N. 136 ORDINANZA 10 giugno - 1 luglio 2021

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Processo penale - Imputato gia' condannato, per il medesimo fatto,  a
  sanzione amministrativa irrevocabile  (nella  specie:  tributaria),
  sostanzialmente penale ai sensi della  giurisprudenza  della  Corte
  EDU -  Divieto  di  un  secondo  giudizio  -  Omessa  previsione  -
  Denunciata violazione del divieto convenzionale del bis in  idem  -
  Manifesta inammissibilita' delle questioni. 
- Codice di procedura penale, art. 649. 
- Costituzione,  art.  117,  primo  comma;  Protocollo  n.   7   alla
  Convenzione per la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
  liberta' fondamentali, art. 4. 
(GU n.27 del 7-7-2021 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giancarlo CORAGGIO; 
Giudici :Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria  de  PRETIS,  Nicolo'
  ZANON,  Franco  MODUGNO,  Giulio  PROSPERETTI,  Giovanni   AMOROSO,
  Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo  BUSCEMA,
  Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nei giudizi di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  649  del
codice di procedura penale promossi dalla Corte d'appello di Bologna,
sezione prima penale, con due ordinanze del 30 marzo e del  3  giugno
2020, iscritte, rispettivamente, ai numeri 121  e  164  del  registro
ordinanze  2020  e  pubblicate   nella   Gazzetta   Ufficiale   della
Repubblica, numeri 39 e 49, prima serie speciale, dell'anno 2020. 
    Visti gli atti di intervento del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del  9  giugno  2021  il  Giudice
relatore Francesco Vigano'; 
    deliberato nella camera di consiglio del 10 giugno 2021. 
    Ritenuto che con ordinanza del 30 marzo 2020 (r. o.  n.  121  del
2020), la Corte  d'appello  di  Bologna,  sezione  prima  penale,  ha
sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 649  del
codice di procedura penale, «nella parte in cui non preclude un nuovo
giudizio nel  caso  in  cui  il  medesimo  soggetto  sia  gia'  stato
giudicato per il medesimo fatto  in  un  procedimento  amministrativo
conclusosi  con  una   sanzione   amministrativa   irrevocabile,   da
considerarsi sostanzialmente penale alla  luce  dei  criteri  fissati
dalla giurisprudenza CEDU», denunciandone  il  contrasto  con  l'art.
117, primo comma, della Costituzione, in  relazione  all'art.  4  del
Protocollo n.  7  alla  Convenzione  europea  dei  diritti  dell'uomo
(CEDU); 
    che il rimettente e' investito dell'appello proposto  avverso  la
sentenza del Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale ordinario
di Ravenna, che  il  28  marzo  2018  ha  condannato  G.  G.  -  gia'
destinatario di una sanzione amministrativa irrevocabile - alla  pena
sospesa di otto mesi e dieci giorni di reclusione,  in  relazione  al
delitto di cui agli  artt.  81  del  codice  penale  e  2  (rubricato
«Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri  documenti
per operazioni inesistenti») del decreto legislativo 10  marzo  2000,
n. 74 (Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e
sul valore aggiunto, a norma dell'articolo 9 della  legge  25  giugno
1999,  n.  205),  per  avere  indicato  nelle  proprie  dichiarazioni
elementi passivi  fittizi,  avvalendosi  di  fatture  per  operazioni
inesistenti, al fine di evadere l'imposta sul valore  aggiunto  (IVA)
delle annualita' 2011 e 2012; 
    che il rimettente ritiene che nel caso sottoposto  al  suo  esame
sussista una violazione del principio del  ne  bis  in  idem  sancito
dall'art. 4 Prot. n. 7 CEDU; 
    che, infatti, la sanzione amministrativa inflitta a G. G. avrebbe
natura punitiva  secondo  i  "criteri  Engel",  poiche'  «sicuramente
rilevante e afflittiva»  e  suscettibile  di  produrre  «un  indubbio
effetto deterrente», considerato che all'interessato,  «a  fronte  di
importi indetraibili pari a euro 15.433,80 per il 2011  e  3.780  per
l'anno successivo», e' stato ingiunto di versare, oltre all'ammontare
delle imposte non pagate, l'ulteriore somma di 14.726,18 euro; 
    che non sarebbero rispettati i criteri cui la Corte  europea  dei
diritti dell'uomo, nella sentenza 15 novembre  2016,  A  e  B  contro
Norvegia, ha condizionato la conformita' all'art. 4 Prot. n.  7  CEDU
del cumulo di procedimenti e sanzioni, rispettivamente amministrativi
e penali, in materia tributaria; 
    che, in  particolare,  i  procedimenti  penale  e  amministrativo
avrebbero identico oggetto e sarebbero stati instaurati nei confronti
del medesimo soggetto, senza alcun coordinamento sul piano probatorio
(essendo  il  processo  verbale  di  contestazione  redatto  in  sede
amministrativa non integralmente utilizzabile in sede  penale)  e  in
difetto  di  sufficiente  connessione  temporale  (essendosi  i   due
procedimenti svolti in parallelo nel  solo  lasso  di  tempo  tra  il
dicembre  2015  e  il  gennaio  2016),  a  fronte  di  una   sanzione
amministrativa  gia'  adeguatamente   punitiva,   «attesa   l'entita'
significativa  della  stessa  in  rapporto  alla   concreta   lesione
cagionata al Fisco»; 
    che in una situazione siffatta non  potrebbe  che  ravvisarsi  la
violazione della garanzia convenzionale del ne  bis  in  idem,  cosi'
come ricostruita dalla piu' recente giurisprudenza  della  Corte  EDU
(sono citate le sentenze 16 aprile  2019,  Bjarni  Armannsson  contro
Islanda e 6 giugno 2019, Nodet contro Francia); 
    che l'ordinamento non offrirebbe alcun  rimedio  alla  denunciata
duplicazione procedimentale e sanzionatoria, perche' l'art. 649  cod.
proc. pen. - che vieta la sottoposizione dell'imputato, prosciolto  o
condannato con sentenza o decreto  penale  divenuti  irrevocabili,  a
nuovo procedimento penale per il medesimo fatto  -  non  annovera  il
provvedimento amministrativo irrevocabile tra  quelli  ostativi  alla
celebrazione del giudizio penale; 
    che l'art. 649 cod. proc. pen. sarebbe dunque contrario  all'art.
4 Prot. n. 7 CEDU e - conseguentemente - all'art. 117,  primo  comma,
Cost., nei termini sopra indicati; 
    che e' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che la questione di legittimita' costituzionale  sia
dichiarata inammissibile o infondata; 
    che, infatti, il giudice a quo non avrebbe indicato quale sia  la
sanzione amministrativa concretamente irrogata a G. G.,  sicche'  non
sarebbe possibile  verificare  l'effettiva  «medesimezza»  del  fatto
punito dalla norma amministrativa e da quella penale  e,  dunque,  la
sussistenza del presupposto di applicabilita' della garanzia  del  ne
bis in idem; 
    che  la  questione  sarebbe  inammissibile   anche   in   ragione
dell'insufficiente motivazione sulla rilevanza, avendo il  rimettente
solo assertivamente affermato l'insussistenza, nel  caso  di  specie,
dei presupposti di compatibilita' del  doppio  binario  sanzionatorio
con l'art. 4 Prot. n. 7 CEDU, laddove questa Corte, nella sentenza n.
222 del 2019 e nell'ordinanza n. 114 del  2020,  ha  sottolineato  la
necessita' di puntuale dimostrazione  della  violazione  di  tutti  i
criteri enunciati dalla  giurisprudenza  europea  e  osservato  come,
nell'ordinamento  italiano,   il   coordinamento   tra   procedimento
amministrativo  e  procedimento  penale  in  materia  tributaria  sia
assicurato da plurime disposizioni normative, interne ed  esterne  al
d.lgs. n. 74 del 2000; 
    che,  a  fronte  dei  plurimi  meccanismi  di  collegamento   tra
procedimento amministrativo e  penale  esistenti  nell'ordinamento  e
dell'attuale conformazione  del  ne  bis  in  idem  europeo,  sarebbe
spettato  al  giudice  a  quo  valutare  la  proporzionalita'   della
complessiva risposta sanzionatoria all'illecito commesso  da  G.  G.,
«utilizzando tutti  gli  strumenti  e  i  criteri  valutativi  a  sua
disposizione (art. 21  del  d.lgs.  74/2000  oppure  applicazione  di
circostanze attenuanti tali da ridurre la sanzione penale anche sotto
il minimo edittale)», senza alcuna necessita' di intervento sull'art.
649 cod. proc. pen; 
    che, con ordinanza del 3 giugno 2020 (r. o. n. 164 del 2020),  la
Corte d'appello  di  Bologna,  sezione  prima  penale,  ha  sollevato
un'ulteriore questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  649
cod.  proc.  pen.,  censurandolo  negli   stessi   termini   di   cui
all'ordinanza iscritta al n. 121 del r. o. 2020; 
    che il  giudice  a  quo  e'  investito  dell'appello  avverso  la
sentenza del Tribunale ordinario di Parma, che, il 17 aprile 2017, ha
condannato A.P. F. alla pena di due anni e otto mesi  di  reclusione,
in relazione al delitto di cui agli artt. 81 cod. pen. e 4 (rubricato
«Dichiarazione infedele») del  d.lgs.  n.  74  del  2000,  per  avere
indicato nelle dichiarazioni annuali d'imposta  relative  al  2010  e
2011 elementi passivi fittizi, al fine di evadere  l'IVA  e  l'IRPEF,
con evasione superiore alle soglie di punibilita'  previste  da  tale
fattispecie di reato; 
    che, in relazione ai medesimi fatti, ad A.P. F. sono  gia'  state
inflitte sanzioni amministrative, ai sensi degli  artt.  1  e  5  del
decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471 (Riforma delle  sanzioni
tributarie non penali in materia di imposte dirette, di  imposta  sul
valore aggiunto e di riscossione dei tributi, a  norma  dell'articolo
3, comma 133, lettera q, della legge 23 dicembre 1996,  n.  662),  di
importo pari a 6.642.921,70 euro per l'anno 2010 e  4.785.664,50  per
l'anno 2011, in aggiunta al pagamento delle imposte evase; 
    che anche in questo caso si sarebbe verificata una violazione del
principio del ne bis in idem di cui all'art. 4 Prot. n. 7 CEDU, cosi'
come ricostruito  nelle  sentenze  della  Corte  EDU  A  e  B  contro
Norvegia, Bjarni Armannsson contro Islanda e  Nodet  contro  Francia,
essendo stato A.P. F. gia' destinatario di sanzioni amministrative da
qualificarsi come punitive  secondo  i  "criteri  Engel",  alla  luce
dell'importo elevatissimo e in ogni caso  superiore  a  quello  delle
imposte evase  e  della  finalita'  non  meramente  restitutoria,  ma
repressiva e preventiva (e' citata la sentenza  della  Corte  EDU  27
novembre 2014, Lucky Dev contro Svezia); 
    che le sanzioni amministrative dovrebbero  ritenersi  definitive,
essendo stati gli avvisi di accertamento notificati, in data 4 luglio
2014, al curatore  del  fallimento  di  A.P.  F.  (dichiarato  il  19
dicembre 2013), che non li  ha  impugnati  nel  termine  di  sessanta
giorni, con successiva  insinuazione  di  Equitalia  al  passivo  del
fallimento medesimo; 
    che  a  produrre  l'effetto  di  definitivita'   delle   sanzioni
amministrative  sarebbe  sufficiente  la  notifica  degli  avvisi  di
accertamento al curatore (e'  citata  Corte  di  cassazione,  sezione
sesta civile, ordinanza 6 giugno 2014, n. 12789),  non  rilevando  la
mancata notifica ad A.P. F.; 
    che  il  giudice  di  prime  cure  non   avrebbe   tenuto   conto
dell'avvenuta  inflizione  di  tali  sanzioni  amministrative   nella
commisurazione  della  pena,  sicche'  il  trattamento  sanzionatorio
complessivo risulterebbe sproporzionato in  relazione  alle  condotte
poste in essere da A.P. F.; 
    che pur non essendovi stata duplicazione sul piano  probatorio  -
essendo  l'affermazione  di  responsabilita'   penale   dell'imputato
fondata  sugli  stessi  elementi  gia'  valutati   nel   procedimento
amministrativo - sarebbe mancato il  coordinamento  temporale  tra  i
procedimenti amministrativo e penale, avendo il secondo  preso  avvio
il 31 ottobre 2014, quasi due mesi dopo la conclusione del primo  (il
4 settembre 2014, sessanta giorni dopo la notifica  degli  avvisi  di
accertamento al curatore fallimentare); 
    che, pur a fronte di una conclamata violazione dell'art. 4  Prot.
n. 7 CEDU, non sarebbe praticabile un'interpretazione adeguatrice del
disposto dell'art. 649 cod. proc.  pen.,  sicche'  si  imporrebbe  il
promovimento  dell'incidente   di   costituzionalita',   secondo   le
indicazioni ricavabili dalla sentenza n. 43 del 2018 di questa Corte; 
    che anche in questo giudizio e'  intervenuto  il  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo  che  la  questione  di  legittimita'
costituzionale sia dichiarata  inammissibile,  oppure  manifestamente
infondata o infondata; 
    che il rimettente avrebbe offerto una  ricostruzione  parziale  e
insufficiente del quadro giurisprudenziale di riferimento,  omettendo
di  confrontarsi  sia  con  la  sentenza  della  Corte  di  giustizia
dell'Unione europea del 20 marzo 2018, in causa C-524/15, Menci,  sia
con la sentenza n. 222 del 2019 di questa Corte; 
    che l'ordinanza di  rimessione  sarebbe  affetta  -  quanto  alla
ricognizione  del  quadro  normativo  vigente  e  dei  meccanismi  di
raccordo tra procedimento amministrativo e  procedimento  penale  che
esso  appronta  -  dalle  medesime  lacune  argomentative  che  hanno
determinato  la  declaratoria  di  inammissibilita'  della  questione
esaminata da questa Corte nella sentenza n. 222 del 2019, sicche' non
potrebbe che seguire la medesima sorte; 
    che il rimettente avrebbe omesso di  indagare  le  ragioni  della
durata del procedimento penale, che ben potrebbe essere riconducibile
a richieste di  differimento  avanzate  dallo  stesso  imputato,  ne'
avrebbe valutato la possibilita' di mitigare  la  pena  irrogata  dal
giudice di primo grado alla luce delle sanzioni  amministrative  gia'
inflitte  ad  A.P.  F.,  cosi'  omettendo  di   fornire   un'adeguata
motivazione  quanto   all'asserita   sproporzione   del   complessivo
trattamento sanzionatorio; 
    che in  ogni  caso,  alla  luce  del  quadro  normativo  vigente,
sarebbero meramente assertive e infondate le doglianze del giudice  a
quo circa  l'assenza  di  meccanismi  di  raccordo  tra  procedimento
amministrativo e procedimento penale; 
    che, a fronte di un'evasione delle imposte del valore di  diversi
milioni   di   euro,   non   potrebbe   considerarsi   sproporzionata
l'irrogazione cumulativa, nei  confronti  di  A.P.  F.,  di  sanzioni
amministrative pari al 100 per cento delle imposte evase e della pena
della reclusione, che - se contenuta nel minimo edittale  -  potrebbe
essere soggetta a sospensione condizionale. 
    Considerato che con due ordinanze, rispettivamente del 30 marzo e
del 3 giugno 2020 (iscritte al n. 121 e al n. 164 del r. o. 2020), la
Corte d'appello  di  Bologna,  sezione  prima  penale,  ha  sollevato
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 649 del codice  di
procedura penale, «nella parte in cui non preclude un nuovo  giudizio
nel caso in cui il medesimo soggetto sia gia' stato giudicato per  il
medesimo fatto in un procedimento amministrativo conclusosi  con  una
sanzione amministrativa irrevocabile, da considerarsi sostanzialmente
penale alla luce  dei  criteri  fissati  dalla  giurisprudenza  CEDU»
(cosi' l'ordinanza n. 121  indicata,  e  in  termini  sostanzialmente
identici anche l'ordinanza n. 164, parimenti indicata), denunciandone
il contrasto con l'art. 117,  primo  comma,  della  Costituzione,  in
relazione all'art. 4 del Protocollo n. 7 alla Convenzione europea dei
diritti dell'uomo (CEDU); 
    che le ordinanze di  rimessione  sollevano  questioni  identiche,
concernenti la medesima  disposizione,  sicche'  i  relativi  giudizi
vanno riuniti per essere definiti con unica decisione; 
    che la questione sollevata dall'ordinanza n. 121 del r.  o.  2020
e' manifestamente inammissibile, non avendo il rimettente  richiamato
ne' descritto le previsioni normative in forza delle quali a G. G. e'
stata irrogata la sanzione amministrativa dell'importo  di  14.726,18
euro, che il giudice a quo ritiene punisca gia'  sufficientemente  la
condotta posta in essere dall'imputato; 
    che, «per  costante  giurisprudenza  costituzionale,  l'omessa  o
insufficiente descrizione della fattispecie oggetto  del  giudizio  a
quo - non emendabile mediante la diretta lettura degli atti, preclusa
dal principio di autosufficienza  dell'ordinanza  di  rimessione  (ex
plurimis, ordinanze n. 64 del 2019 e n. 185  del  2013)  -  determina
l'inammissibilita' della questione di legittimita' costituzionale, in
quanto impedisce di verificare la sua effettiva rilevanza (da ultimo,
ex plurimis, ordinanze n. 108 del 2020, n. 203 e n. 64 del  2019,  n.
191 e n. 64 del 2018, n. 210 del 2017)» (ordinanza n. 147 del 2020); 
    che,  nel  caso  di  specie,  l'insufficiente  descrizione  della
fattispecie impedisce di  verificare  l'effettiva  "medesimezza"  del
fatto punito dalla norma amministrativa e  da  quella  penale,  e  di
svolgere    qualsiasi    considerazione    circa    l'identita'     o
complementarieta'  degli  scopi  perseguiti  dalle   due   previsioni
sanzionatorie; 
    che  non  e'  pertanto  possibile  verificare  i  presupposti  di
applicabilita' della garanzia del ne bis in idem di  cui  all'art.  4
Prot. n. 7 CEDU, e, dunque, acclarare se  il  rimettente  debba  fare
applicazione del censurato art. 649 cod. proc. pen., sicche'  risulta
indimostrata  la  rilevanza  della  questione,  con  conseguente  sua
manifesta inammissibilita'; 
    che la questione sollevata dall'ordinanza n. 164 del r.  o.  2020
e' parimenti manifestamente inammissibile; 
    che il rimettente muove dal  presupposto  interpretativo  che  le
sanzioni  amministrative  irrogate  ad  A.P.  F.   siano   definitive
(condizione  per  l'applicabilita'  del  divieto  di  bis  in  idem),
ritenendo sufficiente, a tal fine, l'avvenuta notifica  degli  avvisi
di accertamento al curatore del fallimento di A.P. F., che non li  ha
impugnati; 
    che, nel delineare tale presupposto interpretativo, il giudice  a
quo richiama una pronuncia  di  legittimita'  (Corte  di  cassazione,
sezione sesta civile, ordinanza 6 giugno 2014, n. 12789) relativa  al
diverso  tema  dell'opponibilita'  al   fallimento   dell'avviso   di
accertamento notificato personalmente  al  solo  fallito  (e  non  al
curatore fallimentare), ma omette di confrontarsi con  l'orientamento
della  giurisprudenza  di  legittimita'  secondo  cui,   ove   l'atto
impositivo inerente a crediti tributari i cui  presupposti  si  siano
determinati prima della dichiarazione di fallimento del  contribuente
o nel periodo d'imposta in  cui  tale  dichiarazione  e'  intervenuta
venga notificato al solo curatore, il contribuente fallito,  restando
esposto   ai   riflessi,   anche   sanzionatori,   conseguenti   alla
definitivita' dell'atto impositivo, e'  eccezionalmente  abilitato  a
impugnarlo  in  caso  di  inerzia  degli   organi   della   procedura
fallimentare (Corte di cassazione, sezione sesta civile, ordinanza 16
ottobre 2019, n. 26127; sezione  quinta  civile,  sentenze  29  marzo
2017, n. 8034 e 11 maggio 2017, n. 11618), con la conseguenza che, in
difetto  di  impugnazione  da  parte  della  curatela,   la   pretesa
tributaria  e'  inefficace  nei  confronti  del  fallito   e   l'atto
impositivo non  diventa  definitivo  (Corte  di  cassazione,  sezione
quinta civile, sentenze 18 marzo 2016, n. 5392 e 19  marzo  2007,  n.
6476); 
    che,  in  disparte  tale  profilo,  la  questione   e'   comunque
manifestamente inammissibile per insufficiente motivazione in  ordine
alla rilevanza; 
    che, invero, nella  sentenza  n.  222  del  2019  -  con  cui  il
rimettente non si confronta - questa Corte ha giudicato inammissibile
una questione di legittimita' costituzionale dell'art. 649 cod. proc.
pen. per contrasto con l'art. 117, primo comma, Cost.,  in  relazione
all'art. 4 Prot. n. 7 CEDU (e implicitamente all'art. 50 della  Carta
dei diritti fondamentali dell'Unione europea), ritenendo che l'allora
giudice rimettente non avesse dimostrato  la  non  conformita'  della
disciplina censurata a tutti i criteri enunciati dalla giurisprudenza
europea; 
    che, nel caso di specie, il rimettente si limita ad affermare che
le sanzioni  amministrative  inflitte  ad  A.P.  F.  sono  di  natura
punitiva, che non sono state considerate in  sede  di  commisurazione
della pena per il delitto di cui all'art. 4 del d.lgs. n. 74 del 2000
nel giudizio di primo  grado,  e  che  e'  mancato  un  coordinamento
temporale tra i procedimenti amministrativo  e  penale,  senza  pero'
chiarire perche' le sanzioni amministrative pecuniarie e la  sanzione
penale detentiva perseguirebbero la stessa finalita' (atteso  che  la
seconda e' riservata alla punizione delle condotte sopra  determinate
soglie) e senza dare conto delle disposizioni normative,  interne  ed
esterne al corpus normativo del d.lgs. n. 74 del 2000, che regolano i
rapporti tra procedimento amministrativo  e  procedimento  penale  in
materia  tributaria,  per  saggiarne  la  portata,  in   termini   di
introduzione di elementi  di  raccordo  tra  adempimento  del  debito
tributario da un lato, e svolgimento ed esito  del  processo  penale,
dall'altro lato (sentenza n. 222 del 2019); 
    che tali lacune  argomentative  si  riverberano  sulla  rilevanza
della questione, con  conseguente  manifesta  inammissibilita'  della
stessa (sentenza n. 222 del 2019; ordinanza n. 114 del 2020). 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    riuniti i giudizi, 
    dichiara   manifestamente   inammissibili   le    questioni    di
legittimita' costituzionale dell'art. 649  del  codice  di  procedura
penale, sollevate, in riferimento all'art. 117,  primo  comma,  della
Costituzione, in relazione  all'art.  4  del  Protocollo  n.  7  alla
Convenzione  europea  dei  diritti  dell'uomo  (CEDU),  dalla   Corte
d'appello di Bologna, sezione prima penale, con le ordinanze indicate
in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 10 giugno 2021. 
 
                                F.to: 
                   Giancarlo CORAGGIO, Presidente 
                    Francesco VIGANO', Redattore 
             Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria 
 
    Depositata in Cancelleria l'1 luglio 2021. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA