N. 152 ORDINANZA (Atto di promovimento) 17 giugno 2021

Ordinanza del 17 giugno 2021 del Tribunale di Verona nel procedimento
penale a carico di O. P.. 
 
Processo penale - Divieto di un secondo giudizio - Mancata previsione
  dell'applicabilita' della disciplina  del  divieto  di  un  secondo
  giudizio nei confronti dell'imputato al quale,  con  riguardo  agli
  stessi  fatti,  sia  stata  gia'  irrogata   in   via   definitiva,
  nell'ambito di un procedimento amministrativo non legato  a  quello
  penale da un legame materiale e temporale sufficientemente stretto,
  una sanzione di carattere sostanzialmente  penale  ai  sensi  della
  CEDU e dei relativi protocolli. 
- Codice di procedura penale, art. 649. 
(GU n.41 del 13-10-2021 )
 
                    TRIBUNALE ORDINARIO DI VERONA 
                           Sezione penale 
 
    Il Tribunale di Verona, in composizione monocratica,  in  persona
del giudice dott.ssa Sabrina Miceli, all'udienza del 17 giugno  2021,
nel procedimento a carico di P. O., imputato in ordine al «reato p. e
p. dall'art. 171-ter, comma 1, lett. b),  legge  n.  633/41  perche',
fuori dal caso di uso personale, a fini  di  lucro  deteneva  per  la
vendita e abusivamente riproduceva opere letterarie fotocopiate oltre
il limite consentito pari al 15% in numero pari a quarantanove  testi
(dettagliatamente  elencati),  presso  la  copisteria...  di  cui  e'
titolare», fatto contestato come commesso a... (decreto di  citazione
a giudizio a seguito di opposizione a decreto penale del... (1) ); 
    Considerato che nei confronti dell'imputato e, quale obbligato in
solido, nei confronti della societa'..., come risulta dal verbale  di
accertamento  del...  dall'ordinanza  del  Prefetto  di...  e   dalla
sentenza del Giudice di Pace del... (passata in giudicato)  in  atti,
risulta irrogata in via  definitiva  -  in  relazione  alla  medesima
condotta contestata in questa  sede  -  una  sanzione  amministrativa
pecuniaria pari ad euro 5974; 
    Osservato  che  l'applicazione  di   tale   sanzioni   da   parte
dell'amministrazione finanziaria, e' avvenuta in forza  dell'illecito
amministrativo tratteggiato dall'art. 174-bis, legge n. 633/41; 
    Evidenziato che tale norma prevede, che «ferme le sanzioni penali
applicabili, la violazione delle disposizioni previste nella presente
sezione e' punita con la sanzione amministrativa pecuniaria  pari  al
doppio del prezzo di mercato dell'opera o del supporto oggetto  della
violazione, in misura comunque non inferiore a  euro  103,00.  Se  il
prezzo non e' facilmente determinabile, la violazione e'  punita  con
la sanzione amministrativa da euro 103,00 a euro 1032,00. La sanzione
amministrativa si applica nella misura stabilita per ogni  violazione
e per ogni esemplare abusivamente duplicato o riprodotto»; 
    Rilevato che il Pubblico Ministero ha esercitato l'azione  penale
contestando all'imputato la  fattispecie  di  cui  all'art.  171-ter,
comma 1, lett. b) I. cit., nei termini anzidetti  (facendo  richiesta
di emissione di decreto penale di condanna, in data 12 dicembre 2014,
per euro 8.100); 
    Ritenuti l'identita' del destinatario del precetto penale e delle
sanzioni amministrative applicate in  via  definitiva,  il  carattere
afflittivo e, pertanto, sostanzialmente «penale» di queste ultime, in
ragione del consolidato indirizzo della  giurisprudenza  della  Corte
europea dei diritti dell'uomo; 
    Ritenuta  altresi'  l'assenza  di  quel  legame  sufficientemente
stretto a livello materiale e  cronologico  tra  i  due  procedimenti
(penale ed amministrativo) che solo puo' giustificare il c.d.  doppio
binario sanzionatorio e la sproporzione della  risposta  sanzionatori
complessivamente approntata dal sistema; 
    Sottopone,  su  sollecitazione  della  difesa  dell'imputato,  al
giudizio  di  questa  Ecc.ma.  Corte  costituzionale   questione   di
legittimita' costituzionale dell'art. 649  del  codice  di  procedura
penale, per contrasto con l'art. 117  comma  I  Cost.,  in  relazione
all'art.  4  protocollo  7  della  Convenzione  europea  dei  diritti
dell'uomo, nella parte in  cui  non  prevede  l'applicabilita'  della
disciplina  del  divieto  di  un  secondo  giudizio   nei   confronti
dell'imputato, al quale, con riguardo agli  stessi  fatti,  sia  gia'
stata irrogata in via  definitiva,  nell'ambito  di  un  procedimento
amministrativo non legato a quello penale da un  legame  materiale  e
temporale sufficientemente stretto,  una  sanzione  avente  carattere
sostanzialmente penale ai sensi della Convenzione europea dei diritti
dell'uomo e dei relativi protocolli. 
1. Non manifesta infondatezza della questione 
    1.1. La questione di legittimita' costituzionale sopra  delineata
si presenta non manifestamente infondata  per  i  motivi  di  seguito
esplicitati. 
    Com'e' noto, con la decisione della  Corte  europea  dei  diritti
dell'uomo «Engel e altri c. Paesi Bassi» (Corte europea  dei  diritti
dell'uomo, Grande Camera, 8 giugno 1976), il  Giudice  sovranazionale
ha  enucleato  tre  criteri  per  verificare  se   una   sanzione   -
indipendentemente dalla qualificazione formale ad essa attribuita dal
legislatore nazionale - possa definirsi sostanzialmente penale: 1) la
qualificazione   giuridica   data   dall'ordinamento   interno;    2)
l'effettiva natura della  sanzione;  3)  il  grado  di  severita'  ed
afflittivita' dalla stessa espresso. Si tratta di  criteri  tra  loro
alternativi, sicche' e' sufficiente che la sanzione  abbia  finalita'
preventiva o retributiva,  ovvero  sia  particolarmente  severa,  per
sancirne la natura sostanzialmente penale. 
    Tanto  premesso,  la  natura  sostanzialmente   criminale   della
sanzione determina l'obbligo per lo Stato di  applicare  lo  statuto,
sostanziale e processuale, proprio del  diritto  penale  e  garantito
dalla   Convenzione,   quanto   alla   struttura,   all'oggetto    ed
all'accertamento della responsabilita' del soggetto perseguito. 
    Nell'accezione    sostanzialistica    che     contrassegna     la
giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo in  tema  di
qualificazione  delle  sanzioni,  assume  rilievo   fondamentale   la
finalita' repressiva e preventiva della sanzione; in  altri  termini,
laddove la  stessa  non  abbia  solo  una  finalita'  restitutoria  e
compensativa ma si connoti per un  quid  pluris  che  le  attribuisca
anche, se non solo,  una  funzione  deterrente  e  retributiva,  essa
dovra' essere considerata sostanzialmente penale. 
    Si tratta di principi ribaditi a piu' riprese dalla Corte europea
dei diritti dell'uomo, ad esempio in materia tributaria o  -  proprio
con particolare riferimento all'ordinamento italiano -  in  relazione
al settore degli abusi di mercato, nella nota sentenza Grande Stevens
c. Italia. 
    Cio' posto, una volta riqualificata  come  «penale»  la  sanzione
amministrativa, perche' la sottoposizione dello stesso soggetto ad un
ulteriore processo penale e, a fortiori, l'applicazione di  una  pena
aggiuntiva, per i medesimi fatti, dopo  che  la  prima  sanzione  sia
divenuta definitiva non costituisca violazione dell'art. 4,  prot.  7
della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e
delle liberta' fondamentali e' necessario che siano  integrati  tutta
una serie di presupposti delineati, da ultimo, con la  nota  sentenza
15 novembre 2016, A e B contro Norvegia e  poi  ribaditi,  a  livello
interno, da numerose  pronunce  della  giurisprudenza  costituzionale
(cfr., tra le altre, Corte costituzionale, sentenza n. 114/2020) e di
legittimita' (cfr., da ultimo, Cass. Sez. 2,  sentenza  n.  5048/2020
Ud. (dep. 9 febbraio 2021) Rv. 280570 - 01). 
    Invero, la  grande  camera  della  Corte  di  Strasburgo  con  la
decisione predetta ha impresso un nuovo sviluppo alla materia di  cui
si discute. La rigidita' del divieto convenzionale di  bis  in  idem,
nella  parte  in   cui   -   alla   luce   dei   precedenti   arresti
giurisprudenziali   sovranazionali   -   avrebbe    dovuto    trovare
applicazione  anche  per  sanzioni  che  gli  ordinamenti   nazionali
qualificano come amministrative, aveva ingenerato  gravi  difficolta'
presso gli Stati che hanno ratificato il Protocollo n. 7  alla  CEDU,
perche' la discrezionalita' del legislatore nazionale  di  punire  lo
stesso fatto  a  duplice  titolo,  pur  non  negata  dalla  Corte  di
Strasburgo, finiva per essere frustrata, di fatto, dal divieto di bis
in idem. 
    Per alleviare tale inconveniente, la Corte EDU  ha  enunciato  il
principio di diritto secondo cui il ne bis in idem non opera quando i
procedimenti  sono  avvinti  da  un  legame  materiale  e   temporale
sufficientemente  stretto   («sufficiently   closely   connected   in
substance and in time). 
    In particolare, la Corte di Strasburgo ha  precisato  che  legame
temporale  e  materiale  sono  requisiti  congiunti;  che  il  legame
temporale non esige la pendenza contemporanea dei procedimenti, ma ne
consente la consecutivita', a condizione  che  essa  sia  tanto  piu'
stringente, quanto piu' si protrae la durata  dell'accertamento;  che
il  legame  materiale  dipende   dal   perseguimento   di   finalita'
complementari connesse ad aspetti differenti  della  condotta,  dalla
prevedibilita' della duplicazione  dei  procedimenti,  dal  grado  di
coordinamento probatorio tra di essi, e soprattutto dalla circostanza
che nel commisurare la seconda sanzione si possa tenere  conto  della
prima, al fine di evitare l'imposizione di un eccessivo onere per  lo
stesso fatto illecito. Al contempo, si  deve  valutare  anche  se  le
sanzioni, pur convenzionalmente penali, appartengano o no al nocciolo
duro del diritto penale, perche' in caso affermativo si dovra' essere
piu' severi  nello  scrutinare  la  sussistenza  del  legame  e  piu'
riluttanti a riconoscerlo in concreto. 
    In buona sostanza, con la sentenza A e B contro Norvegia,  il  ne
bis  in  idem  convenzionale  ha  cessato  di  agire   quale   regola
inderogabile  conseguente   alla   sola   presa   d'atto   circa   la
definitivita' del primo procedimento, ma e' stato subordinato  ad  un
apprezzamento proprio della discrezionalita' giudiziaria in ordine al
nesso che lega i procedimenti, perche'  in  presenza  di  una  «close
connection» e' permesso proseguire nel nuovo giudizio  nonostante  la
definizione dell'altro. 
    Il divieto di bis in idem convenzionale ha quindi  perso  il  suo
carattere esclusivamente processuale, atteso  che  criterio  eminente
per affermare o negare il legame materiale e' proprio quello relativo
all'entita' della sanzione complessivamente irrogata. Se pertanto  la
prima sanzione fosse modesta, sarebbe in linea di massima consentito,
in presenza del legame temporale, procedere  nuovamente  al  fine  di
giungere all'applicazione di una sanzione che nella sua totalita' non
risultasse  sproporzionata,  mentre  nel  caso  opposto   il   legame
materiale dovrebbe ritenersi spezzato e il divieto  di  bis  in  idem
pienamente operante (cfr. sent. Cost. n. 43/2018). 
    Tanto la Corte europea dei diritti dell'uomo con la sentenza gia'
citata, quanto la Corte di giustizia dell'Unione europea (sentenza 20
marzo 2018, in causa C-524/15, Menci) non ritengono  quindi,  ex  se,
contraria al divieto di bis in idem la sottoposizione di un  imputato
a processo penale per il medesimo fatto per il quale  egli  sia  gia'
stato definitivamente  sanzionato  in  via  amministrativa,  esigendo
unicamente  la  sussistenza  di  un  legame  materiale  e   temporale
sufficientemente stretto tra i due  procedimenti,  da  ravvisarsi  in
presenza  di  sanzioni  che  perseguano  scopi  complementari,  della
prevedibilita'  del  «doppio  binario»  sanzionatorio,  di  forme  di
coordinamento  tra  i  procedimenti  e  della  proporzionalita'   del
complessivo risultato sanzionatorio. (2) 
    Cosi   brevemente   compendiato   il   quadro   di    riferimento
sovranazionale, occorre ora soffermarsi sull'ordinamento  interno,  e
segnatamente sulle norme rilevanti ai fini  del  giudizio  di  merito
demandato a questo  giudice,  per  valutarne  la  compatibilita'  con
l'art. 4 prot. 7 Convenzione europea per la salvaguardia dei  diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali, norma  interposta  dell'art.
117, comma I Cost. 
    In primo luogo, a parere  di  questo  rimettente,  nessun  dubbio
sussiste in ordine al carattere essenzialmente «penale» -  alla  luce
delle coordinate teoriche  piu'  sopra  tracciate  -  delle  sanzioni
amministrative  contemplate  dall'art.  174-bis,  legge  n.  633/1941
(introdotto dall'art. 8, legge n. 248/2000), risolvendosi esse  nella
applicazione al trasgressore di una somma di denaro individuata quale
multiplo del prezzo di mercato dell'opera indebitamente riprodotta (e
comunque con un minimo di euro 103) o - quando il  prezzo  dell'opera
non e' determinabile - con una somma compresa tra  un  minimo  ed  un
massimo per ciascuna violazione riscontrata. 
    Rilette nella prospettiva degli Engel criteria, tali sanzioni  si
distinguono, innanzitutto, per la evidente gravita' resa palese dalle
significative ricadute sulla  sfera  patrimoniale  del  destinatario;
basti pensare che, nel caso di specie, - relativo  alla  riproduzione
di quarantanove opere letterarie (quindi ad un fatto  di  medio-bassa
gravita') - la sanzione pecuniaria concretamente applicata ammonta ad
oltre il doppio della multa prevista per l'illecito penale,  nel  suo
minimo edittale. Le modalita' di determinazione dell'ammontare  della
sanzione  (attraverso  il  citato   meccanismo   moltiplicatore)   ne
disvelano quindi il carattere afflittivo e non meramente restitutorio
nonche' la finalita' repressiva e deterrente che, d'altra  parte,  si
evince plasticamente dalla lettura della  relazione  del  disegno  di
legge n. 1495 poi sfociato nella legge n. 248/2000 che ha  modificato
la legge sul diritto d'autore inserendovi, tra le altre  cose  e  per
quanto qui interessa, l'art. 174-bis. 
    Invero, nella suddetta relazione il  legislatore,  pur  dicendosi
consapevole della gravita' delle sanzioni penali gia' vigenti e della
necessita' di limitare in termini di extrema ratio  il  ricorso  alla
sanzione criminale «anche  per  mantenere  una  proporzione  con  gli
standards europei», a fronte della ritenuta entita' e qualita'  delle
violazioni,  ha  espressamente  inteso  incrementare  il   grado   di
dissuasivita' delle misure di contrasto,  introducendo,  in  aggiunta
alle sanzioni penali  gia'  previste  dalla  legislazione  esistente,
alcune sanzioni e misure amministrative che appaiono, riprendendo  la
terminologia usata dal legislatore «dotate di autonoma deterrenza  in
quanto rapidamente applicabili». 
    P  dunque  cristallina  la  funzione  prevalentemente   (se   non
esclusivamente) deterrente delle sanzioni amministrative che,  a  ben
vedere, sotto questo profilo, si differenziano da quelle penali  solo
per   la   rapidita'   del   procedimento   applicativo.   2   quindi
manifestamente carente quella complementarita' di funzioni  che  sola
giustifica il c.d. doppio binario sanzionatorio. 
    Peraltro, la finalita' esclusivamente  pubblicistica  e,  quindi,
l'identita' di  funzione  con  la  sanzione  penale,  e'  confermata,
altresi',   dalla    destinazione    degli    introiti    provenienti
dall'applicazione delle suddette misure. 
    I proventi delle sanzioni pecuniarie sono infatti  devoluti,  per
il  50  per  cento,  alla  costituzione  di  un  fondo  destinato  al
potenziamento   delle   strutture   e   degli   strumenti   impiegati
nell'accertamento dei  reati  contro  il  diritto  d'autore  e  nella
restante  misura  come  contributo  per  le  campagne   di   pubblica
informazione di cui al successivo articolo 10. 
    Le sanzioni amministrative  applicate  appaiono  quindi  sanzioni
sostanzialmente penali alla luce  degli  Engel  criteria  piu'  volte
citati. 
    Ne', in senso contrario;  rileva  la  circostanza  per  cui  tali
sanzioni vengono disposte all'esito di  un  procedimento  formalmente
amministrativo, atteso che - come gia' rimarcato in  precedenza  -  a
venire in rilievo, nell'interpretazione del principio del ne bis idem
delineata  dalla  giurisprudenza  di  Strasburgo,   e',   in   chiave
sostanziale, la reale natura della sanzione. 
    Identico e' poi certamente il fatto storico alla base di  ambedue
i  procedimenti  (amministrativo  e  penale),  nella   sua   concreta
materialita' atteso che l'art. 174-bis si limita a fare  rinvio  alla
«violazione delle disposizioni previste nella presente sezione»  (  e
quindi all'intera sezione rubricata «difese e sanzioni penali» in cui
e' descritta la condotta prevista e punita dall'art.  171-ter,  comma
1, lett. b) per individuare il proprio ambito  applicativo  cosicche'
e' indubitabile che le due sanzioni si applichino al medesimo  fatto.
Lo stesso verbale  di  accertamento,  contestazione  e  notificazione
notificato nel caso di specie conferma che l'illecito  derivante  dal
«sequestro di quarantanove testi di  opere  letterarie  illecitamente
fotocopiate e pronti alla vendita, oltre il limite del 15 per  cento»
costituisce insieme violazione di natura penale ed amministrativa. Lo
stesso fatto storico ivi descritto e' riportato, infatti, nel capo di
imputazione per cui e' pendente il presente processo. D'altra  parte,
su un piano generale, la giurisprudenza di  legittimita'  ha  escluso
l'operativita',  in  questa  materia,  dell'art.  241.689/81  di  cui
appresso meglio si  dira',  proprio  sul  presupposto  -  pacifico  -
dell'identita' del fatto a cui  si  applicano  le  due  tipologie  di
sanzioni (cfr. Cass. Sez. 2, sentenza n.  30319/2017  (Rv.  646608  -
01). 
    Tanto ritenuto in ordine alla natura sostanzialmente penale della
sanzione amministrativa  e  alla  medesimezza  dei  fatti  a  cui  le
sanzioni (penali e amministrative) si applicano, non  sono  previsti,
all'interno della disciplina in materia di diritto  d'autore,  rimedi
per scongiurare il rischio di duplicazione delle sanzioni al medesimo
soggetto, per l'identico  fatto.  Invero,  il  tenore  letterale  del
citato art. 174-bis che si  apre  con  la  clausola  di  salvaguardia
«ferme le sanzioni penali applicabili» scioglie ogni dubbio in ordine
alla necessaria congiunta applicazione, per la  medesima  violazione,
delle sanzioni penali e amministrative (cfr.  Cass.  Civ.,  Sez.  II,
cent. n. 30319/17 che evidenzia il regime della doppia punibilita' in
materia di diritto d'autore). Cio', del resto,  e'  perfettamente  in
linea con il  dichiarato  intento  del  legislatore  di  garantire  -
mediante l'introduzione delle sanzioni amministrative - semplicemente
una risposta punitiva piu' celere. 
    Ne deriva che, per il medesimo fatto, a fronte  dell'applicazione
- in via definitiva  -  di  una  sanzione  amministrativa  pecuniaria
afflittiva  a  connotazione   pubblicistica,   il   sistema   prevede
l'applicazione,  inevitabilmente  a  distanza  di  tempo,  attesa  la
diversa struttura del processo penale, di una sanzione penale che  va
a duplicare la sanzione pecuniaria e ad essa va ad aggiungere  quella
detentiva dal momento che il delitto e'  punito  con  pena  congiunta
(reclusione da sei mesi a tre anni e multa  da  euro  2.582  ad  euro
15.493). 
    Non sono previsti meccanismi di raccordo e collegamento tra i due
procedimenti ne' la risposta  sanzionatoria  penale  e'  limitata  ai
fatti che presentino una particolare  gravita'  o  che  superino  una
determinata soglia di rilevanza, come ad esempio  avviene  in  ambito
tributario. 
    Pertanto, della gia' intervenuta  applicazione  di  una  sanzione
pecuniaria il giudice penale puo'  tener  conto  solo  nell'esercizio
della discrezionalita' «vincolata» di cui  all'art.  133  del  codice
penale ma, in ogni caso, senza mai poter arrivare a determinarsi  per
l'esclusione.  dell'applicazione  della  multa  e  senza  mai   poter
scendere (salva la ricorrenza di eventuali  circostanze  attenuanti),
per quanto concerne la sanzione pecuniaria, al di  sotto  del  limite
edittale fissato in euro 2582. 
    La sanzionabilita' dell'abusiva  riproduzione  e  della  illecita
duplicazione altresi' a titolo  amministrativo  e  l'identita'  della
condotta materiale integrante le fattispecie amministrativa e  penale
escludono inoltre, come gia' anticipato, che  l'esistenza  del  reato
dipenda dall'accertamento della  violazione  amministrativa  restando
cosi' esclusa la c.d. connessione obiettiva per  pregiudizialita'  di
cui alla  legge  n.  689/81,  art.  24,  richiesta  per  radicare  la
competenza del giudice penale nell'accertamento della responsabilita'
per l'illecito amministrativo: di conseguenza, come avvenuto nel caso
di specie, il soggetto destinatario  della  sanzione  amministrativa,
qualora voglia impugnare la  medesima,  deve  fare  riferimento  alle
norme ex articoli 22 e 22-bis della legge 24 novembre  1981,  n.  689
cit. 
    Sicche', anche sotto questo profilo, l'interessato e' obbligato a
sopportare  eccessivi  oneri  rispetto  alle  finalita'  -  lecite  -
perseguite dal legislatore. 
    Il sistema di  tutele  predisposte  dal  legislatore  non  appare
dunque in linea, a parere di questo rimettente, con i presupposti  in
presenza dei quali il sistema del c.d. doppio binario si  giustifica:
le due tipologie di sanzioni, infatti, per  tutto  quanto  detto,  si
applicano al medesimo fatto - senza coinvolgere diversi aspetti della
condotta - e si  ripropongono  il  medesimo  scopo.  Il  procedimento
penale, inoltre, si svolge con modalita' del tutto indipendenti,  sia
a  livello  temporale  che  probatorio,   rispetto   a   quelle   del
procedimento amministrativo in assenza di meccanismi di coordinamento
che  consentano  di  tener  conto  della  sanzione   gia'   inflitta.
L'apparato sanzionatorio previsto dalla  normativa  nazionale  appare
infine del tutto sproporzionato e ingiustificato. 
    Peraltro, la possibilita' di irrogare una sanzione  proporzionata
costituisce, invero, un posterius rispetto alla valutazione in ordine
alla connessione stretta tra diverse sanzioni per lo stesso fatto (in
questi termini Corte costituzionale, sentenza n. 145/2020) che,  come
visto, non sussiste nella materia in  esame  e,  nemmeno,  a  maggior
ragione, nel caso di specie. 
    Invero, anche aderendo all'approccio  restrittivo  fatto  proprio
dalla Corte Costituzionale con la citata sentenza n. 43/2018  secondo
cui «la nuova regola della sentenza A e B contro Norvegia rende  meno
probabile l'applicazione del divieto convenzionale  di  bis  in  idem
alle ipotesi di duplicazione dei  procedimenti  sanzionatori  per  il
medesimo fatto, ma non e' affatto da escludere che tale  applicazione
si imponga di nuovo, sia nell'ambito degli illeciti tributari, sia in
altri settori dell'ordinamento, ogni qual volta sia venuto a  mancare
l'adeguato legame temporale e  materiale,  a  causa  di  un  ostacolo
normativa o del modo in cui si sono svolte le vicende procedimentali»
deve  evidenziarsi  come  nel  caso   di   specie   il   procedimento
amministrativo  e'  stato  attivato  nel  2014  e  si   e'   concluso
definitivamente con la sentenza emessa il 7 gennaio 2016 dal  giudice
di pace e non impugnata; l'azione penale, invece, e' stata esercitata
con la richiesta di emissione di decreto penale di  condanna  del  12
dicembre  2014  che,   a   seguito   di   opposizione,   ha   portato
all'emanazione del decreto che dispone il giudizio del 3 maggio  2019
e alla celebrazione della prima udienza (diversa da  quelle  di  mero
rinvio) il 10 febbraio 2021, a distanza, quindi, di oltre cinque anni
dalla  sopravvenuta  irrevocabilita'  della  sanzione   (formalmente)
amministrativa. 
    A  fronte  di  tale  situazione,  l'unica   norma   astrattamente
applicabile  per  neutralizzare  la  duplicazione  dei   giudizi   e'
costituita dall'art. 649 del codice di procedura penale, che preclude
la possibilita' di  un  secondo  procedimento  penale  nei  confronti
dell'imputato prosciolto o condannato con sentenza o  decreto  penale
divenuti irrevocabili in  relazione  al  medesimo  fatto.  Il  tenore
letterale   della   disposizione,   tuttavia,   non    ne    consente
un'interpretazione    convenzionalmente    orientata,    in    virtu'
dell'inequivoco riferimento all'autorita' giudiziaria penale, che non
permette di allargarne lo spettro applicativo  agli  accertamenti  di
natura   amministrativa.   Come    efficacemente    rilevato    dalla
giurisprudenza di legittimita', infatti, «gli strumenti preventivi  e
riparatori che compongono il quadro sistematico all'interno del quale
si colloca la disciplina di cui all'art.  649  del  codice  procedura
penale  presuppongono  tutti  la  comune   riferibilita'   dei   piu'
procedimenti per il medesimo fatto all'autorita' giudiziaria  penale:
e' dunque tale quadro sistematico, in uno con la  considerazione  del
tenore  letterale  della  disposizione  codicistica,   che   preclude
un'interpretazione  di   quest'ultima   che   ne   estenda   l'ambito
applicativo a sanzioni irrogate l'una dal giudice penale, l'altra  da
un'autorita' amministrativa» (cfr. Cass. pen. sez.  V,  ordinanza  n.
1782/2015). 
    In effetti, in alcuni isolati  arresti  della  giurisprudenza  di
merito (cfr. Tribunale di Brindisi sentenza n. 2881/14 reg. sent.) si
e' ritenuta praticabile la via della estensione  analogica  dell'art.
649 del codice di  procedura  penale  a  casi  in  cui,  secondo  una
interpretazione conforme ai principi convenzionali,  il  procedimento
precedentemente concluso per gli  stessi  fatti  abbia  natura  (solo
formalmente) amministrativa: cio' sulla scorta del carattere generale
del principio sancito dall'art. 649 del codice di  procedura  penale,
in quanto tale suscettibile di applicazione per analogia a situazioni
ivi non direttamente contemplate, ma ad esso accomunate per identita'
di ratio. Trattasi, tuttavia, di soluzione da cui  questo  rimettente
ritiene di doversi motivatamente discostare.  Ad  ostare  al  ricorso
all'analogia, nella specie, contribuisce non solo  la  cristallinita'
del dato letterale e quindi il rispetto del principio di legalita' in
materia penale ma anche il  difetto  dell'ulteriore  presupposto  che
fonda la legittimita' di siffatto strumento esegetico, vale a dire la
sussistenza di una lacuna  non  intenzionale  nel  tessuto  normativo
laddove,  al  contrario,  l'autonomia   e   l'indipendenza   tra   il
procedimento amministrativo ed il procedimento penale nonche' il loro
cumulo e' frutto di una precisa  scelta  del  legislatore  evincibile
dalla relazione del disegno di legge n. 1496 sfociato nella legge  n.
248/2000 citata e dalla clausola di  salvaguardia  con  cui  si  apre
l'art. 174-bis, legge n. 633/41. 
    Peraltro, la stessa Corte Costituzionale ha affermato che lettera
e la ratio dell'art. 649 del codice  di  procedura  penale  escludono
che, in difetto di una pronuncia  di  illegittimita'  costituzionale,
tale disposizione sia idonea a regolare  casi  analoghi  (cfr.  Corte
costituzionale, sentenza n. 43/2018). 
    L'impossibilita' di una lettura convenzionalmente  orientata  non
puo' pero' tradursi  nella  violazione  di  un  diritto  fondamentale
dell'imputato, quale quello di non essere giudicato due volte per  lo
stesso fatto: una evenienza quanto mai concreta, come  testimonia  la
vicenda sottoposta a questo giudice, cui non resta che  rimettere  la
questione alla Corte costituzionale. 
    La devoluzione della  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 649  del  codice  di  procedura  penale,  nei  termini  qui
esposti, appare l'unica via percorribile per scongiurare  la  lesione
del diritto fondamentale dell'imputato a  non  essere  giudicato  due
volte per un identico fatto, secondo  il  principio  veicolato  dalla
norma convenzionale. 
 
          Rilevanza della questione nel giudizio di merito 
 
    Oltre a non apparire manifestamente infondata,  la  questione  di
legittimita' costituzionale cosi prospettata appare  anche  rilevante
nella decisione del giudizio di merito, demandato alla cognizione  di
questo Tribunale. 
    Il procedimento incardinato innanzi  al  rimettente  (decreto  di
citazione a giudizio conseguente  all'opposizione  a  decreto  penale
emesso in data 3 maggio 2019) vede infatti imputato  del  delitto  ex
art. 171-ter, comma 1, lett. b), legge n. 633/81 un soggetto nei  cui
confronti - con sentenza non impugnata del giudice di pace n. 2617/15
e, dunque, definitiva - e'  stata  gia'  inflitta,  in  relazione  al
medesimo fatto, una sanzione pecuniaria quantificata in euro 5974. 
    Sussistente si mostra dunque la  totalita'  dei  presupposti,  in
precedenza  richiamati,  sui  quali  la  giurisprudenza  della  Corte
europea dei diritti dell'uomo edifica il divieto di doppio  giudizio:
a)  medesimo  risulta   il   fatto   alla   base   del   procedimento
amministrativo e dell'odierno procedimento penale; b) identico e'  il
destinatario delle  rispettive  sanzioni,  trattandosi  della  stessa
persona fisica; c)  carattere  «penale»  assumono  le  sanzioni  gia'
irrogate in via amministrativa,  in  ragione  della  severita'  delle
stesse  (in  virtu'  del  criterio  moltiplicatore  previsto  per  la
determinazione  dell'ammontare  delle  stesse),  della  significativa
incidenza sul patrimonio del «prevenuto», e del connotato  deterrente
e repressivo che esse riflettono;  d)  definitiva  e'  l'applicazione
della sanzione amministrativa, caratterizzata da irrevocabilita';  e)
assente e' quello stretto legame temporale e materiale  che  dovrebbe
legare  le  due  vicende  procedimentali   nonche'   la   complessiva
adeguatezza  e  proporzionalita'   della   risposta   punitiva   alla
fattispecie che viene in rilievo, anche in ragione della  circostanza
che identica e' la finalita' sottesa alle due tipologie di sanzioni. 
    L'esercizio dell'azione penale  impone  in  definitiva  a  questo
giudice  di  procedere  all'accertamento  della  tipicita'  e   della
correlativa responsabilita' dell'imputato, non potendo evitare -  per
le ragioni anzidette - la celebrazione di un secondo giudizio in base
al  tenore  dell'art.  649  del  codice   di   procedura   penale   e
delineandosi, dunque, i profili di incostituzionalita' sopra esposti. 
    Le considerazioni sin qui svolte consentono infatti di concludere
nel senso che la norma di cui all'art. 649 del  codice  di  procedura
penale - nella parte in cui non permette l'applicazione  del  divieto
di secondo giudizio al caso in cui l'imputato sia stato giudicato con
provvedimento irrevocabile per il medesimo fatto, nell'ambito  di  un
procedimento formalmente amministrativo,  per  l'irrogazione  di  una
sanzione di natura «penale» alla luce della Convenzione  europea  per
la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali e
dei relativi protocolli - si pone irrimediabilmente in contrasto  con
l'art. 117, comma I Cost., come risultante dall'integrazione  con  la
fonte convenzionale, di rango sub-costituzionale, di cui  all'art.  4
prot. 7 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo
e della liberta' fondamentali. L'invocata  pronuncia,  da  parte  del
Giudice delle leggi, si declina quale unico rimedio per  evitare  che
il sistema del «doppio binario» in materia di  diritto  d'autore,  in
assenza di meccanismi correttivi e di  un  coordinamento  tra  i  due
procedimenti determini una incompatibilita' con il divieto di bis  in
idem di matrice convenzionale, nella misura in cui non scongiura  che
un soggetto -  come  nel  caso  che  questo  rimettente  si  trova  a
giudicare - sia sottoposto ad un procedimento penale pur avendo  gia'
riportato in via definitiva, per il medesimo fatto, una sanzione solo
formalmente amministrativa di cui il giudice penale non  puo',  nelle
proprie determinazioni, tener adeguatamente conto. 
    In tal senso, un intervento additivo sul disposto  dell'art.  649
del codice di procedura penale da parte  della  Corte  costituzionale
rimuoverebbe gli effetti pregiudizievoli conseguenti alla  violazione
del bis in idem, precludendo la celebrazione di un processo penale in
presenza di una «condanna» in via «amministrativa» per quegli  stessi
fatti. 

(1) pari al doppio della sanzione minima prevista per  i  venticinque
    libri di testo il cui prezzo di vendita non  e'  stato  possibile
    determinare (25 x 103 euro  x  2)  e  ad  un  terzo  dell'importo
    massimo previsto per le  opere  il  cui  prezzo  di  vendita  era
    conosciuto (15 x 103 =1545,00/3). 

(2) In particolare, in base a detti criteri, nella sentenza Menci  la
    Corte di giustizia ha ritenuto compatibile con il divieto di  bis
    in  idem  di  cui  all'art.  50  CDFUE  il   complessivo   regime
    sanzionatorio e procedimentale previsto dal legislatore  italiano
    in materia di omesso versamento dell'IVA, salva la  verifica,  da
    parte del giudice di merito, della non eccessiva onerosita',  nel
    caso concreto, dell'applicazione del «doppio binario». 
 
                              P. Q. M. 
 
    Il Tribunale di Verona, in composizione  monocratica,  visti  gli
articoli 134 Cost. e 23 legge n. 87/1953, ritenutane la  rilevanza  e
la non manifesta infondatezza; 
    sottopone   all'Eccma   Corte   costituzionale    questione    di
legittimita' costituzionale dell'art. 649  del  codice  di  procedura
penale, per contrasto con l'art. 117, comma  I  Cost.,  in  relazione
all'art.  4  protocollo  7  della  Convenzione  europea  dei  diritti
dell'uomo, nella parte in  cui  non  prevede  l'applicabilita'  della
disciplina  del  divieto  di  un  secondo  giudizio   nei   confronti
dell'imputato, al quale; con riguardo agli  stessi  fatti,  sia  gia'
stata irrogata in via  definitiva,  nell'ambito  di  un  procedimento
amministrativo non legato a quello penale da un  legame  materiale  e
temporale sufficientemente stretto,  una  sanzione  avente  carattere
sostanzialmente penale ai sensi della Convenzione europea dei diritti
dell'uomo e dei relativi protocolli; 
    sospende il giudizio in corso e dispone l'immediata  trasmissione
degli atti alla Corte costituzionale; 
    Visto l'art. 159, comma I, n. 2) del codice penale,  sospende  il
corso della prescrizione; 
    manda  alla  cancelleria  perche'  la  presente   ordinanza   sia
notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e sia  comunicata
ai Presidenti delle camere del Parlamento. 
    Dell'ordinanza e' data lettura alle parti in udienza. 
      Verona, 17 giugno 2022 
 
                         Il Giudice: Miceli