N. 108 ORDINANZA (Atto di promovimento) 28 aprile 2021
Ordinanza del 28 aprile 2021 della Corte dei Conti - Sezione Regionale di controllo per l'Abruzzo nel giudizio di parificazione del rendiconto della Regione Abruzzo per l'esercizio finanziario 2019. Bilancio e contabilita' pubblica - Legge di bilancio dello Stato 2018 - Ripiano del disavanzo al 31 dicembre 2014 - Prevista rideterminazione in quote costanti, in non oltre venti esercizi, per le Regioni che si impegnano a riqualificare la propria spesa attraverso il progressivo incremento dei pagamenti complessivi per investimenti, secondo le percentuali ivi previste, per gli anni dal 2018 al 2026 - Adeguamento del piano di rientro del disavanzo 2014 a decorrere dal 2018, con riferimento alla quota non ancora ripianata del disavanzo 2014 - Decorrenza dal 2018 del piano di rientro del disavanzo 2015, con riferimento alla quota non ancora ripianata - Norme della Regione Abruzzo - Risultato di amministrazione presunto - Iscrizione nello stato di previsione della spesa di una quota del disavanzo di amministrazione presunto per ciascuna delle tre annualita' di bilancio (2019-2020-2021), determinata in euro 25.544.172,01 quale annualita' del suindicato disavanzo presunta al 31 dicembre 2014 ed euro 4.404.075,67 quale annualita' del disavanzo di amministrazione presunto al 31 dicembre 2015. Bilancio e contabilita' pubblica - Legge di bilancio dello Stato 2018 - Prevista applicazione anche al ripiano del disavanzo al 31 dicembre 2015 della rideterminazione in quote costanti, in non oltre venti esercizi, per le Regioni che si impegnano a riqualificare la propria spesa attraverso il progressivo incremento degli investimenti - Norme della Regione Abruzzo - Risultato di amministrazione presunto - Iscrizione nello stato di previsione della spesa di una quota del disavanzo di amministrazione presunto per ciascuna delle tre annualita' di bilancio (2019-2020-2021), determinata in euro 4.404.075,67 quale annualita' del suindicato disavanzo presunto al 31 dicembre 2015. - Legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020), art. 1, commi 779, 780 e 782; legge della Regione Abruzzo 31 gennaio 2019, n. 2 (Bilancio di previsione finanziario 2019 - 2021), art. 8, comma 1, lettere a) e c).(GU n.33 del 18-8-2021 )
LA CORTE DEI CONTI Sezione regionale di controllo per l'Abruzzo composta dai magistrati: Stefano Siragusa, presidente di Sezione; Marco Villani, consigliere; Luigi Di Marco, consigliere (relatore); Francesca Paola Anelli, consigliere; Antonio Dandolo, consigliere; Giovanni Guida, primo referendario; ha pronunciato la seguente ordinanza nel giudizio di parificazione del rendiconto generale della Regione Abruzzo per l'esercizio finanziario 2019. Visti gli articoli 81, 97, 100, comma 2, 103, comma 2, 117, comma 1 e 136 della Costituzione; Visto il testo unico delle leggi sulla Corte dei conti, approvato con regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214, e successive modificazioni; Vista la legge 11 marzo 1953, n. 87, recante norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale; Vista la legge 14 gennaio 1994, n. 20, recante disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti; Visto il decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174, convertito, con modificazioni, in legge 7 dicembre 2012, n. 213 e successive modifiche ed integrazioni; Visti gli articoli 38 e 40 del decreto legislativo 26 agosto 2016, n. 174, recante il codice di giustizia contabile, adottato ai sensi dell'art. 20 della legge 7 agosto 2015, n. 124; Vista la legge 27 dicembre 2017, n. 205, in particolare i commi 779, 780 e 782 dell'art. 1; Vista la legge della Regione Abruzzo 31 gennaio 2019, n. 2, recante: «Bilancio di previsione finanziario 2019/2021» ed in particolare l'art. 8, comma 1; Vista la deliberazione della giunta regionale del 30 giugno 2020, n. 363/C, con la quale e' stato approvato il «Disegno di legge regionale recante il Rendiconto Generale per l'esercizio 2019» e relativi allegati; Uditi nella pubblica udienza del 21 gennaio 2021 il relatore e gli altri magistrati componenti il collegio, il procuratore regionale dott. Antonio Giuseppone, il Presidente della giunta della Regione Abruzzo dott. Marco Marsilio; Vista la decisione della Sezione regionale di controllo per l'Abruzzo della Corte dei conti del 21 gennaio 2021, n. 4/2021/PARI; Ritenuto in FATTO Con nota prot. regionale n. RA/0296024/20 del 12 ottobre 2020 il direttore generale della Regione Abruzzo ha trasmesso la deliberazione della giunta regionale del 30 giugno 2020, n. 363/C, con la quale e' stato approvato il «Disegno di legge regionale recante il Rendiconto Generale per l'esercizio 2019». Questa Sezione regionale di controllo ha, quindi, avviato l'attivita' istruttoria sul disegno di legge del rendiconto dell'esercizio finanziario 2019, ai fini del giudizio di parificazione. Terminata l'istruttoria e le verifiche di competenza, con ordinanza presidenziale del 3 dicembre 2020, n. 49/2020, tra l'altro, e' stata trasmessa la relazione del magistrato istruttore prot. n. 387 del 2 dicembre 2020 con cui, in vista del successivo giudizio di parificazione, si instaurava formale contraddittorio con l'amministrazione regionale in ordine al dubbio di costituzionalita' inerente ai commi 779, 780 e 782 dell'art. 1 della legge 27 dicembre 2017, n. 205 ed all'art. 8, comma 1 della legge della Regione Abruzzo 31 gennaio 2019, n. 2, gia' peraltro sollevato in occasione del giudizio di parificazione del precedente esercizio 2018 giusta ordinanza di remissione n. 42/2020/PARI. La Regione Abruzzo con nota prot. n. 450275/DPB014 del 17 dicembre 2020, ha depositato apposita memoria in cui ha preso atto della rideterminazione operata dalla relazione istruttoria di questa Corte del disavanzo di partenza, riquantificato in 88 milioni di euro, in luogo dei 79,2 milioni di euro ed ha comunicato che, in presenza di un pronunciamento di legittimita' costituzionale sfavorevole (in quanto su analoga questione gia' pende giudizio presso la Corte costituzionale), provvedera' a rideterminare la quota di ripiano nella misura proposta. Con ordinanza presidenziale del 17 dicembre 2020, n. 52/2020, e' stata convocata, con modalita' di collegamento da remoto, la camera di consiglio per la disamina orale ed in contraddittorio delle reciproche conclusioni e controdeduzioni, in data 22 dicembre 2020. Nella camera di consiglio del 22 dicembre 2020, ai fini del contraddittorio, sono state illustrate le risultanze istruttorie e le criticita' rilevate nell'attivita' di controllo del rendiconto 2019 ed i rappresentanti dell'amministrazione regionale hanno formulato oralmente le proprie considerazioni. Il procuratore regionale si e' riservato di far pervenire le proprie conclusioni prima del giudizio di parificazione. Con ordinanza del 7 gennaio 2021, n. 1/2021 il presidente della Sezione regionale di controllo ha disposto la fissazione dell'udienza per il 21 gennaio 2021, con modalita' di collegamento da remoto, prevedendo, altresi', che il procuratore regionale e il Presidente della Regione Abruzzo potessero depositare presso la segreteria della Sezione eventuali note conclusive entro il 14 gennaio 2021. Con nota acquisita al protocollo della Sezione n. 108 del 14 gennaio 2021 il procuratore regionale ha trasmesso la requisitoria conclusiva. All'udienza del 21 gennaio 2021 nel richiamarsi alle relazioni istruttorie integrative, il magistrato istruttore ha illustrato i dubbi di costituzionalita' inerenti ai commi 779, 780, 781 e 782 dell'art. 1 della legge 27 dicembre 2017, n. 205, con il quale sono state definite le modalita' di recupero del disavanzo arretrato ed all'art. 8, comma 1 della legge della Regione Abruzzo 31 gennaio 2019, n. 2, recante «Bilancio di previsione finanziario 2019/2021». Le disposizioni censurate prolungano, in modo anomalo, i tempi di rientro di ben due disavanzi ordinari e consecutivi (quello al 31 dicembre 2014 e quello al 31 dicembre 2015), ledendo una serie di principi consustanziali alla sana gestione finanziaria dell'ente. La legge regionale di approvazione del bilancio previsionale, recependo la normativa nazionale, ne condivide i medesimi vizi. Il procuratore regionale ha concluso chiedendo, tra l'altro, alla Sezione regionale di controllo per l'Abruzzo di volere, ritenuta la rilevanza e la non manifesta infondatezza, sollevare questione di legittimita' costituzionale delle seguenti norme: art. 1, commi 779, 780 e 782 della legge 27 dicembre 2017, n. 205; art. 8, comma 1 della legge della Regione Abruzzo 31 gennaio 2019, n. 2. Il Presidente della Regione Abruzzo ha invece sostenuto la infondatezza dei dubbi di costituzionalita' richiedendo la parificazione del disegno di legge di approvazione del rendiconto finanziario 2019. Le considerazioni svolte dalla Regione Abruzzo non hanno consentito di superare gli evidenziati dubbi di costituzionalita'. Pertanto, all'esito dell'udienza pubblica del 21 gennaio 2021, questo collegio ha adottato la deliberazione n. 4/2021/PARI con cui sospendeva il giudizio sul rendiconto generale della Regione Abruzzo per l'esercizio 2019 in quanto inciso, nella complessita' della sua rappresentazione, dall'art. 1, commi 779, 780 e 782 della legge 27 dicembre 2017, n. 205 e dall'art. 8, comma 1 della legge della Regione Abruzzo 31 gennaio 2019, n. 2, recante: «Bilancio di previsione finanziario 2019/2021», in relazione ai quali disponeva di sollevare con separata ordinanza, questione di legittimita' costituzionale in riferimento al combinato disposto degli articoli 97, 81, 2, 3, 1 della Costituzione; al combinato disposto degli articoli 97, 81 e 41 della Costituzione e degli articoli 3 e 117, comma 1 della Costituzione, per violazione del parametro interposto dell'art. 1, Protocollo 1 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali. DIRITTO 1. Indicazione delle norme statali e regionali della cui legittimita' costituzionale si dubita Preliminarmente e' utile segnalare che nell'ambito del giudizio di parificazione dello schema di rendiconto della Regione Abruzzo per l'esercizio finanziario 2018, la Sezione regionale di controllo per l'Abruzzo della Corte dei conti ha ritenuto di sollevare, d'ufficio, pregiudiziale questione di legittimita' costituzionale sull'art. 1, commi 779, 780 e 782 della legge 27 dicembre 2017, n. 205, recante: «Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020», pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 302 del 29 dicembre 2017, Supplemento ordinario n. 62 e sull'art. 8, comma 1, lettera a) della legge della Regione Abruzzo 5 febbraio 2018, n. 7, recante: «Bilancio di previsione finanziario 2018/2020», pubblicata nel Bollettino Ufficiale della Regione Abruzzo n. 22, Serie speciale, del 16 febbraio 2018, giusta ordinanza di questa Sezione n. 42/2020/PARI, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana - 1ª Serie speciale «Corte costituzionale» - n. 8 del 24 febbraio 2021. Pendente la segnalata questione di legittimita' costituzionale, questa Sezione ha avviato e concluso anche il giudizio di parificazione dello schema di rendiconto della Regione Abruzzo per il successivo esercizio finanziario 2019, nell'ambito del quale, ha parimenti ritenuto di sollevare, d'ufficio, pregiudiziale questione di legittimita' costituzionale sul medesimo art. 1, commi 779, 780 e 782 della legge 27 dicembre 2017, n. 205, recante: «Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020», pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 302 del 29 dicembre 2017, Supplemento ordinario n. 62 e sull'art. 8, comma 1, lettera a) e lettera c) della legge della Regione Abruzzo 31 gennaio 2019, n. 2, recante «Bilancio di previsione finanziario 2019/2021». Come gia' fatto rilevare nella predetta ordinanza n. 42/2020/PARI, le norme statali oggetto della questione intervengono sull'art. 9, comma 5 del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2015, n. 125, che gia' consentiva alle regioni il ripiano del disavanzo al 31 dicembre 2014 in dieci esercizi a quote costanti, in deroga all'art. 42, comma 12 del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, e successive modifiche. Il richiamato comma 5 dell'art. 9, in particolare, prevedeva che: «In deroga all'articolo 42, comma 12, del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, e successive modifiche, il disavanzo al 31 dicembre 2014 delle regioni, al netto del debito autorizzato e non contratto, puo' essere ripianato nei dieci esercizi successivi a quote costanti, contestualmente all'adozione di una delibera consiliare avente ad oggetto il piano di rientro dal disavanzo, sottoposto al parere del collegio dei revisori, nel quale sono individuati i provvedimenti necessari a ripristinare il pareggio. La deliberazione di cui al presente comma contiene l'impegno formale di evitare la formazione di ogni ulteriore potenziale disavanzo, ed e' allegata al bilancio di previsione e al rendiconto, costituendone parte integrante. Con periodicita' almeno semestrale il Presidente della giunta regionale trasmette al Consiglio una relazione riguardante lo stato di attuazione del piano di rientro». L'art. 42, comma 12 del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, prevede che: «L'eventuale disavanzo di amministrazione accertato ai sensi del comma 1, a seguito dell'approvazione del rendiconto, al netto del debito autorizzato e non contratto di cui all'art. 40, comma 1, e' applicato al primo esercizio del bilancio di previsione dell'esercizio in corso di gestione. La mancata variazione di bilancio che, in corso di gestione, applica il disavanzo al bilancio e' equiparata a tutti gli effetti alla mancata approvazione del rendiconto di gestione. Il disavanzo di amministrazione puo' anche essere ripianato negli esercizi considerati nel bilancio di previsione, in ogni caso non oltre la durata della legislatura regionale, contestualmente all'adozione di una delibera consiliare avente ad oggetto il piano di rientro dal disavanzo nel quale siano individuati i provvedimenti necessari a ripristinare il pareggio. Il piano di rientro e' sottoposto al parere del collegio dei revisori. Ai fini del rientro, possono essere utilizzate le economie di spesa e tutte le entrate, ad eccezione di quelle provenienti dall'assunzione di prestiti e di quelle con specifico vincolo di destinazione, nonche' i proventi derivanti da alienazione di beni patrimoniali disponibili e da altre entrate in c/capitale con riferimento a squilibri di parte capitale». Le norme statali della cui legittimita' costituzionale si dubita, invece, prevedono che: «779. Il ripiano del disavanzo al 31 dicembre 2014, disciplinato dall'articolo 9, comma 5, del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2015, n. 125, puo' essere rideterminato in quote costanti, in non oltre venti esercizi, per le regioni che si impegnano a riqualificare la propria spesa attraverso il progressivo incremento degli investimenti. Il disavanzo di cui al periodo precedente e' quello risultante dal consuntivo o, nelle more dell'approvazione del rendiconto da parte del consiglio regionale, quello risultante dal consuntivo approvato dalla giunta regionale. Le disposizioni di cui ai periodi precedenti si applicano anche con riferimento al disavanzo al 31 dicembre 2015. 780. Le regioni di cui al comma 779, per gli anni dal 2018 al 2026, incrementano i pagamenti complessivi per investimenti in misura non inferiore al valore dei medesimi pagamenti per l'anno 2017 rideterminato annualmente applicando all'anno base 2017 la percentuale del 2 per cento per l'anno 2018, del 2,5 per cento per l'anno 2019, del 3 per cento per l'anno 2020 e del 4 per cento per ciascuno degli anni dal 2021 al 2026. Ai fini di cui al primo periodo, non rilevano gli investimenti aggiuntivi di cui all'articolo 1, commi 140-bis e 495-bis, della legge 11 dicembre 2016, n. 232, e, per il solo calcolo relativo all'anno 2018, i pagamenti complessivi per investimenti relativi all'anno 2017 da prendere a riferimento possono essere desunti anche dal preconsuntivo. 781. Le regioni di cui al comma 779 certificano l'avvenuta realizzazione degli investimenti di cui al comma 780 entro il 31 marzo dell'anno successivo a quello di riferimento, mediante apposita comunicazione al Ministero dell'economia e delle finanze - Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato. In caso di mancata o parziale realizzazione degli investimenti, si applicano le sanzioni di cui all'articolo 1, comma 475, della legge 11 dicembre 2016, n. 232. 782. Le regioni di cui al comma 779 adeguano il piano di rientro del disavanzo 2014, approvato ai sensi dell'articolo 9, comma 5, del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2015, n. 125, in attuazione del comma 779, a decorrere dal 2018, con riferimento alla quota non ancora ripianata del disavanzo 2014. Il piano di rientro del disavanzo 2015 decorre dal 2018, con riferimento alla quota non ancora ripianata. Nel caso in cui i piani di rientro siano definiti sulla base dei consuntivi approvati dalla giunta regionale, gli stessi sono adeguati a seguito dell'approvazione dei rendiconti 2014 e 2015 da parte del consiglio regionale». L'art. 8, comma 1 della legge della Regione Abruzzo 31 gennaio 2019, n. 2, recante: «Bilancio di previsione finanziario 2019/2021» infine, in applicazione delle richiamate norme statali, ha previsto che: «E' iscritta nello stato di previsione della spesa una quota del disavanzo di amministrazione presunto per ciascuna delle tre annualita' di bilancio (2019-2020-2021), cosi' determinata: a) euro 25.544.172,01 quale annualita' del disavanzo di amministrazione presunto al 31.12.2014, in attuazione di quanto previsto dall'articolo 1, comma 779 e seguenti della legge 27 dicembre 2017, n. 205; b) euro 617.942,13 quale accantonamento trentennale del maggior disavanzo da riaccertamento straordinario dei residui di cui all'articolo 3, comma 7, del decreto legislativo 118/2011 e successive modifiche ed integrazioni cosi' come provvisoriamente determinato con Delibera G.R. n. 692 del 24 novembre 2017; c) euro 4.404.075,67 quale annualita' del disavanzo di amministrazione presunto al 31.12.2015, ai sensi dell'ultimo periodo del comma 779, articolo 1, legge 27 dicembre 2017, n. 205». La Sezione quindi, nelle more della discussione del giudizio costituzionale sulla medesima norma statale e sulla legge regionale di approvazione del bilancio previsionale per l'esercizio 2018, ha sospeso il giudizio di parificazione sullo schema di rendiconto generale della Regione Abruzzo per l'esercizio 2019 il quale risultava inciso anch'esso, al pari di quello precedente, dall'attuazione finanziaria delle predette disposizioni. In via preliminare, appare necessario soffermarsi sulla legittimazione di questa Corte a adire il Giudice delle leggi, nonche' sulla rilevanza della questione nel giudizio in corso. 2. La legittimazione delle Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti a sollevare questioni di legittimita' costituzionale in sede di parificazione La legittimazione delle Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti a sollevare questioni di legittimita' costituzionale in sede di parificazione dei rendiconti regionali e' stata riconosciuta in piu' occasioni dalla Corte costituzionale (cfr. sentenze n. 181/2015, n. 89/2017 e n. 196/2018), la quale ha sottolineato la peculiare natura del giudizio di parificazione che si svolge con le formalita' della giurisdizione contenziosa (art. 40 del regio decreto n. 1214/1934, testo unico delle leggi sulla Corte dei conti), prevede la partecipazione del procuratore generale in contraddittorio con i rappresentanti dell'amministrazione e si conclude con una pronunzia adottata in esito a pubblica udienza. Sulla base di tali considerazioni la Corte costituzionale ha esteso ai giudizi di parificazione dei rendiconti delle regioni a statuto ordinario le medesime conclusioni cui era pervenuta con riguardo al giudizio di parificazione del rendiconto generale dello Stato o di quelli delle regioni ad autonomia differenziata (sentenze n. 165/1963, n. 121/1966, n. 142/1968, n. 244/1995 e n. 213/2008). Il giudizio di parificazione dei rendiconti regionali si risolve, infatti, in una valutazione di «conformita' (...) alle norme del diritto oggettivo, ad esclusione di qualsiasi apprezzamento che non sia di ordine strettamente giuridico». Una funzione cioe' di garanzia dell'ordinamento, di «controllo esterno, rigorosamente neutrale e disinteressato (...) preordinato a tutela del diritto oggettivo» (sentenza n. 384 del 1991). Detti caratteri costituiscono indubbio fondamento della legittimazione della Corte dei conti a sollevare questioni di costituzionalita', atteso che il riconoscimento di tale legittimazione, legata alla specificita' dei suoi compiti nel quadro della finanza pubblica, «si giustifica anche con l'esigenza di ammettere al sindacato costituzionale leggi che, come nella fattispecie in esame, piu' difficilmente verrebbero per altra via, ad essa sottoposte» (sentenza n. 226 del 1976). Proprio in relazione a siffatte ipotesi la Corte costituzionale ha auspicato (sentenza n. 406 del 1989) che, quando l'accesso al suo sindacato sia reso poco agevole, come accade in relazione ai profili attinenti all'osservanza di norme poste a tutela della sana gestione finanziaria e degli equilibri di bilancio, i meccanismi di accesso debbano essere arricchiti. La Corte dei conti e' la sede piu' adatta a far valere quei profili, e cio' in ragione della peculiare natura dei suoi compiti, essenzialmente finalizzati alla verifica della gestione secundum legem delle risorse finanziarie. Sul punto, occorre infatti ricordare che il giudizio di parificazione, allo stato della legislazione vigente, e' l'unica possibilita' offerta dall'ordinamento per sottoporre a scrutinio di costituzionalita' in via incidentale, in riferimento ai principi costituzionali in materia di finanza pubblica, le disposizioni legislative statali e regionali che, incidendo sui singoli capitoli, modificano l'articolazione del bilancio e ne possono alterare gli equilibri complessivi. Conseguentemente, ove si escludesse la legittimazione di questa Corte a sollevare questioni di costituzionalita' in riferimento ai parametri sopra individuati, si verrebbe a creare, di fatto, una sorta di spazio legislativo immune dal controllo di costituzionalita' attivabile in via incidentale. Coerentemente, nelle piu' recenti pronunce, la Corte costituzionale (sentenza n. 181/2015 e n. 89/2017) ha progressivamente ampliato i parametri costituzionali rispetto ai quali la Corte dei conti puo' accedere al sindacato di legittimita' costituzionale delle norme che vengono in rilievo nel giudizio di parificazione. La legittimazione di questa Corte, infatti, originariamente limitata al solo parametro costituito dall'art. 81 della Costituzione, e' ora riconosciuta su tutte le norme costituzionali tese a presidiare gli equilibri di finanza pubblica e, dunque, anche con riferimento all'art. 119, comma 6 (in materia di indebitamento) e all'art. 97 (in merito alla necessita' che le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l'ordinamento dell'Unione europea, assicurino l'equilibrio dei bilanci e la sostenibilita' del debito pubblico), della Costituzione. Tale ampliamento risulta, peraltro, in linea con l'evoluzione delle funzioni di controllo assegnate alla Corte dei conti, alla quale, in particolare a partire dal decreto-legge n. 174/2012 e in corrispondenza con l'entrata in vigore della legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1, e' stato riconosciuto il ruolo di «garante imparziale dell'equilibrio economico - finanziario del settore pubblico». Dette forme di controllo, nella ricostruzione operata dal Giudice delle leggi (sentenza n. 60/2013), riposano su una pluralita' di principi costituzionali, che non si esauriscono nell'art. 81 della Costituzione. E' stato, al riguardo, affermato che «alla Corte dei conti e' attribuito il controllo sull'equilibrio economico-finanziario del complesso delle amministrazioni pubbliche a tutela dell'unita' economica della Repubblica, in riferimento a parametri costituzionali (artt. 81, 119 e 120 Cost.) e ai vincoli derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea (artt. 11 e 117, primo comma, Cost.)» (sentenza n. 60/2013). Un ruolo centrale nell'ambito dei controlli di legittimità-regolarita' a presidio dei richiamati parametri costituzionali e' svolto proprio dal giudizio di parifica per le regioni a statuto ordinario introdotto, come precisa il primo comma dell'art. 1 del citato decreto-legge n. 174/2012, «al fine di rafforzare il coordinamento della finanza pubblica, in particolare tra i livelli di governo statale e regionale, e di garantire il rispetto dei vincoli finanziari derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea ... omissis». Sussiste, pertanto, una corrispondenza tra i parametri costituzionali in base ai quali il legislatore ha intestato alla Corte dei conti determinate funzioni di controllo e i parametri costituzionali che la stessa Corte puo' prendere a riferimento per sollevare dubbi di legittimita' costituzionale delle norme che, di volta in volta, vengono in rilievo proprio nell'esercizio dei medesimi controlli. La Sezione, quindi, ritiene di essere legittimata, in sede di giudizio di parificazione, a sollevare questioni di legittimita' costituzionale. 3. Rilevanza della questione ai fini della decisione della Sezione remittente sul giudizio di parificazione del rendiconto dell'esercizio 2019 della Regione Abruzzo Quanto alla rilevanza della questione, pare opportuno premettere che l'essenza del giudizio di parificazione risiede sul raffronto fra gli stanziamenti di entrata e di spesa ed i relativi presupposti di diritto. Nella fattispecie, occorre accertare se l'atto di imputazione al bilancio previsionale (parte spesa) del quantum di disavanzo pregresso sia compatibile con l'attuale assetto costituzionale e, per quanto piu' qui interessa, se l'esito del predetto giudizio di compatibilita' condizioni, in tutto o in parte, il giudizio di parificazione della Sezione sul rendiconto dell'esercizio 2019 della Regione Abruzzo. Ebbene, tenuto conto che le norme sospettate di incostituzionalita' hanno consentito un rilevante ridimensionamento dell'ammortamento del deficit pregresso, si osserva che qualora le stesse dovessero essere espunte dall'ordinamento giuridico, la posta di disavanzo iscritto in spesa nel bilancio preventivo, si appaleserebbe illegittima in quanto gravemente sottostimata, con la immediata conseguenza della compromissione del principale saldo di bilancio, ovvero il risultato di amministrazione a fine esercizio, nella parte in cui quest'ultimo non registra, in termini di recupero del deficit, il miglioramento altrimenti imposto dall'art. 9, comma 5 del decreto-legge n. 78/2015. Ed anzi le conseguenze della rilevante sottostima della rata annuale di rientro dal deficit, a ben vedere, travolgerebbero l'intera programmazione di entrata e di spesa nella misura in cui quest'ultima non tiene conto degli incrementi di entrata e/o delle riduzioni di spesa altrimenti necessari a garantire il pareggio in tutte le fasi del ciclo di bilancio. D'altra parte, se l'oggetto del giudizio di parificazione dei rendiconti regionali risiede, ormai pacificamente, anche nella verifica del perseguimento degli obiettivi intermedi di recupero previsti dai piani di rientro in essere, e' evidente che la Sezione remittente risulti impossibilitata a compiere tale controllo laddove permanga incertezza sulla compatibilita' costituzionale delle norme di legge statali e regionali che quegli stessi obiettivi concorrono a determinare. Sotto altro, ma comunque connesso profilo, le norme censurate consentono un considerevole incremento della capacita' di spesa dell'amministrazione regionale che, allo stesso modo, incide in maniera determinante sui saldi finali della gestione oggetto del giudizio di parificazione. Per effetto delle norme sospettate di illegittimita' costituzionale, infatti, gli stanziamenti di spesa a titolo di recupero del disavanzo al 31 dicembre 2014 ed al 31 dicembre 2015 sono stati parametrati su un orizzonte temporale ventennale piuttosto che decennale per il 2014 (come avrebbe invece imposto l'art. 9, comma 5 del decreto-legge n. 78/2015) e ventennale piuttosto che triennale per il 2015 (come avrebbe invece imposto l'art. 42 del decreto legislativo n. 118/2011). Piu' nel dettaglio, al momento dell'entrata in vigore delle norme della cui legittimita' costituzionale si dubita, il disavanzo al 31 dicembre 2014 della Regione Abruzzo, cosi' come esposto nello schema di rendiconto 2014, approvato con deliberazione giuntale n. 536/C del 29 settembre 2017, era pari a euro 510.883.440,00, al netto dell'anticipazione di liquidita' di cui al decreto-legge n. 35 del 2013. L'ulteriore disavanzo ascrivibile alla gestione dell'esercizio 2015 era invece pari a euro 88.081.513,53. Infatti, con deliberazione giuntale n. 79/C del 12 febbraio 2018, di approvazione del disegno di legge del rendiconto 2015, al netto dell'anticipazione di liquidita', il disavanzo e' stato determinato in euro 598.964.953,68. Con specifico riferimento al disavanzo 2015 poi, va rilevato che il primo anno di applicazione della rateizzazione ventennale non e' stato il 2016, come ha ritenuto la Regione Abruzzo (cfr. verbale n. 114/2 del 31 dicembre 2018), ma il 2019, atteso che la legge n. 205 e' stata emanata in data 27 dicembre 2017 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 302 del 29 dicembre 2017) e che la legge regionale di approvazione del bilancio previsionale 2018/2020 da parte della Regione e' stata emanata in data 5 febbraio 2018 (pubblicata nel Bollettino Ufficiale della Regione Abruzzo n. 22 Speciale del 16 febbraio 2018). D'altra parte, il secondo periodo del comma 782 dell'art. 1 della legge di stabilita' per il 2018 prevede espressamente che: «Il piano di rientro del disavanzo 2015 decorre dal 2018, con riferimento alla quota non ancora ripianata». Inoltre, come fatto rilevare in sede di giudizio di parificazione del rendiconto 2018, la legge regionale di approvazione del bilancio previsionale di quell'esercizio, ometteva di stanziare la rata ventennale di ripiano del deficit 2015, con la conseguenza che questa Sezione si vedeva costretta, come sopra indicato, a contestarne la legittimita' costituzionale, per violazione dei parametri interposti degli articoli 42 e 50 del decreto legislativo n. 118/2011. Pertanto, fino all'esercizio 2018 compreso, nessun recupero poteva essere imputato al disavanzo 2015 come invece indicato dalla Regione Abruzzo. Il primo esercizio in cui il ripiano del deficit 2015 ha avuto realmente inizio quindi, non puo' che essere il 2019, mentre negli esercizi pregressi (compreso il 2018), il recupero effettivamente realizzatosi va attribuito al piu' risalente deficit derivante dagli esercizi 2014 e precedenti. Gli aspetti sopra illustrati sono stati accertati nell'ambito del giudizio di parificazione del rendiconto dell'esercizio 2019 conclusosi con la citata decisione n. 4/2021/PARI del 21 gennaio 2021, e sono rimasti incontestati dall'amministrazione regionale che anzi, con nota n. 450275 del 17 dicembre 2020, sempre con riferimento al deficit 2015, «prendeva atto della rideterminazione dell'importo del disavanzo di partenza riquantificato in € 88 milioni di euro, in luogo dei 79,2 stimati». Ne consegue che, proprio come per il precedente esercizio 2018, anche per il 2019, in assenza delle norme contestate, l'ammontare della rata del piano decennale di rientro dal deficit 2014, da applicare all'esercizio 2019 ed agli esercizi successivi, in base al previgente art. 9, comma 5 del decreto-legge n. 78 del 2015, avrebbe dovuto essere pari a euro 51.088.344 (510.883.440/10); mentre l'ammontare della rata del piano triennale di rientro dal deficit 2015, da applicare all'esercizio 2019, in base all'art. 42 del decreto legislativo n. 118 del 2011, atteso il mancato recupero nel corso del successivo triennio (il 2016, il 2017 ed appunto anche il 2018), avrebbe dovuto essere pari a euro 88.081.513. Al momento dell'emanazione della legge regionale di bilancio 2019/2021, l'importo totale del deficit da applicare all'esercizio 2019, ed oggetto di recupero a consuntivo, avrebbe dovuto pertanto essere pari ad euro 139.169.858 [(510.883.440/10) + 88.081.514]. Di contro, per effetto delle norme qui in contestazione, l'amministrazione ha potuto stanziare, in parte spesa, il solo importo di euro 25.544.172 (1/20 del disavanzo 2014) e di euro 4.404.076 (1/20 del disavanzo 2015). Ne' potrebbe trovare accoglimento la tesi volta ad ammettere la possibilita' di una rimodulazione al ribasso dell'ammortamento annuale in considerazione dei maggiori recuperi del deficit registrati successivamente all'entrata in vigore delle norme contestate ed alla definizione dell'importo delle rate di ammortamento del recupero dei disavanzi rinvenienti dal 2014 e dal 2015. Il secondo periodo del comma 782 del comma 1 della legge n. 205 del 2017 prevede, infatti, che «Il piano di rientro del disavanzo 2015 decorre dal 2018, con riferimento alla quota non ancora ripianata». Ne consegue che la determinazione della rata annuale dell'ammortamento del deficit 2015 avrebbe dovuto essere posta in essere in occasione del bilancio previsionale 2018/2020, anche attraverso una variazione di bilancio. Ebbene, il disegno di legge di approvazione del rendiconto 2015 ed il conseguente disavanzo di euro 88.081.514 sono stati approvati con deliberazione della giunta regionale n. 79 del 12 febbraio 2018, ovvero in un tempo ampiamente sufficiente per consentire la necessaria variazione del bilancio 2018 che tenesse conto della nuova rilevante posta passiva. E' appena il caso di rammentare che la mancata modifica della programmazione 2018/2020 a seguito dell'emersione del maggior disavanzo 2015 ha indotto questa Sezione a contestare la compatibilita' costituzionale della legge regionale come risulta dall'ordinanza di remissione n. 42/2020/PARI. Ma quello che in questa sede rileva e' che il piano di rientro dal disavanzo e' stato correttamente definito in data 31 dicembre 2018 come risulta dalla deliberazione consiliare di cui al verbale 114/2 del 31 dicembre 2018 allegata al bilancio previsionale 2019/2021 che ad essa si e' conformato. Con il provvedimento in questione l'amministrazione regionale ha in particolare confermato l'importo della rata di ammortamento del deficit 2014 in euro 25.544.172 (1/20 del disavanzo 2014) ed ha previsto, per la prima volta, a decorrere dall'esercizio 2019, la rata di ammortamento del deficit 2015 di euro 4.404.076 (1/20 del disavanzo 2015). Ne consegue che i maggiori recuperi emersi a seguito dell'approvazione dello schema di rendiconto 2017, avvenuto con la deliberazione di giunta regionale n. 918/C del 3 dicembre 2018, non potevano certo determinare una modificazione dell'ormai definito piano di rientro. Diversamente opinando si aprirebbe la strada ad una non consentita facolta', in quanto priva di limiti temporali di scadenza, di rimodulazione continua delle rate di ammortamento del piano di rientro ogni qual volta l'amministrazione dovesse perseguire l'obiettivo - peraltro connaturale alle finalita' stesse del medesimo piano - di riduzione del deficit originario, con continue rideterminazioni al ribasso delle stesse quote di ammortamento. D'altra parte, l'unica possibilita' di adeguamento dei piani di rientro definiti in sede di approvazione del documento previsionale 2018, e' espressamente prevista proprio dall'ultimo periodo del comma 782 che la circoscrive all'ipotesi in cui i piani stessi siano definiti sulla base dei consuntivi approvati dalla giunta regionale a seguito dell'approvazione dei rendiconti 2014 e 2015 da parte del consiglio regionale e non certo a seguito dell'approvazione dei rendiconti delle annualita' successive. Vale al contrario la regola secondo cui gli eventuali maggiori recuperi della quota di disavanzo rispetto a quella programmata determinano la formazione di un avanzo libero. Considerando che l'art. 42, comma 6 del decreto legislativo n. 118 del 2011, nello stabilire l'ordine con il quale puo' essere impiegata la quota libera dell'avanzo di amministrazione, la destina prioritariamente alle misure di salvaguardia, deve dedursi l'esistenza di un principio implicito che fa divieto di sfruttare il vantaggio derivante da un'accelerazione del recupero ottenuto in un esercizio in occasione degli esercizi successivi, potendo tale vantaggio determinare esclusivamente una riduzione dei tempi originari del risanamento. Gli eccessi di recupero rispetto agli obiettivi intermedi predeterminati nel piano di rientro, pertanto, non possono essere portati in compensazione con le quote di deficit da stanziare nei bilanci preventivi dei successivi esercizi finanziari. Solo con l'emanazione dell'art. 111, comma 4-bis del decreto-legge n. 18 del 2020, e' stata dettata una deroga al suesposto principio consistente nella possibilita' di non applicare al bilancio degli esercizi successivi il disavanzo di amministrazione ripianato (di importo superiore di quello applicato al bilancio), scomputando il maggiore recupero effettuato in un determinato esercizio, dal disavanzo gia' iscritto a bilancio sulle annualita' successive, secondo le previsioni del piano originariamente approvato, e portando cosi' ad una maggiore capacita' di spesa. Si tratta tuttavia di una disposizione derogatoria dettata per fronteggiare le esigenze connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19 e che trova fondamento nell'art. 11 della legge n. 243 del 2012 recante: «Concorso dello Stato nelle fasi avverse del ciclo o al verificarsi di eventi eccezionali» secondo cui «Fermo restando quanto previsto dall'articolo 9, comma 5, e dall'articolo 12, comma 1, lo Stato, in ragione dell'andamento del ciclo economico o al verificarsi di eventi eccezionali, concorre al finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni e delle funzioni fondamentali inerenti ai diritti civili e sociali, secondo modalita' definite con leggi dello Stato, nel rispetto dei principi stabiliti dalla presente legge». La norma in commento non fa che confermare, a contrario, i principi generali sopra ricostruiti e naturalmente non risulta applicabile ratione temporis al caso di specie. Inoltre, la sua attuazione resta subordinata alla circostanza, anch'essa non ricorrente nella fattispecie, che il maggior recupero del disavanzo discenda da maggiori entrate e spese minori collegate all'anticipo di attivita' e azioni programmate per le annualita' successive, fissate nel piano di rientro. In conclusione, il giudizio non puo' essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione qui prospettata. La verifica di compatibilita' costituzionale e' logicamente preliminare al giudizio di parificazione del rendiconto dell'esercizio 2019 in quanto le norme impugnate, modificando gli «obbiettivi intermedi» e «finali» da perseguire, consentono una rilevante espansione della capacita' di spesa altrimenti illegittima perche' priva di coperture ed in violazione del principio di equilibrio di bilancio. Infatti, in caso di conferma della loro costituzionalita', la verifica dell'andamento del recupero dei deficit dovra' tenere conto della correttezza della riduzione degli obbiettivi intermedi intervenuta per effetto della ridetta rimodulazione/riformulazione; in caso di declaratoria di illegittimita' costituzionale, gli obiettivi di rientro concretamente perseguiti a consuntivo oltre che l'intera articolazione delle entrate e delle spese si rivelerebbero, di contro, radicalmente incompatibili con i principi di equilibrio di bilancio e copertura delle spese. «La' dove vengano denunciate, per contrarieta' con l'art. 81, quarto comma, della Costituzione, leggi che determinino veri e propri effetti modificativi dell'articolazione del bilancio dello Stato, per il fatto stesso di incidere, in senso globale, sulle unita' elementari dello stesso, vale a dire sui capitoli, con riflessi sugli equilibri di gestione disegnati con il sistema dei risultati differenziali di cui all'art. 6 della legge n. 468 del 1978, le questioni sollevate non possono non assumere rilevanza ai fini della decisione di competenza della Corte dei conti, donde l'ammissibilita' delle medesime» (Corte costituzionale n. 244/1995. Sul punto cfr. anche Corte costituzionale n. 213/2008). Per questi motivi la Sezione ritiene la questione «rilevante» ai sensi e per gli effetti degli articoli 23 e 24 della legge n. 87 del 1953. 4. Inesistenza di una interpretazione secundum Constitutionem delle norme contestate Prima di passare alla trattazione in dettaglio dei ravvisati motivi di contrasto, occorre tuttavia verificare, nell'ambito dei compiti e delle valutazioni che la legge e la Costituzione affidano al giudice a quo (Corte costituzionale, sentenze n. 221/2015, n. 262/2015, n. 45/2016, n. 95/2016, n. 240/2016), se sia possibile attribuire alle norme contestate un'applicazione «conforme» a Costituzione, attraverso una mera operazione esegetica (Corte costituzionale, ex plurimis, sentenza n. 356/1996; sentenze n. 219/2008 e n. 1/2013). E' costante, infatti, l'orientamento della Corte costituzionale secondo cui «anche le norme finanziario-contabili afferenti agli enti territoriali - ancorche' connotate da un peculiare rapporto con il parametro costituzionale dell'equilibrio dinamico (ex plurimis, sentenza n. 155/2015) - sono soggette alla regola "dell'interpretazione conforme a Costituzione, secondo la quale, in presenza di ambiguita' o anfibologie del relativo contenuto, occorre dar loro il significato compatibile con i parametri costituzionali"» (Corte costituzionale, sentenza n. 115/2020). Sotto questo profilo pare alla Sezione che la formulazione delle norme contestate sia talmente chiara nel riconoscere la dilatazione temporale dei deficit pregressi da risultare incompatibile con qualsiasi interpretazione diversa da quella letterale (Corte costituzionale, sentenza n. 36/2016). Infatti, la rimodulazione si sostanzia univocamente, nella facolta', concretamente esercitata dalla Regione Abruzzo, di estensione della durata originaria dei piani di rientro (raddoppio per il deficit 2014 e moltiplicazione esponenziale per il deficit 2015), attraverso la riduzione della quota di disavanzo complessivo applicabile su ogni annualita' di bilancio, con conseguente dilatazione dell'obiettivo finale di riequilibrio. Non e' quindi possibile fornire un'interpretazione diversa e comunque conforme all'art. 81 della Costituzione ed agli altri precetti finanziari di rango costituzionale di seguito richiamati. 5. Art. 1, commi 779, 780, 781 e 782 della legge 27 dicembre 2017, n. 205 ed art. 8, comma 1, lettera a) e lettera c) della legge della Regione Abruzzo 31 gennaio 2019, n. 2 - Violazione degli articoli 81, 97 primo e secondo comma e 119, primo e sesto comma della Costituzione, in combinato disposto con gli articoli 2, 3 e 1 della Costituzione sia sotto il profilo della lesione dell'equilibrio e della sana gestione finanziaria del bilancio, sia per contrasto con gli interdipendenti principi di copertura pluriennale della spesa e di responsabilita' nell'esercizio del mandato elettivo Nel merito, la Sezione ravvisa a carico delle richiamate disposizioni, innanzitutto, la violazione degli articoli 81, 97 e 119 della Costituzione, in combinato disposto con gli articoli 2, 3 e 1 della Costituzione, sia sotto il profilo della lesione dell'equilibrio e della sana gestione finanziaria del bilancio, sia per contrasto con gli interdipendenti principi di copertura pluriennale della spesa e di responsabilita' nell'esercizio del mandato elettivo. 5.1. Sul punto, va in primo luogo ricordato, in linea generale, che la Corte costituzionale, a seguito della legge costituzionale n. 1 del 2012, ha rafforzato il precetto dell'equilibrio arricchendo la sua fattispecie e trasformandolo in una «clausola generale» (Corte costituzionale, sentenza n. 192/2012). Invero, «nel sindacato di costituzionalita', copertura finanziaria ed equilibrio integrano una clausola generale in grado di operare pure in assenza di norme interposte quando l'antinomia [con le disposizioni impugnate] coinvolga direttamente il precetto costituzionale: infatti "la forza espansiva dell'art. 81, quarto [oggi terzo] comma, Cost., presidio degli equilibri di finanza pubblica, si sostanzia in una vera e propria clausola generale in grado di colpire tutti gli enunciati normativi causa di effetti perturbanti la sana gestione finanziaria e contabile" (sentenza n. 192 del 2012)» (Corte costituzionale, sentenza n. 184/2016). Quest'ultima, per effetto delle indicazioni fornite dalla Corte costituzionale, risulta articolarsi su due principali coordinate: l'una quantitativa, afferente alla proporzione della spesa con le risorse economiche, finanziarie e patrimoniali disponibili, e l'altra temporale, coincidente con l'orizzonte cronologico del bilancio, entro il quale devono essere corretti gli eventuali squilibri emersi. Tali coordinate (quantitativa e temporale) devono sussistere anche sul piano della disciplina «rimediale» per la «salvaguardia» del bilancio e dei suoi equilibri. Con precipuo riferimento al secondo degli aspetti sottolineati, quello cronologico, l'arco temporale entro il quale perseguire la salvaguardia non puo' che essere quello del medesimo bilancio, in corso o immediatamente successivo; coerentemente, nella disciplina vigente degli enti territoriali, il termine e' quello triennale (articoli 162, 188, 193 e 194 Tuel per gli enti locali ed art. 42, comma 12 del decreto legislativo n. 118/2011 per le regioni) come confermato, in piu' occasioni, dalla Corte costituzionale secondo cui «il recupero dello squilibrio deve avvenire attraverso i bilanci di previsione immediatamente successivi; cio' in considerazione del principio della continuita' di bilancio e degli esercizi finanziari» (sentenza n. 274/2017). Il principio della continuita', infatti, e' «essenziale per garantire nel tempo l'equilibrio economico, finanziario e patrimoniale» (sentenza n. 155/2015). Pertanto, il precetto dell'equilibrio o, come nella fattispecie, del riequilibrio di bilancio, non puo' che essere declinato in stretta correlazione con l'aspetto temporale. Il tempo del riequilibrio assurge in pratica a suo indefettibile predicato. In assenza di un ben definito ancoraggio temporale, in effetti, il principio dell'equilibrio rischia di perdere ogni concreto significato ed efficacia precettiva. Collegare il principio dell'equilibrio, come pretenderebbero di fare le norme censurate, ad un lasso di tempo a tal punto dilatato, ne determinerebbe un suo significativo svuotamento consentendo un'ingiustificata espansione della capacita' di spesa corrente coeva ad una situazione di squilibrio strutturale, per la durata del piano di rientro. 5.2. E' stato inoltre sostenuto che il bilancio si configuri come un bene giuridico «pubblico» (Corte costituzionale, sentenze n. 184/2016, n. 228/2017 e n. 247/2017), costituzionalmente tutelato (articoli 81 e 97 della Costituzione), di cui occorre preservare effettivita' e funzionalita' tramite il suo equilibrio. Il precetto dell'equilibrio, infatti, presidia fondamentali valori costituzionali, espressi dagli articoli, 3, 2 e 1 della Costituzione, che del medesimo precetto costituiscono la ratio. Il rispetto tendenziale dell'equilibrio di bilancio con risorse effettive garantisce in effetti la concreta realizzazione delle politiche pubbliche democraticamente determinate, necessarie affinche' la Repubblica possa rimuovere «gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la liberta' e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana», realizzando l'uguaglianza sostanziale dei cittadini (art. 3, comma 2 della Costituzione: cfr. sentenze della Corte costituzionale n. 10/2016 e n. 70/2015). Tale uguaglianza, tra l'altro, proprio grazie allo strutturale carattere temporale del bilancio, deve realizzarsi anche in chiave trans-generazionale. Poiche' l'equilibrio «economico, finanziario e patrimoniale» deve essere realizzato «nel tempo» - attesa la gia' richiamata continuita' degli esercizi finanziari e del bilancio (cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 155/2015 cit.) - esso costituisce un dovere di «solidarieta' politica, economica e sociale» delle generazioni presenti con quelle future (art. 2 della Costituzione). D'altra parte, la questione della responsabilita' verso le generazioni future si inquadra nella necessita' di affermare una giustizia sociale che si dispiega in senso diacronico nella consapevolezza che il dettato costituzionale non puo' che contemplare una prospettiva anche intergenerazionale tendendo a perseguire il benessere collettivo presente senza detrimento per quello futuro. Le norme contestate consentono di contro di accedere ad una disciplina di ripiano che vanifica la dimensione temporale del bilancio e la necessita' che entro tale orizzonte questo sia ripristinato in equilibrio. 5.3. Il precetto di equilibrio, infine, riguardato sotto il profilo della «salvaguardia di bilancio», costituisce uno strumento di verifica e misurazione della responsabilita' dei soggetti investiti di cariche pubbliche: la violazione dell'equilibrio, infatti, attiva un sistema di responsabilita' giuridiche e politiche, attraverso cui il principio della legittimazione democratica delle istituzioni si rende effettivo (art. 1 della Costituzione). Come evidenziato dal Giudice delle leggi nella sentenza n. 228 del 2017, la disciplina di salvaguardia si pone come «strumentale all'effettivita' di adempimenti primari del mandato elettorale [e] indissolubilmente legata alla cura dei sottesi interessi finanziari. Tale disciplina si ricollega [...] a un'esigenza sistemica unitaria dell'ordinamento, secondo cui sia la mancata approvazione dei bilanci, sia l'incuria del loro squilibrio strutturale interrompono - in virtu' di una presunzione assoluta - il legame fiduciario che caratterizza il mandato elettorale e la rappresentanza democratica degli eletti». La contestata dilatazione temporale, quindi, «finisce inevitabilmente per pregiudicare il potere programmatorio di risanamento della situazione finanziaria ereditata dalle gestioni pregresse con violazione dell'art. 81, Cost., e impedisce di esercitare pienamente il mandato elettorale, confinando la posizione dei subentranti in una condizione di responsabilita' politica oggettiva, con pregiudizio dell'art. 1 Cost» (Corte costituzionale, sentenza n. 34 del 9 febbraio 2021). Allo stesso modo non consente agli amministratori eletti o eligendi di «presentarsi al giudizio degli elettori separando i risultati direttamente raggiunti dalle conseguenze imputabili alle gestioni pregresse. Lo stesso principio di rendicontazione, presupposto fondamentale del circuito democratico rappresentativo, ne risulta quindi gravemente compromesso. E' stato affermato da questa Corte che "[i]l carattere funzionale del bilancio preventivo e di quello successivo, alla cui mancata approvazione, non a caso, l'ordinamento collega il venir meno del consenso della rappresentanza democratica, [risiede essenzialmente nell'assicurare] ai membri della collettivita' la cognizione delle modalita' [di impiego delle risorse e i risultati conseguiti da chi e' titolare del mandato elettorale]"» (sentenze n. 184/2016 e n. 228/2017). 5.4. Ricostruita nei termini suesposti la regola, non puo' naturalmente sottacersi l'esistenza, nell'ordinamento finanziario-contabile degli enti territoriali, di deroghe al principio. In caso di crisi della finanza territoriale, ove «i disavanzi emersi non possano essere riassorbiti in un solo ciclo di bilancio», la Corte costituzionale ha ritenuto «inevitabili» «misure di piu' ampio respiro temporale. Cio' anche al fine di assicurare lo svolgimento delle funzioni della regione in ossequio al "principio di continuita' dei servizi di rilevanza sociale [affidati all'ente territoriale, che deve essere] salvaguardato"» (sentenza n. 10 del 2016)» (sentenza n. 107/2016). Ed anzi l'ordinamento giuscontabile degli enti territoriali conosce molteplici ipotesi di riequilibrio pluriennale dei deficit. A mero titolo esemplificativo, per gli enti locali, rispondono certamente alla logica della crisi della finanza territoriale le norme del piano di riequilibrio pluriennale (art. 243-bis e ss.) e del dissesto (art. 244 e ss. Tuel) che, in caso di crisi «strutturale» della finanza dell'ente locale, gia' definiscono piu' ampi orizzonti per il rientro da situazioni di squilibrio. La disciplina del ripiano trentennale prevista dal decreto legislativo n. 118 del 2011, poi, applicabile anche alle regioni, appare giustificata dal passaggio alla nuova disciplina contabile realizzatosi attraverso il «riaccertamento straordinario dei residui» e dal conseguente «disavanzo tecnico» di cui all'art. 3, comma 13 del decreto legislativo n. 118/2011, e/o dal «maggiore disavanzo», di cui all'art. 3, comma 16 del decreto legislativo n. 118/2011 (cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 107/2016). Le richiamate norme derogatorie, tuttavia, sono tutte il frutto di un bilanciamento secondo ragionevolezza con il precetto dell'equilibrio di bilancio. Con riferimento al riaccertamento straordinario dei residui la Corte costituzionale non ha escluso la possibilita' di un'eccezionale misura legislativa ampliativa dei tempi del recupero del maggior disavanzo in quanto giustificata dall'esigenza di far fronte, una tantum, alle conseguenze del passaggio al nuovo sistema contabile ed alle complesse operazioni di riaccertamento dei residui finalizzate a far emergere la reale situazione finanziaria degli enti e che hanno generato disavanzi non riassorbili in un solo ciclo di bilancio (Corte costituzionale, sentenza n. 107/2016). Ne' ignora il collegio l'ulteriore tesi che vorrebbe ricondurre anche la rateizzazione prevista dall'art. 9, comma 5 del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78 - ovvero dalla norma su cui si innesta la disciplina sospettata di incostituzionalita' - all'esigenza di fronteggiare i disavanzi antecedenti al 1° gennaio 2015 in quanto derivanti dall'introduzione della contabilita' armonizzata. Occorre tuttavia sottoporre ad un attento vaglio critico l'opzione interpretativa in parola per poi, in ogni caso, delineare le differenze, quali-quantitative, tra le disposizioni in questa sede sospettate di incostituzionalita' e quelle pregresse. Ad un piu' approfondito esame, infatti, la fase del passaggio alla nuova contabilita', plasticamente rappresentata dal riaccertamento straordinario dei residui, non si fa in alcun modo carico di porre rimedio ai deficit preesistenti, giacche' presuppone l'avvenuta approvazione del rendiconto 2014 che, seppur coeva al riaccertamento stesso, avviene in un momento logicamente antecedente. La finalita' dichiarata e', in effetti, quella di adeguare al principio generale della competenza finanziaria i residui attivi e passivi risultanti al 1° gennaio 2015 ovvero i residui «sopravvissuti» al riaccertamento ordinario strumentale all'approvazione del rendiconto 2014. L'interpretazione letterale delle norme in commento, in realta', impone di concludere che il disavanzo generato dal passaggio al nuovo sistema contabile, non a caso espressamente qualificato in termini di maggior disavanzo (rispetto a quello precedente eventualmente gia' accertato con l'approvazione consiliare del rendiconto 2014), sia solo quello generato dall'introduzione delle nuove regole contabili quali, a titolo esemplificativo, quelle che hanno introdotto il fondo crediti di dubbia esigibilita' o altri vincoli ed accantonamenti precedentemente non obbligatori che hanno ridotto la parte disponibile del risultato. Qualsiasi tentativo interpretativo difforme da quello letterale rischia di generare una non consentita sostituzione dell'interprete, operatore del diritto, al legislatore. D'altra parte la Corte costituzionale ha precisato come l'originario piano di rientro decennale previsto dal decreto-legge n. 78/2015, «proprio in quanto rivolt[o] ai disavanzi riferiti a passate gestioni ed accertati con riferimento agli esercizi antecedenti al 1° gennaio 2015, ha implicita valenza retroattiva, poiche' viene di fatto a colmare [in modo sostanzialmente coerente con la disposizione impugnata] l'assenza di previsioni specifiche che caratterizzava il contesto normativo nel quale si e' trovata ad operare la Regione [Molise] nel dicembre 2014» (Corte costituzionale, sentenza n. 107/2016). In altri termini, il Giudice delle leggi si e' limitato a chiarire - peraltro solo incidentalmente - che il piano di rientro decennale di cui all'art. 9, comma 5 del decreto-legge n. 78 del 2015 puo' essere considerato compatibile con l'attuale assetto costituzionale in ragione di situazioni di emergenza finanziaria generate dalle consolidate prassi patologiche di alcuni enti territoriali e che hanno portato all'accertamento di disavanzi antecedenti al 1° gennaio 2015. Puo' ragionevolmente concludersi, pertanto, che l'intervento del legislatore del 2015 sul recupero dei disavanzi ante armonizzazione, sia stato solo «occasionato» dall'introduzione della riforma ma certamente da esso non dipendente o ad esso funzionalmente collegato. La ratio ed al tempo stesso la compatibilita' costituzionale dell'art. 9, comma 5 del decreto-legge n. 78 del 2015 vanno quindi ricercate nell'esigenza che i disavanzi pregressi, per via della loro consistenza quantitativa, non potendo essere riassorbiti in un solo ciclo di bilancio richiedevano inevitabilmente misure di piu' ampio respiro temporale e come tali, necessariamente una tantum. La Corte costituzionale in altri termini ha ritenuto conforme a Costituzione l' intervento de quo in quanto presentava i caratteri dell'eccezionalita' e, soprattutto della «definitivita'» nel senso della idoneita' a porre rimedio una volta per tutte ed in modo risolutivo, agli squilibri finanziari emersi. La norma statale in questa sede contestata di contro, oltre alla rilevante ulteriore estensione temporale da dieci a venti anni del piano di rientro dal deficit 2014, estende la dilazione ventennale del recupero del disavanzo anche a quello rinveniente dalla gestione 2015, ovvero ad un esercizio in cui tra l'altro la contabilita' armonizzata, ampiamente conosciuta in quanto emanata gia' nel 2011, aveva trovato compiuta applicazione. In definitiva, trascorsi meno di due anni dal precedente intervento ritenuto legittimo perche' «eccezionale», il legislatore, e' tornato nuovamente ad allentare le maglie gia' larghe dei piani di rientro. E cio', non solo attraverso un considerevole aumento dell'orizzonte temporale per il rientro dal deficit 2014 che passa da dieci a venti anni, ma soprattutto attraverso l'estensione di tale possibilita' anche al deficit al 31 dicembre 2015 non interessato dal processo di riaccertamento straordinario dei residui che ha traghettato le amministrazioni verso la contabilita' armonizzata. L'intervento legislativo in commento pertanto contraddice il principio della eccezionalita' delle misure derogatorie dell'obbligo di copertura delle spese e dell'equilibrio di bilancio cristallizzato, per la finanza regionale, nell'art. 42, comma 12 del decreto legislativo n. 118 del 2011. A titolo meramente esemplificativo e' sufficiente richiamare l'arresto della Corte costituzionale che, nel riferirsi al piano di rientro trentennale previsto dall'art. 3, comma 16 del citato decreto, infatti, aveva espressamente chiarito che «L'eccezionale ipotesi legislativa era sorretta dal convincimento che in sede di riaccertamento straordinario sarebbero emersi, una volta per tutte, i consistenti disavanzi reali, cui si sarebbe posto rimedio, in via definitiva, con un rientro pluriennale». Al contrario, la norma censurata ammette, con un intervento del tutto asistematico, un'ulteriore duplice possibilita' di ampliamento dei tempi del rientro, cosi' ingenerando l'affidamento che le misure adottate possano assumere carattere ordinario anziche' eccezionale ed isolato. In definitiva, ritiene il collegio che «non possa disconoscersi la problematicita' delle richiamate normative continuamente mutevoli come quelle precedentemente evidenziate, le quali prescrivono il riassorbimento dei disavanzi in archi temporali molto vasti, ben oltre il ciclo di bilancio ordinario, con possibili ricadute negative anche in termini di equita' intergenerazionale» (sentenze n. 279/2016, n. 6/2017, n. 107/2016, n. 274/2017 e n. 18/2019 della Corte costituzionale). In conclusione, l'ulteriore estensione temporale prevista dai commi 779 e ss. dell'art. 1 della legge n. 205 del 2017, in assenza di interessi costituzionalmente rilevanti legati a situazioni eccezionali e/o emergenziali che ne giustifichino l'adozione, appare integrare proprio la fattispecie da ultimo stigmatizzata dalla Corte costituzionale e come tale si rivela incompatibile con l'attuale assetto costituzionale, salvo a generare una indiscriminata deresponsabilizzazione delle gestioni pubbliche contraria ai precetti costituzionali innanzi richiamati. 5.5. In effetti, al di fuori di un contesto giustificativo compatibile con i precetti costituzionali sopra richiamati, la copertura di disavanzi con regole straordinarie quanto ai tempi di rientro «diventerebbe un veicolo per un indebito allargamento - in contrasto con l'art. 81 Cost - della spesa di enti gia' gravati dal ripiano pluriennale di disavanzi di amministrazione pregressi» (sentenza n. 279/2016). Dalla ricognizione delle norme che disciplinano i disavanzi ordinari degli enti territoriali (art. 9, comma 2 della legge 24 dicembre 2012, n. 243; art. 42 del decreto legislativo n. 118 del 2011; l'art. 188 del decreto legislativo n. 267 del 2000), infatti puo' estrarsi un principio generale, consustanziale all' ordinamento finanziario-contabile, secondo cui in via gradata e' necessaria: «a) l'immediata copertura del deficit entro l'anno successivo al suo formarsi; b) il rientro entro il triennio successivo (in chiaro collegamento con la programmazione triennale) all'esercizio in cui il disavanzo viene alla luce; c) il rientro in un tempo comunque anteriore alla scadenza del mandato elettorale nel corso del quale tale disavanzo si e' verificato. In sostanza, la fattispecie legale di base stabilisce che: a) al deficit si deve porre rimedio subito per evitare che eventuali squilibri strutturali finiscano per sommarsi nel tempo producendo l'inevitabile dissesto; b) la sua rimozione non puo' comunque superare il tempo della programmazione triennale e quello della scadenza del mandato elettorale, affinche' gli amministratori possano presentarsi in modo trasparente al giudizio dell'elettorato al termine del loro mandato, senza lasciare "eredita'" finanziariamente onerose e indefinite ai loro successori e ai futuri amministrati; c) l'istruttoria relativa alle ipotesi di risanamento deve essere congrua e coerente sotto il profilo storico, economico e giuridico» (Corte costituzionale, sentenza n. 18/2019). La compatibilita' delle norme censurate, dunque, dipende dalla ragionevolezza del bilanciamento tra l'esigenza di assicurare il riequilibrio entro l'orizzonte temporale del bilancio e gli interessi costituzionalmente rilevanti di volta in volta sottostanti all'esigenza di dilatazione temporale dei tempi di recupero degli squilibri. Tale ragionevolezza non sussiste, ad avviso della Sezione, in relazione ai tempi di ripiano dei disavanzi previsti dalle norme qui contestate. Cio' in quanto il deficit, ed anzi i deficit, oggetto del piu' ampio lasso temporale previsto per il loro ripiano, sono disavanzi «ordinari», determinati da mera inadeguatezza di risorse disponibili rispetto alla spesa contratta che l'ente e' obbligato a colmare. Si tratta, a ben vedere, di deficit generati da ripetute violazioni delle norme e principi consustanziali alla sana gestione finanziaria, sia precedenti (per il deficit al 31 dicembre 2014) che successive (per il deficit al 31 dicembre 2015) al passaggio alla nuova contabilita' armonizzata, e che presiedono tutte le fasi del ciclo del bilancio: attendibilita' delle previsioni di entrata e congruita' degli stanziamenti di spesa nel rispetto del principio autorizzatorio, salvaguardia degli equilibri nel corso della gestione, rendicontazione veritiera e trasparente. La facolta' prevista dalle norme sospettate di incostituzionalita', in definitiva, non appare rispondere a nessuna esigenza sistemica della finanza pubblica, quanto piuttosto a quelle contingenti di taluni enti di accedere ad un minore rigore finanziario. In conclusione, al di fuori di un contesto giustificativo compatibile con i precetti costituzionali sopra richiamati, la copertura di disavanzi con regole straordinarie quanto ai tempi di rientro «diventerebbe un veicolo per un indebito allargamento - in contrasto con l'art. 81 Cost. - della spesa di enti gia' gravati dal ripiano pluriennale di disavanzi di amministrazione pregressi (in tal senso, Corte cost. sentenza n. 279/2016). In quanto eccezione al principio generale dell'equilibrio del bilancio infatti, la disciplina straordinaria per il ripiano di tali disavanzi e' comunque di stretta interpretazione e deve essere circoscritta alla sola irripetibile ipotesi normativa del riaccertamento straordinario dei residui nell'ambito della prima applicazione del principio della competenza finanziaria potenziata, in ragione delle particolari contingenze che hanno caratterizzato la situazione di alcuni enti territoriali» (Corte costituzionale, sentenza n. 6/2017). 5.6. Appaiono pertanto pienamente sovrapponili al caso di specie le considerazioni di recente espresse dalla Corte costituzionale secondo cui, «la lunghissima dilazione temporale finisce per confliggere anche con elementari principi di equita' intergenerazionale, atteso che sugli amministrati futuri verranno a gravare sia risalenti e importanti quote di deficit, sia la restituzione dei prestiti autorizzati nel corso della procedura di rientro dalla norma impugnata. Cio' senza contare gli ulteriori disavanzi che potrebbero maturare negli esercizi intermedi, i quali sarebbero difficilmente separabili e imputabili ai sopravvenuti responsabili [omissis]. Al contrario, [le norme censurate tracciano] uno scenario incognito e imprevedibile che consente di perpetuare proprio quella situazione di disavanzo che l'ordinamento nazionale e quello europeo percepiscono come intollerabile» (sentenza n. 18/2019). L'incremento del deficit strutturale e dell'indebitamento per la spesa corrente ha gia' indotto la Corte costituzionale a formulare chiari ammonimenti circa l'impraticabilita' di soluzioni che trasformino il rientro dal deficit e dal debito in una deroga permanente e progressiva al principio dell'equilibrio del bilancio: «La tendenza a perpetuare il deficit strutturale nel tempo, attraverso uno stillicidio normativo di rinvii, finisce per paralizzare qualsiasi ragionevole progetto di risanamento, in tal modo entrando in collisione sia con il principio di equita' intragenerazionale che intergenerazionale. Quanto al primo, e' stata gia' sottolineata da questa Corte la pericolosita' dell'impatto macroeconomico di misure che determinano uno squilibrio nei conti della finanza pubblica allargata e la conseguente necessita' di manovre finanziarie restrittive che possono gravare piu' pesantemente sulle fasce deboli della popolazione (sentenza n. 10 del 2015). Cio' senza contare che il succedersi di norme che diluiscono nel tempo obbligazioni passive e risanamento sospingono inevitabilmente le scelte degli amministratori verso politiche di "corto respiro", del tutto subordinate alle contingenti disponibilita' di cassa. L'equita' intergenerazionale comporta, altresi', la necessita' di non gravare in modo sproporzionato sulle opportunita' di crescita delle generazioni future, garantendo loro risorse sufficienti per un equilibrato sviluppo. E' evidente che, nel caso della norma in esame, l'indebitamento e il deficit strutturale operano simbioticamente a favore di un pernicioso allargamento della spesa corrente. E, d'altronde, la regola aurea contenuta nell'art. 119, sesto comma, Cost. dimostra come l'indebitamente debba essere finalizzato e riservato unicamente agli investimenti in modo da determinare un tendenziale equilibrio tra la dimensione dei suoi costi e i benefici recati nel tempo alle collettivita' amministrate [omissis]. Il perpetuarsi di sanatorie e situazioni interlocutorie, oltre che entrare in contrasto con i precetti finanziari della Costituzione, disincentiva il buon andamento dei servizi e non incoraggia le buone pratiche di quelle amministrazioni che si ispirano a un'oculata e proficua spendita delle risorse della collettivita'» (Corte costituzionale, sentenza n. 18/2019). Gli stessi principi sono stati poi ulteriormente riaffermati dalla Corte costituzionale con le sentenze n. 4/2020 e n. 115/2020. Con la prima, e' stato ribadito che «i deficit causati da inappropriate gestioni devono essere recuperati in tempi ragionevoli e nel rispetto del principio di responsabilita', secondo cui ciascun amministratore democraticamente eletto deve rispondere del proprio operato agli amministrati». Con la seconda e' stato confermato che l'illegittimita' dell'art. 1, comma 714 della legge n. 208 del 2015, riconosciuta con la precedente sentenza n. 18 del 2019, non fosse dipesa dall'intrinseca durata del piano di riequilibrio quanto piuttosto dai meccanismi contabili previsti dalla disposizione viziata che consentivano di destinare, per un trentennio, in ciascun esercizio relativo a tale periodo, alla spesa di parte corrente somme vincolate al rientro dal disavanzo. Ebbene, proprio come nel caso dei due precedenti esaminati dalla Corte costituzionale, anche nella fattispecie, il prolungamento del piano di recupero del deficit 2014 e di quello del 2015, integra proprio quel meccanismo di manipolazione del disavanzo complessivo che consente di sottostimare l'accantonamento annuale finalizzato al risanamento e, conseguentemente, di peggiorare, anziche' migliorare, nel tempo del preteso riequilibrio, il risultato di amministrazione. Tale meccanismo manipolativo permette, tra l'altro, una dilatazione della spesa corrente - pari alla differenza tra la giusta rata e quella sottostimata - che finisce per incrementare progressivamente l'entita' del disavanzo effettivo. Anche nel caso delle disposizioni in esame, il descritto meccanismo di manipolazione si realizza attraverso la strumentale tenuta di piu' disavanzi, ovvero quello rinveniente dal 2014 e quello ascrivibile al 2015 che si assommano a quello ordinario ex art. 42, comma 12 del decreto legislativo n. 118 del 2011 ed a quello afferente alla rateizzazione del rimborso delle anticipazioni necessarie a fronteggiare il ritardo nei pagamenti delle amministrazioni pubbliche previste dal decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35, convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1 della legge 6 giugno 2013, n. 64. Le norme contestate in ultima analisi, «autorizzano a tenere separati disavanzi di amministrazione ai fini del risanamento e a ricalcolare la quota di accantonamento indipendentemente dall'entita' complessiva del deficit. E' fuor di dubbio che ogni bilancio consuntivo puo' avere un solo risultato di amministrazione, il quale deriva dalla sommatoria delle situazioni giuridiche e contabili degli esercizi precedenti fino a determinare un esito che puo' essere positivo o negativo. Consentire di avere piu' disavanzi significa, in pratica, permettere di tenere piu' bilanci consuntivi in perdita» (Corte costituzionale, sentenza n. 115/2020). «E' evidente» - prosegue la sentenza n. 115/2020 - «che consentire per un trentennio - ma il principio vale per qualsiasi deroga all'immediato rientro che consenta di allargare l'entita' del disavanzo anziche' ridurlo - all'ente territoriale di "vivere ultra vires" comporta l'aggravio del deficit strutturale, anziche' il suo risanamento. Cio' e' tanto vero che la regola fisiologica del rientro dal disavanzo e' quella del rientro annuale, al massimo triennale e comunque non superiore allo scadere del mandato elettorale (art 42, comma 12, del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, recante "Disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei loro organismi, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 5 maggio 2009, n. 42", e art. 188 del d.lgs. n. 267 del 2000)». 5.7. Ne' si puo' ritenere che tale ampliamento sia giustificato o giustificabile per l'esigenza di evitare il default delle regioni caratterizzate da maggiore difficolta' economica. Vero e', al contrario, che spetta al legislatore trovare soluzioni, nell'alveo dei vigenti principi costituzionali, alle situazioni di crisi finanziarie degli enti territoriali, ammesso che quelle su cui le norme sospettate di incostituzionalita' incidono siano effettivamente tali. Di fronte all'impossibilita' di risanare strutturalmente l'ente in disavanzo, non possono essere procrastinati in modo irragionevole uno o piu' piani di rientro, dovendosi necessariamente porre una cesura con il passato cosi' da consentire ai nuovi amministratori di svolgere il loro mandato senza gravose eredita'. «Diverse soluzioni possono essere adottate per assicurare tale discontinuita', e siffatte scelte spettano, ovviamente, al legislatore» (Corte costituzionale, sentenza n. 18/2019). Ne consegue che, escludendo i disavanzi ascrivibili alle patologie organizzative, quelli strutturali imputabili alle caratteristiche socioeconomiche della collettivita' e del territorio, meritano l'intervento diretto dello Stato attraverso l'attivazione dei meccanismi di solidarieta' previsti dal terzo, quarto e quinto comma dell'art. 119 della Costituzione. «Il quadro costituzionale e normativo vigente avrebbe consentito - e consente - di affrontare le situazioni patologiche in modo piu' appropriato di quel che e' avvenuto negli esercizi piu' recenti». «Quando le risorse proprie non consentono ai comuni, alle province, alle citta' metropolitane e alle regioni di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite deve essere lo Stato ad intervenire con apposito fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacita' fiscale per abitante e con ulteriori risorse aggiuntive ai fini di promozione dello sviluppo economico, della coesione e della solidarieta' sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni (art. 119, terzo, quarto e quinto comma, Cost.). Le risorse necessariamente stanziate per tali finalita' - proprio in virtu' dei superiori precetti costituzionali - devono essere prioritariamente destinate dallo Stato alle situazioni di accertato squilibrio strutturale dei bilanci degli [territoriali]» (Corte costituzionale n. 4/2020). Il legislatore ha d'altra parte mostrato di adeguarsi al principio in commento con l'emanazione dell'art. 53, comma 1 del decreto-legge del l4 agosto 2020, n. 104, con cui, in attuazione della sentenza n. 115 del 2020 della Corte costituzionale, e' stata prevista l'istituzione di un fondo per favorire il risanamento finanziario dei comuni il cui deficit strutturale e' imputabile a caratteristiche socioeconomiche della collettivita' e del territorio e non a patologie organizzative in luogo delle ordinarie e spesso inefficaci modalita' di gestione del percorso di risanamento degli enti in riequilibrio. Conclusivamente, assodato che gli squilibri ascrivibili a inefficienze organizzative debbano trovare rimedio secondo le ordinarie modalita' di recupero previste dall'ordinamento contabile, anche nell'ipotesi in cui si dovesse ritenere che le norme contestate siano intervenute su situazioni di squilibrio strutturale imputabili alle caratteristiche socioeconomiche della collettivita' e del territorio, l'intervento diretto dello Stato avrebbe dovuto concretizzarsi con l'attivazione dei meccanismi di solidarieta' previsti dal terzo, quarto e quinto comma dell'art. 119 della Costituzione. 5.8. In conclusione, la disciplina introdotta dall'art. 1, commi 779, 780, 781 e 782 della legge n. 208/2017 e dall'art. 8, comma 1, lettera a) della legge della Regione Abruzzo n. 2/2019 non ha altra finalita' e giustificazione se non quella di consentire di spalmare disavanzi ordinari e rinvenienti da due esercizi finanziari (il 2014 ed il 2015) in un orizzonte temporale di venti anni. Ad avviso della Sezione cio' risulta incompatibile con una gestione di bilancio equilibrata, in quanto ha l'esclusivo scopo di spostare su generazioni successive il peso finanziario di gestioni prive di coperture, in danno del principio di cui agli articoli 97, 119, 81, 3, 2 e 1 della Costituzione, sottraendo gli amministratori al vaglio della loro responsabilita' politica e amministrativa. 6. Art. 1, commi 779, 780, 781 e 782 della legge 27 dicembre 2017, n. 205 ed art. 8 comma 1, lettera a) e lettera c) della legge della Regione Abruzzo 31 gennaio 2019, n. 2 - Violazione del precetto dell'equilibrio di bilancio ai sensi del combinato disposto degli articoli 97, 81 e 41 della Costituzione e degli articoli 3 e 117, comma 1 della Costituzione, in relazione al parametro interposto dell'art. 1, Protocollo 1 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali 6.1. La Sezione ravvisa altresi', a carico delle richiamate disposizioni, la violazione del precetto dell'equilibrio di bilancio ai sensi del combinato disposto degli articoli 97, 81, 41 della Costituzione. Si ravvisano nell'ordinamento, in effetti, una serie di interessi finanziari adespoti, costituzionalmente rilevanti, ascrivibili a tutti coloro che, a vario titolo, entrano in potenziale contatto col bilancio, ed in particolare a coloro che con la pubblica amministrazione hanno relazioni di mercato. Invero, l'eccessivo protrarsi dei tempi di perfezionamento e di definitivo assetto del ripiano dei deficit, favorito da continui interventi normativi di dubbia razionalita' e coerenza, possono innescare ulteriori ritardi nei pagamenti e la crisi delle imprese che hanno fornito alla pubblica amministrazione beni e servizi. La dilatazione temporale del ripiano del disavanzo determina in effetti una proporzionale espansione della capacita' di spesa corrente coeva al prolungato permanere dello squilibrio, con cio' assurgendo a prerequisito di ulteriori crisi di liquidita'. Sotto questo aspetto, pertanto, le censurate disposizioni, non tenendo in alcuna considerazione gli interessi dei creditori, oltre che irragionevoli, si appalesano contradditorie rispetto ad innumerevoli ulteriori interventi legislativi volti invece al soddisfacimento proprio di quegli interessi. Ci si riferisce alle ripetute «iniezioni» di liquidita' poste in essere a partire dal decreto-legge n. 35 del 2013 che, per far fronte ai pagamenti dei debiti certi liquidi ed esigibili ovvero dei debiti per i quali sia stata emessa fattura o richiesta equivalente di pagamento maturati a causa di carenza di liquidita', hanno consentito la richiesta al Ministero dell'economia e delle finanze dell'anticipazione di somme da destinare ai predetti pagamenti. Parallelamente, la mancata previsione, quale precondizione per l'esercizio della facolta' di rimodulazione del piano, del rispetto dei «tempi medi di pagamento», pone i presupposti per un loro inesorabile deterioramento. Infatti, l'ampliamento della capacita' di spesa da un lato consente di aggirare l'obbligo di reperire la reale copertura dei debiti gia' esigibili, per altro verso getta le premesse di una inevitabile crisi di cassa che nel tempo e' destinata a scaricarsi, in termini di costi, sulla collettivita' degli utenti dei servizi ed in particolare sulle imprese gia' creditrici di un'amministrazione inadempiente in quanto gia' in condizione di squilibrio. In ultima analisi, si pregiudica la capacita' dell'ente di rispondere alle ragioni dei creditori autorizzando l'amministrazione, attraverso l'ampliamento della capacita' di spesa, ad assumere ulteriori impegni ancor prima di aver soddisfatto, in tempi ragionevoli, quelli gia' contratti. 6.2. In secondo luogo, le disposizioni di legge statali oggetto della rimessione, cui quella regionale si adegua, inserendosi in una produzione legislativa di continua concessione di facolta' di rimodulazione dei recuperi dei deficit pregressi, determina incertezza sulla misura del disavanzo annuale oggetto del ripiano (l'obbiettivo intermedio) e sulla disciplina giuridica applicabile, ponendosi cosi' in contrasto sia con l'art. 3 della Costituzione, su cui si fonda l'esigenza di un diritto «certo», che con l'art. 117, comma 1 della Costituzione, per violazione dei parametri interposti dell'art. 1, Protocollo 1 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (diritto al rispetto della proprieta', tra cui rientra anche la tutela dei diritti di credito). Basti pensare che la prima deroga al principio generale posto in tema di riequilibrio della finanza regionale scolpito nel richiamato comma 12 dell'art. 42 del decreto legislativo n. 118/2011, risale al 2015 con l'emanazione del decreto-legge n. 78/2015 che, in base al comma 5 dell'art. 9, consentiva il recupero del deficit al 31 dicembre 2014 in sette annualita'. Successivamente, a seguito delle modifiche apportate dalla legge di conversione 6 agosto 2015, n. 125 e dall'art. 1, comma 691 della legge 28 dicembre 2015, n. 208, a decorrere dal 1° gennaio 2016, l'orizzonte temporale del recupero e' stato ampliato a dieci annualita'. Infine, con le norme ora contestate il tempo massimo per il recupero del disavanzo al 31 dicembre 2014 e' stato ulteriormente prolungato fino a giungere al ventennio e, parallelamente, la medesima possibilita' (di recupero ventennale) e' stata estesa anche all'ulteriore disavanzo generatosi nel corso del 2015. Nel dipanarsi dei predetti inorganici ed asistematici interventi normativi, si ravvisa pertanto una palese violazione del principio della certezza del diritto inteso come possibilita' di stabilire in maniera ragionevolmente attendibile le conseguenze giuridiche di determinati atti o fatti. A ben vedere infatti, le disposizioni contestate incidono su una normativa gia' derogatoria rispetto al principio base ampliando, per la terza volta consecutiva nel corso di un biennio, l'orizzonte temporale del ripiano di deficit effettivi rinvenienti dagli esercizi 2014 e 2015. Le norme contestate pertanto concorrono a deframmentare l'indefettibile criterio alla luce del quale sia possibile effettuare valutazioni ragionevolmente attendibili sulle conseguenze giuridiche di determinati atti o fatti e che, come tale, presiede al funzionamento dell'intero ordinamento giuridico, in quanto funzionale alla realizzazione di tutti gli altri valori perseguiti dall'ordinamento quali la tutela dell'autonomia individuale, la sicurezza dei traffici, l'uguaglianza, ponendosi, invece, a premio di chi la legge abbia violato, ed addirittura costituendo un disincentivo, per il futuro, alla sua osservanza. La violazione dei principi generali della certezza del diritto, del legittimo affidamento e della giustizia effettiva determina, a sua volta, la conseguente prevaricazione dei diritti dei creditori in nome di asserite esigenze di bilancio. In altri termini la soddisfazione delle pretese di tali terzi viene esposta ad un sacrificio temporalmente indeterminato, a causa del continuo dubbio e dell'incertezza sul regime di riequilibrio applicabile. In modo siffatto, dunque, il legislatore priva continuamente di stabilita' la legge, impedendo che si costituisca il presupposto per la soddisfazione effettiva delle ragioni di terzi (in particolare dei creditori), oltre che l'interesse dei cittadini destinatari di servizi pubblici ad un utilizzo razionale ed efficiente delle risorse, vale a dire ad un bilancio riequilibrato. 6.3. Non va da ultimo tralasciata la circostanza che le censurate norme, nell'introdurre l'estensione temporale del piano di rientro in essere e, soprattutto, nell'estendere la facolta' in questione anche a disavanzi rinvenienti dall'esercizio 2015, oltre che da quelli al 31 dicembre 2014, comporta la necessita' di un'ulteriore scomposizione del disavanzo complessivo con conseguente necessita' di individuazione delle sue aumentate quanto molteplici componenti, in relazione alle quali occorre valutare l'andamento del relativo piano rientro. Il che appare in contrasto con i principi di chiarezza e trasparenza che devono ispirare la redazione dei documenti contabili. Le informazioni contenute nei bilanci, infatti, devono essere comprensibili dagli utilizzatori e devono essere esposte in maniera sintetica e analitica, in modo da rendere possibile l'esame dei dati contabili e un'adeguata rappresentazione dell'attivita' svolta. Le norme contestate a ben vedere hanno introdotto un ulteriore elemento di complessita' nella scomposizione del disavanzo nelle sue varie componenti. Accanto al passivo generato: dall'accertamento straordinario dei residui ex art. 3, comma 16 del decreto legislativo n. 118 del 2011; e/o dal disavanzo tecnico ex art. 3, comma 13 del decreto legislativo n. 118 del 2011; e/o dal disavanzo da costituzione del fondo anticipazioni di liquidita' ex decreto-legge n. 35 del 2013; e/o dal disavanzo al 31 dicembre 2014 di cui all'art. 9, comma 5 del decreto-legge n. 78 del 2015; e/o dal debito autorizzato e non contratto; e/o, in via residuale, accanto al disavanzo ordinario; e' stata infatti inserita un'ulteriore voce di deficit, quello ascrivibile alla gestione 2015, a sua volta «beneficiato» da tempi e modi di ripiano difformi rispetto ai precedenti. Tale scenario mina alla radice la certezza del diritto e la veridicita' dei conti, nonche' il principio di chiarezza e univocita' delle risultanze di amministrazione piu' volte enunciato dalla Corte costituzionale (ex plurimis, sentenza n. 274/2017). D'altra parte, come recentemente ricordato dalla Corte costituzionale, «E' fuor di dubbio che ogni bilancio consuntivo puo' avere un solo risultato di amministrazione, il quale deriva dalla sommatoria delle situazioni giuridiche e contabili degli esercizi precedenti fino a determinare un esito che puo' essere positivo o negativo. Consentire di avere piu' disavanzi significa, in pratica, permettere di tenere piu' bilanci consuntivi in perdita» (sentenza n. 115/2020). 7. Contraddittorieta' ed inadeguatezza delle condizioni previste per accedere al prolungamento dei tempi di ripiano rispetto alla clausola generale degli equilibri di bilancio Occorre a questo punto valutare se, ed eventualmente in che misura, le condizioni imposte dalla normativa sospettata di incostituzionalita' per accedere al prolungamento dei tempi di ripiano possano essere tali da controbilanciare e/o giustificare gli evidenziati profili di incompatibilita' con la clausola generale degli equilibri di bilancio. Il comma 779, in particolare, condiziona l'accesso alla dilatazione temporale del piano alla «riqualificazione» della spesa attraverso il progressivo incremento degli investimenti. Il comma 780, tuttavia, nel dettagliare tale obiettivo, lo declina in termini di «incremento» dei pagamenti complessivi per investimenti in misura non inferiore al valore dei medesimi pagamenti per l'anno 2017. E' infatti espressamente previsto che: «Le regioni di cui al comma 779, per gli anni dal 2018 al 2026, incrementano i pagamenti complessivi per investimenti in misura non inferiore al valore dei medesimi pagamenti per l'anno 2017 rideterminato annualmente applicando all'anno base 2017 la percentuale del 2 per cento per l'anno 2018, del 2,5 per cento per l'anno 2019, del 3 per cento per l'anno 2020 e del 4 per cento per ciascuno degli anni dal 2021 al 2026. Ai fini di cui al primo periodo, non rilevano gli investimenti aggiuntivi di cui all'articolo 1, commi 140-bis e 495-bis, della legge 11 dicembre 2016, n. 232, e, per il solo calcolo relativo all'anno 2018, i pagamenti complessivi per investimenti relativi all'anno 2017 da prendere a riferimento possono essere desunti anche dal preconsuntivo». 7.1. Risulta quindi evidente come la cosiddetta «riqualificazione» della spesa in termini di spesa per investimenti, sia considerata dal legislatore un contrappeso per l'accesso all'estensione temporale del piano di rientro. Ebbene, occorre in primo luogo evidenziare la contraddittorieta' intrinseca intercorrente tra le disposizioni in esame, per poi riconsiderare in termini critici la correttezza del concetto di «riqualificazione» attribuito dal legislatore alla fattispecie concretamente regolamentata. Sotto il primo profilo e' evidente come il comma 779, che delinea l'obiettivo da perseguire, prenda in considerazione la «riqualificazione», mentre il successivo comma 780, che di contro disciplina il meccanismo operativo per il perseguimento del medesimo obiettivo, la traduca in un mero «incremento», peraltro esclusivamente in termini di cassa. Si tratta di concetti ontologicamente differenti. La riqualificazione presuppone infatti l'acquisizione di caratteristiche qualitativamente migliori di un determinato aggregato. Riferita alla spesa, nell'ottica del legislatore, non potrebbe che concretizzarsi in una progressiva sostituzione di quella corrente con quella di investimento. Il che naturalmente presupporrebbe l'individuazione di sistemi di valutazione e/o parametri idonei a misurare l'andamento del processo attraverso, ad esempio, la fissazione di rapporti percentuali tra le due componenti e/o massimali complessivi di spesa. L'incremento, di contro, e' un concetto meramente quantitativo. Le contestate disposizioni lo riferiscono alla sola spesa per investimenti e non tengono conto dell'andamento di quella corrente. La normativa in esame, pertanto, in contrasto con le sue stesse dichiarate finalita', non integra una reale riqualificazione della spesa per investimenti a discapito di quella corrente, circostanza questa che a ben vedere avrebbe potuto costituire uno sforzo virtuoso delle amministrazioni interessate a fronte della recuperata capacita' di spesa corrente, ma impone esclusivamente un incremento di spesa per investimenti, peraltro solo in termini di cassa. Si individua cioe', come contrappeso per la dilatazione temporale del rientro dal deficit, un mero aumento di spesa, nell'ambito di una situazione di squilibrio finanziario certificata. In buona sostanza, si prolunga puramente e semplicemente l'orizzonte temporale del recupero del disavanzo non solo senza l'imposizione di misure volte a stimolare comportamenti virtuosi in termini di reale riqualificazione della spesa, ma addirittura accostando il beneficio in parola all'imposizione di ulteriori aumenti di spesa per investimenti rispetto a quelle, della stessa natura, sostenute in esercizi precedenti; cio', come se le spese in conto capitale fossero altro rispetto al principio dell'equilibrio di bilancio. Invero, non v'e' chi non veda, come l'art. 81 della Costituzione tuteli gli equilibri di bilancio nel loro complesso; ne' la norma in commento ammette o giustifica in alcun modo uno squilibrio di parte capitale. Di contro l'ordinamento finanziario-contabile consente il ricorso all'indebitamento proprio per preservare gli equilibri di parte capitale (di cui le spese per investimento fanno parte) attraverso l'accertamento della correlativa entrata. Al contempo, la dilatazione temporale del rientro dal deficit e la conseguente riduzione della quota di ammortamento da imputare alla spesa di competenza di tutti gli esercizi dei nuovi piani di rientro, comportano un'inesorabile espansione, piu' che proporzionale, anche della spesa corrente per via della recuperata capacita' di spesa derivante dal prolungamento del piano di rientro. In conclusione, il richiesto incremento dei pagamenti per spese di investimento, lungi dal rappresentare un efficace contrappeso a fronte della evidenziata deroga ai principi di equilibrio e di copertura delle spese, risulta del tutto inconferente e contraddittorio rispetto all'obiettivo dichiarato della riqualificazione. Si assiste in definitiva ad una reale eterogenesi dei fini dichiarati. Prendendo le mosse da una situazione finanziaria in squilibrio, si individua il contrappeso delle previste misure di favore in un mero aumento di tutte le componenti di spesa: di quelle per investimento come conseguenza diretta del comma 780; di quelle correnti come conseguenza indiretta della recuperata capacita' di spesa derivante dall'applicazione del comma 779. 7.2. Ne' puo' essere tralasciata la circostanza che il richiesto incremento debba essere valutato esclusivamente in termini di cassa facendo riferimento ai soli pagamenti. Ancora una volta la misura richiesta si appalesa inefficace rispetto all'obiettivo di stimolare azioni virtuose in capo agli enti beneficiari dell'estensione temporale dei piani di rientro. A ben vedere in effetti, specie nel breve/medio periodo, il richiesto obiettivo di incremento puo' essere agevolmente perseguito semplicemente attingendo dal fondo cassa per «finanziare» pagamenti da residui cioe' per dar seguito ad obbligazioni passive registrate in esercizi precedenti l'introduzione della norma contestata o, addirittura, con la reiscrizione (e il pagamento) di risorse gia' acquisite al bilancio e confluite nell'avanzo di amministrazione vincolato, vanificando completamente la finalita' di riqualificazione della spesa dichiarata dal legislatore. Cio' e' tanto piu' vero ove si consideri che la capienza della cassa, nella finanza delle regioni, puo' comunemente dipendere da fattori estranei al reale stato di salute dell'amministrazione in termini di sana ed equilibrata gestione finanziaria ed al conseguente buon andamento della riscossione rispetto ai pagamenti. Ci si riferisce, a titolo meramente esemplificativo, alla possibilita' di accedere alle iniezioni di liquidita' di cui al decreto-legge n. 35 del 2013 ovvero alla consistenza dei trasferimenti nazionali e comunitari ed alla conseguente rilevanza della cassa sostanzialmente vincolata ovvero ancora della cassa sanitaria. Una reale riqualificazione della spesa, diversamente, avrebbe richiesto azioni di stimolo incidenti sulla gestione di competenza di tutti gli esercizi presi in considerazione dal prolungamento del piano di rientro attraverso l'imposizione di progressive politiche di sviluppo in termini di aumento degli impegni di spesa di investimento. 7.3. Il meccanismo dei contrappesi ideato dal legislatore risulta affetto da irragionevolezza anche in base ad ulteriori considerazioni. La eterogeneita' degli aggregati di spesa posti in correlazione (competenza in conto corrente in relazione alla contrazione della rata annuale da stanziare per il recupero dei deficit; cassa in conto capitale per l'incremento degli investimenti) infatti, non consente di valutare l'efficacia del meccanismo che assicurerebbe la riqualificazione, neanche nel lungo periodo. Occorre in effetti spazzare il campo dall'equivoco di paragonare i due aggregati per sostenere che un incremento della spesa per investimenti, vigente il principio dell'equilibrio di bilancio, e quindi a parita' di entrate, non potrebbe che determinare una riduzione della spesa corrente e quindi una sua implicita riqualificazione. L'assunto appare non condivisibile per un duplice ordine di motivi. Innanzitutto, in quanto, come detto, si pretende di attribuire rilievo alla somma algebrica tra l'aumento dei pagamenti per investimenti, che sono considerati per cassa, e la riduzione della spesa corrente, che opera invece, in termini di competenza. Qualsiasi argomento volto a dimostrare la coerenza del meccanismo in parola si scontra inesorabilmente con questa dirimente eccezione. In secondo luogo, occorre considerare che la rata di ammortamento a titolo di recupero del deficit ha natura di spesa corrente; ne consegue che all'intero di quest'ultimo aggregato (spesa corrente), la componente che per effetto delle contestate disposizioni diminuisce, e' certamente quella stanziata per il recupero del deficit, mentre quella residua tende fisiologicamente a riespandersi in misura direttamente proporzionale. In questo senso puo' concludersi che la contrazione dell'importo della rata di disavanzo da applicare al bilancio preventivo prevista dalle disposizioni sospettate di incostituzionalita' consente in realta' di finanziare proprio una maggiore spesa corrente residua all'interno dell'aggregato in considerazione. In altri termini, la quota parte di spesa corrente che diminuisce in via diretta e' solo quella relativa alla riduzione della rata di ammortamento; ad essa puo' seguire, a parita' di entrate, un aumento della spesa corrente residua in assenza di un limite complessivo di spesa riferibile a tale aggregato. Non si perviene a diverse conclusioni anche a voler considerare il piano di recupero nel lungo periodo, in quanto lo sforzo associato al citato incremento dei pagamenti per investimenti risulta del tutto slegato dalla quantificazione del vantaggio derivante dalla rimodulazione. A fronte di un immediato «risparmio» di spesa corrente in conto competenza pari alla meta' della quota annuale del disavanzo 2014 ed al ventesimo (1/20) del disavanzo 2015 da applicare al bilancio di previsione, il reale effetto di riqualificazione della spesa in termini di stanziamenti di competenza e' solo eventuale e non quantificabile e/o misurabile, proprio perche' esso puo' essere affiancato se non addirittura totalmente sostituito, dalla riassegnazione alla competenza delle economie vincolate e dall'utilizzo dei residui in presenza di una cassa capiente per ragioni non riconducibili al reale stato di salute finanziaria dell'ente. In conclusione, il meccanismo ideato dalle norme in contestazione per bilanciare il vantaggio rinveniente dal consistente ampliamento della capacita' di spesa corrente risulta contraddittorio e privo di sostenibilita' economico-finanziaria. 8. Art. 1, comma 779 ultimo periodo della legge 27 dicembre 2017, n. 205 ed art. 8, comma 1, lettera c) della legge Regione Abruzzo 31 gennaio 2019, n. 2 - Violazione degli articoli 81, 97 primo e secondo comma e 119 primo e sesto comma della Costituzione, in combinato disposto con gli articoli 2, 3 e 1 della Costituzione sia sotto il profilo della lesione dell'equilibrio e della sana gestione finanziaria del bilancio, sia per contrasto con gli interdipendenti principi di copertura pluriennale della spesa e di responsabilita' nell'esercizio del mandato elettivo. Violazione del precetto dell'equilibrio ai sensi del combinato disposto degli articoli 97, 81 e 41 della Costituzione e degli articoli 3 e 117, comma 1 della Costituzione, in relazione al parametro interposto dell'art. 1, Protocollo 1 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali 8.1. In via subordinata, il dubbio di costituzionalita' va circoscritto alla parte in cui le misure ampliative dei tempi di recupero del deficit sono estese anche al disavanzo 2015 ed in particolare all'ultimo periodo del comma 779 dell'art. 1 della legge n. 205 del 2017 a norma del quale «Le disposizioni di cui ai periodi precedenti si applicano anche con riferimento al disavanzo al 31 dicembre 2015», oltre che alla norma regionale di recepimento rappresentata dall'art. 8, comma 1, lettera c) della legge Regione Abruzzo 31 gennaio 2019, n. 2, secondo cui «E' iscritta nello stato di previsione della spesa una quota del disavanzo di amministrazione presunto per ciascuna delle tre annualita' di bilancio (2019-2020-2021), cosi' determinata: c) euro 4.404.075,67 quale annualita' del disavanzo di amministrazione presunto al 31 dicembre 2015, ai sensi dell'ultimo periodo del comma 779, articolo 1, legge 27 dicembre 2017, n. 205». Anche in questo caso i parametri costituzionali violati sono rappresentati dagli articoli 81, 97 e 119, primo e sesto comma della Costituzione, in combinato disposto con gli articoli 2, 3 e 1 della Costituzione sia sotto il profilo della lesione dell'equilibrio e della sana gestione finanziaria del bilancio, sia per contrasto con gli interdipendenti principi di copertura pluriennale della spesa e di responsabilita' nell'esercizio del mandato elettivo. Le norme contrastano inoltre con il precetto dell'equilibrio ai sensi del combinato disposto degli articoli 97, 81 e 41 della Costituzione e degli articoli 3 e 117, comma 1 della Costituzione, per violazione del parametro interposto dell'art. 1, Protocollo 1 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali. Valgono al riguardo le medesime considerazioni espresse ai punti n. 5), n. 6) e n. 7) di questa ordinanza in quanto integralmente riferibili anche alla presente censura. 8.2. Ai precedenti rilievi occorre tuttavia aggiungere ulteriori considerazioni specificamente riferibili al richiamato ultimo periodo del comma 779. In primo luogo, si osserva che, ancor piu' di quanto gia' fatto rilevare in ordine al disavanzo al 31 dicembre 2014, alcun nesso possa essere ricostruito tra il disavanzo 2015 ed il «passaggio» alla contabilita' armonizzata. Se si esclude l'applicazione dei nuovi schemi di bilancio i quali, lungi dal determinare gli esiti della gestione, svolgono una funzione essenzialmente rappresentativa di essa, i principi della competenza finanziaria cosiddetta potenziata introdotta dal decreto legislativo n. 118/2011, nell'esercizio 2015 erano gia' obbligatori ed a regime. Ne' puo' ragionevolmente ritenersi che i disavanzi rinvenienti dalla gestione dell'esercizio finanziario in considerazione possano essere conseguenza delle novita' introdotte dalla riforma. Il testo normativo, unitamente ai principi contabili generali ed applicati, risultavano in effetti ampiamente conosciuti in quanto emanati gia' nel 2011 e poi entrati in vigore nel 2015 a seguito dei molteplici rinvii normativi intervenuti. Vieppiu', l'elevato grado di analiticita' tecnica delle regole introdotte dal decreto e dai suoi allegati principi risponde proprio all'esigenza di garantire, piu' che in passato, gestioni finanziarie rispettose dei principi costituzionali di copertura delle spese e degli equilibri di bilancio. D'altro canto, la Corte costituzionale ha giudicato le deroghe ai principi di copertura delle spese e del pareggio di bilancio costituzionalmente conformi, da una parte solo se contemperate con altro interesse costituzionalmente rilevante, dall'altra a condizione della loro eccezionalita'. Ebbene, la norma censurata appare carente sotto entrambi i profili. 8.3. Della mancata riconducibilita' della norma, nella parte in cui estende il piu' lasco termine di ripiano del deficit 2015, all'abusato passaggio alla contabilita' armonizzata si e' gia' ampiamente detto (il riferimento va all'art. 3, commi 16 e 13 del decreto legislativo n. 118/2011 sul rientro nel trentennio dal maggior disavanzo). Occorre tuttavia in questa sede aggiungere che il legislatore aveva gia' introdotto una serie di efficaci misure volte a neutralizzare anche i possibili disavanzi conseguenti alle difficolta' applicative dei nuovi principi una volta a regime. Cosi', a titolo meramente esemplificativo e senza alcuna pretesa di esaustivita', riguardo la gestione dei residui attivi e del fondo crediti di dubbia esigibilita', e' stato previsto che: per quanto riguarda il bilancio preventivo, nel primo esercizio di applicazione della contabilita' armonizzata (appunto il 2015) e' possibile stanziare una quota almeno pari al 50 per cento dell'importo dell'accantonamento quantificato nel prospetto riguardante il fondo crediti di dubbia esigibilita' allegato al bilancio di previsione. Nel secondo esercizio lo stanziamento di bilancio riguardante il fondo crediti di dubbia esigibilita' e' pari almeno al 75 per cento dell'accantonamento quantificato nel prospetto riguardante il fondo crediti di dubbia esigibilita' allegato al bilancio di previsione, e dal terzo esercizio l'accantonamento al fondo e' effettuato per l'intero importo; in sede di rendiconto relativo all'esercizio 2015 e agli esercizi successivi, fino al 2018, la quota accantonata nel risultato di amministrazione per il fondo crediti di dubbia esigibilita' puo' essere determinata, pur tenendo conto della situazione finanziaria complessiva dell'ente e del rischio di rinviare oneri all'esercizio 2019, facendo ricorso al cosiddetto «metodo semplificato» che in buona sostanza consente di agganciare l'accantonamento, al fondo del precedente rendiconto (il cui conseguente disavanzo risultava gia' beneficiato del piano di rientro trentennale) rideterminato in base agli utilizzi del fondo per la cancellazione o lo stralcio dei crediti e dell'importo definitivamente accantonato nel bilancio di previsione. Appaiono ispirati alla medesima ratio di riduzione del «peso» delle nuove regole armonizzate anche l'art. 2, comma 6 del decreto-legge n. 78 del 2015, e l'art. 39-ter del decreto-legge n. 162 del 2019. Quest'ultimo, in particolare, ha consentito una diversa tempistica del ripiano del disavanzo 2019 determinato dal suo peggioramento conseguente all'accantonamento al fondo anticipazione di liquidita' dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 4 del 2020 che aveva dichiarato illegittimo il meccanismo previsto dal citato art. 2, comma 6 del decreto-legge n. 78 del 2015 che a sua volta, nell'ottica della riduzione del peso delle nuove regole sugli equilibri di bilancio, prevedeva l'utilizzazione della quota accantonata nel risultato di amministrazione a seguito dell'acquisizione delle erogazioni delle anticipazioni, ai fini dell'accantonamento al fondo crediti di dubbia esigibilita'. Alla stessa logica pare ispirato anche l'art. 39-quater, sempre del decreto-legge n. 162 del 2019 il quale ha previsto una soluzione che, a regime, consente di ripianare in quindici anni l'eventuale disavanzo emergente dal cambio di metodologia di calcolo (da semplificato ad analitico) del fondo crediti di dubbia esigibilita'. Sempre nell'ottica della riduzione degli accantonamenti obbligatori nei primi anni dell'armonizzazione, si pone, da ultimo, l'art. 60, comma 3 del decreto legislativo n. 118 del 2011 a norma del quale, a seguito dell'eliminazione dell'istituto della perenzione amministrativa, «una quota del risultato di amministrazione al 31 dicembre 2014 e' accantonata per garantire la copertura della reiscrizione dei residui perenti, per un importo almeno pari all'incidenza delle richieste di reiscrizione dei residui perenti degli ultimi tre esercizi rispetto all'ammontare dei residui perenti e comunque incrementando annualmente l'entita' dell'accantonamento di almeno il 20 per cento, fino al 70 per cento dell'ammontare dei residui perenti». Si puo' pertanto concludere che, prima dell'intervento normativo contestato, a piu' riprese il legislatore si era gia' fatto carico di alleggerire i tempi di recupero dei disavanzi ascrivibili rispettivamente: 1) agli esercizi pregressi al 1° gennaio 2015 con l'art. 9, comma 5 del decreto-legge n. 78 del 2015; 2) al passaggio al sistema armonizzato con l'art. 3, commi 16 e 13 del decreto legislativo n. 118 del 2011; 3) alle difficolta' applicative della contabilita' armonizzata a regime con le richiamate norme del decreto legislativo n. 118 del 2011 e del «Principio contabile applicato concernente la contabilita' finanziaria» ad esso allegato (Allegato n. 4/2), e con il citato decreto-legge n. 162 del 2019 (art. 39-ter e 39-quater). Alla luce di quanto esposto, l'ulteriore estensione al ventennio del piano di rientro dal deficit all'esito dell'esercizio 2015 non appare giustificata dall'esigenza di contemperamento con altro interesse costituzionalmente rilevante e si appalesa radicalmente scollegata dall'introduzione, oltre che dall'applicazione, a regime della contabilita' armonizzata. La compatibilita' della norma contestata con l'attuale assetto costituzionale appare in definitiva esclusa laddove si consideri che la Corte costituzionale (sentenza n. 107/2016), ha affermato che l'ampliamento dell'orizzonte temporale per il ripiano puo' ammettersi in ragione di eventi contabili che facciano emergere un disavanzo che puo' essere ritenuto «straordinario» nelle sue cause e nelle sue dimensioni e che deve, quindi, essere fronteggiato normativamente in modo da consentire agli enti di recuperare le coperture in un arco di tempo che sia ragionevole e compatibile con la capacita' di reperire le risorse mancanti e necessarie ad erogare le su richiamate prestazioni costituzionalmente imprescindibili. Il censurato intervento normativo si appalesa, in buona sostanza, episodico ed asistematico in quanto incide sui risultati negativi della sola gestione 2015. Viola inoltre il piu' volte richiamato principio della necessaria eccezionalita' e definitivita' degli interventi normativi derogatori rispetto agli ordinari tempi di riassorbimento dei deficit previsti dall'ordinamento finanziario e contabile degli enti territoriali. Al riguardo e' opportuno richiamare le univoche indicazioni della Corte costituzionale che, in riferimento al disavanzo tecnico di cui all'art. 3, comma 13 del decreto legislativo n. 118 del 2011, ha avuto modo di chiarire che «Avere riguardo a tale fenomeno patologico e consentire questa ulteriore facolta' di disavanzo - oltre a quelle decennali (art. 9, comma 5, del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78, recante "Disposizioni urgenti in materia di enti territoriali. Disposizioni per garantire la continuita' dei dispositivi di sicurezza e di controllo del territorio. Razionalizzazione delle spese del Servizio sanitario nazionale nonche' norme in materia di rifiuti e di emissioni industriali") e trentennali (art. 3, comma 16, del d.lgs. n. 118 del 2011), nonche' alle anticipazioni di liquidita' per debiti inevasi (da restituire anch'esse in un trentennio: artt. 2 e 3 del decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35, recante "Disposizioni urgenti per il pagamento dei debiti scaduti della pubblica amministrazione, per il riequilibrio finanziario degli enti territoriali, nonche' in materia di versamento di tributi degli enti locali") - costituisce certamente una dimostrazione di fiducia del legislatore statale nei confronti degli enti territoriali; dimostrazione di fiducia sicuramente corredata dall'aspettativa che la sua utilizzazione sia una tantum e non ingeneri la convinzione, negli stessi enti destinatari, che possano ripetersi e perpetuarsi le disfunzioni amministrative nella riscossione delle entrate e nella copertura delle spese, magari confidando in nuovi eccezionali provvedimenti legislativi di dilazione delle passivita'» (sentenza n. 6/2017). La norma sospettata di incostituzionalita', incidendo su un quadro normativo gia' ampiamente derogatorio rispetto all'enunciata clausola generale del pareggio di bilancio, invero, non integra affatto una misura una tantum, ma si appalesa come l'ennesima ipotesi derogatoria che rischia di trasformare l'eccezione in regola cosi' ingenerando l'affidamento che le norme adottate possano assumere carattere ordinario anziche' eccezionale ed isolato, sospingendo cosi', inevitabilmente, «le scelte degli amministratori verso politiche di "corto respiro", del tutto subordinate alle contingenti disponibilita' di cassa» (Corte costituzionale, sentenza n. 18/2019). Pertanto, l'estensione del rilevante prolungamento temporale del recupero anche al deficit 2015, ad avviso della Sezione: risulta incompatibile con una gestione di bilancio equilibrata; ingenera l'affidamento che le norme contestate, slegate da interessi costituzionalmente rilevanti che ne possano aver giustificato l'adozione, possano assumere carattere ordinario anziche' eccezionale ed isolato; ha l'esclusivo effetto di spostare su generazioni successive il peso finanziario di una gestione priva di coperture, in danno dei principi di cui agli articoli 97, 81, 3 e 2 della Costituzione; induce inevitabilmente «le scelte degli amministratori verso politiche di "corto respiro", del tutto subordinate alle contingenti disponibilita' di cassa»; sottrae gli amministratori al vaglio della loro responsabilita' politica e amministrativa (art. 1 della Costituzione). In conclusione, come fatto rilevare dalla Corte costituzionale, «ferma restando la discrezionalita' del legislatore nello scegliere i criteri e le modalita' per porre riparo a situazioni di emergenza finanziaria come quella in esame, non puo' [tuttavia] disconoscersi la problematicita' di soluzioni normative continuamente mutevoli come quelle precedentemente evidenziate, le quali prescrivono il riassorbimento dei disavanzi in archi temporali molto vasti, ben oltre il ciclo di bilancio ordinario, con possibili ricadute negative anche in termini di equita' intergenerazionale» (sentenza n. 107/2016).
P.Q.M. la Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per l'Abruzzo: 1. Solleva, per le ragioni indicate in parte motiva, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 779, 780 e 782 della legge 27 dicembre 2017, n. 205 e dell'art. 8, comma 1, lettera a) e lettera c) della legge della Regione Abruzzo 31 gennaio 2019, n. 2, in riferimento ai parametri stabiliti dagli articoli 81, 97 primo e secondo comma e 119, primo e sesto comma della Costituzione, in combinato disposto con gli articoli 2, 3 e 1 della Costituzione sia sotto il profilo della lesione dell'equilibrio e della sana gestione finanziaria del bilancio, sia per contrasto con gli interdipendenti principi di copertura pluriennale della spesa e di responsabilita' nell'esercizio del mandato elettivo; 2. Solleva, per le ragioni indicate in parte motiva, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 779, 780 e 782 della legge 27 dicembre 2017, n. 205 e dell'art. 8, comma 1, lettera a) e lettera c) della legge della Regione Abruzzo 31 gennaio 2019, n. 2, in riferimento ai parametri stabiliti dagli articoli 97, 81 e 41 della Costituzione e degli articoli 3 e 117, comma 1 della Costituzione, per violazione del parametro interposto dell'art. 1, Protocollo 1 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali; 3. Solleva, per le ragioni indicate in parte motiva, la questione di legittimita' costituzionale dell'ultimo periodo del comma 779 dell'art. 1 della legge n. 205 del 2017 ovvero della norma secondo cui «Le disposizioni di cui ai periodi precedenti si applicano anche con riferimento al disavanzo al 31 dicembre 2015», e dell'art. 8, comma 1, lettera c) della legge della Regione Abruzzo 31 gennaio 2019, n. 2, in riferimento ai parametri stabiliti dagli articoli 81, 97 primo e secondo comma e 119, primo e sesto comma della Costituzione, in combinato disposto con gli articoli 2, 3 e 1 della Costituzione sia sotto il profilo della lesione dell'equilibrio e della sana gestione finanziaria del bilancio, sia per contrasto con gli interdipendenti principi di copertura pluriennale della spesa e di responsabilita' nell'esercizio del mandato elettivo; nonche' in riferimento ai parametri stabiliti dagli articoli 97, 81 e 41 della Costituzione, e degli articoli 3 e 117, comma 1 della Costituzione, per violazione del parametro interposto dell'art. 1, Protocollo 1 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali; Sospende il giudizio di parificazione sullo schema di rendiconto dell'esercizio finanziario 2019 della Regione Abruzzo, inciso dalle predette disposizioni normative, ordinando la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per l'esame delle questioni sollevate; Dispone che, a cura della segreteria della Sezione, ai sensi dell'art. 23, ultimo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, la presente ordinanza sia notificata al Presidente della Regione Abruzzo e al procuratore regionale quali parti in causa e sia comunicata al Presidente del consiglio regionale dell'Abruzzo. Cosi' disposto in L'Aquila, nella Camera di consiglio del 21 gennaio 2021. Il presidente: Siragusa Il magistrato relatore: Di Marco ___ LA CORTE DEI CONTI Sezione regionale di controllo per l'Abruzzo composta dai magistrati: Stefano Siragusa, presidente di Sezione; Marco Villani, consigliere; Luigi Di Marco, consigliere (relatore); Francesca Paola Anelli, consigliere; Antonio Dandolo, consigliere; Giovanni Guida, primo referendario; ha pronunciato la seguente ordinanza nel giudizio di parificazione del rendiconto generale della Regione Abruzzo per l'esercizio finanziario 2019. Visti gli articoli 81, 97, 100, comma 2, 103, comma 2, 117, comma 1 e 136 della Costituzione; Visto il testo unico delle leggi sulla Corte dei conti, approvato con regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214 e successive modificazioni; Vista la legge 11 marzo 1953, n. 87, recante norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale; Vista la legge 14 gennaio 1994, n. 20, recante disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti; Visto il decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174, convertito, con modificazioni, in legge 7 dicembre 2012, n. 213 e successive modifiche ed integrazioni; Visti gli articoli 38 e 40 del decreto legislativo 26 agosto 2016, n. 174, recante il codice di giustizia contabile, adottato ai sensi dell'art. 20 della legge 7 agosto 2015, n. 124; Vista la legge 27 dicembre 2017, n. 205, in particolare i commi 779, 780 e 782 dell'art. 1; Vista la legge della Regione Abruzzo 31 gennaio 2019, n. 2, recante: «Bilancio di previsione finanziario 2019/2021» ed in particolare l'art. 8, comma 1; Vista la deliberazione della giunta regionale del 30 giugno 2020, n. 363/C con la quale e' stato approvato il «Disegno di legge regionale recante il Rendiconto Generale per l'esercizio 2019» e relativi allegati; Vista la decisione della Sezione regionale di controllo per l'Abruzzo della Corte dei conti del 21 gennaio 2021, n. 4/2021/PARI; Vista l'ordinanza n. 16/2021/PARI depositata in segreteria il 28 aprile 2021 con cui questa Sezione, nell'ambito del giudizio di parificazione dello schema di rendiconto finanziario della Regione Abruzzo per l'esercizio 2019 ha: 1. sollevato la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 779, 780 e 782 della legge 27 dicembre 2017, n. 205 e dell'art. 8, comma 1, lettera a) e lettera c) della legge della Regione Abruzzo 31 gennaio 2019, n. 2, in riferimento ai parametri stabiliti dagli articoli 81, 97 primo e secondo comma e 119, primo e sesto comma della Costituzione, in combinato disposto con gli articoli 2, 3 e 1 della Costituzione sia sotto il profilo della lesione dell'equilibrio e della sana gestione finanziaria del bilancio, sia per contrasto con gli interdipendenti principi di copertura pluriennale della spesa e di responsabilita' nell'esercizio del mandato elettivo; 2. sollevato la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 779, 780 e 782 della legge 27 dicembre 2017, n. 205 e dell'art. 8, comma 1, lettera a) e lettera c) della legge della Regione Abruzzo 31 gennaio 2019, n. 2, in riferimento ai parametri stabiliti dagli articoli 97, 81 e 41 della Costituzione e degli articoli 3 e 117, comma 1 della Costituzione, per violazione del parametro interposto dell'art. 1, Protocollo 1 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali; 3. sollevato la questione di legittimita' costituzionale dell'ultimo periodo del comma 779 dell'art. 1 della legge n. 205 del 2017 ovvero della norma secondo cui «Le disposizioni di cui ai periodi precedenti si applicano anche con riferimento al disavanzo al 31 dicembre 2015» e dell'art. 8, comma 1, lettera c) della legge della Regione Abruzzo 31 gennaio 2019, n. 2, in riferimento ai parametri stabiliti dagli articoli 81, 97 primo e secondo comma e 119, primo e sesto comma della Costituzione, in combinato disposto con gli articoli 2, 3 e 1 della Costituzione sia sotto il profilo della lesione dell'equilibrio e della sana gestione finanziaria del bilancio, sia per contrasto con gli interdipendenti principi di copertura pluriennale della spesa e di responsabilita' nell'esercizio del mandato elettivo; nonche' in riferimento ai parametri stabiliti dagli articoli 97, 81 e 41 della Costituzione e degli articoli 3 e 117, comma 1 della Costituzione, per violazione del parametro interposto dell'art. 1, Protocollo 1 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali; 4. sospeso il giudizio di parificazione sullo schema di rendiconto dell'esercizio finanziario 2019 della Regione Abruzzo, inciso dalle predette disposizioni normative, ordinando la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per l'esame delle questioni sollevate. Considerato che la predetta ordinanza, pur avendo richiamato l'art. 23, ultimo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, ha disposto che la stessa, a cura della segreteria della Sezione, fosse notificata al Presidente della Regione Abruzzo, al Presidente del consiglio regionale ed alla procura regionale presso la Sezione giurisdizionale dell'Abruzzo della Corte dei conti; Ritenuto pertanto necessario che, a cura della segreteria della Sezione, ai sensi dell'art. 23, ultimo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, la ridetta ordinanza n. 16/2021/PARI sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e sia comunicata ai presidenti delle due Camere del Parlamento; Ordina: 1. che, a cura della segreteria della Sezione, ai sensi dell'art. 23, ultimo comma della legge 11 marzo 1953, n. 87, l'ordinanza di questa Sezione n. 16/2021/PARI sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e sia comunicata ai presidenti delle due Camere del Parlamento; 2. che, a cura della segreteria della Sezione, sia data comunicazione della notifica e delle comunicazioni di cui al punto precedente al Presidente della Regione Abruzzo, al Presidente del consiglio regionale dell'Abruzzo ed alla procura regionale presso la Sezione giurisdizionale dell'Abruzzo della Corte dei conti; 3. che, a cura della segreteria della Sezione, la presente ordinanza e le ricevute di consegna della notifica e delle comunicazioni di cui ai punti precedenti, siano depositate presso la cancelleria della Corte costituzionale. Cosi' disposto in L'Aquila, nella Camera di consiglio del 6 maggio 2021. Il presidente: Siragusa Il magistrato relatore: Di Marco