N. 178 SENTENZA 6 - 30 luglio 2021

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Misure di prevenzione - Modifiche al Codice  antimafia  -  Previsione
  che gli effetti automaticamente interdittivi conseguono anche  alla
  condanna, non definitiva, per il reato di truffa aggravata  per  il
  conseguimento di erogazioni pubbliche - Violazione del principio di
  ragionevolezza e di proporzionalita' e lesione della  tutela  della
  liberta'  di  iniziativa   economica   privata   -   Illegittimita'
  costituzionale parziale. 
Misure di prevenzione - Modifiche al codice  antimafia  -  Previsione
  che gli effetti automaticamente interdittivi conseguono anche  alla
  condanna, non definitiva, per il reato delitto di truffa commesso a
  danno dello Stato o  di  un  altro  ente  pubblico  (o  dell'Unione
  europea) - Illegittimita' costituzionale consequenziale parziale. 
- Decreto-legge   4   ottobre   2018,   n.   113,   convertito,   con
  modificazioni, nella legge 1° dicembre 2018, n. 132, art. 24, comma
  1, lettera  d),  che  modifica  l'art.  67,  comma  8  del  decreto
  legislativo 6 settembre 2011, n. 159, in riferimento  ai  reati  di
  cui agli artt. 640-bis e 640,  secondo  comma,  numero  1),  codice
  penale. 
- Costituzione, artt.  3,  25,  27,  38  e  41;  Convenzione  per  la
  salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle  liberta'  fondamentali,
  artt. 6 e 7. 
(GU n.31 del 4-8-2021 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giancarlo CORAGGIO; 
Giudici :Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria  de  PRETIS,  Nicolo'
  ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,
  Giovanni  AMOROSO,  Francesco  VIGANO',  Luca   ANTONINI,   Stefano
  PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela  NAVARRETTA,  Maria  Rosaria  SAN
  GIORGIO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  24,  comma
1, lettera d), del decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113 (Disposizioni
urgenti in  materia  di  protezione  internazionale  e  immigrazione,
sicurezza pubblica, nonche' misure per la funzionalita' del Ministero
dell'interno  e  l'organizzazione  e  il  funzionamento  dell'Agenzia
nazionale  per  l'amministrazione  e   la   destinazione   dei   beni
sequestrati e confiscati alla criminalita' organizzata),  convertito,
con modificazioni, in legge 1° dicembre 2018, n.  132,  che  modifica
l'art. 67, comma 8, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n.  159
(Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione,  nonche'
nuove disposizioni in materia di documentazione  antimafia,  a  norma
degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010,  n.  136),  promosso
dal Tribunale amministrativo regionale per il Friuli-Venezia  Giulia,
sezione prima, nel procedimento vertente tra G.  Z.  e  il  Ministero
dell'interno (Prefettura di Udine-Ufficio territoriale  del  Governo,
Prefetto di Udine), con ordinanza del 26 maggio 2020, iscritta al  n.
120 del registro ordinanze 2020 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 38, prima serie speciale, dell'anno 2020. 
    Visti  l'atto  di  costituzione  di   G.   Z.,   nonche'   l'atto
d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito nell'udienza pubblica del 6 luglio 2021 il Giudice relatore
Giuliano Amato; 
    uditi gli avvocati Luca De Pauli e Luca  Mazzeo  per  G.  Z.,  in
collegamento da remoto,  ai  sensi  del  punto  1)  del  decreto  del
Presidente della Corte del 18 maggio 2021, e gli avvocati dello Stato
Giuseppe Albenzio e Carmela Pluchino per il Presidente del  Consiglio
dei ministri; 
    deliberato nella camera di consiglio del 6 luglio 2021. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Il Tribunale amministrativo regionale per  il  Friuli-Venezia
Giulia, sezione prima, con ordinanza del 26 maggio 2020 (reg. ord. n.
120 del 2020), ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 25, 27,  38
e 41 della Costituzione - anche in relazione agli artt. 6 e  7  della
Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
liberta' fondamentali (CEDU), firmata a  Roma  il  4  novembre  1950,
ratificata e resa esecutiva con la legge 4  agosto  1955,  n.  848  -
questioni di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  24,  comma  1,
lettera d), del decreto-legge 4 ottobre 2018,  n.  113  (Disposizioni
urgenti in  materia  di  protezione  internazionale  e  immigrazione,
sicurezza pubblica, nonche' misure per la funzionalita' del Ministero
dell'interno  e  l'organizzazione  e  il  funzionamento  dell'Agenzia
nazionale  per  l'amministrazione  e   la   destinazione   dei   beni
sequestrati e confiscati alla criminalita' organizzata),  convertito,
con modificazioni, in legge 1° dicembre 2018, n.  132,  che  modifica
l'art. 67, comma 8, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n.  159
(Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione,  nonche'
nuove disposizioni in materia di documentazione  antimafia,  a  norma
degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136). 
    1.1.- L'art. 67, comma 8, cod. antimafia prevede  che  le  misure
interdittive di cui ai commi 1,  2  e  4  del  medesimo  articolo  si
applicano «anche nei confronti delle persone condannate con  sentenza
definitiva o,  ancorche'  non  definitiva,  confermata  in  grado  di
appello, per uno dei delitti di cui all'articolo 51, comma 3-bis, del
codice di procedura penale» e, in virtu' della novella di cui al d.l.
n. 113 del 2018, come convertito, per i reati  previsti  dagli  artt.
640, secondo comma, numero 1), del codice penale,  commesso  a  danno
dello Stato o di un altro ente pubblico, e 640-bis cod. pen. 
    L'intervento del legislatore e'  censurato  nella  parte  in  cui
inserisce tra i delitti per i quali la condanna determina i  suddetti
effetti  interdittivi  anche  quello  di  truffa  aggravata  per   il
conseguimento di erogazioni pubbliche, di cui all'art.  640-bis  cod.
pen. 
    2.- Premette il rimettente che il giudizio a quo trae origine dal
ricorso  per  l'annullamento,  previa  sospensione   cautelare,   del
provvedimento del prefetto di Udine, con cui e' stata comunicata alla
locale Camera di commercio, industria, artigianato e  agricoltura  la
sussistenza delle cause di divieto, sospensione o  decadenza  di  cui
all'art. 67 cod. antimafia, automaticamente ostative al conseguimento
o  al  mantenimento  di  una  serie   di   licenze,   autorizzazioni,
concessioni, iscrizioni, attestazioni, abilitazioni ed erogazioni per
lo svolgimento di attivita' professionali o imprenditoriali. 
    Tale provvedimento e' stato adottato a seguito della  condanna  -
divenuta irrevocabile - per il reato di  cui  all'art.  640-bis  cod.
pen., per aver il ricorrente posto in essere artifizi  e  raggiri  al
fine di conseguire fondi  europei  dell'importo  di  euro  42.000,00,
facendo risultare lavori  di  ristrutturazione  di  un  immobile  per
finalita'  di  commercializzazione  dell'acquacoltura  regionale,  in
luogo  della  vera   natura   degli   interventi,   funzionali   alla
ristrutturazione  di  un  immobile  a  uso  abitativo  nell'interesse
dell'imputato e del suo nucleo familiare. 
    Tra le ragioni d'illegittimita' del  provvedimento  impugnato  il
ricorrente lamentava, appunto, la violazione e falsa applicazione  di
legge per illegittimita' costituzionale dell'art. 67 cod.  antimafia,
in virtu' dell'inserimento del delitto di  truffa  aggravata  per  il
conseguimento di erogazioni  pubbliche  tra  i  reati  che  implicano
l'emanazione dell'interdittiva antimafia. 
    Il giudice a quo, con ordinanza 12  settembre  2019,  n.  74,  ha
rigettato l'istanza cautelare, ma tale decisione e'  stata  riformata
dal Consiglio di Stato, sezione terza, con ordinanza del  17  ottobre
2019, n. 5291, ritenendo necessario un ulteriore approfondimento,  in
sede di merito, proprio in relazione alla prospettata  illegittimita'
costituzionale della disposizione censurata. 
    In sede di merito, pertanto, il rimettente ha sollevato questioni
di legittimita' costituzionale dell'art. 67, comma 8, cod. antimafia,
laddove si  prevede  che  gli  effetti  automaticamente  interdittivi
all'ottenimento dei vari provvedimenti  a  contenuto  autorizzatorio,
concessorio  o  abilitativo   per   lo   svolgimento   di   attivita'
imprenditoriali conseguano anche per la condanna per il reato di  cui
all'art. 640-bis cod. pen. 
    2.1. - In  punto  di  rilevanza,  il  TAR  Friuli-Venezia  Giulia
evidenzia come  il  tenore  letterale  della  disposizione  censurata
implicherebbe necessariamente di dover respingere il ricorso,  avendo
il ricorrente  riportato  una  condanna  per  il  delitto  di  truffa
aggravata per il conseguimento  di  erogazioni  pubbliche.  Per  come
formulata, infatti, la disposizione non lascerebbe  alcuno  spazio  a
un'eventuale interpretazione  costituzionalmente  orientata,  neanche
nel senso di escluderne l'applicazione  retroattiva.  Questo  perche'
l'interdittiva antimafia, in quanto priva del  carattere  punitivo  e
assimilabile a una  misura  di  sicurezza,  sarebbe  assoggettata  al
regime temporale stabilito dall'art. 200 cod. pen. 
    Qualora  la  questione  di  legittimita'  venisse  accolta,  cio'
comporterebbe l'annullamento dell'interdittiva  antimafia  notificata
al ricorrente quale effetto automatico della  condanna  riportata,  a
riprova della rilevanza della questione sollevata. 
    2.2.- Riguardo alla non manifesta infondatezza vengono  anzitutto
richiamate  le  argomentazioni  del  Consiglio  di  Stato  che,  come
accennato, esprimendosi in sede di appello  cautelare,  ha  messo  in
luce come debba necessariamente verificarsi se la  previsione  di  un
effetto interdittivo automatico, conseguente a  determinate  condanne
penali,  persegua  la  finalita'   di   completare   il   trattamento
sanzionatorio o,  invece,  si  colleghi  all'interesse  pubblico  del
contrasto alle organizzazioni mafiose. 
    2.2.1.- Sulla base di cio', il giudice a quo ritiene che siffatto
effetto    interdittivo     potrebbe     effettivamente     risultare
irragionevolmente sproporzionato rispetto alla  finalita'  preventiva
perseguita dal legislatore,  giacche'  la  truffa  aggravata  per  il
conseguimento di erogazioni pubbliche sarebbe una  fattispecie  priva
di natura associativa, punita con sanzioni molto inferiori  a  quelle
previste per i reati di cui all'art. 51, comma 3-bis, cod. proc. pen.
e non  necessariamente  correlata  ad  attivita'  della  criminalita'
organizzata. 
    In particolare, la norma eccederebbe rispetto  al  suo  scopo  di
contrastare, con misure di carattere preventivo,  il  dilagare  della
criminalita' organizzata nel tessuto socio-economico, che costituisce
il fine delle misure interdittive (e' richiamata Consiglio di  Stato,
sezione terza, sentenza 24 aprile 2020,  n.  2651).  Al  piu',  dalla
commissione  di  una  truffa  aggravata  per  il   conseguimento   di
erogazioni pubbliche si potrebbe desumere la sussistenza di  elementi
di contiguita' con il fenomeno mafioso, ma non in automatico,  bensi'
guardando allo specifico caso concreto  ed  effettuando  una  diffusa
valutazione di carattere necessariamente discrezionale. 
    L'automatismo previsto dal legislatore,  invece,  in  quanto  non
direttamente  e  immediatamente  correlato   all'interesse   pubblico
generale, sarebbe una misura fortemente limitativa della liberta'  di
iniziativa   economica   di   cui   all'art.   41    Cost.,    stante
l'impossibilita' di svolgere una qualsivoglia  attivita'  lavorativa,
professionale  o  economica  soggetta  a  provvedimenti   di   natura
autorizzatoria, concessoria o abilitativa. Ne' alcun  elemento  utile
potrebbe desumersi dai lavori preparatori alla legge  di  conversione
del d.l. n. 113 del 2018, se non che  la  fattispecie  delittuosa  in
esame sia, nella prassi,  una  delle  piu'  frequentemente  poste  in
essere per ottenere il controllo illecito degli appalti. 
    Quanto affermato emergerebbe in particolare nel caso  di  specie,
ove, pur non essendo stata dimostrata alcuna  effettiva  correlazione
con  il  fenomeno  mafioso,  il  ricorrente  ha   visto   precludersi
interamente la possibilita' di svolgere attivita' imprenditoriale. 
    2.2.2.- L'affiancamento dell'ipotesi delittuosa di  cui  all'art.
640-bis cod. pen. a quelle previste dall'art. 51, comma  3-bis,  cod.
proc. pen., inoltre, si tradurrebbe in  un  sostanziale  inasprimento
del regime sanzionatorio per il reato  di  truffa  aggravata  per  il
conseguimento di erogazioni pubbliche, senza che - per di piu' -  sia
possibile un'equa valutazione giudiziale del caso concreto. 
    Tale  natura  sostanzialmente  punitiva  della  misura  in  esame
renderebbe la disposizione censurata incompatibile con i principi  di
cui agli artt. 25 e 27 Cost. (anche in relazione agli  artt.  6  e  7
CEDU), in particolare laddove, come nel caso di specie,  gli  effetti
pregiudizievoli vengano fatti derivare anche da sentenze  pronunciate
antecedentemente all'entrata in vigore del d.l. n. 113 del 2018, come
convertito. 
    3.- Con atto depositato il  6  ottobre  2020  e'  intervenuto  in
giudizio il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale  dello  Stato,  chiedendo  che  venga
dichiarata  l'inammissibilita'  o   comunque   l'infondatezza   delle
questioni sollevate. 
    3.1.- In primo luogo, l'Avvocatura generale dello  Stato  osserva
come l'impostazione  del  giudice  a  quo  -  secondo  cui  l'effetto
ostativo automatico previsto dalla disposizione  oggetto  di  censura
celerebbe  una  finalita'   punitiva   e   non   preventiva   -   non
considererebbe il fatto che il reato di  cui  all'art.  640-bis  cod.
pen. rappresenterebbe una delle attivita' delittuose poste in  essere
piu' frequentemente per ottenere il controllo illecito degli appalti. 
    3.1.1.-  Piu'  in  generale,   la   truffa   aggravata   per   il
conseguimento    di    erogazioni    pubbliche     avrebbe     natura
«lucro-genetica»,   risultando,   nella   prassi   investigativa    e
giudiziaria, sistematicamente commessa dalle  associazioni  criminali
per il raggiungimento dei loro scopi illegali. 
    Sarebbe, quindi, tale circostanza a giustificare  le  limitazioni
alla liberta' di iniziativa economica contemplate dalla  disposizione
censurata, volte  a  prevenire  il  condizionamento  degli  operatori
economici a opera delle organizzazioni di stampo mafioso. 
    D'altronde, la ratio delle misure previste dal  codice  antimafia
sarebbe proprio di tipo  anticipatorio  e  indiziario,  in  un'ottica
diversa da quella delle misure punitive e  afflittive,  basandosi  su
una valutazione prognostica, in una logica preventiva  ispirata  alla
regola del  "piu'  probabile  che  non",  che  consente  di  ritenere
razionalmente credibile il pericolo di infiltrazione mafiosa. 
    Tra l'altro, anche la giurisprudenza  della  Corte  di  giustizia
dell'Unione europea avrebbe affermato come il fenomeno del  contrasto
all'infiltrazione  della  criminalita'  organizzata  nelle  procedure
pubbliche costituisca un legittimo motivo di restrizione delle regole
concorrenziali garantite dal diritto europeo (viene richiamata  Corte
EDU, sezione quinta, sentenza 26 settembre 2019,  in  causa  C-63/18,
Vitali spa). 
    3.1.2.- In questo  senso,  la  disposizione  oggetto  di  censura
rappresenterebbe il frutto di una ponderata valutazione discrezionale
rimessa al legislatore e legittimamente manifestata con  l'inclusione
del reato in questione tra le ipotesi delittuose  sintomatiche  della
criminalita' organizzata, in un'ottica  che  non  sarebbe  certamente
sanzionatoria o afflittiva, ma squisitamente preventiva. 
    Tali  considerazioni   troverebbero   un   ulteriore   fondamento
nell'art. 84, comma 4, lettera a), cod. antimafia, che contempla  una
serie  di  situazioni  da  cui  poter  desumere   un   tentativo   di
infiltrazione   mafiosa,   idonee   all'adozione    dell'informazione
antimafia interdittiva. Tra di esse vi e' per l'appunto quella  della
condanna (anche non definitiva) per il reato di cui all'art.  640-bis
cod.  pen.  Quest'ultimo,  quindi,  rientrerebbe   tra   quei   reati
comunemente definiti "reati spia", che contemplano condotte  ritenute
dal legislatore espressive di un pericolo di infiltrazione mafiosa  e
rispetto alle quali, con maggiore regolarita' statistica, gravita  il
mondo della criminalita' organizzata (sul punto  sono  richiamate  le
sentenze del Consiglio di Stato, sezione terza,  2  maggio  2019,  n.
2855; 27 novembre 2018, n. 6707; 28 ottobre 2016, n. 4555). 
    Nella disposizione censurata, pertanto, non potrebbero ravvisarsi
elementi di irragionevolezza o sproporzione rispetto  allo  scopo  di
contrastare il fenomeno delle organizzazioni di stampo  mafioso  (sul
punto e' richiamata la sentenza di questa Corte n. 57 del 2020). 
    3.2.- In secondo luogo, infondate sarebbero altresi' le questioni
sollevate in relazione agli artt. 25 e 27 Cost. 
    3.2.1.- Il solo carattere automatico degli effetti  interdittivi,
infatti, non potrebbe incidere sulla natura  della  misura  irrogata,
trasformandola da preventiva in sanzionatoria,  dovendosi  escludere,
quindi, anche le ulteriori censure relative all'incompatibilita'  con
i principi che governano la successione nel tempo delle norme penali. 
    Le misure di  prevenzione  antimafia  a  carattere  interdittivo,
d'altronde, potrebbero legittimamente dare rilevo a fatti  (e  reati)
accaduti  prima  dell'entrata  in  vigore  della  disciplina  che  le
prevede, proprio in considerazione della loro funzione preventiva. 
    3.3. - Per quanto riguarda il contrasto con gli  artt.  38  e  41
Cost., l'Avvocatura generale dello Stato osserva  come  la  normativa
antimafia troverebbe la sua ratio nella necessita' di  bilanciare  la
liberta'  di  iniziativa  economica  con  l'interesse  pubblico  alla
salvaguardia dell'ordine e della  sicurezza  e  alla  prevenzione  di
eventuali infiltrazioni mafiose nel tessuto  economico  e  produttivo
del Paese. 
    Anche in questi termini la  disposizione  censurata  risulterebbe
proporzionata e ragionevole. 
    3.4.-   Infine,   sebbene    a    sostegno    dell'illegittimita'
costituzionale il giudice rimettente abbia portato la vicenda sottesa
al caso di specie,  caratterizzata  dalla  mancanza  di  qualsivoglia
correlazione  con  il  fenomeno  mafioso,  dovrebbe   necessariamente
prescindersi da  un  accertamento  in  concreto  dei  legami  con  le
organizzazioni della criminalita' organizzata. 
    3.4.1.- Come gia' ribadito, infatti,  la  disposizione  censurata
sarebbe frutto di una scelta discrezionale del  legislatore,  che  ha
individuato a monte la tipologia di  reati  a  cui  riconnettere  gli
effetti interdittivi previsti, a prescindere dalla valutazione  degli
elementi caratterizzanti il singolo  caso.  Ragionando  diversamente,
invece, si svilirebbero  la  finalita'  preventiva  e  la  logica  di
anticipazione della soglia di difesa sociale che permea la disciplina
antimafia (sono  richiamate  le  sentenze  del  Consiglio  di  Stato,
sezione terza, 30 gennaio 2019, n. 758; 8 marzo  2017,  n.  1109;  15
dicembre 2015, n. 5678). 
    4.- Con atto depositato in data 5 ottobre 2020 si  e'  costituito
in giudizio G. Z., parte ricorrente nel giudizio  a  quo,  sostenendo
l'ammissibilita' e la fondatezza delle questioni  sollevate  dal  TAR
Friuli-Venezia Giulia, illustrando le proprie ragioni  nella  memoria
presentata in prossimita' dell'udienza. 
    4.1.- Premessa  una  ricostruzione  della  vicenda  fattuale,  la
difesa di G. Z. sottolinea  la  rilevanza  delle  questioni,  poiche'
l'art. 67, comma 8, cod. antimafia sarebbe strettamente pregiudiziale
al giudizio a quo (sul punto sono richiamate le  sentenze  di  questa
Corte n. 91 del 2013 e n. 184 del 2006, nonche' l'ordinanza n. 5  del
2012). 
    Non sarebbe possibile,  d'altronde,  un'interpretazione  di  tale
disposizione che ne escluda l'applicabilita' al caso di specie, anche
per la sola  portata  retroattiva,  ostandovi  l'espressa  previsione
normativa di un automatismo incondizionato. 
    4.2.- Quanto alla non manifesta infondatezza delle questioni,  la
difesa di G. Z. sottolinea  che  il  codice  antimafia,  prima  della
novella   del   2018,   prevedeva   che    il    quadro    indiziario
dell'infiltrazione   mafiosa   dovesse   evidenziare   fatti   aventi
caratteristiche di gravita', precisione e concordanza, dai  quali  il
giudice amministrativo, laddove  chiamato  a  verificare  l'effettivo
pericolo di infiltrazione mafiosa, posto alla  base  dell'informativa
antimafia, potesse  pervenire  in  via  presuntiva  alla  conclusione
ragionevole  e  piu'  probabile  della  sussistenza  del  rischio  di
permeabilita'   dell'impresa   e   non   necessariamente   l'avvenuta
infiltrazione,  da  parte  di  associazioni   mafiose,   valutate   e
contestualizzate tutte le circostanze di tempo, di luogo e di persona
(vengono richiamate Consiglio di Stato,  sezione  terza,  sentenze  7
ottobre 2015, n. 4657 e 9 febbraio 2017, n. 565). 
    In tale sistema non potrebbe trovare spazio  una  previsione  che
introduce un automatismo applicativo per  le  interdittive  antimafia
anche per reati comuni, privi di legame con  l'ambiente  mafioso.  Il
sistema della  prevenzione  amministrativa  antimafia,  infatti,  non
costituirebbe e non potrebbe costituire,  in  uno  Stato  di  diritto
democratico, un «diritto della paura»  (e'  richiamata  Consiglio  di
Stato, sezione terza, sentenza 5 settembre 2019, n. 6105). 
    4.2.1.- L'inserimento  dei  reati  di  truffa  aggravata  tra  le
ipotesi  di  applicazione  automatica   delle   misure   interdittive
risulterebbe oltremodo illogico e irragionevole, ove si consideri che
gia' l'art. 84, comma  4,  cod.  antimafia  prevede  che  l'autorita'
amministrativa possa desumere il pericolo  di  infiltrazione  mafiosa
non solo da una serie di elementi fattuali tipizzati dal legislatore,
ma anche da provvedimenti di condanna non definitiva per vari  reati,
tra i quali quello di cui all'art. 640-bis  cod.  pen.,  da  valutare
«unitamente a  concreti  elementi  da  cui  risulti  che  l'attivita'
d'impresa possa, anche in  modo  indiretto,  agevolare  le  attivita'
criminose o esserne in qualche modo condizionata» (art. 91, comma  6,
cod. antimafia). 
    La sentenza di questa  Corte  n.  24  del  2019,  d'altronde,  ha
sottolineato l'esigenza generale di rispettare, anche per il  diritto
della prevenzione, essenziali garanzie di  tassativita'  sostanziale,
inerenti alla precisione, alla determinatezza e, per quanto rileva in
questa sede, alla prevedibilita'  degli  elementi  costitutivi  della
fattispecie legale, che costituisce oggetto di prova,  e  altrettanto
essenziali  garanzie  di  tassativita'  processuale,  attinenti  alle
modalita' di accertamento probatorio in giudizio. 
    Tale  garanzia  verrebbe  irrimediabilmente  frustrata   ove   si
consentisse l'applicazione  automatica  e  retroattiva  delle  misure
interdittive antimafia anche a  soggetti  che  non  hanno  mai  avuto
contatti con l'ambiente mafioso, ne' sono mai  stati  anche  soltanto
sospettati di averne avuto, come avverrebbe nel caso di specie. 
    In proposito, sottolinea la difesa della parte, G.  Z.  e'  stato
condannato per vicende verificatesi addirittura negli anni 2012-2013,
definite con sentenza di  patteggiamento  divenuta  irrevocabile  nel
2017, allorche' il reato di cui all'art. 640-bis cod.  pen.  non  era
incluso nel novero dei reati spia. 
    Striderebbe con tutti  i  piu'  elementari  principi  in  materia
sanzionatoria  che  una  disposizione  sopravvenuta  nell'anno   2018
consentisse di ritenere automaticamente e inesorabilmente mafioso chi
ebbe a patteggiare nel 2017 una condotta contestatagli all'epoca. 
    4.2.2.- Sotto un altro  profilo,  il  contrasto  con  i  principi
costituzionali di ragionevolezza, proporzionalita' e irretroattivita'
emergerebbe ove si consideri che  la  stessa  legislazione  antimafia
prevede  che  le  misure  interdittive  siano  precedute  da  giudizi
vertenti sull'attualita' del pericolo di infiltrazione mafiosa; tanto
piu'  che  il  carattere  dell'attualita'  delle   risultanze   delle
informative prefettizie sarebbe richiesto  dal  legislatore,  che  ha
determinato in termini univoci il periodo di validita' dei  documenti
antimafia (sul punto e' richiamata la sentenza di questa Corte n.  57
del 2020). 
    La   previsione   dell'automatica   applicazione   delle   misure
interdittive anche alle persone che abbiano  commesso,  magari  molti
anni prima dell'entrata in vigore della novella del  2018,  reati  di
truffa  aggravata,  si  porrebbe  in  antitesi   con   il   requisito
dell'attualita' che svolgerebbe, invece, un ruolo centrale in materia
di misure di prevenzione. 
    Inoltre, non  potrebbe  trascurarsi  che  questa  Corte  in  piu'
occasioni  ha  dichiarato   l'illegittimita'   costituzionale   delle
disposizioni legislative formulate in modo tale da non permettere  al
giudice  o  alla  pubblica  amministrazione  di  tenere  conto  delle
particolarita' del caso concreto al  fine  di  modulare  gli  effetti
della regola (sono richiamate le sentenze n. 24 del 2020, n. 265  del
2010, n. 253 del 2003 e n. 240 del 1997). 
    4.2.3.- La particolare afflittivita' della  misura  in  questione
emergerebbe, poi, in considerazione del fatto che,  in  virtu'  della
stessa, G. Z. si troverebbe nella condizione di vedersi  decadere  di
diritto  dalle  licenze,  autorizzazioni,  concessioni,   iscrizioni,
attestazioni,  abilitazioni  ed  erogazioni,  oltre  che   a   essere
sottoposto al divieto di concludere  contratti  pubblici  di  lavori,
servizi e forniture, di cottimo fiduciario e  relativi  subappalti  e
subcontratti. 
    Nel caso di specie troverebbe altresi' applicazione  il  comma  4
dell'art. 67 cod. antimafia, ai  sensi  del  quale  «[i]l  tribunale,
salvo quanto previsto all'articolo 68, dispone che  i  divieti  e  le
decadenze previsti dai commi l e 2 operino  anche  nei  confronti  di
chiunque conviva con la persona sottoposta alla misura di prevenzione
nonche' nei confronti di imprese, associazioni, societa'  e  consorzi
di  cui  la  persona  sottoposta  a   misura   di   prevenzione   sia
amministratore o determini in qualsiasi modo scelte e  indirizzi.  In
tal caso i divieti sono efficaci per un periodo di cinque anni». 
    Gli effetti  interdittivi  risulterebbero  cosi'  particolarmente
gravosi e dannosi, soprattutto per chi svolge  attivita'  lavorative,
professionali ed economiche  in  stretto  contatto  con  la  pubblica
amministrazione, determinando un aggravio non solo  della  situazione
patrimoniale dell'interdetto, ma anche della sua credibilita' ai fini
dello svolgimento di attivita' imprenditoriali. 
    Da  cio'  il  rischio   di   un'indebita   lesione   di   diritti
costituzionalmente  garantiti,  primo  fra  tutti  la   liberta'   di
iniziativa  economica  di   cui   all'art.   41   Cost.,   gravemente
pregiudicata dalle  interdizioni  derivanti  automaticamente  per  la
commissione di reati che nulla avrebbero a che vedere con  l'ambiente
mafioso. 
    L'avere ricompreso entro il perimetro  applicativo  dell'art.  67
cod. antimafia anche le condotte previste e punite dall'art.  640-bis
cod. pen., dunque, sarebbe del tutto eccessivo e  sproporzionato,  se
non proprio aberrante. L'ampliamento delle fattispecie  incriminanti,
infatti,   dovrebbe   rappresentare   un'eventualita'   assolutamente
eccezionale, poiche' l'integrazione di  ulteriori  delitti  di  minor
gravita'  eliderebbe  di  fatto  i  principi  di  proporzionalita'  e
ragionevolezza e la liberta' di iniziativa economica privata. 
    Come sottolineato dal giudice a  quo,  d'altronde,  esisterebbero
reati molto piu' sintomatici delle cosiddette infiltrazioni  mafiose,
come ad esempio quelli di turbata liberta' degli incanti (artt. 353 e
seguenti cod. pen.), non inseriti  pero'  all'interno  dell'art.  67,
comma 8, cod.  antimafia.  Inoltre,  per  i  reati  gia'  in  origine
previsti da tale disposizione sono applicate pene ben piu'  alte  che
per il reato in questione. 
    Ulteriore   sintomo   «dell'aberrazione   normativa»    censurata
deriverebbe   dal   fatto   che   ai   destinatari   dell'informativa
interdittiva antimafia ai sensi dell'art. 67, comma 8, cod. antimafia
verrebbe riservato un trattamento persino deteriore rispetto a quello
che  il  comma  5  del  medesimo  articolo  prevede   per   chi   sia
definitivamente accertato come mafioso. Infatti, in  tale  evenienza,
il giudice che ha applicato con provvedimento definitivo  una  misura
di prevenzione potrebbe escludere le decadenze e i divieti  nel  caso
in cui, per effetto degli stessi, venissero  a  mancare  i  mezzi  di
sostentamento all'interessato e alla famiglia. 
    4.2.4.- Dovrebbe  poi  tenersi  presente  che  questa  Corte  (e'
richiamata la sentenza n. 57 del 2020), chiamata a pronunciarsi sulla
legittimita' costituzionale  dell'art.  89-bis  cod.  antimafia,  pur
dichiarando la questione non fondata, ha avuto modo di precisare  che
l'informazione      antimafia      implica      una       valutazione
tecnico-discrezionale  dell'autorita'  prefettizia   in   ordine   al
pericolo di infiltrazione mafiosa, capace di condizionare le scelte e
gli indirizzi dell'impresa. Come affermato anche dalla giurisprudenza
amministrativa, l'equilibrata ponderazione  dei  contrapposti  valori
costituzionali in  gioco  richiede  un'attenta  valutazione  di  tali
elementi, che devono offrire un quadro chiaro, completo e convincente
del pericolo di infiltrazione mafiosa. 
    La disposizione censurata, invece, andrebbe a incidere proprio su
quella necessaria prognosi  di  appartenenza  al  mondo  mafioso  che
costituisce un'indispensabile premessa per la  valida  emanazione  di
una interdittiva. 
    4.2.5.- Infine, la difesa di  G.  Z.  ricorda  che  il  Tribunale
amministrativo  regionale  per  il  Piemonte,  sezione   prima,   con
l'ordinanza 29 aprile 2021, n. 448,  ha  sollevato,  con  motivazioni
similari  al  caso  di   specie,   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 67, comma 8, cod. antimafia, nella parte  in
cui,  rinviando  all'art.  51,  comma  3-bis,  cod.  proc.  pen.,  si
riferisce anche al reato di cui all'art. 452-quaterdecies cod.  pen.,
in quanto l'automatismo legislativo non permetterebbe  alla  pubblica
amministrazione di tenere conto delle peculiarita' del caso concreto. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Tribunale amministrativo regionale per  il  Friuli-Venezia
Giulia, con ordinanza iscritta al n. 120 del registro ordinanze 2020,
ha sollevato questioni di legittimita' costituzionale  dell'art.  24,
comma 1, lettera  d),  del  decreto-legge  4  ottobre  2018,  n.  113
(Disposizioni urgenti  in  materia  di  protezione  internazionale  e
immigrazione, sicurezza pubblica, nonche' misure per la funzionalita'
del Ministero dell'interno  e  l'organizzazione  e  il  funzionamento
dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e  la  destinazione  dei
beni  sequestrati  e  confiscati  alla   criminalita'   organizzata),
convertito, con modificazioni, in legge 1° dicembre 2018, n. 132, che
modifica l'art. 67, comma 8,  del  decreto  legislativo  6  settembre
2011, n.  159  (Codice  delle  leggi  antimafia  e  delle  misure  di
prevenzione, nonche' nuove disposizioni in materia di  documentazione
antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13  agosto  2010,
n. 136). 
    1.1.- L'art. 67, comma 8, cod. antimafia prevede  che  le  misure
interdittive di cui ai commi 1,  2  e  4  del  medesimo  articolo  si
applicano «anche nei confronti delle persone condannate con  sentenza
definitiva o,  ancorche'  non  definitiva,  confermata  in  grado  di
appello, per uno dei delitti di cui all'articolo 51, comma 3-bis, del
codice di procedura penale» e, in virtu' della novella di cui al d.l.
n. 113 del 2018, come convertito, per i  reati  previsti  dagli  art.
640, secondo comma, numero 1), codice penale, commesso a danno  dello
Stato o di un altro ente pubblico, e 640-bis cod. pen. 
    2.- Secondo il giudice rimettente l'intervento  del  legislatore,
inserendo tra i delitti per i quali la condanna determina i  suddetti
effetti  interdittivi  anche  quello  di  truffa  aggravata  per   il
conseguimento di erogazioni pubbliche di cui  all'art.  640-bis  cod.
pen., violerebbe gli artt. 3, 25, 27 - questi  ultimi  due  anche  in
relazione agli artt. 6 e 7 della Convenzione per la salvaguardia  dei
diritti dell'uomo e delle liberta'  fondamentali  (CEDU),  firmata  a
Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con la  legge  4
agosto 1955, n. 848 - 38 e 41 della Costituzione. 
    2.1.- In primo luogo, infatti,  verrebbero  lesi  i  principi  di
proporzionalita' e ragionevolezza ex art. 3 Cost., poiche' la novella
legislativa contemplerebbe un  effetto  interdittivo  automatico  nei
confronti di soggetti che hanno commesso un reato  non  riconducibile
tout court al fenomeno mafioso,  eccedendo  rispetto  allo  scopo  di
contrastare, con misure di carattere preventivo,  il  dilagare  della
criminalita' organizzata nel tessuto socio-economico. 
    2.2.- In secondo luogo, sarebbero  violati  gli  artt.  25  e  27
Cost., anche in relazione agli artt. 6 e 7 CEDU. 
    L'affiancamento dell'ipotesi delittuosa di cui  all'art.  640-bis
cod. pen. a quelle previste dall'art. 51,  comma  3-bis,  cod.  proc.
pen., infatti, si tradurrebbe  in  un  sostanziale  inasprimento  del
regime  sanzionatorio  per  il  reato  di  truffa  aggravata  per  il
conseguimento  di  erogazioni  pubbliche,  senza  che  sia  possibile
un'equa valutazione giudiziale del  caso  concreto,  tra  l'altro  in
riferimento a sentenze pronunciate  antecedentemente  all'entrata  in
vigore del d.l. n. 113 del 2018, come convertito. 
    2.3.-  Infine,   l'automatismo   derivante   dalla   disposizione
censurata recherebbe una misura fortemente limitativa della  liberta'
di  iniziativa  economica  garantita  dall'art.  41   Cost.,   stante
l'impossibilita'  di  svolgere,  in  conseguenza  del   provvedimento
interdittivo, una qualsivoglia attivita' lavorativa, professionale  o
economica  soggetta  a  provvedimenti   di   natura   autorizzatoria,
concessoria o abilitativa. 
    3.-   In   via   preliminare   va   dichiarata    la    manifesta
inammissibilita'  della  questione  di  legittimita'   costituzionale
sollevata in riferimento all'art. 38 Cost. 
    La questione, infatti, e' del tutto  immotivata,  limitandosi  il
giudice rimettente  a  evocare  il  parametro  costituzionale,  senza
alcuna specifica illustrazione dei motivi di censura (in  tal  senso,
ordinanza n. 26 del 2012 e sentenza n. 356 del 2008). 
    4.-  Nel  merito  sono  fondate  le  questioni  di   legittimita'
costituzionale sollevate in riferimento agli artt. 3 e 41 Cost. 
    4.1.- La disposizione oggetto d'esame interviene sulla disciplina
della comunicazione antimafia interdittiva, provvedimento  di  natura
cautelare e preventiva che, come  sottolineato  dalla  giurisprudenza
amministrativa, determina una  particolare  forma  d'incapacita'  del
destinatario, in riferimento ai rapporti giuridici  con  la  pubblica
amministrazione (tra tutte, si richiama Consiglio di Stato,  adunanza
plenaria, sentenza 6 aprile 2018, n. 3). 
    4.1.1.- Va qui ricordato che, secondo  la  vigente  legislazione,
esistono  due  diversi  documenti,  la  comunicazione   antimafia   e
l'informazione antimafia. 
    La comunicazione antimafia, ai sensi dell'art. 84, comma 2,  cod.
antimafia, consiste in una attestazione circa la sussistenza  di  una
delle cause di decadenza, di sospensione  o  di  divieto  di  cui  al
precedente art. 67. Tale articolo  stabilisce  che  le  persone  alle
quali sia stata applicata in  via  definitiva  una  delle  misure  di
prevenzione  previste  dal  codice  antimafia  non   possono   essere
destinatarie  di  un'ampia   gamma   di   provvedimenti   di   natura
autorizzatoria,  concessoria  o   abilitativa   (comma   1).   Cosi',
l'applicazione di una misura di prevenzione determina la decadenza di
diritto  dalle  licenze,  autorizzazioni,  concessioni,   iscrizioni,
attestazioni, abilitazioni  ed  erogazioni,  nonche'  il  divieto  di
concludere contratti pubblici di  lavori,  servizi  e  forniture,  di
cottimo fiduciario e relativi subappalti e subcontratti (comma 2).  I
divieti e le decadenze, inoltre, operano (per un  periodo  di  cinque
anni)  anche  nei  confronti  di  chiunque  conviva  con  la  persona
sottoposta alla misura  di  prevenzione,  nonche'  nei  confronti  di
imprese, associazioni, societa' e consorzi di cui la  stessa  persona
sia amministratore o determini in qualsiasi modo scelte  e  indirizzi
(comma 4). 
    Il rilascio della comunicazione antimafia liberatoria, invece, e'
immediatamente  conseguente  alla  consultazione  della  banca   dati
nazionale unica,  quando  non  emerge,  a  carico  dei  soggetti  ivi
censiti, la sussistenza delle citate cause di decadenza,  sospensione
o divieto (art. 88, comma 1, cod. antimafia). 
    La comunicazione antimafia,  in  conclusione,  e'  il  frutto  di
un'attivita' amministrativa vincolata,  volta  al  mero  accertamento
delle cause di decadenza o divieto di cui all'art. 67 cod. antimafia. 
    4.1.2.-   Diverso   e'   l'altro   documento   antimafia,   ossia
l'informazione  antimafia  prevista  dall'art.  84,  comma  3,   cod.
antimafia, necessaria  per  le  pubbliche  amministrazioni  prima  di
stipulare, approvare o autorizzare i contratti e subcontratti, ovvero
prima di rilasciare o consentire i provvedimenti indicati nel  citato
art.  67,  il  cui  valore  superi  talune  soglie,  individuate  dal
successivo art. 91, comma 1. 
    Tale  provvedimento,  oltre  a   quanto   gia'   previsto   dalla
comunicazione  antimafia,  attesta  la   sussistenza   di   eventuali
tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le  scelte
e gli indirizzi delle societa' o delle  imprese,  desumibili  da  una
serie di elementi indicati dall'art. 84, comma 4, cod.  antimafia,  i
quali sono oggetto di verifica da  parte  del  prefetto.  Tra  questi
elementi vi sono anche taluni provvedimenti  penali  per  determinati
reati  ritenuti  strumentali   all'attivita'   delle   organizzazioni
criminali, comunemente denominati "reati spia", come, tra l'altro, le
misure cautelari, il rinvio a  giudizio  o  le  condanne,  anche  non
definitive, proprio per il reato di cui all'art. 640-bis cod. pen. 
    4.2.- Ai sensi dell'art. 67, comma 8, cod. antimafia gli  effetti
interdittivi  della  comunicazione  antimafia  non  conseguono   solo
all'applicazione di una misura di prevenzione, ma anche alle condanne
definitive o non definitive, purche' confermate in grado di  appello,
per i delitti di cui all'art.  51,  comma  3-bis,  cod.  proc.  pen.,
nonche' - in virtu' della novella  operata  dall'art.  24,  comma  1,
lettera d), del d.l. n. 113 del 2018, come convertito  -  per  quelli
previsti dall'art. 640, secondo comma, numero 1), cod.  pen.  (truffa
ai danni dello Stato o di un altro ente pubblico) e dall'art. 640-bis
cod. pen.  (truffa  aggravata  per  il  conseguimento  di  erogazioni
pubbliche), quest'ultima previsione oggetto di censura. 
    Qui, dunque, l'interdittiva  antimafia,  sebbene  derivi  da  una
condanna,  non   necessariamente   definitiva,   prescinde   da   una
valutazione di specifica pericolosita' del soggetto  (che  e'  invece
alla base dell'applicazione di una misura di prevenzione),  ma,  allo
scopo di  prevenire  l'infiltrazione  mafiosa,  genera  l'incapacita'
giuridica sopra ricordata. 
    4.2.1.-  Va  rilevato  che  gli   altri   casi   previsti   dalla
disposizione censurata, cioe' quelli di cui all'art. 51, comma 3-bis,
cod. proc. pen., hanno  una  specifica  valenza  nel  contrasto  alla
mafia, tant'e' che essi vengono qui elencati allo scopo di attribuire
le  funzioni  di  pubblico  ministero  ai  magistrati  addetti   alla
direzione distrettuale antimafia,  su  designazione  del  procuratore
distrettuale (art. 102 cod. proc. pen.). 
    Si  tratta,  nella  specie:  dei  delitti  di  cui   agli   artt.
452-quaterdecies, 600, 601, 602 e  630  cod.  pen.;  del  delitto  di
associazione per delinquere finalizzato al compimento di gravi  reati
contro la personalita' individuale, elencati dall'art. 416, commi 6 e
7, cod. pen., nonche' al compimento dei reati di cui agli artt. 473 e
474 cod. pen.; dei delitti di associazione per delinquere  di  stampo
mafioso   (art.   416-bis   cod.   pen,),   di   scambio   elettorale
politico-mafioso (art. 416-ter cod.  pen,)  e  dei  delitti  commessi
avvalendosi delle condizioni previste dall'art. 416-bis cod.  pen.  e
al fine di agevolare l'attivita' di tali associazioni; dei delitti di
associazione per  delinquere  finalizzata  al  traffico  illecito  di
sostanze  stupefacenti  o  psicotrope  (art.  74  del   decreto   del
Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n.  309,  recante  «Testo
unico delle leggi in  materia  di  disciplina  degli  stupefacenti  e
sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei  relativi
stati  di  tossicodipendenza»)  e  di  associazione  per   delinquere
finalizzata  al  contrabbando  di  tabacchi  lavorati  esteri   (art.
291-quater del decreto del Presidente  della  Repubblica  23  gennaio
1973, n. 43, recante «Approvazione del testo unico delle disposizioni
legislative in materia doganale»). 
    Tali  fattispecie  delittuose  hanno   in   gran   parte   natura
associativa oppure presentano una forma  di  organizzazione  di  base
(come per il sequestro di persona ex art. 630 cod.  pen)  o  comunque
richiedono condotte plurime (come per il traffico illecito di rifiuti
di cui all'art. 452-quaterdecies cod. pen.), oltre a  prevedere  pene
che possono essere anche molto alte. 
    Ed e' proprio in virtu' di siffatta complessita' che si radica la
competenza della procura  distrettuale  antimafia,  operante  secondo
linee di intervento dotate della  necessaria  coerenza,  organicita',
programmazione. 
    4.2.2.- Per quanto concerne il reato di cui all'art. 640-bis cod.
pen., invece, ci si trova innanzi a una fattispecie che non ha natura
associativa e non richiede neppure la presenza  di  un'organizzazione
volta alla commissione del reato. Esso ha una dimensione individuale,
puo' riguardare anche condotte di  minore  rilievo  -  quale  risulta
essere quella del giudizio a quo - ed e' punito con pene  piu'  lievi
(massimo edittale di  sette  anni),  senza  che  vi  siano  tantomeno
deroghe al regime processuale ordinario. 
    Certamente  si  tratta  di  un  reato   che,   come   argomentato
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  puo'   riscontrarsi   anche
nell'ambito delle  attivita'  della  criminalita'  organizzata,  allo
stesso modo dei piu' gravi reati sopra esaminati. 
    Cio' non toglie, pero', che tale condotta delittuosa ha ben altra
portata e non costituisce, di per se', un indice  di  appartenenza  a
un'organizzazione criminale. 
    Per tale ragione, farne dipendere con rigida consequenzialita' la
ricordata incapacita' giuridica ad avere rapporti  con  le  pubbliche
amministrazioni appare non proporzionato ai  caratteri  del  reato  e
allo scopo di contrastare le attivita' della criminalita' organizzata
(si vedano le sentenze di questa Corte n. 172 del 2012 e n.  141  del
1996) e risulta, quindi, contrario al principio di ragionevolezza  di
cui all'art. 3 Cost. 
    Altresi' violato e' l'art. 41 Cost., poiche'  l'estensione  degli
effetti interdittivi di cui all'art.  67,  comma  8,  cod.  antimafia
anche alle condanne per il delitto di truffa per il conseguimento  di
erogazioni pubbliche provoca  danni  irragionevolmente  elevati  alla
liberta' d'iniziativa economica,  sia  sul  piano  patrimoniale,  sia
della "reputazione" imprenditoriale, specie per chi svolge  attivita'
lavorative   e   professionali   in   rapporto   con   la    pubblica
amministrazione. 
    4.2.3.- Si tenga presente che il reato di  cui  all'art.  640-bis
cod. pen. gia' era ed e'  considerato  quale  "reato  spia"  al  fine
dell'applicazione nei  confronti  dell'indiziato  di  una  misura  di
prevenzione ex art. 4,  comma  1,  lettera  i-bis),  cod.  antimafia.
Inoltre, come gia' accennato, ai sensi del successivo art. 84,  comma
4, lettera a), l'essere destinatario dei provvedimenti che  per  tale
delitto dispongono una misura cautelare o  il  giudizio,  ovvero  che
recano una condanna anche non definitiva, costituisce un elemento  da
cui il prefetto puo' desumere un tentativo di infiltrazione  mafiosa,
idoneo  a  consentire  l'adozione  di  una   informazione   antimafia
interdittiva.  Infine,  gli  artt.  32-ter  e  32-quater  cod.   pen.
consentono di aggiungere alla pena principale per il reato di  truffa
per il conseguimento di erogazioni pubbliche anche quella  accessoria
dell'incapacita' a contrattare con la pubblica amministrazione;  pena
i  cui  effetti  sono  in  parte  sovrapponibili   alle   conseguenze
interdittive di cui all'art. 67, commi 1 e 2, cod. antimafia. 
    Cio'  dimostra,  da  un  lato,  che  la  disposizione   censurata
s'inserisce in modo disarmonico in un contesto normativo  nel  quale,
ai medesimi fini di contrasto alla  penetrazione  della  criminalita'
organizzata nel tessuto socio-economico, gia' sono  regolate,  seppur
in  modo  diverso,  le  medesime  misure  limitative  della  liberta'
economica di chi sia destinatario di provvedimenti relativi al  reato
di cui all'art. 640-bis cod. pen.;  e,  dall'altro  lato,  e  per  la
stessa ragione, che  l'illegittimita'  costituzionale  della  novella
legislativa lascia intatto il rilievo che tale  reato  possiede  come
indice d'infiltrazione mafiosa ai sensi dell'art. 84, comma  4,  cod.
antimafia. 
    5.-  Restano  assorbite  le  ulteriori  censure  di  legittimita'
costituzionale indicate nell'ordinanza di rimessione. 
    6.- Ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme
sulla costituzione e sul funzionamento della  Corte  costituzionale),
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 24, comma  1,  lettera  d),
del d.l. n. 113 del 2018, come  convertito,  deve  essere  dichiarata
anche per la parte in  cui  inserisce  all'art.  67,  comma  8,  cod.
antimafia il reato previsto dall'art. 640, secondo comma, numero  1),
cod. pen. 
    6.1.- Tale disposizione disciplina il delitto di truffa  commesso
a danno dello Stato o  di  un  altro  ente  pubblico  (o  dell'Unione
europea) e lo punisce con la reclusione da uno a  cinque  anni;  pena
piu' severa di quella per la truffa  semplice  (da  sei  mesi  a  tre
anni), ma inferiore alla forbice individuata dall'art.  640-bis  cod.
pen. (da due a sette anni). 
    L'affiancamento di tale reato a quelli di cui all'art. 51,  comma
3-bis, cod. proc. pen. risulta, in tal modo, una scelta  ancora  piu'
sproporzionata ed eccessiva di quella riguardante l'art. 640-bis cod.
pen. 
    6.2.- Anche per la  truffa  ai  danni  dello  Stato,  d'altronde,
l'esigenza  di  prevenire   l'infiltrazione   mafiosa   nel   tessuto
socio-economico rimane coperta da altre previsioni legislative. 
    Da un lato, infatti, sebbene la truffa stessa non rientri  tra  i
"reati spia" di  cui  all'art.  84,  comma  4,  cod.  antimafia,  una
condanna per tale fattispecie puo' sempre costituire un  elemento  da
cui desumere che il condannato vive abitualmente, anche in parte, con
i proventi di attivita' delittuose;  elemento  che,  ai  sensi  degli
artt. 1, comma 1, lettera  b),  e  4  cod.  antimafia,  puo'  portare
all'adozione di una misura di prevenzione (con i conseguenti  effetti
interdittivi). 
    Dall'altro lato, anche per tale delitto, i gia'  ricordati  artt.
32-ter e 32-quater cod.  pen.  consentono  di  aggiungere  alla  pena
principale quella accessoria dell'incapacita' a  contrattare  con  la
pubblica amministrazione; pena che, come sottolineato, ha effetti  in
parte sovrapponibili alle conseguenze interdittive  di  cui  all'art.
67, commi 1 e 2, cod. antimafia. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    1) dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art.  24,  comma
1, lettera d), del decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113 (Disposizioni
urgenti in  materia  di  protezione  internazionale  e  immigrazione,
sicurezza pubblica, nonche' misure per la funzionalita' del Ministero
dell'interno  e  l'organizzazione  e  il  funzionamento  dell'Agenzia
nazionale  per  l'amministrazione  e   la   destinazione   dei   beni
sequestrati e confiscati alla criminalita' organizzata),  convertito,
con modificazioni, in legge 1° dicembre 2018, n.  132,  che  modifica
l'art. 67, comma 8, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n.  159
(Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione,  nonche'
nuove disposizioni in materia di documentazione  antimafia,  a  norma
degli  articoli  1  e  2  della  legge  13  agosto  2010,  n.   136),
limitatamente alle parole «e all'articolo 640-bis del codice penale»; 
    2) dichiara, in via consequenziale, ai sensi dell'art.  27  della
legge  11  marzo  1953,  n.  87  (Norme  sulla  costituzione  e   sul
funzionamento   della   Corte    costituzionale),    l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 24, comma 1, lettera d), del d.l. n. 113 del
2018, come convertito, che modifica l'art. 67, comma 8, del d.lgs. n.
159 del 2011, limitatamente alle parole «nonche' per i reati  di  cui
all'articolo 640, secondo comma, n. 1), del codice penale, commesso a
danno dello Stato o di un altro ente pubblico»; 
    3) dichiara la  manifesta  inammissibilita'  della  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 24, comma 1,  lettera  d),  del
d.l. n. 113 del 2018, come convertito, che modifica l'art. 67,  comma
8, del d.lgs. n. 159 del 2011, sollevata, in riferimento all'art.  38
della Costituzione, dal Tribunale  amministrativo  regionale  per  il
Friuli-Venezia Giulia con l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 6 luglio 2021. 
 
                                F.to: 
                   Giancarlo CORAGGIO, Presidente 
                      Giuliano AMATO, Redattore 
             Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria 
 
    Depositata in Cancelleria il 30 luglio 2021. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA