N. 164 SENTENZA 23 giugno - 22 luglio 2021

Giudizio su conflitto di attribuzione tra Enti. 
 
Paesaggio - Dichiarazione di notevole  interesse  pubblico  dell'area
  alpina compresa tra il  Comelico  e  la  Val  d'Ansiei,  Comuni  di
  Auronzo di Cadore, Danta di Cadore, Santo Stefano  di  Cadore,  San
  Pietro di Cadore, San Nicolo' di Comelico e  Comelico  Superiore  -
  Relativa disciplina specifica - Adozione con decreto del  Direttore
  generale  della  Direzione  generale  archeologia,  belle  arti   e
  paesaggio del Ministero per i beni e le attivita' culturali  e  per
  il turismo - Ricorso per conflitto di attribuzione  promosso  dalla
  Regione  Veneto  -  Lamentata  irragionevolezza,  violazione  delle
  competenze   legislative   e   amministrative   in    materia    di
  valorizzazione  dei  beni  culturali  e  ambientali,  governo   del
  territorio, turismo e agricoltura, nonche' del principio  di  leale
  collaborazione - Spettanza allo Stato, e per esso  alla  richiamata
  direzione ministeriale, del potere esercitato. 
- Decreto del Direttore della direzione generale  archeologia,  belle
  arti e paesaggio del Ministero per i beni e le attivita'  culturali
  e per il turismo del 5 dicembre 2019, n. 1676. 
- Costituzione, artt. 3, 117, terzo e quarto comma, e 118. 
(GU n.30 del 28-7-2021 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giancarlo CORAGGIO; 
Giudici :Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria  de  PRETIS,  Nicolo'
  ZANON,  Augusto  Antonio  BARBERA,  Giulio  PROSPERETTI,   Giovanni
  AMOROSO, Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano PETITTI,  Angelo
  BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio per conflitto  di  attribuzione  tra  enti  sorto  a
seguito del decreto del Direttore generale della  direzione  generale
archeologia, belle arti e paesaggio del Ministero per  i  beni  e  le
attivita' culturali e per il turismo del 5 dicembre  2019,  n.  1676,
recante  «Dichiarazione  di  notevole  interesse  pubblico  dell'area
alpina compresa tra il Comelico e la Val d'Ansiei, Comuni di  Auronzo
di Cadore, Danta di Cadore, Santo Stefano di Cadore,  San  Pietro  di
Cadore, San Nicolo' di Comelico e Comelico Superiore», promosso dalla
Regione Veneto con ricorso notificato il 3 febbraio 2020,  depositato
in cancelleria il 12 febbraio 2020, iscritto al  n.  1  del  registro
conflitti tra enti 2020 e pubblicato nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 11, prima serie speciale, dell'anno 2020. 
    Visto l'atto di costituzione del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito  nell'udienza  pubblica  del  22  giugno  2021  il  Giudice
relatore Augusto Antonio Barbera; 
    uditi gli avvocati Paolo Stella Richter e Franco Botteon  per  la
Regione Veneto e l'avvocato dello Stato  Daniela  Canzoneri,  per  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  questi  ultimi   due   in
collegamento da remoto,  ai  sensi  del  punto  1)  del  decreto  del
Presidente della Corte del 18 maggio 2021; 
    deliberato nella camera di consiglio del 23 giugno 2021. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso notificato il 3 febbraio  2020  e  depositato  il
successivo 12 febbraio, la Regione Veneto ha  promosso  conflitto  di
attribuzione nei confronti dello Stato, in relazione al  decreto  del
Direttore generale della direzione generale archeologia, belle arti e
paesaggio del Ministero per i beni e le attivita' culturali e per  il
turismo del 5 dicembre  2019,  n.  1676,  recante  «Dichiarazione  di
notevole interesse pubblico dell'area alpina compresa tra il Comelico
e la Val d'Ansiei, Comuni di Auronzo  di  Cadore,  Danta  di  Cadore,
Santo Stefano di  Cadore,  San  Pietro  di  Cadore,  San  Nicolo'  di
Comelico e Comelico Superiore». 
    La Regione reputa tale atto lesivo delle competenze legislative e
amministrative che le sono attribuite dagli artt. 117, commi terzo  e
quarto, e 118 della Costituzione in  materia  di  valorizzazione  dei
beni culturali  e  ambientali,  governo  del  territorio,  turismo  e
agricoltura. Esso sarebbe altresi' stato assunto  in  violazione  del
principio di leale collaborazione. 
    2.- La ricorrente osserva che il  decreto  posto  alla  base  del
conflitto e' stato adottato sulla base dell'art. 138,  comma  3,  del
decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali
e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della legge 6 luglio 2002,
n. 137), che attribuisce  allo  Stato  il  potere  di  dichiarare  il
notevole interesse pubblico degli  immobili  e  delle  aree  elencate
dall'art. 136 del medesimo testo normativo. 
    Cio' accade all'esito di un procedimento avviato da una  proposta
motivata del soprintendente, previo parere della Regione interessata,
che lo esprime entro trenta giorni. 
    Tale  iter  e'  "fatto  salvo"  rispetto   al   procedimento   di
dichiarazione di notevole interesse pubblico che, invece, si conclude
con un provvedimento della Regione ai sensi dell'art. 140  cod.  beni
culturali. 
    Nel caso oggetto del presente conflitto,  il  potere  statale  e'
stato esercitato con riferimento a porzioni del territorio  regionale
che sono state ritenute  rilevanti,  in  quanto  «complessi  di  cose
immobili che  compongono  un  caratteristico  aspetto  avente  valore
estetico e tradizionale, inclusi i centri e i nuclei  storici»  (art.
136, comma 1, lettera c, cod. beni culturali) e in  quanto  «bellezze
panoramiche» e  «punti  di  vista  o  di  belvedere,  accessibili  al
pubblico, dai quali si goda lo spettacolo di quelle  bellezze»  (art.
136, comma 1, lettera d, cod. beni culturali). 
    Il decreto del 5 dicembre 2019 ha, in  particolare,  riconosciuto
alle aree della  valle  del  Comelico  «un  aspetto  unitario  e  uno
spiccato carattere di identita',  di  notevole  interesse  pubblico»,
poiche' segnate non solo da  «bellezze  naturali  (Dolomiti)  e  siti
panoramici», ma da elementi morfologici che  la  rendono  un  «unicum
paesaggistico straordinariamente conservato». 
    Si e' pertanto assoggettato tale territorio alla disciplina d'uso
recata in apposito allegato  al  decreto  oggetto  di  conflitto,  la
cosiddetta  «Relazione  e  Disciplina  d'uso»,  che   diviene   parte
integrante del piano paesaggistico previsto dall'art. 143  cod.  beni
culturali, e  non  puo'  venire  rimossa  o  modificata  in  sede  di
redazione o revisione del piano, come prevede l'art.  140,  comma  2,
del medesimo codice. 
    3.- La ricorrente reputa che, adottando il decreto del 5 dicembre
2019, e dunque individuando i beni paesaggistici che ne sono  oggetto
in via unilaterale, e senza  osservare  il  «procedimento  ordinario»
facente capo alla Regione, lo Stato  ne  abbia  leso  le  prerogative
costituzionali in materia di  valorizzazione  dei  beni  culturali  e
ambientali e di  governo  del  territorio  (art.  117,  terzo  comma,
Cost.), nonche' di agricoltura e turismo  (art.  117,  quarto  comma,
Cost.). 
    Difatti, da tali disposizioni costituzionali dovrebbe  evincersi,
a parere della  ricorrente,  che  la  «competenza  pianificatoria  in
materia paesaggistica» non possa che essere esercitata congiuntamente
da Stato e Regioni, mediante l'elaborazione del piano paesaggistico. 
    Pertanto, il potere statale, previsto  dall'art.  138,  comma  3,
cod. beni culturali e concretamente azionato con il  decreto  oggetto
di  conflitto,  dovrebbe  limitarsi  ad  «assoggettare  singoli  beni
immobili o un complesso degli stessi ad un vincolo specifico», ma non
potrebbe estendersi a «vaste  aree  geografiche,  dalle  connotazioni
varie  e  multiformi,  per  non  dire  disomogenee»,  allo  scopo  di
pianificarne dettagliatamente l'uso. 
    Nel caso di specie, lo Stato  avrebbe  illegittimamente  adottato
«un vero e proprio atto di pianificazione», «di gran lunga  eccedente
il fine di tutela del paesaggio», perche' la «Relazione e  disciplina
d'uso» allegata al decreto del 5 dicembre 2019  conterrebbe  «vincoli
puntuali, dettagliati e inderogabili» sull'uso  del  territorio,  che
sarebbero propri dell'attivita' di pianificazione, anziche' di quella
concernente la dichiarazione di notevole interesse pubblico dei  beni
paesaggistici. 
    Lo Stato avrebbe percio' menomato  le  competenze  costituzionali
regionali, anzitutto appropriandosi, con la dichiarazione di notevole
interesse pubblico, del  contenuto  di  pianificazione  che  dovrebbe
essere riservato al piano paesaggistico. 
    Cio'  sarebbe  ancora  piu'  grave,  se  si  considera   che   il
procedimento di pianificazione paesaggistica, avviatosi nel 2009,  e'
in  corso  e  di  prossima  conclusione  «quanto  meno  per   stralci
progressivi», sicche' nessuna inerzia  puo'  essere  contestata  alla
Regione. 
    4.- Anche le competenze delle soprintendenze preposte alla tutela
paesaggistica  e  dei   Comuni   sarebbero   state   illegittimamente
compresse,  per  la  medesima  ragione.  In  particolare,  i   Comuni
avrebbero una competenza  propria,  ai  sensi  dell'art.  118  Cost.,
quanto all'adozione del piano regolatore, le cui scelte sull'uso  del
territorio sarebbero pregiudicate  dal  contenuto  di  pianificazione
dettagliata del decreto oggetto di conflitto. 
    5.- In secondo luogo, sarebbe stato leso anche  il  principio  di
leale  collaborazione,  posto  che,  esercitando  il  potere  di  cui
all'art. 138, comma 3, cod. beni culturali, il  ruolo  della  Regione
sarebbe  stato  degradato   all'espressione   di   un   mero   parere
obbligatorio. 
    Si  sarebbe  cosi'  posta  nel   nulla   tutta   l'attivita'   di
pianificazione fino ad allora svolta tra  Stato  e  Regione,  quando,
invece, in presenza di specifiche esigenze di  tutela  dell'area  del
Comelico,  sarebbe  stato  possibile  «l'adozione  congiunta  di  uno
stralcio del piano paesaggistico». 
    6.-   La   ricorrente   nega,   tuttavia,   che   tali   esigenze
sussistessero, e ritiene che cio' costituisca un'ulteriore ragione di
menomazione della propria sfera di competenza. 
    Il decreto del 5 dicembre 2019, infatti, pur adottato «nelle more
della approvazione del piano paesaggistico»,  non  pone  in  evidenza
alcun «rischio concreto di lesione per l'interesse paesaggistico», se
non con un riferimento ad un processo di spopolamento  del  versante,
che non avrebbe alcun rapporto  con  il  bene  giuridico  oggetto  di
tutela (cio' che sarebbe segno di «intrinseca  contraddittorieta'  ed
eccentricita' motivazionale»). 
    Anzi, la ricorrente osserva che la quasi totalita' del territorio
(96,6% comprensivo delle aree boschive) proposto  alla  dichiarazione
di  notevole  interesse  pubblico  e'  gia'  «assoggettato  a  tutela
paesaggistica», cosicche' non vi sarebbero state ragioni  provvisorie
e interinali per imporre ulteriori vincoli. 
    Sarebbe percio' mancato il presupposto di esercizio  del  «potere
straordinario» previsto dall'art. 138, comma 3, cod. beni culturali. 
    7.- Inoltre, l'imposizione di  una  disciplina  uniforme  per  un
territorio di notevole estensione, e  che  presenterebbe  «situazioni
anche molto differenziate» implicherebbe un vizio  di  ragionevolezza
(art. 3 Cost.) e un difetto di proporzionalita', tale  da  comportare
l'annullamento del decreto oggetto di conflitto. 
    8.- La Regione Veneto lamenta, poi, che il decreto del 5 dicembre
2019 rechi previsioni inderogabili da parte del piano  paesaggistico.
L'atto afferma, infatti, che la disciplina in esso contenuta «non  e'
suscettibile di rimozioni o modifiche nel corso del  procedimento  di
redazione o revisione» del piano. 
    Posto che tale previsione riproduce  quanto  stabilito  dall'art.
140, comma  2,  cod.  beni  culturali,  la  ricorrente  eccepisce  la
illegittimita' costituzionale  di  tale  disposizione  di  legge,  in
riferimento agli artt. 3, 97, 117, terzo e quarto comma,  118  e  120
Cost., perche' sarebbe irragionevole, sproporzionato e  lesivo  delle
competenze regionali precludere la modificazione  delle  prescrizioni
contenute dalla dichiarazione di notevole interesse pubblico da parte
dell'atto di pianificazione, che, a  sua  volta,  esige  un  continuo
aggiornamento. 
    9.- Infine, il decreto oggetto di conflitto sarebbe  illegittimo,
perche', al pari dei piani paesaggistici, esso avrebbe dovuto  essere
sottoposto alla valutazione ambientale  strategica  (VAS).  Omettendo
tale iniziativa, lo Stato avrebbe leso l'art. 6, commi 1 e 2, lettera
a), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme  in  materia
ambientale). 
    10.- La Regione  Veneto  conclude  chiedendo  l'annullamento  del
decreto del 5 dicembre 2019. 
    11.- Si e' costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile, e,  nel
merito, non fondato. 
    12.- L'Avvocatura, premesso che l'atto oggetto  di  conflitto  e'
stato   impugnato   anche   innanzi   al   TAR   Veneto,    eccepisce
l'inammissibilita' del ricorso, perche' la Regione sarebbe  priva  di
attribuzioni costituzionali nella materia della tutela dell'ambiente,
riservata alla competenza  legislativa  esclusiva  statale  dall'art.
117, secondo comma, lettera s), Cost. 
    13.- Sarebbero poi inammissibili alcune specifiche  censure,  che
non involgerebbero in nessun  modo  profili  concernenti  il  riparto
delle competenze costituzionali. 
    In particolare, la Regione Veneto non potrebbe avanzare  in  sede
di conflitto tra enti rilievi sulla  vastita'  ed  eterogeneita'  del
territorio disciplinato dal decreto del 5 dicembre 2019, circostanza,
peraltro, che la  ricorrente  avrebbe  indicato  in  modo  totalmente
generico. 
    Sarebbe inoltre inammissibile la censura concernente  la  mancata
sottoposizione a VAS dell'atto oggetto di  conflitto,  posto  che  si
tratterebbe di vizio  non  ridondante  sulla  sfera  di  attribuzione
costituzionale della Regione. 
    Parimenti, la ricorrente non avrebbe  indicato  quali  competenze
sue proprie sarebbero lese, quanto alla denunciata compressione delle
prerogative di soprintendenze e Comuni. 
    14.- Inammissibile per  difetto  di  rilevanza,  e  comunque  non
fondata,  sarebbe  l'eccezione   di   illegittimita'   costituzionale
dell'art. 140, comma 2, cod. beni culturali, che, oltretutto, avrebbe
dovuto  investire  l'art.  141,  nella  parte  in  cui  si   dichiara
applicabile  l'art.   140,   comma   2,   appena   menzionato,   alle
dichiarazioni di notevole  interesse  pubblico  adottate  sulla  base
dell'art. 138, comma 3, cod. beni culturali. 
    15.- Nel merito, l'Avvocatura osserva che il decreto  oggetto  di
conflitto reca  prescrizioni  d'uso  di  carattere  generale,  ovvero
valevoli per l'intero compendio, e  di  carattere  specifico,  ovvero
riferite ai contesti entro cui esso si articola. 
    Tutte tali  prescrizioni  hanno  la  finalita'  conservativa  che
l'art.  140,  comma  2,  cod.   beni   culturali   attribuisce   alla
dichiarazione di notevole interesse pubblico. 
    Si tratterebbe di prescrizioni, concernenti l'uso del territorio,
necessarie a «indirizzare l'esercizio del  potere  di  autorizzazione
paesaggistica nei singoli  casi»,  sicche'  non  sarebbe  fondata  la
censura della ricorrente, che le reputa eccedenti lo scopo, alla luce
del fatto che gran parte dell'area del Comelico e'  gia'  oggetto  di
tutela paesaggistica. 
    Difatti, osserva l'Avvocatura,  quest'ultima  tutela  deriverebbe
dai vincoli «a macchia di leopardo» posti  dall'art.  142  cod.  beni
culturali, che recano mere «misure di salvaguardia»,  consegnate  «ai
singoli  provvedimenti  autorizzatori»,  mentre  il  decreto  del   5
dicembre 2019 appronta «linee generali preventive, prevedibili e atte
a  rendere  coordinato  e  coerente   l'esercizio   del   potere   di
autorizzazione». 
    Andrebbe  percio'  escluso  che  la  dichiarazione  di   notevole
interesse pubblico si sia sovrapposta illegittimamente  al  contenuto
dei piani paesaggistici, alla cui elaborazione partecipa la Regione. 
    I piani,  infatti,  non  servirebbero  a  individuare  «i  valori
paesaggistici eminenti», ma solo a «operare un rilievo della  valenza
paesaggistica, anche non eminente, dell'intero territorio regionale». 
    La funzione di selezionare anche «intere aree geografiche» per il
preminente  connotato  paesaggistico  sarebbe  propria   della   sola
dichiarazione  di  notevole  interesse  pubblico,  sicche'   «i   due
provvedimenti e procedimenti operano, insomma, su piani funzionali  e
contenutistici diversi». 
    16.- La Regione Veneto avrebbe percio' torto a sostenere  che  il
decreto oggetto di conflitto  abbia  ecceduto  dalle  sue  finalita',
surrogando il piano paesaggistico, tanto piu' che il piano sarebbe in
corso di elaborazione da parte della Regione da  circa  dodici  anni,
allo stato senza esito. Quindi, l'Avvocatura reputa «del tutto  fuori
luogo invocare una presunta mancanza di leale cooperazione tra  Stato
e  Regione»,  visto  che  «la   conclusione   del   procedimento   di
pianificazione e' ancora lontana». 
    17.- Ne' sarebbero ravvisabili vizi nel  procedimento  osservato.
Il  potere  statale  previsto  dall'art.  138,  comma  3,  cod.  beni
culturali sarebbe  esercitabile,  anche  in  difetto  di  un  rischio
concreto di lesione dell'interesse paesaggistico. Nel caso di specie,
esso, attraverso le prescrizioni  specifiche  contenute  nel  decreto
oggetto di conflitto, avrebbe anche tenuto conto  della  specificita'
delle aree entro cui si ripartisce il territorio soggetto  a  tutela.
Infine,  la  tutela  paesaggistica  sarebbe  preordinata   anche   ad
arrestare il «degrado» delle aree di pregio, sicche' sarebbe  congruo
che  essa  risponda  a  fenomeni  di  abbandono  del   versante,   di
spopolamento e di declino dell'agricoltura. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- La Regione Veneto ha promosso conflitto di attribuzione (reg.
confl. enti n. 1 del 2020) nei confronti dello Stato, in relazione al
decreto del Direttore generale della direzione generale  archeologia,
belle arti e paesaggio del  Ministero  per  i  beni  e  le  attivita'
culturali e per il turismo del 5  dicembre  2019,  n.  1676,  recante
«Dichiarazione  di  notevole  interesse  pubblico  dell'area   alpina
compresa tra il Comelico e la Val  d'Ansiei,  Comuni  di  Auronzo  di
Cadore, Danta di Cadore, Santo  Stefano  di  Cadore,  San  Pietro  di
Cadore, San Nicolo' di Comelico e Comelico Superiore». 
    Con tale atto, adottato ai sensi  dell'art.  138,  comma  3,  del
decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali
e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della legge 6 luglio 2002,
n. 137), e'  stato  dichiarato  il  notevole  interesse  pubblico  di
un'area del territorio veneto, reputata «bellezza panoramica» «avente
valore estetico e tradizionale»,  in  base  all'art.  136  cod.  beni
culturali. 
    Alla  dichiarazione  si  e'  accompagnata  l'imposizione  di  una
specifica disciplina, contenuta nella relazione allegata al  decreto,
con cui  sono  dettate  le  prescrizioni  concernenti  le  componenti
morfologiche del paesaggio ed i  limiti  ai  quali  soggiacciono  gli
interventi ammissibili. 
    1.1.- Il decreto oggetto di conflitto e' stato impugnato  innanzi
al TAR Veneto, cio' che non incide sull'ammissibilita'  del  presente
ricorso (sentenza n. 17 del 2020). 
    2.-  La  ricorrente  reputa  l'atto   lesivo   delle   competenze
legislative e amministrative che le sono attribuite dagli artt.  117,
terzo e  quarto  comma,  e  118  della  Costituzione  in  materia  di
valorizzazione  dei  beni  culturali  e   ambientali,   governo   del
territorio,  turismo  e  agricoltura.  Esso  sarebbe  altresi'  stato
assunto in violazione del principio di leale collaborazione. 
    La Regione  Veneto  sostiene  che,  nel  vincolare  con  apposite
prescrizioni, puntuali, dettagliate e inderogabili, una  intera  area
geografica del territorio, lo Stato avrebbe menomato le  attribuzioni
costituzionali regionali attinenti allo sviluppo urbanistico  e  alla
fruizione  dell'ambiente,  soffocando   ogni   spazio   di   autonoma
concretizzazione di esse. 
    Cio' sarebbe avvenuto nell'esercizio, in difetto dei presupposti,
del potere straordinario e di urgenza conferito allo Stato  dall'art.
138, comma 3, cod. beni culturali, nell'ambito di un procedimento ove
la partecipazione regionale e' degradata all'espressione di  un  mero
parere obbligatorio, ma non vincolante. 
    Sarebbe cosi' stato eluso il principio di elaborazione  congiunta
tra Stato e Regione del piano paesaggistico (la cui adozione  sarebbe
stata imminente), posto che quest'ultimo, in base all'art. 140, comma
2, cod. beni culturali e'  tenuto  a  recepire  la  dichiarazione  di
notevole interesse pubblico, che non e' suscettibile di  rimozioni  o
modifiche. 
    3.- In via preliminare, debbono essere dichiarati inammissibili i
profili del conflitto  che  non  trovano  corrispondenza,  quanto  ai
parametri costituzionali indicati e ai motivi di censura che ne  sono
tratti, nella delibera con cui la Giunta regionale ha autorizzato  la
proposizione del ricorso (sentenze n. 252  del  2013  e  n.  311  del
2008). 
    Si tratta, anzitutto, dei termini del conflitto basati  sull'art.
117, quarto comma, Cost. in tema di agricoltura e turismo. 
    Inammissibile e' anche, per la  medesima  ragione,  la  deduzione
svolta con il ricorso in ordine alla illegittima  compressione  delle
competenze  urbanistiche  dei  Comuni  e  delle   prerogative   delle
soprintendenze ai beni culturali. 
    Infine e' inammissibile, per lo stesso  motivo,  il  profilo  del
conflitto  incentrato  sulla  mancata  sottoposizione  a  valutazione
ambientale strategica del decreto oggetto di causa. 
    4.- Peraltro, quest'ultima censura si rivela inammissibile  anche
perche' con essa la ricorrente si limita a denunciare un  profilo  di
violazione di legge, anziche' a  dedurre,  come  e'  in  questa  sede
necessario, la menomazione delle proprie attribuzioni costituzionali. 
    Analoga inammissibilita' colpisce, percio', anche le censure  con
le quali si lamenta che il vincolo abbia un carattere irragionevole e
sproporzionato,  alla   luce   delle   caratteristiche   morfologiche
dell'area che vi e' interessata, posto che con cio' non  si  pone  in
dubbio la spettanza del potere statale o il difetto  dei  presupposti
che lo giustificano, ma la mera illegittimita' del suo  esercizio  in
concreto, alla luce delle effettive condizioni dei luoghi. 
    Spetta  percio'  al  giudice  comune  vigilare   sulla   corretta
applicazione dell'art. 136 cod. beni culturali,  anche  con  riguardo
non tanto alla vastita', ma soprattutto  alla  omogeneita'  dei  beni
avvinti dalla medesima dichiarazione di notevole  interesse  pubblico
(sentenze n. 17 del 2020, n. 259 del 2019, n. 255 del  2019,  n.  224
del 2019 e n. 10 del 2017). 
    5.- L'assoluta estraneita' della censura alla sfera di competenze
costituzionali  della  Regione   costituisce   ulteriore   causa   di
inammissibilita' del ricorso, nella parte in cui si lamenta  l'omessa
attivazione del procedimento di  valutazione  ambientale  strategica,
ovvero di un procedimento ove sono destinati  ad  emergere  interessi
facenti capo esclusivamente allo Stato (sentenza n. 219 del 2015). 
    Per la medesima ragione, la denunciata lesione delle  prerogative
delle soprintendenze statali  ai  beni  culturali  e'  inammissibile,
anche perche' indifferente rispetto alle attribuzioni  della  Regione
ricorrente. 
    6.- Quest'ultima, poi, si reputa menomata nella propria sfera  di
competenza costituzionale dalla  previsione,  contenuta  nel  decreto
oggetto di conflitto, per  la  quale  la  dichiarazione  di  notevole
interesse   pubblico   costituisce   parte   integrante   del   piano
paesaggistico, e non ne puo' essere modificata. 
    Posto che, per tale parte, il decreto  in  oggetto  e'  meramente
riproduttivo dell'art. 140, comma 2, cod. beni culturali, la  Regione
eccepisce   la   illegittimita'   costituzionale   di   tale   ultima
disposizione normativa, in riferimento agli artt. 3, 97, 117, terzo e
quarto comma, 118 e 120 Cost. 
    Cosi'  operando,  la  ricorrente  incorre   pero'   nel   divieto
processuale, in sede di conflitto tra enti, di porre  in  discussione
la legittimita'  costituzionale  della  disciplina  primaria  di  cui
l'atto oggetto di conflitto e' applicativo, benche'  essa  non  fosse
stata a suo tempo impugnata nel termine  di  decadenza  concesso  per
proporre questioni di legittimita' costituzionale in via principale. 
    Difatti, «a garanzia, nei loro stessi confronti,  della  certezza
del diritto si richiede che Stato e Regione intervengano  in  termini
tassativamente fissati  a  promuovere  direttamente  il  giudizio  di
legittimita' costituzionale. Tale garanzia verrebbe meno se,  con  la
possibilita'  di  sollevare  conflitti  di  attribuzione   per   atti
meramente esecutivi o applicativi,  restasse  aperta  indefinitamente
nel tempo la possibilita' della impugnativa delle leggi da  parte  di
soggetti che hanno omesso di proporla in  via  diretta,  nei  termini
stabiliti dalle norme che regolano  l'azione  dei  soggetti  e  degli
organi  costituzionali  al  fine  di  assicurare  il  rispetto  della
Costituzione  e   l'unita'   dell'ordinamento   giuridico   positivo»
(sentenza n. 140 del 1970; in seguito, nello stesso  senso,  sentenze
n. 149 del 2009, n. 375 del 2008 e n. 334 del 2000). 
    7.- Per analoga ragione, il ricorso e' inammissibile, nella parte
in cui lamenta che, nel procedimento previsto dall'art. 138, comma 3,
cod. beni culturali, il coinvolgimento della Regione avvenga solo con
parere obbligatorio, ma non vincolante, atteso che cio' e'  stabilito
espressamente dalla legge, non impugnata a suo tempo, con  lo  stesso
comma 3 dell'art. 138 appena citato. 
    8.-  Per  il  resto,   e   contrariamente   a   quanto   eccepito
dall'Avvocatura generale dello  Stato,  il  ricorso  e'  ammissibile,
poiche' la Regione sostiene che le proprie competenze  costituzionali
in tema di valorizzazione  dei  beni  culturali  e  ambientali  e  di
governo del territorio siano state menomate, in  spregio  alla  leale
collaborazione, a causa dell'esercizio di una competenza statale  con
carenza di potere in concreto (sentenza n. 255 del  2019).  Sarebbero
cioe' mancati i presupposti per attivare il potere di vincolo proprio
dello Stato, sicche' esso avrebbe trasmodato nella compressione delle
concomitanti   prerogative   costituzionali   della   Regione    (per
l'ammissibilita' di conflitto  promosso  dalla  Regione  avverso  una
dichiarazione  statale  di  notevole  interesse  pubblico   di   bene
culturale, sentenza n. 334 del 1998). 
    Difatti, questa Corte ha da lungo tempo affermato e costantemente
ribadito  che  «la  figura  dei  conflitti  di  attribuzione  non  si
restringe alla sola ipotesi di contestazione circa l'appartenenza del
medesimo potere, che ciascuno dei soggetti contendenti rivendichi per
se', ma si estende a comprendere ogni ipotesi in cui dall'illegittimo
esercizio di un potere altrui consegua la menomazione di una sfera di
attribuzioni   costituzionalmente   assegnate   all'altro   soggetto»
(sentenza n. 259 del 2019). 
    Nel caso di specie,  siffatta  menomazione  si  riferirebbe  alla
elaborazione congiunta del  piano  paesaggistico  e  al  governo  del
territorio nel suo  sviluppo  urbanistico,  ovvero  a  sfere  il  cui
esercizio sarebbe stato compromesso dal decreto oggetto di conflitto. 
    9.- Il ricorso, tuttavia, non e' fondato. 
    9.1.- Sul piano delle competenze costituzionali attinenti ai beni
paesaggistici, questa  Corte  ha  gia'  precisato  che  «[l]a  tutela
ambientale  e  paesaggistica,  gravando  su  un  bene  complesso   ed
unitario, considerato dalla giurisprudenza costituzionale  un  valore
primario ed assoluto, e rientrando nella competenza  esclusiva  dello
Stato, precede e comunque costituisce un  limite  alla  tutela  degli
altri interessi pubblici assegnati alla competenza concorrente  delle
Regioni in materia di governo del territorio e di valorizzazione  dei
beni culturali e ambientali.  In  sostanza,  vengono  a  trovarsi  di
fronte  due  tipi  di  interessi  pubblici   diversi:   quello   alla
conservazione del paesaggio,  affidato  allo  Stato,  e  quello  alla
fruizione del territorio, affidato anche alle Regioni»  (sentenza  n.
367 del 2007; in seguito, nello stesso  senso,  sentenze  n.  66  del
2018, n. 11 del 2016, n. 309 del 2011, n. 101 del 2010,  n.  226  del
2009, n. 180 del 2008 e n. 378 del 2007). 
    9.2.- Da tale postulato conseguono alcuni corollari. 
    Anzitutto, e' evidente che il  potere  conferito  allo  Stato  di
vincolare  un  bene  in  ragione  delle  sue   intrinseche   qualita'
paesaggistiche  (sentenza  n.  56  del  1968)  non  costituisce   una
deviazione dall'impianto costituzionale, come  invece  suggerisce  la
ricorrente   quando   sostiene   che    tale    attivita'    dovrebbe
necessariamente  confluire  in  un  atto  oggetto  di   «elaborazione
congiunta» con la Regione interessata. 
    E' vero il contrario: il conferimento allo Stato della competenza
legislativa  esclusiva  in  materia   di   tutela   dell'ambiente   e
dell'ecosistema (art. 117, secondo comma, lettera s,  Cost.),  e  con
esso della potesta' di individuare il livello di governo piu'  idoneo
ad esercitare le relative funzioni amministrative,  rende  del  tutto
coerente con il disegno costituzionale la previsione, oggi codificata
dall'art. 138, comma 3, cod. beni culturali, secondo cui  l'autorita'
statale possa autonomamente rinvenire in un bene  le  caratteristiche
che lo rendono meritevole di tutela, anche  se  la  Regione  nel  cui
territorio il bene si trova dovesse essere di contrario avviso. 
    Tale principio, gia' espresso da questa Corte con la sentenza  n.
334 del 1998, a maggior ragione va ribadito nella vigenza  del  nuovo
Titolo V della Parte II  della  Costituzione,  che  ha  ulteriormente
rafforzato   la   competenza   statale   nel   campo   della   tutela
dell'ambiente. 
    Non vi e', percio', alcunche' di straordinario o  di  eccezionale
nella potesta' oggi riconosciuta ad un organo statale dall'art.  138,
comma 3, cod. beni culturali, posto che essa, invece, e' il  naturale
sviluppo delle attribuzioni dello Stato in tale materia. 
    Anzi, «e' necessario che  restino  inequivocabilmente  attribuiti
allo Stato,  ai  fini  della  tutela,  la  disciplina  e  l'esercizio
unitario  delle  funzioni  destinate  alla  individuazione  dei  beni
costituenti il patrimonio culturale nonche' alla  loro  protezione  e
conservazione» (sentenza n. 140 del 2015). 
    9.3.- Naturalmente, nulla  vieta  alla  legislazione  statale  di
coinvolgere le Regioni nella funzione amministrativa di  identificare
i beni degni di tutela, tanto  piu'  che  si  tratta  di  un  compito
logicamente e giuridicamente distinto, ma senza dubbio preliminare, e
percio' connesso, a  successivi  interventi  di  valorizzazione,  che
rientrano nella competenza concorrente (sentenze n. 138 del 2020 e n.
140 del 2015). 
    Allo stato attuale della legislazione, cio' avviene sia  mediante
l'espressione di un parere regionale non vincolante  nell'ambito  del
procedimento avviato  dallo  Stato,  sia  per  mezzo  dell'emanazione
diretta, nel procedimento  che  fa  capo  alla  Regione  stessa,  del
provvedimento di tutela, ma sulla base della proposta alla  quale  e'
giunta una commissione cui devono partecipare  anche  organi  statali
(artt. 137 e 140 cod. beni culturali). 
    Infine,  il  piano  paesaggistico,  che  ha   una   funzione   di
pianificazione necessariamente ricognitiva  degli  immobili  e  delle
aree dichiarati di notevole interesse  pubblico,  riveste  anche  una
funzione eventualmente dichiarativa di nuovi vincoli (art. 143, comma
1, lettera d, cod. beni culturali), alla quale la  Regione  partecipa
attraverso l'elaborazione congiunta di tale atto (da ultimo, sentenza
n. 240 del 2020). 
    Il legislatore ordinario si e' percio' ispirato in  tale  materia
ad una logica incrementale delle tutele che e' del tutto conforme  al
carattere primario del bene ambientale, cui  peraltro  si  riferisce,
collocato fra i principi  fondamentali  della  Repubblica,  l'art.  9
Cost. (sentenze n. 367 del 2007, n. 183 del 2006, n. 641 del  1987  e
n. 151 del 1986). 
    Tale  logica,  dal  lato   della   Regione,   opera   sul   piano
procedimentale per addizione, e mai per sottrazione, nel senso che la
competenza regionale puo' essere spesa al solo fine di arricchire  il
catalogo dei beni paesaggistici, in virtu' della  conoscenza  che  ne
abbia l'autorita' piu' vicina al territorio ove essi sorgono,  e  non
gia' di alleggerirlo in  forza  di  considerazioni  confliggenti  con
quelle assunte dallo  Stato,  o  comunque  mosse  dalla  volonta'  di
affermare  la  prevalenza  di   interessi   opposti,   facenti   capo
all'autonomia regionale, come accade  nel  settore  del  governo  del
territorio. 
    Per questa ragione, e' conforme al riparto  costituzionale  delle
competenze che il piano paesaggistico regionale - ove non sia la sede
di diversi apprezzamenti legati anche alla dimensione urbanistica del
territorio - e' tenuto a recepire le scelte di tutela  paesaggistica,
senza capacita' di alterarle  neppur  sul  piano  delle  prescrizioni
d'uso. Altrimenti, esso potrebbe divenire l'occasione per ridurre  lo
standard di tutela dell'ambiente in forza  di  interessi  divergenti,
anziche'  la  sede  deputata  a  collocare   armonicamente   siffatti
interessi sub  valenti  nella  cornice  gia'  intagliata  secondo  la
preminente   prospettiva   della   conservazione    del    paesaggio.
L'occasione, vale a dire, per degradare «la  tutela  paesaggistica  -
che e' prevalente - in una tutela meramente urbanistica» (sentenza n.
437 del 2008). 
    In particolare, il principio di elaborazione congiunta del  piano
paesaggistico, ovvero di un atto di  competenza  della  Regione,  non
significa che in difetto del consenso di quest'ultima  lo  Stato  non
possa  vincolare  alcun  bene.  Al   contrario,   esso   indica   che
un'attivita' propria della Regione (e, alla quale,  pertanto,  va  da
se' che essa partecipi), ove confluiscano apprezzamenti attinenti sia
al paesaggio,  sia  al  governo  del  territorio,  non  possa  essere
esercitata unilateralmente, estromettendo  l'autorita'  centrale  dal
processo decisionale (sentenze n. 240 del 2020; n. 86  del  2019;  n.
178 del 2018; n. 68 del 2018; n. 64 del 2015; n. 211 del  2013  e  n.
437 del 2008). 
    9.4.-  Il   secondo   corollario,   gia'   ben   presente   nella
giurisprudenza costituzionale, consiste  infatti  nella  "prevalenza"
assiomatica    della    tutela    dell'ambiente    sugli    interessi
urbanistico-edilizi (sentenza n. 11 del 2016), quando,  naturalmente,
la  dichiarazione  di   notevole   interesse   pubblico   sia   stata
legittimamente  adottata  con  riferimento  alle  categorie  di  beni
elencate dall'art. 136 cod. beni culturali. 
    Non spetta percio' alla Regione opporre  alla  scelta  di  tutela
conservativa compiuta dallo Stato  l'esigenza  di  alterare  il  bene
paesaggistico   nell'ottica   dello   sviluppo   del   territorio   e
dell'incentivo alle attivita' economiche che vi si  svolgono,  mentre
un profilo di intervento dinamico, che  coinvolge  la  Regione,  puo'
legittimamente articolarsi in attivita' finalizzate alla promozione e
al  sostegno  della  conoscenza,  fruizione   e   conservazione   del
patrimonio culturale (sentenze n. 138 del 2020 e n. 71 del 2020). 
    Sotto tale aspetto, e' del tutto connaturato  alla  finalita'  di
conservazione  del  paesaggio  che  la  dichiarazione   di   notevole
interesse pubblico non si limiti a rilevare il  valore  paesaggistico
di un bene, ma si accompagni a prescrizioni intese  a  regolamentarne
l'uso, fino alla possibilita' di  vietarlo  del  tutto,  come  questa
Corte ha recentemente sottolineato (sentenze n. 246 del 2018 e n. 172
del 2018). 
    Con  cio',  in  linea  di  principio,  la  dichiarazione  non  si
sovrappone alla disciplina  urbanistica  ed  edilizia  di  competenza
regionale e locale, ma piuttosto  specifica  se  e  in  quale  misura
quest'ultima possa esercitarsi, in forma compatibile con la vocazione
alla conservazione del pregio paesaggistico propria  dell'immobile  o
dell'area vincolata. 
    La circostanza che larga parte del territorio  interessato  dalla
dichiarazione sia gia' tutelata per legge ai sensi dell'art. 142 cod.
beni culturali non toglie, percio', che la dichiarazione di  notevole
interesse  pubblico  possa  sopraggiungere,  proprio   al   fine   di
arricchire con maggiori dettagli lo specifico grado di protezione  di
cui i beni inseriti nell'area debbono godere. 
    10.- Sulla base di queste premesse, appare  chiaro  che  spettava
allo Stato adottare il decreto oggetto  di  conflitto,  poiche'  esso
corrisponde all'esercizio di un'attribuzione costituzionale declinata
dalla  legge  con  l'art.  138,  comma  3,   cod.   beni   culturali,
insuscettibile, nel caso  concreto,  di  pregiudicare  le  competenze
della Regione Veneto in tema di valorizzazione dei beni  culturali  e
di governo del territorio. 
    10.1.- In senso opposto, non vale obiettare  che,  alla  data  di
adozione dell'atto oggetto di conflitto, era da lungo tempo in  corso
il procedimento per approvare congiuntamente il  piano  paesaggistico
regionale, sicche' imporre il  vincolo  al  di  fuori  di  tale  sede
violerebbe il principio di leale collaborazione. 
    Difatti,  si  e'  gia'  osservato  che,  in  base   alla   logica
incrementale  della  tutela  paesaggistica,  e'   ininfluente   sulla
preliminare  dichiarazione  di   notevole   interesse   pubblico   la
circostanza  che  Stato  e  Regione  non  concordino,  eventualmente,
sull'introduzione in sede di pianificazione di un  nuovo  vincolo  ai
sensi dell'art. 143, comma 1, lettera d), cod. beni culturali. 
    Il piano e' infatti tenuto a recepire i vincoli  gia'  formatisi,
proprio  perche'  nel  disegno  costituzionale,   poi   attuato   dal
legislatore ordinario, non compete alla Regione paralizzare le scelte
di tutela compiute dai competenti organi statali. 
    Ne consegue che  l'imposizione  del  vincolo  e'  stata  disposta
"nelle more della redazione  del  piano  paesaggistico"  non  perche'
quest'ultimo sia destinato ad  incidere  su  tale  scelta,  ma,  piu'
semplicemente, perche' la finalita' di conservazione non e' stata  di
fatto ancora perseguita dallo Stato  in  occasione  dell'approvazione
dello strumento di pianificazione, fermo restando che e' rimessa alla
discrezionalita'  dell'organo  statale  competente  optare  per  tale
soluzione, ovvero procedere unilateralmente. 
    In quest'ultimo caso, poi, non e' affatto necessario, come invece
sostiene la ricorrente, che vi siano ragioni di urgenza. L'art.  138,
comma 3, cod. beni culturali riflette, come si e' visto,  l'esercizio
di  una  competenza   costituzionale   propria   dello   Stato,   che
quest'ultimo, secondo  la  logica  incrementale  delle  tutele,  puo'
esercitare senza alcun condizionamento legato a fattori  temporali  o
contingenti, ovvero alla sfera di competenza regionale. 
    11.- Il ricorso e' percio' privo di fondamento. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara che  spettava  allo  Stato,  e  per  esso  al  Direttore
generale della direzione generale archeologia, belle arti e paesaggio
del Ministero per i beni e le attivita' culturali e per  il  turismo,
adottare il decreto 5 dicembre 2019, n. 1676, recante  «Dichiarazione
di notevole interesse  pubblico  dell'area  alpina  compresa  tra  il
Comelico e la Val d'Ansiei, Comuni di Auronzo  di  Cadore,  Danta  di
Cadore, Santo Stefano di Cadore, San Pietro di Cadore, San Nicolo' di
Comelico e Comelico Superiore». 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 23 giugno 2021. 
 
                                F.to: 
                   Giancarlo CORAGGIO, Presidente 
                 Augusto Antonio BARBERA, Redattore 
                    Filomena PERRONE, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 22 luglio 2021. 
 
                           Il Cancelliere 
                       F.to: Filomena PERRONE