N. 96 ORDINANZA (Atto di promovimento) 21 maggio 2021

Ordinanza del 21 maggio 2021 della Corte di  cassazione  sul  ricorso
proposto da J. G.. 
 
Ordinamento penitenziario - Detenuti sottoposti al regime speciale di
  detenzione - Sottoposizione a visto di censura della corrispondenza
  - Mancata previsione dell'esclusione della sottoposizione  a  visto
  di censura della corrispondenza indirizzata ai difensori. 
- Legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento  penitenziario
  e sulla  esecuzione  delle  misure  privative  e  limitative  della
  liberta'), art. 41-bis, comma 2-quater, lettera e). 
(GU n.27 del 7-7-2021 )
 
                   LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 
                        prima sezione penale 
 
    Composta da: 
        Mariastefania Di Tomassi - Presidente; 
        Domenico Fiordalisi; 
        Giacomo Rocchi; 
        Teresa Liuni; 
        Daniele Cappuccio - Relatore 
    ha pronunciato la seguente  ordinanza  sul  ricorso  proposto  da
J.             G.          nato a                il           avverso
l'ordinanza del 9 luglio 2020 del Tribunale di Locri; 
    udita la relazione svolta dal Consigliere Daniele Cappuccio; 
    lette le conclusioni del PG, il quale ha  chiesto  l'annullamento
con rinvio del provvedimento impugnato 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. Con ordinanza del 9 luglio  2020  il  Tribunale  di  Locri  ha
rigettato  il  redamo  proposto   da   G   -   imputato   davanti   a
quell'autorita' giudiziaria, condannato, all'esito  dei  giudizio  di
primo grado, alla pena di  venticinque  anni  di  reclusione  perche'
ritenuto esponente di vertice di un  clan  di               stanziato
sul  territorio  di              e  sottoposto  al  regime  detentivo
differenziato previsto dall'art. 41-bis legge 26 luglio 1975, n.  354
- avverso il decreto con cui, il 12 maggio 2020,  il  Presidente  del
Tribunale  ha  disposto  trattenimento  di  un  telegramma   da   lui
indirizzato ai difensore di fiducia, avv. Giuseppe Milicia. 
    Ritenuto  di  potere  integrare  la   motivazione,   radicalmente
assente, del  provvedimento  impugnato,  il  Tribunale  calabrese  ha
stimato la sussistenza di un pericolo per  l'ordine  e  la  sicurezza
pubblica,  connesso  all'ambiguita'  del  contenuto  della   missiva,
composta da una serie di periodi non legati  da  un  filo  logico  in
grado  di  rendere  coerente  e  comprensibile  il  testo  nella  sua
interezza. 
    Ha aggiunto che l'incongruenza del testo  non  e'  spiegabile  in
ragione  del  modesto  grado  di  istruzione  dell'autore  il  quale,
redigendo personalmente il reclamo, si e' mostrato capace di  esporre
i motivi con prosa chiara e lineare. 
    2. G.           J.           propone, con l'assistenza  dell'avv.
Giuseppe Milicia,  ricorso  per  cassazione  affidato  ad  un  unico,
articolato motivo, con il quale deduce violazione di legge e vizio di
motivazione per avere il Tribunale - titolare, a suo modo di  vedere,
del potere di integrare la motivazione del decreto emesso dall'organo
monocratico, ma non anche di ovviare alla sua totale assenza  -  male
interpretato   la   normativa   in   materia   di   controllo   sulla
corrispondenza dei detenuti, che ammette il trattenimento delle  sole
comunicazioni dal contenuto illecito, che celino al  proprio  interno
qualcosa o contengano scritti pericolosi per la sicurezza e  l'ordine
pubblico. 
    Tale non puo' essere considerato, ha obiettato, il telegramma con
cui egli, imminente la  scadenza  dei  termini  per  la  proposizione
dell'appello avverso la sentenza di  condanna  emessa  all'esito  del
primo grado di  giudizio,  ha  inteso  interloquire  con  il  proprio
difensore in merito ai contenuti del redigendo  atto,  da  stabilirsi
anche in relazione a quello, che egli reputava insoddisfacente,  gia'
presentato da altro difensore. 
    3. Procuratore generale ha  chiesto,  con  requisitoria  scritta,
l'annullamento con rinvio del provvedimento impugnato, osservando che
«sebbene il detenuto si trovi sottoposto al regime di cui all'art. 41
bis O.P. deve poter conoscere sia pure in modo sintetico  le  ragioni
del trattenimento della corrispondenza soprattutto se  si  tratta  di
corrispondenza con il difensore (Cass. Sez. V^ n. 32452 del 2019)»: 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. L'art. 15 della legge 26 luglio 1975, n. 354, prevede  che  il
trattamento del condannato e dell'internato sia svolto, tra  l'altro,
agevolando opportuni contatti con il mondo esterno e i  rapporti  con
la famiglia, che sono  garantiti  da  colloqui  visivi  con  soggetti
liberi e dalla corrispondenza telefonica, epistolare o telegrafica. 
    La  legge  di  ordinamento  penitenziario   contempla,   per   la
corrispondenza epistolare o telegrafica, limitazioni meno  stringenti
di quanto non accada per i colloqui e  le  telefonate,  giacche'  non
prevede un numero massimo di lettere che il detenuto puo'  inviare  o
ricevere, ne' restrizioni generali rispetto ai soggetti con cui  egli
puo' intrattenere scambi epistolari, e stabilisce, anzi, all'art. 18,
quinto comma, al fine di favorire e di garantire il diffuso accesso a
questa forma di corrispondenza, che  l'amministrazione  penitenziaria
ponga a disposizione dei detenuti e  degli  internati,  che  ne  sono
sprovvisti,   gli   oggetti   di   cancelleria   necessari   per   la
corrispondenza. 
    2.  Il  diritto  a  tenere  una   corrispondenza   epistolare   e
telegrafica    puo'    essere    sottoposto,    con     provvedimento
giurisdizionale,  a  limitazioni  e  controlli   individuali,   ossia
riguardanti il singolo detenuto o internato. 
    La legge n. 354 del 1975 non  regolava,  nella  sua  formulazione
originaria, i casi, le modalita' ed il tempo massimo per cui potevano
essere adottate siffatte misure, cio' che aveva  indotto  a  dubitare
della compatibilita' della disciplina della corrispondenza epistolare
in carcere con gli  artt.  15  Cost.,  8  e  13  Cedu  ed  era  valso
all'Italia ripetute condanne  da  parte  della  Corte  di  Strasburgo
(cfr., tra le molte, Corte EDU,  15  novembre  1996,  Calogero  Diana
c./Italia; Corte EDU, 24 ottobre 2002, Messina c./Italia). 
    Tale lacuna normativa e' stata colmata  mediante  l'introduzione,
ad opera della legge 8 aprile 2004, n.  95,  dell'art.  18-ter  della
legge  26  luglio  1975,  n.  354,  che  individua  le  tipologie  di
limitazioni  che  possono  essere  imposte  alla  liberta'   e   alla
segretezza della corrispondenza,  i  relativi  presupposti  e  tempi,
nonche'  le  autorita'  competenti   e   i   meccanismi   di   tutela
giurisdizionale. 
    L'art. 18-ter dispone, al primo comma, che per esigenze attinenti
le indagini o investigative o di prevenzione dei  reati,  ovvero  per
ragioni di  sicurezza  o  di  ordine  dell'istituto,  possano  essere
disposte, nei confronti dei singoli  detenuti  o  internati,  per  un
periodo non  superiore  a  sei  mesi,  prorogabile  per  periodi  non
superiori a tre mesi, tre diverse forme di  restrizione  all'invio  e
alla ricezione  di  missive,  connotate  da  un  crescente  grado  di
intrusivita'. 
    La forma piu' lieve di restrizione e' il controllo del  contenuto
delle buste che racchiudono la corrispondenza,  senza  lettura  della
medesima, finalizzato a verificare, alla  presenza  dell'interessato,
che nell'involucro non siano celati valori o oggetti non consentiti. 
    La limitazione piu'  intensa  consiste,  invece,  nell'inibizione
totale  o  parziale  della  facolta'  di  spedire   o   di   ricevere
corrispondenza, cui e' propedeutica  la  sottoposizione  a  visto  di
controllo, operazione di lettura e analisi - ad opera  dell'autorita'
giudiziaria ovvero, su sua delega, dal direttore del carcere o di  un
appartenente all'amministrazione penitenziaria designato dallo stesso
direttore - del contenuto delle missive in entrata ed in uscita. 
    Essa puo', dunque, eventualmente sfociare nel trattenimento della
missiva, disposto con  provvedimento  giurisdizionale,  adottato  dal
Magistrato di sorveglianza, per  i  condannati,  o  dal  giudice  che
procede, per gli imputati, per effetto del quale lo scritto non viene
consegnato  al  suo  destinatario,  che  deve  essere  immediatamente
informato. 
    3. L'art. 18-ter, pur contenendo una specifica  disciplina  anche
della  successiva  operazione   di   trattenimento,   non   individua
espressamente le ragioni che lo consentono. 
    Nondimeno,  la  giurisprudenza  di  legittimita'  ha   da   tempo
chiarito,  in  proposito,  che,  stante   lo   stretto   collegamento
funzionale con il visto di  censura,  il  trattenimento  puo'  essere
disposto qualora,  dall'esame  dei  contenuti  della  corrispondenza,
l'autorita'  giudiziaria  ritenga  che  sussista  una  situazione  di
pericolo concreto per  quelle  esigenze  di  ordine  e  di  sicurezza
pubblica che costituiscono i presupposti per l'adozione del  visto  -
di controllo (cosi', tra le piu' recenti, Sez. 1,  n.  51187  del  17
maggio 2018, Falsone, Rv. 274479, e Sez. 5, n. 32452 del 22  febbraio
2019, Falsone, Rv. 277527, entrambe in motivazione). 
    Il secondo comma  18-ter  prevede,  poi,  che  nessuna  forma  di
controllo possa essere esercitata sulla corrispondenza  epistolare  e
telegrafica  indirizzata   ai   soggetti   indicati   nel   comma   5
dell'articolo 103 cod. proc. pen. (difensori,  investigatori  privati
autorizzati e incaricati in  relazione  al  procedimento,  consulenti
tecnici e loro ausiliari), all'autorita' giudiziaria, alle  autorita'
indicate  nell'art.   35   (direttore   dell'istituto,   provveditore
regionale, capo del dipartimento dell'amministrazione  penitenziaria,
Ministro della giustizia, autorita' giudiziarie e sanitarie in visita
all'istituto, garante nazionale,  garanti  regionali  o  locali  dei.
diritti dei detenuti, presidente della giunta  regionale,  magistrato
di sorveglianza, Capo dello Stato), ai membri  del  Parlamento,  alle
Rappresentanze diplomatiche  o  consolari  dello  Stato  di  cui  gli
interessati  sono  cittadini  ed   agli   organismi   internazionali,
amministrativi  o  giudiziari,  preposti  alla  tutela  dei   diritti
dell'uomo di cui l'Italia fa parte. 
    4.  La  disciplina  generale  e',  tuttavia,  derogata  dall'art.
41-bis, legge 26 luglio 1975, n.  354,  che  contiene,  tra  l'altro,
regole specificamente dedicate alla tutela  della  liberta'  e  della
segretezza  della  corrispondenza  epistolare  e  telegrafica  per  i
detenuti sottoposti al regime differenziato. 
    Tale disposizione - nel testo modificato dalla  legge  15  luglio
2009, n. 94 - contiene infatti, al comma 2-quater, un elenco puntuale
di limitazioni al trattamento penitenziario tra le quali, alla  lett.
e), «la sottoposizione a visto di censura della corrispondenza, salvo
quella con  i  membri  del  Parlamento  o  con  autorita'  europee  o
nazionali aventi competenza in materia di giustizia». 
    L'utilizzo di un termine («censura») diverso da  quello  indicato
all'art.  18-ter  («controllo»)  non  ha  impedito   la   sostanziale
assimilazione,  da   parte   dei   commentatori   cosi   come   della
giurisprudenza, dei concetti, che rimandano, entrambi,  all'esame  di
una  missiva,  effettuato  dall'autorita'  preposta,  strumentale  ad
evitare la trasmissione di informazioni  suscettibili  di  mettere  a
repentaglio  i  valori  a   cui   presidio   le   disposizioni   sono
rispettivamente poste. 
    Cosi, in specie, se l'art. 18-ter  presuppone  la  necessita'  di
salvaguardare la  fruttuosita'  di  indagini  ed  investigazioni,  di
prevenire la commissione di reati  e  di  garantire  la  sicurezza  e
l'ordine dell'istituto, l'architettura del regime detentivo  speciale
previsto dall'art. 41-bis. e' precipuamente diretta  ad  interrompere
il flusso comunicativo tra gli esponenti  criminali  che  versino  in
condizione detentiva, nonche' tra gli stessi e  gli  esponenti  delle
associazioni a delinquere di riferimento che si trovino in liberta'. 
    In un caso e nell'altro, dunque, l'intrusione nella sfera privata
nella quale si traducono controllo e censura non e' circoscritta alla
conoscenza del contenuto delle comunicazioni e si riconnette  in  via
diretta alla possibilita' di bloccare l'inoltro della corrispondenza,
ovvero di non procedere alla sua consegna al destinatario. 
    5. L'equivalenza tra  visto  di  controllo  e  visto  di  censura
consente di affermare che tra le disposizioni  che,  rispettivamente,
li prevedono sussiste un rapporto  di  specialita'  e,  quindi,  che,
nell'ipotesi  di  lettura  della  corrispondenza  nei  confronti  dei
detenuti sottoposti  al  regime  speciale,  la  disciplina  dell'art.
18-ter si applica solo per gli  aspetti  non  disciplinati  dall'art.
41-bis, comma 2-quater, lett. e). 
    In questo senso si e', del resto, orientata la giurisprudenza  di
legittimita' (cfr., in particolare, Sez. 1, n. 51187  del  17  maggio
2018, Falsone, Rv, 274479, in motivazione, e Sez. 1, n. 48365 del  21
novembre 2012, Di Trapani, Rv. 253978) nel ritenere  l'applicabilita'
agli imputati ed ai condannati che siano assoggettati  al  regime  di
cui all'art. 41-bis delle regole previste,  per  la  generalita'  dei
detenuti, dall'art. 18-ter e dall'art. 38 del relativo regolamento di
esecuzione con riferimento all'operazione, successiva  alla  censura,
di eventuale di trattenimento, sulla quale l'art. 41-bis e' silente. 
    6. L'analisi comparata delle disposizioni in  commento  evidenzia
un  significativo   momento   di   divaricazione   nella   differente
delimitazione della corrispondenza  che,  in  via  di  eccezione,  e'
sottratta alle limitazioni sopra descritte. 
    Se,  infatti,  l'art.  18-ter  prevede,  al  comma  2,  che   «Le
disposizioni del comma 1 non si applicano qualora  la  corrispondenza
epistolare o telegrafica sia indirizzata  ai  soggetti  indicati  nel
comma  5  dell'articolo  103  del   codice   di   procedura   penale,
all'autorita' giudiziaria, alle autorita' indicate  nell'articolo  35
della presente legge, ai membri del Parlamento,  alle  Rappresentanze
diplomatiche o consolari dello Stato  di  cui  gli  interessati  sono
cittadini  ed  agli   organismi   internazionali   amministrativi   o
giudiziari preposti alla tutela dei diritti dell'uomo di cui l'Italia
fa parte», l'art. 41-bis sottrae, invece, al visto di censura la sola
corrispondenza con i membri del Parlamento o con autorita' europee  o
nazionali aventi competenza in materia di giustizia. 
    Ne discende che, per  i  detenuti  sottoposti  al  piu'  rigoroso
regime detentivo, il visto di censura deve essere apposto  anche  con
riferimento alla corrispondenza intercorsa con  i  soggetti  indicati
all'art. 103, comma 5,  cod.  proc.  pen.  (difensori,  investigatori
privati, consulenti tecnici e loro ausiliari). 
    Tanto, in ragione del gia' indicato rapporto di  specialita'  tra
l'art. 18-ter, comma 2, e l'art. 41-bis, comma 2-quater, lett. e),  e
del fatto che la norma speciale contiene l'espressa elencazione della
corrispondenza sottratta alla censura. 
    7. La validita' della precedente conclusione non e'  revocata  in
dubbio dall'esistenza, nel codice di  rito,  di  autonoma  disciplina
relativa alla corrispondenza tra imputati  e  difensori,  compendiata
all'art. 103, comma 6, cod. proc. pen., che vieta, tra l'altro, «ogni
forma di controllo della  corrispondenza  tra  l'imputato  e  proprio
difensore in quanto riconoscibile dalle prescritte indicazioni, salvo
che l'autorita' giudiziaria abbia fondato motivo di ritenere  che  si
tratti di corpo del reato». 
    La menzionata disposizione trova completamento nell'art, 35 disp.
att. cod. proc. pen. che, da un canto, enuncia, ai primi  tre  commi,
gli adempimenti richiesti per  garantire  la  riconoscibilita'  della
corrispondenza tra imputato e difensore, e, dall'altro, specifica, al
comma 4, che «Alla corrispondenza tra l'imputato detenuto  e  il  suo
difensore, recante le indicazioni stabilite nei commi 1 e 2,  non  si
applicano le disposizioni dell'articolo 18 commi 8 e 9 della legge 26
luglio 1975, n. 354». 
    La previsione del comma 4, sulla  quale  il  legislatore  non  e'
intervenuto, e', dunque, volta ad escludere la  sottoposizione  della
corrispondenza  tra  imputato  e  difensore  al  visto  di  controllo
previsto dall'art. 18, commi 8 e 9, ord. pen. che, nel testo  vigente
al tempo dell'introduzione dell'attuale codice di  procedura  penale,
aveva portata onnicomprensiva e non  contemplava  la  sottrazione  di
determinate tipologie di comunicazioni. 
    Essa, dunque, ha la funzione di sancire,  al  cospetto  di  norme
primarie, e dunque di pari grado, con un  diverso  ed  inconciliabile
contenuto precettivo, la prevalenza di quella codicistica  su  quella
di ordinamento penitenziario. 
    In   proposito,   deve,   tuttavia,   notarsi   come,    all'atto
dell'approvazione, con la legge 8 aprile 2004, n. 95,  di  una  nuova
disciplina dei controlli sulla corrispondenza dei detenuti, contenuta
nell'art. 18-ter, con contestuale abrogazione dell'art. 18, commi 8 e
9, il legislatore non abbia adeguato il testo dell'art. 35, comma  4,
disp. att. che, quindi, deve intendersi, all'attualita' ed a dispetto
di quanto, di recente ma in modo del tutto sporadico ed  incidentale,
affermato in giurisprudenza (cfr. Sez. 1, n. 1901  del  30  settembre
2020, dep. 2021, Attanasio, non massimata), privo di concreta portata
precettiva. 
    Cio',  deve   ragionevolmente   ritenersi,   in   ragione   della
circostanza che l'inserimento,  al  comma  2  dell'art.  18-ter,  dei
soggetti indicati all'art. 103, comma 5, cod. proc. pen. (e,  quindi,
anche del difensore) nel novero di coloro la cui  corrispondenza  con
il detenuto - imputato o condannato - e' sottratta  alle  limitazioni
previste dal comma 1, assicura  la  compatibilita',  per  i  detenuti
imputati, tra la disciplina di  ordinamento  penitenziario  e  quella
prevista dal codice di rito. 
    Posto che, al  contrario  dell'art.  18-ter,  l'art.  41-bis  non
stabilisce  la  sottrazione  della  corrispondenza  tra  imputato   e
difensore al visto di censura, il contrasto tra l'art. 103, comma  6,
cod. proc. pen., che inibiste il controllo,  e  l'art.  41-bis,  che,
invece, lo ammette, deve risolversi nel senso dell'applicazione della
norma  di  ordinamento  penitenziario,  inserita  in  un  piu'  ampio
catalogo di restrizioni al trattamento finalizzate a  garantire,  con
esclusivo  riferimento  ad  una  specifica  categoria  di   detenuti,
prevalenti esigenze preventive. 
    Al  riguardo,  e'  utile  osservare,  innanzitutto,   che   nulla
autorizza  ad  assegnare  alla   norma   codicistica   carattere   di
inderogabilita', per come, tra l'altro, indirettamente confermato dal
fatto che il legislatore del 1988 abbia  ritenuto  la  necessita'  di
specificare espressamente, all'art. 35 disp. att., che la  disciplina
sul visto di controllo, che, al tempo,  non  prevedeva  eccezioni  di
sorta, si applicasse alla corrispondenza tra imputato e difensore. 
    L'art. 41-bis, comma 2-quater, lett. c), e' stata, d'altro canto,
costruito come norma speciale, destinata, in quanto tale, a  derogare
alle norme generali che disciplinano la stessa materia e che non sono
inderogabili, quale, tra le altre, l'art. 103, comma  6,  cod.  proc.
pen.. 
    Considerato, allora,  che  il  codice  di  rito  e  la  legge  di
ordinamento penitenziario non escludono expressis verbis  che  l'art.
41-bis possa derogare la disciplina contenuta nell'art. 103, comma 6,
cod. proc. pen., deve conclusivamente ritenersi che la disciplina del
visto di censura trovi applicazione alla corrispondenza tra  imputato
sottoposto a regime speciale di detenzione e difensore. 
    8. La ricostruzione del tessuto di regole che si' sono  succedute
nel tempo e che concorrono a disciplinare la  materia  e'  funzionale
all'esame del ricorso proposto da G.           J.           il quale,
il 3  maggio  2020,  invio',  dal  carcere  milanese  nel  quale  era
ristretto, un telegramma all'avv. Giuseppe Milicia, che aveva da poco
nominato quale difensore, affiancandolo all'avv. Caterina  Fuda,  che
lo aveva assistito in primo grado,  nell'ambito  di  un  procedimento
penale, pendente innanzi al Tribunale di Locri, nel quale egli  aveva
riportato condanna alla pena di venticinque anni di reclusione. 
    Stando alla prospettazione del ricorrente, l'utilizzo  del  mezzo
telegrafico si era imposto per l'esigenza  di  presentare,  in  tempo
utile, un atto di appello ulteriore rispetto a quello gia' depositato
dall'avv.   Fuda,   che J.                riteneva   insoddisfacente,
impugnazione che  l'avv.  Milicia  presento',  effettivamente,  il  5
giugno 2020. 
    Il telegramma fu provvisoria mente bloccato  dall'amministrazione
penitenziaria, che informo' il Presidente  del  Tribunale,  il  quale
dispose il trattenimento  con  provvedimento  che  il  Tribunale,  su
reclamo dell'interessato, confermo' sul rilievo della sussistenza  di
un concreto pericolo per l'ordine pubblico e la sicurezza. 
    9.  Con  l'unico  motivo  di   ricorso,   il   detenuto   lamenta
l'illegittimita' della motivazione con cui il Tribunale di  Locri  ha
confermato il provvedimento di trattenimento. 
    Il collegio, tuttavia, dubita della compatibilita' costituzionale
dell'art. 41-bis, comma 2-quater, lett, e), legge 26 luglio 1975,  n.
354, nella parte in cui non  esclude  la  corrispondenza  diretta  al
difensore dal novero di' quella sottoposta a visto di censura. 
    Cio'  impedisce  al  collegio  di  procedere  al   vaglio   della
legittimita' della motivazione del provvedimento impugnato,  giacche'
qualora dubbio prospettato si rivelasse fondato, la stessa operazione
di lettura e di controllo del contenuto della missiva risulterebbe, a
monte, viziata. 
    Tanto  rende  la   questione   di   legittimita'   costituzionale
rilevante. 
    10. La questione, oltre che rilevante, appare non  manifestamente
infondata. 
    La sottoposizione a visto  di  censura  della  corrispondenza  in
uscita con il proprio difensore si traduce, invero, in un vulnus  non
solo -  e  non  tanto  -  alla  liberta'  ed  alla  segretezza  della
corrispondenza, diritti dichiarati inviolabili dall'art. 15  Cost.  e
che spettano ad ogni individuo in quanto tale  e,  quindi,  anche  ai
detenuti, ma anche e soprattutto del diritto alla difesa e di  quello
ad  un  equo  processo,   tutelati   a   livello   costituzionale   e
sovranazionale. 
    Il giudice delle leggi ha, in proposito, gia'  riconosciuto,  con
la sentenza n. 143 del 2013, il diritto a conferire  con  il  proprio
difensore e a farlo in maniera  riservata,  connaturato  alla  difesa
tecnica che rientra nella garanzia ex art. 24 Cost. ed appartiene  al
novero dei requisiti  basilari  dell'equo  processo,  alla  luce  dei
disposto dell'art. 6, paragrafo  3,  lettera  c),  della  Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali. 
    Ne  deriva  che  una  disposizione   normativa   che   neghi   la
riservatezza delle comunicazioni con il difensore  e'  in  contrasto,
oltre che con gli artt. 15 e 24 Cost., anche con  l'art.  111,  terzo
comma, Cost., nella parte in cui prevede, tra gli elementi del giusto
processo, la facolta' di disporre  delle  condizioni  necessarie  per
preparare la  propria  difesa,  nonche'  con  l'art.  117  Cost.,  in
relazione all'art. 6 CEDU. 
    11. Anche detti diritti, per quanto rientranti  tra  le  garanzie
fondamentali dell'individuo all'interno di  una  societa'  che  possa
definirsi   democratica,   possono   astrattamente    subire    delle
limitazioni, quando rese necessarie dall'esigenza di  tutelare  altri
interessi  costituzionalmente  rilevanti.  E',   infatti,   principio
consolidato nella giurisprudenza costituzionale che nessun  interesse
ha prevalenza assoluta e che anche  i  diritti  fondamentali  possono
entrare in un'operazione  di  bilanciamento  ed  essere  sacrificati,
ferma restando la necessita' di verificare  la  ragionevolezza  delle
limitazioni concretamente apportate. 
    Nel  caso  dei  detenuti  sottoposti  al   regime   speciale   di
detenzione,   l'esigenza   di   neutralizzare   la   loro    maggiore
pericolosita'  e  di  difendere  la  societa'  nei  confronti   delle
criminalita'  organizzate  determina  e  giustifica   non   solo   la
compressione di diritti fondamentali, ma anche  maggiori  limitazioni
di trattamento rispetto alla generalita' dei detenuti. 
    Il collegio ritiene, tuttavia, che  l'assoluta  compressione  del
loro interesse  a  mantenere  una  corrispondenza  riservata  con  il
difensore, quand'anche ispirata all'esigenza di impedire  i  contatti
con l'organizzazione criminale di appartenenza, non possa superare il
vaglio di ragionevolezza e, quindi, ritenersi giustificata. 
    12. Dubbi di ragionevolezza si  pongono,  innanzitutto,  rispetto
all'operazione di equiparazione dei difensori agli interlocutori «non
qualificati» del detenuto e, in primo luogo, ai familiari. 
    Se, infatti, non puo' essere  esclusa  a  priori  l'astratta,  ed
eccezionale, eventualita' che un difensore  accetti  di  assumere  il
ruolo di illecito canale di comunicazione tra il  proprio  cliente  e
l'organizzazione  criminale  di  appartenenza  dello   stesso,   tale
possibilita' non puo' nemmeno essere assunta .a massima di esperienza
e tradotta in un enunciato normativo,  al  pari  di  quanto,  invece,
accade con parenti e conoscenti. 
    I difensori, infatti, fegati ai propri clienti  da  un  contratto
d'opera professionale anziche' da vincoli di diversa natura, sono, ha
ricordato la Corte costituzionale, «persone appartenenti ad un ordine
professionale, termite al rispetto di un  codice  deontologico  nello
specifico campo dei rapporti  con  la  giustizia  e  sottoposte  alla
vigilanza disciplinare dell'ordine  di  appartenenza»  (Corte  Cost.,
sent. n. 143 del 2013). 
    Non sembra dunque consentito presumere una generale pericolosita'
degli  scambi  epistolari  con  il  difensore  e  la   corrispondenza
intrattenuta dal detenuto,  ancorche'  soggetto  al  regime  di  cui'
all'art. 41-bis Ord. pen., con questo non puo'  essere  assimilata  a
quella intrattenuta con familiari e amici, o soggetti terzi,  sicche'
la disciplina della cui legittimita' si discute finisce con  trattare
in modo analogo situazioni  differenti,  in  patente  violazione  del
principio di eguaglianza, irragionevolmente comprimendo, altresi', il
diritto di difesa. 
    13. La normativa in esame appare ulteriormente carente, sotto  il
profilo della ragionevolezza, se confrontata con quella dettata per i
colloqui visivi e telefonici coni difensori, sottratti, per  espressa
previsione  dell'art.  41-bis  legge  26   luglio   1975,   n.   354,
all'applicazione delle  disposizioni  che  prescrivono  il  controllo
auditivo e la videoregistrazione, valevoli, invece,  per  i  colloqui
con i familiari. 
    Se si ammette l'ipotesi che  un  difensore  venga  meno  ai  suoi
doveri  deontologici  e  professionali,  e  tradisca,  cosi,   l'alta
funzione che gli e' assegnata dall'ordinamento, anche in questo caso,
cioe' in relazione alle comunicazioni che avvengono di persona o  per
telefono, non puo' escludersi in astratto il rischio che Io stesso si
presti a fungere-da illecito canale di comunicazione: al cospetto del
quale, nondimeno, il legislatore - evidentemente a cio' indotto dalla
considerazione dell'inviolabilita' del  diritto  di  difesa  e  della
natura assolutamente remota dell'ipotesi in predicato - ha scelto  di
dare  piena  tutela  al  diritto  ad  avere  comunicazioni  difensive
riservate. 
    Sicche', la censura sulle missive indirizzate al difensore, e  il
conseguente loro eventuale trattenimento, finiscono per penalizza  re
irragionevolmente e inutilmente il diritto di  difesa  -  anche  solo
attraverso l'irrimediabile ritardo che la  sottoposizione  a  censura
imprime all'inoltro e alla consegna della missiva - e  quello  ad  un
equo processo, ma non servono a neutralizzare l'astratto pericolo che
un ipotetico scambio  di  direttive  e  informazioni  per  mezzo  del
difensore avvenga con altro mezzo, nel corso di colloqui sottratti  a
controllo, con conseguente violazione del principio, a  piu'  riprese
enunciato dalla Corte Costituzionale, secondo cui,  nelle  operazioni
di bilanciamento, il decremento di tutela di un diritto  fondamentale
postula, per necessita', il corrispondente incremento  di  tutela  di
altro interesse di pari rango. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Visto l'art. 23 legge 11 marzo 1953, n. 87, dichiara rilevante  e
non manifestamente infondata, in riferimento agli artt.  3,  15,  24,
111 e 117 Cost., anche in relazione all'art.6 CEDU, la  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 41-bis, comma 2-quater, lettera
E), legge 26 luglio 1975, n. 354, nella parte in cui prevede,  per  i
detenuti sottoposti al regime di  cui  al  comma  2  e  seguenti,  la
sottoposizione  a  visto  di  censura  della  corrispondenza,   senza
escludere quella indirizzata ai difensori. 
    Sospende il presente procedimento. 
    Manda la Cancelleria per gli  adempimenti  di  cui  all'art.  23,
ultimo comma, legge 11 marzo 1953, n. 87. 
    Cosi deciso il 19 marzo 2021 
 
                      Il Presidente: Di Tomassi 
 
                                  Il Consigliere estensore: Cappuccio