N. 162 SENTENZA 10 giugno - 22 luglio 2021

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Impiego pubblico - Personale della  Polizia  di  Stato  -  Allievi  e
  agenti in  prova  -  Riscontrate  mancanze  punibili  con  sanzioni
  disciplinari piu' gravi della deplorazione - Espulsione dal corso -
  Denunciata irragionevolezza, violazione del diritto di difesa e del
  giusto procedimento - Inammissibilita' delle questioni. 
- Decreto del Presidente della Repubblica 24  aprile  1982,  n.  335,
  art. 6-ter, comma 3. 
- Costituzione, artt. 3, 24 e 97. 
(GU n.30 del 28-7-2021 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giancarlo CORAGGIO; 
Giudici :Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria  de  PRETIS,  Nicolo'
  ZANON,  Franco  MODUGNO,  Giulio  PROSPERETTI,  Giovanni   AMOROSO,
  Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo  BUSCEMA,
  Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  6-ter,
comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 24 aprile  1982,
n. 335 (Ordinamento del personale della Polizia di Stato che  espleta
funzioni di polizia), promosso dal Tribunale amministrativo regionale
per il Friuli-Venezia Giulia nel procedimento vertente tra G. C. e il
Ministero dell'interno e  altri  con  ordinanza  del  2  marzo  2020,
iscritta al n. 114 del registro ordinanze  2020  e  pubblicata  nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  38,  prima  serie  speciale,
dell'anno 2020. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del  9  giugno  2021  il  Giudice
relatore Angelo Buscema; 
    deliberato nella camera di consiglio del 10 giugno 2021. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza iscritta al n. 114 del registro ordinanze 2020,
il Tribunale amministrativo regionale per il Friuli-Venezia Giulia ha
sollevato questioni di legittimita' costituzionale  dell'art.  6-ter,
comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 24 aprile  1982,
n. 335 (Ordinamento del personale della Polizia di Stato che  espleta
funzioni di polizia), in riferimento agli artt.  3,  24  e  97  della
Costituzione, nella parte in cui, per gli allievi agenti e gli agenti
in prova, prevede l'espulsione dal corso a seguito del mero riscontro
di mancanze punibili  con  sanzioni  disciplinari  piu'  gravi  della
deplorazione. 
    Il giudice a quo premette di essere stato investito  del  ricorso
per   l'annullamento,   previa   sospensione   dell'efficacia,    del
provvedimento di espulsione dal corso di formazione per agenti  della
Polizia  di  Stato  di  un  allievo  agente  che  si   sarebbe   reso
responsabile di una «mancanza punibile con sanzione disciplinare piu'
grave della deplorazione» e, in particolare, della violazione di  cui
all'art. 6, comma quarto (recte: comma terzo), numero 8), del decreto
del Presidente della Repubblica 25 ottobre  1981,  n.  737  (Sanzioni
disciplinari  per  il  personale  dell'Amministrazione  di   pubblica
sicurezza e regolamentazione dei relativi procedimenti), che  punisce
con  la  sospensione  (sanzione  piu'   grave   della   deplorazione)
l'appartenente ai ruoli dell'amministrazione della pubblica sicurezza
che abbia fatto «uso  non  terapeutico  di  sostanze  stupefacenti  o
psicotrope risultante da referto medico legale». 
    Evidenzia il rimettente che, ai sensi dell'art.  55  del  decreto
legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell'articolo 44  della
legge 18 giugno 2009,  n.  69,  recante  delega  al  governo  per  il
riordino del processo amministrativo), la domanda cautelare e'  stata
respinta a causa dell'insufficiente  specificazione  dei  profili  di
periculum in mora e di concreta utilita' del provvedimento interinale
richiesto. Contestualmente, il TAR ha sollevato le  citate  questioni
di legittimita' costituzionale. 
    1.1.- Ad avviso del giudice  a  quo,  la  disposizione  censurata
violerebbe l'art. 3 Cost. per la rigida automaticita' del  meccanismo
espulsivo  vigente  per  gli  allievi  e  per  gli  agenti  in  prova
(ragionevolezza intrinseca) e per la radicale  diversita'  di  regime
rispetto  agli  agenti   in   servizio   effettivo   (disparita'   di
trattamento). 
    Cio' in quanto, sotto il primo profilo, comminerebbe una sanzione
rigida  e  predeterminata  a  fronte  di  una  notevole  varieta'  di
comportamenti,   senza    consentire    all'Amministrazione    alcuna
considerazione  dei  caratteri   specifici   dell'infrazione,   della
gravita'  del  fatto  e  della  colpevolezza  dell'autore,   ne'   un
procedimento    di    accertamento    in    contraddittorio     della
responsabilita'. 
    La violazione  dell'art.  3  Cost.  emergerebbe  anche  sotto  il
profilo della disparita' di  trattamento  tra  allievi  e  agenti  in
prova, da un lato, e gli agenti in servizio effettivo, dall'altro.  A
tale riguardo, vengono invocati quali tertia comparationis gli  artt.
1, 6 e 7, nonche' 12 e seguenti del  d.P.R.  n.  737  del  1981,  che
consentono   una   valutazione   discrezionale   dell'infrazione    e
l'opportuna gradazione dell'effetto giuridico della sanzione.  L'art.
l, comma secondo, del d.P.R. n. 737 del 1981, in particolare, dispone
che le sanzioni disciplinari «devono essere graduate,  nella  misura,
in relazione alla gravita' delle infrazioni ed alle  conseguenze  che
le stesse hanno prodotto per la Amministrazione o per  il  servizio».
Inoltre, la sanzione della sospensione per  gli  agenti  in  servizio
effettivo (art. 6, comma primo, del d.P.R.  n.  737  del  1981),  che
consiste nell'allontanamento dal servizio «per un periodo  da  uno  a
sei  mesi»,  consentirebbe  elasticita'  nella  commisurazione  della
risposta  punitiva   all'interno   della   cornice   edittale.   Tali
disposizioni  non  sarebbero,  pero',   applicabili   all'allievo   e
all'agente in prova, per i quali  l'espulsione  conseguirebbe  sempre
alla commissione di «mancanze punibili con sanzioni disciplinari piu'
gravi della deplorazione». 
    1.2.- La disposizione censurata si porrebbe altresi' in contrasto
con l'art. 97 Cost. e, in particolare, con il principio  del  «giusto
procedimento», quale canone fondamentale  dell'azione  amministrativa
direttamente desumibile dai principi di legalita', buon  andamento  e
imparzialita'.  Nel  caso  di  specie,  a  parere   del   rimettente,
difetterebbero sia una  idonea  «distanza»  tra  ipotesi  astratta  e
provvedimento - essendo quest'ultimo a «rime  obbligate»  sulla  base
del sommario riscontro di determinate  condotte  -  sia  un  adeguato
spazio valutativo dei fatti e degli interessi, non  essendo  prevista
alcuna disciplina dell'iter procedimentale da seguire. 
    1.3.- Il Tribunale rimettente  deduce,  altresi',  la  violazione
dell'art.  24  Cost.,  atteso  che,  con   riguardo   alla   sanzione
disciplinare  -  la  cui  irrogazione   postula   l'accertamento   di
responsabilita' -  il  giusto  procedimento  dovrebbe  assicurare  il
diritto di difesa dell'interessato. 
    1.4.- In  punto  di  rilevanza,  il  rimettente  ritiene  che  il
giudizio a quo non  possa  essere  definito  indipendentemente  dalla
risoluzione delle questioni di legittimita' costituzionale  dell'art.
6-ter, comma 3, del d.P.R n. 335 del  1982,  che  troverebbe  diretta
applicazione in  quanto,  riferendosi  alle  «mancanze  punibili  con
sanzioni    disciplinari    piu'    gravi    della     deplorazione»,
ricomprenderebbe il comportamento tenuto dall'allievo agente punibile
con la sanzione della sospensione. 
    Il TAR evidenzia, poi, che la domanda cautelare e' stata respinta
per non essere stati adeguatamente  circostanziati  il  periculum  in
mora e l'interesse ad agire in sede cautelare, in un contesto in  cui
appariva altamente verosimile l'inattuabilita' pratica  della  misura
richiesta, cioe'  l'ammissione  con  riserva  agli  esami.  Sostiene,
tuttavia,  il  rimettente  che  gli  effetti  del  provvedimento   di
espulsione non  sarebbero  comunque  irreversibili,  in  quanto  alla
declaratoria  di  illegittimita'  costituzionale  della  disposizione
censurata   conseguirebbe   una   pronuncia   di   annullamento   del
provvedimento di espulsione, a seguito della quale il ricorrente  ben
potrebbe essere riammesso in sovrannumero  ad  un  corso  successivo,
previo  eventuale  riesercizio  del  potere  sanzionatorio  in  senso
conforme a Costituzione. 
    1.6.- Il giudice a  quo  rappresenta,  infine,  di  aver  tentato
un'interpretazione   costituzionalmente   orientata    della    norma
censurata, esegesi tuttavia preclusa dal «rigido  dettato»  dell'art.
6-ter, comma 3, del d.P.R. n. 335 del 1982. 
    2.- E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, deducendo l'inammissibilita' e, comunque, l'infondatezza delle
questioni   di   legittimita'   costituzionale   della   disposizione
censurata. 
    2.1.-  Dopo  aver  ripercorso  il  contenuto  dell'ordinanza   di
rimessione, la difesa dello Stato  eccepisce  l'inammissibilita'  del
ricorso sul rilievo che, con ordinanza del 26 febbraio 2020,  n.  36,
il TAR rimettente ha respinto l'istanza  cautelare  «ed  il  relativo
provvedimento e' divenuto definitivo». Aggiunge che la situazione del
ricorrente apparirebbe ormai  cristallizzata  e  anche  una  sentenza
favorevole non sarebbe idonea a reintegrare  l'allievo  agente  nella
stessa posizione ricoperta al momento dell'espulsione nell'ambito del
corso di  formazione  che  stava  frequentando.  Il  tempo  trascorso
dall'espulsione all'eventuale riammissione non potrebbe, difatti, che
incidere  in  senso  negativo   per   il   ricorrente,   atteso   che
l'interruzione della frequenza del corso  per  un  periodo  superiore
all'annualita' eliderebbe il requisito della  necessaria  continuita'
formativa, elemento  indispensabile  per  l'accesso  ai  ruoli  della
Polizia di Stato, nell'ambito della  quale  vigono  rigide  regole  a
presidio della regolare formazione degli aspiranti. 
    2.2.- La difesa  dello  Stato  sostiene,  altresi',  che  il  TAR
avrebbe omesso di verificare  la  possibilita'  di  pervenire  a  una
soluzione conforme a Costituzione, essendosi  limitato  ad  affermare
che  la  norma  censurata  costituisce  il  «presupposto   giuridico»
indefettibile per la sanzione espulsiva, senza  tener  conto  che  il
ricorrente e' stato espulso dal corso in  quanto  destinatario  della
sanzione della sospensione dal servizio, ai sensi dell'art. 6,  comma
terzo, numero 8), del d.P.R. n. 737 del 1981, alla luce del combinato
disposto di tale ultima disposizione con quella  censurata,  e  senza
considerare che anche agli allievi e agli agenti in  prova  sarebbero
applicabili le norme del d.P.R. n. 737 del 1981 che  disciplinano  le
sanzioni e il procedimento per irrogarle. 
    2.3.-  Ad  avviso  dell'Avvocatura  generale  dello   Stato,   le
questioni sollevate sarebbero altresi' inammissibili per irrilevanza,
atteso che, secondo quanto prospettato nell'ordinanza di  rimessione,
il giudice a quo potrebbe addivenire a  una  sentenza  favorevole  al
ricorrente in  ragione  della  mancata  integrazione  della  condotta
prevista dall'art. 6, comma terzo, del d.P.R. n. 737 del 1981. 
    2.4.- Il Presidente del Consiglio dei  ministri  eccepisce,  poi,
l'inammissibilita'  delle  questioni   in   ragione   dell'incompleta
ricostruzione del quadro normativo di riferimento. Le disposizioni in
tema di procedimento disciplinare (artt. 12 e seguenti del d.P.R.  n.
737 del 1981)  sarebbero,  difatti,  applicabili,  nei  limiti  della
compatibilita', anche agli allievi e agli agenti in prova, in  virtu'
dell'espressa previsione contenuta nell'art. 33,  ultimo  comma,  del
decreto del Ministro dell'interno del 9 marzo 1983 (Regolamento degli
Istituti di Istruzione) - non oggetto di impugnativa nel  giudizio  a
quo  e  nemmeno  menzionato  nell'ordinanza  di  rimessione   -   non
rilevandosi alcun elemento, anche solo di natura analogica, che  osti
al riconoscimento delle  garanzie  minime  di  difesa  all'allievo  e
all'agente in prova incolpato di una  delle  violazioni  disciplinari
sopra menzionate. 
    2.5.-  Nel  merito,  sostiene  la   difesa   dello   Stato,   non
sussisterebbe  il  denunciato  vizio  di  ragionevolezza  intrinseca,
sollecitandosi il sindacato di questa Corte su  scelte  riservate  in
via esclusiva  alla  discrezionalita'  del  legislatore.  Seppure  la
verifica  di  ragionevolezza  e  proporzionalita'   della   sanzione,
ricollegata dall'art. 6-ter, comma 3, del d.P.R. n. 335 del 1982 alla
fattispecie  disciplinare  dell'«uso  non  terapeutico  di   sostanze
stupefacenti o psicotrope» (art. 6, comma terzo, numero 8, del d.P.R.
n. 737 del 1981),  fosse  da  intendersi  circoscritta  agli  effetti
immediati  e  diretti  del   provvedimento   di   espulsione,   nella
valutazione della sussistenza del vizio di ragionevolezza  intrinseca
"per sproporzione" di un trattamento sanzionatorio per sua natura non
graduabile,  come  appunto  l'espulsione,  non  sarebbe   sufficiente
limitarsi a rilevare che gli artt. 6 e 7 del d.P.R. n. 737  del  1981
«delineano una grande varieta' di comportamenti,  in  astratto  certo
accomunati da una  particolare  gravita'  e  riprovevolezza,  ma  che
possono in concreto non esprimere un uniforme grado  di  offensivita'
al prestigio della funzione e  al  suo  regolare  svolgimento  e  non
ritenersi quindi meritevoli della massima sanzione». 
    L'affermazione del giudice rimettente circa  l'impossibilita'  di
presumere in maniera  assoluta  l'indegnita'  alla  funzione  di  chi
commetta mancanze punibili con sanzioni disciplinari piu' gravi della
deplorazione, anche quando  l'infrazione  presenti  in  concreto  una
minima  gravita'  e  una  trascurabile  offensivita'  ai   valori   e
all'importanza del ruolo, sarebbe connotata da un cosi' alto tasso di
opinabilita' da rivelarsi inidonea a fondare un giudizio di manifesta
irragionevolezza della disposizione censurata, considerato che  l'uso
di sostanze stupefacenti costituisce di per se' circostanza  ostativa
alla partecipazione ai  concorsi  per  l'arruolamento  del  personale
della Polizia di  Stato,  per  difetto  dei  requisiti  di  idoneita'
psico-fisica al servizio. 
    Con   riferimento,   poi,   ai   ripetuti   richiami    contenuti
nell'ordinanza di rimessione alla  giurisprudenza  costituzionale  in
materia  di  «automatismi  sanzionatori»,  l'Avvocatura  dello  Stato
rileva come, nel caso  di  specie,  sussistano  specificita'  proprie
della  materia  disciplinare,  rispetto  a  quella  penale  in  senso
proprio,  tali  per  cui  non  sarebbe  attuabile  una  meccanica   e
indiscriminata  applicazione  alla  prima  di   principi   e   schemi
concettuali elaborati solo con riferimento alla seconda.  Benche'  le
sanzioni  disciplinari   attengano   in   senso   lato   al   diritto
sanzionatorio-punitivo - e proprio per tale ragione attraggano a  se'
alcune delle garanzie che la Costituzione e il diritto sovranazionale
riservano alla pena - esse  conserverebbero,  tuttavia,  una  propria
specificita'  anche   dal   punto   di   vista   del   loro   statuto
costituzionale, potendo legittimamente rispondere,  quanto  meno  nei
casi  concernenti  pubblici  funzionari  cui  sono  affidati  compiti
essenziali a garanzia dello Stato di diritto, anche alla finalita' di
assicurare  la  definitiva  cessazione  dal   servizio   di   persone
dimostratesi non idonee, o  non  piu'  idonee,  all'assolvimento  dei
propri doveri. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con ordinanza iscritta al n. 114 del registro ordinanze 2020,
il Tribunale amministrativo regionale per il Friuli-Venezia Giulia ha
sollevato questioni di legittimita' costituzionale  dell'art.  6-ter,
comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 24 aprile  1982,
n. 335 (Ordinamento del personale della Polizia di Stato che  espleta
funzioni di polizia), in riferimento agli artt.  3,  24  e  97  della
Costituzione, nella parte in cui, per gli allievi  e  gli  agenti  in
prova, prevede l'espulsione dal corso al mero riscontro  di  mancanze
punibili con sanzioni disciplinari  piu'  gravi  della  deplorazione,
senza  consentire  una  valutazione  in   concreto   della   gravita'
dell'infrazione e una conseguente graduazione della sanzione, ne'  un
procedimento    di    accertamento    in    contraddittorio     della
responsabilita'. 
    Il  giudice  a  quo  e'   stato   investito   del   ricorso   per
l'annullamento, previa sospensione dell'efficacia, del  provvedimento
di espulsione dal corso di formazione per  agenti  della  Polizia  di
Stato di un allievo agente che si sarebbe reso  responsabile  di  una
«mancanza  punibile  con  sanzione  disciplinare  piu'  grave   della
deplorazione» e, in particolare, della violazione di cui all'art.  6,
comma quarto  (recte:  comma  terzo),  numero  8),  del  decreto  del
Presidente  della  Repubblica  25  ottobre  1981,  n.  737  (Sanzioni
disciplinari  per  il  personale  dell'Amministrazione  di   pubblica
sicurezza e regolamentazione dei relativi procedimenti), che  punisce
con  la  sospensione  (sanzione  piu'   grave   della   deplorazione)
l'appartenente ai ruoli dell'amministrazione della pubblica sicurezza
che abbia fatto «uso  non  terapeutico  di  sostanze  stupefacenti  o
psicotrope risultante da referto medico legale». 
    La domanda cautelare, proposta ai sensi dell'art. 55 del  decreto
legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell'articolo 44  della
legge 18 giugno 2009,  n.  69,  recante  delega  al  governo  per  il
riordino   del   processo   amministrativo),   e'   stata   respinta.
Contestualmente,  il  TAR  ha  sollevato  le  citate   questioni   di
legittimita' costituzionale. 
    Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e  difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato,  e'  intervenuto  in  giudizio,
eccependo l'inammissibilita' del ricorso sul  rilievo,  tra  l'altro,
che,  con  ordinanza  del  26  febbraio  2020,  n.  36,  il  TAR   ha
definitivamente respinto l'istanza cautelare avanzata. 
    2.-  L'eccezione  d'inammissibilita'  sollevata   dall'Avvocatura
generale dello Stato e' fondata. 
    Per come riferito dallo  stesso  rimettente,  infatti,  l'istanza
cautelare avanzata nel giudizio a quo  e'  stata  rigettata  a  causa
dell'insufficiente specificazione dei profili di periculum in mora  e
di  concreta  utilita'  del   provvedimento   interinale   domandato,
apparendo al TAR verosimile  l'inattuabilita'  pratica  della  misura
richiesta, cioe' l'ammissione con riserva agli esami. 
    L'incidente di costituzionalita' della norma  censurata,  dunque,
non viene proposto per decidere l'istanza  cautelare  di  sospensione
del provvedimento impugnato, bensi' dopo il suo rigetto, al  fine  di
dare soluzione al giudizio «sotto il profilo del  merito»,  ma  prima
che si radichi la potesta' decisoria a esso afferente. 
    Secondo la  giurisprudenza  di  questa  Corte,  «perche'  non  si
verifichi l'esaurimento del  potere  cautelare  del  rimettente,  con
conseguente inammissibilita' della questione di costituzionalita' per
irrilevanza nel giudizio a quo (ordinanze n. 150 del 2012  e  n.  307
del  2011)  e'  necessario  che  il  provvedimento  sia  "interinale"
(ordinanza n. 128 del 2010), ovvero "ad tempus" (ordinanza n. 211 del
2011), o ancora "provvisorio  e  temporaneo  fino  alla  ripresa  del
giudizio cautelare dopo l'incidente di  legittimita'  costituzionale"
(ordinanza n. 236 del  2010).  Calando  tali  principi  nel  giudizio
amministrativo, come strutturato prima della riforma  introdotta  dal
decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104  (Attuazione  dell'articolo
44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al  governo  per
il riordino del processo amministrativo), si e' poi affermato che "se
il  giudice  amministrativo  solleva  la  questione  di  legittimita'
costituzionale  della  norma  relativa   al   merito   del   ricorso,
contestualmente alla decisione, senza alcuna riserva, di accoglimento
o  di  rigetto  sulla  domanda  di  sospensione   del   provvedimento
impugnato,  la  questione  risulta,  per  un  verso,  non   rilevante
nell'autonomo contenzioso sulla misura cautelare - esauritosi con  la
relativa pronuncia -, e per altro verso intempestiva in rapporto alla
seconda  ed  eventuale  sede  contenziosa,  posto  che,   prima   del
perfezionamento dei  requisiti  processuali  prescritti  (domanda  di
parte, assegnazione della causa per  la  sua  trattazione),  l'organo
giurisdizionale e' sprovvisto di  potesta'  decisoria  sul  merito  e
sulle questioni di  costituzionalita'  ad  esso  relative,  ancorche'
questa delibazione sia limitata alla non manifesta infondatezza delle
eccezioni e solo strumentale alla predetta seconda fase del giudizio"
(sentenza n. 451 del 1993)» (sentenza n. 200 del 2014). 
    Tali considerazioni  continuano  a  valere,  anche  nel  processo
amministrativo quale strutturato dopo la riforma,  per  l'ipotesi  di
rigetto della domanda cautelare, atteso che, ai sensi  dell'art.  55,
comma 11, del d.lgs. n. 104  del  2010,  solo  la  concessione  della
misura cautelare comporta  l'instaurazione  del  giudizio  di  merito
senza necessita' di ulteriori adempimenti,  con  la  conseguenza  che
l'eventuale questione  di  legittimita'  costituzionale  non  sarebbe
intempestiva rispetto a tale  sede  contenziosa,  essendo  (solo)  in
questo caso il giudice provvisto di piena potesta' decisoria (ancora,
sentenza n. 200 del 2014). 
    Alla luce di quanto precede, le questioni sollevate devono essere
dichiarate inammissibili. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara   inammissibili    le    questioni    di    legittimita'
costituzionale dell'art. 6-ter, comma 3, del decreto  del  Presidente
della Repubblica 24 aprile 1982, n. 335  (Ordinamento  del  personale
della Polizia di Stato che espleta funzioni di  polizia),  sollevate,
in riferimento  agli  artt.  3,  24  e  97  della  Costituzione,  dal
Tribunale amministrativo regionale per il Friuli-Venezia  Giulia  con
l'ordinanza in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 10 giugno 2021. 
 
                                F.to: 
                   Giancarlo CORAGGIO, Presidente 
                      Angelo BUSCEMA, Redattore 
                    Filomena PERRONE, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 22 luglio 2021. 
 
                           Il Cancelliere 
                       F.to: Filomena PERRONE