N. 151 ORDINANZA (Atto di promovimento) 16 giugno 2021

Ordinanza del 16 giugno 2021 del G.I.P. del Tribunale di Bologna  nel
procedimento penale a carico di A. D. e D.V. D.. 
 
Processo penale - Sospensione del procedimento con messa  alla  prova
  dell'imputato - Prevista esclusione della concessione per  piu'  di
  una volta anche all'imputato per reati connessi, ex art. 12,  comma
  1,  lettera  b),  cod.  proc.  pen.,  ad  altri  reati  oggetto  di
  procedimenti gia' definiti. 
- Codice penale, art. 168-bis, quarto comma. 
(GU n.41 del 13-10-2021 )
 
                        TRIBUNALE DI BOLOGNA 
           Ufficio del Giudice per le indagini preliminari 
 
    In data 6 ottobre 2020 il Procuratore della Repubblica presso  il
Tribunale di Bologna esercitava l'azione penale nei confronti  di  A.
D. e D. V. D. (oltre che di altri  soggetti)  per  il  reato  di  cui
all'art. 73, comma 5, decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n.
309/1990 per effettuato complessivamente 11 episodi  di  cessione  di
quantita' di cocaina variabili tra 0,5 gr e  1,7  grammi  tra  il  20
settembre 2018 e il 21 dicembre 2018. 
    Il Giudice,  ricevuta  la  richiesta,  fissava  udienza  dando  i
prescritti avvisi alle parti. 
    All'udienza del 14 gennaio 2021 entrambe  gli  imputati,  per  il
tramite del proprio difensore munito di procura speciale,  avanzavano
richiesta di messa alla prova ex art. 168-bis c.p.. 
    Il difensore evidenziava che gli imputati avevano gia'  usufruito
della messa alla prova poiche'  erano  stati  tratti  in  arresto  in
flagranza per un episodio di  spaccio  coevo  ai  fatti  per  cui  si
procede e, in sede di giudizio direttissimo, era stata avanzata  tale
richiesta: l'esito positivo della messa alla prova aveva consentito -
in entrambe i casi - l'emissione della  sentenza  di  estinzione  del
reato. 
    In quel procedimento (penale  proc.  n.   RGNR  -   RG  Tribunale
Bologna)  A.  D.  e  D.  V.  D.  erano  sottoposti  a   perquisizione
domiciliare: all'esito, erano rinvenuti un sacchetto  contenente  gr.
10 di cocaina, n. 4 involucri  di  plastica  termosaldata  contenenti
circa gr. 0,33 di cocaina  ciascuna,  n.  5  bilancini,  sostanza  da
taglio, materiale per il confezionamento delle dosi e denaro contante
(600  euro);  i  due  erano  quindi  tratti  in  arresto:   all'esito
dell'udienza di convalida, era applicata ad A.  e  D.  V.  la  misura
dell'obbligo di presentazione alla PG in relazione al  reato  di  cui
agli articoli 110 c.p., 73  comma  5  decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 309/1990 e,  in  sede  di  giudizio  direttissimo,  era
disposta  per  entrambi,  con  ordinanza  del  7  gennaio  2019,   la
sospensione del processo con messa  alla  prova  come  in  precedenza
illustrato. 
    Il difensore, in sede di udienza preliminare, ha  prodotto  copia
degli  atti  del  procedimento  per  giudizio  direttissimo  e  della
sentenza di estinzione del reato per avvenuto  esito  positivo  della
messa alla prova. 
    Il difensore sottolineava, altresi', che i precedenti episodi  di
spaccio  si  erano  verificati  in  precedenza  ed  era  emersi  solo
all'esito delle indagini preliminari svolte  a  carico  dei  medesimi
imputati  e  di  altri  soggetti  coinvolti  in  analoghe   attivita'
illecite. 
    Vi e', a  parere  del  difensore,  una  fondata  possibilita'  di
riconoscere la medesimezza del  disegno  criminoso  tra  le  condotte
contestate  e,  in  astratto,   di   sottoporre   al   Giudice   tale
prospettazione al fine di  richiedere  l'accesso  all'istituto  della
messa alla prova: ma il ricorso a  tale  beneficio  e'  precluso  per
averne gli imputati gia' usufruito una volta. 
    All'udienza del 10  giugno  2021  il  Giudice  ha  sollevato  una
questione di legittimita' costituzionale da ritenersi rilevante e non
infondata, con conseguente obbligo di trasmissione  degli  atti  alla
Corte costituzionale. 
    La ricognizione normativa dell'istituto della  messa  alla  prova
evidenzia quanto segue. 
    La legge n. 67 del 2014,  come  noto,  ha  introdotto  l'istituto
della  sospensione  del  procedimento  con  messa  alla   prova   dei
maggiorenni,  attraverso  la   novellazione   di   quattro   contesti
normativi:  il  codice  penale,  modificato  dall'art.   3   mediante
l'inserimento degli articoli 168-bis, 168-ter, 168-quater; il  codice
di procedura  penale,  nel  quale  l'art.  4  inserisce  sette  nuove
disposizioni (da 464-bis a 464-nonies); le  norme  di  attuazione  di
coordinamento e transitorie del codice di procedura penale nel  quale
sono inseriti gli articoli 141-bis e 141-ter; infine, il testo  unico
delle  disposizioni  legislative  e  regolamentari  in   materia   di
casellario giudiziale,  di  anagrafe  delle  sanzioni  amministrative
dipendenti da reato  e  dei  relativi  carichi  pendenti  (creto  del
Presidente della Repubblica 14 novembre 2002, n. 313). 
    La novita' consiste nell'estensione a soggetti maggiorenni  della
probation prevista dal rito minorile. 
    La messa alla prova realizza una rinuncia statuale alla  potesta'
punitiva  condizionata  al  buon  esito  di  un  periodo   di   prova
controllata e assistita, riallacciandosi alla tradizione anglosassone
delle probation. 
    Piu' precisamente, quella introdotta dalla legge n. 67  del  2014
e' una probation giudiziale nella fase istruttoria,  assimilabile  al
modello adottato nel procedimento minorile (art. 28 del  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 448 del 1988 e art. 27 delle  relative
norme di attuazione, approvate con decreto  legislativo  n.  272  del
1989), nel quale la messa alla prova  precede  la  pronuncia  di  una
sentenza di condanna. 
    Le finalita' perseguite dal legislatore  consistono  nell'offerta
di un percorso di reinserimento alternativo  ai  soggetti  processati
per reati di minore  allarme  sociale,  accompagnata  dalla  funzione
deflattiva dei procedimenti penali attuata  merce'  l'estinzione  del
reato dichiarata dal giudice in caso di esito positivo della prova. 
    Senza essere priva di una necessaria componente  afflittiva  (che
ne salvaguarda la funzione punitiva e intimidatrice), la  messa  alla
prova e' chiamata a soddisfare nel contempo istanze specialpreventive
e  risocializzatrici,  mediante  l'incentivazione  dei  comportamenti
riparativi indirizzati alla persona offesa dal reato. 
    L'art. 168-bis del  codice  penale  detta,  al  primo  comma,  le
condizioni oggettive per  l'accesso  all'istituto  in  ragione  della
gravita'  del  reato,  determinata  con  riguardo  all'entita'  della
sanzione edittale (possono essere ammessi alla sospensione soltanto i
soggetti coinvolti in procedimenti per reati sanzionati con  la  pena
pecuniaria o con pena detentiva - esclusiva, congiunta o  alternativa
- non superiore nel massimo ai quattro anni) ovvero ratione materiae,
mediante il richiamo dell'elenco di  delitti  contenuto  nel  secondo
comma dell'art. 550 del  codice  di  procedura  penale,  in  tema  di
citazione diretta a giudizio. 
    I limiti soggettivi sono individuati dal quarto  e  quinto  comma
della  disposizione,  dove  e'  esclusa   la   concedibilita'   della
sospensione  per  piu'  di  una  volta  e  la  sua  applicazione   ai
delinquenti e contravventori abituali, ai delinquenti professionali e
per tendenza (articoli 102, 103, 104, 105 e 108 del codice penale). 
    Si tratta di limitazioni non previste nell'istituto  omologo  del
rito minorile e piu' rigide di  quelle  approvate  in  prima  lettura
dalla Camera. 
    Prima del passaggio  al  Senato  della  legge  n.  67  del  2014,
infatti, era prevista la possibilita' che  un  soggetto  godesse  per
«due volte» della sospensione, a meno che  la  precedente  esperienza
non fosse correlata a un reato «della stessa indole» di quello per il
quale il soggetto si trova a essere indagato o imputato. 
    Non  appare  senza  importanza,  a  parere  di   questo   Giudice
remittente,  la  circostanza   che   l'evoluzione   giurisprudenziale
creatasi sulla messa alla prova per minorenni aveva riconosciuto  (si
veda, sul punto, Cassazione n. 46366/12 e 40312/14) che, in  caso  di
continuazione tra reati giudicati e giudicandi,  la  sospensione  del
processo e la  messa  alla  prova  disposti  per  i  primi,  pur  non
estendendosi automaticamente ai secondi, erano ammissibili qualora il
Giudice avesse potuto riconoscere  (ed  adeguatamente  motivare)  non
solo il vincolo della continuazione tra reati  accertati  in  giudizi
diversi  ma  anche  verificare   (ed   adeguatamente   motivare)   la
sussistenza  di  elementi  idonei  per  una  prognosi   di   positiva
evoluzione della personalita' del  minore  al  fine  di  redigere  un
progetto idoneo al raggiungimento dell'obiettivo  di  rieducazione  e
reinserimento nella vita sociale. 
    Se cosi' e', ritornando all'istituto  in  esame  riguardante  gli
adulti, l'applicazione dell'art. 168-bis comma IV del  codice  penale
e' oltre modo problematica  nel  caso  sottoposto  all'attenzione  di
questo Giudice remittente. 
    La possibilita' che l'imputato ne possa fruire una sola volta non
esclude, in linea di principio, che in caso di simultaneus  processus
aventi ad oggetto piu' fatti di reato, il Giudice  possa  riconoscere
il vincolo della continuazione e giungere (con adeguata  motivazione)
ad un giudizio di meritevolezza del programma di trattamento  redatto
dall'UEPE anche attraverso l'esercizio dei  poteri  (integrativi  e/o
aggiuntivi) in tema di condotte riparatorie a  favore  della  persona
offesa e di commisurazione dei  tempi  e  modi  di  espletamento  del
lavoro di pubblica utilita'. 
    In tale situazione processuale, il reato (continuato)  contestato
sara' dichiarato estinto con sentenza dal Giudice che accerta l'esito
positivo della messa alla prova. 
    Puo' accadere, invece  -  per  scelta  processuale  del  pubblico
ministero  nella  fase  delle  indagini  preliminari  o  per  diversa
tempistica processuale in ordine alla iscrizione nel  registro  degli
indagati di piu' procedimenti in capo alla medesima persona - che per
un solo fatto-reato si giunga a processo e per esso sia richiesta  la
messa alla prova. 
    L'esito  positivo  della  stessa  determina  le  condizioni   per
l'emissione della  sentenza  di  estinzione  del  reato  che  consuma
definitivamente  l'unica  possibilita'   di   usufruirne   da   parte
dell'imputato. 
    La successiva richiesta di messa alla prova in altri procedimenti
- per fatti che possono essere ritenuti connessi ex art. 12, comma 1,
lettera b) del codice di procedura penale - e'  destinata  ad  essere
dichiarata   inammissibile   dal   Giudice   per   violazione   della
disposizione di cui al comma IV dell'art. 168-bis c.p.. 
    E qui gia' si coglie in maniera apprezzabile l'irrazionalita' del
sistema conseguente alla applicazione della norma censurata: la messa
alla prova, per poter essere richiesta nell'unica  volta  esperibile,
deve riguardare solo fatti giudicati in uno stesso procedimento. 
    In caso di parcellizzazione dei procedimenti - e di esistenza  di
ipotesi di connessione ex art. 12, comma 1, lettera b) del codice  di
procedura  penale  -,  la  disciplina  in  vigore  non  consente   di
'agganciare' alla precedente estinzione del reato fatti  per  cui  si
sarebbe potuta compiere una prognosi favorevole di astensione  futura
dai reati e positivo reinserimento sociale,  con  riconoscimento  del
vincolo della continuazione e valutazione finale  di  esito  positivo
della messa alla prova. 
    Poiche' il caso sottoposto a questo  Giudice  remittente  attiene
alla valutazione delle accessibilita' all'istituto della  messa  alla
prova con effetti sostanziali evidenti in termine di possibilita'  di
definizione del procedimento, in caso di esito positivo della  prova,
con sentenza dichiarativa della  estinzione  del  reato,  sotto  tale
profilo va segnalata la evidente disparita'  di  trattamento  che  si
determina in  relazione  alla  previsione  di  cui  al  comma  quarto
dell'art. 168-bis del codice  penale  nel  caso  di  connessione  tra
procedimenti ex art. 12, comma 1,  lettera  b)  codice  di  procedura
penale con possibilita' di ravvisare il vincolo  della  continuazione
tra reati accertati in giudizi diversi: l'imputato  che  affronta  il
simultaneus  processus  ne  potra'  beneficiare  (previa  valutazione
positiva di tutte le condizioni  di  accesso  all'istituto),  laddove
l'imputato che affronta giudizi distinti (ancorche' connessi)  potra'
beneficiarne solo la prima (ed unica) volta. 
    Tale disparita' deve essere ancor piu'  sottolineata  laddove  si
ponga  mente  ai   principi   affermati   dalla   giurisprudenza   di
legittimita'  in  tema  di  continuazione  del   reato:   una   volta
definitivamente  superata  la  concezione  del  reato  continuato  in
termini di unitarieta' 'ontologica' e riconosciutane una unita'  solo
fittizia quoad poenam, l'insegnamento  del  supremo  consesso  si  e'
consolidato nel  senso  di  ritenere  che  il  reato  continuato  'si
configura quale particolare  ipotesi  di  reati  che  va  considerato
unitariamente solo  per  gli  effetti  espressamente  previsti  dalla
legge, come quelli relativi alla determinazione della  pena,  mentre,
per  tutti  gli  altri  effetti  non   espressamente   previsti,   la
considerazione unitaria puo' essere  ammessa  solo  esclusivamente  a
condizione che garantisca  un  risultato  favorevole  al  reo,  cosi'
rispondendo alla ratio di favor rei dell'istituto in oggetto'  (Cass.
SSUU  3286/2008).  Applicando  i  suddetti  principi,  la  Corte   di
cassazione  ha  ritenuto  che  i  reati  avvinti  dal  vincolo  della
continuazione sono da considerare come un'unita'  fittizia  anche  ad
altri limitati effetti, come, ad esempio, ai fini  della  concessione
del beneficio della sospensione condizionale della pena. 
    Sul punto, la giurisprudenza costituzionale che  si  e'  occupata
dell'istituto della messa alla prova (Corte costituzionale n. 91  del
2018) ha di recente delineato un significativo parallelismo tra messa
alla prova e sospensione condizionale della pena e pur riconoscendo i
limiti di tale  operazione  di  assimilazione  ha  concluso  che  'la
possibilita' di  chiedere  i  riti  speciali,  e  in  particolare  il
patteggiamento o la messa alla prova, costituisce, come  generalmente
si  ritiene,  una  delle  facolta'  difensive   e   appare   illogico
considerarli  costituzionalmente  illegittimi  per  violazione  delle
garanzie  riconosciute  all'imputato  questi  procedimenti  che  sono
diretti ad assicurargli un trattamento  piu'  vantaggioso  di  quello
ordinario'. 
    Per tale  via,  appare  chiaro  come  tra  gli  effetti  positivi
richiamati nelle precedenti pronunce non possa non annoverarsi quello
derivante dall'esito positivo  della  messa  alla  prova,  ovviamente
previa valutazione positiva in ordine al riconoscimento del  medesimo
disegno criminoso e alla meritevolezza per all'accesso al beneficio. 
    Ne' puo', in tale ottica, procedersi ad  ammettere  gli  imputati
alla messa alla prova in ragione di  una  lettura  costituzionalmente
orientata della norma. 
    Tale conclusione deriva dalla impossibilita', a parere di  questo
Giudice remittente, di considerare la seconda richiesta di messa alla
prova non come ulteriore  e  nuova  richiesta  ma  come  prosecuzione
oppure integrazione di quella gia' avanzata in altro procedimento:  a
parte l'insormontabile ostacolo  rappresentato  dalla  lettera  della
norma (che recita 'una sola volta'), deve rilevarsi  che  la  vicenda
relativa al percorso della messa  alla  prova  si  conclude  con  una
pronuncia di estinzione del reato che  impedisce  di  'riprendere'  o
'rivalutare' quel percorso e le condizioni di accesso  al  beneficio,
perche'  il  reato  e'  estinto  e  la  sentenza   del   Giudice   ha
definitivamente prodotto un effetto sostanziale non piu' revocabile. 
    La  Corte,  peraltro,  si  e'   occupata   della   compatibilita'
costituzionale della messa alla prova per minori nel caso  in  cui  -
sussistendo l'ipotesi di connessione determinata dalla  continuazione
- non era possibile  estendere  tale  beneficio  poiche'  alcuni  dei
fatti-reato erano  stati  commessi  quando  l'imputato  era  divenuto
maggiorenne: con sentenza n. 52 del 1995 la Corte ha  dichiarato  non
fondata la questione affermando «in virtu'  della  previsione  legale
che collega il raggiungimento della maggiore eta' al  compimento  dei
diciotto anni, deve  presumersi  che,  nella  realizzazione  di  ogni
fatto-reato, il soggetto agente versi in una  dimensione  psicologica
che e' quella propria dello status (minorenne o maggiorenne)  che  la
legge, regione aetatis, gli riconosce, sicche' non  e'  irragionevole
ne' lesivo del principio di uguaglianza o del diritto di difesa  che,
delle condotte realizzate con  la  maturita'  del  maggiorenne,  egli
risponda  penalmente  secondo  le  norme  sostanziali  e  processuali
proprie degli adulti. 
    Tale conclusione non e' messa in crisi qualora i vari fatti-reato
siano  stati  realizzati  in  esecuzione  di  un   medesimo   disegno
criminoso. Anche se si accoglie la concezione piu'  rigorosa  secondo
la quale perche' sussista il reato  continuato  occorre  che  i  vari
fatti devono essere stati tutti previsti, programmati e deliberati in
via preliminare dall'autore come elementi  costitutivi  di  un  piano
unitario, cio' non toglie che ogni fatto facente parte del  programma
criminoso deve essere assistito dal momento  volitivo,  che  si  pone
autonomamente, di volta in volta, nella  realizzazione  concreta  dei
singoli episodi. 
    D'altra parte non e' in via  di  principio  indifferente  che  il
soggetto, per una parte degli episodi, sia assoggettato agli istituti
minorili, in quanto il trattamento penale complessivo ben puo' essere
influenzato dagli istituti di favore  (ad  esempio,  irrilevanza  del
fatto, messa alla prova, perdono giudiziale, diminuente  ex  art.  98
cod. pen.) che caratterizzano il sistema penale  minorile.  In  altri
termini, non  puo'  dirsi  nemmeno  del  lutto  rispondente  al  vero
l'affermazione  del  giudice  a  quo  secondo  cui  questi   istituti
sarebbero completamente «vanificati» dalla contemporanea applicazione
degli istituti processuali e sostanziali previsti per gli adulti. 
    A cio'  va  aggiunto  che  la  separazione  delle  procedure  non
impedisce,  ovviamente,  che,   sussistendo   i   presupposti   della
continuazione di reati,  si  faccia  applicazione  del  criterio  del
cumulo  giuridico  delle  pene  ex  art.  81   del   codice   penale,
eventualmente  da  parte  del  giudice  della  esecuzione,  a   norma
dell'art. 671  codice  di  procedura  penale»,  cosi'  di  fatto  non
ritenendo sussistere irragionevolezza  e  disparita'  di  trattamento
alla luce del diverso complessivo sistema di norme di  riferimento  e
di applicazione di  diversi  istituti  sostanziali  che,  pero',  non
avrebbero impedito anche in fase esecutiva, di sottopone  al  Giudice
la valutazione in ordine al medesimo disegno criminoso  ex  art.  671
c.p.p.. 
    Non pare a questo Giudice remittente  che  tale  pronuncia  possa
ritenersi  ostativo   alla   riproposizione   della   questione   con
riferimento alla messa alla prova per adulti introdotta con la  legge
n. 67/2014 tenuto  conto  della  considerazione  che  il  sistema  di
riferimento processuale e sostanziale e' il medesimo. 
    Il parametro che si assume  violato  e',  a  parere  del  Giudice
remittente, l'art. 3 della Costituzione. 
    Sussiste  una  irragionevole  disparita'   di   trattamento   tra
situazioni  che  possono  ritenersi  omogenee  e  che   invece   sono
caratterizzate dalla diversita' di trattamento come sopra illustrato.
L'esame  della   giurisprudenza   costituzionale   sulla   violazione
dell'art. 3 della Costituzione offre all'interprete un  primo  novero
di giudizi di ragionevolezza che attiene all'uguaglianza. Ma soltanto
un  esiguo  novero  di  questioni  in  materia  penale  sono   invero
riconducibili al nucleo duro dell'art. 3 della  carta  costituzionale
quando la scelta incriminatrice del legislatore assume, senza  alcuna
giustificazione, il sesso, la  razza,  la  condizione  sociale  o  la
religione  come  elemento  idoneo  a   determinare   un   trattamento
differenziato. Tali casi attengono  molto  spesso  alle  scelte  piu'
marcatamente ideologiche del legislatore fascista del codice  penale,
direttamente espressive di una discriminazione fondata su valori  poi
fermamente ripudiati da parte del costituente (sentenza  n.  119/1970
riguardo alla circostanza aggravante del danneggiamento per il  reato
commesso da lavoratori in occasione di sciopero e da datori di lavoro
in occasione di serrate; sentenza n. 131/1979 sulla conversione della
pena pecuniaria in pena  detentiva  in  caso  di  insolvibilita'  del
condannato; sentenza n. 440/1995 in relazione al reato di  bestemmia;
sentenza n. 508/2000 sul vilipendio della religione dello stato). 
    Una seconda tipologia di giudizi di ragionevolezza  attiene  alla
razionalita', vista come «non contraddittorieta' interna del  sistema
giuridico». 
    A  tale  categoria  sono  ascrivibili   anzitutto   i   casi   di
incompatibilita' tra norme, ma anche di «irriducibilita' di regole  a
principi ispiratori», di «incongruita' dei mezzi rispetto  ai  fini»,
di «ingiustificatezza dell'eccezione rispetto alla  regola»,  secondo
le formule via via indicate dalla Corte. 
    Preponderanti in questa categoria sono  senza  dubbio  proprio  i
casi di incompatibilita' tra norme, nei quali la Corte costituzionale
e' chiamata ad esprimersi sulla ragionevolezza  dell'equiparazione  o
della differenziazione di trattamento da esse prevista. Per far  cio'
la Corte necessita  di  un  punto  prospettico  da  cui  valutare  la
rilevanza delle somiglianze e delle  differenze  tra  le  fattispecie
poste a confronto, e questo punto prospettico  e'  dato  dalla  ratio
legis. 
    Pertanto, si comprende come tale controllo di coerenza  normativa
esiga intrinsecamente una struttura triadica, poiche' solo a  parita'
di  ratio  legis  tra  le  due  norme  sara'   possibile   dichiarare
l'illegittimita'  costituzionale  del   diverso   trattamento.   Tale
giudizio  di  ragionevolezza-razionalita'  trae  fondamento  tuttavia
dall'assiomatico assunto della natura razionale e non contraddittoria
dell'ordinamento, di  modo  che  il  compito  dell'interprete-giudice
costituzionale e' semplicemente quello di espungere  dall'ordinamento
i rari casi di contraddizione che ciononostante si presentino. 
    Un'ultima tipologia di giudizi di ragionevolezza attiene, infine,
alla  considerazione  della  ragionevolezza   come   «imperativo   di
giustizia», tipologia anche denominata  controllo  di  ragionevolezza
intrinseca, essendo assente o puramente rafforzativo l'utilizzo di un
tertium comparationis. In questo caso l'irragionevolezza della  norma
e' predicabile senza l'ausilio di alcuna norma di confronto,  poiche'
essa e' direttamente confliggente con i valori e i principi alla base
del dettato costituzionale. 
    Nel caso in esame ritiene il Giudice remittente che ci  si  trovi
in presenza di una situazione di  contrarieta'  interna  del  sistema
delineato dall'istituto della messa alla prova sotto il profilo della
irriducibilita' della regola contenuta  nel  quarto  comma  dell'art.
168-bis del codice penale al rispetto dei principi  ispiratori  della
norma: nell'ipotesi di reati connessi ex art. 12, comma 1, lettera b)
c.p.p. non e' possibile accedere all'istituto della messa alla  prova
qualora i procedimenti penali a carico dell'imputato  siano  diversi,
giudicati e giudicandi. 
    Cio'  determina  una  disparita'  di  trattamento   che   risulta
irragionevole secondo il parametro evocato dall'art.  3  della  Carta
costituzionale. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bologna, 
    Visti gli articoli 136 Cost., 23 legge 11 marzo 1953, n. 87; 
    Dichiara rilevante e non manifestamente  infondata  in  relazione
all'art.  3  Cost.  la  questione  di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 168-bis, comma IV del codice penale  nella  parte  in  cui,
disponendo che la sospensione del procedimento con messa  alla  prova
dell'imputato non puo' essere concessa piu' di una volta, non prevede
che l'imputato ne possa usufruire per  reati  connessi  ex  art.  12,
comma 1, lettera b) del codice di procedura penale ad  altri  oggetto
di procedimenti gia' definiti. 
    Sospende il presente giudizio e  dispone  la  trasmissione  degli
atti alla Corte costituzionale. 
    Dispone che copia della presente ordinanza sia comunicata, a cura
della cancelleria, al Presidente  del  Senato,  al  Presidente  della
Camera dei deputati e al Presidente del Consiglio dei ministri. 
    Manda alla cancelleria per gli adempimenti di competenza. 
        Bologna, 16 giugno 2021 
 
                         Il Giudice: Truppa