N. 39 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 26 luglio 2021

Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
cancelleria il 26 luglio  2021  (del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri). 
 
Lavoro e occupazione - Norme della  Regione  autonoma  Friuli-Venezia
  Giulia - Modifica alla legge regionale n. 18 del 2005  -  Incentivi
  occupazionali - Previsione che il regolamento  regionale  attuativo
  puo' prevedere che l'ammontare degli incentivi sia  modulato  avuto
  riguardo al periodo di possesso continuativo del domicilio  fiscale
  sul  territorio  regionale  da  parte  delle  lavoratrici   e   dei
  lavoratori   di   cui   viene   sostenuta   l'assunzione    o    la
  stabilizzazione. 
- Legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 14 maggio  2021,
  n. 6 ("Disposizioni in materia di finanze, risorse agroalimentari e
  forestali,  biodiversita',  funghi,   gestione   venatoria,   pesca
  sportiva,  attivita'   produttive,   turismo,   autonomie   locali,
  sicurezza,  corregionali  all'estero,  funzione  pubblica,  lavoro,
  professioni, formazione, istruzione, ricerca, famiglia, patrimonio,
  demanio,   sistemi   informativi,    infrastrutture,    territorio,
  viabilita', ambiente, energia, cultura, sport,  protezione  civile,
  salute,  politiche  sociali  e  Terzo  settore   (Legge   regionale
  multisettoriale 2021)"), art. 77 (recte: 73). 
(GU n.37 del 15-9-2021 )
     Ricorso  ex  art.  127,  comma  1  della  Costituzione  per   il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri   -   (C.F.   80188230587),
rappresentato e difeso dall'Avvocatura  generale  dello  Stato  (C.F.
80224030587)  presso  i  cui  uffici  domicilia  in  Roma,  via   dei
Portoghesi  n.  12   telefax   n.   06.96.51.40.00;   indirizzo   PEC
ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it giusta delibera del Consiglio  dei
ministri adottata nella riunione del 15 luglio 2021 ricorrente. 
    Contro la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, in persona  del
Presidente  della  Giunta  regionale  in  carica  intimata   per   la
declaratoria di illegittimita'  costituzionale  dell'art.  73,  della
legge Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, del 14 maggio 2021,  n.
6, pubblicata nel Bollettino Ufficiale della  Regione  Friuli-Venezia
Giulia 19 maggio 2021, n. 20, S.O. n. 15,  recante  «Disposizioni  in
materia   di   finanze,   risorse   agroalimentari    e    forestali,
biodiversita', funghi, gestione venatoria, pesca sportiva,  attivita'
produttive,  turismo,  autonomie  locali,   sicurezza,   corregionali
all'estero,  funzione  pubblica,  lavoro,  professioni,   formazione,
istruzione,   ricerca,   famiglia,   patrimonio,   demanio,   sistemi
informativi,  infrastrutture,   territorio,   viabilita',   ambiente,
energia, cultura, sport, protezione civile, salute, politiche sociali
e terzo settore (legge regionale multisettoriale 2021)». 
    Per violazione degli articoli 3, 4, 117, primo e  secondo  comma,
lettera m), 120, primo comma, e 137, terzo comma, della Costituzione. 
    Con la legge  n.  6  del  14  maggio  2021  la  Regione  autonoma
Friuli-Venezia Giulia ha emanato «Disposizioni in materia di finanze,
risorse agroalimentari e forestali, biodiversita',  funghi,  gestione
venatoria, pesca sportiva, attivita' produttive,  turismo,  autonomie
locali,  sicurezza,  corregionali  all'estero,   funzione   pubblica,
lavoro,  professioni,  formazione,  istruzione,  ricerca,   famiglia,
patrimonio, demanio, sistemi informativi, infrastrutture, territorio,
viabilita', ambiente, energia,  cultura,  sport,  protezione  civile,
salute,  politiche  sociali  e   terzo   settore   (legge   regionale
multisettoriale 2021)». 
    In particolare,  l'art.  73  della  predetta  legge  ha  inserito
nell'art.  77  della  legge  regionale  n.  18/2005,  dopo  il  comma
3-quater, il comma 3-quater 1, ai sensi del quale «Fermi  restando  i
requisiti di accesso agli incentivi di cui al Titolo III Capo  I,  il
regolamento regionale  attuativo  delle  disposizioni  medesime  puo'
prevedere che l'ammontare degli incentivi sia modulato avuto riguardo
al  periodo  di  possesso  continuativo  del  domicilio  fiscale  sul
territorio regionale da parte delle lavoratrici e dei  lavoratori  di
cui viene sostenuta l'assunzione o la stabilizzazione». 
    Il predetto  art.  77  della  l.r.  n.  18/2005  era  stato  gia'
modificato dall'art. 88 della legge regionale  Friuli-Venezia  Giulia
n. 9/2019 che aveva inserito il comma 3-quinquies il quale  disponeva
che  «al  fine  di  favorire  il   riassorbimento   delle   eccedenze
occupazionali determinatesi sul territorio regionale  in  conseguenza
di situazioni di crisi aziendale, gli incentivi di cui al comma 3-bis
possono  essere  concessi  esclusivamente  a  fronte  di  assunzioni,
inserimenti o stabilizzazioni occupazionali riguardanti soggetti che,
alla data della presentazione della domanda di  incentivo,  risultino
residenti continuativamente sul territorio regionale da almeno cinque
anni». Tale comma e' stato dichiarato costituzionalmente  illegittimo
con sentenza di codesta Corte n. 281/2020. 
    Con  tale  sentenza  codesta  Corte  ha  richiamato  il   proprio
orientamento in materia di accesso ai servizi sociali, secondo cui il
requisito della residenza e' stato ritenuto  ammissibile  soltanto  a
determinate condizioni, quando sussista un  ragionevole  collegamento
con la funzione del servizio (sentenza n. 44 del 2020, n.  168  e  n.
141 del 2014, n. 222 en. 133 del 2013). Codesta Corte  ha  richiamato
altresi' i principi secondo  cui  «se  la  residenza  costituisce  un
requisito  ragionevole  al  fine   d'identificare   l'ente   pubblico
competente a erogare una certa  prestazione,  non  e'  possibile  che
l'accesso alle prestazioni pubbliche sia escluso solo per il fatto di
aver esercitato il proprio diritto di circolazione o di  aver  dovuto
mutare regione di residenza (sentenze n. 44 del 2020  e  n.  107  del
2018)»; il requisito della  residenza  di  durata  ultra-quinquennale
«non costituisce di per se' un  indice  di  elevata  probabilita'  di
permanenza in un determinato ambito territoriale», e  il  radicamento
territoriale non  puo'  «assumere  un'importanza  tale  da  escludere
qualsiasi rilievo dello stato di bisogno ed essendo piu'  appropriato
utilizzarlo  ai  fini  della  formazione  di  graduatorie  e  criteri
preferenziali (sentenza  n.  44/2020)»;  inoltre  «l'introduzione  di
requisiti basati sulla residenza, specie se prolungata,  finisce  per
costituire  una  limitazione,  seppure   meramente   fattuale,   alla
circolazione tra  le  regioni,  violando  cosi'  il  divieto  di  cui
all'art. 120, primo comma, della Costituzione, in particolare nel suo
collegamento con l'art. 3, secondo comma, Costituzione  (sentenza  n.
107 del 2018).» 
    Con particolare riferimento alla norma censurata,  codesta  Corte
ha  affermato  che  «sebbene  sia  condivisibile  che  gli  incentivi
occupazionali possono ben essere  rivolti  solo  alle  assunzioni  di
particolari  categorie  di  lavoratori,  risulta   irragionevole   il
collegamento tra il riconoscimento  di  un  incentivo  al  datore  di
lavoro e il requisito della residenza del lavoratore,  non  solo  ove
protratta nel tempo.  Sotto  un  primo  profilo,  infatti,  non  puo'
sostenersi  che  il  criterio  della  residenza  sia   necessario   a
identificare  l'ente  pubblico  competente  a   erogare   una   certa
prestazione, tenuto conto che, nel  caso  di  specie,  i  beneficiari
diretti dell'erogazione sono le imprese, che devono ovviamente  avere
una sede nel territorio  regionale.  Sotto  un  secondo  profilo,  la
limitazione  introdotta  dalla  disposizione  impugnata  risulta   in
contrasto con la ratio dalla stessa indicata, ossia il riassorbimento
delle eccedenze occupazionali determinatesi sul territorio  regionale
in conseguenza di situazioni di crisi aziendale.  Verrebbero  infatti
esclusi, ad esempio,  coloro  che,  sebbene  non  residenti,  abbiano
svolto un periodo di attivita' lavorativa piu'  consistente  rispetto
ai  soggetti  semplicemente  residenti,  dando  cosi'   un   maggiore
contributo a quel progresso della comunita' regionale asserito  anche
dalla difesa della Regione quale motivo ispiratore dell'incentivo. Il
che finirebbe per penalizzare la stessa mobilita' inter-regionale dei
lavoratori». 
    Con l'art. 73 dell'impugnata legge n. 6/2021, al fine di recepire
nel proprio  ordinamento  gli  effetti  della  predetta  sentenza  di
codesta  Corte  costituzionale  n.  281  del  23  dicembre  2020,  il
legislatore regionale ha inserito nell'art. 77 della legge  regionale
n. 18/2005, il comma 3-quater 1, in base al quale «Fermi  restando  i
requisiti di accesso agli incentivi di cui al Titolo III Capo  I,  il
regolamento regionale  attuativo  delle  disposizioni  medesime  puo'
prevedere che l'ammontare degli incentivi sia modulato avuto riguardo
al  periodo  di  possesso  continuativo  del  domicilio  fiscale  sul
territorio regionale da parte delle lavoratrici e dei  lavoratori  di
cui viene sostenuta l'assunzione o la stabilizzazione». 
    La  suddetta  norma  appare  costituzionalmente  illegittima,  in
quanto eccede  dalle  competenze  attribuite  alla  Regione  autonoma
Friuli-Venezia Giulia dallo  statuto  speciale  di  autonomia  (legge
cost. 31 gennaio 1963, n. 1) e viola gli articoli 3, 4, 117, primo  e
secondo comma, lettera m) 120, primo comma, e 137, terzo comma, della
Costituzione. 
    Il Presidente del Consiglio dei ministri  propone,  pertanto,  il
presente ricorso, affidato al seguente motivi di 
 
                               Diritto 
 
    Illegittimita'  dell'art.  77  della   legge   Regione   autonoma
Friuli-Venezia Giulia del 14 maggio 2021, n. 6, per violazione  degli
articoli 3, 4, 117, primo e secondo comma,  lettera  m),  120,  primo
comma, e 137, terzo comma, Costituzione, in riferimento agli articoli
4, 5 e 6 della legge cost. n. 1 del 31 gennaio 1963 (Statuto speciale
della Regione Friuli-Venezia Giulia), in relazione agli articoli  11,
comma 1, lettera c), del decreto  legislativo  n.  150/2015;  45  del
Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (gia' art. 39 TCE);  7
del regolamento (UE) n. 492/2011; 2, comma 3, del decreto legislativo
n. 286/1998. 
    Con l'art. 73 dell'impugnata  legge  n.  6/2021,  il  legislatore
regionale, al fine di recepire nel proprio  ordinamento  gli  effetti
della predetta sentenza di codesta Corte costituzionale n. 281 del 23
dicembre  2020,  ha  inserito  nell'art.  77  della  legge  regionale
n. 18/2005, il comma 3-quater 1, in base al quale «Fermi  restando  i
requisiti di accesso agli incentivi di cui al Titolo III Capo  I,  il
regolamento regionale  attuativo  delle  disposizioni  medesime  puo'
prevedere che l'ammontare degli incentivi sia modulato avuto riguardo
al  periodo  di  possesso  continuativo  del  domicilio  fiscale  sul
territorio regionale da parte delle lavoratrici e dei  lavoratori  di
cui viene sostenuta l'assunzione o la stabilizzazione». 
    Il predetto comma, inserito dal citato art. 73, rinvia dunque  ad
un regolamento regionale  la  possibilita'  di  modulare  in  aumento
l'ammontare dell'incentivo occupazionale spettante ai datori in  base
al  possesso  continuativo  del  domicilio  fiscale  sul   territorio
regionale  da  parte  dei  lavoratori  assunti  o  stabilizzati.   Il
domicilio fiscale  preso  in  considerazione  dalla  legge  regionale
coincide sostanzialmente con la residenza anagrafica,  in  quanto  ai
sensi dell'art. 58 del decreto del  Presidente  della  Repubblica  n.
600/1973 «le persone fisiche residenti  nel  territorio  dello  Stato
hanno il  domicilio  fiscale  nel  comune  nella  cui  anagrafe  sono
iscritte». 
    Tale disposizione si pone in contrasto con i  principi  affermati
da  codesta  Corte  nella  sopra  richiamata  sentenza  n.  281/2020,
integrando un'elusione del dictum in essa contenuto  con  conseguente
violazione dell'art. 137, terzo comma, della Costituzione.  La  nuova
disposizione, infatti, riserva l'assunzione o  la  stabilizzazione  a
coloro  i  quali  hanno  un  periodo  continuativo  di  possesso  del
domicilio  fiscale  nella  regione,  dando  rilievo,  al  pari  della
disposizione    dichiarata    illegittima,    alla    durata    della
domiciliazione, ponendosi, dunque, in  contrasto  con  le  molteplici
iniziative statali volte a facilitare l'ingresso nel mondo lavorativo
di tutti i lavoratori. 
    La norma, peraltro, in violazione dell'art. 3 della Costituzione,
pone   un'irragionevole   discriminazione    quanto    alla    misura
dell'incentivo, e viola altresi' il principio affermato  dall'art.  4
della Costituzione, secondo cui il diritto al lavoro e'  riconosciuto
a tutti indistintamente, di  fatto  privilegiando  la  categoria  dei
domiciliati di lungo periodo. 
    Per  garantire  livelli  essenziali  di  prestazioni   attraverso
meccanismi coordinati di gestione amministrativa, l'art. 11, comma 1,
lettera c) del decreto legislativo n. 150/2015 (Disposizioni  per  il
riordino della normativa in materia di servizi per  il  lavoro  e  di
politiche attive) prevede la disponibilita' di servizi e di misure di
politica attiva  del  lavoro  a  tutti  i  residenti  sul  territorio
italiano,  a  prescindere  dalla  regione  o  provincia  autonoma  di
residenza. 
    Pertanto, gli incentivi occupazionali riconosciuti ai datori  per
assumere particolari categorie di lavoratori sono, ai sensi dell'art.
11, comma 1, lettera c), del decreto legislativo n. 150/2015, servizi
che vanno riconosciuti a tutti i residenti sul territorio italiano, a
prescindere dalla regione o provincia autonoma di residenza. 
    Invero, modulare gli incentivi all'occupazione, che  spettano  al
datore, in misura crescente nel loro importo in  base  all'anzianita'
continuativa di «domicilio fiscale»  del  lavoratore  sul  territorio
regionale, svantaggia il lavoratore che di fatto ha  esercitato,  nel
corso della vita, il diritto alla libera circolazione all'interno del
territorio nazionale  o  in  un  Paese  membro  UE,  con  conseguente
interruzione del  «domicilio  fiscale»  continuativo  sul  territorio
regionale,   rispetto   al   lavoratore   rimasto   stabilmente    su
quest'ultimo. Tra l'altro, come sopra illustrato,  codesta  Corte  ha
ritenuto in generale irragionevole il collegamento tra  un  incentivo
al datore e il requisito della residenza del lavoratore, non solo ove
protratta nel tempo. 
    In tale contesto, non sembra che il rinvio operato dalla norma in
esami a fonti secondarie regionali per  la  disciplina  della  misura
dell'incentivazione,  sia   idoneo   a   superare   le   censure   di
incostituzionalita'  prospettate.   Al   contrario,   da   un   lato,
l'indefinitezza della norma primaria,  quanto  al  margine  entro  il
quale contenere la discriminazione soggettiva fra lavoratori,  lascia
aperto  l'adito  alla  piu'   radicale   e   «sproporzionata»   delle
sperequazioni; dall'altro, la fonte regolamentare  regionale  non  e'
autorizzata  a  derogare  alla  legislazione  statale  sopra  citata,
espressione di competenza legislativa esclusiva di cui all'art.  117,
secondo comma, lettera m), della Costituzione. 
    L'impugnata norma contrasta,  altresi',  con  l'art.  117,  primo
comma della Costituzione, che impone il rispetto dei vincoli  imposti
dall'ordinamento dell'Unione europea. 
    Invero, l'art. 45  del  Trattato  sul  funzionamento  dell'Unione
europea (gia' art.  39  TCE)  assicura  la  libera  circolazione  dei
lavoratori all'interno dell'Unione europea ed afferma l'esigenza  che
a tal fine sia assicurata «l'abolizione di qualsiasi discriminazione,
fondata sulla nazionalita', tra i lavoratori degli Stati membri,  per
quanto riguarda l'impiego, la retribuzione e le altre  condizioni  di
lavoro». Inoltre, l'art. 7 del regolamento (UE) n.  492/2011  include
tra gli ambiti ricompresi nel principio di parita' di  trattamento  e
non-discriminazione,   la   ricollocazione   professionale    e    il
ricollocamento, inclusa la materia degli  incentivi  occupazionali  a
favore  dei  datori  di  lavoro  che  intendano  assumere  lavoratori
disoccupati. 
    La censurata norma viola, infine, anche la disciplina  statale  a
tutela dei lavoratori migranti di paesi  terzi  non  membri  dell'UE:
l'art. 2, comma 3, del decreto legislativo n. 286/1998  (Testo  unico
delle disposizioni  concernenti  la  disciplina  dell'immigrazione  e
norme sulla condizione dello straniero)  prevede,  infatti,  che  «la
Repubblica italiana, in attuazione della convenzione dell'OIL n.  143
del 24 giugno 1975, ratificata con  legge  10  aprile  1981,  n.  151
garantisce a tutti i lavoratori stranieri  regolarmente  soggiornanti
nel suo territorio e alle loro  famiglie  parita'  di  trattamento  e
piena uguaglianza di diritti rispetto ai lavoratori italiani». 
    La disposizione regionale  in  esame  e',  pertanto,  illegittima
perche',  eccedendo  dalle   competenze   attribuite   alla   Regione
Friuli-Venezia Giulia dallo Statuto speciale di  autonomia  (L.C.  31
gennaio 1963, n. 1 e successive modifiche  ed  integrazioni),  i  cui
articoli 5 e 6  non  prevedono  la  materia  del  lavoro  tra  quelle
riservate alla potesta' legislativa della regione, ed il cui  art.  6
consente alla regione di emanare in materia di «lavoro, previdenza  e
assistenza sociale» soltanto «norme di integrazione e di  attuazione»
delle disposizioni delle leggi della Repubblica, al fine di adeguarle
alle sue particolari esigenze, viola l'art. 3 della Costituzione (con
riferimento al principio di eguaglianza), l'art. 4 della Costituzione
(che dispone che la Repubblica  riconosce  a  tutti  i  cittadini  il
diritto al lavoro e promuove le condizioni che lo rendono effettivo),
l'art. 117, primo comma (rispetto ai vincoli imposti dall'ordinamento
dell'UE)  e  secondo  comma  lettera  m)  (livelli  essenziali  delle
prestazioni in cui rientrano le misure di politica attiva del lavoro)
della Costituzione, 120, primo comma, della  Costituzione  che  vieta
alle regioni di «adottare provvedimenti che ostacolino  in  qualsiasi
modo la libera  circolazione  delle  persone  e  delle  cose  tra  le
regioni, ne' limitare l'esercizio del diritto al lavoro in  qualunque
parte del territorio nazionale», in particolare nel suo  collegamento
con il principio di uguaglianza di cui  all'art.  3,  secondo  comma,
della Costituzione, e l'art. 137, terzo comma, della Costituzione per
elusione del giudicato formatosi con la sentenza di codesta Corte  n.
281/2020. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Per questi  motivi  il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri
propone  il  presente  ricorso  e  confida  nell'accoglimento   delle
seguenti conclusioni: 
        «Voglia    l'Ecc.ma    Corte    costituzionale     dichiarare
costituzionalmente illegittimo l'art. 77 della legge Regione autonoma
Friuli-Venezia Giulia del 14 maggio 2021, n. 6, per violazione  degli
articoli 3, 4, 117, primo e secondo comma,  lettera  m),  120,  primo
comma, e 137, terzo comma, della Costituzione». 
    Si producono: 
        1. copia della legge regionale impugnata; 
        2. copia conforme della delibera del Consiglio  dei  ministri
adottata nella riunione del 15 luglio 2021, recante la determinazione
di  proposizione  del  presente  ricorso,  con   allegata   relazione
illustrativa. 
          Roma, 16 luglio 2021 
 
                    L'Avvocato dello Stato: Guida