N. 144 ORDINANZA (Atto di promovimento) 24 maggio 2021
Ordinanza del 24 maggio 2021 del Tribunale di Piacenza nel procedimento civile promosso da Fino1 Securitisation (gia' Aspra Finance spa) e altri c/C. snc e altri. Esecuzione forzata - Misure connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19 - Sospensione, fino al 30 giugno 2021, di ogni procedura esecutiva per il pignoramento immobiliare, di cui all'art. 555 cod. proc. civ., avente a oggetto l'abitazione principale del debitore - Sospensione dell'esecuzione dei provvedimenti di rilascio degli immobili, anche ad uso non abitativo fino al 31 dicembre 2020 - Termine successivamente prorogato limitatamente ai provvedimenti di rilascio adottati per mancato pagamento del canone alle scadenze e ai provvedimenti di rilascio conseguenti all'adozione, ai sensi dell'articolo 586, secondo comma, cod. proc. civ., del decreto di trasferimento di immobili pignorati ed abitati dal debitore e dai suoi familiari - Denunciata preclusione per il giudice dell'esecuzione di esercitare poteri di valutazione dell'effetto sospensivo. - Decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 (Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 24 aprile 2020, n. 27, artt. 54-ter e 103, comma 6, e successive modificazioni e integrazioni.(GU n.39 del 29-9-2021 )
TRIBUNALE ORDINARIO DI PIACENZA Sezione civile Il giudice dell'esecuzione, dott. Antonino Fazio, nel procedimento n. 91/2009 R.Es. Imm. tra: Fino 1 Securitisation (gia' Aspra Finance S.p.a.), con l'avv. Giampaolo Marcon; Intesa San Paolo S.p.a. con l'avv. Michelangelo Camussi; Cassa di risparmio di Parma e Piacenza con l'avv. Michelangelo Camussi; Fallimento Cereal Trade s.r.l. con l'avv. Elisabetta Zangrandi; Maior SPV con l'avv. Francesca Crivellari; Consorzio agrario della Maremma toscana s.c. a r.l. con l'avv. Silvia Muratori. Creditori ed opposti e M.T. T.A. T.M., con l'avv. Giuseppe Dametti debitori ed opponenti e nei confronti di A. con l'avv. Silvia Covini terzo opponente pronuncia la seguente ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale della questione di legittimita' costituzionale degli articoli 54-ter e 103, comma 6 del decreto-legge n. 18/2020, in relazione agli articoli 3, 24, 41, 77 e 111 della Costituzione, nonche' all'art. 6 C.E.D.U. 1. Svolgimento del processo e rilevanza della questione sollevata. Nel corso dell'esecuzione immobiliare, avviata con pignoramento del 13 maggio 2009, che ha veduto plurimi esperimenti di vendita dei 6 lotti - uno solo dei quali, il lotto 4, oggetto di abitazione - e che si e' pertanto protratta per una durata ben superiore a quella indicativamente fissata dalla legge n. 89/2001, e' stata depositata in data 24 marzo 2021, dunque a ridosso della data fissata per l'ulteriore esperimento di vendita giudiziale (13 aprile 2021), istanza di sospensione ex art. 54-ter del decreto-legge n. 18/2020. Uno dei debitori pacificamente abita uno dei 6 lotti sin da prima del pignoramento; con la notifica del precetto e del pignoramento stesso e' stato messo legalmente a conoscenza del rischio che il bene gli venisse giuridicamente sottratto per essere liquidato e soddisfare il proprio creditore, con conseguente venir meno del proprio diritto di abitazione; e invoca solo adesso una disposizione in realta' entrata in vigore oltre quattordici mesi prima, all'evidente scopo di impedire lo svolgimento della vendita giudiziale - necessariamente da differire a data successiva al 30 giugno 2021, termine ultimo (al momento) della sospensione ex lege n. 18/2020 - e di mantenere pertanto, per qualche mese ancora, il pieno godimento dell'immobile. L'istanza, in ragione del carattere imperativo delle disposizioni applicabili, era stata accolta in data 10 aprile 2021 per la totalita' dei lotti, avendo ritenuto questo giudice che l'art. 54-ter della legge n. 18/2020 non consentisse una pronuncia di sospensione parziale della procedura esecutiva, specialmente nei casi in cui (come nella fattispecie) l'esperimento di vendita abbia ad oggetto il compendio immobiliare nel suo complesso e pertanto sia programmata un'attivita' processuale unitaria. L'interlocuzione, sorta ex art. 591-ter del codice di procedura civile, con il professionista delegato - che chiedeva appunto chiarimenti circa l'effetto sospensivo sui lotti non oggetto di diritto di abitazione - costituiva l'occasione per il riesame ufficioso della questione, ponendo mente al fatto che l'art. 103, comma 6 del decreto-legge n. 18/2020, complementare all'art. 54-ter predetto, inibisce unicamente il decreto di trasferimento e l'ordine di liberazione dell'immobile, non anche l'effettuazione della vendita giudiziale; e che non era stata comunque svolta alcuna formale istanza di sospensione ex art. 103, comma 6 del decreto-legge n. 18/2020. Va altresi' precisato che, in sede di linee-guida del Tribunale sulla gestione delle procedure esecutive immobiliari nel contesto di emergenza sanitaria - elaborate dai due giudici delle esecuzioni di concerto con i capi dell'ufficio e con i colleghi della sezione civile - ed opportunamente circolarizzate, si era chiarito e diffuso l'orientamento del Tribunale secondo cui, anche per la cospicua mole di procedimenti pendenti, e secondo una esegesi costituzionalmente orientata del nuovo dato normativo, la sospensione, proprio perche' concessa dal legislatore a tutela del diritto di abitazione o comunque della disponibilita' dell'immobile in capo all'esecutato, richiedeva per la sua pronuncia non l'iniziativa ufficiosa bensi' l'istanza di parte, al fine di consentire l'emanazione del provvedimento in risposta ad un concreto ed effettivo interesse della parte, non sempre e non a priori da darsi per scontato. Rilevato pertanto che, nel caso di specie, era stata svolta istanza di sospensione adducendo quale motivo il diritto di abitazione sul lotto 4; che non si era da alcuno invocato il diverso e connesso effetto sospensivo sancito dall'art. 103, comma 6 del decreto-legge n. 18/2020; che non ricorrevano i presupposti ne' le condizioni per la diversa ed autonoma ipotesi di sospensione di cui all'art. 586 del codice di procedura civile; ci si determinava, con provvedimento del 4 maggio 2021 (comunicato dalla cancelleria l'11 maggio 2021) reso a parziale modifica e revoca del provvedimento del 10 aprile 2021, a confermare la sospensione dell'esecuzione limitatamente al solo lotto 4, in quanto oggetto di diritto di abitazione e ricadente pertanto nell'ambito previsionale dell'art. 54-ter del decreto-legge n. 18/2020. Si riteneva invece la piena procedibilita' dell'esecuzione per gli altri lotti: tre (quattro con quello abitato) andati deserti; uno aggiudicato al miglior offerente, a prezzo notevolmente superiore a quello di stima; e uno aggiudicato all'unico offerente; di guisa che - per entrambi i lotti aggiudicati - non si ravvisava altresi' il presupposto della sospensione ex art. 586 del codice di procedura civile non avendo il g.e. motivo di ritenere vile il prezzo di aggiudicazione. Solo con l'opposizione agli atti esecutivi depositata dal debitore in data 18 maggio 2021 e con l'opposizione di terzo depositata in data 21 maggio 2021 veniva rappresentato al g.e. che, per effetto dei provvedimenti adottati, e in particolare nutrendo sia il debitore sia il terzo opponente il legittimo affidamento circa la sospensione totale dell'esecuzione, alcuni offerenti, tra cui il terzo opponente, avevano desistito dal partecipare al tentativo di vendita giudiziale che, invece, si era regolarmente tenuto e che aveva determinato l'aggiudicazione dei due lotti. In entrambe le opposizioni endoesecutive si chiede la revoca dei due decreti di trasferimento. Tale effetto sarebbe consequenziale all'accertamento - dapprima nei limiti della cognizione incidentale demandata al g.e. per la fase sommaria dell'opposizione, indi a cognizione piena nel successivo eventuale giudizio di merito - della illegittimita' dell'aggiudicazione perche' avvenuta in un momento in cui la procedura era, o comunque doveva ritenersi, sospesa; sicche' sarebbe stato violato, o distorto, o eluso, il precetto degli articoli 54-ter e 103.6 del decreto-legge n. 18/2020 che andrebbe pertanto applicato, o applicato correttamente, «ora per allora». Ma v'e' di piu'. Anche indipendentemente dalla decisione sulle due opposizioni - che riguardano comunque soltanto i lotti 1 e 6 del compendio - si pone comunque il problema della rinnovazione della delega di vendita per gli altri lotti, che sarebbe irrimediabilmente preclusa se si ritenesse operativa, contrariamente a quanto statuito nel provvedimento del 4-11 maggio 2021, la sospensione del processo esecutivo. Tanto induce questo giudice dell'esecuzione a sollevare d'ufficio, ex art. 23, comma 3 della legge n. 87/1953, la questione di costituzionalita' delle due disposizioni - art. 54-ter e 103, comma 6 del decreto-legge n. 18/2020 - che riveste natura ictu oculi pregiudiziale nel giudizio a quo, in quanto ha ad oggetto norme che devono essere necessariamente applicate in detta sede processuale (cfr. Corte costituzionale n. 203/2016): essendo di tutta evidenza che l'impugnazione del provvedimento del 4-11 maggio 2021, per i motivi articolati, costringe il giudice al riesame della correttezza della scelta ermeneutica che lo aveva indotto a sospendere l'esecuzione limitatamente al solo lotto 4 oggetto di diritto di abitazione; e che pertanto si dovra' in ogni caso decidere se emettere il decreto di trasferimento e l'ordine di liberazione per i lotti aggiudicati - il che parrebbe precluso dall'art. 103, comma 6 del decreto-legge n. 18/2020 - nonche' se rinnovare la delega di vendita e se sia eventualmente possibile rinnovarla differendone l'efficacia al termine del periodo di sospensione, posto che anche questa opzione discende dall'applicazione, ex tunc o ex nunc che sia, delle due disposizioni in commento. Come si cerchera' di illustrare nei paragrafi successivi, il carattere imperativo dell'invocato precetto legislativo, che per la sua formulazione non lascia alcun margine di discrezionalita' al giudice, non sembra conciliabile con i principi del vigente ordinamento processuale; determina effetti ingiusti ed iniqui sul piano dei rapporti civilistici e pesantemente distorsivi del sistema economico; reca altresi' grave nocumento all'efficienza del processo esecutivo e della funzione giurisdizionale. Questo giudice ben conosce la giurisprudenza della Corte, secondo cui il sindacato di legittimita' costituzionale si arresta dinanzi alla discrezionalita' del legislatore (cfr., proprio in tema di sospensione dell'esecuzione, Corte costituzionale n. 81/1996); tuttavia, per i modi e termini in cui la discrezionalita' e' stata esercitata, resi manifesti da un precetto normativo che resiste ad ogni sforzo esegetico teso a darne una lettura costituzionalmente orientata (difficolta', a quanto consta, rilevata anche da colleghi di altri Tribunali), si ritiene che essa sia trasmodata in arbitrio. Nei paragrafi che seguono si cerchera' di esporre sinteticamente i motivi di conflitto con i parametri costituzionali, considerando le norme da diversi angoli prospettici in ragione della pluralita' di interessi lesi. 2. Il dato normativo. L'art. 54-ter del decreto-legge n. 18/2020 prevede, con formulazione incongrua, che «Al fine di contenere gli effetti negativi dell'emergenza epidemiologica da COVID-19, in tutto il territorio nazionale e' sospesa, fino al 30 giugno 2021, ogni procedura esecutiva per il pignoramento immobiliare, di cui all'art. 555 del codice di procedura civile, che abbia ad oggetto l'abitazione principale del debitore». L'uso della preposizione «per» implica, in alternativa, un complemento di fine o un complemento di mezzo. Nel vigente ordinamento processualcivilistico, tuttavia, la procedura esecutiva immobiliare non mira al risultato di consentire un pignoramento, risultato che - al piu' - puo' essere inibito sospendendo, in sede di opposizione ex art. 615 del codice di procedura civile, o con istanza cautelare ex articoli 283 o 649 del codice di procedura civile l'efficacia del titolo esecutivo azionato; ne' convince la diversa lettura, pur teoricamente prospettabile, secondo cui il legislatore avrebbe inteso riferirsi alla «procedura esecutiva [che si realizza, o si perfeziona, o procede] per il pignoramento immobiliare», vale a dire mediante questo. Piuttosto, come chiaramente dispone l'art. 491 del codice di procedura civile, l'esecuzione immobiliare «si inizia con il pignoramento», che e' il primo atto della procedura esecutiva ma non ne esaurisce la funzione. Puo' allora piu' logicamente ritenersi che il legislatore abbia voluto disporre sic et simpliciter la «sospensione di ogni procedura esecutiva immobiliare». L'art. 54-ter del decreto-legge n. 18/2020 specifica che tale effetto deve intendersi limitato alle sole procedure in cui l'immobile pignorato costituisca «l'abitazione principale del debitore». Si e' anche prospettata, nella prassi, una interpretazione piu' lata, che consenta (ritenendo atecnico anche il riferimento al «debitore») di tener conto anche dell'art. 604, comma 1 del codice di procedura civile, sicche' dovrebbe leggersi «abitazione principale dell'esecutato», sia esso debitore o terzo occupante. Da questo punto di vista la norma si porrebbe in linea di continuita' con la novella dell'art. 560 del codice di procedura civile, si' da ritenere che l'emergenza da COVID-19, e le sue ricadute di ordine economico e sociale, abbiano indotto il legislatore a tutelare l'esecutato e il suo nucleo familiare dal rischio di trovarsi, in un periodo di forti tensioni sociali per la pandemia, privo di soluzione abitativa. Tale esegesi, pur non irragionevole, e' tuttavia smentita dal dato normativo complessivo. Nel medesimo decreto-legge n. 18/2020 l'art. 103, comma 6, stabilisce infatti che «L'esecuzione dei provvedimenti di rilascio degli immobili, anche ad uso non abitativo, e' sospesa fino al 31 dicembre 2020», cosi' integrando ed ampliando l'effetto sospensivo - che poi discenda singolarmente dall'una o dall'altra norma o dal loro combinato disposto e' questione non rilevante, attesa l'immediata efficacia di entrambe - anche per situazioni in cui non venga in rilievo alcuna esigenza abitativa; l'art. 13, comma 13, del decreto-legge 31 dicembre 2020, n. 183, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2021, n. 21, ha poi prorogato tale termine sino al 30 giugno 2021 «limitatamente ai provvedimenti di rilascio adottati per mancato pagamento del canone alle scadenze e ai provvedimenti di rilascio conseguenti all'adozione, ai sensi dell'art. 586, comma 2, del codice di procedura civile, del decreto di trasferimento di immobili pignorati ed abitati dal debitore e dai suoi familiari»; cosi' ponendo nuovamente l'accento sul diritto di abitazione. A fronte pero' della disposizione di cui all'art. 4, comma 1, secondo periodo, decreto-legge n. 137/2020 che prevede un effetto ben piu' ampio: l'inefficacia di «ogni procedura esecutiva che abbia ad oggetto l'abitazione principale del debitore, effettuata dal 25 ottobre 2020 alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto». Il che potrebbe esporre a censure di illegittimita' l'attivita' processuale compiuta in tale periodo ancorche' non consistente nell'escomio del debitore. Sul punto puo' osservarsi che sin dalla riforma dell'art. 560 del codice di procedura civile la giurisprudenza, anche di questo Tribunale, aveva cercato di contemperare - con una lettura restrittiva e costituzionalmente orientata di detta norma - l'interesse abitativo dell'esecutato e del suo nucleo familiare con l'interesse privato del creditore alla propria soddisfazione e pubblico dello Stato all'effettivita' della tutela giurisdizionale. Il punto di equilibrio che si era ritenuto, pur faticosamente, di trovare e mantenere consisteva proprio nella limitazione dell'effetto sospensivo ai soli contesti in cui venisse in rilievo un concreto ed attuale diritto di abitazione, ed una attivita' processuale di sua compressione. Sicche', nella prassi, la procedura esecutiva proseguiva regolarmente il suo corso con tutte le attivita' inidonee, di per se', a sottrarre al debitore la disponibilita' del bene - perizia di stima, accessi in loco dei potenziali acquirenti, esperimenti di vendita - arrestandosi solo al momento in cui occorreva liberare l'immobile per consegnarlo all'aggiudicatario. L'intervento legislativo, finalizzato ad annullare gli effetti di provvedimenti giurisdizionali anche passati in giudicato (cio' che nel tempo da illecito, o comunque sgarbo, costituzionale e' divenuto prassi, e che e' stato stigmatizzato ad es. da Corte costituzionale n. 364/2007), parrebbe precludere oggi anche l'attuazione dell'ordine di liberazione quale che ne sia la causa o la fonte. Si ravvisano pertanto molteplici profili di illegittimita' costituzionale, di seguito brevemente esposti. 3. Violazione dell'art. 77 della Costituzione. In primo luogo non sembra corretto il ricorso alla decretazione d'urgenza. Al di la' dell'incipit dell'art. 54-ter e della sedes materiae dell'art. 103 del decreto-legge n. 18/2020, l'effetto sospensivo cosi' ampio e reiterato sancito dalle due disposizioni si risolve nella concessione di un beneficio - mantenimento del godimento dell'immobile - del tutto indipendente da ogni considerazione di ordine sanitario: sia perche' vengono sospese attivita' che di per se' non sembra possano implicare un rischio sanitario (o quantomeno un rischio ingovernabile), sia perche', trattandosi di norme applicabili a tutte le procedure pendenti al momento della loro entrata in vigore, la sospensione colpisce le procedure esecutive intraprese, o comunque situazioni debitorie sorte, anche in epoca anteriore alla dichiarazione dello stato di emergenza (31 gennaio 2020). Giova sul punto rimarcare che le procedure esecutive immobiliari non sono, di per se', occasione di diffusione del contagio. Quanto all'attivita' d'udienza, la comparizione personale delle parti - e' quasi superfluo rimarcare la diversita' strutturale del processo di esecuzione, in cui non si accerta alcunche', rispetto al processo di cognizione - non e' affatto necessaria, ne' all'udienza ex art. 569 del codice di procedura civile, ne' a quelle, peraltro solo eventuali, incidentali proprie dei procedimenti ex articoli 495, 496, 615, 617, 619 e 624 del codice di procedura civile. Quanto alla comparizione dei difensori, la contromisura per abbattere il rischio sanitario v'era gia': l'udienza da remoto o c.d. cartolare (trattazione scritta). Quanto alla fase di vendita giudiziale, gia' da prima del COVID ne era previsto lo svolgimento nelle forme della vendita telematica. Le attivita' «in presenza» nell'esecuzione immobiliare si riducono pertanto agli accessi sui luoghi da parte del custode, dello stimatore, dei potenziali acquirenti, nonche' alla presentazione delle offerte analogiche nei limitati casi in cui cio' tuttora avviene; ma si tratta di attivita' in cui il rischio sanitario era efficacemente contrastabile con gli ordinari accorgimenti (dispositivi di protezione individuale, distanziamento sociale) che hanno consentito la prosecuzione di attivita' molto piu' idonee alla diffusione del virus e che nondimeno sono state ritenute talmente essenziali da non conoscere sospensione (non cosi' la giurisdizione, ma questo e' un altro profilo di illegittimita' costituzionale: v. infra, § 6). Sicche' l'effetto sospensivo generalizzato accordato dalle disposizioni in commento appare un fuor d'opera perche' sproporzionato rispetto alle reali esigenze di cautela. Che non possono essere di ordine sanitario, poiche' non si comprenderebbero: a) la limitazione, operata dall'art. 54-ter, alle sole procedure in cui l'immobile sia abitato; b) l'estensione, operata dal successivo art. 103, alla liberazione degli immobili anche ad uso non abitativo; c) l'estensione ad ogni situazione debitoria, anche precedente l'emergenza sanitaria; d) l'estensione ad ogni occupazione dell'immobile, quand'anche fondata su un titolo inopponibile alla procedura, perche' anche questo sindacato viene precluso al giudice. Si tratta pertanto di un beneficio accordato a chi sia nella giuridica disponibilita' dell'immobile, la cui protrazione viene autorizzata indipendentemente da una posizione di diritto soggettivo - che anzi pare proprio affermata per factum principis, e quale diritto soggettivo assoluto e incomprimibile - e da qualsiasi concreto ed effettivo rischio epidemiologico; risolvendosi pertanto, a ben guardare, in una misura assistenziale che risponde a logiche politiche perfettamente sovrapponibili a quelle che avevano determinato la riforma dell'art. 560 del codice di procedura civile e che pertanto andava introdotta con legge ordinaria, non gia' con decreto-legge. Tale conclusione e' avvalorata dall'ulteriore considerazione dell'arco temporale di vigenza del predetto effetto sospensivo: per effetto delle successive e reiterate proroghe, con termine ultimo al 30 giugno 2021 salvo che ne intervengano di ulteriori (eventualita' non da scartare a priori), la sospensione delle procedure esecutive protrattasi senza soluzione di continuita' e' di fatto sine die e in ogni caso stabilizza un effetto «protettivo» di cui gli esecutati da data anteriore alle norme gia' beneficiavano: sicche' non sembra che i relativi costi - giuridici, economici, sociali - siano imposti da quelle ragioni di particolare ed indifferibile urgenza che sono il presupposto indefettibile del decreto-legge. 4. Violazione degli articoli 3 e 77 della Costituzione. L'art. 77 della Costituzione, oltre che in se', pare violato anche in combinato disposto con l'art. 3 della Costituzione, poiche' - oltre a non ricorrere le ipotesi di urgenza - viene fatta oggetto di intervento sospensivo un'attivita', quale quella porzione di attivita' giurisdizionale consistente nel processo esecutivo, in se' certamente non piu' pericolosa di altre considerate dal legislatore come essenziali o insuscettibili di sospensione. La scelta legislativa, piuttosto che operare un effettivo e ponderato bilanciamento degli interessi confliggenti, appare avventuristica e poco meditata risolvendosi in una irragionevole disparita' di trattamento rispetto a situazioni analoghe e, piu' in generale, andando a colpire e sacrificare un ambito (la fase esecutiva della giurisdizione) altrettanto delicato, sia per l'economia sia per la stessa coesione del tessuto sociale, di altri che invece sono stati salvaguardati. Gli articoli 54-ter e 103 del decreto-legge n. 18/2020 si pongono pertanto in linea di continuita' ideologica con l'altrettanto discutibile misura di indiscriminata e stabile chiusura delle scuole di ogni ordine e grado. Interessi di rango costituzionale come l'iniziativa economica privata, la proprieta' privata, la tutela giurisdizionale, e nel caso delle scuole il diritto all'istruzione, vengono sacrificati «a prescindere», indipendentemente dalla connotazione della relativa attivita' in termini di pericolosita' sanitaria, dalle evidenze scientifiche disponibili, dall'efficacia delle misure di contenimento pur adottabili in concreto. V'e' dunque la rinuncia aprioristica al bilanciamento tra contrapposti interessi, accordandosi invece esclusivo rilievo ad uno soltanto che peraltro, in tempi ordinari, sarebbe naturalmente recessivo, trattandosi della posizione giuridica dell'inadempiente, di naturale soggezione rispetto al creditore (v. infra, § 5). La discrezionalita' legislativa, esercitata senza alcuna ponderazione degli interessi attinti, che vengono invece selezionati aprioristicamente ed arbitrariamente, «facit de albo nigrum, originem creat, aequat quadrata rotundis, naturalia sanguinis vincula et falsum in verum mutat», con ulteriore e piu' grave distorsione dello strumento della decretazione d'urgenza piegato a legittimare una soluzione oggettivamente antigiuridica in nome di uno «stato d'eccezione» di cui la pandemia ha costituito, a ben guardare, non la causa ma l'occasione. A cio' si aggiunga che il «privilegio» cosi' accordato dal legislatore stride con la struttura del processo esecutivo nel quale, come gia' rammentato dalla Corte costituzionale, la condizione soggettiva delle parti non ha alcun rilievo e non e' pertanto ammissibile alcun regime di favore connesso allo status (nella specie, si discuteva della competenza territoriale in deroga, essendo parte un magistrato: Corte costituzionale n. 444/2002). 5. Violazione degli articoli 34 e 41 della Costituzione. Le disposizioni in commento si pongono altresi' in conflitto con la liberta' di iniziativa economica privata riconosciuta e tutelata dall'art. 41 della Costituzione non solo nel suo momento iniziale, bensi' per l'intero suo svolgimento (cfr. Corte costituzionale n. 35/1960 e n. 54/1962). «Secondo il principio piu' volte ribadito nella giurisprudenza costituzionale, non e' configurabile una lesione della liberta' d'iniziativa economica allorche' l'apposizione di limiti di ordine generale al suo esercizio corrisponda all'utilita' sociale, come sancito dall'art. 41, secondo comma della Costituzione, purche', per un verso, l'individuazione di quest'ultima non appaia arbitraria e, per altro verso, gli interventi del legislatore non la perseguano mediante misure palesemente incongrue» (Corte costituzionale n. 16/2017). Il concetto di utilita' sociale compendia, ed e' mezzo al fine, la tutela di interessi c.d. super-primari quali la liberta', la sicurezza, la dignita' umana. Posto che a venire in rilievo non e' certo la sicurezza - per le ragioni sopra delineate (retro, §§ 3,4) - occorrerebbe verificare l'ipotesi per cui le due norme in commento porrebbero limitazioni all'esercizio dell'attivita' economica (direttamente, se vi si fa rientrare il recupero crediti; indirettamente, se si considera solo l'effetto negativo sul patrimonio del creditore) giustificate da ragioni di indefettibile tutela della liberta' o della dignita' umana. Orbene, quanto alla dignita' umana, e' chiaro che trovarsi senza abitazione in tempo di pandemia vi rechi grave pregiudizio. Tuttavia, valorizzando sia, sul piano contenutistico, la veduta continuita' con la riforma dell'art. 560 del codice di procedura civile, sia, sul piano formale, l'intestazione dell'art. 54-ter del decreto-legge n. 18/2020 quale norma posta a tutela della «prima casa», l'interprete si trova a non poter escludere a priori che il debitore abbia, anche di fatto, la disponibilita' di altri immobili che gli consentirebbero di soddisfare l'esigenza abitativa determinando la caducazione del presupposto applicativo della chiesta sospensione. La qualita' di debitore nel processo esecutivo, cosi' come non determina di per se' la perdita della dignita' umana, implica tuttavia la limitazione della liberta': egli non e' libero di disporre del proprio patrimonio, essendo pacifico che al pignoramento consegua l'effetto di spossessamento. La ragione e' nota. La sospensione del processo esecutivo e' un effetto che, giova rammentarlo, colpisce un rapporto giuridico processuale instaurato tra due parti in ragione del rapporto sostanziale sottostante; rapporto che scaturisce dalla insolvenza del debitore. Cio' che accomuna, sul piano economico, l'insolvenza in senso tecnico (decozione attuale o prospettica del debitore imprenditore commerciale) e l'insolvenza in senso civilistico (inadempimento alle obbligazioni assunte dal debitore non imprenditore), e' l'effetto traslativo sul creditore del rischio economico del rapporto originario. Per effetto dell'inadempimento, che lo priva della controprestazione dovuta, il creditore si trova a subire il costo dell'operazione economica programmata ed attuata, mentre il debitore, che ha ottenuto la prestazione ed omette di eseguire la propria, consegue l'intera utilita' del negozio. Il creditore si trova costretto ad attendere, allo stato invano, la liquidazione del patrimonio del debitore per soddisfarsi sul ricavato, ovvero la restituzione di un immobile di cui, in entrambi i casi, il debitore continua a godere. Sicche', con il proprio inadempimento - colpevole o meno che sia - il debitore riqualifica il creditore in suo finanziatore involontario, tenuto a sostenere il costo delle esigenze abitative o dell'attivita' d'impresa del debitore. Nelle procedure concorsuali questo giustifica l'attribuzione della governance sulle sorti dell'impresa in crisi (in particolare nelle soluzioni concordatarie e negoziali) ai creditori in proporzione all'entita' e in relazione al titolo del proprio credito. Nelle procedure esecutive individuali questo giustifica la posizione di naturale soggezione del debitore rispetto al creditore, proprio perche' non si discute piu' - se non nei limiti dei fatti sopravvenuti, nelle opposizioni ex art. 615 del codice di procedura civile - del rapporto originario ne' si accerta alcunche', ma si esegue il precetto non osservato. La sospensione delle procedure esecutive e del rilascio degli immobili sancita dalle due disposizioni in commento sovverte l'ordine delle cose. Il diritto di credito, che e' il simbolo plastico della «reintegrazione dell'ordine giuridico violato», viene compresso in favore di una malintesa esigenza di tutela vuoi di chi con l'inadempimento ha dato causa proprio al processo esecutivo, vuoi di chi si trovi comunque nella disponibilita' di un immobile non suo e per qualunque ragione: non e' previsto, ed e' anzi precluso - l'uso del presente indicativo («e' sospesa», «sono sospese») e' incompatibile con qualsiasi discrezionalita' del giudice - l'accertamento sia pur incidentale della sussistenza o meno di un titolo opponibile alla procedura. Il creditore e' dunque soccombente ex lege senza alcuna ragione, logica o giuridica, se non la volonta' legislativa di considerarlo tale. In tale prospettiva - che va ben oltre il giuspositivismo e in cui la discrezionalita' del legislatore trasmoda in arbitrio - si legittima nient'altro che un indebito arricchimento civilistico: il debitore elude il principio di responsabilita' patrimoniale, non essendo possibile aggredire il suo patrimonio; sul creditore viene scaricato il costo dell'insolvenza, con effetti anche di sistema sol che si consideri come nella stragrande maggioranza delle procedure esecutive (oltre l'85% di quelle sul ruolo di questo g.e.) il procedente sia un Istituto di credito o una societa' finanziaria. La sospensione ex lege, cosi' come congegnata, si pone pertanto come fattore oggettivamente idoneo ad aggravare la disfunzione del sistema economico costituita dai non performing loans, rendendone piu' difficoltosa l'esazione. Puo' pertanto individuarsi in termini di ragionevole certezza un primo ed immediato effetto penalizzante per l'attivita' bancaria (perche' sara' sul ceto bancario che si scarichera' il costo del mancato recupero crediti conseguente all'inefficienza del processo esecutivo disposta ex lege), attivita' d'impresa peraltro di particolare rilevanza sociale. Ma ne discende altresi', come conseguenza non solo logica ma imposta dal rigore della disciplina di settore, un altrettanto prevedibile effetto di «stretta» sul credito posto che, dovendo gli Istituti di credito rispettare i vincoli di bilancio e di solidita' finanziaria e patrimoniale, la concessione di finanziamenti da parte di un Istituto che sia titolare di un consistente portafoglio di crediti deteriorati sara' oggettivamente meno agevole. Se ne desume, quale ulteriore implicazione, il fondato rischio che - per l'eterogenesi dei fini - una normativa ispirata dal favor debitoris finisca per avere effetti di sistema penalizzanti, in ultima analisi, proprio per i debitori e per i soggetti meno patrimonializzati, incentivandone il ricorso a canali alternativi di finanziamento (le cui connotazioni sono facilmente intuibili). Il pregiudizio per la liberta' di iniziativa economica privata sussiste, altresi', anche quando il creditore procedente non sia una banca. Il mancato recupero del credito determina infatti, nei rapporti tra imprenditori commerciali, il fenomeno dell'insolvenza a catena, poiche' il creditore insoddisfatto si ritrova a sua volta con meno mezzi, e dunque meno possibilita', di adempiere le proprie obbligazioni. Nei rapporti tra privati, poi, l'effetto sara' di esporre il creditore e il suo nucleo familiare al rischio del sovraindebitamento, nonche' di aggravare le gia' drammatiche situazioni in cui il credito oggetto di recupero abbia natura alimentare o di mantenimento. Appare pertanto ben difficile ipotizzare che la sospensione disposta dalle due norme denunciate risponda, al di la' delle intenzioni del legislatore, ad effettive esigenze di tutela della liberta' personale o della dignita' umana del debitore, ovvero sia in grado di assicurare detta tutela; non sono interessi che vengono in tal modo soddisfatti, e dunque non sono operanti come limiti alla liberta' di iniziativa economica che viene compressa (cfr. per l'illegittimita' dei limiti apposti in assenza di utilita' sociale ad es. Corte costituzionale n. 244/2011). Analoga considerazione si impone per l'altro noto limite posto dall'art. 41 della Costituzione, ossia l'utilita' sociale. A beneficiare della sospensione e' solo una parte del tessuto sociale, cioe' i debitori; sui creditori, proprietari del bene di cui non possono ottenere la liberazione, o titolari della legittima aspettativa alla liquidazione dell'altrui cespite preclusa ex lege, grava il costo - ed e' un costo valutabile anche come sociale, acuendosi la frattura tra classi sociali - di tale iper-protezione. Non sembra pertanto potersi ravvisare l'utilita' sociale intesa quale «concetto di valore» intriso di «giustizia sociale», che partecipa dei caratteri dei valori costituzionali che connotano l'ordinamento, e che quindi e' teso alla realizzazione di quel progetto di trasformazione della societa' italiana voluto dal 2° comma dell'art. 3 della Costituzione. 6. Violazione dell'art. 24 della Costituzione, anche in relazione all'art. 6 C.E.D.U. e all'art. 1 Protocollo addizionale C.E.D.U. La Corte costituzionale ha avuto modo di chiarire che «il diritto di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti (art. 24, primo comma della Costituzione) comprende la fase dell'esecuzione forzata, la quale e' diretta a rendere effettiva l'attuazione dei provvedimenti giurisdizionali» (Corte costituzionale n. 321/1998; cfr. anche Corte costituzionale n. 198/2010). La giurisprudenza di legittimita' altresi' rammenta che «La discrezionalita' della p. a. non puo' mai spingersi, se non stravolgendo ogni fondamento dello Stato di diritto, a stabilire se dare o non dare esecuzione a un provvedimento dell'autorita' giudiziaria, a maggior ragione quando questo abbia ad oggetto la tutela di un diritto riconosciuto dalla Costituzione o dalla CEDU, come nel caso del diritto di proprieta', tutelato dall'art. 41 della Costituzione e dall'art. 6 della CEDU e dall'art. 1 del primo protocollo addizionale CEDU» (Cassazione n. 24198/2018); e che «le Sezioni unite di questa Corte (18 marzo 1988, n. 2478) hanno diffusamente esposto le ragioni per le quali l'autorita' amministrativa richiesta di concorrere con la forza pubblica all'esecuzione del comando contenuto nel titolo esecutivo non e' chiamata ad esercitare una potesta' amministrativa, ma ha il dovere di prestare i mezzi per l'attuazione in concreto dello stesso onde realizzare il fine ultimo della funzione sovrana della giurisdizione. Hanno inoltre affermato che si toglierebbe altrimenti vigore alla protezione giurisdizionale garantita al cittadino, che tutta l'attivita' giurisdizionale risulterebbe sostanzialmente vanificata e che, in definitiva, lo Stato negherebbe se stesso come ordinamento» (Cassazione n. 3873/2004): la colpevole inerzia nell'attuazione del comando giurisdizionale «lungi dal potere essere riguardata come fattore esimente da responsabilita' per il danno derivatone al privato, puo' invece costituirne lo stesso presupposto» (Cassazione n. 24198/2018). Il diritto alla tutela giurisdizionale e' sottolineato con forza anche nella giurisprudenza sovranazionale: l'esecuzione dei provvedimenti giurisdizionali costituisce un corollario ineludibile del diritto di accesso ad un Tribunale sancito dall'art. 6 CEDU, diritto che diverrebbe «illusorio se gli Stati membri permettessero che una decisione giudiziaria definitiva e vincolante restasse lettera morta. L'esecuzione d'una sentenza, di qualunque giurisdizione, deve essere considerata come facente parte integrante del processo ai sensi dell'art. 6 CEDU» (CEDU 5 giugno 2007, Delle Cave c. Italia; il principio e' stato ripetutamente affermato a partire da CEDU 19 marzo 1997, Hornsby c. Grecia). Da questi principi - ha altresi' osservato la Corte di Strasburgo «deriva l'obbligo per gli Stati contraenti di assicurare che ciascun diritto rivendicato trovi la sua effettiva realizzazione», e che «gli Stati hanno l'obbligo positivo di mettere in atto un sistema che sia effettivo tanto in pratica quanto in diritto, e che permetta di assicurare l'esecuzione delle decisioni giudiziarie definitive tra persone private» (CEDU, 7 giugno 2005, Fouklev c. Ucraina). Ed ha concluso che «gli Stati possono essere considerati responsabili per quanto riguarda l'esecuzione di una sentenza da parte di una persona di diritto privato se le autorita' pubbliche implicate nelle procedure di esecuzione non danno prova della diligenza richiesta o se impediscono l'esecuzione» (CEDU 19 novembre 2013, Sekul c. Croazia). Or non v'e' chi non veda come la sospensione sine die del processo esecutivo, accordata al debitore in quanto tale - beneficiandone, lo si ribadisce, anche chi sia tale da prima dell'emergenza COVID-19, per qualsiasi ragione, ed indipendentemente dal diritto di abitazione sul bene oggetto di espropriazione forzata - si risolve in una denegata giustizia, poiche' viene differita senza termine l'attuazione del titolo esecutivo, anche quando consista in un provvedimento giurisdizionale (emesso cioe' a compimento del giusto processo in cui il debitore e' stato messo «in condizione di difendersi sol che lo voglia») ed anche quando sia passato in giudicato, cosi' rendendo meramente virtuale la soccombenza del debitore. Sottrarre al creditore procedente e titolato il potere di impulso, e al giudice dell'esecuzione il controllo del processo esecutivo e l'adozione dei provvedimenti prodromici alla vendita giudiziale - perche', lo si ribadisce, questo e' l'effetto del piu' che perentorio lessico legislativo: le procedure esecutive «sono» sospese, «sono» inefficaci; non si dice «possono essere dichiarate» tali - significa rendere lettera morta il titolo esecutivo e il processo a conclusione del quale e' stato emesso. E' poi da dire che l'esito non sarebbe diverso qualora ci si orientasse sull'opzione ermeneutica opposta, ritenendo cioe' che - pur a fronte di tale formulazione imperativa - le norme denunciate lascino comunque un margine di discrezionalita' al giudice dell'esecuzione nel valutare se e quali attivita' processuali sospendere: perche', come insegna la Corte, «e' evidente che qualsiasi interpretazione dell'ordinamento interno che lasciasse alla p. a. la scelta se dare o non dare esecuzione ai provvedimenti giurisdizionali sarebbe, per cio' solo, contrastante con l'art. 6 della CEDU e, di rimbalzo, con l'art. 6 del Trattato sull'Unione europea, che i precetti della CEDU ha elevato a principi fondamentali dell'ordinamento comunitario» (Corte di Cassazione n. 24198/2018). 7. Violazione dell'art. 111 della Costituzione. Last but not least, le norme denunciate collidono altresi' con il principio della ragionevole durata del processo, elevato a canone costituzionale dall'art. 111 della Costituzione cosi' come riformato nel 1999, e sancito dalla legge n. 89/2001. E cio' proprio in ragione della conformazione delle norme come di necessaria e generale applicazione, anche alle procedure piu' risalenti nel tempo e nelle quali pertanto e' piu' intenso il pregiudizio derivante al creditore dal ritardo nella soddisfazione del proprio diritto. A tacer delle ulteriori conseguenze per il bilancio dello Stato, derivanti dal prevedibile conseguente incremento delle domande di riparazione ex legge n. 89/2001, va stigmatizzato l'effetto pesantemente distorsivo sul piano processuale recato dalle due norme, che si sono rivelate generatrici di contenzioso dando luogo a ben due procedimenti di opposizione endoesecutiva. L'effetto distorsivo si coglie sia in relazione all'incremento del contenzioso in se', sia in ragione del presupposto sostanziale, e cioe' della obiettiva incertezza che l'applicazione delle norme ha determinato, posto che entrambi gli opponenti denunciano la lesione del proprio legittimo ed incolpevole affidamento su un effetto giuridico che ritenevano sufficientemente certo - la sospensione dell'esecuzione nella sua totalita' - in ragione della portata imperativa delle disposizioni invocabili, e che invece, come si e' tentato di evidenziare, tale non era. Un terzo, ma non per questo marginale, profilo di pregiudizio si rinviene considerando come la stasi forzata, quand'anche non sopraggiungano ulteriori proroghe, avra' ripercussioni sull'attivita' da compiersi successivamente determinandone il ritardo: si pensi alla ricalendarizzazione di tutti gli esperimenti di vendita e alle sue ricadute sull'organizzazione dell'ufficio (posto che anche il giudice dell'esecuzione e' vincolato all'attuazione degli obiettivi fissati nel programma di gestione ex art. 37, e in particolare a dare priorita' alle procedure piu' risalenti nel tempo) e sulla ragionevole durata del processo (nella migliore delle ipotesi, occorrera' infatti differire gli esperimenti di vendita delle procedure di piu' recente iscrizione, per cercare di portare a compimento quelle piu' anziane). 8. Conclusioni. Si ritiene, in definitiva, censurabile di illegittimita' costituzionale il disposto degli articoli 54-ter e 103, comma 6 del decreto-legge n. 18/2020 nella parte in cui le due norme, sia singolarmente considerate, sia nel loro combinato disposto: 1) precludono al giudice: a) ogni valutazione sull'anteriorita' o meno dell'esposizione debitoria all'emergenza sanitaria e, in ogni caso, al periodo di vigenza della sospensione; b) ogni valutazione sulla opponibilita' alla procedura del titolo abitativo; c) la possibilita' di limitare l'effetto sospensivo ai soli beni oggetto di diritto di abitazione; d) la possibilita' di limitare l'effetto sospensivo alle sole attivita' processuali che determinino la liberazione coattiva dell'immobile; 2) determinano l'irragionevole disparita' di trattamento del processo esecutivo rispetto ad altre attivita', giurisdizionali e non, non soggette a sospensione; 3) determinano un'irragionevole compressione della liberta' di iniziativa economica privata del creditore; 4) determinano un'irragionevole compressione del diritto di difesa e dell'effettivita' della tutela giurisdizionale.
P.Q.M. Visti gli articoli 134 della Costituzione, 23 e seguenti della legge n. 87/1953; Ritenuta ex officio rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale degli articoli 54-ter e 103, comma 6 del decreto-legge n. 18/2020 e successive modificazioni e integrazioni, nei modi e termini di cui in parte motiva; Sospende il procedimento in corso; Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Ordina che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa, alla Presidenza del Consiglio dei ministri, e comunicata alla Presidenza del Senato e della Camera dei deputati. Piacenza, 24 maggio 2021 Il Giudice dell'esecuzione: Fazio