N. 172 SENTENZA 7 - 23 luglio 2021

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Ordinamento giudiziario - Indennita' spettanti ai giudici onorari  di
  tribunale (GOT) - Previsione che ai GOT spetta un'indennita' per le
  attivita'  di  udienza  svolte  nello  stesso  giorno  nonche'  una
  ulteriore  indennita'  equipollente  ove  il  complessivo   impegno
  lavorativo per tali attivita' superi  le  cinque  ore  -  Ulteriore
  indennita' per ogni altra attivita' svolta fuori dall'udienza  loro
  delegata  e  attestata  dal  procuratore  della  Repubblica,   come
  previsto  per  i  vice  pretori  onorari  -  Omessa  previsione   -
  Denunciata irragionevolezza, violazione dei principi di uguaglianza
  e di buon andamento della pubblica amministrazione - Non fondatezza
  delle questioni. 
- Decreto-legge   2   ottobre   2008,   n.   151,   convertito,   con
  modificazioni, nella legge 28 novembre 2008, n.  186,  art.  3-bis,
  comma 1, lettera a). 
- Costituzione, artt. 3, 97, secondo comma, e 107, terzo comma. 
(GU n.30 del 28-7-2021 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giancarlo CORAGGIO; 
Giudici :Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria  de  PRETIS,  Nicolo'
  ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,
  Giovanni  AMOROSO,  Francesco  VIGANO',  Luca   ANTONINI,   Stefano
  PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela  NAVARRETTA,  Maria  Rosaria  SAN
  GIORGIO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  3-bis,
comma 1, lettera a), del decreto-legge 2 ottobre 2008, n. 151 (Misure
urgenti in  materia  di  prevenzione  e  accertamento  di  reati,  di
contrasto   alla   criminalita'   organizzata   e    all'immigrazione
clandestina), convertito, con modificazioni,  in  legge  28  novembre
2008, n. 186, nella parte in cui sostituisce il comma 1 e aggiunge il
comma 1-bis all'art. 4 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 273
(Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del decreto  del
Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 449, recante  norme
per l'adeguamento  dell'ordinamento  giudiziario  al  nuovo  processo
penale ed a quello a carico degli imputati minorenni),  promosso  dal
Tribunale ordinario di Genova, nel procedimento vertente tra R. F.  e
il Ministero della  giustizia,  con  ordinanza  del  4  aprile  2020,
iscritta al n. 150 del registro ordinanze  2020  e  pubblicata  nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  44,  prima  serie  speciale,
dell'anno 2020. 
    Visti  l'atto  di  costituzione  di  R.  F.,  nonche'  l'atto  di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito nell'udienza pubblica del 7 luglio 2021 il Giudice relatore
Nicolo' Zanon; 
    uditi l'avvocato Vincenzo Marino per R. F.,  in  collegamento  da
remoto, ai sensi del punto 1) del decreto del Presidente della  Corte
del 18 maggio 2021, e l'avvocato dello Stato Francesco  Sclafani  per
il Presidente del Consiglio dei ministri. 
    deliberato nella camera di consiglio del 7 luglio 2021. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Il Tribunale ordinario di Genova, con ordinanza del 4  aprile
2020 (r.o. n. 150 del 2020), solleva, in riferimento  agli  artt.  3,
97,  primo  (recte:  secondo)  comma,  e  107,  terzo  comma,   della
Costituzione,  questioni  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.
3-bis, comma 1, lettera a), del decreto-legge 2 ottobre 2008, n.  151
(Misure urgenti in materia di prevenzione e accertamento di reati, di
contrasto   alla   criminalita'   organizzata   e    all'immigrazione
clandestina), convertito, con modificazioni,  in  legge  28  novembre
2008, n. 186, nella parte in cui sostituisce il comma 1 e aggiunge il
comma 1-bis all'art. 4 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 273
(Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del decreto  del
Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 449, recante  norme
per l'adeguamento  dell'ordinamento  giudiziario  al  nuovo  processo
penale ed a quello a carico degli imputati minorenni). 
    2.- Innanzi al tribunale rimettente pende un giudizio  introdotto
da R. F., attualmente giudice onorario di pace, gia' giudice onorario
del Tribunale di Genova sin dal 2005. 
    Il rimettente espone, in fatto, che R. F. e' assegnataria  di  un
ruolo di cause civili relative all'espropriazione mobiliare,  per  le
quali «da tempo» celebra udienza ogni lunedi', mercoledi' e  venerdi'
della settimana, attendendo, altresi',  ad  «ogni  compito  del  G.E.
nella materia, compresi numerosi atti da  svolgersi  fuori  udienza»,
quali lo studio dei fascicoli, l'esame di istanze di varia natura,  i
provvedimenti relativi ai custodi e  agli  stimatori,  eccetera.  Per
svolgere le indicate attivita', R. F. sarebbe stata impegnata, al  di
fuori dell'udienza, per «almeno 4 giornate al mese oltre le  5  ore»,
sicche', per  tale  tempo,  avrebbe  dovuto  conseguire  il  compenso
spettante per l'esercizio delle funzioni onorarie. 
    Proprio quest'ultima pretesa e'  avanzata,  riferisce  ancora  il
Tribunale di Genova, nel giudizio a quo, con decorrenza dalla data di
assunzione dell'incarico onorario. 
    Premette il rimettente che la parte R.  F.  osserva  come  l'art.
3-bis del d.l. n. 151  del  2008,  come  convertito,  nel  modificare
l'art. 4 del d.lgs. n. 273 del  1989,  ha  previsto  che  ai  giudici
onorari di tribunale (d'ora innanzi:  GOT)  spetti  un'indennita'  di
euro 98 per le attivita' di udienza  svolte  nello  stesso  giorno  e
un'ulteriore indennita' di euro  98,  ove  il  suddetto  «complessivo
impegno lavorativo» superi le cinque ore. Lamenta, cosi', che ai vice
procuratori onorari  (d'ora  innanzi:  VPO)  la  medesima  indennita'
giornaliera, con possibilita' di raddoppio, spetti invece - oltre che
per la partecipazione ad una o piu' udienze, in relazione alle  quali
sia loro conferita delega - anche per ogni  altra  diversa  attivita'
loro delegata (purche' l'impegno fuori udienza  venga  attestato  dal
procuratore della  Repubblica):  sarebbe  dunque  sufficiente,  nella
prospettiva  dell'attrice,  applicare  in  via  di   «interpretazione
analogica» il medesimo regime riservato ai  VPO,  per  accogliere  la
domanda volta ad  ottenere  la  remunerazione  dell'attivita'  svolta
fuori udienza dal GOT, inclusa quella di  redazione  delle  sentenze,
previa acquisizione  di  apposita  attestazione  del  presidente  del
tribunale. 
    In subordine, espone ancora il rimettente, R. F.,  «ove  ritenuto
insormontabile  il  testo  di  legge»,  nel  senso  che   lo   stesso
consentirebbe il riconoscimento di indennita'  «per  attivita'  extra
udienza» ai soli VPO, chiede di sollevare questione  di  legittimita'
costituzionale, per violazione dell'art. 3 Cost.,  in  considerazione
dell'ingiustificata disparita' di trattamento tra le  due  figure  di
magistrati onorari. 
    2.1.- In punto di  rilevanza,  il  tribunale  rimettente  ritiene
superabile l'eccezione sollevata nel giudizio a  quo  dall'Avvocatura
generale dello Stato, secondo cui l'attrice  avrebbe  gia'  indicato,
nei prospetti mensili depositati per la liquidazione dei compensi, di
aver «quasi sempre» tenuto udienze di oltre  cinque  ore  in  ciascun
giorno lavorativo della  settimana,  sicche'  sarebbe  obiettivamente
difficile stabilire quale risultato  utile  potrebbe  comportare  «la
diversa interpretazione prospettata, avendo l'attrice  gia'  ottenuto
il massimo riconoscimento possibile». Sarebbe stata svolta,  infatti,
attivita' istruttoria, con  richiesta  al  presidente  della  sezione
presso la quale R. F. esercita le funzioni onorarie di verificare se,
«nell'ipotesi astratta di fondatezza della tesi attorea,  vi  sarebbe
stato margine per una  ulteriore  liquidazione  indennitaria  al  GOP
attore».  Dall'articolata  relazione  redatta   sarebbe   emersa   la
possibilita' di «espansione della indennita' riconosciuta al GOT, ove
al suo trattamento fosse applicata la medesima disciplina vigente per
i viceprocuratori». 
    2.2.-  Quanto  alla  non  manifesta  infondatezza,  il  tribunale
rimettente ricostruisce innanzitutto la disciplina dettata  dall'art.
4 del d.lgs. n. 273 del 1989, come modificato dall'art. 3-bis,  comma
1, lettera a), del d.l. n. 151 del 2008, come convertito. 
    L'indicata disposizione determina il compenso spettante,  sia  ai
GOT (ora giudici onorari di pace), sia ai VPO. 
    Per i  primi,  il  comma  1  prevede  la  corresponsione  di  una
indennita' di euro 98 «per  le  attivita'  di  udienza  svolte  nello
stesso  giorno»  e  il  comma  1-bis  dispone  che  ad  essi   spetti
«un'ulteriore indennita'  di  euro  98  ove  il  complessivo  impegno
lavorativo per le attivita' di cui al comma 1 superi le cinque ore». 
    Per i VPO, invece, il comma 2 riconosce  la  medesima  indennita'
giornaliera di euro 98 per l'espletamento di una  serie  di  compiti,
anche se svolti cumulativamente, quali: a) la partecipazione ad una o
piu' udienze in relazione alle quali e' conferita la delega; b)  ogni
altra attivita', diversa da quella di cui alla lettera a), delegabile
a norma delle vigenti disposizioni di legge. Il comma 2-bis, inoltre,
dispone che ai VPO spetti un'ulteriore indennita' di euro 98 «ove  il
complessivo impegno lavorativo necessario per lo svolgimento di una o
piu' attivita' di cui al comma 2 superi le cinque ore giornaliere». 
    Ai sensi del successivo comma  2-ter  del  medesimo  art.  4,  la
durata delle udienze - ai fini del  riconoscimento  della  cosiddetta
"doppia indennita'", sia  ai  GOT  che  ai  VPO  -  e'  rilevata  dai
rispettivi  verbali,  mentre,  per  i  soli  VPO,  la  durata   della
permanenza in ufficio per l'espletamento delle attivita'  diverse  da
quella di udienza e' rilevata dal procuratore della Repubblica. 
    Cio' premesso, il rimettente parte dal  presupposto  secondo  cui
l'art. 4 del d.lgs. n. 273 del  1989,  come  modificato  dalla  norma
censurata, prevede che i GOT siano compensati - diversamente dai  VPO
-  in  relazione  alla  sola  attivita'   di   udienza,   e   ritiene
ingiustificata tale differenza di trattamento. 
    Il giudice a quo evidenzia che tale disparita'  e'  destinata  ad
essere superata dalla disciplina introdotta dal  decreto  legislativo
13 luglio 2017, n. 116 (Riforma organica della magistratura  onoraria
e  altre  disposizioni  sui  giudici  di  pace,  nonche'   disciplina
transitoria relativa ai magistrati onorari in servizio, a norma della
legge 28 aprile 2016, n. 57). Aggiunge, pero', che il complesso delle
disposizioni censurate, «oltre a conservare tuttora vigore temporaneo
[...], certamente conserva valore per  i  fatti  di  causa,  relativi
interamente al passato». 
    Il  Tribunale  di  Genova  esplora  anche  la   possibilita'   di
un'interpretazione costituzionalmente orientata nel senso prospettato
dall'attrice   nel   giudizio   a   quo.   Tuttavia,    la    esclude
consapevolmente, affermando che la differenza di trattamento tra  GOT
e VPO e' «chiaramente voluta dal legislatore storico ed  e'  espressa
in una forma del tutto incompatibile  con  qualsiasi  interpretazione
adeguatrice». 
    In  questa  lettura  risiederebbe   la   lesione   ai   parametri
costituzionali evocati. 
    A  giudizio  del  rimettente,  infatti,  costituirebbe  «un  dato
innegabile, secondo buona fede  intellettuale»,  che  il  lavoro  del
giudice e del pubblico ministero si svolga «sia in udienza che  fuori
udienza». 
    Il giudice a quo  riconosce  che  «[s]i  potrebbe  discutere  sul
relativo peso delle due attivita'», ma osserva  come  in  entrambi  i
casi «due attivita' giudiziarie primarie, la direzione delle indagini
per il PM e la redazione delle sentenze per i giudici», siano  svolte
fuori udienza,  sicche'  la  discriminazione  censurata  non  sarebbe
giustificabile: per  il  rimettente,  infatti,  sarebbe  evidente  la
possibilita' di individuare una «realta'  normativa  alternativa»  in
cui  anche  l'attivita'  fuori  udienza  del  giudice  onorario   sia
riconosciuta a fini indennitari, «con  la  semplice  duplicazione  di
quanto previsto per i VPO e con la sostituzione  del  riferimento  al
Procuratore Capo, con quello al  Presidente  del  Tribunale  o  della
Corte di Appello (che ora dispone di giudici onorari)». 
    Il Tribunale rimettente,  dunque,  considera  non  manifestamente
infondata l'eccezione d'illegittimita' costituzionale sollevata dalla
parte  attrice  nel  giudizio  a  quo,  sotto  il  profilo   di   una
irragionevole    discriminazione    consistente    nel    considerare
«diversamente due condizioni in tutto analoghe». In relazione ad  una
medesima udienza, osserva a tal  proposito  il  giudice  a  quo,  due
magistrati - «l'uno con funzione  requirente,  l'altro  con  funzione
giudicante»  -  potrebbero  avere  svolto  entrambi  attivita'  fuori
udienza, ad esempio, oltre che per studiare gli atti, per redigere il
capo di imputazione e impartire direttive alla  polizia  giudiziaria,
il primo, oppure per  redigere  la  sentenza,  l'altro:  le  suddette
attivita',  tuttavia,   contribuirebbero   «alla   formazione   della
indennita' solo per il viceprocuratore onorario e non per il  giudice
onorario». Si tratterebbe di una discriminazione evidente anche nella
materia civile, nella quale pure  rileva  l'attivita'  fuori  udienza
svolta dal giudice onorario, quale quella indicata  in  precedenza  e
documentata  nel  giudizio  a  quo,   ulteriore   rispetto   all'atto
«giurisdizionale per eccellenza della redazione della sentenza». 
    Secondo  il  rimettente,  priva  di  pregio  sarebbe  l'obiezione
secondo cui l'indennita' liquidata ai  giudici  onorari  non  avrebbe
natura retributiva, con  conseguente  inapplicabilita'  dell'art.  36
Cost., unico parametro che imporrebbe il riconoscimento  di  un  pari
trattamento  economico  a  fronte  di  una   prestazione   lavorativa
equivalente: a suo giudizio, un  trattamento  costituente  un  «"bene
della vita", quale una indennita'», non  potrebbe  essere  «assegnato
dal  legislatore,  in  presenza  di  presupposti  identici,  in  modo
indifferente a tale identita' e di fatto difforme», sicche', nel caso
di specie, la norma censurata sarebbe confliggente con l'art. 3 Cost.
«senza necessita' di transitare per  il  medio  logico  dell'art.  36
Cost. solo perche' la rivendicazione "appare lavoristica"». 
    Il rimettente solleva altre due questioni, ulteriori  rispetto  a
quella prospettata dall'attrice nel giudizio a quo. 
    Considerato che sia  i  GOT  che  i  VPO  «svolgono  le  funzioni
giudicante e  requirente  al  medesimo  livello  (generalmente  primo
grado,  escluse  determinate  materie,  con  funzione  essenzialmente
sostitutiva del magistrato ordinario)», la norma censurata, giudicata
«di evidente favore per la posizione dei viceprocuratori»,  lederebbe
il principio di «pari considerazione  dei  magistrati  a  parita'  di
funzioni» presidiato dall'art. 107, terzo comma, Cost. 
    Infine,  sotto  altro   aspetto,   il   rimettente   ritiene   la
disposizione censurata incompatibile con l'art.  97,  secondo  comma,
Cost., «nella misura in cui evidentemente incoraggia  il  sistematico
trasferimento dei magistrati onorari in servizio dai posti giudicanti
a quell[i] requirenti». 
    3.- Nel giudizio si  e'  costituita  R.  F.,  la  quale,  in  via
preliminare, ha ulteriormente illustrato i termini della controversia
pendente innanzi al giudice a quo. 
    Ha precisato,  cosi',  di  svolgere  le  funzioni  di  magistrato
onorario sin dal 1992, dapprima come vice pretore e poi come GOT  dal
2005, e di essere assegnataria di un ruolo di  cause  «relativo  alle
esecuzioni civili», per gestire  il  quale  ha  «da  sempre»  svolto,
«oltre alle udienze», anche  «attivita'  fuori  udienza»,  avente  ad
oggetto in particolare l'adozione di ordinanze a seguito  di  riserva
in udienza e la  redazione  di  sentenze,  oltre  a  tutte  le  altre
decisioni rimesse al giudice nell'ambito  delle  procedure  esecutive
mobiliari. 
    Ha poi messo in evidenza la disparita' di  trattamento  -  a  suo
dire ingiustificata - rispetto ai VPO, ai quali l'art. 4  del  d.lgs.
n. 273 del 1989 riconosce un compenso anche per le attivita' delegate
prestate fuori udienza, quali ad esempio  la  «redazione  di  decreti
penali», le «richieste di archiviazione», i «capi di imputazione», in
tal modo consentendo loro di piu' facilmente «raggiungere e  superare
il limite delle cinque ore utile  a  determinare  l'attribuzione  del
compenso aggiuntivo di ulterior[i] 98 euro». 
    La domanda spiegata nel giudizio a quo, quindi, mirerebbe proprio
ad ottenere il riconoscimento del compenso anche per il lavoro svolto
fuori udienza, quantificato in «almeno quattro giornate al mese», con
impegno superiore alle cinque ore giornaliere. 
    A differenza di quanto ritenuto dal tribunale rimettente, ritiene
possibile una interpretazione della disposizione censurata conforme a
Costituzione: il comma 1-bis dell'art. 4 del d.lgs. n. 273 del  1989,
infatti,  nel  riferirsi   al   «complessivo   impegno   lavorativo»,
esprimerebbe  la   volonta'   del   legislatore   «di   ricomprendere
nell'ambito della norma tutta l'attivita', prodromica  e  successiva,
che non puo' non accompagnare l'attivita' di udienza». 
    R. F. riconosce che residuerebbe  il  problema  del  «sistema  di
rilevazione della durata della permanenza in ufficio»,  non  previsto
dalla  norma  censurata.  Tuttavia,  ritiene  che  i  presidenti  dei
Tribunali possano «ex se disporre adeguati strumenti di  rilevazione»
(ad esempio, richiedendo ai giudici onorari interessati un  prospetto
delle cause e questioni  trattate  a  seguito  di  riserva,  e  delle
decisioni assunte, onde effettuare una  verifica  di  congruita'  del
compenso) oppure «ricorrere all'applicazione di  criteri  presuntivi,
che rendano verosimile la portata e la misura  oraria  dell'attivita'
svolta fuori udienza». 
    In subordine, la parte aderisce alle considerazioni  esposte  dal
giudice a quo nell'ordinanza di rimessione  in  ordine  al  contrasto
delle disposizioni censurate con gli artt. 3, 97,  secondo  comma,  e
107, terzo comma, Cost. 
    Prospetta, in aggiunta, anche la lesione dell'art. 36 Cost. 
    Richiamando,  a  tale  proposito,  la  sentenza  della  Corte  di
giustizia dell'Unione europea, sezione seconda, 16  luglio  2020,  in
causa C-658/18, UX, ricorda che quest'ultima  avrebbe  stabilito  che
l'attivita' del giudice di  pace  rientra  nella  nozione  di  lavoro
subordinato e che le prestazioni economiche percepite possono  essere
considerate  di  carattere  remunerativo,  cio'   che   consentirebbe
l'evocazione, anche nel  presente  giudizio,  del  parametro  di  cui
all'art. 36 Cost., «per verificare se il compenso erogato sia  giusto
ed equo»: escludere un compenso  per  «una  parte  non  semplicemente
rilevante  ed  importante,  ma  decisiva»   dell'impegno   lavorativo
richiesto   al   GOT   sarebbe,   appunto,   lesivo   del   parametro
costituzionale indicato. 
    4.- Nel giudizio e' intervenuto il Presidente del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate  inammissibili  o,
comunque, non fondate. 
    4.1.- L'interveniente eccepisce, in primo luogo,  il  difetto  di
rilevanza delle questioni sollevate, in quanto, in base  alle  stesse
allegazioni della parte attrice  nel  giudizio  a  quo,  quest'ultima
avrebbe   gia'   percepito   «la   massima   indennita'   giornaliera
attribuibile per legge al magistrato onorario (sia esso  GOT  o  VPO)
ovvero la cd.  doppia  indennita'  che  scatta  dopo  cinque  ore  di
attivita'  d'udienza»,  sicche'  alcuna  utilita'  concreta  potrebbe
derivare dall'accoglimento delle questioni sollevate. 
    4.2.- Nel  merito,  il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri
ritiene non fondate le censure prospettate dal rimettente. 
    Ricorda, a tal fine, che la disciplina delle indennita' spettanti
alle singole figure di magistrati onorari -  e,  in  particolare,  ai
giudici di pace, ai GOT e ai VPO - e' destinata  ad  essere  superata
dall'entrata in vigore della disciplina di cui al d.lgs. n.  116  del
2017 (recante la riforma organica della magistratura onoraria), che -
unificando  il  trattamento  economico  da  riconoscere  a  tutti   i
magistrati onorari - prevede, a far  data  dal  16  agosto  2021,  la
corresponsione di una  indennita'  lorda  annuale  in  misura  fissa,
destinata a sostituire i regimi finora vigenti. 
    Questi ultimi, in particolare,  prevedono  modalita'  diverse  di
calcolo dell'indennita' giornaliera spettante ai magistrati  onorari,
legando pero' il compenso spettante ai VPO  sempre  all'attivita'  di
udienza - al netto dell'attivita'  preparatoria  di  studio  e  della
redazione di provvedimenti conseguenti (esattamente come per i GOT) -
oltre che a quella diversa che viene loro espressamente delegata  dal
procuratore della Repubblica. 
    Cio'  sarebbe  confermato  dalla  interpretazione   seguita   dal
Ministero della giustizia nelle proprie circolari, con  le  quali  la
corresponsione dell'indennita' e'  stata  esclusa  per  le  attivita'
consistenti «nella redazione di  sentenze  e  provvedimenti  e  nello
studio  degli  atti»  (quanto  ai  GOT)  e  per  gli  incombenti  non
rientranti nelle attivita' delegabili (quanto ai VPO). 
    Sarebbe,  quindi,  destituito  di   fondamento   il   presupposto
interpretativo dal quale muove il giudice rimettente,  in  ordine  al
differente trattamento riservato - prima della riforma  prevista  dal
d.lgs. n. 116 del 2017 - ai  GOT  rispetto  ai  VPO,  nel  senso  del
riconoscimento soltanto ai secondi di  un  compenso  per  l'attivita'
preparatoria di  studio  dell'udienza  e  per  quella  successiva  di
compimento delle attivita' strettamente connesse alla celebrazione di
quest'ultima. 
    L'interveniente, pur prendendo atto che il giudice a quo  non  ha
contestato l'assunto per  cui  l'indennita'  giornaliera  di  cui  si
discute non riveste natura retributiva, sottolinea che,  mancando  un
rapporto di impiego pubblico, il compenso  spettante  al  funzionario
onorario avrebbe carattere «meramente indennitario e, in senso  lato,
di ristoro degli oneri sostenuti», al di fuori di qualunque  rapporto
di corrispettivita' rispetto alle funzioni svolte:  in  nessun  modo,
dunque, potrebbe affermarsi che «l'indennita' percepita da VPO e GOT,
o  piu'  in  generale  dai   magistrati   onorari,   costituisca   la
controprestazione del  lavoro  svolto  e  che  per  questo  si  debba
valutare se l'equilibrio sinallagmatico tra  prestazione  e  compenso
dei  GOT  sia  o  meno   ragionevolmente   difforme   dall'equilibrio
sinallagmatico tra prestazione e compenso dei VPO». 
    In ogni caso, conclude l'interveniente, «quand'anche  si  dovesse
ritenere  ammissibile   tale   comparazione»,   il   diverso   regime
indennitario sarebbe giustificato  dalla  diversita'  delle  funzioni
svolte dalle due figure di magistrato onorario. 
    Tali considerazioni  escluderebbero,  di  conseguenza,  anche  la
prospettata violazione dell'art. 107, terzo comma, Cost.,  in  quanto
dimostrerebbero  che  «la  norma  censurata  non  contrasta  con   il
principio  di  pari  considerazione  dei  magistrati  a  parita'   di
funzioni». 
    Infine, non sussisterebbe neppure  la  violazione  dell'art.  97,
secondo comma, Cost., perche' il differente trattamento  indennitario
non  sarebbe  «certo  di  tale  entita'  da  poter  incoraggiare»  la
conseguenza prospettata dal rimettente. 
    5.- La parte ha depositato, in data 14 giugno 2021,  una  memoria
illustrativa,   per   confutare   le   eccezioni   e   le   deduzioni
dell'interveniente. 
    Con riferimento all'eccezione d'irrilevanza della  questione,  ha
diffusamente  argomentato  in   ordine   alla   plausibilita'   della
prospettazione del giudice rimettente con riguardo  alla  sussistenza
di un margine di incremento delle indennita' dovute  alla  ricorrente
nel giudizio principale, in caso di accoglimento delle  questioni  di
legittimita' costituzionale sollevate. 
    Ha poi contestato la tesi dell'Avvocatura generale  dello  Stato,
in ordine alla natura indennitaria, e non retributiva,  del  compenso
spettante ai magistrati onorari. Secondo la parte, la sentenza  della
Corte  di  giustizia  dell'Unione  europea,   citata   nell'atto   di
costituzione in giudizio, renderebbe non  piu'  sostenibile  la  tesi
secondo cui «il compenso del giudice onorario non abbia una  funzione
corrispettiva», avallandone, piuttosto,  il  carattere  remunerativo.
Conseguentemente, ha  insistito  affinche'  questa  Corte  valuti  le
questioni sollevate dal  rimettente  anche  alla  luce  dell'art.  36
Cost.: il «complessivo impegno lavorativo», di cui ragiona  l'art.  4
del d.lgs. n. 273 del 1989, dovrebbe  necessariamente  ricomprendere,
non soltanto l'attivita' di udienza, ma anche  tutto  cio'  che  «sta
"dietro" e  "a  fianco"  dell'attivita'  di  udienza»,  che  tuttavia
verrebbe economicamente valorizzato solo per il VPO. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Tribunale ordinario di Genova dubita - in riferimento agli
artt. 3, 97, primo (recte: secondo) comma, e 107, terzo comma,  della
Costituzione - della  legittimita'  costituzionale  dell'art.  3-bis,
comma 1, lettera a), del decreto-legge 2 ottobre 2008, n. 151 (Misure
urgenti in  materia  di  prevenzione  e  accertamento  di  reati,  di
contrasto   alla   criminalita'   organizzata   e    all'immigrazione
clandestina), convertito, con modificazioni,  in  legge  28  novembre
2008, n. 186, nella parte in cui sostituisce il comma 1 e aggiunge il
comma 1-bis all'art. 4 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 273
(Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del decreto  del
Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 449, recante  norme
per l'adeguamento  dell'ordinamento  giudiziario  al  nuovo  processo
penale ed a quello a carico degli imputati minorenni). 
    2.- Le questioni originano da un giudizio introdotto  da  R.  F.,
gia' giudice onorario del Tribunale di Genova sin dal 2005,  in  tale
veste  assegnataria  di   un   ruolo   di   cause   civili   relative
all'espropriazione mobiliare e incaricata dell'adozione di una  serie
di atti e provvedimenti «da svolgersi fuori udienza». 
    La  disposizione  censurata,  nel   prevedere   -   mediante   la
sostituzione del comma 1 dell'art. 4 del d.lgs. n. 273 del 1989 - che
ai  giudici  onorari  di  tribunale  (d'ora  innanzi:  GOT)  spettino
un'indennita' di euro 98 «per le attivita' di  udienza  svolte  nello
stesso giorno», e - mediante l'aggiunta del comma 1-bis  all'indicato
art. 4 - un'ulteriore  indennita'  di  euro  98  ove  il  complessivo
impegno lavorativo per le suddette attivita' superi  le  cinque  ore,
impedirebbe di corrispondere un compenso anche per il disbrigo  fuori
udienza delle incombenze ricordate. 
    Diversamente, il medesimo art. 4 del  d.lgs.  n.  273  del  1989,
attraverso i commi 2 e 2-bis - rispettivamente sostituito e  aggiunto
dall'art. 3, comma 1, lettera b), del d.l.  n.  151  del  2008,  come
convertito  -  consentirebbe  ai  vice  procuratori  onorari   (d'ora
innanzi: VPO) di ottenere  un  compenso  (sempre  calcolato  su  base
oraria, con la tecnica del "raddoppio"  dell'indennita'  in  caso  di
superamento del limite di cinque  ore  di  impegno  lavorativo),  non
soltanto per la partecipazione ad una o piu' udienze,  ma  anche  per
ogni altra attivita', diversa da quella di  udienza,  loro  delegata,
purche' l'esecuzione delle relative prestazioni venga  attestata  dal
procuratore della Repubblica. 
    2.1.- Il giudice a  quo,  in  primo  luogo,  ritiene  violato  il
principio di eguaglianza presidiato dall'art. 3 Cost. 
    La diversita' di trattamento innanzi illustrata, in quanto  priva
di giustificazione, configurerebbe una discriminazione  intollerabile
alla luce  dell'evocato  parametro  costituzionale.  In  particolare,
sarebbe irragionevole considerare  «diversamente  due  condizioni  in
tutto analoghe», appunto quelle del magistrato onorario giudicante  e
requirente,  chiamati  entrambi  a  svolgere  attivita'  sia  durante
l'udienza sia  al  di  fuori  di  essa:  nessuna  ragione  plausibile
potrebbe spiegare il riconoscimento  del  diritto  al  compenso,  per
l'impegno fuori udienza, a beneficio dei soli VPO. 
    2.2.-  Dall'asserita  disparita'  di  trattamento   discenderebbe
un'ulteriore lesione ai principi costituzionali. 
    Considerato che sia  i  GOT  che  i  VPO  «svolgono  le  funzioni
giudicante e  requirente  al  medesimo  livello  (generalmente  primo
grado,  escluse  determinate  materie,  con  funzione  essenzialmente
sostitutiva del magistrato ordinario)», le norme di cui  si  discute,
giudicate «di evidente favore per la posizione dei  viceprocuratori»,
lederebbero il principio di «pari  considerazione  dei  magistrati  a
parita' di funzioni» di cui all'art. 107, terzo comma, Cost. 
    2.3.- Infine, sotto  altro  aspetto,  il  rimettente  ritiene  la
disposizione censurata incompatibile con l'art.  97,  secondo  comma,
Cost., «nella misura in cui evidentemente incoraggia  il  sistematico
trasferimento dei magistrati onorari in servizio dai posti giudicanti
a quell[i] requirenti». 
    3.- Prima di esaminare le questioni sollevate, appare  utile  una
breve ricognizione del contesto normativo di riferimento. 
    La ricostruzione dei «momenti caratterizzanti  le  riforme  della
magistratura onoraria» e' stata gia' compiutamente operata da  questa
Corte nella sentenza n. 41 del 2021 (punti 7, 8 e 9  del  Considerato
in diritto). 
    E' sufficiente qui ricordare che, sul finire degli  anni  Novanta
del  secolo  scorso,  il  legislatore  ha  modificato   profondamente
l'assetto degli uffici giudiziari di primo grado e,  con  il  decreto
legislativo 19 febbraio 1998, n. 51 (Norme in materia di  istituzione
del giudice unico di primo grado), ha abolito  le  preture  e  ne  ha
trasferito  le  competenze  ai   tribunali.   In   sostituzione   del
vice-pretore onorario, che affiancava il pretore, ha  contestualmente
introdotto, intervenendo sul regio decreto 30  gennaio  1941,  n.  12
(Ordinamento giudiziario), il giudice onorario di tribunale (GOT)  e,
negli uffici requirenti, il vice procuratore onorario (VPO) presso il
tribunale, subentrato all'analoga figura  gia'  esistente  presso  la
pretura circondariale. 
    Concepiti come organi giudiziari di  transizione  (art.  245  del
d.lgs. n. 51 del 1998), GOT e VPO sono stati prorogati  nell'incarico
fino alla riforma della magistratura onoraria, attuata con il decreto
legislativo  13  luglio  2017,  n.  116   (Riforma   organica   della
magistratura onoraria e  altre  disposizioni  sui  giudici  di  pace,
nonche' disciplina transitoria  relativa  ai  magistrati  onorari  in
servizio, a norma  della  legge  28  aprile  2016,  n.  57),  che  ha
previsto, per quel che qui in particolare rileva, un nuovo sistema di
compenso, unico per tutti i magistrati onorari di  primo  grado  (sia
giudicanti  che  requirenti)  e  fondato  sulla   corresponsione   di
un'indennita' onnicomprensiva annuale. 
    Tale nuovo criterio e' destinato, pero', a  trovare  applicazione
solo a far data dal 16 agosto 2021 (art. 31, comma 1, del  d.lgs.  n.
116 del 2017), sicche' fino ad allora continuano  ad  applicarsi  gli
attuali regimi indennitari, diversificati per ciascuna  categoria  di
magistrati onorari. 
    Nel caso di specie viene in rilievo l'art. 4 del  d.lgs.  n.  273
del 1989, il quale, nella versione novellata  dal  d.l.  n.  151  del
2008, come convertito, e applicabile ratione temporis al  giudizio  a
quo, effettivamente distingue la posizione dei GOT da quella dei VPO. 
    Ai primi, infatti, il comma 1 riconosce un'indennita' di euro  98
per le attivita' di udienza svolte nello  stesso  giorno,  mentre  il
comma 1-bis prevede la spettanza di un'ulteriore indennita'  di  pari
importo «ove il complessivo impegno lavorativo per  le  attivita'  di
cui al comma 1 superi le cinque ore». 
    Ai VPO, invece, il comma 2 riconosce l'indennita' giornaliera  di
euro 98 per l'espletamento di due tipi di attivita', anche se  svolte
cumulativamente: la partecipazione ad una o piu' udienze in relazione
alle quali e' conferita la delega (lettera a); ogni altra  attivita',
diversa  dalla  prima,  purche'  delegabile  a  norma  delle  vigenti
disposizioni  di  legge  (lettera  b).  Il   comma   2-bis,   ancora,
attribuisce il diritto a ricevere  un'ulteriore  indennita'  di  pari
importo «ove il complessivo  impegno  lavorativo  necessario  per  lo
svolgimento di una o piu' attivita' di  cui  al  comma  2  superi  le
cinque ore giornaliere». 
    Ai fini del "raddoppio" dell'indennita', infine, il  comma  2-ter
dispone che la  durata  delle  udienze  e'  rilevata  dai  rispettivi
verbali, mentre il tempo di permanenza in ufficio per l'espletamento,
da parte dei soli  VPO,  delle  attivita'  delegabili  diverse  dalla
partecipazione  all'udienza  e'  accertato  dal   procuratore   della
Repubblica. 
    4.- Occorre, in via preliminare, delimitare il thema decidendum. 
    Le obiezioni  avanzate  dal  giudice  a  quo  s'incentrano  sulla
prospettata violazione del principio di eguaglianza.  Il  rimettente,
in particolare, ritiene  la  normativa  censurata  in  contrasto  con
l'art. 3 Cost. (e, a seguire, con gli artt. 107, terzo comma,  e  97,
secondo comma, Cost.), nella parte in cui non prevede che anche i GOT
possano essere compensati per  l'impegno  lavorativo  profuso  al  di
fuori dell'udienza, in attivita' comunque a quest'ultima accessorie. 
    La parte costituita introduce un ulteriore  profilo  di  censura,
prospettando la violazione anche dell'art. 36 Cost. 
    Richiamando,  a  tale  proposito,  giurisprudenza  sovranazionale
(Corte di giustizia dell'Unione europea, seconda sezione, sentenza 16
luglio 2020, in causa  C-658/18,  UX),  evidenzia  come  quest'ultima
avrebbe ritenuto che  la  figura  del  giudice  onorario  possa  -  a
determinate  condizioni  -  essere   ricondotta   alla   nozione   di
«lavoratore   a   tempo   determinato»,   cio'   che    consentirebbe
l'evocazione, anche nel  presente  giudizio,  del  parametro  di  cui
all'art. 36 Cost., «per verificare se il compenso erogato sia  giusto
ed equo». 
    Tale ultimo profilo e', tuttavia, inammissibile. 
    Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, l'oggetto del
giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale e' infatti
limitato alle disposizioni e ai parametri indicati nelle ordinanze di
rimessione  (sentenza  n.  109  del  2021),  con   esclusione   della
possibilita' di ampliare il thema decidendum proposto dal  rimettente
(sentenza n. 119 del 2021), fino a ricomprendervi questioni formulate
dalle parti che, tuttavia, egli non abbia ritenuto di accogliere (tra
le piu' recenti, sentenza n. 49 del 2021). Non possono percio' essere
presi in  considerazione,  oltre  i  limiti  fissati  nelle  medesime
ordinanze,   ulteriori   questioni   o   profili   di    legittimita'
costituzionale  dedotti  dalle  parti,  tanto  se  eccepiti  ma   non
condivisi dal  giudice  a  quo,  quanto  se  diretti  ad  ampliare  o
modificare successivamente  (come  nella  specie)  il  contenuto  del
provvedimento di rimessione (sentenze n. 35 del 2021, n. 186 e n. 165
del 2020). 
    Il giudice a quo - del resto - non pone affatto in discussione il
carattere indennitario del compenso spettante ai magistrati  onorari,
ne' si interroga sulla natura del rapporto  che  lega  questi  ultimi
all'amministrazione della giustizia (sicche' questa Corte non e', nel
presente giudizio, chiamata a prendere posizione su tali profili). 
    Egli, semplicemente, nell'operare  un  confronto  "interno"  alla
magistratura onoraria, nega la possibilita' di rinvenire una  ragione
idonea a giustificare una differenza  di  trattamento  economico  tra
categorie di magistrati che reputa svolgere attivita' equivalenti  ai
fini del riconoscimento di un compenso. 
    5.- Ancora in  via  preliminare,  vanno  rigettate  le  eccezioni
d'inammissibilita' sollevate dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,
per irrilevanza delle questioni. 
    Vero che il d.lgs. n. 116 del 2017 ha  sostanzialmente  livellato
le  differenze  di  compenso  riconosciuto  alle  tre  categorie   di
magistrati onorari operanti in primo grado (giudici di  pace,  GOT  e
VPO), essendone stato unificato non  solo  lo  status  giuridico,  ma
anche il regime economico. 
    Tuttavia, la circostanza, peraltro nota al rimettente, non incide
sulla rilevanza delle questioni sollevate, perche' tale aspetto della
riforma, come si e' anticipato, e' destinato a  trovare  applicazione
solo a partire dal 16 agosto 2021, laddove le  pretese  avanzate  nel
giudizio principale concernono crediti asseritamente  maturati  prima
di tale data. 
    Neppure puo' essere accolta l'ulteriore eccezione dell'Avvocatura
generale dello Stato, secondo  cui  la  parte  attrice  non  potrebbe
ricavare nessuna utilita' concreta dall'accoglimento delle  questioni
sollevate. 
    In disparte la diversa valutazione operata  dal  rimettente,  con
motivazione non implausibile, secondo cui, in forza  dell'istruttoria
espletata, sussisterebbe comunque «un margine di incremento possibile
alla  indennita'  riconosciuta»,  la  giurisprudenza   costituzionale
ritiene  che  il  presupposto  della  rilevanza  non  si  identifichi
nell'utilita'  concreta  di  cui  le  parti   in   causa   potrebbero
beneficiare (tra le ultime, sentenze n. 59 del  2021  e  n.  254  del
2020):  per  l'ammissibilita'   delle   questioni   di   legittimita'
costituzionale sollevate in via incidentale, infatti, e'  sufficiente
che la disposizione censurata sia  applicabile  nel  giudizio  a  quo
(circostanza, quest'ultima, incontestata nel caso di  specie),  senza
che rilevino gli effetti di una eventuale pronuncia di illegittimita'
costituzionale per le parti in causa (sentenze n. 253, n.  174  e  n.
170 del 2019). 
    6.- Sempre in via preliminare, va evidenziato che  il  rimettente
ha esaminato la possibilita' di un'interpretazione costituzionalmente
orientata nel senso prospettato  dall'attrice  nel  giudizio  a  quo,
scartandola,  tuttavia,  alla  luce   del   tenore   testuale   delle
disposizioni   censurate.   Secondo   la   costante    giurisprudenza
costituzionale,  e'  sufficiente  che  il  giudice  rimettente  abbia
esplorato la praticabilita'  di  una  interpretazione  adeguatrice  e
l'abbia consapevolmente esclusa, perche' la  questione  debba  essere
scrutinata nel merito (sentenze n. 89, n.  61  e  n.  32  del  2021),
poiche'  a  quest'ultimo  profilo,  e  non  gia'  all'ammissibilita',
attiene l'apprezzamento sulla correttezza  della  scelta  ermeneutica
(sentenze n. 64, n. 59 e n. 17 del 2021). 
    La  valutazione  operata  dal   rimettente,   peraltro,   e'   da
condividere: vero che il comma 1-bis dell'art. 4 del  d.lgs.  n.  273
del 1989 riconosce anche ai GOT un'ulteriore indennita'  di  euro  98
ove il «complessivo impegno lavorativo» superi le cinque ore,  ma  la
medesima disposizione specifica che tale impegno deve essere relativo
alle  «attivita'  di  cui  al  comma  1»,   che   esplicitamente   (e
chiaramente) si riferisce alle sole attivita' di udienza. Invece, per
i VPO il successivo comma 2  differenzia  nettamente  l'attivita'  di
«partecipazione ad una o piu' udienze  in  relazione  alle  quali  e'
conferita la delega» (lettera a) da «ogni altra attivita', diversa da
quella di cui alla lettera  a),  delegabile  a  norma  delle  vigenti
disposizioni di legge» (lettera b) e  il  comma  2-bis  riconosce  il
diritto al compenso per entrambe. 
    7.-  Tra  le  censure  sollevate  dal  rimettente,  deve   essere
dichiarata inammissibile,  per  palese  inconferenza  del  parametro,
quella prospettata in riferimento all'art. 107, terzo comma, Cost. 
    Sin dalla sentenza n. 123 del 1970, questa Corte ha chiarito  che
«il terzo comma dell'art. 107 non ha altro significato se non quello,
chiaramente risultante dalla  dizione  letterale  della  disposizione
[...] e sistematicamente argomentabile altresi' dalla collocazione di
essa nel contesto di un articolo rivolto in  tutte  le  sue  parti  a
disciplinare lo status dei magistrati  dell'ordine  giudiziario,  che
consiste nell'escludere -  con  particolare  riguardo  ai  magistrati
giudicanti - rapporti  di  subordinazione  gerarchica  nell'esercizio
della funzione giurisdizionale». 
    L'assunto  e'  stato  confermato  e  precisato   dalle   pronunce
successive,  in  cui  si  legge  che  «l'Assemblea  Costituente  ebbe
anzitutto di mira lo stato giuridico dei magistrati, nell'ambito  del
quale essa intendeva precludere le diversita' di gradi [...]: con  il
dichiarato  scopo  [...]  d'imporre  la   soppressione   dei   "gradi
gerarchici"  della  magistratura»,  sicche'  «da  quel  precetto   va
ricavato pur sempre  il  divieto  di  qualsiasi  tipo  di  arbitraria
categorizzazione  dei  magistrati  stessi,  non  sorretta  da  alcuna
ragione  di  ordine   funzionale»   (sentenza   n.   86   del   1982;
successivamente, in termini simili, ordinanze n. 523 del  1995  e  n.
275 del 1994). 
    Il tema del trattamento economico  dei  magistrati,  dunque,  non
interseca  affatto  l'ambito  di  applicazione   della   disposizione
costituzionale in parola (sentenza n. 133 del 1985), volta a  vietare
che  tra  i  magistrati  si  stabiliscano  rapporti   di   supremazia
gerarchica (sentenze n. 310 del 1992 e n. 18 del 1989). 
    8.- Passando al merito delle residue questioni sollevate, esse si
rivelano non fondate. 
    9.- Quanto alla prospettata violazione dell'art. 3 Cost., secondo
un costante orientamento di questa Corte, la violazione del principio
di uguaglianza sussiste solo qualora situazioni identiche, o comunque
omogenee, siano disciplinate  in  modo  ingiustificatamente  diverso.
Essa invece non si verifica  quando  alla  diversita'  di  disciplina
corrispondono situazioni non assimilabili (ex plurimis,  sentenze  n.
165 e n. 127 del 2020). 
    Cio'  premesso,  risulta  errato  il  presupposto  ermeneutico  -
appunto quello della omogeneita' delle situazioni messe a raffronto -
dal quale muove il rimettente. 
    Come si desume dall'evoluzione normativa che  ha  interessato  la
materia, infatti, la differente disciplina del compenso  dettata  per
le due figure di magistrato onorario e'  giustificata  proprio  dalla
diversita' delle funzioni a ciascuna di esse, nel tempo, attribuite. 
    L'art.  43-bis  ordin.   giud.   -   introdotto   contestualmente
all'istituzione della figura dei GOT e  poi  abrogato  dalla  riforma
della magistratura onoraria di cui  al  d.lgs.  n.  116  del  2017  -
prevedeva che i GOT non potessero tenere udienza se non nei  casi  di
impedimento  o  di  mancanza  dei  giudici  ordinari,  sicche',  come
evidenziato dalla sentenza n. 41 del 2021, attribuiva ai GOT un ruolo
di mera supplenza. 
    A  partire  dai  primi  anni  di  questo  secolo,  tuttavia,  per
fronteggiare un arretrato di dimensioni  crescenti,  l'impiego  della
magistratura   onoraria    giudicante,    attraverso    modelli    di
"affiancamento" dei GOT alla magistratura togata, e' stato esteso (in
forza di determinazioni del Consiglio superiore  della  magistratura)
fino a consentire anche  l'assegnazione  a  questi  ultimi  di  ruoli
"autonomi". Come risulta dalla risoluzione del  CSM  del  25  gennaio
2012 (Risoluzione sui moduli organizzativi dell'attivita' dei giudici
onorari in tribunale), tuttavia, le stesse determinazioni  consiliari
hanno sempre raccomandato di non assegnar loro  «lavoro  giudiziario»
(secondo la dizione  della  norma  di  ordinamento  giudiziario)  che
prescindesse dalla celebrazione delle udienze. 
    Analoga era la condizione originaria dei  VPO,  il  cui  impiego,
allo  stesso  modo,  appariva  in  sostanza  calibrato   sulla   sola
partecipazione alle udienze. 
    L'art. 72 ordin. giud. (anch'esso  successivamente  abrogato  dal
d.lgs. n. 116 del 2017) disponeva, infatti, che il procuratore  della
Repubblica  potesse  delegare   nominativamente   l'esercizio   delle
funzioni di pubblico  ministero,  relativamente  a  procedimenti  dei
quali la legge attribuiva la cognizione al tribunale in  composizione
monocratica, per una serie di attivita', legate  alla  partecipazione
all'udienza dibattimentale (lettera a) o  di  convalida  dell'arresto
nel giudizio direttissimo (lettera b), nonche' in vari tipi di  altri
procedimenti camerali (lettera d) e nei procedimenti civili  (lettera
e). 
    Come per i GOT, si trattava, dunque, di  funzioni  essenzialmente
legate alla partecipazione a un'udienza, dibattimentale  o  camerale,
con l'unica (marginale) eccezione costituita  dalla  possibilita'  di
delegare i VPO anche per la richiesta di emissione del decreto penale
di condanna (lettera c). 
    Per questo motivo, l'art. 4 del d.lgs. n. 273 del  1989,  vigente
al momento della riforma del giudice unico di primo grado operata con
il d.lgs. n. 51 del 1998,  disponeva  che  sia  ai  GOT  che  ai  VPO
spettasse una indennita' «per ogni udienza», con  il  limite  di  due
indennita' al giorno. 
    Successivamente, pero', il catalogo delle attivita' delegabili ai
VPO, in forza della clausola generale contenuta  nell'ultimo  periodo
del comma 1 dell'art. 71 ordin. giud., si e' arricchito, per  effetto
delle disposizioni contenute nel decreto legislativo 28 agosto  2000,
n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di  pace,  a
norma dell'articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468). 
    L'art. 50 di tale ultimo  decreto  ha  infatti  previsto  che  le
funzioni di pubblico ministero possono essere delegate ai VPO,  oltre
che nelle attivita' di udienza (come gia'  davanti  al  tribunale  in
composizione monocratica),  anche  per  altre  specifiche  incombenze
indicate dagli artt. 15 e 25. 
    Si tratta di ulteriori attivita' che - come gia' era accaduto per
la sola presentazione della richiesta di decreto penale  di  condanna
innanzi al giudice  per  le  indagini  preliminari  del  tribunale  -
vengono espletate a prescindere dalla  partecipazione  a  un'udienza,
camerale o dibattimentale che sia:  consistendo,  ad  esempio,  nella
formulazione dell'imputazione o nella redazione  della  richiesta  di
archiviazione, in attivita' d'indagine, eccetera. 
    Veniva, dunque, ampliato il ventaglio delle  funzioni  delegabili
al VPO, differenziandosi cosi',  in  modo  netto,  la  sua  posizione
rispetto a quella del GOT: mentre quest'ultimo avrebbe continuato  ad
esercitare  funzioni  esclusivamente  legate  alla  celebrazione   di
un'udienza, al VPO veniva riconosciuta la possibilita'  di  espletare
attivita' anche indipendentemente dalla partecipazione ad essa. 
    Non essendo stato contestualmente modificato l'art. 4 del  d.lgs.
n. 273 del 1989,  tuttavia,  queste  ultime  attivita'  non  potevano
essere  remunerate,  appunto  perche'  diverse  dalla  partecipazione
all'udienza, unico criterio normativo all'epoca  contemplato  per  la
corresponsione del compenso. 
    La situazione appariva fonte di difficolta',  testimoniate  anche
da  varie  circolari  del  Ministero  della  giustizia  che,  in  via
interpretativa, riconoscevano la  spettanza  dell'indennita'  ai  VPO
anche per lo svolgimento di  attivita'  delegate  diverse  da  quella
consistente nel sostenere la pubblica accusa in udienza. 
    Risultata pero' evidente la carenza di base legale a sostegno  di
simili letture, l'art. 3-bis del d.l. n.  151  del  2008  operava  la
modifica dell'art. 4 del d.lgs.  n.  273  del  1989  nel  senso  oggi
contestato dal  rimettente:  la  norma  censurata  giungeva  cosi'  a
fornire copertura legislativa ad una prassi amministrativa,  fondata,
come si e' detto, proprio sui compiti diversi - e piu' ampi  rispetto
alle attivita' di udienza - attribuiti ai soli VPO. 
    A differenza di quanto ritenuto dal giudice rimettente,  inoltre,
sia per i GOT che per i VPO l'art. 4 piu'  volte  citato  continua  a
considerare   non   rilevanti,   ai   fini    della    corresponsione
dell'indennita'  giornaliera,  tutte  le  attivita'  accessorie  alla
celebrazione dell'udienza (per il GOT) e alla partecipazione ad  essa
(per il VPO), se svolte al di fuori della durata dell'udienza stessa.
Per entrambe le categorie di magistrato onorario,  in  altre  parole,
non da' diritto al compenso l'impegno speso in attivita'  preliminari
- in particolare, nello studio degli atti - o successive all'udienza,
anche se a questa  strettamente  legate,  quali  la  redazione  delle
sentenze o delle ordinanze riservate in udienza (per il  GOT),  o  la
selezione dei documenti da depositare alla successiva  udienza  e  la
comunicazione alla segreteria degli adempimenti successivi posti  dal
giudice a carico dell'ufficio di procura (per il VPO). 
    In definitiva, nessuna di queste attivita' accessorie all'udienza
e' mai stata compensata, ne' se svolta dal GOT,  ne'  se  svolta  dal
VPO. 
    Dalla disamina  del  contesto  normativo  di  riferimento,  e  in
particolare dalla sua evoluzione, discende dunque pianamente  la  non
fondatezza della  questione  sollevata  con  riferimento  all'art.  3
Cost.,  sotto  il  profilo  della   violazione   del   principio   di
eguaglianza. 
    Il giudice a quo, muovendo da un'erronea premessa  interpretativa
circa la disciplina riferita al compenso dei VPO, assunta  a  tertium
comparationis, ha messo a confronto situazioni  non  comparabili,  in
quanto non omogenee (ordinanza n. 46 del 2020): come si e'  mostrato,
la differenza di trattamento tra GOT e  VPO,  sotto  il  profilo  dei
criteri di determinazione dell'indennita', trova giustificazione  nel
piu' ampio ventaglio di funzioni  attribuite  al  secondo,  al  quale
possono  essere   delegate   anche   attivita'   indipendenti   dalla
partecipazione a un'udienza. 
    Resta da osservare che tale  giudizio  di  non  fondatezza  della
questione,  esclusivamente  riferito  al  confronto  "interno"   alla
disciplina dei compensi dei magistrati onorari (GOT e VPO), prescinde
da ogni valutazione di merito su una disciplina  che  esclude  -  per
entrambe le  figure  di  magistrati  onorari  qui  considerate  -  la
remunerazione  di  attivita'  significative  svolte   al   di   fuori
dell'udienza. 
    10.- Infine, e di  conseguenza,  non  fondata  risulta  anche  la
questione sollevata con riferimento all'art. 97, secondo comma, Cost.
(per mero lapsus calami riferita dal giudice a quo al primo comma). 
    Il  rimettente  ritiene  la  disposizione  censurata   causa   di
«sistematico trasferimento dei magistrati  onorari  in  servizio  dai
posti giudicanti a quell[i] requirenti», cio' che  determinerebbe  la
lesione del principio di buon andamento dell'amministrazione. 
    Tuttavia, una volta dimostrata la non fondatezza della  questione
incentrata sulla pretesa lesione del principio di eguale  trattamento
tra GOT e VPO, e dunque caduto  il  presupposto  argomentativo  fatto
proprio dal giudice a quo, anche tale censura viene logicamente meno,
senza che sia necessario ragionare  sulla  conferenza,  nel  caso  di
specie,  del   parametro   costituzionale   evocato,   per   costante
giurisprudenza di questa Corte «riferibile all'amministrazione  della
giustizia  soltanto  per  quanto  attiene  all'organizzazione  e   al
funzionamento degli uffici giudiziari» (sentenze n. 80 del 2020 e  n.
90 del 2019), sotto l'aspetto  amministrativo  (sentenza  n.  14  del
2019). 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    1)  dichiara   inammissibile   la   questione   di   legittimita'
costituzionale  dell'art.   3-bis,   comma   1,   lettera   a),   del
decreto-legge 2 ottobre 2008, n. 151 (Misure urgenti  in  materia  di
prevenzione e accertamento di reati, di contrasto  alla  criminalita'
organizzata  e   all'immigrazione   clandestina),   convertito,   con
modificazioni, in legge 28 novembre 2008, n. 186, nella parte in  cui
sostituisce il comma 1 e aggiunge  il  comma  1-bis  all'art.  4  del
decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 273 (Norme di  attuazione,  di
coordinamento  e  transitorie  del  decreto  del   Presidente   della
Repubblica 22 settembre 1988, n. 449, recante norme per l'adeguamento
dell'ordinamento giudiziario al nuovo processo penale ed a  quello  a
carico degli imputati minorenni), sollevata, in riferimento  all'art.
107, terzo comma, della  Costituzione,  dal  Tribunale  ordinario  di
Genova, con l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    2)  dichiara   non   fondate   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 3-bis, comma 1, lettera a), del d.l. n.  151
del 2008, come convertito, nella parte in cui sostituisce il comma  1
e aggiunge il comma 1-bis all'art. 4 del  d.lgs.  n.  273  del  1989,
sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 97,  secondo  comma,  Cost.,
dal Tribunale di Genova, con l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 7 luglio 2021. 
 
                                F.to: 
                   Giancarlo CORAGGIO, Presidente 
                      Nicolo' ZANON, Redattore 
                    Filomena PERRONE, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 23 luglio 2021. 
 
                           Il Cancelliere 
                       F.to: Filomena PERRONE