N. 129 ORDINANZA (Atto di promovimento) 14 aprile 2021
Ordinanza del 14 aprile 2021 del G.I.P. del Tribunale di Taranto nel procedimento penale a carico di M. G.. Reati e pene - Sostituzione di pene detentive brevi - Determinazione dell'ammontare della pena pecuniaria - Criteri - Individuazione del valore minimo giornaliero di un giorno di reclusione nella misura della somma indicata dall'art. 135 del codice penale, pari a 250 euro, anziche' nella minor somma di 75 euro prevista dall'art. 459, comma 1-bis, del codice di procedura penale. In subordine: Reati e pene - Sostituzione di pene detentive brevi - Determinazione dell'ammontare della pena pecuniaria - Criteri - Mancata previsione che il giudice possa fare applicazione del criterio di adeguamento della pena pecuniaria minima previsto dall'art. 133-bis del codice penale. - Legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), art. 53, comma 2.(GU n.37 del 15-9-2021 )
IL TRIBUNALE ORDINARIO DI TARANTO Sezione GIP-GUP Il giudice per le indagini preliminari dott. Francesco Maccagnano, visti gli atti del procedimento penale n. 6876/16 R.G.N.R., vista la richiesta di applicazione della pena formulata ex art. 444 del codice di procedura penale nell'interesse di M... G... , nato a ... il ... ; a scioglimento della riserva assunta all'udienza del 14 aprile 2021; Osserva quanto segue: 1. Nell'ambito del procedimento penale di cui in epigrafe, e' stato emesso decreto penale di condanna nei confronti di M... G... , in atti generalizzato, in relazione al delitto di violenza privata. All'imputato si contesta di aver posizionato la propria autovettura in prossimita' dell'ingresso di abitazione delle persone offese, impedendo a costoro «l'accesso e l'uscita dal cancello della propria abitazione». Nei confronti del suddetto decreto penale e' stata avanzata tempestiva opposizione; contestualmente, il M..., il suo difensore ed il pubblico ministero hanno formulato istanza di applicazione della pena ex art. 444 del codice di procedura penale. 1.1. Le parti hanno chiesto applicarsi nei confronti dell'odierno imputato la pena di 6.750,00 euro, in sostituzione della pena detentiva da loro stabilita in relazione al delitto di cui all'art. 610 del codice penale. Detta sanzione e' stata calcolata come segue: pena base pari a quattro mesi e quindici giorni di reclusione, diminuita ex art. 444, comma 1, del codice di procedura penale sino a tre mesi di reclusione, convertita nella corrispondente pena pecuniaria ex art. 53 della legge n. 689/1981; il valore giornaliero attribuito a ciascun giorno di reclusione e' individuato nella somma di 75,00 euro, dunque in misura inferiore al valore minimo di 250,00 euro previsto dal combinato disposto di cui al comma 2 dell'art. 53 della legge n. 689/1981 e all'art. 135 del codice penale. 1.2. Posto quanto precede, e considerato che dagli atti non emergono elementi tali da imporre il proscioglimento del M... ai sensi dell'art. 129 del codice di procedura penale, deve rilevarsi che: l'odierno imputato e' soggetto incensurato; dagli atti non risulta la riferibilita' al predetto di carichi pendenti; la condotta antigiuridica di cui al capo d'imputazione integra un'ipotesi di «violenza impropria» e, non sostanziandosi in una vera e propria aggressione fisica perpetrata ai danni delle persone offese, comprova in capo a M... G... una capacita' criminosa non elevata e, correlativamente, una scarsa pericolosita' sociale. A lume di quanto appena sottolineato, tenuto conto dei criteri di cui all'art. 133 del codice penale, la pena detentiva stabilita dalle parti appare congrua e proporzionata alla personalita' del reo e alla concreta offensivita' del delitto a questi ascritto; lo stesso puo' dirsi in riferimento alla corrispondente pena pecuniaria di 6.750,00 euro, determinata ai sensi dell'art. 53 della legge n. 689/1981, suscettibile di rateizzazione ex art. 133-ter del codice penale. 1.3.Come messo in evidenza supra, le parti, nel determinare la pena pecuniaria da sostituire a quella detentiva, hanno individuato il valore di ciascun giorno di detenzione nella somma di 75,00 euro - pari al minimo del range di conversione previsto dall'art. 459, comma 1-bis, del codice di procedura penale - cosi' discostandosi dal minimo del range di conversione previsto dal secondo comma dell'art. 53 della legge n. 689/1981, pari alla somma prevista dall'art. 135 del codice penale. Deve sottolinearsi che: il range di valori di conversione previsto dall'art. 53 della legge n. 689/1981 va da 250,00 euro a 2.500,00 euro per ogni giorno di detenzione; astrattamente, la pena detentiva di tre mesi di reclusione concordata dalla difesa del M... e dal pubblico ministero e' suscettibile di essere convertita - secondo i criteri previsti dalla legislazione vigente - in una pena pecuniaria determinabile, nel minimo, in 22.500,00 euro e, nel massimo, in 225.000,00 euro. 1.4. Risulta versata in atti documentazione promanante dall'Agenzia delle entrate, atta a comprovare le condizioni economiche del reo; trattasi di un riepilogo dei principali «dati contabili» della dichiarazione dei redditi presentata dall'imputato nel 2020. Orbene: ove la pena detentiva concordata dalle parti fosse convertita facendo applicazione del valore minimo attualmente previsto dall'art. 53, comma 2, della legge n. 689/1981, nei confronti del M... verrebbe ad essere disposta la multa di ben 22.500,00 euro, ossia una somma sostanzialmente pari ai redditi ultimamente percepiti dall'imputato, decurtati dall'imposta netta e dalle addizionali previste dall'ordinamento tributario; come allegato dalla difesa, il M... titolare di reddito di lavoro dipendente; la rateizzazione del pagamento della pena pecuniaria di 22.500,00 euro - sino al numero massimo di trenta rate previsto dall'art. 133-ter del codice penale - sarebbe comunque idonea a compromettere notevolmente la capacita' economica del reo. 2. Posto quanto precede, appare opportuno rammentare che - come da ultimo affermato da codesta Corte nella sentenza n. 15/2020 - lo strumento della conversione delle c.d. pene detentive brevi in pene pecuniarie costituisce un «prezioso strumento destinato a evitare a chi sia stato ritenuto responsabile di reati di modesta gravita' di scontare pene detentive troppo brevi perche' possa essere impostato un reale percorso trattamentale, ma gia' sufficienti a produrre i gravi effetti di lacerazione del tessuto familiare, sociale e lavorativo, che il solo ingresso in carcere solitamente produce». La disposizione di cui all'art. 53 della legge n. 689/1981, dunque, secondo la prospettiva del giudice delle leggi, non prevede una sorta di «graziosa concessione», bensi' un istituto deputato a soddisfare le esigenze di finalismo rieducativo della pena previste dall'art. 27, comma 3, della Costituzione. 3. Per quanto attiene alla specifica vicenda processuale che ci occupa, evidente e' la necessita' di disporre la conversione della pena detentiva breve concordata dalle parti in pena pecuniaria, tenuto conto dei dati personologici piu' compiutamente richiamati supra (incensuratezza dell'imputato, non riferibilita' a questi di carichi pendenti, scarsa capacita' criminale e pieno inserimento in un tessuto sociale e lavorativo sufficientemente strutturato): l'ingresso in carcere del M... , infatti, per usare le parole di codesta Corte, produrrebbe «effetti di lacerazione» sul complessivo tessuto relazionale entro il quale l'imputato. Siffatta lacerazione - che, purtroppo, nell'architettura di un ramo dell'ordinamento giuridico quale il diritto penale, anticamente definito jus terribile, appare inevitabile - non puo' che apparire inutile nel caso di specie, tenuto conto degli apprezzabili effetti deterrenti che una pena pecuniaria di entita' tutt'altro che scarsa quale quella stabilita dalla difesa e dal pubblico ministero potrebbe sortire in capo all'odierno imputato. 4. Come gia' precisato al paragrafo 1.4, laddove le parti avessero fatto applicazione del valore minimo di conversione della pena detentiva in pena pecuniaria (250,00 euro) attualmente previsto dall'art. 53 della legge n. 689/1981, la pena pecuniaria destinata ad essere disposta nei confronti del M... sarebbe pari a ben 22.500,00 euro, ossia una somma palesemente sproporzionata tanto rispetto ai concreti profili di offensivita' del delitto di cui al capo d'imputazione che alle concrete condizioni economiche del reo. Ed infatti, come anche sottolineato supra: i fatti per cui e' causa non hanno determinato in capo alle odierne persone offese conseguenze pregiudizievoli di carattere permanente ne' denotano in capo all'imputato un'elevata capacita' criminale; la condotta «violenta» ascritta al M... si e' sostanziata esclusivamente in una farina basic di violenza impropria, e non in un'aggressione fisica delle odierne persone offese; Una pena pecuniaria di 22.500,00 euro appare, dunque, palesemente eccessiva rispetto alla concreta gravita' dei fatti e, dunque, in palese contrasto rispetto agli scopi sottesi alla disposizione di cui all'art. 53, comma 2, della legge n. 689/1981. 4.1. La gratuita' della sanzione pecuniaria di cui sopra appare tanto piu' evidente quanto piu' si ponga mente all'idoneita' di una simile pena a compromettere la stabilita' economica dell'odierno imputato, il quale e' percettore di redditi tutt'altro che elevati, suscettibili di essere incisi in misura patologica pur laddove egli dovesse beneficiare della rateizzazione prevista dall'art. 133-ter del codice penale. 5. Le problematiche in rilievo nel caso di specie impongono di rammentare i principi espressi dal giudice delle leggi in materia di proporzionalita' della pena al fatto di reato illecito commesso dal reo. 5.1. Secondo la costante giurisprudenza costituzionale, l'art. 3 della Costituzione esige che la pena sia proporzionata al disvalore del fatto illecito commesso, in modo che il sistema sanzionatorio adempia nel contempo alla funzione di difesa sociale ed a quella di tutela delle posizioni individuali (in tal senso, ex plurimis, Corte costituzionale n. 236/2016). Come affermato nell'arresto da ultimo richiamato, la tutela del principio di proporzionalita', nel campo del diritto penale, conduce a «negare legittimita' alle incriminazioni che, anche se presumibilmente idonee a raggiungere finalita' statuali di prevenzione, producono, attraverso la pena, danni all'individuo (ai suoi diritti fondamentali) ed alla societa' sproporzionatamente maggiori dei vantaggi ottenuti (o da ottenere) da quest'ultima con la tutela dei beni e valori offesi dalle predette incriminazioni» (sentenze n. 341 del 1994 e n. 409 del 1989). Deve essere ricordato, in questa prospettiva, anche l'art. 49, numero 3), della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea - proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000, e che ha ora lo stesso valore giuridico dei trattati, in forza dell'art. 6, comma 1, del Trattato sull'Unione europea (TUE), come modificato dal Trattato di Lisbona, firmato il 13 dicembre 2007, ratificato e reso esecutivo con legge 2 agosto 2008 n. 130, ed entrato in vigore il 1° dicembre 2009 - a tenore del quale «le pene inflitte non devono essere sproporzionate rispetto al reato». 5.1.1. Il giudice delle leggi ha stabilito, altresi', che in un delicato settore dell'ordinamento quale il diritto penale «il principio di proporzionalita' esige un'articolazione legale del sistema sanzionatorio che renda possibile l'adeguamento della pena alle effettive responsabilita' personali, svolgendo una funzione di giustizia, e anche di tutela delle posizioni individuali e di limite della potesta' punitiva statale, in armonia con il "volto costituzionale" del sistema penale» (sentenza n. 50 del 1980 e n. 236 del 2016). A cio' si aggiunge che, alla luce dell'art. 27 della Costituzione, il principio della finalita' rieducativa della pena costituisce «una delle qualita' essenziali e generali che caratterizzano la pena nel suo contenuto ontologico, e l'accompagnano da quando nasce, nell'astratta previsione normativa, fino a quando in concreto si estingue» (sentenza n. 313 del 1990). Esso, pertanto, non vale per la sola fase esecutiva, ma obbliga tanto il legislatore quanto i giudici della cognizione (sentenza n. 313 del 1990). Anche la finalita' rieducativa della pena, nell'illuminare l'astratta previsione normativa, richiede «un costante principio di proporzione tra qualita' e quantita' della sanzione, da una parte, e offesa, dall'altra» (sentenza n. 251 del 2012 e, ancora, sentenza n. 341 del 1994), mentre la palese sproporzione del sacrificio della liberta' personale produce «una vanificazione del fine rieducativo della pena prescritto dall'art. 27, terzo comma, della Costituzione, che di quella liberta' costituisce una garanzia istituzionale in relazione allo stato di detenzione» (sentenza n. 343 del 1993). 6. La costellazione di principi appena richiamata impone a questo giudice di predicare l'irragionevolezza intrinseca del valore minimo del criterio di conversione delle pene detentive brevi previsto dall'art. 53, comma 2, della legge n. 689/1981. Siffatta irragionevolezza, d'altra parte, e' stata di recente apertis verbis rilevata proprio dal giudice delle leggi nella sentenza n. 15/2020: con tale pronuncia, codesta Corte, rispetto ad un caso analogo a quello che interessa l'odierno imputato, ha dichiarato l'inammissibilita' della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 135 del codice penale, cosi come richiamato dal secondo comma dell'art. 53 della legge n. 689/1981. Appare quantomai indispensabile riportare qui di seguito un ampio stralcio della sentenza appena evocata: Il problema che fa da sfondo alle questioni sollevate e', invero, reale. L'art. 53, comma 2, della legge n. 689 del 1981, nel prevedere la possibilita' di sostituzione della pena detentiva nel limite dei sei mesi con la pena pecuniaria, stabilisce, tra l'altro, che «[p]er determinare l'ammontare della pena pecuniaria il giudice individua il valore giornaliero al quale puo' essere assoggettato l'imputato e lo moltiplica per i giorni di pena detentiva. Nella determinazione dell'ammontare di cui al precedente periodo il giudice tiene conto della condizione economica complessiva dell'imputato e del suo nucleo familiare. Il valore giornaliero non puo' essere inferiore alla somma indicata dall'art. 135 del codice penale e non puo' superare di dieci volte tale ammontare». Ora, il tasso di ragguaglio previsto dall'art. 135 del codice penale - gia' fissato dall'art. 1 della legge 5 ottobre 1993, n. 402 (Modifica dell'art. 135 del codice penale: ragguaglio fra pene pecuniarie e pene detentive), in 75.000 lire per ogni giorno di pena detentiva, poi convertite in 38 euro - e' stato innalzato a 250 euro giornalieri per effetto della legge 15 luglio 2009 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica). Tale aumento ha fatto si' che - in forza del richiamo all'art. 135 del codice penale contenuto nell'art. 53 della legge n. 689 del 1981, pacificamente considerato quale rinvio «mobile» - il valore giornaliero minimo della pena pecuniaria sostituita alla pena detentiva sia attualmente pari a 250 euro. Il risultato e' stato quello di rendere eccessivamente onerosa, per molti condannati, la sostituzione della pena pecuniaria, sol che si pensi che - ad esempio - il minimo legale della reclusione, fissato dall'att. 23 del codice penale in quindici giorni, deve oggi essere sostituito in una multa di almeno 3.750 euro, mentre la sostituzione di sei mesi di reclusione (pari al limite massimo entro il quale puo' operare il meccanismo previsto dall'art. 53, comma 2, della legge n. 689 del 1981) da' a luogo a una multa non inferiore a 45.000 euro. Cio' ha determinato, nella prassi, una drastica compressione del ricorso alla sostituzione della pena pecuniaria, che pure era stata concepita dal legislatore del 1981 - in piena sintonia con la logica dell'art. 27, terzo comma, della Costituzione - come prezioso strumento destinato a evitare a chi sia stato ritenuto responsabile di reati di modesta gravita' di scontare pene detentive troppo brevi perche' possa essere impostato un reale percorso trattamentale, ma gia' sufficienti a produrre i gravi effetti di lacerazione del tessuto familiare, sociale e lavorativo, che il solo ingresso in carcere solitamente produce. Con il conseguente rischio di trasformare la sostituzione della pena pecuniaria in un privilegio per i soli condannati abbienti: cio' che appare di problematica compatibilita' con l'art. 3, secondo comma, della Costituzione, il cui centrale rilievo nella commisurazione della pena pecuniaria e' stato da tempo sottolineato dalla giurisprudenza di questa Corte (sentenza n. 131 del 1979). 2.2. - Tuttavia, le questioni oggi all'esame, aventi a oggetto l'art. 135 del codice penale, sono viziate da aberratio ictus; vizio che ha carattere assorbente rispetto ai diversi profili di inammissibilita' denunciati dall'avvocatura generale dello Stato. Il rimettente e', come rilevato, investito di una istanza di patteggiamento, con la quale l'imputato chiede la sostituzione di una pena detentiva con una pena pecuniaria ai sensi dell'art. 53 della legge n. 689 del 1981. Ora, l'art. 53 della legge n. 689 del 1981 fa rinvio all'art. 135 del codice penale, assumendo quale base del calcolo della pena da sostituire la somma ivi stabilita per ogni ipotesi in cui - evidentemente in difetto di altra piu' specifica disciplina - si debba eseguire un ragguaglio tra pene pecuniarie e pene detentive. Ma lo stesso art. 53 della legge n. 689 del 1981 detta per l'appunto una disciplina speciale rispetto a quella dell'art. 135 del codice penale, stabilendo che la somma indicata in quest'ultima disposizione - attualmente pari a 250 euro, o frazione di 250 euro, per ogni giorno di pena detentiva - possa essere aumentata sino a dieci volte, tenendo conto, nella determinazione dell'ammontare della pena pecuniaria, della condizione economica complessiva dell'imputato o del suo nucleo familiare. Formulando questioni di legittimita' costituzionale aventi a oggetto, invece, il solo art. 135 del codice penale, il giudice a quo da un lato censura una disposizione destinata ad operare in una pluralita' di ipotesi - dalla conversione della pena detentiva in pena pecuniaria nel caso previsto dall'art. 2, comma 3, del codice penale alla determinazione del limite massimo di pena che consente i benefici della sospensione condizionale e della non menzione della condanna ai sensi, rispettivamente, degli articoli 163, comma 1, e 175, comma 2, del codice penale - del tutto distinte rispetto alla sostituzione della pena detentiva in pena pecuniaria, che viene in considerazione nel procedimento a quo; e dall'altro omette di censurare proprio la disposizione di cui all'art. 53 della legge n. 689 del 1981, che detta lo speciale criterio di ragguaglio applicabile nel caso concreto. Dal che l'inammissibilita' delle questioni sollevate. 3. - Le considerazioni poc'anzi svolte inducono, comunque, questa Corte a formulare l'auspicio che il legislatore intervenga a porre rimedio alle incongruenze evidenziate (supra, 2.1.), nel quadro di un complessivo intervento - la cui stringente opportunita' e' stata anche di recente segnalata (sentenza n. 279 del 2019) - volto a restituire effettivita' alla pena pecuniaria, anche attraverso una revisione degli attuali, farraginosi meccanismi di esecuzione forzata e di conversione in pene limitative della liberta' personale. E cio' nella consapevolezza che soltanto una disciplina della pena pecuniaria in grado di garantirne una commisurazione da parte del giudice proporzionata tanto alla gravita' del reato quanto alle condizioni economiche del reo, e assieme di assicurarne poi l'effettiva riscossione, puo' costituire una seria alternativa allo pena detentiva, cosi' come di fatto accade in molti altri ordinamenti contemporanei. 7. Questo giudice - in ossequio alle chiare indicazioni fornite da codesta Corte nell'arresto appena richiamato - ritiene, dunque, rilevante nell'ambito del procedimento penale di cui in epigrafe e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale della disposizione di cui all'art. 53, comma 2, della legge n. 689/1981, nella parte in cui tale norma prevede un criterio minimo di conversione delle pene detentive brevi in pene pecuniarie idoneo, in casi analoghi a quello che ci occupa, a determinare trattamenti sanzionatori sproporzionati ed in contrasto con elementari esigenze di finalismo rieducativo. Siffatto criterio, nel caso di specie, imporrebbe il rigetto della richiesta di applicazione della pena sottoposta al vaglio di questo G.I.P. 8. In ordine ai principi costituzionali che si ritengono violati, deve affermarsi che: il criterio minimo di conversione previsto dall'art. 53, comma 2, della legge n. 689/1981 viola l'art. 3 della Costituzione, e cio' in quanto crea disparita' di trattamento evidenti fra imputati notevolmente abbienti - in quanto tali, in grado di reggere «l'urto» di una pena pecuniaria pur sproporzionata - e imputati che versano in condizioni economiche maggiormente modeste; come piu' volte sottolineato supra, il criterio minimo di conversione previsto dall'art. 53, comma 2, della legge n. 689/1981 viola l'art. 27, terzo comma, della Costituzione, in quanto idoneo, come nel caso di specie, ad imporre la determinazione di una pena pecuniaria sproporzionata rispetto ai fatti addebitabili al reo, minando «a monte» l'imprescindibile esigenza di minimizzazione dell'inflizione di pene detentive brevi «gratuite» ed «inutilmente laceranti» e, «a valle», comportando la determinazione di trattamenti sanzionatori sproporzionati ed intrinsecamente irragionevoli; la disposizione di cui trattasi viola, altresi', l'art. 117 della Costituzione, e cio' in quanto l'art. 49, numero 3), della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea - che ha ora lo stesso valore giuridico dei trattati, in forza dell'art. 6, comma 1, del Trattato sull'Unione europea (TUE) - prevede che «le pene inflitte non devono essere sproporzionate rispetto al reato». 9. Posto quanto precede, questo giudice e' consapevole che - come condivisibilmente affermato in Corte costituzionale n. 236/2016 e Corte costituzionale n. 23/2016 - la Corte costituzionale, per non sovrapporre la propria discrezionalita' a quella del Parlamento rappresentativo, finendo per esercitare un inammissibile potere di scelta (sentenza n. 22 del 2007) in materia sanzionatoria penale, deve condurre le proprie valutazioni attraverso precisi punti di riferimento, gia' rinvenibili nel sistema legislativo. Anche nel giudizio di «ragionevolezza intrinseca» di un trattamento sanzionatorio penale incentrato sul principio di proporzionalita', infatti, e' essenziale l'individuazione di soluzioni gia' esistenti, idonee a eliminare o ridurre la manifesta irragionevolezza lamentata (sentenza n. 23 del 2016). 9.1. Orbene, per quanto attiene al caso di specie, il controllo sulla sproporzione manifestamente irragionevole fra quantita' della sanzione pecuniaria minima prevista dall'art. 53 della legge n. 689/1981, da una parte, e gravita' dell'offesa e condizioni economiche del reo, dall'altra, puo' essere condotto attraverso una «valutazione relazionale» fra la disciplina prevista dalla suddetta disposizione e la norma di cui all'art. 459, comma 1-bis del codice di procedura penale. 9.2. La disposizione da ultimo evocata riguarda il procedimento per decreto, e prevede che «nel caso di irrogazione di una pena pecuniaria in sostituzione di una pena detentiva, il giudice, per determinare l'ammontare della pena pecuniaria, individua il valore giornaliero al quale puo' essere assoggettato l'imputato e lo moltiplica per i giorni di pena detentiva». Il valore giornaliero non puo' essere inferiore «alla somma di euro 75 di pena pecuniaria per un giorno di pena detentiva e non puo' superare di tre volte tale ammontare». 9.2.1. Non paia ozioso rammentare che la liberta' e' diritto indisponibile ed inalienabile: la non configurabilita' di un «mercato» avente ad oggetto un simile diritto, con tutta evidenza, impedisce di attribuire allo stesso un valore strido sensu economico. L'associazione di un valore pecuniario ad un giorno di detenzione, prevista in plurime sedi dell'ordinamento penale, e', dunque, operazione che risponde a logiche e canoni di proporzionalita' sanzionatoria. 9.2.2. Il legislatore, nell'esercizio della propria discrezionalita', ha ritenuto che l'afflizione correlata alla privazione della liberta' personale possa essere parificata, al minimo, a 75,00 curo di multa. Siffatta «associazione», per i motivi esposti supra, appare congrua e consente un'adeguata dosimetria sanzionatoria. 9.2.3. Il meccanismo di conversione di cui all'art. 53, comma 2, della legge n. 689/1981 non e' identico a quella di cui all'art. 459, comma 1-bis del codice di procedura penale, tenuto conto che il legislatore ha evidentemente inteso prevedere, nei confronti del destinatario di un decreto penale di condanna, un trattamento sanzionatorio di favore, soprattutto per quanto riguarda il massimo del range di conversione (225,00 euro in luogo del valore limite di 2.500,00 euro previsto per la sostituzione di pene detentive brevi in pene pecuniarie). E' altrettanto vero, tuttavia, che le fattispecie in parola non possono considerarsi del tutto disomogenee, posto che una «forbice» di «valori sanzionatori» - al netto delle caratteristiche del rito entro il quale essa viene in rilievo - e' sempre connaturata dalla precipua funzione di consentire il miglior adeguamento del trattamento sanzionatorio al fatto di reato e alle caratteristiche personologiche del reo. Nel caso di specie, e' evidente la manifesta sproporzione del minimo del range previsto dall'art. 53, comma 2, della legge n. 689/1981, non giustificata da alcuna esigenza di carattere special-preventivo o general-preventivo; detto minimo, pertanto, va allineato al valore pecuniario minimale che il legislatore ha inteso associare ad una «frazione» di un diritto indisponibile prezioso quale quello alla liberta' personale. 9.2.4. La natura di favore del criterio di conversione previsto dall'art. 459, comma 1-bis, del codice di procedura penale non verrebbe minata dall'accoglimento della questione di legittima costituzionalita' sollevata in via principale da questo G.I.P., considerato che la misura massima del valore pecuniario giornaliero associabile ad un giorno di pena detentiva, cosi' come prevista dalla predetta disposizione, resterebbe pari a 225,00 euro, mentre la misura massima dell'analogo valore previsto dall'art. 53, comma 2, della legge n. 689/1981, resterebbe pari al decuplo del valore previsto dall'art. 135 del codice penale, dunque a 2.500,00 euro. 9.3. Non pare inopportuno rammentare che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 236/2016, piu' volte richiamata supra, ha gia' inteso comparare, ai fini di una declaratoria di legittimita' costituzionale, fattispecie non «identiche» ma comunque «non [...] del tutto disomogenee» - in tal senso, si rinvia al paragrafo 4.5 dell'arresto appena menzionato. 9.3.1. Nel recente passato, inoltre, codesta Corte, con la sentenza n. 40/2019, ha gia' inteso procedere alla rimodulazione del minimo della «forbice sanzionatoria» caratterizzante il delitto di cui all'art. 73, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990, e cio' pur nella dichiarata assenza di una soluzione «costituzionalmente obbligata», prendendo apertis verbis spunto da una norma precedentemente dichiarata incostituzionale. Il giudice delle leggi, con il richiamato arresto, ha inteso adottare una soluzione si' «non obbligata», ma comunque «non arbitraria», ricavabile da una disciplina gia' rinvenibile nell'ordinamento; analoga logica, a parere di questo giudice, potrebbe trovare applicazione in ordine al caso che ci occupa nella presente sede. 10. In alternativa, questo giudice per le indagini preliminari chiede a codesta Corte di dichiarare l'incostituzionalita' della disposizione di cui all'art. 53, comma 2, della legge n. 689/1981 nella parte in cui detta disposizione non prevede che il giudice, nel determinare la pena pecuniaria sostitutiva di pena detentiva di durata inferiore a sei mesi, non possa fare applicazione del criterio di adeguamento della pena pecuniaria minima previsto dall'art. 133-bis, comma 2, del codice penale. Siffatto criterio consentirebbe al giudice, in casi analoghi a quello oggetto del presente procedimento penale, di ridurre pene pecuniarie disposte in sostituzione di pene detentive brevi ictu oculi economicamente troppo gravose, sproporzionate rispetto alle condotte ascritte al reo, stridenti rispetto alle esigenze di finalismo rieducativo e tali da comportare disparita' di trattamento fra imputati abbienti e non. 10.1. La questione di legittimita' costituzionale formulata in via subordinata appare rilevante in quanto comunque destinata ad incidere sul trattamento sanzionatorio suscettibile di essere irrogato nei confronti dell'imputato all'esito del presente procedimento ove la questione di legittimita' costituzionale venisse ritenuta da codesta Corte non fondata e, dunque, il patteggiamento cosi' come formulato dalle parti fosse destinato a non essere accolto. 11. Da ultimo, va ricordato che il giudice delle leggi, «quando per riparare al vulnus costituzionale non soccorra lo strumento demolitorio, la Corte costituzionale non puo' autonomamente e a propria discrezione decidere», ma «in mancanza di un intervento del legislatore, la Corte [e'] pero' successivamente obbligata a intervenire, non mai in malam partem, e comunque nei limiti gia' tracciati dalla sua giurisprudenza» (in tal senso, Corte costituzionale n. 179/2017). Orbene, nel caso di specie l'intervento della Corte costituzionale s'impone in virtu' del fatto che la disposizione di cui all'art. 53, comma 2, della legge n. 689/1981, successivamente alla soprarichiamata sentenza monito n. 15/2020, non e' stato ancora modificato. Per usare le parole di un'altra sentenza monito (Corte costituzionale n. 207/2017) devono, dunque, prevenirsi trattamenti sanzionatori «generalmente avvertiti come iniqui», e cio' al fine - come apertis verbis affermato in Corte costituzionale n. 15/2020 - di «evitare a chi sia stato ritenuto responsabile di reati di modesta gravita' di scontare pene detentive troppo brevi perche' possa essere impostato un reale percorso trattamentale, ma gia' sufficienti a produrre i gravi effetti di lacerazione del tessuto familiare, sociale e lavorativo, che il solo ingresso in carcere solitamente produce», «con il conseguente rischio di trasformare la sostituzione della pena pecuniaria in un privilegio per i soli condannati abbienti».
P. Q. M. Visti gli articoli 134 della Costituzione, 23 e seguenti della legge n. 87 dell'11 marzo 1953 e 1 della legge costituzionale n. 1 del 9 febbraio 1948; Ritenutane la non manifesta infondatezza e la rilevanza; Dispone trasmettersi gli atti del presente giudizio alla Corte costituzionale per la risoluzione della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 53, comma 2, della legge n. 689/1981 nella parte in cui detta disposizione prevede che, nel determinare il quantum della pena pecuniaria sostitutiva della pena detentiva di durata inferiore a sei mesi, il giudice individui il valore minimo giornaliero di un giorno di reclusione nella misura della somma indicata dall'art. 135 del codice penale, pari a 250,00 euro, anziche' nella minor somma di 75,00 euro prevista dall'art. 459, comma 1-bis, del codice di procedura penale, per ritenuto contrasto con gli articoli 3, comma 2, 27, comma 3, e 117, comma 1, della Costituzione; In subordine, dispone trasmettersi gli atti del presente giudizio alla Corte costituzionale per la risoluzione della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 53, comma 2, della legge n. 689/1981 nella parte in cui detta disposizione non prevede che il giudice, nel determinare la pena pecuniaria sostitutiva di pena detentiva di durata inferiore a sei mesi, non possa fare applicazione del criterio di adeguamento della pena pecuniaria minima previsto dall'art. 133-bis del codice penale, per ritenuto contrasto con gli articoli 3, comma 2, 27, comma 3, e 117, comma 1, della Costituzione; Sospende il procedimento in corso ed ordina l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Dispone che a cura della cancelleria sia notificata la presente ordinanza al Presidente del Consiglio dei ministri e che della stessa sia data comunicazione ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Taranto, 14 aprile 2021 Il giudice per le indagini preliminari: Maccagnano