N. 120 ORDINANZA (Atto di promovimento) 14 aprile 2021

Ordinanza  del  14  aprile  2021  della  Corte  di   cassazione   nel
procedimento civile promosso da Comune di Rutigliano  contro  Trojano
Maria. 
 
Espropriazione per pubblica utilita' - Norme della Regione  Puglia  -
  Determinazione dell'indennita' di espropriazione  -  Edificabilita'
  legale - Previsione che  sono  da  considerarsi,  comunque,  sempre
  legalmente  edificabili  tutte  le  aree  ricadenti  nel  perimetro
  continuo delle zone omogenee di tipo  A,  B,  C  e  D,  secondo  le
  definizioni di cui al d.m. 2 aprile 1968, n. 1444,  comprese  anche
  le aree a standard a esse riferite. 
- Legge della Regione Puglia 22 febbraio  2005,  n.  3  (Disposizioni
  regionali in materia di  espropriazioni  per  pubblica  utilita'  e
  prima  variazione  al  bilancio  di  previsione   per   l'esercizio
  finanziario 2005), art. 19 [, comma 2]. 
(GU n.36 del 8-9-2021 )
 
                   LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 
                        Prima Sezione civile 
 
    Composta dagli Ill.mi signori magistrati: 
        Pietro Campanile - Presidente; 
        Umberto L.C.G. Scotti - Consigliere; - Rel.; 
        Laura Tricomi - Consigliere; 
        Francesco Terrusi - Consigliere; 
        Alberto Pazzi - Consigliere; 
    Ordinanza interlocutoria sul ricorso n. 498/2016 proposto da: 
        Comune di Rutigliano, in persona  del  Sindaco  pro  tempore,
elettivamente domiciliato in Roma,  circonvallazione  Clodia  n.  80,
presso lo studio legale Arbia e rappresentato e difeso  dall'avvocato
Michele in  forza  di  procura  speciale  a  margine  del  ricorso  -
ricorrente; 
    Contro Trojano Maria, elettivamente domiciliata in Roma,  via  L.
Mantegazza  n.  24  presso  lo  studio  del  dott.  Marco  Gardin   e
rappresentata e difesa dall'avvocato Alessandro Di Cagno, in forza di
procura  speciale  a  margine  del  controricorso,   controricorrente
ricorrente - incidentale; 
    Avverso la sentenza n. 1608/2015 della Corte d'appello  di  Bari,
depositata il 15 ottobre 2015; 
    Udita la relazione della causa svolta nella Camera  di  consiglio
del 3 febbraio 2021 dal Consigliere  Umberto  Luigi  Cesare  Giuseppe
Scotti; 
 
                           Fatti di causa 
 
    1. Con atto di citazione notificato in data 8 aprile 2011,  Maria
Trojano convenne in giudizio dinanzi alla Corte d'appello di Bari  il
Comune di Rutigliano, esponendo di essere proprietaria del suolo sito
in Rutigliano e censito a catasto al foglio 10,  particella  131,  di
m.q. 744, incluso nel perimetro della zona «A» (centro  storico)  del
territorio comunale e tipizzato «F2-21» (Verde  pubblico  attrezzato,
giardini) dal piano regolatore, fondo espropriato con decreto  n.  29
dell'8 marzo 2008 dal medesimo comune, al fine di realizzare in  quel
sito un parcheggio pubblico alberato ed attrezzato. 
    1.1.  L'attrice  propose  azione  di  opposizione   alla   stima,
postulando la  natura  legalmente  edificabile  del  suolo  ai  sensi
dell'art. 19, comma 1,  della  legge  Regione  Puglia  n.  3  del  22
febbraio  2005  e  chiedendo  la  determinazione  dell'indennita'  di
esproprio in  misura  superiore  a  quella  offerta,  che  era  stata
provvisoriamente quantificata in euro 38.217,81. 
    1.2. Il Comune si costitui' in giudizio,  contestando  la  natura
edificabile  dell'area,   sia   in   ragione   dell'inesistenza   dei
presupposti previsti dalla  legge  regionale,  sia  alla  luce  della
tipizzazione «F2:  verde  pubblico  attrezzato  (giardini)»  ad  essa
assegnata dal vigente piano regolatore generale comunale e insistendo
per  la  correttezza  della  quantificazione   dell'indennita'   gia'
determinata,  in  quanto  rapportata  al  valore  venale   del   bene
dichiarato dalla stessa attrice ai fini ICI. 
    1.3.  La  consulenza  tecnica  d'ufficio,  esperita  dalla  Corte
d'appello di Bari, determino' l'indennita' di espropriazione in  euro
47.876,40,   mediante   l'impiego   del   metodo   estimativo    c.d.
«sintetico-comparativo». Il  predetto  valore,  in  assenza  di  dati
storici riferibili al valore dei suoli inclusi  in  zona  A,  era  il
risultato  di  una  media  tra  i   valori   dei   terreni   compresi
nell'adiacente zona di espansione B,  in  base  al  prezzo  medio  di
contrattazione valevole per queste aree, successivamente ridotto  con
l'applicazione di un  coefficiente  di  decremento  (pari  allo  0,33
stabilito dalla legge sull'equo canone per le aree adibite a terrazzi
e giardini) legato alla destinazione a  «verde  pubblico  attrezzato»
del suolo espropriato. 
    1.4. La Corte pugliese, con sentenza del 7 aprile 2015, ritenendo
di   non   poter   condividere   il   criterio    di    stima    c.d.
«sintetico-comparativo» adottato dal c.t.u. e sul presupposto che  la
determinazione  del  valore  venale  dell'immobile   avrebbe   dovuto
effettuarsi in applicazione del c.d.  «indice  fondiario  medio»,  ha
quantificato in via equitativa  l'indennita'  di  esproprio  in  euro
74.400,00, oltre interessi legali  dall'8  marzo  2011  all'effettivo
saldo sulla somma differenziale non depositata dal comune. 
    2. Avverso la predetta sentenza, notificata in forma esecutiva il
27 ottobre 2015, ha proposto ricorso  per  cassazione  il  Comune  di
Rutigliano con atto notificato il 23  dicembre  2015,  svolgendo  due
motivi. 
    2.1. Con il primo motivo di ricorso principale, proposto ex  art.
360, n. 3, cod. proc. civ., il comune  denuncia  violazione  o  falsa
applicazione di legge  in  relazione  all'art.  32  del  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 327/2001. 
    Lamenta il comune che il terreno in questione, pur ritenuto  «non
edificabile» e destinato a «F2 verde pubblico  attrezzato»,  non  era
stato valutato nel suo valore di  mercato  ma  alla  stregua  di  una
inammissibile liquidazione equitativa non prevista  dalla  legge,  in
contrasto  con  la  natura  eminentemente  tecnica  del  giudizio  di
opposizione alla stima e basandosi non gia' sull'art. 32  predetto  e
sui criteri da  esso  contemplati  ma  su  considerazioni  del  tutto
metagiuridiche circa  i  vantaggi  apportati  all'intera  zona  dalla
destinazione dell'area specifica a impieghi urbanistici di  interesse
pubblico. 
    Cosi' ragionando - secondo il ricorrente - la Corte d'appello  di
Bari,   nella   liquidazione    dell'indennita',    aveva    abdicato
all'applicazione dei criteri di quantificazione previsti alla legge e
dall'art. 32 del decreto del Presidente della Repubblica n. 327/2001,
sulla base di una valutazione  equitativa  del  tutto  estranea  alla
tipologia del giudizio in oggetto, procedendo poi a ridurre il valore
cosi'  individuato  nella  misura  del  50%  perche'  aveva  ritenuto
irrealistico che un'area adibita a parcheggio  avesse  un  valore  di
molto inferiore rispetto  alle  corrispondenti  aree  destinate  alla
edificazione. 
    2.2. Con il secondo motivo di  ricorso  principale,  proposto  ex
art. 360, n.  3,  cod.  proc.  civ.,  il  ricorrente  denuncia  falsa
applicazione di legge in relazione agli articoli  1226  e  2056  cod.
civ. per aver la Corte territoriale indebitamente sussunto sotto tali
norme la fattispecie concreta, trattando il tema della determinazione
dell'indennita' di esproprio alla  stregua  del  risarcimento  di  un
danno. 
    3.  Con  atto  notificato  il  3  febbraio   2016   ha   proposto
controricorso e  ricorso  incidentale  Maria  Troiano,  chiedendo  la
dichiarazione  di  inammissibilita'  o  il  rigetto   dell'avversaria
impugnazione e instando, a sua volta, con il supporto di tre  motivi,
per la Cassazione della sentenza impugnata. 
    3.1. Con il primo motivo di ricorso incidentale, proposto ex art.
360, n. 3, cod. proc. civ., Maria Trojano denuncia violazione o falsa
applicazione di legge in relazione all'art. 19, comma 2, della  legge
regionale pugliese n. 3 del 2005 che sancisce l'edificabilita' legale
di tutte le aree ricadenti nel perimetro delle zone omogenee di  tipo
A, B, C, D, comprese quelle destinate a standard. 
    La ricorrente incidentale sostiene che, una  volta  accertata  la
sussistenza nella fattispecie dei requisiti di omogeneita' della zona
A all'interno della quale ricadeva il  suolo  espropriato,  la  Corte
d'appello  avrebbe  dovuto  applicare  alla  lettera   la   normativa
regionale richiamata, senza operare alcun decremento nella misura del
50%. 
    3.2. Con il secondo motivo, proposto ex  art.  360,  n.  3,  cod.
proc. civ., la ricorrente incidentale  denuncia  violazione  o  falsa
applicazione di legge dell'art.  32,  decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 327/2001 per la mancata applicazione  del  criterio  di
valutazione «sintetico-comparativo», come  aveva  disposto  la  Corte
territoriale  nella  formulazione  del  quesito   e   nonostante   la
produzione  di  numerosi  documenti  di  paragone  da   parte   della
ricorrente incidentale. 
    3.3. Con il terzo motivo, proposto ex art. 360, n. 5, cod.  proc.
civ., la  ricorrente  incidentale  denuncia  omesso  esame  di  fatto
decisivo della controversia, discusso tra le parti,  con  riferimento
agli atti di paragone prodotti in giudizio dalla ricorrente  all'atto
della sua costituzione in giudizio e agli ulteriori atti di  paragone
prodotti al fine di sopperire alle carenze delle indagini del C.t.u. 
    3.4. In sintesi, la ricorrente incidentale contesta la  decisione
impugnata  nella  parte  in  cui  avrebbe  provveduto  a  determinare
l'indennita' di espropriazione in violazione delle norme  richiamate,
aderendo parzialmente alle valutazioni del consulente ing. Rubino  ed
omettendo di tenere in considerazione l'ampia produzione di  atti  di
paragone da parte della sig.ra Trojano. 
    4, Il comune ricorrente ha depositato memoria illustrativa del 21
gennaio 2021. 
 
                       Ragioni della decisione 
 
    1. La Corte di appello, pur essendo il  terreno  espropriato  non
edificabile in quanto inserito in sotto-zona F nell'ambito della zona
A del piano regolatore comunale di Rutigliano e  destinato  a  «verde
pubblico attrezzato - giardini», ha ritenuto,  in  cio'  seguendo  le
indicazioni del proprio consulente tecnico, di basarsi sui valori  di
mercato dei terreni, edificabili, della zona A e della adiacente zona
B, reputando  che  la  sottozona  vocata  a  standard  concorresse  a
determinare l'indice edilizio della zona in cui era inserita. 
    Nel caso di specie, la Corte d'appello di Bari  ha  condiviso  la
premessa della relazione del consulente d'ufficio, secondo  la  quale
l'edificabilita'  della  zona  in  cui  era   inserito   il   terreno
espropriato dipendeva dalla destinazione di certi suoi spazi a verde,
con   la   conseguenza   che   questi   spazi   partecipavano   nella
determinazione del valore di tutta l'area in quanto, senza  di  essi,
la zona non avrebbe potuto essere edificata e avrebbe  perso  il  suo
valore di zona residenziale. 
    Tuttavia, la Corte territoriale ha ritenuto di discostarsi  dalla
valutazione operata dall'ausiliario nella parte in cui  questi  aveva
suggerito un abbattimento del suddetto valore (pari ad un  terzo)  al
fine di operare una ricalibratura, in considerazione del fatto che il
suolo  in  questione,   pur   concorrendo   a   conferire   carattere
edificatorio all'intera zona, non era pero' di per se' edificabile in
modo diretto e  quindi  aveva  un  valore  commerciale  piu'  ridotto
rispetto ai suoli pienamente edificatori. 
    Secondo la Corte territoriale,  i  suoli  destinati  a  interesse
pubblico  (giardini,  fasce  di  rispetto,  fasce   stradali,   spazi
collettivi e simili), ricadenti  in  zone  urbanisticamente  dedicate
alla  edilizia,  debbono  essere  valutati  o   applicando   l'indice
fondiario medio pertinente all'intera zona, ovvero  decrementando  il
valore dei terreni piu' prossimi, destinanti  alla  edificazione,  in
misura tale da rispettare le caratteristiche essenziali del suolo  in
questione destinato invece a interesse collettivo, e percio'  di  per
se' non edificabile. 
    Nella specie, in difetto di dati sull'indice fondiario medio, non
fornito dal c.t.u. ne' da alcuna delle due parti, la  Corte  pugliese
ha   ritenuto   che   la   valutazione   dovesse    essere    operata
«necessariamente su base equitativa», riducendo il valore del 50% del
valore unitario del suolo edificabile a causa del fatto che il  suolo
in esame si trovasse precisamente al centro della zona, «sicche'  non
e' realistico ritenere che un'area  adibita  a  parcheggio  abbia  un
valore ridotto  rispetto  alle  corrispondenti  aree  destinate  alla
edificazione» (pag. 3, sentenza impugnata). 
    2. Il ragionamento della Corte  di  appello  e'  stato  censurato
dalle parti in diversa prospettiva. 
    2.1. Secondo il comune, la sentenza impugnata era viziata per  la
violazione  del  fondamentale  canone  normativo  che   imponeva   la
considerazione  del  regime  di  edificabilita'  legale  del  terreno
espropriato,  abbandonato  per  una  inammissibile  e   metagiuridica
liquidazione in via equitativa, del tutto estranea alla materia delle
espropriazioni. 
    2,2. Secondo la prof. Trojano, la sentenza impugnata era  viziata
- tra l'altro, ma  in  via  preliminare  -  dalla  mancata  e  invece
doverosa applicazione dei criteri fissati dalla legge  della  Regione
Puglia n. 3 del 2005, che conferiva l'edificabilita' legale  a  tutte
le aree ricadenti nel perimetro delle zone omogenee di tipo A, B,  C,
D comprese quelle destinate a standard. 
    3.    Secondo    la    giurisprudenza    costituzionale    (Corte
costituzionale, n. 348 e 349 del 24 ottobre 2007, 181 del  10  giugno
2011,  187  del  2  luglio  2014,  90  del  22   aprile   2016),   la
determinazione dell'indennita' espropriativa non puo' prescindere dal
valore reale del bene espropriato; il  legislatore,  pur  non  avendo
l'obbligo di commisurare  integralmente  l'indennita'  al  valore  di
mercato,  non  puo'  trascurare  tale  parametro,   che   costituisce
importante  termine  di  riferimento  ai   fini   dell'individuazione
dell'indennita' congrua, in modo da garantire  il  giusto  equilibrio
tra l'interesse generale e gli imperativi dettati dalla  salvaguardia
dei diritti fondamentali degli individui. 
    3.1. Tali principi sono opportunamente declinati nel capo VI  del
titolo II del decreto del Presidente  della  Repubblica  n.  327  del
2001. 
    L'art.  32  del  decreto  del  Presidente  della  Repubblica   n.
327/2001, in tema di criteri  di  determinazione  dell'indennita'  di
espropriazione, al primo comma,  prevede  che  «salvi  gli  specifici
criteri previsti  dalla  legge,  l'indennita'  di  espropriazione  e'
determinata sulla base delle  caratteristiche  del  bene  al  momento
dell'accordo di cessione o alla data dell'emanazione del  decreto  di
esproprio, valutando l'incidenza dei vincoli di qualsiasi natura  non
aventi natura espropriativa  e  senza  considerare  gli  effetti  del
vincolo   preordinato   all'esproprio   e   quelli   connessi    alla
realizzazione  dell'eventuale  opera  prevista,  anche  nel  caso  di
espropriazione di un diritto diverso da quello  di  proprieta'  o  di
imposizione di una servitu'». 
    3.2. La giurisprudenza di questa Corte e' ferma nel ritenere  che
per  la  determinazione  dell'indennita'  di   esproprio   la   legge
stabilisce, quale unico  criterio  per  individuare  la  destinazione
urbanistica  del  terreno  espropriato,  quello   dell'edificabilita'
legale; di conseguenza  un'area  va  ritenuta  edificabile  solo  ove
risulti classificata come tale dagli strumenti urbanistici vigenti al
momento della vicenda ablativa, e non anche quando la zona sia  stata
concretamente vincolata ad un utilizzo meramente pubblicistico (verde
pubblico, attrezzature pubbliche, viabilita' ecc.), che  comporta  un
vincolo di destinazione preclusivo ai privati di tutte  le  forme  di
trasformazione  del  suolo  riconducibili  alla  nozione  tecnica  di
edificazione, quale estrinsecazione dello  ius  aedificandi  connesso
con  il  diritto  di  proprieta'  ovvero   con   l'edilizia   privata
esprimibile dal proprietario dell'area, come tali, soggette al regime
autorizzatorio previsto dalla vigente legislazione edilizia (Sez.  1,
n. 18584 del 7 settembre 2020, Rv, 658810 - 01; Sez. 1, n. 25314  del
25 ottobre 2017, Rv. 646577 - 01; Sez. 1, n. 23639  del  21  novembre
2016, Rv. 642800 - 02; Sez. 1, n.  13172  del  24  giugno  2016,  Rv.
640217 - 01). 
    Ancora recentemente  le  Sezioni  Unite  di  questa  Corte  hanno
ribadito che ai fini della  determinazione  del  pregiudizio  per  la
perdita del godimento di aree occupate dalla pubblica amministrazione
in forza di un provvedimento legalmente dato, assume valore  decisivo
la suddivisione tra aree agricole (cui  sono  equiparate  quelle  non
classificabili come edificatorie) ed  aree  edificabili;  tra  queste
ultime, da individuarsi in base alle possibilita' legali ed effettive
di edificazione, non rientrano le zone concretamente vincolate ad  un
utilizzo  meramente  pubblicistico  (verde   pubblico,   attrezzature
pubbliche, viabilita', ecc.), in quanto  gravate  da  un  vincolo  di
destinazione che preclude ai privati tutte le forme di trasformazione
del suolo riconducibili alla nozione tecnica di  edificazione,  quale
estrinsecazione dello ius aedificandi  connesso  con  il  diritto  di
proprieta' ovvero con l'edilizia privata esprimibile dal proprietario
dell'area (Sez. U, n. 7454 del 19 marzo 2020, Rv. 657417 - 04). 
    Il diritto vivente pertanto impone di determinare l'indennita' di
espropriazione in relazione al valore venale, distinguendo tra  suoli
edificabili   e   non   edificabili   in   ragione    del    criterio
dell'edificabilita'  legale,  escluse  le  possibilita'   legali   di
edificazione qualora lo strumento urbanistico dell'epoca in cui  deve
compiersi la ricognizione legale  abbia  concretamente  vincolato  la
zona ad un utilizzo meramente pubblicistico; tuttavia, poiche'  nella
nozione tecnica di edificazione l'edilizia  privata  esprimibile  dal
proprietario dell'area  secondo  il  regime  autorizzatorio  previsto
dalla vigente legislazione, ai fini indennitari  deve  tenersi  anche
conto delle possibilita' di utilizzazione intermedia tra l'agricola e
l'edificatoria (parcheggi, depositi, attivita' sportive e ricreative,
chioschi  per  la  vendita  di  prodotti,  ecc.),  sempre  che  siano
assentite dalla normativa vigente,  sia  pure  con  il  conseguimento
delle opportune autorizzazioni (Sez. 6 - 1, n. 3168 del  1°  febbraio
2019, Rv. 652677 - 01). 
    Infine, allorche' la zona sia stata concretamente vincolata ad un
utilizzo  meramente  pubblicistico  (verde   pubblico,   attrezzature
pubbliche, viabilita' ecc.) dallo strumento urbanistico  vigente  non
rileva che la destinazione zonale consenta la costruzione di  edifici
e attrezzature pubblici, atteso che l'attivita' di trasformazione del
suolo   per   la   realizzazione    dell'opera    pubblica    rimessa
inderogabilmente  all'iniziativa  pubblica  non  e'  assimilabile  al
concetto di edificazione preso  in  considerazione  dalla  menzionata
normativa   agli   effetti   indennitari,    da    intendersi    come
estrinsecazione  dello  ius  aedificandi  connesso  al   diritto   di
proprieta' (Sez. 1, 23 maggio 2014 n. 11503; Sez. 1, 21  giugno  2016
n. 12818; Sez. 1, 24 giugno 2016 n. 13172). 
    Il criterio della edificabilita' legale riveste quindi  posizione
di  assoluta  supremazia  nel  sistema  e   impone   di   considerare
l'attitudine allo sfruttamento edilizio alla stregua della disciplina
urbanistica  vigente,  anche   se   non   si   puo'   escludere   che
l'edificabilita' di  fatto  possa  fungere  da  criterio  integrativo
necessario alla verifica della concreta realizzazione di  costruzioni
e alla quantificazione delle potenzialita' di utilizzo del  suolo  al
momento in cui si compie la vicenda ablativa (da ultimo, Sez.  1,  26
giugno 2019 n. 17115). 
    3.3. Come questa Corte  ha  piu'  volte  affermato,  in  tema  di
liquidazione  dell'indennita'   di   espropriazione   per   le   aree
edificabili, la determinazione  del  valore  del  fondo  puo'  essere
effettuata  tanto  con   metodo   sintetico-comparativo,   volto   ad
individuare  il  prezzo  di  mercato  dell'immobile   attraverso   il
confronto con quelli  aventi  caratteristiche  omogenee,  quanto  con
metodo analitico-ricostruttivo, fondato sull'accertamento  del  costo
di trasformazione del  fondo,  non  potendosi  stabilire  tra  i  due
criteri un rapporto di  regola  ad  eccezione,  e  restando  pertanto
rimessa al giudice  di  merito  la  scelta  di  un  metodo  di  stima
improntato, per quanto possibile, a canoni di effettivita'  (Sez.  1,
n. 11081 del 25 febbraio 2020; Sez. 6 -  1,  n.  6243  del  31  marzo
2016). 
    4.  Il  ricorso  principale  coglierebbe  quindi  nel  segno  nel
lamentare la violazione dell'art. 32 del decreto del Presidente della
Repubblica n. 327/2001 e l'abbandono del criterio dell'edificabilita'
legale  per  adottare  un  sistema  di  valorizzazione  equitativo  e
perequativo,  volto  ad  omologare  il  terreno  non  edificabile   e
vincolato a verde pubblico a quelli ricompresi nella stessa zona. 
    4.1. La ricorrente incidentale invoca pero' l'art. 19 della  L.R.
Puglia  3  del  22  febbraio  2005,   rubricato   «Disposizioni   sul
riconoscimento dell'edificabilita' legale», che testualmente prevede: 
        «1. Il requisito di  edificabilita'  legale  dei  terreni  da
espropriare e' definito con riferimento ai criteri  di  cui  all'art.
32, comma 1, e all'art. 37, commi 3,  4,  5  e  6,  del  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 327/2001 e successive modifiche. 
        2.  Sono  da  considerarsi,   comunque,   sempre   legalmente
edificabili tutte le aree ricadenti nel perimetro continuo delle zone
omogenee di tipo A, B, C e  D,  secondo  le  definizioni  di  cui  al
decreto interministeriale 2 aprile 1968, n. 1444 (Limiti inderogabili
di densita' edilizia, di altezza, di  distanza  fra  i  fabbricati  e
rapporti  massimi  tra  gli   spazi   destinati   agli   insediamenti
residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attivita'
collettive, al verde pubblico o a parcheggi,  da  osservare  ai  fini
della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di
quelli esistenti, ai sensi dell'art. 17 della legge 6 agosto 1967, n.
765), comprese anche le aree a standard a esse riferite. 
        3. La regione  puo'  specificare  ulteriori  criteri  per  la
definizione del requisito di edificabilita' legale, in rapporto  alla
vigente normativa urbanistica». 
    4.2. Il secondo comma dell'art. 19, dopo un iniziale rinvio  alla
disciplina statuale in punto  edificabilita'  legale,  introduce  una
deroga assai  significativa,  imponendo  di  considerare  «legalmente
edificabili», evidentemente ai  limitati  fini  della  determinazione
dell'indennita' di espropriazione, terreni che edificabili non  sono,
in quanto destinati a standard. 
    Gli standard urbanistici rappresentano i rapporti massimi tra gli
spazi destinati agli insediamenti residenziali e gli  spazi  pubblici
riservati alle attivita' collettive,  all'edilizia  scolastica,  come
aree per l'istruzione, aree per attrezzature di interesse  comune,  a
verde pubblico o a parcheggi. 
    La predetta equiparazione rinviene il suo solo limite  nel  fatto
che il terreno de quo si trovi nell'ambito delle aree  ricadenti  nel
perimetro continuo delle zone omogenee di tipo A, B, C e  D,  secondo
le definizioni di cui al decreto interministeriale 2 aprile 1968,  n.
1444. 
    4.3. E' evidente che la disposizione del secondo comma del citato
art. 19 introduce una fictio legis di edificabilita' legale  ai  soli
fini della determinazione del trattamento indennitario espropriativo,
priva di ogni ripercussione sul  versante  urbanistico  ed  edilizio,
perseguendo una finalita' sostanzialmente perequativa. 
    4.4. Tale norma, benche' invocata dalla sig.ra  Trojano,  non  e'
stata applicata dalla Corte di  appello,  che  tuttavia,  nell'ambito
della  propria   argomentazione   finalizzata   alla   determinazione
equitativa dell'indennita', ha comunque  ritenuto  di  equiparare  il
terreno espropriato a quelli edificabili ricompresi nella stessa zona
e  in  quella  adiacente  ai   fini   della   ricerca   del   tertium
comparationis, salvo poi applicare sul  risultato  della  ricerca  un
abbattimento compensativo del 50%. 
    5. La citata disciplina regionale  e'  rilevante  ai  fini  della
decisione sottoposta a questa Corte. 
    5.1. Da un lato, il ricorrente Comune di Rutigliano,  chiede,  in
contrasto con essa, di considerare il terreno  espropriato  come  non
edificabile, benche'  compreso  nel  perimetro  continuo  delle  zone
omogenee di tipo A, B, C e  D,  secondo  le  definizioni  di  cui  al
decreto interministeriale 2 aprile 1968, n. 1444. 
    5.2.  Dall'altro,  la  ricorrente   incidentale   Maria   Trojano
sollecita l'applicazione della disciplina regionale sia per resistere
all'avversaria  impugnazione,   sia   per   chiedere   l'eliminazione
dell'abbattimento del 50% praticato dalla Corte barese. 
    5.3. Questa Corte dubita della legittimita' costituzionale  della
disposizione ricordata, e cioe' dell'art. 19, comma  2,  della  legge
della Regione Puglia n. 3 del 22 febbraio 2005. 
    La questione di  legittimita'  costituzionale  e'  rilevante,  ai
sensi del comma 2 della legge costituzionale 11 marzo  1953,  n.  87,
perche', per quanto appena  esposto,  il  giudizio  non  puo'  essere
definito indipendentemente dalla sua risoluzione. 
    5.4.  Occorre  aggiungere  che  la  Corte  ritiene  che  non  sia
assolutamente  possibile,   a   fronte   dell'inequivocabile   tenore
letterale della disposizione in esame, pervenire, nel rispetto  della
valenza testuale e semantica delle espressioni usate dal  Legislatore
pugliese, a un'interpretazione costituzionalmente  orientata  che  le
attribuisca un significato e una valenza conformi  a  Costituzione  e
cioe' rispettose delle  prerogative  statuali  in  tema  di  uniforme
applicazione dei criteri per  la  determinazione  dell'indennita'  di
espropriazione. 
    In particolare e soprattutto, l'impugnazione incidentale proposta
dall'espropriata prof. Trojano non consente  di  affrontare  il  tema
della determinazione dell'indennita'  prescindendo  dall'applicazione
della legge regionale. 
    6. Analoga questione e' stata recentemente  sollevata  da  questa
Corte con ordinanza n.  726  del  15  gennaio  2020  con  riferimento
all'art. 20, comma 1, della legge della Regione Emilia Romagna n.  37
del 2002, che allo stato non  e'  stata  ancora  decisa  dalla  Corte
costituzionale. 
    Cio' non puo' esimere questa Corte dal proporre anche  in  questo
caso la questione, reputata ut infra  non  manifestamente  infondata,
nei confronti di una diversa disciplina adottata da un'altra regione,
con una formulazione testuale lievemente differente,  ma  in  termini
sostanzialmente analoghi e con  lo  scopo  di  perseguire  lo  stesso
intento lato sensu perequativo. 
    7. Il dubbio di legittimita' costituzionalita' viene proposto con
riferimento al sospettato contrasto della  disposizione  della  legge
regionale in principalita' con l'art. 3, comma 1, e l'art. 117, comma
2, lettere l) ed m), o, in subordine, con l'art. 3, comma 1, e l'art.
117, comma 3 della Costituzione. 
    7.1. L'art. 117, comma 2, lettera l), attribuisce allo  Stato  la
legislazione esclusiva in tema di «ordinamento civile», oltre che  di
giurisdizione e norme processuali,  ordinamento  penale  e  giustizia
amministrativa;  la  successiva  lettera  m)   riserva   allo   Stato
determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i
diritti civili e sociali che devono  essere  garantiti  su  tutto  il
territorio nazionale. 
    Il terzo comma dello stesso art.  117  individua  le  materie  di
legislazione concorrente tra Stato e regioni, nelle quali spetta alle
regioni la potesta' legislativa, salvo che per la determinazione  dei
principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato, e fra
di esse la materia del «governo del territorio». 
    Questa  Corte  ritiene  che   la   materia   dell'indennita'   di
espropriazione rientri nell'ordinamento civile e quindi  sia  coperta
dalla riserva di legislazione statuale. 
    Per questa  ragione,  la  questione  di  costituzionalita'  viene
prospettata   in   principalita'   con   riferimento   all'ipotizzata
violazione del secondo comma dell'art. 117. 
    7.2. In subordine, il dubbio persiste anche se  dovesse  ritenere
che la materia dell'indennita' di espropriazione rientri invece nella
legislazione concorrente, quale strumento di Governo  del  territorio
attraverso la disciplina urbanistica ed edilizia. 
    7.3. La Carta costituzionale e la legge costituzionale n. 87  del
1953 non paiono frapporre alcun ostacolo  alla  formulazione  in  via
gradata, attraverso la tecnica della subordinazione  logica,  di  una
questione  incidentale  di   legittimita'   costituzionale   di   una
disposizione di legge, della quale il giudice remittente ipotizzi, in
principalita' il  contrasto  con  un  precetto  costituzionale  e  in
subordine con un altro, tanto piu' quando i due precetti si integrino
a vicenda nel contesto della Costituzione. 
    8.  Secondo  questa  Corte,   la   materia   dell'indennita'   di
espropriazione, con particolare riferimento ai  criteri  per  la  sua
determinazione, rientra nell'ordinamento civile. 
    8.1.  L'espropriazione  per  pubblica  utilita'  e  il   relativo
indennizzo  attengono  infatti   al   regime   costituzionale   della
proprieta', quale delineato dall'art. 42 della  Costituzione,  dunque
alla materia dell'ordinamento civile, la cui disciplina e'  riservata
alla legislazione esclusiva statale. 
    Lo Stato possiede quindi la competenza esclusiva  a  disciplinare
l'ordinamento civile (nel  cui  perimetro  rientrano  il  diritto  di
proprieta' privata e la qualificazione giuridica dei beni che ne sono
oggetto) e le prestazioni concernenti i diritti civili,  che  esigono
l'uniforme   applicazione   dei   criteri   per   la   determinazione
dell'indennita' di espropriazione. 
    8.2. La Corte costituzionale, nell'ultima  parte  della  sentenza
del 2 marzo 2004 n. 73, allorche' era  stata  chiamata  ad  occuparsi
della legittimita' costituzionale  dell'art.  22  della  legge  della
Regione Emilia Romagna n. 37 del 2002, ha mostrato implicitamente  di
poter condividere tale ricostruzione allorche',  nel  respingere  per
altre  ragioni  la  questione,  ha  affermato  che  la   disposizione
censurata  non   individuava   modalita'   o   criteri   di   calcolo
dell'indennizzo, ne'  quantificava  l'entita'  dello  stesso,  ma  si
limitava ad  affermare  la  necessita'  che  fossero  specificate  le
condizioni in presenza delle  quali  un'area  possiede  il  carattere
dell'edificabilita' di  fatto,  affermando  incidentalmente  che  nel
primo caso, che nella specie non  ricorreva,  «...  semmai,  potrebbe
porsi un'esigenza di definizione uniforme...». 
    8.3. Ragionando in questa principale prospettiva, la disposizione
di legge regionale invade  la  competenza  statuale  incidendo  sulla
definizione   uniforme   dell'indennizzo   spettante   ai    soggetti
espropriati, qualificando - a quel solo limitato fine e  cioe'  senza
incidere sul  regime  urbanistico  ed  edilizio  del  terreno  e  nel
«governo  del  territorio»  -  come  «edificabile»  un  terreno   che
«edificabile» non e' e non lo diventa. 
    La norma regionale presta inizialmente solo un formale omaggio  e
un apparente rispetto nel primo comma alla  legislazione  statuale  e
agli articoli 32 e 37 del decreto del Presidente della Repubblica  n.
327 del 2001, in tema di  «requisito  di  edificabilita'  legale  dei
terreni da espropriare»,  per  sovrapporvi  con  l'automatismo  della
presunzione assoluta («Sono da  considerarsi,  comunque,  sempre...»)
del secondo comma una ben diversa nozione di  edificabilita'  legale,
che nulla  a  che  vedere  con  l'edilizia  privata  esprimibile  dal
proprietario dell'area e le concrete possibilita' di sfruttamento del
suolo che a lui competono. 
    8.4.  Tale  diversa  nozione   persegue   evidentemente   intenti
redistributivi e perequativi fra i proprietari dei  suoli  ricompresi
in  un  certo  ambito  territoriale  che  esulano  dalla   competenza
legislativa regionale e la cui adozione potrebbe spettare  solo  allo
Stato. 
    E' del tutto manifesta, infatti, l'incidenza di  tale  disciplina
sullo statuto del diritto di proprieta' del privato e  sulla  portata
dell'indennizzo volto a compensare con  un  «serio  ristoro»  il  suo
sacrificio nell'interesse pubblico, nel sistema  delineato  dall'art.
42,  comma  3,  e  dall'art.  117,  comma  1,   della   Costituzione,
quest'ultimo in relazione all'art. 1 del protocollo addizionale CEDU. 
    8.5. Secondo la Corte costituzionale occorre fare riferimento «al
valore del bene in relazione  alle  sue  caratteristiche  essenziali,
fatte palesi  dalla  potenziale  utilizzazione  economica  di  esso»,
secondo il principio affermato con la sentenza n. 5  del  30  gennaio
1980, e poi ripreso dalle sentenze n. 348 del 24 ottobre  2007  e  n.
181 del 10 giugno 2011. 
    Nella  giurisprudenza  della  Corte  costituzionale  e'   inoltre
costante l'affermazione che l'indennizzo  assicurato  all'espropriato
dall'art. 42, comma 3, Cost., se non deve  costituire  una  integrale
riparazione per la perdita subita, in quanto  occorre  coordinare  il
diritto del privato con  l'interesse  generale  che  l'espropriazione
mira a realizzare, non puo' essere, tuttavia, fissato in  una  misura
irrisoria o meramente  simbolica,  ma  deve  rappresentare  un  serio
ristoro; per raggiungere tale finalita'  «occorre  fare  riferimento,
per  la  determinazione  dell'indennizzo,  al  valore  del  bene   in
relazione alle sue caratteristiche  essenziali,  fatte  palesi  dalla
potenziale utilizzazione economica di esso, secondo  legge.  Solo  in
tal  modo  puo'  assicurarsi  la  congruita'  del  ristoro  spettante
all'espropriato  ed  evitare  che  esso  sia  meramente  apparente  o
irrisorio rispetto al valore del bene». 
    8.6. E' pur vero che nella fattispecie la disposizione regionale,
nel disancorare la determinazione dell'indennizzo  espropriativo  dal
valore effettivo  e  di  mercato  del  bene  in  relazione  alle  sue
caratteristiche  essenziali  e  dalla  sua  potenziale  utilizzazione
economica nel rispetto della legge,  gioca  in  favore  del  soggetto
espropriato, garantendogli  un  indennizzo  normalmente  maggiore  di
quello collegato alle reali possibilita'  di  sfruttamento  del  bene
secundum legem. 
    Cosi' facendo, tuttavia, invade la competenza statuale in materia
di ordinamento  civile,  la  cui  previsione  scaturisce  linearmente
dall'esigenza  di  uniforme  trattamento  dei  diritti   civili   dei
cittadini a prescindere dalla regione di appartenenza. 
    8.7. La Corte costituzionale, sin dalle sue prime  decisioni,  ha
tenuto ben saldo il limite del «diritto privato» per la  legislazione
regionale affermando che le leggi regionali non possono  disciplinare
rapporti nascenti dall'attivita' privata, che devono essere  regolati
dal codice civile, potendo invece occuparsi  dei  problemi  alla  cui
soluzione e' interessata la collettivita' (Corte cost. n. 7 e  n.  72
del 1956). 
    Il limite del diritto privato  e'  stato  fondato  sull'esigenza,
connessa al principio costituzionale  di  eguaglianza,  di  garantire
l'uniformita' nel territorio nazionale delle regole  fondamentali  di
diritto  che  disciplinano  i  rapporti  fra  privati,   in   stretto
collegamento   con   i   principi   costituzionali   di   unita'    e
indivisibilita' della Repubblica e di eguaglianza  dei  cittadini  di
fronte alla legge di cui agli  articoli  5  e  3  della  Costituzione
(Corte cost. n. 36 del 26 gennaio 1957, n. 154 del 1972, n. 35 del 13
febbraio 1995, n. 462 del 26 ottobre 1995, n. 82 del 20 maggio 1998). 
    Con la sentenza n. 391 dell'11 luglio 1989 (a cui hanno fatto eco
le sentenze nn. 379/1994, 164/2000, 190/2001) la Corte costituzionale
affermo' che «la  preclusione  al  potere  legislativo  regionale  di
interferenze nella  disciplina  dei  diritti  soggettivi  riguarda  i
profili civilistici dei rapporti da cui derivano,  cioe'  i  modi  di
acquisto  e  di  estinzione,  i  modi  di  accertamento,  le   regole
sull'adempimento  delle  obbligazioni  e  sulla  responsabilita'  per
inadempimento, la disciplina della responsabilita' extracontrattuale,
i limiti dei diritti di proprieta' connessi ai rapporti di  vicinato,
e via esemplificando. Per quanto  attiene,  invece,  alla  normazione
conformativa del contenuto dei diritti di proprieta'  allo  scopo  di
assicurarne la  funzione  sociale,  la  riserva  di  legge  stabilita
dall'art. 42 Cost. puo' trovare attuazione anche in leggi  regionali,
nell'ambito, s'intende, delle materie indicate dall'art. 117». 
    Venne  cosi'  tracciata  la  distinzione  tra  i   principi   che
rappresentano «l'essenza del diritto privato» e tutto cio' che vi  fa
da contorno, sottraendo alle regioni tutte quelle previsioni che, pur
ricadenti nei settori materiali di competenza regionale, non  fossero
specificamente volte a regolare l'organizzazione o l'attivita' di una
pubblica amministrazione. 
    Con  la  sentenza  n.  352  del  6   novembre   2001   la   Corte
costituzionale  ha  affermato  che  il  limite  dell'ordinamento  del
diritto privato non opera  in  modo  assoluto,  in  quanto  anche  la
disciplina  dei  rapporti  privatistici  puo'   subire   un   qualche
adattamento, a condizione  della  sua  stretta  connessione  con  una
materia di  competenza  regionale  e  della  sua  rispondenza  ad  un
criterio di ragionevolezza che valga  a  soddisfare  le  esigenze  di
uguaglianza, declinato come divieto di discipline differenziate. 
    Affiora in tal modo la concezione del diritto privato come limite
- piu' che  come  vera  e  propria  materia  -  che  puo'  riguardare
trasversalmente tutte le materie  regionali  ed  opera  quale  titolo
prioritario di legittimazione dello Stato. 
    Dopo la riforma costituzionale  del  titolo  V,  con  la  materia
«ordinamento civile», l'apertura della  Corte  costituzionale  a  uno
spazio di «diritto privato regionale» e' stata assai limitata. 
    Con le sentenze n. 282 del 26 giugno 2002 e n. 94  del  28  marzo
2003, il Giudice delle leggi ha distinto i principi e i criteri della
responsabilita',   che   indubbiamente   appartengono   all'area   di
competenza statuale,  dalle  regole  concrete  di  condotta,  la  cui
osservanza o la cui violazione  puo'  assumere  rilievo  in  sede  di
concreto  accertamento  della  responsabilita',   sotto   specie   di
osservanza  o  di  violazione  dei  doveri  inerenti   alle   diverse
attivita', che possono  essere  disciplinate,  salva  l'incidenza  di
altri limiti, dal legislatore regionale. 
    Con le sentenze n. 359 del 19 dicembre  2003  e  n.  282  del  28
luglio 2004 la Corte costituzionale  ha  posto  in  evidenza  che  la
riserva  statale  in  tema  di   «ordinamento   civile»   rappresenta
l'esplicitazione  del  precedente  divieto,   per   la   legislazione
regionale, di alterare «le regole  fondamentali  che  disciplinano  i
rapporti privati». 
    La nozione di «ordinamento  civile»  sembra  cosi'  evolversi  da
«materia»  in   senso   stretto,   quale   insieme   di   fattispecie
predeterminabili attraverso il riferimento ad un  oggetto,  verso  la
figura di un limite trasversale capace di fondare una competenza  del
legislatore statale idonea ad investire  tutte  le  materie,  per  le
quali  e'  necessario  assicurare  a  tutti,  sull'intero  territorio
nazionale, il godimento  di  prestazioni  garantite,  come  contenuto
essenziale di tali diritti, senza che la legislazione regionale possa
limitarle o condizionarle. 
    In altre pronunce (n. 50 e 51 del 28 gennaio 2005)  la  Corte  ha
avvertito l'esigenza di tener conto della modificazione del  contesto
costituzionale  in  cui  il  limite  si  cala  nelle  situazioni   di
«concorrenza  delle  competenze»,  nelle  quali   un   intreccio   di
competenze legislative si realizza nell'ambito di un corpo  normativo
unitario e non puo' esser risolto individuando un confine  netto  fra
competenze legislative dello Stato e delle  regioni  individuando  il
criterio di prevalenza ed il principio di leale collaborazione. 
    Con la sentenza  n.  173  del  28  aprile  2006  la  Consulta  ha
precisato  che   il   campo   delle   persone   giuridiche   estranee
all'ordinamento sanitario regionale e  del  loro  patrimonio  rientra
nella materia dell'ordinamento civile, riservata allo Stato,  in  via
esclusiva,  dall'art.  117,  secondo   comma,   lettera   l),   della
Costituzione. 
    E' stato piu' volte ribadito che i limiti di distanze, altezze  e
densita' edilizie previsti dal decreto ministeriale n. 1444 del  1968
(cui va riconosciuta valenza di legge) sono vincolanti anche  per  le
regioni e le province autonome, che possono apportarvi  deroghe  solo
nell'ambito della definizione o revisione  di  strumenti  urbanistici
comunque  funzionali  a  un  assetto  complessivo  e  unitario  o  di
specifiche aree territoriali (Corte cost., n. 13 del 7 febbraio 2020;
n. 6 del 23 gennaio 2013; n. 41 del 24 febbraio 2017, n. 185  del  20
luglio 2016). 
    Anche nella piu' recente giurisprudenza della Consulta (24 aprile
2020 n. 71) e' stato riconosciuto nella materia degli usi civici  che
la determinazione del regime giuridico dei beni  immobili  appartiene
alla materia dell'ordinamento civile. 
    8.8. Le conclusioni non mutano sostanzialmente  sia  leggendo  la
nozione di ordinamento  civile  come  vera  e  propria  materia,  sia
interpretandolo  quale  limite  trasversale,  in  maggior   o   minor
continuita'  con  la  pregressa  concezione  dello  sbarramento   del
«diritto privato», sia, infine attribuendo rilievo discriminante alla
ragionevolezza dell'intervento regionale: questa, infatti,  nel  caso
in esame evidentemente difetta, sia nel profilo intrinseco, visto che
la connessione con la competenza in materia edilizia e urbanistica e'
puramente  fittizia,  sia  nel   profilo   estrinseco,   poiche'   la
disposizione  in  questione  interferisce  in  modo  pesante  con  la
sensibilissima  disciplina  della  misura  dell'indennizzo  del  bene
espropriato. 
    8.9. Conclusivamente sul punto, la Corte  osserva  che  la  legge
regionale de qua con la disposizione indicata pare invadere il  campo
riservato allo Stato nella determinazione  dell'indennita'  spettante
al proprietario del terreno espropriato, poiche'  incide  -  e  molto
significativamente - sui criteri generali  della  sua  commisurazione
quanto alla regola fondamentale che disciplina direttamente la misura
dell'indennizzo  e  non  si  limita  a  definire  profili   meramente
procedimentali dell'iter  espropriativo  o  aspetti  di  governo  del
territorio,  edilizia  e  urbanistica,  visto  che  la   destinazione
dell'area e la sua possibilita' di sfruttamento da parte del  privato
restano immutate. 
    La   possibilita'   di   intervento   regionale   nella   materia
dell'espropriazione,  quale  istituto  strumentale  e  ancillare   al
perseguimento dei pubblici interessi nei vari  ambiti  di  intervento
della  pubblica  amministrazione,  non  puo'   essere   estesa   alla
disciplina dell'indennita' di espropriazione e dei criteri per la sua
determinazione, che attengono ai limiti e al contenuto del diritto di
proprieta' e che pertanto la collocano  a  pieno  titolo  nell'ambito
dell'ordinamento civile. 
    L'art. 42, comma 3, e l'art. 117, comma 1, Cost., quest'ultimo in
relazione  all'art.  1  del  primo   protocollo   addizionale   della
Convenzione  europea  dei  diritti  dell'uomo,   nell'interpretazione
datane dalla Corte europea dei diritti dell'uomo,  laddove  ammettono
che la proprieta' privata possa  essere,  nei  casi  preveduti  dalla
legge,  e  salvo  indennizzo,  espropriata  per  motivi   d'interesse
generale, esigono che il contemperamento fra l'interesse generale che
consente il sacrificio e  il  diritto  del  privato  avvenga  con  lo
strumento  dell'indennizzo,  determinato  secondo  regole  capaci  di
assicurare  all'espropriato  un  serio  ristoro  (ex   multis   Corte
costituzionale n. 181 del 10 giugno 2011) in modo uniforme  su  tutto
il territorio nazionale. 
    La disciplina del  contenuto  dell'indennita'  di  espropriazione
deve  quindi  ritenersi  riconducibile   all'ordinamento   civile   e
configurare un'ipotesi di legislazione  statale  esclusiva,  ex  art.
117, comma 2, lettera l),  Cost.,  norma  da  leggersi  in  combinato
disposto con l'art. 42 Cost., che si riferisce alla legge dello Stato
sia per «riconoscere e garantire»  la  proprieta'  privata,  sia  per
stabilire  i  presupposti  di  espropriabilita'  degli  immobili   la
quantificazione dell'indennizzo. 
    A  differenza  delle  disposizioni  in   tema   di   procedimento
espropriativo, che attengono all'esercizio del potere  amministrativo
conferito alle singole  pubbliche  amministrazioni,  l'individuazione
dei  presupposti  per  l'esercizio  del   potere   ablatorio   e   la
determinazione dell'indennizzo rientrano nella  potesta'  legislativa
esclusiva dello Stato: ambedue gli  aspetti,  infatti,  attengono  al
regime giuridico della proprieta' e le relative disposizioni  possono
essere iscritte nell'«ordinamento civile». 
    Il monopolio legislativo dello Stato appare pertanto giustificato
dalla necessita' di mantenere di introdurre criteri  univoci  per  la
determinazione dell'indennizzo su tutto il territorio nazionale. 
    8.10.  Per  altro  verso,  l'art.  117,  comma  2,  lettera   m),
attribuisce  allo  Stato  la  legislazione  esclusiva  in   tema   di
determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i
diritti civili e sociali che devono  essere  garantiti  su  tutto  il
territorio nazionale ed anche in questa prospettiva l'invasione della
competenza  statuale  sembra   riflettersi   sull'equivalenza   delle
prestazioni  uniformemente  garantite  a  tutti  i  cittadini   della
Repubblica. 
    8.11. Non pare  meno  evidente  la  violazione  al  principio  di
eguaglianza di tutti i cittadini dinanzi alla legge (art. 3, comma 1,
Cost.), quale conseguenza ulteriore della violazione della competenza
statuale esclusiva. 
    Cittadini che versano nella medesima situazione,  quali  soggetti
espropriati di un terreno destinato a standard e  ricompreso  in  una
zona edificabile del perimetro  urbano,  si  vedrebbero  diversamente
indennizzati,  a  seconda  delle  differenti  legislazioni  regionali
vigenti, in un caso con una somma parametrata al valore di mercato di
un terreno edificabile e nell'altro con  una  somma  ragguagliata  al
valore  di  mercato  di  un  terreno  non  edificabile,  con   enormi
differenze di valutazione. 
    9. In linea subordinata, la Corte intende proporre l'eccezione di
illegittimita' costituzionale con riferimento agli articoli 3,  comma
1 e 117, comma 3, della Costituzione, e quindi nella stessa linea  di
ragionamento che ha ispirato la precedente  rimessione  disposta  con
ordinanza n. 726 del 15 gennaio 2020. 
    Questa  seconda  e  subordinata  prospettiva  e'   basata   sulla
qualificazione come ripartita della competenza legislativa in materia
espropriativa, proposta nella giurisprudenza di  questa  Corte  dalla
sentenza della Sez. 1, n. 11921 del 12 maggio 2017, che in  relazione
all'avvenuta riformulazione dell'art. 117 Cost. ad opera della  legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, ha affrontato approfonditamente
il   tema   della   rilevanza   costituzionale    della    disciplina
dell'espropriazione. 
    9.1.  In  quella  occasione  venne   osservato   che   la   legge
costituzionale ha ridistribuito le competenze legislative in base  ad
uno schema imperniato sulla enumerazione delle competenze statali, e,
con un rovesciamento completo della previgente tecnica  del  riparto,
ha  affidato  alle   regioni,   oltre   alla   potesta'   legislativa
concorrente, da esercitarsi  nei  limiti  dei  principi  fondamentali
stabiliti dallo Stato, una competenza legislativa residuale (art. 117
Cost., comma 4). 
    9.2. Nel  quadro  che  ne  e'  derivato,  cosi'  come  del  resto
nell'originario titolo V, l'espropriazione non e'  stata  considerata
come una vera e propria  «materia»;  visto  che  non  e'  inclusa  in
nessuno dei relativi elenchi a  differenza  di  quanto,  invece,  era
avvenuto negli Statuti delle regioni  speciali:  in  particolare,  in
quelli della Sicilia (art. 4, lettera s), della legge  costituzionale
16  febbraio  1948,  n.  2)  e  del  Trentino   Alto   Adige   (legge
costituzionale 26 febbraio 1948, n. 5, art. 4, n. 4) l'espropriazione
e' infatti prevista come materia di competenza legislativa esclusiva,
mentre negli statuti della Sardegna legge costituzionale 26  febbraio
1948, n. 3, (art. 4, lettera d), e del Friuli-Venezia  Giulia  (legge
costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1, art. 5, n. 11) come materia  di
competenza concorrente; infine  nello  statuto  della  Valle  d'Aosta
(legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4,  art.  3)  e'  prevista
come materia di legislazione integrativa ed attuativi. 
    9.3.  Di  conseguenza  la   disciplina   espropriativa   non   si
configurerebbe come materia  autonoma  (e  cioe'  come  categoria  di
interessi  oggettivamente  individuata),  bensi'  come  un  «istituto
servente», strumentale ad  ogni  interesse  pubblico  a  cui  risulti
funzionale  l'acquisizione  di  un  bene;  percio'  da  riferire  non
soltanto all'urbanistica ovvero ai lavori pubblici, pur se assorbenti
la quasi totalita' delle espropriazioni (che  d'altra  parte  nascono
per la realizzazione di opere di pubblica utilita'), ma, sia pure  in
via residuale, ad altre materie anche di competenza regionale. 
    Di  qui  il  corollario  che  l'espropriazione,  quale   istituto
«trasversale» cui e' assegnata una funzione «servente» e strumentale,
costituisce oggetto di disciplina rispettivamente dello Stato e delle
regioni nelle materie in cui tali  enti  hanno  potesta'  legislativa
esclusiva e per converso di disciplina concorrente nelle  materie  di
competenza  ripartita.  Ed  in  quest'ultima   categoria   la   Corte
costituzionale (cfr. sentenza 303 e 362 del  2003)  ha  costantemente
incluso anzitutto l'urbanistica e l'edilizia, in  base  al  principio
che  il  loro  ambito  deve  essere  ricondotto   «al   Governo   del
territorio». 
    L'ambito dei «lavori pubblici» non integra  una  vera  e  propria
materia, ma si qualifica a  seconda  dell'oggetto  al  quale  a  essi
afferiscono, che pertanto possono essere ascritti di volta in volta a
potesta'  legislative  esclusive  dello  Stato  ovvero   a   potesta'
legislative concorrenti. 
    Il sistema e' completato, quanto  allo  specifico  settore  delle
espropriazioni,  dall'art.  5,  comma  1,  del  testo   unico,   come
modificato dal decreto legislativo  27  dicembre  2002,  n.  302  per
adeguarlo alla nuova legge di revisione, per il quale «Le  regioni  a
statuto ordinario esercitano la potesta' legislativa concorrente,  in
ordine  alle  espropriazioni  strumentali  alle  materie  di  propria
competenza, nel rispetto dei principi fondamentali della legislazione
statale nonche'  dei  principi  generali  dell'ordinamento  giuridico
desumibili dalle disposizioni contenute nel testo unico». 
    Con la necessaria conseguenza che nelle espropriazioni,  come  in
ogni altra materia di legislazione concorrente, la normativa  statale
deve limitarsi alla determinazione dei principi fondamentali,  mentre
spetta alle regioni la regolamentazione di dettaglio. 
    10. L'art. 42 Cost., comma  3,  nel  consentire  l'espropriazione
della proprieta' privata per motivi di interesse  generale  nei  casi
previsti  dalla  legge,  garantisce  ii  diritto  all'indennita'   al
proprietario espropriato. 
    La disposizione trova eco nell'art. 834 cod. civ., che  al  primo
comma stabilisce che nessuno possa essere  privato  della  proprieta'
dei beni se non per  una  causa  di  pubblico  interesse,  legalmente
dichiarata e dietro il pagamento di una giusta indennita'. 
    Si e' gia' detto che  secondo  la  giurisprudenza  costituzionale
(Corte cost., n. 348 e 349 del 24 ottobre 2007,  181  del  10  giugno
2011,  187  del  2  luglio  2014,  90  del  22   aprile   2016),   la
determinazione dell'indennita' espropriativa non puo' prescindere dal
valore reale del bene espropriato; il  legislatore,  pur  non  avendo
l'obbligo di commisurare  integralmente  l'indennita'  al  valore  di
mercato,  non  puo'  trascurare  tale  parametro,   che   costituisce
importante  termine  di  riferimento  ai   fini   dell'individuazione
dell'indennita' congrua, in modo da garantire  il  giusto  equilibrio
tra l'interesse generale e gli imperativi dettati dalla  salvaguardia
dei diritti fondamentali degli individui. 
    Tali principi, declinati nel capo VI del titolo  II  del  decreto
del Presidente della Repubblica n. 327 del  2001,  sono  interpretati
dalla giurisprudenza di questa Corte, ampiamente illustrata supra nel
§ 3, con particolare riguardo al fondamentale rilievo  attribuito  al
parametro  dell'edificabilita'   legale   quale   criterio   per   la
determinazione dell'indennita' di espropriazione di un terreno. 
    11.  I  principi  fondamentali,  desumibili  dalla   legislazione
statale in materia, limitano l'esercizio della  potesta'  legislativa
regionale  concorrente,  muovendo  dal  concetto  di   edificabilita'
legale, inteso come  possibilita'  di  edificazione  effettiva,  alla
stregua degli strumenti urbanistici vigenti e applicabili,  mirano  a
una tendenziale commisurazione dell'indennita' di  espropriazione  al
valore commerciale e di mercato del bene espropriato. 
    Con  tali  principi  sembra  a  questa  Corte   di   legittimita'
contrastare  una  disciplina  regionale  che,  ai  soli  fini   della
determinazione dell'indennita' di espropriazione, estende la  nozione
di edificabilita' legale oltre l'ambito  semantico  che  puo'  essere
attribuito a tale  definizione,  assegnando  un  valore  edificatorio
meramente  fittizio  a  immobili  sui  quali  i   vigenti   strumenti
urbanistici non consentono realmente al privato di costruire,  e  per
il solo fatto che l'area di pertinenza del fondo  ricada  all'interno
del perimetro di  territorio  urbanizzato,  quale  individuato  dallo
strumento di programmazione generale. 
    12. Si  e'  gia'  ricordato  che  in  altra  occasione  la  Corte
costituzionale  (sentenza  n.  73  del  2004)  e'  stata  chiamata  a
confrontarsi in un orizzonte interpretativo non molto dissimile,  con
l'art. 22 della legge della Regione Emilia e Romagna  n.  37  del  19
dicembre 2002, relativo alla edificabilita' di fatto. 
    12.1.  Allora  pero'  non   venivano   in   rilievo   prestazioni
concernenti diritti civili,  ne'  la  capacita'  della  norma  e  del
criterio ivi disciplinato di incidere  sull'esigenza  di  uniformita'
nella determinazione dell'indennita' di espropriazione. 
    Infatti l'art.  22  della  citata  legge  regionale  emiliana  si
limitava  a  stabilire  quando  un  terreno  presenta   i   caratteri
dell'edificabilita' di fatto, senza nulla affermare pero'  sul  ruolo
da  riconoscere  a  tale  elemento  ai  fini   della   determinazione
dell'indennizzo, se non che il medesimo non poteva prescindere  dalla
sussistenza dell'edificabilita' legale. 
    La nozione di edificabilita' legale in  quell'occasione  restava,
come tale, fuori dall'ambito di applicazione della norma, dato che la
disposizione censurata non individuava modalita' o criteri di calcolo
dell'indennizzo, ne'  quantificava  la  sua  entita',  ambiti  invece
semmai meritevoli di un'esigenza di definizione uniforme. 
    12.2. La determinazione dell'indennita'  di  espropriazione  deve
pertanto riflettere l'effettiva destinazione  urbanistica  del  fondo
espropriato, fondata sulla classificazione risultante dagli strumenti
urbanistici  vigenti  all'epoca  della   vicenda   ablativa,   mentre
l'edificabilita'  di  fatto,  avente  riguardo  alle  caratteristiche
obiettive della zona ed alle concrete  possibilita'  di  sfruttamento
del  fondo  espropriato,  puo'  giocare  solo  un   ruolo   meramente
sussidiario e complementare, utilizzabile in  mancanza  di  strumenti
urbanistici oppure ai fini della concreta determinazione  del  valore
venale di un immobile del quale sia stata gia' previamente  accertata
l'edificabilita' legale (Sez. 1, 14 febbraio 2012, n. 2062;  Sez.  1,
22 agosto 2011, n. 17442; Sez. 1, 27 marzo 2014, n. 7251). 
    12.3. Rispetto a tale regola-guida, questa Corte ha  invero  gia'
preso atto di  recenti  indirizzi  della  legislazione  regionale  in
materia  urbanistica,  che,  pur  senza  pervenire  ad  un  integrale
superamento  del  sistema  della  zonizzazione,   affermatosi   nella
legislazione statale fin dalla  legge  17  agosto  1942,  n.  1150  e
prevalso soprattutto a seguito  del  decreto  ministeriale  2  aprile
1968, si e' orientata in senso favorevole  all'adozione  di  principi
perequativi, volti a distribuire equamente tra  tutti  i  proprietari
delle aree  interessate  ai  programmi  di  trasformazione  urbana  i
vantaggi e gli oneri determinati dalle scelte di  pianificazione,  in
modo da evitare il sacrificio, ad  esempio,  delle  zone  individuate
come sedi di attrezzature e servizi pubblici a  vantaggio  di  quelle
residenziali (Sez. 1, 7 settembre 2018, n. 21914). 
    12.4. L'adozione di  tali  tecniche  non  puo'  pero'  risolversi
nell'attribuzione generalizzata del carattere di edificabilita'  alle
aree  ricadenti  nel  perimetro  urbano,  che  non  realizza   alcuna
traslazione di volumi edificatori, ne' attua alcuna  redistribuzione,
equitativa e compensativa, dei  carichi  urbanistici,  funzionale  ad
esaltare la funzione sociale della proprieta' (art. 42  Cost.,  comma
2). 
    In questo caso si verifica un  indiscriminato  arricchimento  dei
privati  proprietari,  poiche'  il  valore  di  mercato  del   fondo,
parametro di riferimento ai fini della  liquidazione  dell'indennita'
di  espropriazione,   viene   determinato   secondo   modalita'   che
prescindono totalmente dalla valutazione delle concrete  possibilita'
di sfruttamento del suolo a fini edilizi  e  cioe'  indipendentemente
dall'adozione di misure di riequilibrio  a  carico  delle  proprieta'
finitime, o dalla stipula  di  accordi  di  cessione  che  consentano
economie di gestione della  procedura,  e  quindi  con  ricadute  che
finiscono per gravare unilateralmente la finanza pubblica. 
    13. L'art. 19, comma 2, della legge Regione Puglia n. 3 del  2005
sembra contrastare anche con l'art. 3 Cost., comma 1, per le  ragioni
gia' esposte nel precedente § 8.11. 
    13.1. E' sufficiente quindi ribadire, anche in questa subordinata
prospettiva,  che  l'indiscriminata  attribuzione  di  edificabilita'
legale, in funzione della  sola  quantificazione  dell'indennita'  di
espropriazione,  ai  terreni  espropriati  ricadenti  nel   perimetro
urbanizzato, determina una irragionevole  quantificazione  al  rialzo
della  indennita'  all'interno  dei  confini  della  Regione   Puglia
rispetto al restante territorio nazionale, ogni qualvolta  i  terreni
medesimi siano privi di effettiva vocazione edificatoria. 
    Pare conseguirne un vulnus al principio di  uguaglianza  formale,
in quanto e' pregiudicata l'esigenza  di  garantire,  sul  territorio
nazionale medesimo, parita' di trattamento nella strutturazione di un
istituto squisitamente privatistico qual e' il diritto di proprieta'. 
    13.2. Il trattamento differenziato,  sancito  dalla  legislazione
regionale pugliese in punto di quantificazione  della  indennita'  di
esproprio attraverso la deformazione definitoria del  criterio  della
edificabilita' legale, produce  l'effetto  di  mettere  in  crisi  lo
statuto  unitario  della  proprieta',  definito  dalla   legislazione
civile, in un aspetto fondamentale quale quello attinente la  nozione
di giusta indennita' ex art. 834 cod. civ. che esige una  ragionevole
uniformita' territoriale della sua regolamentazione. 
    13.3. Sotto questo profilo, la violazione dell'art. 3  Cost.,  si
ricollega idealmente a quella dell'art. 117 Cost., comma 3. 
    Il limite del diritto privato, operante a tutela dell'uniformita'
di disciplina dei relativi rapporti anche rispetto  alle  materie  di
legislazione concorrente,  non  dovrebbe  consentire  al  legislatore
regionale ad espropriazione ormai decretata, allorche' entra in gioco
la  definizione  di  un  rapporto  civilistico  di  obbligazione,  di
incidere  sugli  assetti   dominicali   interessati   dall'intervento
autoritativo,  differenziandone  i  valori  a  parita'  di  effettivo
presupposto urbanistico. 
    13.4. Il principio di  uguaglianza  formale  pare  violato  anche
sotto il profilo della  ingiustificata  equiparazione  di  situazioni
giuridiche diverse. 
    Il medesimo ristoro economico e'  assicurato  ai  proprietari  di
immobili  aventi  diversa  destinazione  urbanistica,  e   con   essa
all'evidenza diverso valore di mercato, sol  perche'  accomunati  dal
fatto di essere ricompresi nel  perimetro  urbanizzato  definito  dal
menzionato strumento di programmazione generale. 
    Tale  assimilazione   di   disciplina   di   realta'   dominicali
profondamente diverse sembra irrazionale  per  il  contrasto  con  il
principio  di  uguaglianza  nella  sua   declinazione   al   negativo
dell'obbligo di trattare situazioni diverse in  modo  ragionevolmente
diverso. 
    14.  Previa   declaratoria   di   rilevanza   e   non   manifesta
infondatezza, gli atti debbono essere pertanto trasmessi  alla  Corte
costituzionale, con la conseguente sospensione del presente giudizio. 
 
                               P.Q.M. 
 
    La Corte,  visti  l'art.  134  Cost.  e  l'art.  23  della  legge
costituzionale 11 marzo 1953, n. 87; 
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata, per contrasto,
in principalita', con gli articoli  3,  comma  1,  e  117,  comma  2,
lettere l) e m), della Costituzione e, in subordine, con gli articoli
3, comma 1 e 117,  comma  3,  della  Costituzione,  la  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 19 della  legge  della  Regione
Puglia n.  3  del  22  febbraio  2005,  rubricato  «Disposizioni  sul
riconoscimento dell'edificabilita' legale», nella parte  in  cui,  al
comma, prevede che ai fini del requisito di edificabilita' legale dei
terreni  da  espropriare,  definito  dal  primo  comma  dello  stesso
articolo con riferimento ai criteri di cui all'art. 32,  comma  1,  e
all'art. 37, commi 3, 4, 5 e 6,  del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 327/2001 e successive modifiche, siano da considerarsi,
comunque, sempre legalmente edificabili tutte le aree  ricadenti  nel
perimetro continuo delle zone omogenee di tipo A, B, C e  D,  secondo
le definizioni di cui al decreto interministeriale 2 aprile 1968,  n.
1444, comprese anche le aree a standard a esse riferite; 
    Dispone la sospensione del presente giudizio; 
    Ordina che, a cura della cancelleria, la presente  ordinanza  sia
notificata  alle  parti  del  giudizio  di  cassazione,  al  pubblico
ministero  presso  questa  Corte  ed  al  Presidente   della   Giunta
regionale; 
    Ordina,  altresi',   che   l'ordinanza   venga   comunicata   dal
Cancelliere al Presidente del Consiglio regionale della Puglia; 
    Dispone l'immediata trasmissione degli  atti,  comprensivi  della
documentazione  attestante  il   perfezionamento   delle   prescritte
notificazioni e comunicazioni, alla Corte costituzionale. 
        Cosi' deciso in Roma nella Camera di  consiglio  della  Prima
Sezione civile il 3 febbraio 2021. 
 
                      Il Presidente: Campanile