il collegio, tuttavia, dubita della compatibilita' costituzionale dell'art. 41-bis, comma 2-quater, lett, e), legge 26 luglio 1975, n. 354, nella parte in cui non esclude la corrispondenza diretta al difensore dal novero di' quella sottoposta a visto di censura. Cio' impedisce al collegio di procedere al vaglio della legittimita' della motivazione del provvedimento impugnato, giacche' qualora dubbio prospettato si rivelasse fondato, la stessa operazione di lettura e di controllo del contenuto della missiva risulterebbe, a monte, viziata. Tanto rende la questione di legittimita' costituzionale rilevante. 10. La questione, oltre che rilevante, appare non manifestamente infondata. La sottoposizione a visto di censura della corrispondenza in uscita con il proprio difensore si traduce, invero, in un vulnus non solo - e non tanto - alla liberta' ed alla segretezza della corrispondenza, diritti dichiarati inviolabili dall'art. 15 Cost. e che spettano ad ogni individuo in quanto tale e, quindi, anche ai detenuti, ma anche e soprattutto del diritto alla difesa e di quello ad un equo processo, tutelati a livello costituzionale e sovranazionale. Il giudice delle leggi ha, in proposito, gia' riconosciuto, con la sentenza n. 143 del 2013, il diritto a conferire con il proprio difensore e a farlo in maniera riservata, connaturato alla difesa tecnica che rientra nella garanzia ex art. 24 Cost. ed appartiene al novero dei requisiti basilari dell'equo processo, alla luce dei disposto dell'art. 6, paragrafo 3, lettera c), della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali. Ne deriva che una disposizione normativa che neghi la riservatezza delle comunicazioni con il difensore e' in contrasto, oltre che con gli artt. 15 e 24 Cost., anche con l'art. 111, terzo comma, Cost., nella parte in cui prevede, tra gli elementi del giusto processo, la facolta' di disporre delle condizioni necessarie per preparare la propria difesa, nonche' con l'art. 117 Cost., in relazione all'art. 6 CEDU. 11. Anche detti diritti, per quanto rientranti tra le garanzie fondamentali dell'individuo all'interno di una societa' che possa definirsi democratica, possono astrattamente subire delle limitazioni, quando rese necessarie dall'esigenza di tutelare altri interessi costituzionalmente rilevanti. E', infatti, principio consolidato nella giurisprudenza costituzionale che nessun interesse ha prevalenza assoluta e che anche i diritti fondamentali possono entrare in un'operazione di bilanciamento ed essere sacrificati, ferma restando la necessita' di verificare la ragionevolezza delle limitazioni concretamente apportate. Nel caso dei detenuti sottoposti al regime speciale di detenzione, l'esigenza di neutralizzare la loro maggiore pericolosita' e di difendere la societa' nei confronti delle criminalita' organizzate determina e giustifica non solo la compressione di diritti fondamentali, ma anche maggiori limitazioni di trattamento rispetto alla generalita' dei detenuti. Il collegio ritiene, tuttavia, che l'assoluta compressione del loro interesse a mantenere una corrispondenza riservata con il difensore, quand'anche ispirata all'esigenza di impedire i contatti con l'organizzazione criminale di appartenenza, non possa superare il vaglio di ragionevolezza e, quindi, ritenersi giustificata. 12. Dubbi di ragionevolezza si pongono, innanzitutto, rispetto all'operazione di equiparazione dei difensori agli interlocutori «non qualificati» del detenuto e, in primo luogo, ai familiari. Se, infatti, non puo' essere esclusa a priori l'astratta, ed eccezionale, eventualita' che un difensore accetti di assumere il ruolo di illecito canale di comunicazione tra il proprio cliente e l'organizzazione criminale di appartenenza dello stesso, tale possibilita' non puo' nemmeno essere assunta .a massima di esperienza e tradotta in un enunciato normativo, al pari di quanto, invece, accade con parenti e conoscenti. I difensori, infatti, fegati ai propri clienti da un contratto d'opera professionale anziche' da vincoli di diversa natura, sono, ha ricordato la Corte costituzionale, «persone appartenenti ad un ordine professionale, termite al rispetto di un codice deontologico nello specifico campo dei rapporti con la giustizia e sottoposte alla vigilanza disciplinare dell'ordine di appartenenza» (Corte Cost., sent. n. 143 del 2013). Non sembra dunque consentito presumere una generale pericolosita' degli scambi epistolari con il difensore e la corrispondenza intrattenuta dal detenuto, ancorche' soggetto al regime di cui' all'art. 41-bis Ord. pen., con questo non puo' essere assimilata a quella intrattenuta con familiari e amici, o soggetti terzi, sicche' la disciplina della cui legittimita' si discute finisce con trattare in modo analogo situazioni differenti, in patente violazione del principio di eguaglianza, irragionevolmente comprimendo, altresi', il diritto di difesa. 13. La normativa in esame appare ulteriormente carente, sotto il profilo della ragionevolezza, se confrontata con quella dettata per i colloqui visivi e telefonici coni difensori, sottratti, per espressa previsione dell'art. 41-bis legge 26 luglio 1975, n. 354, all'applicazione delle disposizioni che prescrivono il controllo auditivo e la videoregistrazione, valevoli, invece, per i colloqui con i familiari. Se si ammette l'ipotesi che un difensore venga meno ai suoi doveri deontologici e professionali, e tradisca, cosi, l'alta funzione che gli e' assegnata dall'ordinamento, anche in questo caso, cioe' in relazione alle comunicazioni che avvengono di persona o per telefono, non puo' escludersi in astratto il rischio che Io stesso si presti a fungere-da illecito canale di comunicazione: al cospetto del quale, nondimeno, il legislatore - evidentemente a cio' indotto dalla considerazione dell'inviolabilita' del diritto di difesa e della natura assolutamente remota dell'ipotesi in predicato - ha scelto di dare piena tutela al diritto ad avere comunicazioni difensive riservate. Sicche', la censura sulle missive indirizzate al difensore, e il conseguente loro eventuale trattenimento, finiscono per penalizza re irragionevolmente e inutilmente il diritto di difesa - anche solo attraverso l'irrimediabile ritardo che la sottoposizione a censura imprime all'inoltro e alla consegna della missiva - e quello ad un equo processo, ma non servono a neutralizzare l'astratto pericolo che un ipotetico scambio di direttive e informazioni per mezzo del difensore avvenga con altro mezzo, nel corso di colloqui sottratti a controllo, con conseguente violazione del principio, a piu' riprese enunciato dalla Corte Costituzionale, secondo cui, nelle operazioni di bilanciamento, il decremento di tutela di un diritto fondamentale postula, per necessita', il corrispondente incremento di tutela di altro interesse di pari rango.
P.Q.M. Visto l'art. 23 legge 11 marzo 1953, n. 87, dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 3, 15, 24, 111 e 117 Cost., anche in relazione all'art.6 CEDU, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 41-bis, comma 2-quater, lettera E), legge 26 luglio 1975, n. 354, nella parte in cui prevede, per i detenuti sottoposti al regime di cui al comma 2 e seguenti, la sottoposizione a visto di censura della corrispondenza, senza escludere quella indirizzata ai difensori. Sospende il presente procedimento. Manda la Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 23, ultimo comma, legge 11 marzo 1953, n. 87. Cosi deciso il 19 marzo 2021 Il Presidente: Di Tomassi Il Consigliere estensore: Cappuccio