N. 144 ORDINANZA (Atto di promovimento) 24 maggio 2021

Ordinanza  del  24  maggio  2021  del  Tribunale  di   Piacenza   nel
procedimento civile promosso  da  Fino1  Securitisation  (gia'  Aspra
Finance spa) e altri c/C. snc e altri. 
 
Esecuzione forzata - Misure connesse all'emergenza epidemiologica  da
  COVID-19 - Sospensione, fino al 30 giugno 2021, di  ogni  procedura
  esecutiva per il pignoramento immobiliare, di cui all'art. 555 cod.
  proc. civ., avente a oggetto l'abitazione principale del debitore -
  Sospensione dell'esecuzione dei  provvedimenti  di  rilascio  degli
  immobili, anche ad uso non abitativo fino al  31  dicembre  2020  -
  Termine successivamente prorogato limitatamente ai provvedimenti di
  rilascio adottati per mancato pagamento del canone alle scadenze  e
  ai provvedimenti di rilascio  conseguenti  all'adozione,  ai  sensi
  dell'articolo 586, secondo comma, cod. proc. civ., del  decreto  di
  trasferimento di immobili pignorati ed abitati dal debitore  e  dai
  suoi  familiari   -   Denunciata   preclusione   per   il   giudice
  dell'esecuzione di esercitare poteri  di  valutazione  dell'effetto
  sospensivo. 
- Decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18  (Misure  di  potenziamento  del
  Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per  famiglie,
  lavoratori  e  imprese  connesse  all'emergenza  epidemiologica  da
  COVID-19), convertito, con modificazioni,  nella  legge  24  aprile
  2020,  n.  27,  artt.  54-ter  e  103,  comma   6,   e   successive
  modificazioni e integrazioni. 
(GU n.39 del 29-9-2021 )
 
                   TRIBUNALE ORDINARIO DI PIACENZA 
 
                           Sezione civile 
 
    Il   giudice   dell'esecuzione,   dott.   Antonino   Fazio,   nel
procedimento n. 91/2009 R.Es. Imm. tra: 
        Fino 1 Securitisation (gia' Aspra Finance S.p.a.), con l'avv.
Giampaolo Marcon; 
        Intesa San Paolo S.p.a. con l'avv. Michelangelo Camussi; 
        Cassa  di  risparmio  di  Parma   e   Piacenza   con   l'avv.
Michelangelo Camussi; 
        Fallimento  Cereal  Trade  s.r.l.   con   l'avv.   Elisabetta
Zangrandi; 
        Maior SPV con l'avv. Francesca Crivellari; 
        Consorzio agrario della  Maremma  toscana  s.c.  a  r.l.  con
l'avv. Silvia Muratori. 
    Creditori ed opposti  e  M.T.  T.A.  T.M.,  con  l'avv.  Giuseppe
Dametti debitori ed opponenti e nei confronti di A. con l'avv. Silvia
Covini terzo opponente pronuncia la seguente ordinanza di  rimessione
alla   Corte   costituzionale   della   questione   di   legittimita'
costituzionale degli articoli 54-ter e 103, comma 6 del decreto-legge
n. 18/2020, in relazione agli articoli 3,  24,  41,  77  e 111  della
Costituzione, nonche' all'art. 6 C.E.D.U. 
    1.  Svolgimento  del  processo  e   rilevanza   della   questione
sollevata.  Nel  corso  dell'esecuzione  immobiliare,   avviata   con
pignoramento del 13 maggio 2009, che ha veduto plurimi esperimenti di
vendita dei 6 lotti - uno solo dei quali,  il  lotto  4,  oggetto  di
abitazione - e che si  e'  pertanto  protratta  per  una  durata  ben
superiore a quella indicativamente fissata dalla legge n. 89/2001, e'
stata depositata in data 24 marzo 2021, dunque a ridosso  della  data
fissata per l'ulteriore esperimento di vendita giudiziale (13  aprile
2021), istanza di sospensione ex art.  54-ter  del  decreto-legge  n.
18/2020. Uno dei debitori pacificamente abita uno dei 6 lotti sin  da
prima  del  pignoramento;  con  la  notifica  del  precetto   e   del
pignoramento stesso  e'  stato  messo  legalmente  a  conoscenza  del
rischio che il bene gli venisse giuridicamente sottratto  per  essere
liquidato e soddisfare il proprio creditore,  con  conseguente  venir
meno del proprio diritto di abitazione;  e  invoca  solo  adesso  una
disposizione in realta' entrata  in  vigore  oltre  quattordici  mesi
prima, all'evidente scopo di impedire lo  svolgimento  della  vendita
giudiziale - necessariamente da differire a  data  successiva  al  30
giugno 2021, termine ultimo (al momento) della sospensione ex lege n.
18/2020 - e di mantenere pertanto, per qualche mese ancora, il  pieno
godimento dell'immobile. 
    L'istanza, in ragione del carattere imperativo delle disposizioni
applicabili, era  stata  accolta  in  data  10  aprile  2021  per  la
totalita' dei lotti, avendo ritenuto questo giudice che l'art. 54-ter
della legge n. 18/2020 non consentisse una pronuncia  di  sospensione
parziale della procedura esecutiva,  specialmente  nei  casi  in  cui
(come nella fattispecie) l'esperimento di vendita abbia ad oggetto il
compendio immobiliare nel suo complesso e  pertanto  sia  programmata
un'attivita' processuale unitaria. L'interlocuzione,  sorta  ex  art.
591-ter  del  codice  di  procedura  civile,  con  il  professionista
delegato  -  che  chiedeva  appunto   chiarimenti   circa   l'effetto
sospensivo  sui  lotti  non  oggetto  di  diritto  di  abitazione   -
costituiva l'occasione per  il  riesame  ufficioso  della  questione,
ponendo mente al fatto che l'art. 103, comma 6 del  decreto-legge  n.
18/2020, complementare all'art. 54-ter predetto, inibisce  unicamente
il decreto di trasferimento e l'ordine di liberazione  dell'immobile,
non anche l'effettuazione della vendita giudiziale;  e  che  non  era
stata comunque svolta alcuna formale istanza di sospensione  ex  art.
103, comma 6 del decreto-legge n. 18/2020. 
    Va altresi' precisato che, in sede di linee-guida  del  Tribunale
sulla gestione delle procedure esecutive immobiliari nel contesto  di
emergenza sanitaria - elaborate dai due giudici delle  esecuzioni  di
concerto con i capi dell'ufficio  e  con  i  colleghi  della  sezione
civile - ed opportunamente circolarizzate, si era chiarito e  diffuso
l'orientamento del Tribunale secondo cui, anche per la cospicua  mole
di procedimenti pendenti, e secondo  una  esegesi  costituzionalmente
orientata del nuovo dato normativo, la sospensione,  proprio  perche'
concessa dal  legislatore  a  tutela  del  diritto  di  abitazione  o
comunque della disponibilita' dell'immobile  in  capo  all'esecutato,
richiedeva per la sua pronuncia  non  l'iniziativa  ufficiosa  bensi'
l'istanza  di  parte,  al  fine  di   consentire   l'emanazione   del
provvedimento in risposta ad un concreto ed effettivo interesse della
parte, non sempre e non a priori da darsi per scontato. 
    Rilevato pertanto che, nel  caso  di  specie,  era  stata  svolta
istanza  di  sospensione  adducendo  quale  motivo  il   diritto   di
abitazione sul lotto 4; che non si era da alcuno invocato il  diverso
e connesso effetto sospensivo sancito  dall'art.  103,  comma  6  del
decreto-legge n. 18/2020; che non ricorrevano i  presupposti  ne'  le
condizioni per la diversa ed autonoma ipotesi di sospensione  di  cui
all'art. 586 del codice di procedura civile; ci si  determinava,  con
provvedimento del 4 maggio 2021 (comunicato  dalla  cancelleria  l'11
maggio 2021) reso a parziale modifica e revoca del provvedimento  del
10  aprile  2021,  a  confermare   la   sospensione   dell'esecuzione
limitatamente al solo lotto  4,  in  quanto  oggetto  di  diritto  di
abitazione e ricadente pertanto  nell'ambito  previsionale  dell'art.
54-ter del decreto-legge n. 18/2020.  Si  riteneva  invece  la  piena
procedibilita' dell'esecuzione per gli altri lotti: tre (quattro  con
quello abitato) andati deserti; uno aggiudicato al miglior offerente,
a prezzo notevolmente superiore a quello di stima; e uno  aggiudicato
all'unico offerente; di guisa che - per entrambi i lotti  aggiudicati
- non si ravvisava altresi' il presupposto della sospensione ex  art.
586 del codice di procedura civile  non  avendo  il  g.e.  motivo  di
ritenere vile il prezzo di aggiudicazione. 
    Solo  con  l'opposizione  agli  atti  esecutivi  depositata   dal
debitore in  data  18  maggio  2021  e  con  l'opposizione  di  terzo
depositata in data 21 maggio 2021 veniva rappresentato al  g.e.  che,
per effetto dei provvedimenti adottati, e in particolare nutrendo sia
il debitore sia il terzo opponente il legittimo affidamento circa  la
sospensione totale dell'esecuzione,  alcuni  offerenti,  tra  cui  il
terzo opponente, avevano desistito dal partecipare  al  tentativo  di
vendita giudiziale che, invece, si  era  regolarmente  tenuto  e  che
aveva determinato l'aggiudicazione dei due lotti. 
    In entrambe le opposizioni endoesecutive si chiede la revoca  dei
due decreti di trasferimento.  Tale  effetto  sarebbe  consequenziale
all'accertamento - dapprima nei limiti della  cognizione  incidentale
demandata al g.e. per  la  fase  sommaria  dell'opposizione,  indi  a
cognizione piena nel successivo eventuale giudizio di merito -  della
illegittimita' dell'aggiudicazione perche' avvenuta in un momento  in
cui la procedura era, o comunque doveva ritenersi,  sospesa;  sicche'
sarebbe stato  violato,  o  distorto,  o  eluso,  il  precetto  degli
articoli 54-ter e 103.6 del decreto-legge  n.  18/2020  che  andrebbe
pertanto applicato, o applicato correttamente, «ora per  allora».  Ma
v'e' di piu'.  Anche  indipendentemente  dalla  decisione  sulle  due
opposizioni - che riguardano comunque soltanto i  lotti  1  e  6  del
compendio - si pone comunque il  problema  della  rinnovazione  della
delega di vendita per gli altri lotti, che sarebbe  irrimediabilmente
preclusa se si ritenesse operativa, contrariamente a quanto  statuito
nel provvedimento del 4-11 maggio 2021, la sospensione  del  processo
esecutivo. 
    Tanto  induce  questo   giudice   dell'esecuzione   a   sollevare
d'ufficio, ex art. 23, comma 3 della legge n. 87/1953,  la  questione
di costituzionalita' delle due disposizioni  -  art.  54-ter  e  103,
comma 6 del decreto-legge n. 18/2020 - che riveste natura ictu  oculi
pregiudiziale nel giudizio a quo, in quanto ha ad oggetto  norme  che
devono essere necessariamente applicate  in  detta  sede  processuale
(cfr. Corte costituzionale n. 203/2016): essendo  di  tutta  evidenza
che l'impugnazione del provvedimento del  4-11  maggio  2021,  per  i
motivi articolati, costringe il giudice al riesame della  correttezza
della  scelta  ermeneutica  che  lo  aveva   indotto   a   sospendere
l'esecuzione limitatamente al solo lotto  4  oggetto  di  diritto  di
abitazione; e che  pertanto  si  dovra'  in  ogni  caso  decidere  se
emettere il decreto di trasferimento e l'ordine di liberazione per  i
lotti aggiudicati - il che parrebbe precluso dall'art. 103,  comma  6
del decreto-legge n. 18/2020 - nonche'  se  rinnovare  la  delega  di
vendita e se  sia  eventualmente  possibile  rinnovarla  differendone
l'efficacia al termine del periodo di sospensione,  posto  che  anche
questa opzione discende dall'applicazione, ex tunc o ex nunc che sia,
delle due disposizioni in commento. 
    Come si cerchera' di  illustrare  nei  paragrafi  successivi,  il
carattere imperativo dell'invocato precetto legislativo, che  per  la
sua formulazione non lascia  alcun  margine  di  discrezionalita'  al
giudice,  non  sembra  conciliabile  con  i  principi   del   vigente
ordinamento processuale; determina effetti  ingiusti  ed  iniqui  sul
piano dei rapporti civilistici e pesantemente distorsivi del  sistema
economico; reca altresi' grave nocumento all'efficienza del  processo
esecutivo e della funzione giurisdizionale. 
    Questo giudice ben conosce la giurisprudenza della Corte, secondo
cui il sindacato di legittimita' costituzionale  si  arresta  dinanzi
alla discrezionalita' del  legislatore  (cfr.,  proprio  in  tema  di
sospensione  dell'esecuzione,  Corte  costituzionale   n.   81/1996);
tuttavia, per i modi e termini in cui la  discrezionalita'  e'  stata
esercitata, resi manifesti da un precetto normativo  che  resiste  ad
ogni sforzo esegetico teso a  darne  una  lettura  costituzionalmente
orientata (difficolta', a quanto consta, rilevata anche  da  colleghi
di altri Tribunali), si ritiene che essa sia trasmodata in  arbitrio.
Nei paragrafi che seguono si cerchera' di  esporre  sinteticamente  i
motivi di conflitto con i parametri costituzionali,  considerando  le
norme da diversi angoli prospettici in ragione  della  pluralita'  di
interessi lesi. 
    2. Il dato normativo. L'art. 54-ter del decreto-legge n.  18/2020
prevede, con formulazione incongrua, che «Al fine  di  contenere  gli
effetti negativi dell'emergenza epidemiologica da COVID-19, in  tutto
il territorio nazionale e' sospesa, fino  al  30  giugno  2021,  ogni
procedura esecutiva per il pignoramento immobiliare, di cui  all'art.
555 del codice di procedura civile, che abbia ad oggetto l'abitazione
principale del debitore». 
    L'uso  della  preposizione  «per»  implica,  in  alternativa,  un
complemento  di  fine  o  un  complemento  di  mezzo.   Nel   vigente
ordinamento processualcivilistico, tuttavia, la  procedura  esecutiva
immobiliare non mira al  risultato  di  consentire  un  pignoramento,
risultato che - al piu' - puo' essere inibito sospendendo, in sede di
opposizione ex art. 615 del codice di procedura civile, o con istanza
cautelare ex articoli 283  o  649  del  codice  di  procedura  civile
l'efficacia del titolo esecutivo azionato; ne'  convince  la  diversa
lettura, pur teoricamente prospettabile, secondo cui  il  legislatore
avrebbe inteso riferirsi alla «procedura esecutiva [che si  realizza,
o si perfeziona, o procede] per il pignoramento immobiliare», vale  a
dire mediante questo. Piuttosto, come chiaramente dispone l'art.  491
del codice di procedura civile, l'esecuzione immobiliare  «si  inizia
con il pignoramento», che e' il primo atto della procedura  esecutiva
ma non ne esaurisce la funzione. 
    Puo' allora piu' logicamente ritenersi che il  legislatore  abbia
voluto disporre sic et simpliciter la «sospensione di ogni  procedura
esecutiva immobiliare». L'art. 54-ter del  decreto-legge  n.  18/2020
specifica  che  tale  effetto  deve  intendersi  limitato  alle  sole
procedure  in  cui  l'immobile  pignorato  costituisca  «l'abitazione
principale del debitore». Si e' anche prospettata, nella prassi,  una
interpretazione piu' lata, che consenta (ritenendo atecnico anche  il
riferimento al «debitore») di tener conto anche dell'art. 604,  comma
1  del  codice  di  procedura  civile,  sicche'   dovrebbe   leggersi
«abitazione principale dell'esecutato», sia  esso  debitore  o  terzo
occupante. Da questo punto di vista la norma si porrebbe in linea  di
continuita' con la novella dell'art.  560  del  codice  di  procedura
civile, si' da  ritenere  che  l'emergenza  da  COVID-19,  e  le  sue
ricadute  di  ordine  economico  e  sociale,   abbiano   indotto   il
legislatore a tutelare l'esecutato e  il  suo  nucleo  familiare  dal
rischio di trovarsi, in un periodo di forti tensioni sociali  per  la
pandemia, privo di soluzione abitativa. 
    Tale esegesi, pur non irragionevole,  e'  tuttavia  smentita  dal
dato normativo complessivo. Nel  medesimo  decreto-legge  n.  18/2020
l'art.  103,  comma  6,  stabilisce  infatti  che  «L'esecuzione  dei
provvedimenti di rilascio degli immobili, anche ad uso non abitativo,
e' sospesa fino al 31 dicembre 2020», cosi' integrando  ed  ampliando
l'effetto sospensivo - che  poi  discenda  singolarmente  dall'una  o
dall'altra norma o dal  loro  combinato  disposto  e'  questione  non
rilevante, attesa l'immediata  efficacia  di  entrambe  -  anche  per
situazioni in cui non venga in  rilievo  alcuna  esigenza  abitativa;
l'art. 13, comma 13, del decreto-legge  31  dicembre  2020,  n.  183,
convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2021,  n.  21,
ha poi prorogato tale termine sino al 30 giugno  2021  «limitatamente
ai provvedimenti di  rilascio  adottati  per  mancato  pagamento  del
canone alle scadenze  e  ai  provvedimenti  di  rilascio  conseguenti
all'adozione,  ai  sensi  dell'art.  586,  comma  2,  del  codice  di
procedura civile, del decreto di trasferimento di immobili  pignorati
ed  abitati  dal  debitore  e  dai  suoi  familiari»;  cosi'  ponendo
nuovamente l'accento sul diritto di abitazione. A fronte pero'  della
disposizione  di  cui  all'art.  4,   comma   1,   secondo   periodo,
decreto-legge n. 137/2020 che prevede  un  effetto  ben  piu'  ampio:
l'inefficacia di «ogni  procedura  esecutiva  che  abbia  ad  oggetto
l'abitazione principale del debitore, effettuata dal 25 ottobre  2020
alla data di  entrata  in  vigore  della  legge  di  conversione  del
presente  decreto».  Il   che   potrebbe   esporre   a   censure   di
illegittimita'  l'attivita'  processuale  compiuta  in  tale  periodo
ancorche' non consistente nell'escomio del debitore. 
    Sul punto puo' osservarsi che sin dalla riforma dell'art. 560 del
codice  di  procedura  civile  la  giurisprudenza,  anche  di  questo
Tribunale,  aveva  cercato  di  contemperare  -   con   una   lettura
restrittiva  e  costituzionalmente  orientata  di   detta   norma   -
l'interesse abitativo dell'esecutato e del suo nucleo  familiare  con
l'interesse  privato  del  creditore  alla  propria  soddisfazione  e
pubblico dello Stato all'effettivita' della  tutela  giurisdizionale.
Il punto di equilibrio che si era  ritenuto,  pur  faticosamente,  di
trovare e mantenere consisteva proprio nella limitazione dell'effetto
sospensivo ai soli contesti in cui venisse in rilievo un concreto  ed
attuale diritto di abitazione, ed una attivita'  processuale  di  sua
compressione.  Sicche',  nella   prassi,   la   procedura   esecutiva
proseguiva regolarmente il suo corso con tutte le attivita' inidonee,
di per se', a sottrarre al debitore  la  disponibilita'  del  bene  -
perizia  di  stima,  accessi  in  loco  dei  potenziali   acquirenti,
esperimenti  di  vendita  -  arrestandosi  solo  al  momento  in  cui
occorreva liberare  l'immobile  per  consegnarlo  all'aggiudicatario.
L'intervento legislativo, finalizzato ad  annullare  gli  effetti  di
provvedimenti giurisdizionali anche passati in  giudicato  (cio'  che
nel tempo da illecito, o comunque sgarbo, costituzionale e'  divenuto
prassi, e che e' stato stigmatizzato ad es. da  Corte  costituzionale
n. 364/2007), parrebbe precludere oggi anche l'attuazione dell'ordine
di liberazione quale che ne sia la causa o la fonte. 
    Si  ravvisano  pertanto  molteplici  profili  di   illegittimita'
costituzionale, di seguito brevemente esposti. 
    3. Violazione dell'art. 77 della Costituzione. In primo luogo non
sembra corretto il ricorso alla decretazione  d'urgenza.  Al  di  la'
dell'incipit dell'art. 54-ter e della sedes  materiae  dell'art.  103
del decreto-legge n. 18/2020,  l'effetto  sospensivo  cosi'  ampio  e
reiterato sancito dalle due disposizioni si risolve nella concessione
di un beneficio - mantenimento  del  godimento  dell'immobile  -  del
tutto indipendente da ogni considerazione di  ordine  sanitario:  sia
perche' vengono sospese attivita' che di per se' non  sembra  possano
implicare   un   rischio   sanitario   (o   quantomeno   un   rischio
ingovernabile), sia perche', trattandosi di norme applicabili a tutte
le procedure pendenti al momento della loro  entrata  in  vigore,  la
sospensione colpisce le procedure esecutive  intraprese,  o  comunque
situazioni  debitorie  sorte,   anche   in   epoca   anteriore   alla
dichiarazione dello stato di emergenza (31 gennaio 2020). 
    Giova sul punto rimarcare che le procedure esecutive  immobiliari
non sono, di per se', occasione di diffusione  del  contagio.  Quanto
all'attivita' d'udienza, la comparizione personale delle parti  -  e'
quasi superfluo rimarcare la diversita' strutturale del  processo  di
esecuzione, in cui non si accerta alcunche', rispetto al processo  di
cognizione - non e' affatto necessaria, ne' all'udienza ex  art.  569
del  codice  di  procedura  civile,  ne'  a  quelle,  peraltro   solo
eventuali, incidentali proprie dei procedimenti ex articoli 495, 496,
615, 617, 619 e 624 del  codice  di  procedura  civile.  Quanto  alla
comparizione dei difensori, la contromisura per abbattere il  rischio
sanitario  v'era  gia':  l'udienza  da  remoto   o   c.d.   cartolare
(trattazione scritta). Quanto alla fase di vendita  giudiziale,  gia'
da prima del COVID ne era previsto lo svolgimento nelle  forme  della
vendita  telematica.  Le  attivita'  «in  presenza»   nell'esecuzione
immobiliare si riducono pertanto agli accessi sui luoghi da parte del
custode, dello stimatore, dei  potenziali  acquirenti,  nonche'  alla
presentazione delle offerte analogiche nei limitati casi in cui  cio'
tuttora avviene;  ma  si  tratta  di  attivita'  in  cui  il  rischio
sanitario  era   efficacemente   contrastabile   con   gli   ordinari
accorgimenti (dispositivi di protezione  individuale,  distanziamento
sociale) che hanno consentito la prosecuzione di attivita' molto piu'
idonee alla diffusione del virus e che nondimeno sono state  ritenute
talmente essenziali  da  non  conoscere  sospensione  (non  cosi'  la
giurisdizione, ma  questo  e'  un  altro  profilo  di  illegittimita'
costituzionale:  v.  infra,  §  6).  Sicche'   l'effetto   sospensivo
generalizzato accordato dalle disposizioni in commento appare un fuor
d'opera  perche'  sproporzionato  rispetto  alle  reali  esigenze  di
cautela. Che non possono essere di ordine sanitario, poiche'  non  si
comprenderebbero: a) la limitazione, operata dall'art.  54-ter,  alle
sole procedure  in  cui  l'immobile  sia  abitato;  b)  l'estensione,
operata dal successivo art.  103,  alla  liberazione  degli  immobili
anche ad uso  non  abitativo;  c)  l'estensione  ad  ogni  situazione
debitoria, anche precedente l'emergenza sanitaria; d) l'estensione ad
ogni occupazione dell'immobile,  quand'anche  fondata  su  un  titolo
inopponibile alla procedura, perche'  anche  questo  sindacato  viene
precluso al giudice. 
    Si tratta pertanto di un beneficio  accordato  a  chi  sia  nella
giuridica disponibilita'  dell'immobile,  la  cui  protrazione  viene
autorizzata indipendentemente da una posizione di diritto  soggettivo
- che anzi pare proprio  affermata  per  factum  principis,  e  quale
diritto  soggettivo  assoluto  e  incomprimibile  -  e  da  qualsiasi
concreto ed effettivo rischio epidemiologico; risolvendosi  pertanto,
a ben guardare, in una misura assistenziale che  risponde  a  logiche
politiche  perfettamente  sovrapponibili   a   quelle   che   avevano
determinato la riforma dell'art. 560 del codice di procedura civile e
che pertanto andava introdotta con  legge  ordinaria,  non  gia'  con
decreto-legge.  Tale   conclusione   e'   avvalorata   dall'ulteriore
considerazione dell'arco temporale di vigenza  del  predetto  effetto
sospensivo: per effetto delle successive e  reiterate  proroghe,  con
termine ultimo al  30  giugno  2021  salvo  che  ne  intervengano  di
ulteriori (eventualita' non da scartare  a  priori),  la  sospensione
delle procedure esecutive protrattasi senza soluzione di  continuita'
e'  di  fatto  sine  die  e  in  ogni  caso  stabilizza  un   effetto
«protettivo» di cui gli esecutati da data anteriore alle  norme  gia'
beneficiavano: sicche' non sembra che i relativi costi  -  giuridici,
economici, sociali - siano imposti da quelle ragioni  di  particolare
ed indifferibile urgenza che sono il  presupposto  indefettibile  del
decreto-legge. 
    4. Violazione degli articoli 3 e 77 della Costituzione. L'art. 77
della Costituzione, oltre che in se', pare violato anche in combinato
disposto con l'art. 3 della  Costituzione,  poiche'  -  oltre  a  non
ricorrere le ipotesi di urgenza - viene fatta oggetto  di  intervento
sospensivo  un'attivita',  quale   quella   porzione   di   attivita'
giurisdizionale consistente nel processo esecutivo, in se' certamente
non  piu'  pericolosa  di  altre  considerate  dal  legislatore  come
essenziali o insuscettibili di sospensione.  La  scelta  legislativa,
piuttosto che operare un effettivo e  ponderato  bilanciamento  degli
interessi  confliggenti,  appare  avventuristica  e   poco   meditata
risolvendosi in una irragionevole disparita' di trattamento  rispetto
a situazioni analoghe e,  piu'  in  generale,  andando  a  colpire  e
sacrificare  un  ambito  (la  fase  esecutiva  della   giurisdizione)
altrettanto delicato, sia per l'economia sia per la  stessa  coesione
del tessuto sociale, di altri che invece sono stati salvaguardati. 
    Gli articoli 54-ter e 103 del decreto-legge n. 18/2020 si pongono
pertanto  in  linea  di  continuita'  ideologica  con   l'altrettanto
discutibile misura di indiscriminata e stabile chiusura delle  scuole
di ogni ordine  e  grado.  Interessi  di  rango  costituzionale  come
l'iniziativa economica privata,  la  proprieta'  privata,  la  tutela
giurisdizionale, e nel caso delle scuole il  diritto  all'istruzione,
vengono  sacrificati   «a   prescindere»,   indipendentemente   dalla
connotazione della relativa attivita'  in  termini  di  pericolosita'
sanitaria, dalle evidenze  scientifiche  disponibili,  dall'efficacia
delle misure di contenimento pur adottabili in concreto. 
    V'e'  dunque  la  rinuncia  aprioristica  al  bilanciamento   tra
contrapposti interessi, accordandosi invece esclusivo rilievo ad  uno
soltanto  che  peraltro,  in  tempi  ordinari,  sarebbe  naturalmente
recessivo, trattandosi della posizione  giuridica  dell'inadempiente,
di naturale soggezione rispetto al creditore  (v.  infra,  §  5).  La
discrezionalita' legislativa, esercitata  senza  alcuna  ponderazione
degli   interessi   attinti,   che   vengono    invece    selezionati
aprioristicamente ed arbitrariamente, «facit de albo nigrum, originem
creat, aequat  quadrata  rotundis,  naturalia  sanguinis  vincula  et
falsum in verum mutat», con ulteriore e piu' grave distorsione  dello
strumento della decretazione  d'urgenza  piegato  a  legittimare  una
soluzione  oggettivamente  antigiuridica  in  nome  di   uno   «stato
d'eccezione» di cui la pandemia ha costituito, a ben guardare, non la
causa ma l'occasione. 
    A cio' si  aggiunga  che  il  «privilegio»  cosi'  accordato  dal
legislatore stride con la struttura del processo esecutivo nel quale,
come  gia'  rammentato  dalla  Corte  costituzionale,  la  condizione
soggettiva delle parti  non  ha  alcun  rilievo  e  non  e'  pertanto
ammissibile alcun  regime  di  favore  connesso  allo  status  (nella
specie, si discuteva della competenza territoriale in deroga, essendo
parte un magistrato: Corte costituzionale n. 444/2002). 
    5. Violazione degli articoli  34  e  41  della  Costituzione.  Le
disposizioni in commento si pongono  altresi'  in  conflitto  con  la
liberta' di iniziativa  economica  privata  riconosciuta  e  tutelata
dall'art. 41 della Costituzione non solo nel  suo  momento  iniziale,
bensi' per l'intero suo svolgimento  (cfr.  Corte  costituzionale  n.
35/1960 e n. 54/1962). «Secondo  il  principio  piu'  volte  ribadito
nella giurisprudenza costituzionale, non e' configurabile una lesione
della liberta'  d'iniziativa  economica  allorche'  l'apposizione  di
limiti di ordine generale al suo esercizio  corrisponda  all'utilita'
sociale, come sancito dall'art. 41, secondo comma della Costituzione,
purche', per un verso, l'individuazione di  quest'ultima  non  appaia
arbitraria e, per altro verso, gli interventi del legislatore non  la
perseguano   mediante   misure    palesemente    incongrue»    (Corte
costituzionale  n.  16/2017).  Il  concetto   di   utilita'   sociale
compendia,  ed  e'  mezzo  al  fine,  la  tutela  di  interessi  c.d.
super-primari quali la liberta', la sicurezza, la dignita' umana. 
    Posto che a venire in rilievo non e' certo la sicurezza - per  le
ragioni sopra delineate (retro, §§  3,4)  -  occorrerebbe  verificare
l'ipotesi per cui le due norme  in  commento  porrebbero  limitazioni
all'esercizio dell'attivita' economica (direttamente,  se  vi  si  fa
rientrare il recupero crediti; indirettamente, se si  considera  solo
l'effetto negativo sul  patrimonio  del  creditore)  giustificate  da
ragioni di indefettibile  tutela  della  liberta'  o  della  dignita'
umana. 
    Orbene, quanto alla dignita' umana, e' chiaro che trovarsi  senza
abitazione in tempo di pandemia vi rechi grave pregiudizio. Tuttavia,
valorizzando sia, sul piano contenutistico, la veduta continuita' con
la riforma dell'art. 560 del codice di  procedura  civile,  sia,  sul
piano formale, l'intestazione dell'art. 54-ter del  decreto-legge  n.
18/2020 quale norma posta a tutela della «prima  casa»,  l'interprete
si trova a non poter escludere a priori che il debitore abbia,  anche
di fatto, la disponibilita' di altri immobili che gli consentirebbero
di soddisfare l'esigenza abitativa determinando  la  caducazione  del
presupposto applicativo della chiesta sospensione. 
    La qualita' di debitore nel processo esecutivo,  cosi'  come  non
determina di  per  se'  la  perdita  della  dignita'  umana,  implica
tuttavia la  limitazione  della  liberta':  egli  non  e'  libero  di
disporre del proprio patrimonio, essendo pacifico che al pignoramento
consegua l'effetto di spossessamento. La ragione e' nota. 
    La sospensione del processo esecutivo e' un  effetto  che,  giova
rammentarlo, colpisce un rapporto  giuridico  processuale  instaurato
tra due  parti  in  ragione  del  rapporto  sostanziale  sottostante;
rapporto che scaturisce  dalla  insolvenza  del  debitore.  Cio'  che
accomuna,  sul  piano  economico,  l'insolvenza  in   senso   tecnico
(decozione  attuale   o   prospettica   del   debitore   imprenditore
commerciale) e l'insolvenza in senso civilistico (inadempimento  alle
obbligazioni assunte dal debitore  non  imprenditore),  e'  l'effetto
traslativo  sul  creditore  del  rischio   economico   del   rapporto
originario.  Per  effetto  dell'inadempimento,  che  lo  priva  della
controprestazione dovuta, il creditore si trova  a  subire  il  costo
dell'operazione economica programmata ed attuata, mentre il debitore,
che ha ottenuto la prestazione ed  omette  di  eseguire  la  propria,
consegue  l'intera  utilita'  del  negozio.  Il  creditore  si  trova
costretto ad  attendere,  allo  stato  invano,  la  liquidazione  del
patrimonio del debitore  per  soddisfarsi  sul  ricavato,  ovvero  la
restituzione di un immobile di cui, in entrambi i casi,  il  debitore
continua a godere. Sicche', con il proprio inadempimento -  colpevole
o meno che  sia  -  il  debitore  riqualifica  il  creditore  in  suo
finanziatore involontario, tenuto a sostenere il costo delle esigenze
abitative o dell'attivita' d'impresa del  debitore.  Nelle  procedure
concorsuali questo giustifica l'attribuzione della  governance  sulle
sorti  dell'impresa  in  crisi  (in   particolare   nelle   soluzioni
concordatarie e negoziali) ai creditori in proporzione all'entita'  e
in relazione al titolo del proprio credito. Nelle procedure esecutive
individuali questo giustifica la posizione di naturale soggezione del
debitore rispetto al creditore, proprio perche' non si discute piu' -
se non nei limiti dei fatti sopravvenuti, nelle opposizioni  ex  art.
615 del codice di procedura civile - del rapporto originario  ne'  si
accerta alcunche',  ma  si  esegue  il  precetto  non  osservato.  La
sospensione delle procedure esecutive e del rilascio  degli  immobili
sancita dalle due disposizioni in commento  sovverte  l'ordine  delle
cose. 
    Il  diritto  di  credito,  che  e'  il  simbolo  plastico   della
«reintegrazione dell'ordine giuridico violato»,  viene  compresso  in
favore  di  una  malintesa  esigenza  di  tutela  vuoi  di  chi   con
l'inadempimento ha dato causa proprio al processo esecutivo, vuoi  di
chi si trovi comunque nella disponibilita' di un immobile non  suo  e
per qualunque ragione: non e' previsto, ed e' anzi precluso  -  l'uso
del  presente  indicativo   («e'   sospesa»,   «sono   sospese»)   e'
incompatibile  con   qualsiasi   discrezionalita'   del   giudice   -
l'accertamento sia pur incidentale della sussistenza  o  meno  di  un
titolo opponibile alla procedura. Il creditore e' dunque  soccombente
ex lege senza alcuna ragione, logica o giuridica, se non la  volonta'
legislativa di considerarlo tale. In tale prospettiva -  che  va  ben
oltre il giuspositivismo e in cui la discrezionalita' del legislatore
trasmoda in arbitrio -  si  legittima  nient'altro  che  un  indebito
arricchimento  civilistico:  il  debitore  elude  il   principio   di
responsabilita' patrimoniale, non essendo possibile aggredire il  suo
patrimonio; sul creditore viene scaricato il  costo  dell'insolvenza,
con effetti  anche  di  sistema  sol  che  si  consideri  come  nella
stragrande maggioranza delle  procedure  esecutive  (oltre  l'85%  di
quelle sul ruolo di questo g.e.) il procedente  sia  un  Istituto  di
credito o una societa' finanziaria. La  sospensione  ex  lege,  cosi'
come congegnata, si pone pertanto come fattore oggettivamente  idoneo
ad aggravare la disfunzione del sistema economico costituita dai  non
performing  loans,  rendendone  piu'  difficoltosa  l'esazione.  Puo'
pertanto individuarsi in termini di ragionevole certezza un primo  ed
immediato effetto  penalizzante  per  l'attivita'  bancaria  (perche'
sara' sul ceto bancario che  si  scarichera'  il  costo  del  mancato
recupero crediti conseguente all'inefficienza del processo  esecutivo
disposta  ex  lege),  attivita'  d'impresa  peraltro  di  particolare
rilevanza sociale. Ma ne discende altresi', come conseguenza non solo
logica  ma  imposta  dal  rigore  della  disciplina  di  settore,  un
altrettanto prevedibile effetto di «stretta» sul credito  posto  che,
dovendo gli Istituti di credito rispettare i vincoli di bilancio e di
solidita' finanziaria e patrimoniale, la concessione di finanziamenti
da  parte  di  un  Istituto  che  sia  titolare  di  un   consistente
portafoglio di crediti deteriorati sara' oggettivamente meno agevole.
Se ne desume, quale ulteriore implicazione, il fondato rischio che  -
per l'eterogenesi  dei  fini  -  una  normativa  ispirata  dal  favor
debitoris finisca per  avere  effetti  di  sistema  penalizzanti,  in
ultima analisi,  proprio  per  i  debitori  e  per  i  soggetti  meno
patrimonializzati, incentivandone il ricorso a canali alternativi  di
finanziamento (le cui connotazioni sono facilmente intuibili). 
    Il pregiudizio per la liberta' di  iniziativa  economica  privata
sussiste, altresi', anche quando il creditore procedente non sia  una
banca.  Il  mancato  recupero  del  credito  determina  infatti,  nei
rapporti tra imprenditori commerciali, il fenomeno dell'insolvenza  a
catena, poiche' il creditore insoddisfatto si ritrova a sua volta con
meno mezzi, e dunque  meno  possibilita',  di  adempiere  le  proprie
obbligazioni. Nei rapporti  tra  privati,  poi,  l'effetto  sara'  di
esporre il creditore  e  il  suo  nucleo  familiare  al  rischio  del
sovraindebitamento,  nonche'  di  aggravare   le   gia'   drammatiche
situazioni in  cui  il  credito  oggetto  di  recupero  abbia  natura
alimentare o di mantenimento. 
    Appare pertanto  ben  difficile  ipotizzare  che  la  sospensione
disposta dalle  due  norme  denunciate  risponda,  al  di  la'  delle
intenzioni del legislatore, ad effettive  esigenze  di  tutela  della
liberta' personale o della dignita' umana del debitore, ovvero sia in
grado di assicurare detta tutela; non sono interessi che  vengono  in
tal modo soddisfatti, e dunque non sono  operanti  come  limiti  alla
liberta' di  iniziativa  economica  che  viene  compressa  (cfr.  per
l'illegittimita' dei limiti apposti in assenza di utilita' sociale ad
es. Corte costituzionale n. 244/2011). 
    Analoga considerazione si impone per l'altro  noto  limite  posto
dall'art.  41  della  Costituzione,  ossia  l'utilita'   sociale.   A
beneficiare della sospensione e' solo una parte del tessuto  sociale,
cioe' i debitori; sui creditori, proprietari  del  bene  di  cui  non
possono  ottenere  la  liberazione,  o   titolari   della   legittima
aspettativa alla liquidazione dell'altrui cespite preclusa  ex  lege,
grava il costo - ed  e'  un  costo  valutabile  anche  come  sociale,
acuendosi la frattura tra classi sociali - di  tale  iper-protezione.
Non sembra pertanto potersi ravvisare l'utilita' sociale intesa quale
«concetto di valore» intriso di «giustizia  sociale»,  che  partecipa
dei caratteri dei valori costituzionali che connotano  l'ordinamento,
e  che  quindi  e'  teso  alla  realizzazione  di  quel  progetto  di
trasformazione della societa' italiana voluto dal 2° comma  dell'art.
3 della Costituzione. 
    6. Violazione dell'art. 24 della Costituzione, anche in relazione
all'art. 6 C.E.D.U. e all'art. 1 Protocollo addizionale  C.E.D.U.  La
Corte costituzionale ha avuto modo di chiarire  che  «il  diritto  di
agire in giudizio per la tutela dei propri diritti  (art.  24,  primo
comma della Costituzione) comprende la fase dell'esecuzione  forzata,
la  quale  e'  diretta   a   rendere   effettiva   l'attuazione   dei
provvedimenti giurisdizionali»  (Corte  costituzionale  n.  321/1998;
cfr. anche Corte costituzionale n. 198/2010).  La  giurisprudenza  di
legittimita' altresi' rammenta che «La discrezionalita' della  p.  a.
non puo' mai spingersi, se non  stravolgendo  ogni  fondamento  dello
Stato di diritto, a stabilire se dare o  non  dare  esecuzione  a  un
provvedimento dell'autorita' giudiziaria, a  maggior  ragione  quando
questo abbia ad oggetto la tutela di un  diritto  riconosciuto  dalla
Costituzione o dalla CEDU, come nel caso del diritto  di  proprieta',
tutelato dall'art. 41 della Costituzione e dall'art. 6 della  CEDU  e
dall'art. 1 del primo protocollo  addizionale  CEDU»  (Cassazione  n.
24198/2018); e che «le Sezioni unite di questa Corte (18 marzo  1988,
n.  2478)  hanno  diffusamente  esposto  le  ragioni  per  le   quali
l'autorita' amministrativa  richiesta  di  concorrere  con  la  forza
pubblica all'esecuzione del comando contenuto  nel  titolo  esecutivo
non e' chiamata ad esercitare una potesta' amministrativa, ma  ha  il
dovere di prestare i mezzi per l'attuazione in concreto dello  stesso
onde  realizzare  il  fine  ultimo  della  funzione   sovrana   della
giurisdizione. Hanno inoltre affermato che si toglierebbe  altrimenti
vigore alla protezione giurisdizionale garantita  al  cittadino,  che
tutta  l'attivita'   giurisdizionale   risulterebbe   sostanzialmente
vanificata e che, in definitiva, lo Stato negherebbe se  stesso  come
ordinamento»  (Cassazione  n.  3873/2004):   la   colpevole   inerzia
nell'attuazione del comando giurisdizionale «lungi dal potere  essere
riguardata come fattore esimente  da  responsabilita'  per  il  danno
derivatone al privato, puo' invece costituirne lo stesso presupposto»
(Cassazione n. 24198/2018). 
    Il diritto alla tutela giurisdizionale e' sottolineato con  forza
anche   nella   giurisprudenza   sovranazionale:   l'esecuzione   dei
provvedimenti giurisdizionali costituisce un  corollario  ineludibile
del diritto di accesso ad un  Tribunale  sancito  dall'art.  6  CEDU,
diritto che diverrebbe «illusorio se gli Stati  membri  permettessero
che  una  decisione  giudiziaria  definitiva  e  vincolante  restasse
lettera   morta.   L'esecuzione   d'una   sentenza,   di    qualunque
giurisdizione, deve essere considerata come facente parte  integrante
del processo ai sensi dell'art. 6 CEDU» (CEDU 5  giugno  2007,  Delle
Cave c. Italia; il  principio  e'  stato  ripetutamente  affermato  a
partire da CEDU 19 marzo 1997, Hornsby c. Grecia). Da questi principi
- ha altresi' osservato la Corte di Strasburgo «deriva l'obbligo  per
gli Stati contraenti di assicurare che  ciascun  diritto  rivendicato
trovi la  sua  effettiva  realizzazione»,  e  che  «gli  Stati  hanno
l'obbligo positivo di mettere in atto un sistema  che  sia  effettivo
tanto in pratica quanto in diritto,  e  che  permetta  di  assicurare
l'esecuzione  delle  decisioni  giudiziarie  definitive  tra  persone
private» (CEDU, 7 giugno 2005, Fouklev c. Ucraina).  Ed  ha  concluso
che «gli Stati possono essere  considerati  responsabili  per  quanto
riguarda l'esecuzione di una sentenza da  parte  di  una  persona  di
diritto privato se le autorita' pubbliche implicate  nelle  procedure
di  esecuzione  non  danno  prova  della  diligenza  richiesta  o  se
impediscono l'esecuzione» (CEDU 19 novembre 2013, Sekul c. Croazia). 
    Or non v'e' chi  non  veda  come  la  sospensione  sine  die  del
processo  esecutivo,  accordata  al  debitore  in   quanto   tale   -
beneficiandone,  lo  si  ribadisce,  anche  chi  sia  tale  da  prima
dell'emergenza COVID-19, per qualsiasi ragione, ed  indipendentemente
dal diritto di abitazione sul bene oggetto di espropriazione  forzata
- si risolve in una denegata giustizia, poiche' viene differita senza
termine l'attuazione del titolo esecutivo, anche quando  consista  in
un provvedimento  giurisdizionale  (emesso  cioe'  a  compimento  del
giusto processo in cui il debitore e' stato messo «in  condizione  di
difendersi sol che  lo  voglia»)  ed  anche  quando  sia  passato  in
giudicato, cosi'  rendendo  meramente  virtuale  la  soccombenza  del
debitore. Sottrarre al creditore procedente e titolato il  potere  di
impulso, e al  giudice  dell'esecuzione  il  controllo  del  processo
esecutivo e l'adozione  dei  provvedimenti  prodromici  alla  vendita
giudiziale - perche', lo si ribadisce, questo e' l'effetto  del  piu'
che perentorio lessico legislativo:  le  procedure  esecutive  «sono»
sospese, «sono» inefficaci; non si dice «possono  essere  dichiarate»
tali - significa rendere lettera  morta  il  titolo  esecutivo  e  il
processo a conclusione del quale e' stato emesso. 
    E' poi da dire che l'esito non  sarebbe  diverso  qualora  ci  si
orientasse sull'opzione ermeneutica opposta, ritenendo  cioe'  che  -
pur a fronte di tale formulazione imperativa -  le  norme  denunciate
lascino  comunque  un  margine   di   discrezionalita'   al   giudice
dell'esecuzione  nel  valutare  se  e  quali  attivita'   processuali
sospendere:  perche',  come  insegna  la  Corte,  «e'  evidente   che
qualsiasi  interpretazione  dell'ordinamento  interno  che  lasciasse
alla p. a. la scelta se dare o non dare esecuzione  ai  provvedimenti
giurisdizionali sarebbe, per cio' solo,  contrastante  con  l'art.  6
della CEDU e, di rimbalzo, con  l'art.  6  del  Trattato  sull'Unione
europea, che i precetti della CEDU ha elevato a principi fondamentali
dell'ordinamento comunitario» (Corte di Cassazione n. 24198/2018). 
    7. Violazione dell'art. 111  della  Costituzione.  Last  but  not
least, le norme denunciate collidono altresi' con il principio  della
ragionevole durata del  processo,  elevato  a  canone  costituzionale
dall'art. 111 della Costituzione cosi' come  riformato  nel  1999,  e
sancito dalla legge n. 89/2001.  E  cio'  proprio  in  ragione  della
conformazione delle norme come di necessaria e generale applicazione,
anche alle procedure piu' risalenti nel tempo e nelle quali  pertanto
e' piu' intenso il pregiudizio derivante  al  creditore  dal  ritardo
nella soddisfazione del proprio  diritto.  A  tacer  delle  ulteriori
conseguenze per il bilancio dello Stato,  derivanti  dal  prevedibile
conseguente incremento delle  domande  di  riparazione  ex  legge  n.
89/2001, va stigmatizzato l'effetto pesantemente distorsivo sul piano
processuale recato dalle due norme, che si sono rivelate  generatrici
di contenzioso dando luogo a  ben  due  procedimenti  di  opposizione
endoesecutiva.  L'effetto  distorsivo  si  coglie  sia  in  relazione
all'incremento del contenzioso in se', sia in ragione del presupposto
sostanziale, e cioe' della obiettiva  incertezza  che  l'applicazione
delle  norme  ha  determinato,  posto  che  entrambi  gli   opponenti
denunciano  la  lesione  del   proprio   legittimo   ed   incolpevole
affidamento su un effetto giuridico che  ritenevano  sufficientemente
certo - la sospensione  dell'esecuzione  nella  sua  totalita'  -  in
ragione della portata imperativa delle disposizioni invocabili, e che
invece, come si e' tentato di evidenziare, tale non era. 
    Un terzo, ma non per questo marginale, profilo di pregiudizio  si
rinviene  considerando  come  la  stasi  forzata,   quand'anche   non
sopraggiungano ulteriori proroghe, avra' ripercussioni sull'attivita'
da compiersi successivamente determinandone il ritardo: si pensi alla
ricalendarizzazione di tutti gli esperimenti di vendita  e  alle  sue
ricadute sull'organizzazione dell'ufficio (posto che anche il giudice
dell'esecuzione e' vincolato all'attuazione degli  obiettivi  fissati
nel programma di gestione  ex  art.  37,  e  in  particolare  a  dare
priorita'  alle  procedure  piu'  risalenti  nel   tempo)   e   sulla
ragionevole  durata  del  processo  (nella  migliore  delle  ipotesi,
occorrera'  infatti  differire  gli  esperimenti  di  vendita   delle
procedure di piu'  recente  iscrizione,  per  cercare  di  portare  a
compimento quelle piu' anziane). 
    8.  Conclusioni.  Si  ritiene,  in  definitiva,  censurabile   di
illegittimita' costituzionale il disposto  degli  articoli  54-ter  e
103, comma 6 del decreto-legge n. 18/2020 nella parte in cui  le  due
norme,  sia  singolarmente  considerate,  sia  nel   loro   combinato
disposto: 
        1)   precludono   al    giudice:    a)    ogni    valutazione
sull'anteriorita' o  meno  dell'esposizione  debitoria  all'emergenza
sanitaria e, in ogni caso, al periodo di vigenza  della  sospensione;
b) ogni valutazione sulla opponibilita'  alla  procedura  del  titolo
abitativo; c) la possibilita' di  limitare  l'effetto  sospensivo  ai
soli beni oggetto di diritto di abitazione;  d)  la  possibilita'  di
limitare l'effetto sospensivo alle  sole  attivita'  processuali  che
determinino la liberazione coattiva dell'immobile; 
        2) determinano l'irragionevole disparita' di trattamento  del
processo esecutivo rispetto ad  altre  attivita',  giurisdizionali  e
non, non soggette a sospensione; 
        3) determinano un'irragionevole compressione  della  liberta'
di iniziativa economica privata del creditore; 
        4) determinano un'irragionevole compressione del  diritto  di
difesa e dell'effettivita' della tutela giurisdizionale. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Visti gli articoli 134 della Costituzione, 23  e  seguenti  della
legge n. 87/1953; 
    Ritenuta ex officio rilevante e non manifestamente  infondata  la
questione di legittimita' costituzionale degli articoli 54-ter e 103,
comma 6 del decreto-legge n. 18/2020  e  successive  modificazioni  e
integrazioni, nei modi e termini di cui in parte motiva; 
    Sospende il procedimento in corso; 
    Dispone  l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale; 
    Ordina che a cura della cancelleria  la  presente  ordinanza  sia
notificata alle parti in causa, alla  Presidenza  del  Consiglio  dei
ministri, e comunicata alla Presidenza del Senato e della Camera  dei
deputati. 
        Piacenza, 24 maggio 2021 
 
                  Il Giudice dell'esecuzione: Fazio