N. 152 ORDINANZA (Atto di promovimento) 17 giugno 2021
Ordinanza del 17 giugno 2021 del Tribunale di Verona nel procedimento penale a carico di O. P.. Processo penale - Divieto di un secondo giudizio - Mancata previsione dell'applicabilita' della disciplina del divieto di un secondo giudizio nei confronti dell'imputato al quale, con riguardo agli stessi fatti, sia stata gia' irrogata in via definitiva, nell'ambito di un procedimento amministrativo non legato a quello penale da un legame materiale e temporale sufficientemente stretto, una sanzione di carattere sostanzialmente penale ai sensi della CEDU e dei relativi protocolli. - Codice di procedura penale, art. 649.(GU n.41 del 13-10-2021 )
TRIBUNALE ORDINARIO DI VERONA Sezione penale Il Tribunale di Verona, in composizione monocratica, in persona del giudice dott.ssa Sabrina Miceli, all'udienza del 17 giugno 2021, nel procedimento a carico di P. O., imputato in ordine al «reato p. e p. dall'art. 171-ter, comma 1, lett. b), legge n. 633/41 perche', fuori dal caso di uso personale, a fini di lucro deteneva per la vendita e abusivamente riproduceva opere letterarie fotocopiate oltre il limite consentito pari al 15% in numero pari a quarantanove testi (dettagliatamente elencati), presso la copisteria... di cui e' titolare», fatto contestato come commesso a... (decreto di citazione a giudizio a seguito di opposizione a decreto penale del... (1) ); Considerato che nei confronti dell'imputato e, quale obbligato in solido, nei confronti della societa'..., come risulta dal verbale di accertamento del... dall'ordinanza del Prefetto di... e dalla sentenza del Giudice di Pace del... (passata in giudicato) in atti, risulta irrogata in via definitiva - in relazione alla medesima condotta contestata in questa sede - una sanzione amministrativa pecuniaria pari ad euro 5974; Osservato che l'applicazione di tale sanzioni da parte dell'amministrazione finanziaria, e' avvenuta in forza dell'illecito amministrativo tratteggiato dall'art. 174-bis, legge n. 633/41; Evidenziato che tale norma prevede, che «ferme le sanzioni penali applicabili, la violazione delle disposizioni previste nella presente sezione e' punita con la sanzione amministrativa pecuniaria pari al doppio del prezzo di mercato dell'opera o del supporto oggetto della violazione, in misura comunque non inferiore a euro 103,00. Se il prezzo non e' facilmente determinabile, la violazione e' punita con la sanzione amministrativa da euro 103,00 a euro 1032,00. La sanzione amministrativa si applica nella misura stabilita per ogni violazione e per ogni esemplare abusivamente duplicato o riprodotto»; Rilevato che il Pubblico Ministero ha esercitato l'azione penale contestando all'imputato la fattispecie di cui all'art. 171-ter, comma 1, lett. b) I. cit., nei termini anzidetti (facendo richiesta di emissione di decreto penale di condanna, in data 12 dicembre 2014, per euro 8.100); Ritenuti l'identita' del destinatario del precetto penale e delle sanzioni amministrative applicate in via definitiva, il carattere afflittivo e, pertanto, sostanzialmente «penale» di queste ultime, in ragione del consolidato indirizzo della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo; Ritenuta altresi' l'assenza di quel legame sufficientemente stretto a livello materiale e cronologico tra i due procedimenti (penale ed amministrativo) che solo puo' giustificare il c.d. doppio binario sanzionatorio e la sproporzione della risposta sanzionatori complessivamente approntata dal sistema; Sottopone, su sollecitazione della difesa dell'imputato, al giudizio di questa Ecc.ma. Corte costituzionale questione di legittimita' costituzionale dell'art. 649 del codice di procedura penale, per contrasto con l'art. 117 comma I Cost., in relazione all'art. 4 protocollo 7 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, nella parte in cui non prevede l'applicabilita' della disciplina del divieto di un secondo giudizio nei confronti dell'imputato, al quale, con riguardo agli stessi fatti, sia gia' stata irrogata in via definitiva, nell'ambito di un procedimento amministrativo non legato a quello penale da un legame materiale e temporale sufficientemente stretto, una sanzione avente carattere sostanzialmente penale ai sensi della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e dei relativi protocolli. 1. Non manifesta infondatezza della questione 1.1. La questione di legittimita' costituzionale sopra delineata si presenta non manifestamente infondata per i motivi di seguito esplicitati. Com'e' noto, con la decisione della Corte europea dei diritti dell'uomo «Engel e altri c. Paesi Bassi» (Corte europea dei diritti dell'uomo, Grande Camera, 8 giugno 1976), il Giudice sovranazionale ha enucleato tre criteri per verificare se una sanzione - indipendentemente dalla qualificazione formale ad essa attribuita dal legislatore nazionale - possa definirsi sostanzialmente penale: 1) la qualificazione giuridica data dall'ordinamento interno; 2) l'effettiva natura della sanzione; 3) il grado di severita' ed afflittivita' dalla stessa espresso. Si tratta di criteri tra loro alternativi, sicche' e' sufficiente che la sanzione abbia finalita' preventiva o retributiva, ovvero sia particolarmente severa, per sancirne la natura sostanzialmente penale. Tanto premesso, la natura sostanzialmente criminale della sanzione determina l'obbligo per lo Stato di applicare lo statuto, sostanziale e processuale, proprio del diritto penale e garantito dalla Convenzione, quanto alla struttura, all'oggetto ed all'accertamento della responsabilita' del soggetto perseguito. Nell'accezione sostanzialistica che contrassegna la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo in tema di qualificazione delle sanzioni, assume rilievo fondamentale la finalita' repressiva e preventiva della sanzione; in altri termini, laddove la stessa non abbia solo una finalita' restitutoria e compensativa ma si connoti per un quid pluris che le attribuisca anche, se non solo, una funzione deterrente e retributiva, essa dovra' essere considerata sostanzialmente penale. Si tratta di principi ribaditi a piu' riprese dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, ad esempio in materia tributaria o - proprio con particolare riferimento all'ordinamento italiano - in relazione al settore degli abusi di mercato, nella nota sentenza Grande Stevens c. Italia. Cio' posto, una volta riqualificata come «penale» la sanzione amministrativa, perche' la sottoposizione dello stesso soggetto ad un ulteriore processo penale e, a fortiori, l'applicazione di una pena aggiuntiva, per i medesimi fatti, dopo che la prima sanzione sia divenuta definitiva non costituisca violazione dell'art. 4, prot. 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali e' necessario che siano integrati tutta una serie di presupposti delineati, da ultimo, con la nota sentenza 15 novembre 2016, A e B contro Norvegia e poi ribaditi, a livello interno, da numerose pronunce della giurisprudenza costituzionale (cfr., tra le altre, Corte costituzionale, sentenza n. 114/2020) e di legittimita' (cfr., da ultimo, Cass. Sez. 2, sentenza n. 5048/2020 Ud. (dep. 9 febbraio 2021) Rv. 280570 - 01). Invero, la grande camera della Corte di Strasburgo con la decisione predetta ha impresso un nuovo sviluppo alla materia di cui si discute. La rigidita' del divieto convenzionale di bis in idem, nella parte in cui - alla luce dei precedenti arresti giurisprudenziali sovranazionali - avrebbe dovuto trovare applicazione anche per sanzioni che gli ordinamenti nazionali qualificano come amministrative, aveva ingenerato gravi difficolta' presso gli Stati che hanno ratificato il Protocollo n. 7 alla CEDU, perche' la discrezionalita' del legislatore nazionale di punire lo stesso fatto a duplice titolo, pur non negata dalla Corte di Strasburgo, finiva per essere frustrata, di fatto, dal divieto di bis in idem. Per alleviare tale inconveniente, la Corte EDU ha enunciato il principio di diritto secondo cui il ne bis in idem non opera quando i procedimenti sono avvinti da un legame materiale e temporale sufficientemente stretto («sufficiently closely connected in substance and in time). In particolare, la Corte di Strasburgo ha precisato che legame temporale e materiale sono requisiti congiunti; che il legame temporale non esige la pendenza contemporanea dei procedimenti, ma ne consente la consecutivita', a condizione che essa sia tanto piu' stringente, quanto piu' si protrae la durata dell'accertamento; che il legame materiale dipende dal perseguimento di finalita' complementari connesse ad aspetti differenti della condotta, dalla prevedibilita' della duplicazione dei procedimenti, dal grado di coordinamento probatorio tra di essi, e soprattutto dalla circostanza che nel commisurare la seconda sanzione si possa tenere conto della prima, al fine di evitare l'imposizione di un eccessivo onere per lo stesso fatto illecito. Al contempo, si deve valutare anche se le sanzioni, pur convenzionalmente penali, appartengano o no al nocciolo duro del diritto penale, perche' in caso affermativo si dovra' essere piu' severi nello scrutinare la sussistenza del legame e piu' riluttanti a riconoscerlo in concreto. In buona sostanza, con la sentenza A e B contro Norvegia, il ne bis in idem convenzionale ha cessato di agire quale regola inderogabile conseguente alla sola presa d'atto circa la definitivita' del primo procedimento, ma e' stato subordinato ad un apprezzamento proprio della discrezionalita' giudiziaria in ordine al nesso che lega i procedimenti, perche' in presenza di una «close connection» e' permesso proseguire nel nuovo giudizio nonostante la definizione dell'altro. Il divieto di bis in idem convenzionale ha quindi perso il suo carattere esclusivamente processuale, atteso che criterio eminente per affermare o negare il legame materiale e' proprio quello relativo all'entita' della sanzione complessivamente irrogata. Se pertanto la prima sanzione fosse modesta, sarebbe in linea di massima consentito, in presenza del legame temporale, procedere nuovamente al fine di giungere all'applicazione di una sanzione che nella sua totalita' non risultasse sproporzionata, mentre nel caso opposto il legame materiale dovrebbe ritenersi spezzato e il divieto di bis in idem pienamente operante (cfr. sent. Cost. n. 43/2018). Tanto la Corte europea dei diritti dell'uomo con la sentenza gia' citata, quanto la Corte di giustizia dell'Unione europea (sentenza 20 marzo 2018, in causa C-524/15, Menci) non ritengono quindi, ex se, contraria al divieto di bis in idem la sottoposizione di un imputato a processo penale per il medesimo fatto per il quale egli sia gia' stato definitivamente sanzionato in via amministrativa, esigendo unicamente la sussistenza di un legame materiale e temporale sufficientemente stretto tra i due procedimenti, da ravvisarsi in presenza di sanzioni che perseguano scopi complementari, della prevedibilita' del «doppio binario» sanzionatorio, di forme di coordinamento tra i procedimenti e della proporzionalita' del complessivo risultato sanzionatorio. (2) Cosi brevemente compendiato il quadro di riferimento sovranazionale, occorre ora soffermarsi sull'ordinamento interno, e segnatamente sulle norme rilevanti ai fini del giudizio di merito demandato a questo giudice, per valutarne la compatibilita' con l'art. 4 prot. 7 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, norma interposta dell'art. 117, comma I Cost. In primo luogo, a parere di questo rimettente, nessun dubbio sussiste in ordine al carattere essenzialmente «penale» - alla luce delle coordinate teoriche piu' sopra tracciate - delle sanzioni amministrative contemplate dall'art. 174-bis, legge n. 633/1941 (introdotto dall'art. 8, legge n. 248/2000), risolvendosi esse nella applicazione al trasgressore di una somma di denaro individuata quale multiplo del prezzo di mercato dell'opera indebitamente riprodotta (e comunque con un minimo di euro 103) o - quando il prezzo dell'opera non e' determinabile - con una somma compresa tra un minimo ed un massimo per ciascuna violazione riscontrata. Rilette nella prospettiva degli Engel criteria, tali sanzioni si distinguono, innanzitutto, per la evidente gravita' resa palese dalle significative ricadute sulla sfera patrimoniale del destinatario; basti pensare che, nel caso di specie, - relativo alla riproduzione di quarantanove opere letterarie (quindi ad un fatto di medio-bassa gravita') - la sanzione pecuniaria concretamente applicata ammonta ad oltre il doppio della multa prevista per l'illecito penale, nel suo minimo edittale. Le modalita' di determinazione dell'ammontare della sanzione (attraverso il citato meccanismo moltiplicatore) ne disvelano quindi il carattere afflittivo e non meramente restitutorio nonche' la finalita' repressiva e deterrente che, d'altra parte, si evince plasticamente dalla lettura della relazione del disegno di legge n. 1495 poi sfociato nella legge n. 248/2000 che ha modificato la legge sul diritto d'autore inserendovi, tra le altre cose e per quanto qui interessa, l'art. 174-bis. Invero, nella suddetta relazione il legislatore, pur dicendosi consapevole della gravita' delle sanzioni penali gia' vigenti e della necessita' di limitare in termini di extrema ratio il ricorso alla sanzione criminale «anche per mantenere una proporzione con gli standards europei», a fronte della ritenuta entita' e qualita' delle violazioni, ha espressamente inteso incrementare il grado di dissuasivita' delle misure di contrasto, introducendo, in aggiunta alle sanzioni penali gia' previste dalla legislazione esistente, alcune sanzioni e misure amministrative che appaiono, riprendendo la terminologia usata dal legislatore «dotate di autonoma deterrenza in quanto rapidamente applicabili». P dunque cristallina la funzione prevalentemente (se non esclusivamente) deterrente delle sanzioni amministrative che, a ben vedere, sotto questo profilo, si differenziano da quelle penali solo per la rapidita' del procedimento applicativo. 2 quindi manifestamente carente quella complementarita' di funzioni che sola giustifica il c.d. doppio binario sanzionatorio. Peraltro, la finalita' esclusivamente pubblicistica e, quindi, l'identita' di funzione con la sanzione penale, e' confermata, altresi', dalla destinazione degli introiti provenienti dall'applicazione delle suddette misure. I proventi delle sanzioni pecuniarie sono infatti devoluti, per il 50 per cento, alla costituzione di un fondo destinato al potenziamento delle strutture e degli strumenti impiegati nell'accertamento dei reati contro il diritto d'autore e nella restante misura come contributo per le campagne di pubblica informazione di cui al successivo articolo 10. Le sanzioni amministrative applicate appaiono quindi sanzioni sostanzialmente penali alla luce degli Engel criteria piu' volte citati. Ne', in senso contrario; rileva la circostanza per cui tali sanzioni vengono disposte all'esito di un procedimento formalmente amministrativo, atteso che - come gia' rimarcato in precedenza - a venire in rilievo, nell'interpretazione del principio del ne bis idem delineata dalla giurisprudenza di Strasburgo, e', in chiave sostanziale, la reale natura della sanzione. Identico e' poi certamente il fatto storico alla base di ambedue i procedimenti (amministrativo e penale), nella sua concreta materialita' atteso che l'art. 174-bis si limita a fare rinvio alla «violazione delle disposizioni previste nella presente sezione» ( e quindi all'intera sezione rubricata «difese e sanzioni penali» in cui e' descritta la condotta prevista e punita dall'art. 171-ter, comma 1, lett. b) per individuare il proprio ambito applicativo cosicche' e' indubitabile che le due sanzioni si applichino al medesimo fatto. Lo stesso verbale di accertamento, contestazione e notificazione notificato nel caso di specie conferma che l'illecito derivante dal «sequestro di quarantanove testi di opere letterarie illecitamente fotocopiate e pronti alla vendita, oltre il limite del 15 per cento» costituisce insieme violazione di natura penale ed amministrativa. Lo stesso fatto storico ivi descritto e' riportato, infatti, nel capo di imputazione per cui e' pendente il presente processo. D'altra parte, su un piano generale, la giurisprudenza di legittimita' ha escluso l'operativita', in questa materia, dell'art. 241.689/81 di cui appresso meglio si dira', proprio sul presupposto - pacifico - dell'identita' del fatto a cui si applicano le due tipologie di sanzioni (cfr. Cass. Sez. 2, sentenza n. 30319/2017 (Rv. 646608 - 01). Tanto ritenuto in ordine alla natura sostanzialmente penale della sanzione amministrativa e alla medesimezza dei fatti a cui le sanzioni (penali e amministrative) si applicano, non sono previsti, all'interno della disciplina in materia di diritto d'autore, rimedi per scongiurare il rischio di duplicazione delle sanzioni al medesimo soggetto, per l'identico fatto. Invero, il tenore letterale del citato art. 174-bis che si apre con la clausola di salvaguardia «ferme le sanzioni penali applicabili» scioglie ogni dubbio in ordine alla necessaria congiunta applicazione, per la medesima violazione, delle sanzioni penali e amministrative (cfr. Cass. Civ., Sez. II, cent. n. 30319/17 che evidenzia il regime della doppia punibilita' in materia di diritto d'autore). Cio', del resto, e' perfettamente in linea con il dichiarato intento del legislatore di garantire - mediante l'introduzione delle sanzioni amministrative - semplicemente una risposta punitiva piu' celere. Ne deriva che, per il medesimo fatto, a fronte dell'applicazione - in via definitiva - di una sanzione amministrativa pecuniaria afflittiva a connotazione pubblicistica, il sistema prevede l'applicazione, inevitabilmente a distanza di tempo, attesa la diversa struttura del processo penale, di una sanzione penale che va a duplicare la sanzione pecuniaria e ad essa va ad aggiungere quella detentiva dal momento che il delitto e' punito con pena congiunta (reclusione da sei mesi a tre anni e multa da euro 2.582 ad euro 15.493). Non sono previsti meccanismi di raccordo e collegamento tra i due procedimenti ne' la risposta sanzionatoria penale e' limitata ai fatti che presentino una particolare gravita' o che superino una determinata soglia di rilevanza, come ad esempio avviene in ambito tributario. Pertanto, della gia' intervenuta applicazione di una sanzione pecuniaria il giudice penale puo' tener conto solo nell'esercizio della discrezionalita' «vincolata» di cui all'art. 133 del codice penale ma, in ogni caso, senza mai poter arrivare a determinarsi per l'esclusione. dell'applicazione della multa e senza mai poter scendere (salva la ricorrenza di eventuali circostanze attenuanti), per quanto concerne la sanzione pecuniaria, al di sotto del limite edittale fissato in euro 2582. La sanzionabilita' dell'abusiva riproduzione e della illecita duplicazione altresi' a titolo amministrativo e l'identita' della condotta materiale integrante le fattispecie amministrativa e penale escludono inoltre, come gia' anticipato, che l'esistenza del reato dipenda dall'accertamento della violazione amministrativa restando cosi' esclusa la c.d. connessione obiettiva per pregiudizialita' di cui alla legge n. 689/81, art. 24, richiesta per radicare la competenza del giudice penale nell'accertamento della responsabilita' per l'illecito amministrativo: di conseguenza, come avvenuto nel caso di specie, il soggetto destinatario della sanzione amministrativa, qualora voglia impugnare la medesima, deve fare riferimento alle norme ex articoli 22 e 22-bis della legge 24 novembre 1981, n. 689 cit. Sicche', anche sotto questo profilo, l'interessato e' obbligato a sopportare eccessivi oneri rispetto alle finalita' - lecite - perseguite dal legislatore. Il sistema di tutele predisposte dal legislatore non appare dunque in linea, a parere di questo rimettente, con i presupposti in presenza dei quali il sistema del c.d. doppio binario si giustifica: le due tipologie di sanzioni, infatti, per tutto quanto detto, si applicano al medesimo fatto - senza coinvolgere diversi aspetti della condotta - e si ripropongono il medesimo scopo. Il procedimento penale, inoltre, si svolge con modalita' del tutto indipendenti, sia a livello temporale che probatorio, rispetto a quelle del procedimento amministrativo in assenza di meccanismi di coordinamento che consentano di tener conto della sanzione gia' inflitta. L'apparato sanzionatorio previsto dalla normativa nazionale appare infine del tutto sproporzionato e ingiustificato. Peraltro, la possibilita' di irrogare una sanzione proporzionata costituisce, invero, un posterius rispetto alla valutazione in ordine alla connessione stretta tra diverse sanzioni per lo stesso fatto (in questi termini Corte costituzionale, sentenza n. 145/2020) che, come visto, non sussiste nella materia in esame e, nemmeno, a maggior ragione, nel caso di specie. Invero, anche aderendo all'approccio restrittivo fatto proprio dalla Corte Costituzionale con la citata sentenza n. 43/2018 secondo cui «la nuova regola della sentenza A e B contro Norvegia rende meno probabile l'applicazione del divieto convenzionale di bis in idem alle ipotesi di duplicazione dei procedimenti sanzionatori per il medesimo fatto, ma non e' affatto da escludere che tale applicazione si imponga di nuovo, sia nell'ambito degli illeciti tributari, sia in altri settori dell'ordinamento, ogni qual volta sia venuto a mancare l'adeguato legame temporale e materiale, a causa di un ostacolo normativa o del modo in cui si sono svolte le vicende procedimentali» deve evidenziarsi come nel caso di specie il procedimento amministrativo e' stato attivato nel 2014 e si e' concluso definitivamente con la sentenza emessa il 7 gennaio 2016 dal giudice di pace e non impugnata; l'azione penale, invece, e' stata esercitata con la richiesta di emissione di decreto penale di condanna del 12 dicembre 2014 che, a seguito di opposizione, ha portato all'emanazione del decreto che dispone il giudizio del 3 maggio 2019 e alla celebrazione della prima udienza (diversa da quelle di mero rinvio) il 10 febbraio 2021, a distanza, quindi, di oltre cinque anni dalla sopravvenuta irrevocabilita' della sanzione (formalmente) amministrativa. A fronte di tale situazione, l'unica norma astrattamente applicabile per neutralizzare la duplicazione dei giudizi e' costituita dall'art. 649 del codice di procedura penale, che preclude la possibilita' di un secondo procedimento penale nei confronti dell'imputato prosciolto o condannato con sentenza o decreto penale divenuti irrevocabili in relazione al medesimo fatto. Il tenore letterale della disposizione, tuttavia, non ne consente un'interpretazione convenzionalmente orientata, in virtu' dell'inequivoco riferimento all'autorita' giudiziaria penale, che non permette di allargarne lo spettro applicativo agli accertamenti di natura amministrativa. Come efficacemente rilevato dalla giurisprudenza di legittimita', infatti, «gli strumenti preventivi e riparatori che compongono il quadro sistematico all'interno del quale si colloca la disciplina di cui all'art. 649 del codice procedura penale presuppongono tutti la comune riferibilita' dei piu' procedimenti per il medesimo fatto all'autorita' giudiziaria penale: e' dunque tale quadro sistematico, in uno con la considerazione del tenore letterale della disposizione codicistica, che preclude un'interpretazione di quest'ultima che ne estenda l'ambito applicativo a sanzioni irrogate l'una dal giudice penale, l'altra da un'autorita' amministrativa» (cfr. Cass. pen. sez. V, ordinanza n. 1782/2015). In effetti, in alcuni isolati arresti della giurisprudenza di merito (cfr. Tribunale di Brindisi sentenza n. 2881/14 reg. sent.) si e' ritenuta praticabile la via della estensione analogica dell'art. 649 del codice di procedura penale a casi in cui, secondo una interpretazione conforme ai principi convenzionali, il procedimento precedentemente concluso per gli stessi fatti abbia natura (solo formalmente) amministrativa: cio' sulla scorta del carattere generale del principio sancito dall'art. 649 del codice di procedura penale, in quanto tale suscettibile di applicazione per analogia a situazioni ivi non direttamente contemplate, ma ad esso accomunate per identita' di ratio. Trattasi, tuttavia, di soluzione da cui questo rimettente ritiene di doversi motivatamente discostare. Ad ostare al ricorso all'analogia, nella specie, contribuisce non solo la cristallinita' del dato letterale e quindi il rispetto del principio di legalita' in materia penale ma anche il difetto dell'ulteriore presupposto che fonda la legittimita' di siffatto strumento esegetico, vale a dire la sussistenza di una lacuna non intenzionale nel tessuto normativo laddove, al contrario, l'autonomia e l'indipendenza tra il procedimento amministrativo ed il procedimento penale nonche' il loro cumulo e' frutto di una precisa scelta del legislatore evincibile dalla relazione del disegno di legge n. 1496 sfociato nella legge n. 248/2000 citata e dalla clausola di salvaguardia con cui si apre l'art. 174-bis, legge n. 633/41. Peraltro, la stessa Corte Costituzionale ha affermato che lettera e la ratio dell'art. 649 del codice di procedura penale escludono che, in difetto di una pronuncia di illegittimita' costituzionale, tale disposizione sia idonea a regolare casi analoghi (cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 43/2018). L'impossibilita' di una lettura convenzionalmente orientata non puo' pero' tradursi nella violazione di un diritto fondamentale dell'imputato, quale quello di non essere giudicato due volte per lo stesso fatto: una evenienza quanto mai concreta, come testimonia la vicenda sottoposta a questo giudice, cui non resta che rimettere la questione alla Corte costituzionale. La devoluzione della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 649 del codice di procedura penale, nei termini qui esposti, appare l'unica via percorribile per scongiurare la lesione del diritto fondamentale dell'imputato a non essere giudicato due volte per un identico fatto, secondo il principio veicolato dalla norma convenzionale. Rilevanza della questione nel giudizio di merito Oltre a non apparire manifestamente infondata, la questione di legittimita' costituzionale cosi prospettata appare anche rilevante nella decisione del giudizio di merito, demandato alla cognizione di questo Tribunale. Il procedimento incardinato innanzi al rimettente (decreto di citazione a giudizio conseguente all'opposizione a decreto penale emesso in data 3 maggio 2019) vede infatti imputato del delitto ex art. 171-ter, comma 1, lett. b), legge n. 633/81 un soggetto nei cui confronti - con sentenza non impugnata del giudice di pace n. 2617/15 e, dunque, definitiva - e' stata gia' inflitta, in relazione al medesimo fatto, una sanzione pecuniaria quantificata in euro 5974. Sussistente si mostra dunque la totalita' dei presupposti, in precedenza richiamati, sui quali la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo edifica il divieto di doppio giudizio: a) medesimo risulta il fatto alla base del procedimento amministrativo e dell'odierno procedimento penale; b) identico e' il destinatario delle rispettive sanzioni, trattandosi della stessa persona fisica; c) carattere «penale» assumono le sanzioni gia' irrogate in via amministrativa, in ragione della severita' delle stesse (in virtu' del criterio moltiplicatore previsto per la determinazione dell'ammontare delle stesse), della significativa incidenza sul patrimonio del «prevenuto», e del connotato deterrente e repressivo che esse riflettono; d) definitiva e' l'applicazione della sanzione amministrativa, caratterizzata da irrevocabilita'; e) assente e' quello stretto legame temporale e materiale che dovrebbe legare le due vicende procedimentali nonche' la complessiva adeguatezza e proporzionalita' della risposta punitiva alla fattispecie che viene in rilievo, anche in ragione della circostanza che identica e' la finalita' sottesa alle due tipologie di sanzioni. L'esercizio dell'azione penale impone in definitiva a questo giudice di procedere all'accertamento della tipicita' e della correlativa responsabilita' dell'imputato, non potendo evitare - per le ragioni anzidette - la celebrazione di un secondo giudizio in base al tenore dell'art. 649 del codice di procedura penale e delineandosi, dunque, i profili di incostituzionalita' sopra esposti. Le considerazioni sin qui svolte consentono infatti di concludere nel senso che la norma di cui all'art. 649 del codice di procedura penale - nella parte in cui non permette l'applicazione del divieto di secondo giudizio al caso in cui l'imputato sia stato giudicato con provvedimento irrevocabile per il medesimo fatto, nell'ambito di un procedimento formalmente amministrativo, per l'irrogazione di una sanzione di natura «penale» alla luce della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali e dei relativi protocolli - si pone irrimediabilmente in contrasto con l'art. 117, comma I Cost., come risultante dall'integrazione con la fonte convenzionale, di rango sub-costituzionale, di cui all'art. 4 prot. 7 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e della liberta' fondamentali. L'invocata pronuncia, da parte del Giudice delle leggi, si declina quale unico rimedio per evitare che il sistema del «doppio binario» in materia di diritto d'autore, in assenza di meccanismi correttivi e di un coordinamento tra i due procedimenti determini una incompatibilita' con il divieto di bis in idem di matrice convenzionale, nella misura in cui non scongiura che un soggetto - come nel caso che questo rimettente si trova a giudicare - sia sottoposto ad un procedimento penale pur avendo gia' riportato in via definitiva, per il medesimo fatto, una sanzione solo formalmente amministrativa di cui il giudice penale non puo', nelle proprie determinazioni, tener adeguatamente conto. In tal senso, un intervento additivo sul disposto dell'art. 649 del codice di procedura penale da parte della Corte costituzionale rimuoverebbe gli effetti pregiudizievoli conseguenti alla violazione del bis in idem, precludendo la celebrazione di un processo penale in presenza di una «condanna» in via «amministrativa» per quegli stessi fatti. (1) pari al doppio della sanzione minima prevista per i venticinque libri di testo il cui prezzo di vendita non e' stato possibile determinare (25 x 103 euro x 2) e ad un terzo dell'importo massimo previsto per le opere il cui prezzo di vendita era conosciuto (15 x 103 =1545,00/3). (2) In particolare, in base a detti criteri, nella sentenza Menci la Corte di giustizia ha ritenuto compatibile con il divieto di bis in idem di cui all'art. 50 CDFUE il complessivo regime sanzionatorio e procedimentale previsto dal legislatore italiano in materia di omesso versamento dell'IVA, salva la verifica, da parte del giudice di merito, della non eccessiva onerosita', nel caso concreto, dell'applicazione del «doppio binario».
P. Q. M. Il Tribunale di Verona, in composizione monocratica, visti gli articoli 134 Cost. e 23 legge n. 87/1953, ritenutane la rilevanza e la non manifesta infondatezza; sottopone all'Eccma Corte costituzionale questione di legittimita' costituzionale dell'art. 649 del codice di procedura penale, per contrasto con l'art. 117, comma I Cost., in relazione all'art. 4 protocollo 7 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, nella parte in cui non prevede l'applicabilita' della disciplina del divieto di un secondo giudizio nei confronti dell'imputato, al quale; con riguardo agli stessi fatti, sia gia' stata irrogata in via definitiva, nell'ambito di un procedimento amministrativo non legato a quello penale da un legame materiale e temporale sufficientemente stretto, una sanzione avente carattere sostanzialmente penale ai sensi della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e dei relativi protocolli; sospende il giudizio in corso e dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Visto l'art. 159, comma I, n. 2) del codice penale, sospende il corso della prescrizione; manda alla cancelleria perche' la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e sia comunicata ai Presidenti delle camere del Parlamento. Dell'ordinanza e' data lettura alle parti in udienza. Verona, 17 giugno 2022 Il Giudice: Miceli