N. 143 SENTENZA 26 maggio - 8 luglio 2021

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Reati e pene - Concorso di  circostanze  aggravanti  e  attenuanti  -
  Prevalenza della circostanza attenuante  della  lieve  entita'  del
  fatto introdotta dalla sentenza costituzionale n. 68 del  2012,  in
  relazione al reato di sequestro di persona a scopo  di  estorsione,
  sulla circostanza aggravante della recidiva reiterata -  Esclusione
  - Violazione del principio di  uguaglianza  e  di  proporzionalita'
  della pena - Illegittimita' costituzionale in parte qua. 
- Codice penale, art. 69, quarto comma. 
- Costituzione, artt. 3, 25 e 27. 
(GU n.28 del 14-7-2021 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giancarlo CORAGGIO; 
Giudici :Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria  de  PRETIS,  Nicolo'
  ZANON,  Augusto  Antonio  BARBERA,  Giulio  PROSPERETTI,   Giovanni
  AMOROSO, Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano PETITTI,  Angelo
  BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 69,  quarto
comma, del codice penale, promosso dalla Corte di  cassazione,  prima
sezione penale, nel procedimento penale a carico di G. B., S. B e  S.
S., con ordinanza dell'8 settembre  2020,  iscritta  al  n.  158  del
registro ordinanze 2020 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 47, prima serie speciale, dell'anno 2020. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 26  maggio  2021  il  Giudice
relatore Giovanni Amoroso; 
    deliberato nella camera di consiglio del 26 maggio 2021. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza dell'8 settembre 2020 (reg.  ord.  n.  158  del
2020) la Corte di cassazione, prima sezione penale, ha sollevato,  in
riferimento agli artt. 3, 25 e 27 della  Costituzione,  questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 69, quarto  comma,  del  codice
penale, come sostituito dall'art. 3 della legge 5 dicembre  2005,  n.
251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n.  354,
in materia di attenuanti  generiche,  di  recidiva,  di  giudizio  di
comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di
prescrizione), nella parte in cui prevede il  divieto  di  prevalenza
dell'attenuante del «fatto  di  lieve  entita'»  -  introdotta  dalla
sentenza n. 68 del 2012 della Corte costituzionale, in  relazione  al
reato di sequestro di persona a scopo di estorsione di  cui  all'art.
630 cod. pen. - sulla circostanza aggravante della  recidiva  di  cui
all'art. 99, quarto comma, cod. pen. 
    1.1.- Nel piu' ampio contesto di un'associazione  per  delinquere
finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, a  cinque  imputati
e' stato contestato, in  particolare,  il  delitto  di  sequestro  di
persona a scopo di estorsione, ai sensi dell'art. 630 cod. pen.,  con
l'aggravante di cui all'art. 112, primo comma, numero 1), cod.  pen.,
per il numero dei concorrenti nel reato. Gli imputati, condannati  in
primo  grado  dal  Giudice  dell'udienza  preliminare  del  Tribunale
ordinario di Bari e in appello dalla Corte di assise  di  appello  di
Bari, hanno proposto ricorso per cassazione con motivi che  attengono
esclusivamente alla determinazione della pena. 
    In particolare, contrariamente a quanto valutato dal  giudice  di
primo grado, la Corte di  assise  di  appello,  facendo  applicazione
della sentenza di questa Corte n. 68 del  2012,  ha  riconosciuto  in
favore degli imputati l'attenuante  del  «fatto  di  lieve  entita'»,
trattandosi del sequestro operato per poche ore nei confronti  di  un
associato, al fine di costringerlo a versare la somma di 1.400  euro,
quale ricavato della vendita di una piccola quantita' di stupefacente
affidatagli, e al fine di ottenere  la  restituzione  della  pistola,
appartenente  al  sodalizio  criminale   e   della   quale   si   era
impossessato. 
    Quanto alla determinazione delle pene nei  confronti  dei  cinque
imputati, la Corte di assise d'appello ha diversificato le posizioni. 
    Per due imputati, ai quali non e' stata contestata  la  recidiva,
la Corte territoriale ha riconosciuto l'attenuante  di  cui  all'art.
311 cod. pen.,  in  via  prevalente  sull'aggravante  del  numero  di
persone, con conseguente rilevante diminuzione della pena complessiva
rispetto a quella inflitta in primo grado. 
    Per  gli  altri  tre  imputati,  invece,  la  Corte,  stante   la
contestazione della recidiva ai sensi  dell'art.  99,  quarto  comma,
cod. pen. e la ritenuta  sua  operativita',  ha  potuto  valutare  la
diminuente solo come equivalente  all'aggravante  contestata  e  alla
recidiva stessa, e ha conseguentemente confermato la pena  finale  di
anni venti di reclusione, inflitta dal giudice  di  primo  grado.  In
particolare, la Corte di appello ha adottato come pena  base  per  il
calcolo della pena complessiva il minimo edittale previsto  dall'art.
630 cod. pen., pari a venticinque  anni  di  reclusione;  l'ha,  poi,
aumentata, per la continuazione con gli altri reati contestati ai tre
imputati, ad una pena superiore  a  trenta  anni  di  reclusione;  ha
applicato il limite di cui all'art. 78 cod. pen., determinando  cosi'
la pena in anni trenta di reclusione, ridotta di un terzo per il rito
abbreviato. 
    1.2.- Quanto alla non manifesta infondatezza, la rimettente Corte
di cassazione sottolinea che nella citata sentenza  n.  68  del  2012
questa Corte ha affermato che la funzione dell'attenuante del  «fatto
di lieve  entita'»  e'  quella  di  mitigare  una  risposta  punitiva
improntata ad  eccezionale  asprezza  «e  che,  proprio  per  questo,
rischia di rivelarsi incapace  di  adattamento  alla  varieta'  delle
situazioni concrete riconducibili al  modello  legale».  Inoltre,  la
Corte rimettente ha  ravvisato  la  violazione  dell'art.  27,  comma
terzo, Cost., «nel suo valore fondante, in combinazione con l'art.  3
della Costituzione, del principio di proporzionalita' della  pena  al
fatto concretamente commesso, sul rilievo che  una  pena  palesemente
sproporzionata - e, dunque - inevitabilmente avvertita come  ingiusta
dal condannato - vanifica, gia' a livello di comminatoria legislativa
astratta, la finalita' rieducativa». 
    La rimettente passa  poi  in  rassegna  le  plurime  sentenze  di
parziale illegittimita' costituzionale dell'art.  69,  quarto  comma,
cod. pen., come sostituito dall'art. 3 della legge n. 251  del  2005,
e, in primo luogo, richiama la sentenza di questa Corte  n.  251  del
2012 che - nel dichiarare costituzionalmente illegittimo  il  divieto
di prevalenza della circostanza attenuante di cui all'art. 73,  comma
5, del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309  (Testo  unico  delle  leggi  in
materia di  disciplina  degli  stupefacenti  e  sostanze  psicotrope,
prevenzione,  cura   e   riabilitazione   dei   relativi   stati   di
tossicodipendenza), sulla recidiva di cui all'art. 99, quarto  comma,
cod. pen. - ha rimarcato come due fatti, quelli previsti dal primo  e
dal quinto comma dell'art. 73,  che  lo  stesso  assetto  legislativo
riconosce come profondamente  diversi  sul  piano  dell'offensivita',
siano ricondotti  alla  medesima  cornice  edittale  con  conseguente
violazione  del  principio  di  uguaglianza  (art.  3  Cost.)  e  del
principio di proporzionalita' della pena (art. 27 Cost.). Il  divieto
di prevalenza di cui alla norma  censurata  impedisce  il  necessario
adeguamento della pena, connotando la  risposta  punitiva  come  pena
palesemente sproporzionata, avvertita come ingiusta  dal  condannato,
nonche' contrastante con la finalita' rieducativa della stessa. 
    La rimettente si sofferma, altresi', sulle  successive  decisioni
di questa Corte,  tutte  parimenti  dichiarative  dell'illegittimita'
costituzionale della stessa disposizione  attualmente  censurata,  in
riferimento ad altrettante specifiche ipotesi di reato. 
    Anche nella fattispecie - conclude la Corte di  cassazione  -  e'
costituzionalmente  illegittimo  il  divieto  di   prevalenza   della
circostanza attenuante del «fatto di  lieve  entita'»  nel  reato  di
sequestro di persona a scopo di estorsione, pur  trattandosi  di  una
diminuente  comune,  che  pero'  ha  una   necessaria   funzione   di
riequilibrio dell'eccezionale asprezza del trattamento  sanzionatorio
previsto dall'art. 630 cod. pen. 
    1.3.- In definitiva, l'impossibilita' per il giudice di  ritenere
prevalente, sulla recidiva reiterata, la  diminuente  del  «fatto  di
lieve entita'» comporta - secondo la Corte rimettente - la violazione
degli  artt.  3,  25  e  27  Cost.  Tali  questioni  di  legittimita'
costituzionale sarebbero, inoltre, rilevanti in  quanto  decisive  al
fine dell'accoglimento, o no, dei motivi di  ricorso  per  cassazione
che censurano la misura della pena inflitta ai tre imputati. 
    2.- Con atto del 9 dicembre 2020, e' intervenuto in  giudizio  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale dello  Stato,  chiedendo  che  le  questioni
siano dichiarate non fondate. 
    Innanzi tutto la difesa statale  pone  in  rilievo  il  carattere
facoltativo della recidiva  reiterata  di  cui  all'art.  99,  quarto
comma, cod. pen. 
    Una  volta  caduto  il  presupposto  dell'obbligatorieta'   della
recidiva reiterata, come ritenuto nelle sentenze n. 145 del 2018 e n.
120 del 2017 di questa Corte, il  giudice,  ad  avviso  della  difesa
statale, e' tenuto ad applicare l'aumento di  pena  previsto  per  la
recidiva  reiterata  solo  qualora  ritenga  che  il  nuovo  episodio
delittuoso sia concretamente significativo in rapporto alla natura  e
al tempo di commissione dei precedenti e avuto riguardo ai  parametri
indicati dall'art.  133  cod.  pen.,  sotto  il  profilo  della  piu'
accentuata colpevolezza  e  della  maggiore  pericolosita'  del  reo.
Sicche' non c'e' alcun automatismo nell'effetto  preclusivo  di  tale
circostanza aggravante. 
    Comunque  -  osserva  l'Avvocatura   -   l'attuale   formulazione
dell'art. 69, quarto comma, cod. pen., costituisce il punto di arrivo
di un'evoluzione  legislativa  dei  criteri  di  bilanciamento  delle
circostanze non omogenee, aggravanti e  attenuanti.  La  disposizione
censurata, in particolare, risponde all'esigenza  di  assicurare  una
sanzione piu' rigorosa per un fatto caratterizzato  da  un  grado  di
pericolosita' e di lesivita' piu' intenso proprio  in  ragione  della
recidiva  reiterata,  che   comporta   un   aumento   di   pena,   in
considerazione di un comportamento addebitabile al condannato, il cui
effetto e' proporzionato alla gravita' oggettiva e  soggettiva  dello
stesso. 
    Secondo la  l'Avvocatura,  la  disposizione  censurata,  tesa  ad
offrire una risposta ad un fenomeno che genera allarme  sociale,  non
appare in contrasto con il principio di eguaglianza, ne' comporta una
misura sproporzionata della pena, in  quanto  tende  ad  attuare  una
forma di prevenzione generale, inasprendo il regime sanzionatorio per
gli imputati recidivi. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con ordinanza dell'8 settembre 2020 (reg.  ord.  n.  158  del
2020) la Corte di cassazione ha sollevato, in riferimento agli  artt.
3,  25  e  27   della   Costituzione,   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 69, quarto comma, del  codice  penale,  come
sostituito dall'art. 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche
al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in  materia  di
attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione  delle
circostanze di reato per i recidivi, di  usura  e  di  prescrizione),
nella parte in cui prevede il divieto di  prevalenza  dell'attenuante
del «fatto di lieve entita'» - introdotta dalla sentenza  n.  68  del
2012 di questa Corte, in relazione al reato di sequestro di persona a
scopo di estorsione di cui all'art. 630 cod. pen. - sulla circostanza
aggravante della recidiva reiterata di cui all'art. 99, quarto comma,
cod. pen. 
    La Corte di cassazione riferisce di essere investita con  ricorso
avverso la sentenza della Corte di assise di appello di Bari, che, in
un contesto processuale piu'  ampio  (di  associazione  a  delinquere
finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti), ha in  particolare
accertato la penale responsabilita'  di  cinque  imputati,  per  aver
concorso nel delitto di sequestro di persona a scopo  di  estorsione,
ai sensi dell'art. 630 cod. pen., con l'aggravante  di  cui  all'art.
112, primo comma, numero 1), cod. pen., per il numero dei concorrenti
nel reato. 
    La Corte di assise di appello, diversamente dal giudice di  primo
grado, ha  riconosciuto  in  favore  degli  imputati  la  circostanza
attenuante del fatto di lieve entita',  introdotta  a  seguito  della
dichiarazione di illegittimita' costituzionale di cui  alla  sentenza
n. 68 del 2012, atteso che il sequestro si  era  protratto  solo  per
poche ore nei confronti di un associato al  fine  di  costringerlo  a
versare la somma di 1.400 euro, quale ricavato della vendita  di  una
piccola quantita' di stupefacente affidatagli,  e  a  restituire  una
pistola appartenente al sodalizio criminale. 
    Pero', nella determinazione della pena nei confronti  dei  cinque
imputati, la Corte territoriale ha diversificato le  loro  posizioni.
Mentre   l'attenuante   predetta   e'   stata   ritenuta   prevalente
sull'aggravante del numero di persone per due imputati, ai quali  non
era  stata  contestata  la  recidiva,   con   conseguente   rilevante
diminuzione della pena complessiva  rispetto  a  quella  inflitta  in
primo grado; per gli altri tre imputati,  invece,  la  diminuente  e'
stata  ritenuta  solo  equivalente  all'aggravante   della   recidiva
reiterata, stante la preclusione posta dall'art.  69,  quarto  comma,
cod. pen., con conseguente conferma della pena finale di  anni  venti
di reclusione, inflitta dal giudice di primo grado. 
    La Corte di cassazione rimettente - nel dare atto che i motivi di
ricorso attengono esclusivamente alla determinazione della pena,  non
essendo in discussione la responsabilita' degli  imputati  -  ritiene
che, in applicazione  dei  principi  affermati  da  questa  Corte  in
numerose dichiarazioni di  illegittimita'  costituzionale  aventi  ad
oggetto la medesima disposizione attualmente impugnata, la previsione
del divieto di prevalenza dell'attenuante del fatto di lieve entita',
riconosciuta in relazione all'art.  630  cod.  pen.,  sulla  recidiva
reiterata di cui all'art. 99, quarto comma, cod. pen.,  si  ponga  in
contrasto con gli artt. 3, 25 e 27 Cost. 
    In   particolare,   la   Corte   rimettente   osserva   che,   in
considerazione    dell'eccezionale    asprezza    del     trattamento
sanzionatorio previsto dall'art. 630 cod. pen.,  l'impossibilita'  di
applicare la diminuzione di pena prevista dall'attenuante  in  esame,
secondo  un  giudizio   di   prevalenza,   lede   il   principio   di
proporzionalita'  della  pena  in  quanto  impedisce  il   necessario
adeguamento della stessa al fatto di particolare tenuita'. 
    Per effetto del divieto di prevalenza dell'attenuante  del  fatto
di  lieve  entita'  sull'aggravante  della  recidiva   reiterata   si
determinerebbe un trattamento sanzionatorio  sproporzionato  rispetto
al reato commesso, che sarebbe percepito come ingiusto dal condannato
e, percio', risulterebbe inidoneo a svolgere la funzione  rieducativa
prescritta dall'art. 27 Cost. Cio' ridonderebbe anche  in  violazione
del principio di eguaglianza in ragione dell'ingiustificatezza  della
risposta sanzionatoria,  cosi'  marcatamente  differenziata  rispetto
agli imputati concorrenti nel reato. 
    2.- In via preliminare, deve osservarsi che sussiste la rilevanza
delle  questioni  in  quanto,  come  evidenziato  nell'ordinanza   di
rimessione,  i   motivi   di   ricorso   per   cassazione   attengono
esclusivamente alla determinazione della pena inflitta dal giudice di
appello. 
    E' vero che - come giustamente sottolinea  l'Avvocatura  generale
dello Stato - la circostanza aggravante della recidiva  reiterata  ai
sensi dell'art. 99, quarto comma, cod. pen. e' facoltativa e non gia'
obbligatoria, come affermato da questa Corte  (sentenza  n.  120  del
2017 e ordinanza n. 145 del  2018).  E  tale  e'  divenuta  anche  la
recidiva di cui al quinto comma dello stesso  art.  99  cod.  pen.  a
seguito della dichiarazione di illegittimita' costituzionale  di  cui
alla sentenza n. 185 del 2015. 
    Va infatti ribadito che, in generale, il  giudice  e'  tenuto  ad
applicare «l'aumento di pena previsto per la recidiva reiterata  solo
qualora  ritenga   il   nuovo   episodio   delittuoso   concretamente
significativo - in rapporto alla natura ed al  tempo  di  commissione
dei precedenti, ed avuto riguardo ai parametri indicati dall'art. 133
cod. pen. - sotto il profilo della  piu'  accentuata  colpevolezza  e
della maggiore pericolosita' del reo» (sentenza n. 120 del  2017).  E
quindi  al  giudice  e'  sempre  consentito  «negare   la   rilevanza
aggravatrice  della  recidiva  ed  escludere  la   circostanza,   non
applicando il relativo aumento della sanzione» (sentenza n.  185  del
2015). 
    Cio',  pero',  non  revoca  in  dubbio   la   plausibilita'   del
presupposto interpretativo dal quale muove  la  Corte  di  cassazione
rimettente, che e' investita con il ricorso con cui  i  tre  imputati
recidivi contestano solo la misura della pena e non censurano  invece
la sentenza della Corte di assise d'appello nella  parte  in  cui  ha
ritenuto applicabile tale aggravante, pur non obbligatoria. 
    Sussiste, quindi,  la  rilevanza  delle  sollevate  questioni  di
legittimita' costituzionale. 
    3.- Nel merito, le questioni sono fondate  con  riferimento  agli
artt. 3, primo comma, e 27, terzo comma, Cost. 
    4.- Giova premettere che originariamente il reato di sequestro di
persona a scopo di estorsione era punito con la pena della reclusione
da otto a quindici anni, oltre  che  con  la  pena  pecuniaria  della
multa. 
    A seguito dell'allarme sociale provocato, negli anni Settanta, da
numerosi episodi di sequestro di persona per conseguire  il  riscatto
per la liberazione - posti in  essere  da  pericolose  organizzazioni
criminali, spesso con efferate modalita'  esecutive  e  connotate  di
norma dal rischio della perdita della vita per il sequestrato, non di
rado con l'esito della morte di  quest'ultimo  -  il  legislatore  ha
adottato plurimi interventi di contrasto (artt. 5 e 6 della legge  14
ottobre 1974, n. 497, recante «Nuove norme contro  la  criminalita'»;
art. 2 del decreto-legge 21 marzo 1978, n. 59, recante «Norme  penali
e processuali per la prevenzione e la repressione  di  gravi  reati»,
convertito, con modificazioni, in legge 18 maggio  1978,  n.  191)  -
normativa  questa  avente  «i  tratti   tipici   della   legislazione
"emergenziale"»  (sentenza  n.  68  del  2012)  -  e  infine  si   e'
determinato a  innalzare  notevolmente  le  pene  edittali,  sia  nel
minimo, sia nel massimo, sostituendo interamente l'art. 630 cod. pen.
(art. 1 della legge 30 dicembre  1980,  n.  894,  recante  «Modifiche
all'articolo 630  del  codice  penale»),  ma  lasciando  immutata  la
descrizione della fattispecie del reato. 
    In tale nuova formulazione l'art. 630 cod. pen.  ha  previsto  al
primo comma - e prevede tuttora - che chiunque sequestra una  persona
allo scopo di conseguire, per se' o per altri, un  ingiusto  profitto
come  prezzo  della  liberazione  e'  punito  con  la  reclusione  da
venticinque a trenta anni. 
    Il minimo della pena detentiva (venticinque anni  di  reclusione)
e'  stato,  quindi,  piu'  che   quadruplicato,   risultando   essere
addirittura piu' elevato - e non di poco -  di  quello  previsto  per
l'omicidio volontario  (punito,  nel  minimo,  con  ventuno  anni  di
reclusione: art. 575 cod.  pen.).  Inoltre,  il  massimo  della  pena
(trenta anni di reclusione) e' stato raddoppiato e portato al  limite
estremo della pena detentiva (art. 78 cod. pen.), ben oltre il limite
massimo  di  durata  della  reclusione  stabilito  in  via   generale
dall'art. 23, primo comma, cod. pen., in ventiquattro anni. 
    Questa  Corte,  investita   della   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 630 cod. pen., non ha mancato  di  osservare
che si e' trattato di  «una  risposta  sanzionatoria  di  eccezionale
asprezza»  (sentenza  n.  68  del  2012),  che  finiva  per   trovare
applicazione anche a condotte di assai  minore  gravita'  rispetto  a
quelle   che   la   richiamata   normativa   emergenziale   intendeva
contrastare, ma non di meno rientranti nella fattispecie del reato di
sequestro a scopo di estorsione, pur potendo  trattarsi  di  «episodi
marcatamente dissimili,  sul  piano  criminologico  e  del  tasso  di
disvalore,  rispetto  a  quelli  avuti  di   mira   dal   legislatore
dell'emergenza»; episodi che non vedono il pericolo di  vita  per  la
persona  sequestrata  e  che  non  si  inseriscono  in  un   contesto
associativo criminale  mirato  proprio  a  perpetrare  tali  condotte
delittuose. 
    Basti pensare che la giurisprudenza riconosce la  sussistenza  di
tale reato anche nell'ipotesi di  sequestri  di  breve  o  brevissima
durata o quando l'autore persegue l'intento di ottenere dalla persona
sequestrata una prestazione patrimoniale alla quale ritiene  di  aver
diritto (Corte di  cassazione,  sezioni  unite  penali,  sentenza  17
dicembre 2003-20 gennaio  2004,  n.  962)  o  finanche  l'intento  di
conseguire un vantaggio non patrimoniale, seppur ingiusto  (Corte  di
cassazione, quinta sezione penale, sentenza 13 gennaio-1° marzo 2016,
n. 8352). 
    La possibilita' di ricomprendere nella fattispecie di reato anche
fatti  di   minore   gravita'   e'   la   ragione   dell'introduzione
dell'attenuante ad opera dell'art. 3, terzo  comma,  della  legge  26
novembre 1985, n.  718  (Ratifica  ed  esecuzione  della  convenzione
internazionale contro la cattura degli ostaggi, aperta alla  firma  a
New York il 18 dicembre 1979), in riferimento al delitto  -  previsto
dal medesimo art. 3 - di sequestro di ostaggi: attenuante (ad effetto
speciale) in forza della quale «[s]e il fatto e' di lieve entita'  si
applicano le  pene  previste  dall'articolo  605  del  codice  penale
aumentate dalla meta' a due terzi». 
    L'art. 311 cod. pen. stabilisce, poi, che le pene comminate per i
delitti previsti dal Titolo I del Libro II del medesimo codice - vale
a dire, i delitti contro la personalita' dello  Stato,  tra  i  quali
rientra il sequestro terroristico o eversivo (art. 289-bis cod. pen.)
- «sono diminuite quando per  la  natura,  la  specie,  i  mezzi,  le
modalita'  o  circostanze  dell'azione,  ovvero  per  la  particolare
tenuita' del  danno  o  del  pericolo,  il  fatto  risulti  di  lieve
entita'». 
    Muovendo proprio dalla comparazione con tale  ultima  fattispecie
di reato, punita anch'essa con la reclusione da venticinque a  trenta
anni,  questa  Corte  (sentenza  n.  68   del   2012)   ha   ritenuto
ingiustificato  il  trattamento  sanzionatorio  differenziato  e   ha
dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art.  630  cod.  pen.
nella parte in cui non prevede che  la  pena  da  esso  comminata  e'
diminuita «quando per la natura, la specie, i mezzi, le  modalita'  o
circostanze dell'azione, ovvero per la particolare tenuita' del danno
o del pericolo, il fatto risulti di lieve entita'». 
    E' significativo, in particolare, che la  Corte  abbia  posto  in
rilievo che la funzione di tale attenuante, pur comune e non gia'  ad
effetto speciale, «consiste propriamente nel mitigare -  in  rapporto
ai soli profili  oggettivi  del  fatto  (caratteristiche  dell'azione
criminosa, entita' del danno o del pericolo) - una risposta  punitiva
improntata a eccezionale asprezza e che, proprio per questo,  rischia
di rivelarsi incapace di adattamento alla varieta'  delle  situazioni
concrete riconducibili al modello legale». 
    Si tratta quindi di un'attenuante che, ove ricorra il presupposto
del  «fatto  di  lieve  entita'»,  svolge  una  necessaria   funzione
riequilibratrice di una pena particolarmente elevata, introdotta  per
una specifica ragione di politica criminale in un determinato momento
storico,  ma  rimasta  immutata  in  seguito  nella  stessa   cornice
edittale. 
    5.- Orbene, quando la circostanza attenuante del «fatto di  lieve
entita'» concorre con l'aggravante della recidiva reiterata  prevista
dall'art. 99, quarto comma, cod. pen., si  ha  che  il  giudice,  nel
bilanciamento delle circostanze, non puo'  ritenere  prevalente  tale
diminuente, rimanendo possibile,  a  favore  dell'imputato,  solo  il
giudizio di equivalenza. 
    La legge n. 251 del 2005 ha, infatti, riformulato il quarto comma
dell'art. 99 cod. pen., introducendo  il  divieto  di  prevalenza  di
qualsiasi   circostanza   attenuante   sulla   recidiva    reiterata,
precludendo cosi' in modo assoluto al giudice di  applicare,  in  tal
caso, la relativa diminuzione di pena fino a un terzo. 
    In generale, come piu' volte rilevato da questa Corte, deroghe al
regime ordinario del bilanciamento tra circostanze, come disciplinato
dall'art. 69 cod.  pen.,  sono  si'  costituzionalmente  legittime  e
rientrano nell'ambito delle scelte discrezionali del legislatore,  ma
sempre  che  non  «trasmodino  nella  manifesta  irragionevolezza   o
nell'arbitrio» (sentenze n. 205 del 2017 e n. 68 del 2012;  in  senso
conforme, sentenza n.  88  del  2019),  non  potendo  in  alcun  caso
giungere    «a    determinare    un'alterazione    degli    equilibri
costituzionalmente imposti sulla strutturazione della responsabilita'
penale» (sentenze n. 73 del 2020 e n. 251 del 2012). 
    In particolare, pero', l'art. 99, quarto comma,  cod.  pen.,  nel
testo risultante dalla legge n. 251 del 2005,  e'  stato  oggetto  di
numerose dichiarazioni di illegittimita'  costituzionale,  che  hanno
restituito  al  giudice  la  possibilita'  di  ritenere,  nell'ambito
dell'obbligatorio  giudizio  di   bilanciamento   delle   circostanze
eterogenee, la prevalenza,  rispetto  all'aggravante  della  recidiva
reiterata,  di  singole  circostanze  attenuanti,  che   sono   state
distintamente, di volta in volta, oggetto di verifica di legittimita'
costituzionale. 
    Nella maggior parte dei casi venuti all'esame di questa Corte  le
dichiarazioni  di  illegittimita'  costituzionale  hanno   riguardato
circostanze espressive di un minor disvalore della condotta dal punto
di vista della sua portata offensiva, in quanto riferite alla  minore
gravita'  del  fatto:  cosi'  la  «lieve  entita'»  nel  delitto   di
produzione e traffico illecito di stupefacenti (sentenza n.  251  del
2012);  la  «particolare  tenuita'»  nel  delitto   di   ricettazione
(sentenza n. 105 del 2014);  la  «minore  gravita'»  nel  delitto  di
violenza sessuale (sentenza n. 106 del 2014); il «danno  patrimoniale
di speciale tenuita'» nei delitti di bancarotta e ricorso abusivo  al
credito (sentenza n. 205 del 2017). 
    Parimenti nella fattispecie in esame del sequestro di  persona  a
scopo di estorsione (art. 630  cod.  pen.)  viene  in  rilievo,  come
possibile diminuente, una condotta di  minore  offensivita',  che  e'
tale quando «per la natura,  la  specie,  i  mezzi,  le  modalita'  o
circostanze dell'azione, ovvero per la particolare tenuita' del danno
o del pericolo, il fatto risulti di lieve entita'». 
    Pero', il parallelismo con le fattispecie  oggetto  delle  citate
pronunce  non  e'  pieno  perche'  queste  ultime  hanno   riguardato
attenuanti a effetto speciale, tali essendo quelle che comportano una
diminuzione maggiormente significativa della pena, perche'  superiore
ad  un  terzo  (art.  63,  terzo  comma,  cod.  pen.),  mentre  nella
fattispecie  in  esame  la  diminuente  del  «fatto  [...]  di  lieve
entita'», che la piu' volte richiamata sentenza n.  68  del  2012  di
questa Corte ha inserito, con pronuncia additiva, nell'art. 630  cod.
pen., integra una circostanza attenuante ad effetto comune. 
    6.- In tempi piu' recenti, pero', questa Corte e'  andata  oltre,
dichiarando l'illegittimita' costituzionale della stessa disposizione
attualmente censurata anche in riferimento a  circostanze  attenuanti
comuni in ragione di altri concorrenti profili di specialita'. 
    La diminuente del vizio parziale di mente di cui all'art. 89 cod.
pen. e' stata ritenuta espressiva  della  ridotta  rimproverabilita',
derivante dal minor grado di discernimento dell'autore della condotta
e quindi  -  secondo  questa  Corte  (sentenza  n.  73  del  2020)  -
l'inderogabile  divieto  di  prevalenza  di  tale  diminuente   sulla
recidiva reiterata  non  e'  compatibile  con  l'esigenza,  di  rango
costituzionale,  di  determinazione  di  una  pena  proporzionata   e
calibrata sull'effettiva personalita' del reo. 
    Altresi' analoga dichiarazione di  illegittimita'  costituzionale
ha avuto ad oggetto il divieto di prevalenza della diminuente di  cui
all'art. 116, secondo comma, cod. pen., che,  pur  essendo  anch'essa
un'attenuante comune e non gia' ad effetto speciale,  assolve  pero',
per la peculiarita' della fattispecie, ad una «funzione di necessario
riequilibrio del trattamento sanzionatorio»  nel  caso  in  cui,  nel
concorso di piu' persone nel reato  ai  sensi  dell'art.  116,  primo
comma, cod. pen., il reato commesso  risulti  essere  piu'  grave  di
quello voluto da taluno dei concorrenti (sentenza n. 55 del 2021). 
    7.- Analoga «funzione di necessario riequilibrio del  trattamento
sanzionatorio» puo' ritenersi che ricorra  anche  nella  fattispecie,
ora all'esame di questa Corte, dell'attenuante del  «fatto  di  lieve
entita'» nel reato di sequestro di persona  a  scopo  di  estorsione;
cio' essenzialmente in ragione  dell'esigenza  di  mitigare  la  gia'
ricordata risposta sanzionatoria di eccezionale asprezza (sentenza n.
68 del 2012),  prevista  da  una  legislazione  emergenziale  che  ha
elevato  notevolmente  il  minimo  e  il  massimo  della  pena  della
reclusione  per  contrastare   gravissimi   fatti   di   criminalita'
organizzata, ricorrenti in passato, ma che ha lasciato inalterata  la
definizione  della  fattispecie  del  reato  con  la  conseguenza  di
ricomprendere - come si e' sopra sottolineato - anche condotte  assai
meno gravi. 
    Si e' gia' rilevato che  l'attenuante  della  lieve  entita'  del
fatto  nel  reato  di  sequestro  a  scopo  di  estorsione   ha   una
connotazione tutt'affatto  particolare,  non  solo  perche'  inserita
nell'art. 630 cod. pen. (non gia'  dal  legislatore,  ma)  da  questa
Corte con pronuncia additiva di illegittimita' costituzionale, che ha
riequilibrato  il  regime  sanzionatorio,  ma  anche  perche'   trova
speciale  giustificazione  nelle  caratteristiche   oggettive   della
fattispecie incriminatrice e nella particolare cornice edittale della
pena. La possibilita' di riconoscere  tale  diminuente,  infatti,  si
riconnette alla «natura, alla specie,  ai  mezzi,  alle  modalita'  o
circostanze dell'azione, ovvero per la particolare tenuita' del danno
o del pericolo». Essa quindi -  non  dissimilmente  dalle  diminuenti
prese in considerazione dalla citata giurisprudenza di questa  Corte,
aventi ad oggetto fatti di minore gravita' (sentenze n. 251 del 2012,
n. 105 e n. 106 del 2014, n. 205 del 2017) - rileva marcatamente  sul
piano  dell'offensivita',  in  quanto  presuppone   una   valutazione
riferita al fatto nel suo complesso, in rapporto  all'evento  di  per
se'  considerato  e  alla  natura,  specie,  mezzi,  modalita'  della
condotta, nonche' all'entita' del danno o del pericolo per la persona
sequestrata, avuto riguardo alle  modalita'  della  privazione  della
liberta' personale e alla portata dell'ingiusto  profitto  perseguito
dall'autore della condotta estorsiva. 
    8.- La peculiarita' del regime  sanzionatorio  edittale  previsto
per il reato di sequestro di persona a scopo di estorsione - che vede
una pena detentiva molto elevata, sia nel minimo (venticinque anni di
reclusione), sia  nel  massimo  (trenta  anni),  all'interno  di  una
"forbice" ridotta a soli cinque anni - e la  necessaria  funzione  di
riequilibrio della diminuente in esame comportano che  la  disciplina
censurata,  nel  precludere  al  giudice,  nel  bilanciamento   delle
circostanze, la  possibilita'  di  prevalenza  della  diminuente  del
«fatto di  lieve  entita'»  sulla  recidiva  reiterata,  finisce  per
disconoscere il principio della  necessaria  proporzione  della  pena
rispetto all'offensivita' del fatto. 
    L'esigenza di assicurare anche per il  delitto  di  sequestro  di
persona a scopo di estorsione,  attenuato  dalla  lieve  entita'  del
fatto, una pena adeguata e proporzionata alla differente gravita' del
fatto-reato diventa piu' stringente proprio in considerazione di tale
particolare cornice edittale. 
    Sotto questo specifico profilo, la  disposizione  censurata,  nel
precludere la prevalenza sulla recidiva reiterata dell'attenuante del
«fatto di lieve entita'», vanifica la necessaria funzione mitigatrice
della pena, che questa Corte, con la sentenza n. 68 del 2012,  le  ha
riconosciuto, non diversamente da quanto ritenuto per  la  diminuente
di  cui  all'art.  116  cod.  pen.,  «al  di  la'  dell'essere   essa
un'attenuante comune e non gia' ad effetto speciale» (sentenza n.  55
del 2021). 
    La scelta  del  legislatore  trova  un  necessario  bilanciamento
proprio nella facolta' del giudice, nei casi di sequestro di  persona
a scopo di estorsione in  cui  il  fatto  e'  riconosciuto  di  lieve
entita', di applicare la diminuzione della  pena,  fino  alla  misura
massima  non  eccedente  il  terzo  (otto  anni  e  quattro  mesi  di
reclusione), che in tale marcata estensione realizza la finalita'  di
riequilibrio di un trattamento sanzionatorio di particolare rigore. 
    9.- Va quindi ribadito il principio della necessaria  proporzione
della pena rispetto  all'offensivita'  del  fatto,  che  risulterebbe
vanificato da una «abnorme enfatizzazione» della  recidiva  (sentenza
n. 251  del  2012),  indice  di  rimproverabilita'  e  pericolosita',
rilevante sul piano strettamente soggettivo; si e' altresi' affermato
che la recidiva reiterata «riflette i due aspetti della  colpevolezza
e della pericolosita', ed e' da  ritenere  che  questi,  pur  essendo
pertinenti  al  reato,  non  possano  assumere,   nel   processo   di
individualizzazione  della  pena,  una  rilevanza  tale  da  renderli
comparativamente prevalenti rispetto al fatto oggettivo» (sentenza n.
205 del 2017). 
    La norma censurata impedisce, invece, in modo assoluto al giudice
di ritenere prevalente la diminuente in questione, in presenza  della
recidiva reiterata,  «con  cio'  frustrando,  irragionevolmente,  gli
effetti che  l'attenuante  mira  ad  attuare  e  compromettendone  la
necessaria funzione di riequilibrio sanzionatorio»  (sentenza  n.  55
del 2021). 
    Il divieto inderogabile di prevalenza  dell'attenuante  in  esame
non e' dunque compatibile con il principio di determinazione  di  una
pena proporzionata, idonea a tendere alla rieducazione del condannato
ai sensi dell'art. 27, terzo comma, Cost., che implica  «un  costante
principio di proporzione tra qualita' e quantita' della sanzione,  da
una parte, e offesa, dall'altra» (sentenza n. 185 del 2015). 
    Violato e' anche il  principio  di  uguaglianza  (art.  3,  primo
comma, Cost.), in quanto il divieto censurato  vanifica  la  funzione
che l'attenuante  tende  ad  assicurare,  ossia  sanzionare  in  modo
diverso  situazioni  differenti  sul  piano  dell'offensivita'  della
condotta. Per effetto di tale divieto si ha,  invece,  che  fatti  di
minore entita' possono essere  irragionevolmente  sanzionati  con  la
stessa pena, prevista dal primo comma dell'art. 630 cod. pen., per le
ipotesi piu' gravi, vale a dire per condotte che,  pur  aggredendo  i
medesimi beni giuridici, sono completamente differenti  con  riguardo
«alla natura, alla specie, ai mezzi,  alle  modalita'  o  circostanze
dell'azione, ovvero per la  particolare  tenuita'  del  danno  o  del
pericolo». 
    10.- In conclusione -  assorbita  la  questione  di  legittimita'
costituzionale sollevata in riferimento  all'art.  25  Cost.  -  deve
dichiararsi  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  69,  quarto
comma, cod. pen., come sostituito dall'art. 3 della legge n. 251  del
2005, nella parte in cui  prevede  il  divieto  di  prevalenza  della
circostanza attenuante del fatto di lieve entita'  -  introdotta  con
sentenza n. 68 del 2012 di questa Corte, in relazione al  delitto  di
sequestro di persona a scopo di estorsione, di cui all'art. 630  cod.
pen. - sulla circostanza aggravante della recidiva  di  cui  all'art.
99, quarto comma, cod. pen. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  69,  quarto
comma, del codice penale, come sostituito dall'art. 3 della  legge  5
dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale  e  alla  legge  26
luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva,
di  giudizio  di  comparazione  delle  circostanze  di  reato  per  i
recidivi, di usura e di prescrizione), nella parte in cui prevede  il
divieto di prevalenza della circostanza attenuante del fatto di lieve
entita' - introdotta con sentenza n. 68 del 2012 di questa Corte,  in
relazione al reato di sequestro di persona a scopo di estorsione,  di
cui all'art.  630  cod.  pen.-  sulla  circostanza  aggravante  della
recidiva di cui all'art. 99, quarto comma, cod. pen. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 26 maggio 2021. 
 
                                F.to: 
                   Giancarlo CORAGGIO, Presidente 
                     Giovanni AMOROSO, Redattore 
             Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria 
 
    Depositata in Cancelleria l'8 luglio 2021. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA