N. 175 SENTENZA 24 giugno - 30 luglio 2021

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Processo penale - Equa riparazione per violazione  della  ragionevole
  durata del processo - Processi  di  durata  non  eccedente,  al  31
  ottobre 2016, i termini ragionevoli di durata previsti dall'art. 2,
  comma 2-bis, della legge n. 89 del 2001 e  non  ancora  assunti  in
  decisione alla stessa data - Rimedi preventivi - Deposito,  a  pena
  di inammissibilita', di un'istanza di accelerazione almeno sei mesi
  prima del decorso dei termini ragionevoli di  durata  -  Violazione
  del  diritto  al  giusto  processo,  per  il  profilo   della   sua
  ragionevole durata,  come  previsto  dalla  Cedu  -  Illegittimita'
  costituzionale. 
- Legge 24 marzo 2001, n. 89, artt. 1-bis, comma 2,  e  2,  comma  1,
  come, rispettivamente, inserito e  sostituito  dall'art.  1,  comma
  777, lettera a), della legge 28 dicembre 2015, n. 208, in relazione
  agli artt. 1-ter, comma 2, e 6, comma 2-bis, della medesima  legge,
  come inseriti, rispettivamente, dall'art. 1, comma 777, lettere  a)
  e m), della legge 28 dicembre 2015, n. 208. 
- Costituzione,  art.  117,   primo   comma;   Convenzione   per   la
  salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle  liberta'  fondamentali,
  artt. 6, paragrafo 1, e 13. 
(GU n.31 del 4-8-2021 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giancarlo CORAGGIO; 
Giudici :Giuliano AMATO,  Daria  de  PRETIS,  Nicolo'  ZANON,  Franco
  MODUGNO, Augusto  Antonio  BARBERA,  Giulio  PROSPERETTI,  Giovanni
  AMOROSO, Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano  PETITTI,  Maria
  Rosaria SAN GIORGIO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale  degli  artt.  1-bis,
comma 2, e 2, comma 1, in relazione agli artt. 1-ter, comma 2,  e  6,
comma 2-bis, della legge 24 marzo 2001, n.  89  (Previsione  di  equa
riparazione  in  caso  di  violazione  del  termine  ragionevole  del
processo  e  modifica  dell'articolo  375  del  codice  di  procedura
civile), nel testo risultante dalle modifiche apportate dall'art.  1,
comma 777, lettere a), b) e m), della legge 28 dicembre 2015, n. 208,
recante «Disposizioni  per  la  formazione  del  bilancio  annuale  e
pluriennale dello Stato (legge di  stabilita'  2016)»,  promosso  dal
Corte d'appello di Napoli nel procedimento vertente tra S.  A.  e  il
Ministero della giustizia, con ordinanza dell'11 marzo 2020, iscritta
al n. 173 del registro ordinanze 2020  e  pubblicata  nella  Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 50,  prima  serie  speciale,  dell'anno
2020. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 23  giugno  2021  il  Giudice
relatore Stefano Petitti; 
    deliberato nella camera di consiglio del 24 giugno 2021. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- La Corte d'appello di Napoli,  con  ordinanza  dell'11  marzo
2020, iscritta al n. 173 del registro ordinanze  2020,  ha  sollevato
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 1-bis, comma 2, in
relazione agli artt. 1-ter, comma 2, e 6, comma 2-bis, della legge 24
marzo 2001,  n.  89  (Previsione  di  equa  riparazione  in  caso  di
violazione  del  termine  ragionevole   del   processo   e   modifica
dell'articolo  375  del  codice  di  procedura  civile),  nel   testo
risultante dalle modifiche apportate dall'art. 1, comma 777,  lettere
a) e m), della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante  «Disposizioni
per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale  dello  Stato
(legge di  stabilita'  2016)»,  «nella  parte  in  cui  subordina  il
riconoscimento del diritto ad una equa riparazione in favore  di  chi
ha  subito  un  danno  patrimoniale  o  non  patrimoniale   a   causa
dell'irragionevole durata di un processo penale la cui durata  al  31
ottobre 2016 non ecceda i termini ragionevoli previsti  dall'art.  2,
comma 2-bis, e che non sia stato ancora  assunto  in  decisione  alla
stessa data, all'esperimento del rimedio preventivo  consistente  nel
depositare,  personalmente  o  a  mezzo  di   procuratore   speciale,
un'istanza di accelerazione almeno sei mesi prima che siano trascorsi
i detti termini». 
    Con la medesima  ordinanza,  la  Corte  d'appello  di  Napoli  ha
altresi' censurato l'art. 2, comma 1, in relazione agli artt.  1-ter,
comma 2, e 6, comma 2-bis, della legge n.  89  del  2001,  nel  testo
risultante dalle modifiche apportate dall'art. 1, comma 777,  lettere
a), b) e m), della legge n. 208 del 2015, «nella parte  in  cui,  con
riferimento ai processi penali la cui durata al 31 ottobre  2016  non
ecceda i termini ragionevoli previsti dall'art. 2, comma 2-bis,  e  a
quelli non ancora assunti in decisione  alla  stessa  data,  sancisce
l'inammissibilita' della domanda di  equa  riparazione  proposta  dal
soggetto che non ha esperito il rimedio  preventivo  consistente  nel
depositare,  personalmente  o  a  mezzo  di   procuratore   speciale,
un'istanza di accelerazione almeno sei mesi prima che siano trascorsi
i detti termini». 
    2.- Il giudice a quo premette che il ricorrente S. A. ha proposto
in data 6 febbraio 2020 domanda di equa riparazione, ai  sensi  della
legge n. 89 del 2001, per l'eccessiva durata di un processo penale  a
suo  carico  tuttora  pendente  in  grado  d'appello,  nel  quale  e'
attualmente maturato un ritardo tale da legittimare  la  proposizione
della domanda e che, tuttavia, al 31  ottobre  2016  non  eccedeva  i
termini  ragionevoli  stabiliti  dall'art.  2,  comma  2-bis,   della
medesima legge. In tale processo non risulta presentata dall'imputato
l'istanza di accelerazione prevista come rimedio preventivo dall'art.
1-ter, comma 2, della stessa legge n. 89 del 2001, aggiunto dall'art.
1, comma 777, lettera a), della legge n. 208 del 2015, in vigore  dal
1°  gennaio  2016.   La   mancata   presentazione   dell'istanza   di
accelerazione, avverte il giudice a quo, condurrebbe al  diniego  del
diritto  all'indennizzo  e  alla  declaratoria  di   inammissibilita'
dell'istanza, in virtu' di quanto disposto dagli artt.  1-bis,  comma
2, 2, comma 1, e 6, comma 2-bis, della legge n.  89  del  2001,  come
rispettivamente introdotti  e  sostituiti  dall'art.  1,  comma  777,
lettere a) e b), della legge n. 208 del 2015. 
    3.- La  Corte  d'appello  di  Napoli  dubita  della  legittimita'
costituzionale delle richiamate disposizioni per contrasto con l'art.
117, primo comma, della Costituzione,  in  relazione  agli  artt.  6,
paragrafo 1, e 13 della Convenzione per la salvaguardia  dei  diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU), firmata a Roma  il  4
novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4  agosto  1955,
n. 848. 
    4.-  In  punto  di  rilevanza  della  questione,  l'ordinanza  di
rimessione  espone  che  il  giudizio  penale  presupposto,   tuttora
pendente in grado di  appello,  aveva  raggiunto,  al  momento  della
proposizione della domanda di equa riparazione, la durata  di  cinque
anni,  dieci  mesi  e  dodici  giorni,  complessivamente   superiore,
pertanto, al termine ragionevole di cinque anni previsto dall'art. 2,
comma 2-bis, della legge n. 89 del 2001. 
    Negata la possibilita' di ravvisare, nella fattispecie in  esame,
alcuna delle ipotesi di esclusione del diritto  all'indennizzo  o  di
presunta insussistenza del pregiudizio da  irragionevole  durata  del
processo contemplate  dall'art.  2,  commi  2-quinquies,  2-sexies  e
2-septies, della legge n. 89 del 2001, il giudice a quo evidenzia che
il ricorrente non aveva depositato l'istanza di accelerazione di  cui
al comma 2 dell'art. 1-ter della legge n. 89 del 2001, sebbene al  31
ottobre 2016 la durata del processo  penale  presupposto  non  avesse
ancora ecceduto  i  termini  di  durata  ragionevole.  L'interessato,
infatti, aveva acquisito conoscenza dello stesso  processo  in  forza
della notificazione del decreto penale di condanna del Giudice per le
indagini preliminari del  Tribunale  ordinario  di  Torre  Annunziata
avvenuta il 21 ottobre 2013; il  12  settembre  2016  era  poi  stata
depositata dal medesimo Tribunale la sentenza di  condanna  e  il  16
settembre era stato depositato dal difensore dell'imputato l'atto  di
appello, ancora pendente al momento della proposizione della  domanda
di  equa  riparazione.  Non  trova  percio'  applicazione  la   norma
transitoria contenuta nell'art. 6, comma 2-bis, della legge n. 89 del
2001, che esclude l'operativita' del precedente art. 2, comma 1,  nei
processi la cui durata eccedesse gia' al 31 ottobre  2016  i  termini
ragionevoli di cui all'art. 2, comma 2-bis, e in  quelli  assunti  in
decisione alla stessa data. La Corte d'appello di Napoli spiega cosi'
che il giudizio di equa  riparazione  deve  essere  definito  facendo
applicazione degli artt. 1-bis, comma 2, e 2, comma 1, della legge n.
89 del 2001, in combinato disposto con gli artt. 1-ter, comma 2, e 6,
comma  2-bis,  della  stessa  legge,  arrivando,   in   forza   delle
disposizioni di cui e' denunciata l'illegittimita' costituzionale,  a
negare il diritto all'indennizzo ed  a  dichiarare  inammissibile  la
domanda proposta. 
    5.- A sostegno della non manifesta infondatezza della  questione,
l'ordinanza di rimessione richiama la sentenza n.  169  del  2019  di
questa Corte, che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art.
2, comma 2-quinquies, lettera e), della legge n.  89  del  2001,  nel
testo introdotto dall'art. 55, comma 1, lettera  a),  numero  2,  del
decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 (Misure urgenti per  la  crescita
del Paese), convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012,
n.  134.  Tale  norma  analogamente  negava   il   diritto   all'equa
riparazione  in  favore  dell'imputato  che  non  avesse  «depositato
istanza di  accelerazione  del  processo  penale  nei  trenta  giorni
successivi al superamento dei termini di cui all'art.  2-bis».  Viene
del pari richiamata la sentenza costituzionale n. 34 del 2019, che ha
dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 54, comma 2, del
decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112  (Disposizioni  urgenti  per  lo
sviluppo  economico,  la  semplificazione,  la   competitivita',   la
stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria),
convertito, con modificazioni, nella legge 6  agosto  2008,  n.  133,
come modificato dall'art. 3, comma 23,  dell'Allegato  4  al  decreto
legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell'articolo 44  della
legge 18 giugno 2009,  n.  69,  recante  delega  al  governo  per  il
riordino del processo amministrativo) e dall'art. 1, comma 3, lettera
a), numero 6, del  decreto  legislativo  15  novembre  2011,  n.  195
(Disposizioni correttive ed  integrative  al  decreto  legislativo  2
luglio 2010, n. 104, recante codice  del  processo  amministrativo  a
norma dell'articolo 44, comma 4, della legge 18 giugno 2009, n.  69).
La  Corte  d'appello  di  Napoli   rievoca   altresi'   la   costante
giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo in  tema  di
necessaria effettivita'  dei  rimedi  preventivi,  volti  ad  evitare
l'eccessiva durata del procedimento. Ad avviso del giudice a quo, gli
artt. 1-bis, comma 2, e 2, comma 1,  della  legge  n.  89  del  2001,
entrambi in relazione all'art. 1-ter, comma 2,  della  stessa  legge,
parimenti contrasterebbero con l'art. 117,  primo  comma,  Cost.,  in
relazione agli artt. 6, paragrafo  1,  e  13  CEDU,  atteso  che,  al
deposito dell'istanza di accelerazione, ad opera dell'imputato  o  di
una delle altre  parti  del  giudizio  penale,  non  corrisponderebbe
alcuna effettiva diversa considerazione  della  vicenda  processuale,
tale da assicurarne, almeno tendenzialmente, la definizione entro  il
termine ragionevole. Piuttosto, le norme  censurate  imporrebbero  un
inutile adempimento formale,  con  l'effetto  di  mera  «prenotazione
della decisione» (la quale puo' comunque intervenire oltre il termine
di ragionevole durata del correlativo grado di giudizio) e di pura  e
semplice manifestazione di un interesse gia' altrimenti presente  nel
processo e avente copertura costituzionale. 
    In sostanza, osserva la Corte d'appello di Napoli,  l'istanza  di
accelerazione del processo penale continuerebbe a  non  rappresentare
un rimedio  preventivo  effettivamente  sollecitatorio,  nei  termini
precisati dalla giurisprudenza della Corte EDU e  dalle  sentenze  di
questa Corte, tanto piu' ove si  consideri  che,  a  mente  dell'art.
1-ter, comma 7, della  legge  n.  89  del  2001,  anche  in  caso  di
esperimento dei rimedi contemplati dallo  stesso  articolo,  «restano
ferme le disposizioni che determinano  l'ordine  di  priorita'  nella
trattazione dei procedimenti». 
    E' pur vero,  aggiunge  l'ordinanza  di  rimessione,  che  l'art.
1-ter, comma 2, della legge n. 89 del 2001, disponendo che  l'istanza
di accelerazione venga presentata dall'imputato e dalle  altre  parti
del processo penale con anticipo di almeno  sei  mesi  rispetto  alla
scadenza dei termini fissati dall'art. 2, comma 2-bis, pone a  carico
degli stessi un onere di diligenza piu' incisivo di quello prescritto
(peraltro  nei  confronti  del  solo   imputato)   dalla   previgente
previsione di cui all'art. 2, comma 2-quinquies,  lettera  e),  della
medesima legge, in base alla  quale,  invece,  il  deposito  di  tale
istanza doveva essere effettuato  nei  trenta  giorni  successivi  al
superamento dei predetti termini. Cio', tuttavia, non comporta che il
rimedio in esame, seppur attualmente prefigurato  come  «preventivo»,
possa essere altresi' ritenuto «effettivo»,  ai  sensi  dell'art.  13
CEDU, in quanto, anche a seguito della novella introdotta dalla legge
n. 208 del 2015,  il  sistema  giuridico  nazionale  continua  a  non
prevedere alcuna condizione volta a garantire il sollecito esame e il
positivo riscontro dell'istanza di  accelerazione,  ne'  tantomeno  a
predisporre idonee misure finalizzate a velocizzare la  decisione  da
parte  del  giudice  al  quale  una  siffatta   istanza   sia   stata
tempestivamente rivolta. 
    Da ultimo, il giudice  a  quo  esclude  la  possibilita'  di  una
interpretazione convenzionalmente orientata delle norme sospettate di
illegittimita'  costituzionale,  atteso  il  tenore  letterale  delle
stesse. 
    6.- Il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha  depositato  atto  di
intervento, chiedendo che la questione sia dichiarata  manifestamente
infondata. 
    La difesa statale contesta l'analogia fra la questione  sollevata
dalla Corte d'appello di Napoli e quelle decise con  le  sentenze  n.
169 del 2019 e n. 34 del 2019 di questa Corte, evidenziando  come  le
indicate modifiche apportate dall'art. 1, comma 777, della  legge  n.
208 del 2015 alla "legge Pinto" abbiano inserito,  con  l'art.  1-ter
della medesima legge n. 89 del 2001, un sistema di rimedi preventivi,
da sperimentare  con  congruo  anticipo  rispetto  allo  spirare  dei
termini, previsti dall'art.  2,  comma  2-bis,  della  legge  stessa,
all'esito del quale si concretizza il diritto  all'equa  riparazione.
Nell'ambito di tali rimedi si colloca l'istanza di accelerazione,  di
cui al comma 2 del citato art. 1-ter, che l'imputato e le altre parti
hanno  il  diritto  di  depositare,  personalmente  o  a   mezzo   di
procuratore speciale, almeno sei mesi prima  che  siano  trascorsi  i
termini   predetti.   L'Avvocatura   generale   auspica,    pertanto,
l'estensione alla questione  in  esame  delle  considerazioni  svolte
nella sentenza di questa Corte n. 121 del 2020,  sottolineando  come,
diversamente dall'istanza che formava oggetto del previgente art.  2,
comma  2-quinquies,  della  legge  n.  89  del  2001,  l'istanza   di
accelerazione del processo penale prevista dall'art. 1-ter, comma  2,
della  medesima  legge  abbia  "natura  effettivamente   preventiva",
poiche' la parte interessata ha la facolta' di proporla ben sei  mesi
prima dello spirare del termine oltre il quale la durata del processo
viene considerata eccessiva e non,  come  nella  precedente  ipotesi,
successivamente alla scadenza di tale termine. 
    Nell'atto di intervento si contesta anche l'asserita mancanza  di
"effettivita'" della nuova istanza di accelerazione in rapporto  alla
durata del processo, affermandosi che l'autorita' giudiziaria, presso
la quale pende il procedimento, non potra' non tenerne conto al  fine
di  scandire  i  tempi  di  eventuali  rinvii  e  di  poter  giungere
tempestivamente alla decisione nel congruo tempo a disposizione. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- La Corte d'appello di Napoli,  con  ordinanza  dell'11  marzo
2020 (r.o. n. 173 del 2020), ha sollevato,  in  riferimento  all'art.
117, primo comma, della Costituzione,  in  relazione  agli  artt.  6,
paragrafo 1, e 13 della Convenzione per la salvaguardia  dei  diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU), firmata a Roma  il  4
novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4  agosto  1955,
n. 848, questione di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  1-bis,
comma 2, in relazione agli artt. 1-ter, comma 2, e  6,  comma  2-bis,
della legge 24 marzo 2001, n. 89 (Previsione di equa  riparazione  in
caso di violazione del termine ragionevole del  processo  e  modifica
dell'articolo  375  del  codice  di  procedura  civile),  nel   testo
risultante dalle modifiche apportate dall'art. 1, comma 777,  lettere
a) e m), della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante  «Disposizioni
per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale  dello  Stato
(legge di  stabilita'  2016)»,  «nella  parte  in  cui  subordina  il
riconoscimento del diritto ad una equa riparazione in favore  di  chi
ha  subito  un  danno  patrimoniale  o  non  patrimoniale   a   causa
dell'irragionevole durata di un processo penale la cui durata  al  31
ottobre 2016 non ecceda i termini ragionevoli previsti  dall'art.  2,
comma 2-bis, e che non ancora sia stato  assunto  in  decisione  alla
stessa data, all'esperimento del rimedio preventivo  consistente  nel
depositare,  personalmente  o  a  mezzo  di   procuratore   speciale,
un'istanza di accelerazione almeno sei mesi prima che siano trascorsi
i detti termini». 
    Con la medesima ordinanza, la Corte d'appello  di  Napoli  dubita
anche, in  riferimento  ai  medesimi  parametri,  della  legittimita'
costituzionale dell'art. 2, comma 1, in relazione agli  artt.  1-ter,
comma 2, e 6, comma 2-bis, della legge n.  89  del  2001,  nel  testo
risultante dalle modifiche apportate dall'art. 1, comma 777,  lettere
a), b) e m), della legge n. 208 del 2015, «nella parte  in  cui,  con
riferimento ai processi penali la cui durata al 31 ottobre  2016  non
ecceda i termini ragionevoli previsti dall'art. 2, comma 2-bis,  e  a
quelli non ancora assunti in decisione  alla  stessa  data,  sancisce
l'inammissibilita' della domanda di  equa  riparazione  proposta  dal
soggetto che non ha esperito il rimedio  preventivo  consistente  nel
depositare,  personalmente  o  a  mezzo  di   procuratore   speciale,
un'istanza di accelerazione almeno sei mesi prima che siano trascorsi
i detti termini». 
    2.- L'ordinanza di rimessione  richiama  le  sentenze  di  questa
Corte n. 169 del 2019 e n. 34 del  2019,  nonche'  la  giurisprudenza
della Corte europea dei  diritti  dell'uomo  in  tema  di  necessaria
effettivita' dei rimedi  preventivi,  volti  ad  evitare  l'eccessiva
durata del procedimento. Ad avviso  del  giudice  a  quo,  gli  artt.
1-bis, comma 2, e 2, comma 1, della legge n. 89 del 2001, entrambi in
relazione all'art. 1-ter, comma 2, e 6,  comma  2-bis,  della  stessa
legge, contrasterebbero  con  l'art.  117,  primo  comma,  Cost.,  in
relazione agli artt. 6, paragrafo  1,  e  13  CEDU,  atteso  che,  al
deposito dell'istanza di accelerazione, ad opera dell'imputato  o  di
una delle altre  parti  del  giudizio  penale,  non  corrisponderebbe
alcuna effettiva diversa considerazione  della  vicenda  processuale,
tale da assicurarne, almeno tendenzialmente, la definizione entro  il
termine ragionevole. Le norme censurate imporrebbero,  piuttosto,  un
inutile  adempimento  formale,   senza   rappresentare   un   rimedio
preventivo effettivamente sollecitatorio. 
    3.- L'Avvocatura generale dello Stato ha chiesto che la questione
sia  dichiarata  manifestamente  infondata,  evidenziando   come   le
modifiche apportate dall'art. 1, comma 777, della legge  n.  208  del
2015 alla legge n. 89 del  2001  abbiano  introdotto  un  sistema  di
rimedi preventivi, nell'ambito dei  quali  si  colloca  l'istanza  di
accelerazione, prevista dall'art. 1-ter, comma 2, che va proposta sei
mesi prima dello spirare del termine oltre il  quale  la  durata  del
processo viene considerata eccessiva e della quale deve  tener  conto
l'autorita' giudiziaria presso cui pende il procedimento presupposto,
al fine di modulare  i  tempi  degli  eventuali  rinvii  e  di  poter
giungere tempestivamente alla decisione. 
    4.- Entrambe le questioni sollevate  dal  rimettente  interrogano
questa  Corte  sulla  legittimita'  costituzionale  della  disciplina
legislativa  in  forza   della   quale   la   mancata   presentazione
dell'istanza di accelerazione nel processo penale,  di  cui  all'art.
1-ter,  comma  2,  della  legge  n.  89   del   2001,   comporta   la
inammissibilita', ai sensi  dell'art.  2,  comma  1,  della  medesima
legge, della domanda di equa riparazione. 
    Pertanto, pur se il rimettente estende la censura di legittimita'
costituzionale ad altre disposizioni (artt.  1-bis,  comma  2,  e  6,
comma 2-bis, della legge n. 89 del 2001), lo scrutinio  da  parte  di
questa  Corte  deve  incentrarsi  sulla  conformita'  a  Costituzione
dell'art. 2, comma 1, di tale legge, in riferimento  all'art.  1-ter,
comma 2, della stessa. 
    Deve, infatti, rilevarsi che, a norma dell'art. 1-bis,  comma  2,
«[c]hi, pur avendo esperito i rimedi preventivi di  cui  all'articolo
1-ter, ha subito un danno patrimoniale o  non  patrimoniale  a  causa
dell'irragionevole  durata  del  processo  ha  diritto  ad  una  equa
riparazione»; tale disposizione si limita chiaramente  a  riconoscere
il diritto della parte che ha esperito i rimedi preventivi  ad  agire
per ottenere l'equa riparazione da irragionevole durata del  processo
e postula, ovviamente, la  legittimita'  dei  rimedi  preventivi  che
contempla, sicche' la decisione in ordine ad essa e' condizionata  da
quella che si assume in ordine alla sanzione di inammissibilita'  per
effetto della mancata presentazione dell'istanza di accelerazione nel
processo penale. 
    L'art.  6,  comma  2-bis,  d'altra  parte,  detta  la  disciplina
transitoria finalizzata all'applicazione dei rimedi preventivi di cui
all'art. 1-ter, stabilendo che «[n]ei processi la cui  durata  al  31
ottobre 2016 ecceda i termini  ragionevoli  di  cui  all'articolo  2,
comma 2-bis, e in quelli assunti in decisione alla stessa data non si
applica il comma 1 dell'articolo 2».  Quest'ultima  norma,  piu'  che
dare luogo essa  stessa  al  dubbio  di  legittimita'  costituzionale
prospettato   dal   rimettente,   comporta   l'applicabilita'   della
disposizione censurata nel giudizio presupposto e quindi la rilevanza
delle questioni. Il rimettente, del resto, non dubita in via  diretta
della  legittimita'  costituzionale  della  disciplina   transitoria,
sicche' la decisione ad essa  relativa  non  potra',  del  pari,  che
discendere dalla decisione che si adotta in ordine alla disciplina  a
regime,  applicabile  nel  giudizio  principale  per  effetto   della
disposizione transitoria. 
    Tanto  premesso,  le  questioni  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 2, comma 1, in relazione all'art.  1-ter,  comma  2,  della
legge n. 89 del 2001, sono fondate. 
    4.1.- Nel dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art.  4
della legge n. 89 del 2001 - come sostituito dall'art. 55,  comma  1,
lettera d), del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83  (Misure  urgenti
per la crescita del  Paese),  convertito,  con  modificazioni,  nella
legge 7 agosto 2012, n. 134 -  nella  parte  in  cui  era  negata  la
proponibilita' della domanda di  equa  riparazione  in  pendenza  del
procedimento presupposto (sentenza n. 88 del 2018), questa  Corte  ha
rilevato la carenza di «concreta efficacia acceleratoria» dei  rimedi
preventivi allestiti dalla legge n.  208  del  2015,  posto  che  gli
strumenti elencati dall'art. 1-ter della legge n. 89 del  2001  «alla
luce della loro disciplina processuale, non vincolano  il  giudice  a
quanto richiestogli  e,  [...]  per  espressa  previsione  normativa,
"[r]estano  ferme  le  disposizioni  che  determinano   l'ordine   di
priorita' nella trattazione dei procedimenti"» (art. 1-ter, comma  7,
della legge n. 89 del 2001). 
    4.2.- Con la sentenza n. 34 del 2019 questa Corte  ha  dichiarato
l'illegittimita'  costituzionale  «dell'art.   54,   comma   2,   del
decreto-legge  25  giugno  2008,  n.  112  [...],   convertito,   con
modificazioni, nella legge 6 agosto 2008,  n.  133,  come  modificato
dall'art. 3, comma 23,  dell'Allegato  4  al  decreto  legislativo  2
luglio 2010, n. 104 [...] e dall'art. 1, comma 3, lettera a),  numero
6,  del  decreto  legislativo  15  novembre  2011,  n.  195   [...]»,
considerando che l'istanza di prelievo nei processi amministrativi  -
da detta norma disciplinata, «prima della rimodulazione come  rimedio
preventivo operatane dalla legge n. 208 del 2015» - costituiva non un
adempimento necessario, ma «una mera facolta'  del  ricorrente  [...]
con effetto puramente dichiarativo di un interesse  gia'  incardinato
nel processo e di  mera  "prenotazione  della  decisione"  (che  puo'
comunque intervenire oltre  il  termine  di  ragionevole  durata  del
correlativo  grado  di  giudizio),  risolvendosi  in  un  adempimento
formale, rispetto alla cui  violazione  la,  non  ragionevole  e  non
proporzionata,  sanzione  di  improponibilita'   della   domanda   di
indennizzo  risulta  non  in  sintonia  ne'   con   l'obiettivo   del
contenimento della durata del processo ne'  con  quello  indennitario
per il caso di sua eccessiva durata». 
    4.3.-  La  sentenza  n.  169   del   2019   ha   poi   dichiarato
l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  2,  comma   2-quinquies,
lettera e), della legge n. 89 del 2001, come introdotto dall'art. 55,
comma 1, lettera a), numero  2),  del  d.l.  n.  83  del  2012,  come
convertito, il quale  prevedeva  che  «[n]on  e'  riconosciuto  alcun
indennizzo: [...] e) quando l'imputato non ha depositato  istanza  di
accelerazione del processo penale nei  trenta  giorni  successivi  al
superamento  dei  termini  [di  sua  ragionevole   durata]   di   cui
all'articolo 2-bis [recte: all'art. 2, comma 2-bis]» della  legge  n.
89 del 2001. In tale occasione, questa Corte  ha  affermato  che  «la
suddetta istanza,  non  diversamente  dall'istanza  di  prelievo  nel
processo  amministrativo,  non  costituisce  [...]   un   adempimento
necessario ma una mera facolta' dell'imputato e non ha - cio' che  e'
comunque di per se' decisivo - efficacia effettivamente acceleratoria
del processo. Atteso  che  questo,  pur  a  fronte  di  una  siffatta
istanza, puo' comunque proseguire e protrarsi oltre il termine di sua
ragionevole durata, senza che la violazione di  detto  termine  possa
addebitarsi ad esclusiva responsabilita' del ricorrente». La predetta
sentenza  ha  comunque  precisato  che   la   mancata   presentazione
dell'istanza di accelerazione nel processo penale presupposto  poteva
eventualmente assumere  rilievo  ai  fini  della  determinazione  del
quantum dell'indennizzo ex lege n. 89 del 2001, ma  non  condizionare
la stessa proponibilita' della correlativa domanda. 
    4.4.- Da ultimo, la sentenza n. 121 del 2020, con riferimento  ai
rimedi preventivi introdotti per i processi civili dalla legge n. 208
del 2015 (art. 1-ter, comma 1, della legge  n.  89  del  2001)  quale
condizione di ammissibilita' della domanda  di  equo  indennizzo,  ha
invece  ritenuto  gli  stessi,  per  l'effetto  acceleratorio   della
decisione che puo'  conseguirne,  riconducibili  alla  categoria  dei
«rimedi preventivi volti  ad  evitare  che  la  durata  del  processo
diventi eccessivamente lunga», in quanto consistenti non  gia'  nella
«proposizione di un'istanza con effetto dichiarativo di un  interesse
gia'  incardinato  nel  processo  e  di  mera   "prenotazione   della
decisione" - che si riduce ad un adempimento puramente formale -», ma
nella «proposizione di possibili, e concreti, "modelli procedimentali
alternativi", volti ad accelerare il corso del processo, prima che il
termine di durata massima sia maturato». 
    4.5.- Le richiamate sentenze  di  questa  Corte  sono  del  tutto
coerenti con la giurisprudenza della Corte EDU, per la quale, ai fini
della  "effettivita'"  dei  ricorsi  relativi  a  cause   concernenti
l'eccessiva durata dei procedimenti, la migliore soluzione in termini
assoluti e' la prevenzione. Cio' comporta che,  rispetto  all'obbligo
di esaminare le cause entro un termine ragionevole, imposto dall'art.
6, paragrafo 1, CEDU agli Stati contraenti,  alle  eventuali  carenze
del sistema giudiziario puo' sopperire nella maniera piu' efficace un
ricorso finalizzato ad accelerare i procedimenti. Tale ricorso e'  da
preferire ad un rimedio meramente  risarcitorio,  ma  e'  "effettivo"
soltanto nella misura in cui rende piu'  sollecita  la  decisione  da
parte del tribunale interessato ed e' adeguato solo se non interviene
in una situazione in cui la durata del  procedimento  e'  gia'  stata
chiaramente eccessiva (Corte europea dei diritti dell'uomo,  sentenza
25 febbraio 2016, Olivieri e altri contro Italia, e, piu' di recente,
sentenza 30 aprile 2020, Keaney contro Irlanda). 
    4.6.- Ad identiche conclusioni deve  pervenirsi  con  riferimento
all'art. 2, comma 1, in relazione  all'art.  1-ter,  comma  2,  della
legge n. 89 del 2001, nel testo risultante dalle modifiche  apportate
dall'art. 1, comma 777, della legge n. 208 del 2015, nella  parte  in
cui comportano l'inammissibilita' della domanda di  equa  riparazione
proposta dall'imputato o da altra parte del processo penale  che  non
abbiano depositato un'istanza di accelerazione almeno sei mesi  prima
che siano trascorsi i termini di cui  all'art.  2,  comma  2-bis.  Le
disposizioni  censurate  contrastano  con   l'esigenza   del   giusto
processo, per il profilo della  sua  ragionevole  durata,  e  con  il
diritto ad un ricorso effettivo, garantiti  dagli  evocati  parametri
convenzionali, la cui violazione implica, per interposizione,  quella
dell'art. 117, primo comma, Cost. 
    4.7.- Il deposito  dell'istanza  di  accelerazione  nel  processo
penale, pur presentato come diritto  alla  stregua  dell'art.  1-bis,
comma 1, della legge n. 89 del 2001, opera, piuttosto, come un onere,
visto che il mancato adempimento, in base al comma 1  del  successivo
art.  2,  comporta   l'inammissibilita'   della   domanda   di   equa
riparazione. Tuttavia, la presentazione dell'istanza,  che  pur  deve
intervenire almeno sei mesi  prima  che  siano  trascorsi  i  termini
ragionevoli fissati per ciascun grado dall'art. 2, comma 2-bis, della
legge n. 89 del 2001, non offre alcuna garanzia  di  contrazione  dei
tempi processuali, non innesta un modello procedimentale  alternativo
e non costituisce percio' uno strumento a  disposizione  della  parte
interessata per prevenire l'ulteriore  protrarsi  del  processo,  ne'
implica una priorita' nella trattazione del giudizio, come  chiarisce
il comma 7 dell'art. 1-ter della  stessa  legge,  in  base  al  quale
restano  fermi,  nella  formazione  dei  ruoli  di  udienza  e  nella
trattazione dei processi, i criteri  dettati  dall'art.  132-bis  del
decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271 (Norme di  attuazione,  di
coordinamento e transitorie del codice di procedura penale). 
    4.8.- In tal senso, l'istanza  di  accelerazione  prevista  dalle
norme censurate, quale facolta' dell'imputato e delle altre parti del
processo penale, non rivela  efficacia  effettivamente  acceleratoria
del giudizio,  atteso  che  questo,  pur  a  fronte  dell'adempimento
dell'onere di deposito, puo' comunque proseguire e protrarsi oltre il
termine di ragionevole durata, senza che la violazione  dello  stesso
possa  addebitarsi  ad  esclusiva  responsabilita'  della  parte.  La
mancata presentazione  dell'istanza  di  accelerazione  nel  processo
penale  puo'   eventualmente   assumere   rilievo   ai   fini   della
determinazione della misura dell'indennizzo ex lege n. 89  del  2001,
ma non deve condizionare la proponibilita' della correlativa domanda. 
    4.9.-  Va,  dunque,  dichiarata  l'illegittimita'  costituzionale
dell'art. 2, comma 1, in relazione all'art.  1-ter,  comma  2,  della
legge n. 89 del 2001, nel testo risultante dalle modifiche  apportate
dall'art. 1, comma 777, lettere a) e b), della legge n. 208 del 2015. 
    Per le ragioni esposte al punto 4, restano assorbite le questioni
di legittimita' costituzionale concernenti l'art. 1-bis, comma  2,  e
l'art. 6, comma 2-bis, della legge n. 89 del 2001. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 1, in
relazione all'art. 1-ter, comma 2, della legge 24 marzo 2001,  n.  89
(Previsione di equa riparazione in caso  di  violazione  del  termine
ragionevole del processo e modifica dell'articolo 375 del  codice  di
procedura civile), nel testo  risultante  dalle  modifiche  apportate
dall'art. 1, comma 777, lettere a) e  b),  della  legge  28  dicembre
2015, n. 208, recante «Disposizioni per la  formazione  del  bilancio
annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilita' 2016)». 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 24 giugno 2021. 
 
                                F.to: 
                   Giancarlo CORAGGIO, Presidente 
                     Stefano PETITTI, Redattore 
             Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria 
 
    Depositata in Cancelleria il 30 luglio 2021. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA