N. 111 ORDINANZA (Atto di promovimento) 8 aprile 2021
Ordinanza dell'8 aprile 2021 della Corte di cassazione nel procedimento civile promosso da INPS - Istituto nazionale previdenza sociale contro Belpagoda Gamace Sumanadasa. Previdenza e assistenza - Straniero - Assegno per il nucleo familiare - Presupposti - Nozione di nucleo familiare - Cittadini di paesi terzi titolari di permesso unico di soggiorno e lavoro - Previsione che esclude, dalla considerazione quali componenti del nucleo familiare, il coniuge e i figli ed equiparati di cittadino straniero che non abbiano la residenza nel territorio della Repubblica italiana, salvo che dallo Stato di cui lo straniero e' cittadino sia riservato un trattamento di reciprocita' nei confronti dei cittadini italiani o sia stata stipulata convenzione internazionale in materia di trattamenti di famiglia - Interpretazione, da parte della Corte di giustizia dell'Unione europea, sentenza del 25 novembre 2020, nella causa C-302/19, dell'art. 12, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2011/98/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, in relazione al diritto dei lavoratori di paesi terzi titolari di permesso unico di beneficiare dello stesso trattamento riservato ai cittadini dello Stato membro in cui soggiornano per quanto concerne, tra l'altro, i settori della sicurezza sociale definiti nel regolamento (CE) n. 883/2004. - Decreto-legge 13 marzo 1988, n. 69 (Norme in materia previdenziale, per il miglioramento delle gestioni degli enti portuali ed altre disposizioni urgenti), convertito, con modificazioni, nella legge 13 maggio 1988, n. 153, art. 2, comma 6-bis.(GU n.33 del 18-8-2021 )
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Sezione lavoro Composta dagli ill.mi sigg.ri magistrati: dott. Antonio Manna - presidente; dott.ssa Enrica D'Antonio - consigliere; dott.ssa Rossana Mancino - consigliere; dott.ssa Daniela Calafiore - relatore consigliere; dott. Luigi Cavallaro - consigliere; ha pronunciato la seguente ordinanza interlocutoria sul ricorso 14498-2018 proposto da: INPS - Istituto nazionale previdenza sociale, elettivamente domiciliato in Roma - via Cesare Beccaria n. 29 - presso lo studio dell'avvocato Antonietta Coretti, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati Vincenzo Stumpo, Vincenzo Triolo, ricorrenti; Contro Belpagoda Gamace Sumanadasa, elettivamente domiciliato in Roma, in piazza Cavour s.n.c., presso la Corte di cassazione, rappresentato e difeso dagli avvocati Neri Livio e Guariso Alberto - controricorrenti; Avverso la sentenza n. 772/2017 della Corte d'appello di Torino, depositata il 6 novembre 2017; Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 3 marzo 2021 dal consigliere dott.ssa Daniela Calafiore. Rilevato in fatto 1. Sumanadasa Belpagoda Gamage ha proposto ricorso, ai sensi del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150, art. 28 e dell'art. 702-bis del codice di procedura civile, al Tribunale giudice del lavoro di Alessandria, nei confronti dell'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), lamentando il carattere discriminatorio della negazione da parte dell'INPS dell'assegno del nucleo familiare per il periodo compreso tra gennaio-giugno 2014 e luglio-giugno 2016 nel corso del quale tutti i suoi familiari avevano lasciato l'Italia per rientrare nel Paese d'origine (Sri Lanka) ed ha chiesto ordinarsi la cessazione di tale condotta con la condanna dell'INPS alla restituzione delle somme trattenute con predisposizione di un piano di rimozione degli effetti negativi ai sensi del decreto legislativo n. 150 del 2011, art. 28. 2. Il Tribunale di Alessandria, in funzione di giudice del lavoro, ha rigettato il ricorso e la Corte d'appello di Torino, su impugnazione proposta da S. Belpagoda Gamage, ha accolto la domanda riformando la decisione del Tribunale sulla base delle seguenti argomentazioni: a) il decreto-legge n. 69 del 1988, art. 2, comma 6-bis conv. in legge n. 153 del 1988, la' dove esclude (salvo specifiche convenzioni internazionali o condizioni di reciprocita') dal novero dei membri del nucleo familiare cui e' rivolto l'assegno i familiari dello straniero che non abbiano la residenza, da ritenersi effettiva e non solo formale, nel territorio della Repubblica, introduce una disciplina differente rispetto a quella generale fissata dalla legge n. 153 del 1988, art. 2, comma 2, valevole per i cittadini dello Stato italiano per i quali l'assegno per il nucleo familiare spetta a prescindere dalla residenza dei membri del nucleo familiare medesimo; b) l'art. 12 della direttiva n. 2011/98/UE, primo paragrafo, lettera e), prevede che i lavoratori dei Paesi terzi di cui all'art. 3, paragrafo 1, lettere b) e c) (tra i quali certamente rientra Belpagoda S. Gamage) beneficiano dello stesso trattamento riservato ai cittadini dello Stato membro in cui soggiornano, tra l'altro, quanto ai settori della sicurezza sociale definiti nel regolamento (CE); c) l'assegno per il nucleo familiare oggetto del giudizio rientra nei settori della sicurezza sociale definiti nel regolamento (CE) n. 883/2004 come confermato dalla sentenza 21 giugno 2017, C-449/16, Martines Silva della Corte di giustizia UE pronunciatasi a proposito dell'assegno previsto dalla legge 23 dicembre 1998, n. 448, art. 65, misura analoga a quella in esame; d) lo Stato italiano - pur essendo da tempo scaduto il termine del 25 dicembre 2013 previsto per il recepimento - non ha recepito l'art. 12, della direttiva indicata che e' norma chiara, incondizionata, di immediata applicazione e relativa a rapporti verticali tra Stato e soggetti privati; e) la facolta' di deroga all'obbligo di parita' di trattamento di cui all'art. 12, paragrafo 2, lettera b) della direttiva n. 2011/98/UE non e' stata esercitata e non sarebbe comunque applicabile al caso di specie; f) la legge n. 153 del 1988, art. 2, comma 6-bis, si pone in contrasto con la direttiva n. 2011/98/UE e realizza una oggettiva discriminazione e va, dunque, disapplicato in presenza di disposizione contenuta nell'art. 12, paragrafo 1, della citata direttiva, di diretta applicabilita', sufficientemente precisa e priva di condizioni per la sua esecuzione. 5. Avverso tale sentenza l'INPS ha proposto ricorso per cassazione fondato su di un unico motivo con il quale lamenta la violazione e o falsa applicazione del combinato disposto del decreto-legge n. 69 del 1988, art. 2, comma 6-bis, convertito con modificazioni in legge n. 153 del 1988, degli articoli 43 e 44 del decreto legislativo n. 286 del 1998, dell'art. 12 della direttiva n. 2011/98/UE e del decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 40, attuativo della predetta direttiva - anche in relazione all'art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale. 5. Il ricorrente, premesso che la direttiva n. 2011/98/UE (relativa alla procedura unica di domanda per un permesso unico), attuata in Italia con il decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 40, si riferisce ai cittadini di Stati terzi che si trovino presso il territorio dello Stato membro per periodi piu' brevi dei cinque anni necessari ad ottenere il permesso di soggiorno per lungo periodo, e fonda tale denunzia sulla affermazione che, al contrario di quanto statuito dalla sentenza impugnata, l'interpretazione della direttiva n. 2011/98 UE va condotta anche sulla base dei «considerando» 8, 19, 24 e 26 che evidenziano la diversa posizione dei titolari del permesso unico di lavoro e soggiorno rispetto ai titolari del permesso di soggiorno di cui alla direttiva n. 2003/109 CE, l'assenza di una normativa europea comune ai Paesi dell'Unione in materia di diritti sui quali sia garantita ai cittadini di Stati terzi la parita' di trattamento, la finalita' di non conferire diritti in relazione a situazioni che esulano dall'ambito di applicazione del diritto dell'Unione ad esempio in relazione a familiari soggiornanti in un Paese terzo e la discrezionalita' concessa a ciascuno Stato membro nel limitare la concessione, l'importo ed il periodo delle prestazioni di sicurezza sociale da riconoscere ai cittadini di Stati terzi; l'assegno per il nucleo familiare di cui al decreto-legge n. 69 del 1988, art. 2, conv. in legge n. 153 del 1988, ha natura previdenziale e non assistenziale, del tutto diverso per natura e struttura dalla prestazione prevista dalla legge n. 448 del 1998, art. 65. 6. S. Belpagoda Gamage ha resistito con controricorso. 7. Entrambe le parti hanno depositato memorie. 8. Questa Corte di cassazione, con ordinanza interlocutoria n. 9022 del 2019, ha disposto rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell'Unione europea, ai sensi dell'art. 267 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, considerando che: a) rileva la situazione dei componenti del nucleo familiare del lavoratore S. Belpagoda Gamage proveniente da Stato terzo, occupato in Italia ed in possesso del permesso unico di lavoro ai sensi della direttiva n. 2011/98/UE del Parlamento europeo e del Consiglio; tali componenti del nucleo familiare sono stati, nei periodi rilevanti per la controversia, pacificamente residenti in fatto in Sri Lanka (Stato terzo d'origine) ed il lavoratore ha denunciato il carattere discriminatorio della loro esclusione nel computo dei componenti e del reddito del nucleo familiare da considerare per il calcolo dell'importo del trattamento previsto dalla legge n. 153 del 1988, art. 2, comma 2; b) la fattispecie di fatto relativa alla condizione lavorativa del cittadino di Stato terzo S. Belpagoda Gamage rientra nella sfera di applicazione della direttiva n. 2011/98/UE del Parlamento europeo e del Consiglio; c) la direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio n. 2011/98/UE, nei considerando, prevede: al punto 2) [...] che l'Unione europea dovrebbe garantire l'equo trattamento dei cittadini dei Paesi terzi che soggiornano regolarmente nel territorio degli Stati membri [...]; al punto 19) che [...] e' opportuno definire un insieme di diritti al fine, in particolare, di specificare i settori in cui e' garantita la parita' di trattamento tra i cittadini di uno Stato membro e i cittadini di Paesi terzi che non beneficiano ancora dello status di soggiornanti di lungo periodo [...]; al punto 20) che [...] tutti i cittadini di Paesi terzi che soggiornano e lavorano regolarmente negli Stati membri dovrebbero beneficiare quanto meno di uno stesso insieme comune di diritti, basato sulla parita' di trattamento con i cittadini dello Stato membro ospitante, a prescindere dal fine iniziale o dal motivo dell'ammissione [...]; al punto 24) che [...] i lavoratori di Paesi terzi dovrebbero beneficiare della parita' di trattamento per quanto riguarda la sicurezza sociale. I settori della sicurezza sociale sono definiti dal regolamento (CE) n. 883/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale; al punto 26) che [...] il diritto dell'Unione non limita la facolta' degli Stati membri di organizzare i rispettivi regimi di sicurezza sociale. In mancanza di armonizzazione a livello di Unione, spetta a ciascuno Stato membro stabilire le condizioni per la concessione delle prestazioni di sicurezza sociale nonche' l'importo di tali prestazioni e il periodo durante il quale sono concesse. Tuttavia, nell'esercitare tale facolta', gli Stati membri dovrebbero conformarsi al diritto dell'Unione; la medesima direttiva all'art. 12, paragrafo 1, lettera e) prevede: «1. I lavoratori dei Paesi terzi di cui all'art. 3, paragrafo 1, lettere b) e c), beneficiano dello stesso trattamento riservato ai cittadini dello Stato membro in cui soggiornano per quanto concerne: a) (...); b) (...); d) (...); e) i settori della sicurezza sociale definiti nel regolamento (CE) n. 883/2004; d) dal punto di vista delle disposizioni nazionali viene in rilievo il decreto-legge 13 marzo 1988, n. 69 «Norme in materia previdenziale, per il miglioramento delle gestioni degli enti portuali ed altre disposizioni urgenti, conv. con mod. in legge n. 153 del 1988». Titolo I - Norme in materia previdenziale - art. 2 - 1. Per i lavoratori dipendenti, i titolari delle pensioni e delle prestazioni economiche previdenziali derivanti da lavoro dipendente, i lavoratori assistiti dall'assicurazione contro la tubercolosi, il personale statale in attivita' di servizio ed in quiescenza, i dipendenti e pensionati degli enti pubblici anche non territoriali, a decorrere dal periodo di paga in corso al 1° gennaio 1988, gli assegni familiari, le quote di aggiunta di famiglia, ogni altro trattamento di famiglia comunque denominato e la maggiorazione di cui al decreto-legge 29 gennaio 1983, n. 17, art. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 marzo 1983, n. 79, cessano di essere corrisposti e sono sostituiti, ove ricorrano le condizioni previste dalle disposizioni del presente articolo, dall'assegno per il nucleo familiare. 2. L'assegno compete in misura differenziata in rapporto al numero dei componenti ed al reddito del nucleo familiare, secondo la tabella allegata al presente decreto. I livelli di reddito della predetta tabella sono aumentati di lire dieci milioni per nuclei familiari che comprendono soggetti che si trovino, a causa di infermita' o difetto fisico o mentale, nell'assoluta e permanente impossibilita' di dedicarsi ad un proficuo lavoro, ovvero, se minorenni, che abbiano difficolta' persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della loro eta'. I medesimi livelli di reddito sono aumentati di lire due milioni se i soggetti di cui al comma 1 si trovano in condizioni di vedovo o vedova, divorziato o divorziata, separato o separata legalmente, celibe o nubile. Con effetto dal 1° luglio 1994, qualora del nucleo familiare di cui al comma 6 facciano parte due o piu' figli, l'importo mensile dell'assegno spettante e' aumentato di lire 20.000 per ogni figlio, con esclusione del primo. 3. (...). 4. (...). 5 (...). 6. Il nucleo familiare e' composto dai coniugi, con esclusione del coniuge legalmente ed effettivamente separato, e dai figli ed equiparati, ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1957, n. 818, art. 38, di eta' inferiore a diciotto anni compiuti ovvero, senza limite di eta', qualora si trovino, a causa di infermita' o difetto fisico o mentale, nell'assoluta e permanente impossibilita' di dedicarsi ad un proficuo lavoro. Del nucleo familiare possono far parte, alle stesse condizioni previste per i figli ed equiparati, anche i fratelli, le sorelle ed i nipoti di eta' inferiore a diciotto anni compiuti ovvero senza limiti di eta', qualora si trovino, a causa di infermita' o difetto fisico o mentale, nell'assoluta e permanente impossibilita' di dedicarsi ad un proficuo lavoro, nel caso in cui essi siano orfani di entrambi i genitori e non abbiano conseguito il diritto a pensione ai superstiti. 6-bis. Non fanno parte del nucleo familiare di cui al comma 6 il coniuge ed i figli ed equiparati di cittadino straniero che non abbiano la residenza nel territorio della Repubblica, salvo che dallo Stato di cui lo straniero e' cittadino sia riservato un trattamento di reciprocita' nei confronti dei cittadini italiani ovvero sia stata stipulata convenzione internazionale in materia di trattamenti di famiglia. L'accertamento degli Stati nei quali vige il principio di reciprocita' e' effettuato dal Ministro del lavoro e della previdenza sociale, sentito il Ministro degli affari esteri. 7. (...) 8-bis. (...) 9. (...) 10. (...) 11. (...) 12. (...) 12-bis. (...) 13. (...) 14. (..); e) e' insorto un dubbio interpretativo relativo alla eventualita' che il principio fissato dall'art. 12 - paragrafo 1, lettera e) della citata direttiva n. 2011/98/UE comporti che i familiari del cittadino di Stato terzo, titolare del permesso unico di soggiorno e lavoro e del diritto alla erogazione dell'assegno per il nucleo familiare di cui alla legge n. 153 del 1988, art. 2, pur risiedendo di fatto fuori dal territorio dello Stato membro ove questi presta attivita' lavorativa, siano inclusi nel novero dei familiari sostanziali beneficiari del trattamento stesso e cio' in quanto si deve ritenere che il nucleo familiare individuato dalla legge n. 153 del 1988, art. 2 non e' solo considerato quale base di calcolo dell'importo relativo al trattamento familiare in oggetto ma ne e' anche il beneficiario, per il tramite del titolare della retribuzione o della pensione cui lo stesso accede; f) l'assegno per il nucleo familiare di cui al decreto-legge n. 69 del 1988, art. 2, conv. in legge n. 153 del 1988, e' dal punto di vista della sua struttura formale una integrazione economica di cui beneficiano tutti i prestatori di lavoro sul territorio italiano, i titolari di pensioni e di prestazioni economiche previdenziali derivanti da lavoro subordinato, i lavoratori assistiti da assicurazione contro malattie, i dipendenti ed i pensionati degli enti pubblici, purche' abbiano un nucleo familiare che produca redditi non superiori ad una soglia individuata; g) l'importo dell'assegno per il nucleo familiare viene quantificato in proporzione al numero dei componenti, al numero dei figli e al reddito familiare; h) quanto alla natura della prestazione, la giurisprudenza di questa Corte di cassazione ha avuto modo di evidenziare la natura duplice dell'assegno per il nucleo familiare di cui alla legge n. 153 del 1988, art. 2: da un lato, le sezioni unite della Corte di cassazione 7 marzo 2008, n. 6179 hanno attribuito al trattamento in esame natura previdenziale essendo lo stesso fondato sul meccanismo finanziario di provvista della contribuzione dei datori di lavoro e di erogazione congiunta con la retribuzione (art. 2, comma 3 sopra riportato) e non essendo raccordato alla retribuzione del «capofamiglia» - come avveniva con il previgente decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1955, n. 797, art. 1 - ed al numero e qualita' delle persone a carico, in misura differenziata per i vari comparti produttivi e settori merceologici; l'assegno per il nucleo familiare e' infatti raccordato al reddito, di qualsiasi natura, e non del singolo lavoratore, ma a quello complessivo del suo nucleo familiare (comma 9) e nello stesso senso, la Corte costituzionale (Corte costituzionale 14 dicembre 1995, n. 516), ha evidenziato l'unificazione della funzione previdenziale del nuovo Istituto che rafforza la stretta correlazione con il tipo di pensione, goduta e valorizza gli elementi strutturali del trattamento familiare in esame in quanto finanziato dai contributi versati da parte di tutti i datori di lavoro (cui si aggiunge il concorso integrativo dello Stato legge n. 153 del 1988; ex art. 2, comma 13), ed il sistema di erogazione, attuato mediante anticipazione del datore di lavoro che e' autorizzato a porre a conguaglio quanto versato con il proprio debito contributivo; peraltro, Cassazione n. 6351 del 30 marzo 2015 e Cassazione n. 3214 del 2018, ricollegandosi a precedenti pronunce e valorizzando l'incidenza del numero e della condizione psico-fisica dei componenti del nucleo familiare e del reddito prodotto dal medesimo nucleo, hanno affermato la natura assistenziale dell'assegno per il nucleo familiare; l) si e' dunque affermato che l'Istituto in esame realizza una compenetrazione tra strumenti previdenziali ed assistenziali e precisamente tra quelli posti a tutela per il carico di famiglia, con quelli apprestati a tutela di malattie, essendosi rivolta particolare attenzione a quei nuclei familiari che presentano aree di accentuata sofferenza in ragione di infermita' che hanno colpito qualcuno del propri componenti e quindi tale Istituto integra quelle rientranti nell'ambito della previsione di cui all'art. 12, paragrafo 1, lettera e) della direttiva n. 98/2011/UE, che contempla, tra quelli per i quali va assicurata la parita' di trattamento, «i settori della sicurezza sociale definiti nel regolamento (CE) n. 883/2004». 9. La questione pregiudiziale ha dunque avuto ad oggetto il quesito se, poiche' secondo il disposto della legge n. 153 del 1988, art. 2, comma 6-bis, solo i familiari del cittadino straniero vanno esclusi dal nucleo familiare qualora rientrino nello Stato terzo e la loro residenza effettiva non possa piu' dirsi in Italia e non vi siano condizioni di reciprocita', la direttiva n. 2011/98/UE, art. 12, paragrafo 1, lettera e), osti alla previsione nazionale citata, precisato che per cittadino straniero deve intendersi il cittadino non appartenente all'Unione europea, ai sensi del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, e successive modificazioni (t.u. immigrazione). 10. Con sentenza della CGUE Quinta sezione nella causa C-302/109 del 25 novembre 2020, e' stato affermato che l'art. 12, paragrafo 1, lettera e), della direttiva n. 2011/98/UE osta a una normativa di uno Stato membro come l'art. 2, comma 6-bis, della legge n. 153/1988 in forza della quale, ai fini della determinazione dei diritti a una prestazione di sicurezza sociale, non vengono presi in considerazione i familiari del titolare di un permesso unico, ai sensi dell'art. 2, lettera c), della medesima direttiva, che risiedano non gia' nel territorio di tale Stato membro, bensi' in un Paese terzo, mentre vengono presi in considerazione i familiari del cittadino di detto Stato membro residenti in un Paese terzo; Considerato in diritto 12. Occorre dare esecuzione alla sentenza della CGUE del 25 novembre 2020 sopra indicata in applicazione del principio generale di cooperazione, il quale impone a tutte le autorita' statali di non adottare atti e/o comportamenti che possano determinare l'inadempimento di obblighi comunitari. 13. Secondo la giurisprudenza della C.G.U.E. (sentenza del 3 febbraio 1977 Luigi Benedetti contro Munari F.lli s.a.s.) che a sua volta si rifa' a propri conformi precedenti, «[...] risulta da una giurisprudenza costante che la sentenza con la quale la Corte si pronunzia in via pregiudiziale vincola il giudice nazionale per la definizione della lite principale (v., in particolare, sentenza 3 febbraio 1977, causa 52/76, Benedetti, Racc. pag. 163, punto 26, e ordinanza 5 marzo 1986, causa 69/85, Wünsche Handelsgesellschaft, Racc. pag. 947, punto 13). 50 [...] il giudice nazionale ha la facolta' e, eventualmente, l'obbligo di deferire alla Corte, anche d'ufficio, una questione di interpretazione della sesta direttiva, se ritiene che una decisione della Corte sia necessaria su tale punto per pronunciare la sua sentenza e, quando ha effettuato tale rinvio, e' vincolato dalla decisione della Corte allorche' esso pronuncia la sentenza che definisce la controversia principale». 14. In particolare, in materia di rimozione di effetti antidiscriminatori derivanti da atti normativi, (C.G.U.E 22 gennaio 2019 C-193/17) ha affermato che «[...] se e' vero che gli Stati membri, conformemente all'art. 16 della direttiva n. 2000/78, sono tenuti ad abrogare tutte le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative contrarie al principio della parita' di trattamento, tale articolo non impone loro tuttavia di adottare determinati provvedimenti in caso di violazione del divieto di discriminazione ma lascia ai medesimi la liberta' di scegliere, fra le varie soluzioni atte a conseguire lo scopo che esso contempla, quella che appare la piu' adatta a tale effetto, in funzione delle situazioni che possono presentarsi (v., in tal senso, sentenza del 14 marzo 2018, Stollwitzer, C-482/16, EU:C:2018:180, punti 28 e 30)». Rilevanza della questione di costituzionalita'. 15. La Corte di giustizia con la sentenza indicata ha dichiarato l'incompatibilita' tra l'art. 2, comma 6-bis, decreto-legge n. 69 del 1988 conv. in legge n. 153 del 1988 ed il principio di parita' di trattamento di cui all'art. 12, paragrafo 1, lettera e), direttiva n. 98 del 2011: cio' si traduce nella considerazione che, ai fini dell'eliminazione dell'effetto discriminatorio da rimuovere, non e' tanto significativa la condotta (meramente esecutiva della volonta' di legge) osservata dall'INPS nel negare la prestazione economica dell'assegno per il nucleo familiare oggetto di ricorso, quanto la formulazione della disposizione italiana che disciplina la fattispecie concreta, per cui per dare piena esecuzione alla sentenza della CGUE in oggetto non e' sufficiente limitarsi a respingere il ricorso per cassazione dell'INPS confermando la pronuncia di affermata disapplicazione adottata dalla Corte d'appello. In altre parole, ad avviso di questa Corte di legittimita', la questione di merito rimessa al proprio ambito di giudizio non puo' essere risolta procedendo alla mera «interpretazione conforme», non sussistendo in proposito quel margine di discrezionalita' che consente all'interprete di scegliere tra due interpretazioni possibili della norma interna, a fronte della chiarezza e inequivocita' dell'art. 2, comma 6-bis, decreto-legge n. 69 del 1988, la' dove prevede: «Non fanno parte del nucleo familiare di cui al comma 6 il coniuge ed i figli ed equiparati di cittadino straniero che non abbiano la residenza nel territorio della Repubblica, salvo che dallo Stato di cui lo straniero e' cittadino sia riservato un trattamento di reciprocita' nei confronti dei cittadini italiani ovvero sia stata stipulata convenzione internazionale in materia di trattamenti di famiglia». 16. Neppure puo' farsi ricorso alla tecnica di «disapplicazione» della norma in esame, giacche' tale evenienza potrebbe verificarsi solo alla condizione che la direttiva sia dotata di efficacia diretta cioe' che la norma contestata sia suscettibile di essere disapplicata per contrasto con normative comunitarie; nel caso di specie non e' individuabile una disciplina self-executing di tale matrice direttamente applicabile alla fattispecie oggetto di giudizio, giacche' il diritto dell'Unione non regola direttamente la materia dei trattamenti di famiglia. 17. Piu' in generale, non puo' dirsi che in via ordinaria attraverso l'utilizzo delle direttive, in materia previdenziale e non, il diritto dell'Unione realizzi l'effetto di sostituire la disciplina nazionale con una propria regolamentazione, cosa che invece avviene ove vengano emanati dei regolamenti. 18. Cio' nonostante la progressiva attenzione posta in sede europea nei riguardi della politica sociale (a partire dalle modifiche al trattato istitutivo del 1957 e sino al trattato di Lisbona del 2007, passando per l'atto unico europeo del 1986, per il trattato di Maastricht del 1992 e per il trattato di Amsterdam del 1997), con l'evidente spinta esercitata nel perseguimento degli obbiettivi della libera circolazione dei lavoratori all'interno dello spazio comune europeo, con la fissazione del divieto di discriminazione per nazionalita', ed ancor di piu' con la previsione, ad opera soprattutto del fondamentale regolamento n. 1408 del 1971, rielaborato dal regolamento n. 883 del 2004 ed infine adottato dal regolamento n. 987 del 2009, di specifiche discipline di coordinamento delle regole nazionali in tema di contribuzioni previdenziali e di singole prestazioni che costituiscono l'inveramento del cd. principio di sussidiarieta' (5, paragrafo 3, TUE, art. 152, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea) sul quale poggia l'intervento delle istituzioni dell'Unione possibile quando: il medesimo non riguardi un settore di competenza esclusiva dell'Unione (competenza non esclusiva); gli obiettivi dell'azione prevista non possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli Stati membri (necessita'); l'azione puo', a motivo della portata o degli effetti della stessa, essere conseguita meglio a livello di Unione (valore aggiunto). 19. La direttiva n. 98 del 2011, all'art. 12, paragrafo 1, lettera e), dunque, pur imponendo allo Stato italiano di non trattare diversamente dagli altri destinatari, considerandoli quali componenti del nucleo familiare ai fini del calcolo dell'assegno familiare, i congiunti del lavoratore non cittadino europeo anche se residenti in Paese terzo, come ha affermato la Corte di giustizia con la sentenza del 25 novembre 2020 adita in via pregiudiziale da questa Corte di cassazione in seno a questo stesso giudizio, non e' disciplina completa che consenta di affermare in via diretta il primato della (inesistente) disciplina euro unitaria sulla disciplina nazionale. 20. In verita', l'affermazione che anche tale concreta ipotesi rientra nell'ambito protetto della direttiva (con la necessita' di applicare il principio di parita' di trattamento), non consegna al giudice nazionale un meccanismo normativo di immediata applicazione che possa realizzarsi solo ove la norma europea sia in grado di sostituirsi integralmente, nell'applicazione concreta, a quella nazionale. 21. Nel caso di specie, esclusa la possibilita' di interpretare il testo di legge italiana in senso conforme alla lettura fornita dalla CGUE, non potendosi dare immediata applicazione ad una disciplina euro unitaria inesistente, quella, che viene definita «disapplicazione» altro non realizzerebbe che una modifica della norma nazionale mediante la sostituzione del criterio della reciprocita' ovvero della specifica convenzione internazionale con quello della parita' di trattamento, ove i destinatari diretti della prestazione siano cittadini di Paesi non europei titolari di un permesso di lungo soggiorno ai sensi della citata direttiva. 22. Tale operazione, del tutto distante dal fenomeno che si suole descrivere con l'efficacia diretta delle direttive self-executing, si tradurrebbe inevitabilmente in un intervento di tipo manipolativo inibito a questa Corte di legittimita' che, nell'esercizio di un doveroso self restraint, non puo' estendere i propri compiti oltre quelli che l'ordinamento le attribuisce e che non possono oltrepassare i limiti della interpretazione ed applicazione delle leggi. 23. In altre parole, quando - come nel caso di specie - la direttiva euro unitaria non produca effetti diretti e non sia possibile ad essa adeguare in via interpretativa le regole interne (ostandovi il chiaro tenore letterale di queste ultime), non resta che investire della questione la Corte costituzionale. Non manifesta infondatezza. 25. Secondo l'interpretazione resa dalla sentenza della CGUE del 25 novembre 2020 sopra citata a proposito della direttiva n. 98 del 2011 e segnatamente dell'art. 12, paragrafo 1, lettera e) e dell'art. 3, paragrafo 1, lettere b) e c), lo Stato italiano viola la direttiva medesima quando con l'art. 2, comma 6-bis, decreto-legge n. 69 del 1988, conv. in legge n. 153 del 1988 non osserva la parita' di trattamento tra i beneficiari cittadini nazionali ed europei e quelli appartenenti a Paesi terzi che siano anche titolari di permesso unico di lavoro e di soggiorno ai sensi della medesima direttiva; tale accertata incompatibilita' rende evidente la non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 6-bis, decreto-legge n. 69 del 1988, conv. in legge n. 153 del 1988 per violazione dell'art. 11 della Costituzione e dell'art. 117, primo comma della Costituzione, quest'ultimo in relazione all'art. 12, paragrafo 1, lettera e), la' dove, ai fini della determinazione del diritto all'assegno per il nucleo familiare, non vengono presi in considerazione i familiari del lavoratore titolare di un permesso unico di lavoro e di soggiorno, ai sensi dell'art. 2, lettera b) della citata direttiva, relativa a una procedura unica di domanda per il rilascio di un permesso unico che consente ai cittadini di Paesi terzi di soggiornare e lavorare nel territorio di uno Stato membro e a un insieme comune di diritti per i lavoratori di Paesi terzi che soggiornano regolarmente in uno Stato membro. 26. La giurisprudenza costituzionale (Corte costituzionale n. 227 del 2010 e, in precedenza, le sentenze n. 232/1975, n. 183/1973, n. 98/1965 e n. 14/1964) ha individuato il sicuro fondamento del rapporto tra ordinamento nazionale e diritto comunitario nell'art. 11 della Costituzione, in forza del quale la Corte ha riconosciuto, tra l'altro, il principio di prevalenza del diritto comunitario e, conseguentemente, il potere-dovere del giudice nazionale di dare immediata applicazione alle norme comunitarie provviste di effetto diretto in luogo di norme interne che siano con esse in contrasto insanabile in via interpretativa; ovvero di sollevare questione di legittimita' costituzionale per violazione di quel parametro costituzionale quando il contrasto fosse con norme comunitarie prive di effetto diretto. Il novellato art. 117, primo comma, della Costituzione - che pure ha colmato la lacuna della mancata copertura costituzionale per le norme internazionali convenzionali, escluse dalla previsione dell'art. 10, primo comma, della Costituzione - ha dunque confermato espressamente, in parte, do' che era stato gia' collegato all'art. 11 della Costituzione, e cioe' l'obbligo del legislatore, statale e regionale, di rispettare i vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario. 27. Sempre la giurisprudenza costituzionale su richiamata ha affermato che non puo' attribuirsi effetto diretto, al fine di rendere possibile la disapplicazione della normativa nazionale incompatibile, all'art. 12 del Trattato CE, oggi art. 18 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, che vieta ogni discriminazione in base alla nazionalita' nel campo di applicazione del trattato. Anche sotto tale profilo e' stato ritenuto corretto il ricorso al giudice delle leggi, poiche' il contrasto della norma con il principio di non discriminazione non e' sempre di per se' sufficiente a consentire la «non applicazione» della confliggente norma interna da parte del giudice comune. Invero, il divieto in esame, pur essendo in linea di principio di diretta applicazione ed efficacia, non e' dotato di una portata assoluta tale da far ritenere sempre e comunque incompatibile la norma nazionale che formalmente vi contrasti, poiche' e' consentito al legislatore nazionale di prevedere una limitazione alla parita' di trattamento tra il proprio cittadino e il cittadino di altro Stato membro, a condizione che sia proporzionata e adeguata. 28. L'ipotesi di illegittimita' della norma nazionale per non corretta attuazione della decisione quadro e' riconducibile, pertanto, ai casi in cui, secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale, non sussiste il potere del giudice comune di «non applicare» la prima, bensi' il potere-dovere di sollevare questione di legittimita' costituzionale, per violazione degli articoli 11 e 117, primo comma, della Costituzione, integrati dalla norma conferente dell'Unione, ove, come nella specie, sia impossibile escludere il detto contrasto con gli ordinari strumenti ermeneutici consentiti dall'ordinamento. Thema decidendum. 29. Il profilo della questione attiene, dunque, alla violazione degli articoli 11 e 117, primo comma, della Costituzione in relazione all'art. 3, paragrafo 1, lettere b) e c) ed all'art. 12, paragrafo 1, lettera e) della direttiva n. 2011/98/UE del Parlamento europeo e Consiglio del 13 dicembre 2011, relativa allo status dei cittadini di Paesi terzi che siano titolari di permesso unico di soggiorno e di lavoro, da parte dell'art. 2, comma sei bis, decreto-legge n. 69 del 1988, conv. in legge n. 153 del 1988 che assoggetta ad un regime peculiare, regolato dal principio della reciprocita' o della apposita convenzione, i beneficiari dell'assegno per il nucleo familiare non cittadini italiani (o europei) che non risiedano sul territorio nazionale, piuttosto che ispirarsi al principio di parita' di trattamento senza discriminare a causa della nazionalita', come pure espressamente vietato dall'art. 12 della direttiva n. 2011/98 (applicabile ai cittadini di Paesi terzi, titolari del permesso unico di soggiorno e di lavoro come l'odierno contro ricorrente) che espressamente prevede il diritto dei lavoratori di cui all'art. 3, paragrafo 1, lettere b) e c), di beneficiare dello stesso trattamento riservato ai cittadini dello Stato membro in cui soggiornano per quanto concerne - fra l'altro - all'art. 12, paragrafo 1, lettera e), i settori della sicurezza sociale definiti nel regolamento (CE) n. 883/2004. Consegue alle argomentazioni sin qui svolte, che deve dichiararsi rilevante e non manifestamente infondata, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, decreto-legge n. 69 del 1988, conv. in legge n. 153 del 1988 per contrasto con gli articoli 11 della Costituzione e 117, primo comma, della Costituzione in relazione alla direttiva n. 2011/98, art. 12, paragrafo 1, lettera e) ed art. 3, paragrafo 1, lettere b) e c), che prevedono il diritto dei cittadini di Paesi terzi titolari di permesso unico di soggiorno di beneficiare dello stesso trattamento riservato ai cittadini dello Stato membro in cui soggiornano per quanto concerne - fra l'altro - all'art. 12, paragrafo 1, lettera e), i settori della sicurezza sociale definiti nel Regolamento (CE) n. 883/2004. A norma dall'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87, va dichiarata la sospensione del presente procedimento con l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. La cancelleria provvedera' alla notifica di copia della presente ordinanza alle parti e al Presidente del Consiglio dei ministri e alla comunicazione della stessa ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.
P.Q.M. La Corte di cassazione, visti l'art. 134 della Costituzione, l'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, dichiara rilevante e non manifestamente infondata, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma sei bis, decreto-legge n. 69 del 1988, conv. in legge n. 153 del 1988 per violazione degli articoli 11 e 117, primo comma, della Costituzione in relazione all'art. 3, paragrafo 1, lettere b) e c) ed all'art. 12, paragrafo 1, lettera e) della direttiva n. 2011/98/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, relativa allo status dei cittadini di Paesi terzi che siano titolari di permesso unico di soggiorno e di lavoro, nella parte in cui anche per i cittadini non appartenenti all'Unione europea titolari di permesso unico di soggiorno e di lavoro, prevede che non fanno parte del nucleo familiare di cui al comma 6 il coniuge ed i figli ed equiparati di cittadino straniero che non abbiano la residenza nel territorio della Repubblica, salvo che dallo Stato di cui lo straniero e' cittadino sia riservato un trattamento di reciprocita' nei confronti dei cittadini italiani ovvero sia stata stipulata convenzione internazionale in materia di trattamenti di famiglia, diversamente dagli altri beneficiari non cittadini stranieri; Sospende il presente procedimento; Manda la cancelleria per gli adempimenti previsti dall'art. 23, ultimo comma, legge 11 marzo 1953, n. 87 e dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Cosi' deciso in Roma il 3 marzo 2021. Il Presidente: Manna