N. 150 ORDINANZA (Atto di promovimento) 26 aprile 2021

Ordinanza del 26 aprile 2021 della Commissione tributaria provinciale
di Arezzo sul ricorso proposto da V. L. contro Agenzia delle  entrate
- Direzione provinciale di Arezzo. 
 
Imposte e tasse - Accertamento delle imposte sui redditi  -  Prevista
  assunzione dei prelevamenti come ricavi, se il contribuente non  ne
  indica il soggetto beneficiario e sempreche'  non  risultino  dalle
  scritture contabili. 
In via subordinata: 
Imposte e tasse - Accertamento delle imposte sui redditi - Assunzione
  dei prelevamenti come ricavi, se il contribuente non ne  indica  il
  soggetto beneficiario e sempreche' non  risultino  dalle  scritture
  contabili  -  Prevista   applicazione   anche   agli   imprenditori
  individuali ammessi alla contabilita' semplificata. 
- Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973,  n.  600
  (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle  imposte  sui
  redditi), art. 32, primo comma, numero 2). 
(GU n.41 del 13-10-2021 )
 
     LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE DI AREZZO - Sezione 1 
 
    Riunita con intervento dei signori: 
        Greco Carlo, Presidente; 
        Modena Marco, relatore; 
        Fratini Massimo, giudice; 
    Ha  emesso  la  seguente  ordinanza  sul  ricorso   n.   164/2019
depositato l'11 giugno 2019: 
        avverso avviso di accertamento  n.  T8D01PF01465  -  IRPEF  -
Add.Reg. 2013; 
        avverso avviso di accertamento  n.  T8D01PF01465  -  IRPEF  -
Add.Com. 2013; 
        avverso avviso di accertamento  n.  T8D01PF01465  -  IRPEF  -
Impr.Sem. 2013; 
        avverso avviso  di  accertamento  n.  T8D01PF01465  -  IVA  -
OP.Imponib. 2013; 
        avverso avviso di accertamento n. T8D01PF01465 - IRAP 2013; 
    contro Agenzia delle entrate - Direzione provinciale Arezzo - via
Petrarca n. 52, proposto dal  ricorrente:  V.  L.  difeso  da:  Sorbi
Chiara, via A. Sandrelli n. 4 - 52044 Cortona Arezzo. 
    La  Commissione  Tributaria provinciale  di  Arezzo  -  Sez.  Iª,
composta dai seguenti Magistrati: 
        dott. Carlo Greco, Presidente; 
        dott. Massimo Fratini, Giudice; 
        dott. Marco Modena, Giudice relatore. 
    Visti gli atti del  ricorso  n.  164/2019,  promosso  da  V.  L.,
rappresentato  e  difeso  dalla  dott.ssa   Chiara   Sorbi,   dottore
commercialista con  studio  in  Cortona,  frazione  Camucia,  via  A.
Sandrelli contro l'Agenzia delle entrate - Direzione  provinciale  di
Arezzo, in persona del direttore pro tempore; 
    A scioglimento della riserva assunta all'udienza del 22  febbraio
2021; 
    Ritenuto che: 
        1.  V.  L.  ha  impugnato   l'avviso   di   accertamento   n.
T8D01PF01465/2018 per l'anno 2013, in data  7  dicembre  2018,  della
Direzione provinciale di  Arezzo  -  Ufficio  controlli  dell'Agenzia
delle entrate, che, in  applicazione  dell'art.  32  del decreto  del
Presidente  della  Repubblica  n.   917/1986,  ha  attivato  indagini
finanziarie esaminando i rapporti  bancari  di  cui  e'  titolare  il
predetto contribuente, e, avendo rilevato la presenza  di  versamenti
non giustificati sui conti correnti  riconducibili  al  medesimo  per
euro 167.588,65, e prelevamenti non giustificati per euro 117.958,35,
ha accertato maggiori redditi ai fini delle imposte dirette (IRPEF  e
IRAP) per euro 285.547,00 (ossia pari alla  somma  dei  due  predetti
importi), ed un maggior imponibile IVA per euro 167.588,65  (pari  ai
soli versamenti non giustificati). 
        2. Il ricorrente  lamenta  che  l'Ufficio  non  abbia  tenuto
conto, se non in parte, delle  giustificazioni  offerte,  e,  laddove
siano presenti movimenti rimasti privi di giustificazione, chiede  al
giudice di valutarne il significato in merito ai tempi, all'ammontare
e al contesto complessivo, in particolare sottolineando,  per  quanto
attiene al prelevamento di  contanti,  che  il  contribuente  avrebbe
avuto comunque «diritto a vivere e sostenere anche spese personali». 
        3. L'art 32, comma 1, n. 2 del decreto del  Presidente  della
Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 prevede che i dati  ed  elementi
acquisiti, tra l'altro, attraverso indagini bancarie, a) «sono  posti
a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli  articoli
38, 39, 40 e 41, se il contribuente non dimostra  che  ne  ha  tenuto
conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta o che non
hanno rilevanza allo stesso fine»; b) «alla  stesse  condizioni  sono
altresi' posti come ricavi [le successive parole  «o  compensi»  sono
venute meno a seguito della sentenza della  Corte  costituzionale  n.
228 del 2014] a base delle stesse rettifiche ed accertamenti,  se  il
contribuente non ne indica il soggetto beneficiario e sempreche'  non
risultino dalle scritture contabili, i  prelevamenti  e  gli  importi
riscossi nell'ambito dei predetti rapporti od operazioni per  importi
superiori  a  euro  1.000  giornalieri  e,  comunque,  a  euro  5.000
mensili». 
        4.  In  base  alla  consolidata   e   nettamente   prevalente
giurisprudenza  della  Corte  di  cassazione,  l'art.  32  crea   una
presunzione legale in favore dell'erario  che  puo'  essere  superata
soltanto  con  prove  rigorose,  e  non  con   presunzioni.   Secondo
Cassazione n. 2012/13035, «In tema di accertamento delle imposte  sui
redditi, e con riguardo alla determinazione del reddito  di  impresa,
l'art. 32 del decreto del Presidente della  Repubblica  29  settembre
1973, n. 600 impone di considerare ricavi sia i prelevamenti,  sia  i
versamenti su conto corrente, salvo che il contribuente non provi che
questi ultimi sono registrati in contabilita'  e  che  i  primi  sono
serviti  per  pagare  determinati  beneficiari,  anziche'  costituire
acquisizione di utili; posto che,  in  materia,  sussiste  inversione
dell'onere della prova,  alla  presunzione  di  legge  (relativa)  va
contrapposta una prova, non un'altra presunzione semplice ovvero  una
mera affermazione di carattere generale, ne' e'  possibile  ricorrere
all'equita'» (conf. n. 05/18016); secondo Cassazione n. 06/14675, «In
tema di accertamento delle imposte sui  redditi,  e  con  riferimento
all'acquisizione  dei  movimenti  di  un  conto   corrente   bancario
riconducibili ad un'attivita' d'impresa, debbono  essere  considerati
ricavi sia le operazioni attive che  quelle  passive,  senza  che  si
debba  procedere  alla  deduzione  presuntiva  di   oneri   e   costi
deducibili, essendo  posto  a  carico  del  contribuente  l'onere  di
indicare e  provare  eventuali  specifici  costi  deducibili»  (conf.
Cassazione  n.  07/25365,  n.  08/2821,  n.  14/16869,  n. 20/15161);
secondo Cassazione 15/4829, «in tema di  accertamento  delle  imposte
sui redditi, al fine di superare la presunzione posta  a  carico  del
contribuente dall'art. 32 del decreto del Presidente della Repubblica
29 settembre 1973, n. 600 (in virtu' della quale i prelevamenti ed  i
versamenti operati su conto corrente bancario vanno imputati a ricavi
conseguiti   nell'esercizio   dell'attivita'   d'impresa),   non   e'
sufficiente una prova  generica  circa  ipotetiche  distinte  causali
dell'affluire di somme sul proprio conto corrente, ma  e'  necessario
che il contribuente fornisca la prova analitica  della  riferibilita'
di ogni singola movimentazione alle operazioni gia' evidenziate nelle
dichiarazioni,  ovvero  dell'estraneita'  delle   stesse   alla   sua
attivita'. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato  la
sentenza impugnata, che aveva ritenuto non congruo  il  volume  degli
affari e l'importo dei ricavi cosi'  come  ricalcolato  dall'Ufficio,
esclusivamente in ragione delle modeste dimensioni della  societa'  e
nonostante   fosse   stata   riscontrata   anche   la   mancanza   di
documentazione  contabile  legittima)»;   conseguentemente,   secondo
Cassazione n. 18/1040, «In tema di accertamenti bancari,  poiche'  il
contribuente ha  l'onere  di  superare  la  presunzione  posta  dagli
articoli 32 del decreto del Presidente della Repubblica  n.  600  del
1973 e 51 del decreto del Presidente  della  Repubblica  n.  633  del
1972, dimostrando in modo analitico l'estraneita' di  ciascuna  delle
operazioni a fatti imponibili, il giudice  di  merito  e'  tenuto  ad
effettuare una verifica rigorosa in ordine all'efficacia dimostrativa
delle  prove  fornite  dallo  stesso,  rispetto   ad   ogni   singola
movimentazione, dandone compiutamente conto in motivazione» (conf. n.
20/13112, n.  14/26018,  n.  10/18081,  n.  08/22179).  Soltanto  tre
decisioni della  S.C.,  sulle  numerosissime  che  si  sono  occupate
dell'argomento,  hanno  ammesso  che  la  presunzione  legale   posta
dall'art. 32 possa essere vinta anche  da  presunzioni  semplici,  ma
«sempre  senza  ricorrere  ad  affermazioni  apodittiche,  generiche,
sommarie  o  cumulative»  (Cass.  17/11102,  11/25502,  15/2781),   e
peraltro,  tale   apparente   scostamento   risulta   sostanzialmente
corrispondere a  degli  obiter  dicta,  dal  momento  che  Cassazione
17/11102 rigetta comunque il  ricorso  del  contribuente,  mentre  le
altre  due  decisioni  cassano  le  rispettive  sentenze  di   merito
(favorevoli    al    contribuente),     accogliendo     i     ricorsi
dell'amministrazione  finanziaria.  Inoltre,  la  prima   delle   tre
decisioni da ultimo citate, ossia Cass  n. 17/11102,  richiama  nella
propria  motivazione  n.  06/14675  (e  con  essa  n. 12/13035  e  n.
14/20679) mostrando (non senza  qualche  contraddizione)  di  aderire
alla tesi  dell'indeducibilita'  di  oneri  e  costi  presuntivi.  Il
«diritto vivente», pertanto, non consente di escludere i prelevamenti
dal conto corrente dai presunti ricavi se non  in  base  alla  prova,
rigorosa e rigorosamente motivata dal giudice di  merito,  che  detti
prelevamenti non rappresentino ricavi (prova, oltretutto,  negativa).
Non pare quindi trovare riscontro, almeno al momento attuale,  quanto
affermato nella sentenza della Corte costituzionale n. 225 del  2005,
secondo  la  quale   «l'assunto   del   remittente,   relativo   alla
indeducibilita'  delle  componenti  negative  del   maggior   reddito
d'impresa accertato in base alla norma impugnata ... risulta altresi'
smentito dalla piu' recente giurisprudenza di  legittimita',  secondo
cui, in caso di accertamento induttivo, si  deve  tener  conto  -  in
ossequio al principio  di  capacita'  contributiva  -  non  solo  dei
maggiori ricavi  ma  anche  della  incidenza  percentuale  dei  costi
relativi, che vanno, dunque, detratti dall'ammontare dei prelievi non
giustificati». 
        5. Si puo' dubitare e  si  e'  dubitato,  in  passato,  della
legittimita' costituzionale di tale normativa, per quanto attiene  ai
prelevamenti, per contrasto con  gli  articoli  3  e  53  Cost.,  sia
perche' l'ipotesi dei versamenti appare logicamente  e  contabilmente
opposta a quella dei prelevamenti, rappresentando i primi un'entrata,
e i secondi un'uscita, e  quindi  l'equiparazione  comporta  l'eguale
trattamento di situazioni diseguali, sia perche' in tal modo  finisce
col sottoporre a tassazione  un  reddito  inesistente  (ossia  quello
corrispondente  ai  prelevamenti),  in  contrasto  col  principio  di
capacita' contributiva. Con la sentenza n. 225  del  2005,  la  Corte
costituzionale ha dichiarato infondata tale questione,  «non  essendo
manifestamente arbitrario ipotizzare che  i  prelievi  ingiustificati
dai conti correnti bancari effettuati da un imprenditore siano  stati
destinati all'esercizio dell'attivita' d'impresa e siano, quindi,  in
definitiva, detratti i relativi  costi,  considerati  in  termini  di
reddito imponibile». Con la successiva sentenza n. 228 del 2014 (come
si e' anticipato nel riportare il testo della disposizione impugnata)
la Corte costituzionale  ha  invece  ritenuto  fondata  la  questione
limitatamente ai compensi dei professionisti, ai quali la  disciplina
era stata estesa in forza della legge n. 311 del 2004 (art. 1,  comma
402, lettera a). Ha osservato  la  Corte  in  quest'ultima  sentenza,
rimeditando la questione, che «in  assenza  di  giustificazione  deve
ritenersi  che  la  somma  prelevata   sia   stata   utilizzata   per
l'acquisizione,  non  contabilizzata  o  non  fatturata,  di  fattori
produttivi e che tali fattori abbiano prodotto beni o servizi venduti
a  loro  volta  senza  essere  contabilizzati  o   fatturati».   Tale
presunzione, che secondo quest'ultima decisione  era  stata  ritenuta
dalla  precedente  sentenza  n.  225  del  2005  «congruente  con  il
fisiologico andamento dell'attivita'  imprenditoriale,  il  quale  e'
caratterizzato dalla necessita' di continui investimenti  in  beni  e
servizi  in  vista  di  futuri  ricavi»,  era  invece  da   ritenersi
arbitraria se applicata al lavoratore autonomo (cui  si  riferiva  il
giudizio a quo), la cui attivita' «si caratterizza per la  preminenza
dell'apposto del  lavoro  proprio  e  la  marginalita'  dell'apparato
organizzativo»,  anche  tenuto  conto  dei  sistemi  di  contabilita'
semplificata di cui si avvale la categoria («assetto contabile da cui
deriva la  fisiologica  promiscuita'  delle  entrate  e  delle  spese
professionali e personali»), non senza considerare che l'esigenza  di
combattere l'evasione  fiscale  «trova  una  risposta  nella  recente
produzione normativa sulla tracciabilita' dei movimenti finanziari». 
        6. La citata sentenza n. 228 era vincolata, per i termini  in
cui l'ordinanza di  rimessione  aveva  delimitato  la  questione,  ad
esaminare soltanto l'estensione ai lavoratori autonomi del regime  di
accertamento previsto per le imprese, non potendo estendere a  queste
ultime la declaratoria di  incostituzionalita',  e  dovendo  pertanto
recepire come un dato acquisito la ratio della disposizione impugnata
come ricostruita dalla precedente sentenza del 2005. Tuttavia, da  un
lato la questione puo' essere riproposta in termini piu'  ampi  sotto
nuovi profili, dall'altro paiono  sussistere  profili  specifici  che
potrebbero  estendere  anche  al   caso   di   specie   (imprenditore
individuale soggetto a contabilita' semplificata) la decisione emessa
nei confronti dei lavoratori autonomi. In primo luogo, si osserva che
la ratio della presunzione posta dall'art. 32 n.  2  del decreto  del
Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, per  quanto  concerne  i
prelevamenti,  cosi  come  ricostruita  dalla  citata  giurisprudenza
costituzionale,  non  risulta  persuasiva.  L'art.  32  prevede  che,
esperito nei casi consentiti dalla legge l'accesso ai  dati  bancari,
anzitutto i versamenti non giustificati, ossia che  non  trovano  una
corrispondenza nella contabilita',  siano  presunti  corrispondere  a
ricavi.  Nessuno  puo'  dubitare   della   ragionevolezza   di   tale
presunzione. Tuttavia, la stessa presunzione viene applicata anche ai
prelevamenti, cioe' ad  un'operazione  di  segno  contabile  opposto.
Orbene, secondo un comune criterio di ragionevolezza,  laddove,  come
nel  caso  di  specie,  vi  siano  sia  versamenti  che  prelevamenti
ingiustificati, si potrebbe inferire che il  contribuente  abbia  coi
primi acquisito ricavi, e coi secondi sostenuto o costi aziendali, ma
in modo contabilmente irregolare, oppure  spese  personali;  onde  il
reddito da sottoporre a tassazione,  nella  prima  ipotesi,  dovrebbe
essere pari alla differenza tra i due importi (nel  caso  di  specie,
quindi, ad euro 49.630,30), e nella seconda ai soli  versamenti  (nel
caso di specie euro 167.588,65). Ma l'impossibilita' di dedurre costi
non giustificati e non rigorosamente provati, e la  possibilita'  che
si tratti non di costi aziendali ma di spese personali, impedisce  di
fatto  la  prima  soluzione,  sicche'  i  ricavi  accertati  verranno
interamente equiparati a reddito, e assoggettati  a  tassazione  (nel
caso di specie, per l'ultimo degli importi sopra  indicati).  E  gia'
questa  potrebbe  risultare  una  conseguenza   vessatoria   per   il
contribuente, che egli tuttavia potrebbe imputare  sibi,  ossia  alla
propria infedelta' fiscale. Tuttavia, non ci si  ferma  qui,  perche'
non soltanto le uscite (ossia i  possibili  pagamenti  in  nero)  non
possono   essere   dedotti   dai   ricavi,   ma   esse   addirittura,
contrariamente ad ogni logica contabile e aritmetica, vengono sommate
(non algebricamente, ossia una posta con  segno  «piu'»,  e  una  con
segno «meno», ma entrambe con lo stesso segno  «piu'»)  alle  entrate
(in nero  e  non),  facendole  moltiplicare  oltre  ogni  ragionevole
aderenza  alla  realta'  (nel  caso   di   specie   sottoponendo   il
contribuente ad un accertamento  per  euro  285.547,00).  La  «doppia
correlazione» che starebbe alla base  della  presunzione  legale  che
regola il meccanismo di accertamento non pare rispondere a criteri di
ragionevolezza, perche': a) in assenza di  giustificazione,  l'uscita
dal conto (ossia  il  prelevamento)  puo'  astrattamente  attribuirsi
altrettanto  ragionevolmente  a  costi  d'impresa  quanto   a   spese
personali, specie di fronte a piccoli imprenditori individuali,  come
e' nel caso di specie; b) l'acquisizione di  fattori  produttivi,  in
ogni caso, avra'  in  ipotesi  prodotto  entrate  che  o  sono  state
contabilizzate, e quindi dichiarate, oppure, in caso contrario,  sono
gia' state considerate  nell'accertamento  in  forza  dei  versamenti
ingiustificati: sommarvi i prelevamenti significa duplicare la posta.
D'altra parte, come si e' visto al punto 4, non e' possibile  dedurre
dai ricavi cosi' accertati, contrariamente  a  quanto  ipotizzato  da
Corte  costituzionale  n.  225  del  2005,  alcun  costo  presuntivo,
impedendolo il diritto  vivente  rappresentato  dalla  giurisprudenza
della S.C. Infine, non e' assolutamente ragionevole  pensare  che  un
qualsiasi acquisto di fattori produttivi generi,  nello  stesso  anno
d'imposta, un reddito (poiche' in questo contesto, come si e'  visto,
la presunzione di ricavo equivale a presunzione di reddito)  di  pari
importo alla somma spesa. Del  resto,  che  sia  illogico  ipotizzare
ricavi non dichiarati per un importo pari a quello  dei  prelevamenti
trae indiretta conferma anche dal fatto che, ai fini IVA,  la  stessa
Amministrazione  finanziaria  ha  accertato  un  maggior   imponibile
soltanto per l'importo di euro 167.588,65, pari ai soli versamenti. 
        7. In ogni caso, «non sussiste incertezza del petitum - e  la
questione di legittimita' costituzionale deve ritenersi ammissibile -
nel  caso  in  cui  l'ordinanza  di  rimessione  non  prospetti  piu'
soluzioni   alternative,   ma   doglianze    contenutisticamente    e
cronologicamente diverse, in guisa che l'una risulti proposta in  via
principale e l'altra in via subordinata» (Corte  cost.,  sentenza  n.
469/1988); e ancora: - la denuncia di  illegittimita'  costituzionale
articolata in quesiti plurimi e' inammissibile  quando  tra  di  essi
esista un legame irrisolto di alternativita', mentre  e'  ammissibile
in presenza di un collegamento di  subordinazione  logica,  il  quale
permette,  in  caso  di  rigetto  della  questione  che  precede,  la
delibazione  di  quella  subordinata»  (Corte   cost.   sentenza   n.
188/1995).  In  questa  ottica,  e'   prospettabile   una   questione
subordinata a quella  fin  qui  illustrata,  ossia  la  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 32 citato nella parte in cui si
applica  agli  imprenditori  individuali  ammessi  alla  contabilita'
semplificata (il V. non  supererebbe  i.  limiti  di  ricavi  di  cui
all'art. 18 del decreto del Presidente della  Repubblica n.  600/1973
neppure  se  l'accertamento  impugnato  venisse  ritenuto  legittimo;
infatti il totale del valore della produzione viene accertato ai fini
IRAP in euro 299.630 pag. 16 del  verbale  di  accertamento  -  e  il
volume d'affari IVA viene accertato in euro 320,585 pag.  17)  per  i
quali, come gia' ha ritenuto la Corte  costituzionale,  nella  citata
sentenza n. 228 del 2014, in relazione  ai  lavoratori  autonomi,  si
puo' ritenere marginale  l'apparato  organizzativo,  e  per  i  quali
sussiste quella medesima «fisiologica promiscuita'  delle  entrate  e
delle  spese  professionali  e  personali»;  cosicche'   risulterebbe
incostituzionale, per irragionevolezza della  presunzione,  applicare
alla fattispecie la disciplina normativa de qua, una volta  ammessane
in ipotesi la legittimita' costituzionale in via generale.  Anche  in
questo caso varrebbero infine le considerazioni svolte nella sentenza
da ultimo richiamata, circa l'impossibilita' di giustificare la norma
con l'esigenza di combattere  l'evasione  fiscale,  dato  che  questa
trova sempre di piu' «una risposta nelle recente produzione normativa
sulla tracciabilita' dei movimenti finanziari». 
        8. Posto che, una volta accolta la questione di  legittimita'
costituzionale - o  quella  proposta  in  via  principale,  o  quella
proposta in via subordinata - il  ricorso  del  V.  dovrebbe  trovare
almeno  parziale  accoglimento,  dovendosi  in  tal  caso   escludere
dall'accertamento impugnato gli importi pari ai prelevamenti,  mentre
in caso contrario tale esito non sarebbe prospettabile,  e'  evidente
la rilevanza delle questioni sollevate. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; 
    Solleva d'ufficio, in via principale, questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 32, comma 1, n.  2  decreto  del  Presidente
della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, limitatamente alle parole
«i prelevamenti o», per contrasto con  gli  articoli  3  e  53  della
Costituzione; 
    In   via   subordinata,   solleva   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 32, comma 1, n.  2  decreto  del  Presidente
della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, limitatamente alle parole
«i prelevamenti o», nella parte in cui si applicano agli imprenditori
individuali soggetti a contabilita' semplificata ai  sensi  dell'art.
18 dello stesso decreto del Presidente della Repubblica,  sempre  per
contrasto con gli articoli 3 e 53 della Costituzione; 
    Sospende il giudizio in corso; 
    Ordina alla segreteria la notificazione della presente  ordinanza
alle  parti  in  causa,  nonche'  al  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri, e la sua  comunicazione  ai  presidenti  della  Camera  dei
deputati e del Senato della Repubblica; 
    Dispone  l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale, sempre  a  cura  della  segreteria,  all'esito  delle
notificazioni e comunicazioni  di  cui  al  capoverso  precedente,  e
allegando la prova di dette notificazioni e comunicazioni  agli  atti
stessi prima della loro trasmissione. 
    Cosi' deciso in Arezzo nella Camera di consiglio del 22  febbraio
2021. 
 
                        Il Presidente: Greco