N. 163 ORDINANZA (Atto di promovimento) 14 giugno 2021

Ordinanza  del  14   giugno   2021   del   Consiglio   di   giustizia
amministrativa per la  Regione  siciliana  sul  ricorso  proposto  da
Regione Siciliana - Assessorato regionale beni culturali e  identita'
siciliana e Regione Siciliana - Soprintendenza per i beni culturali e
ambientali di Agrigento c/Bardas Cornelia. 
 
Paesaggio - Norme della Regione  Siciliana  -  Vincolo  paesaggistico
  sopravvenuto rispetto alla  realizzazione  di  un'opera  abusiva  -
  Esclusione dell'irrogazione di sanzioni amministrative pecuniarie a
  carico dell'autore dell'abuso  edilizio  -  Denunciata  preclusione
  dell'irrogazione dell'indennita' paesaggistica. 
- Legge della Regione Siciliana 31 maggio 1994, n. 17  (Provvedimenti
  per la prevenzione dell'abusivismo edilizio e per  la  destinazione
  delle costruzioni edilizie abusive esistenti),  art.  5,  comma  3,
  nella formulazione precedente alla sostituzione  operata  dall'art.
  17,  comma  11,  della  legge  regionale  16  aprile  2003,  n.   4
  (Disposizioni programmatiche e finanziarie per l'anno 2003). 
(GU n.43 del 27-10-2021 )
 
               IL CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA 
                      PER LA REGIONE SICILIANA 
                       Sezione giurisdizionale 
 
    Ha pronunciato la presente sentenza non  definitiva  sul  ricorso
numero di registro generale  99  del  2020,  proposto  dalla  Regione
Siciliana  -  Dipartimento  regionale  beni  culturali  e   identita'
siciliana, Regione Siciliana - Soprintendenza per i beni culturali  e
ambientali di Agrigento, in persona  del  legale  rappresentante  pro
tempore,  rappresentati  e   difesi   dall'Avvocatura   distrettuale,
domiciliataria ex lege in Palermo, via Valerio Villareale n. 6; 
    Contro Signora Cornelia  Bardas,  rappresentata  e  difesa  dagli
avvocati Gaetano Caponnetto  e  Vincenzo  Caponnetto,  con  domicilio
digitale come da PEC da Registri di Giustizia; 
    Per  la  riforma  della  sentenza  del  Tribunale  amministrativo
regionale per la Sicilia (Sezione Prima) n. 1809/2019. 
    Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; 
    Visto l'atto di costituzione in giudizio della  signora  Cornelia
Bardas; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 maggio 2021, tenutasi
da remoto ed in modalita' telematica ex art. 4 del  decreto-legge  n.
84 del 2020 e ex art. 25 del decreto-legge n.  137  del  2020,  cosi'
come modificato dall'art. 6 del decreto-legge n.  44/2021,  il  Cons.
Sara Raffaella Molinaro; 
    Considerati  presenti,  ex  art.  4,  comma 1  penultimo  periodo
decreto-legge n. 28/2020 e art. 25  decreto-legge  n.  137/2020,  gli
avvocati Gaetano e Vincenzo Caponnetto e l'avv. dello Stato Francesco
Pignatone; 
    Visto l'art. 36, comma 2, cod. proc. amm.; 
    Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. 
 
                                Fatto 
 
    l. Con la sentenza in epigrafe appellata, n. l809  dell'8  luglio
2019, il Tribunale amministrativo regionale della Sicilia -  sede  di
Palermo ha accolto il ricorso di primo grado proposto  dalla  odierna
parte  appellata,  signora  Cornelia   Bardas,   volto   a   ottenere
l'annullamento del D.D.S. n. 395 del 31 gennaio 2018, emesso ai sensi
dell'art. 167 decreto legislativo n. 42/2004, con  cui  le  e'  stato
ingiunto il pagamento della somma di euro 9.912,16, quale  indennita'
risarcitoria per il danno causato al paesaggio con  la  realizzazione
di un fabbricato composto da piu' elevazioni fuori  terra,  sito  nel
Comune di Agrigento, via Montaperto  n.  9,  foglio  163,  particella
1097, sub. 2 e 3, senza preventivi atti di assenso. 
    2. La signora Cornelia Bardas nell'esporre di avere ereditato  un
immobile, realizzato abusivamente, ubicato ad Agrigento, distinto  in
catasto al foglio n. 163, particella sub. 1097 sub. 2 e 3, ha dedotto
le seguenti censure: 
        a) intrasmissibilita' della sanzione agli eredi e  violazione
dell'art. 7 legge n. 689/1981; 
        b) sopravvenienza del vincolo paesaggistico e violazione  del
regime di irretroattivita' (art. 1, legge n. 689/1981); 
        c) intervenuta prescrizione (art. 28, legge n. 689/1981). 
    3.  Con  la  sentenza  impugnata  il   Tribunale   amministrativo
regionale ha: 
        a)  respinto   la   doglianza   incentrata   sulla   asserita
intrasmissibilita' a eredi e  aventi  causa  dell'obbligo  di  pagare
l'indennita' ex art. 167 decreto legislativo n. 42/2004; 
        b) disatteso il motivo relativo all'intervenuta  prescrizione
della pretesa azionata dall'Amministrazione regionale,  alla  stregua
dell'art. 28, legge n. 689/1981, individuando il  dies  a  qua  nella
data di rilascio  della  concessione  in  sanatoria  (ravvisando  una
permanente  antigiuridicita'   che   cesserebbe   soltanto   con   il
conseguimento della concessione in sanatoria); 
        c) accolto,  invece,  la  seconda  censura  incentrata  sulla
sopravvenienza del vincolo paesaggistico  rispetto  alla  commissione
dell'abuso argomentando sulla base  del  canone  di  irretroattivita'
desumibile dall'art. 1 legge n. 689/1981 e dal comma  3  dell'art.  5
della l.r. n. 17/1994. 
    4. Con ricorso n. 99 del 2020 l'Amministrazione  regionale,  gia'
resistente e rimasta soccombente  nel  giudizio  di  prime  cure,  ha
depositato l'atto di appello (tempestivamente passato  per  notifica)
proponendo  una  articolata  critica  alla  sentenza  in  epigrafe  e
chiedendone la riforma, in quanto: 
        a) incentrata su un errore fattuale, posto che alla  data  di
commissione dell'abuso edilizio per cui e' causa l'area sarebbe stata
(gia') interessata  da  un  vincolo  paesaggistico  (e  non  soltanto
archeologico) che avrebbe, quindi, sin dal 1971 preceduto il  vincolo
introdotto dalla legge 8 agosto 1985, n. 431; 
        b) incentrata sull'asserita obliterazione  della  circostanza
che il sistema vigente all'epoca dell'abuso  sanzionava  l'esecuzione
di opere abusive su un bene di interesse artistico  o  storico  (art.
591, n. 1089/1939). 
    5.  L'appellata  Sig.ra  Cornelia   Bardas   ha   tempestivamente
depositato un appello incidentale, in seno al quale: 
        a) ha controdedotto alle critiche dell'appellante, sostenendo
che troverebbe applicazione nel caso di specie l'art. 5 della l.r. n.
17/1994, secondo cui non e'  irrogabile  la  sanzione  amministrativa
pecuniaria in caso di vincolo paesaggistico sopravvenuto, e che, sino
all'entrata in vigore  della  legge  n.  431/1985  (in  epoca  quindi
successiva alla realizzazione dell'abuso), l'area non era interessata
da alcun vincolo paesaggistico; 
        b) ha incidentalmente censurato il capo di sentenza reiettivo
della censura di  cui  al  primo  motivo  del  ricorso  introduttivo,
ribadendo la tesi della intrasmissibilita' a  eredi  e  aventi  causa
dell'obbligo di pagare la sanzione ex art. 167 decreto legislativo n.
42/2004 affermando che tale obbligo incombeva unicamente  sull'autore
dell'abuso. 
    6. All'adunanza camerale del 26  febbraio  2020  fissata  per  la
delibazione della domanda cautelare di sospensione della  provvisoria
esecutivita' della impugnata decisione la trattazione della causa  e'
stata  differita  al   merito   su   richiesta   dell'Amministrazione
appellante. 
    7. Questo CGARS, con ordinanza collegiale  23  ottobre  2020,  n.
976, da intendersi integralmente richiamata e  trascritta  in  questa
sede, ha disposto una verificazione  al  fine  di  chiarire  l'esatta
collocazione  dell'immobile   per   cui   e'   lite   rispetto   alla
perimetrazione della «zona B»  di  cui  ai  decreti  ministeriali  12
giugno 1957, 16 maggio 1968 e 7 ottobre 1971 ed al successivo decreto
del Presidente della Regione Siciliana n. 91  del  1991,  nonche'  al
precedente decreto Presidenziale 6 agosto 1966, n. 807. 
    8. In data 15 novembre 2020  il  verificatore  ha  depositato  la
relazione di verificazione. 
    9.  In  data  30  novembre  2020  e  in  data  19  dicembre  2020
l'appellata ha depositato memoria. 
    10. Alla pubblica udienza del 17 marzo 2021  la  causa  e'  stata
posta in decisione e il Collegio ha reso  l'ordinanza  collegiale  n.
222 del 19 marzo 2021, da  intendersi  integralmente  richiamata  nel
presente provvedimento, con cui ha dato avviso alle  parti  ai  sensi
dell'art. 73 comma 3 c.p.a. circa le seguenti circostanze: 
        «- sebbene il provvedimento impugnato in primo grado  recasse
l'indicazione di «sanzione pecuniaria» e di «indennita' per il  danno
arrecato al paesaggio» e non contenesse alcun riferimento alla  legge
n. 68911981 le parti e il giudice di primo grado hanno argomentato le
proprie considerazioni riferendosi  a  tale  ultima  disposizione  di
legge; 
        con sentenza n. 95 del 9 febbraio 2021 questo  C.G.A.R.S.  ha
seppur  senza  prendere  posizione  sul  punto  in  quanto  superfluo
rispetto al thema decidendi di quella controversia - fatto presente l
'esistenza della piu' recente ricostruzione della fattispecie di  cui
all'art. 167 decreto legislativo n. 42/2004 in  termini  difformi  da
quella fatta propria dalla sentenza impugnata nell'odierna  causa  e,
per quanto si e' sinora  chiarito  dalle  deduzioni  contenute  negli
scritti difensivi delle parti dell'odierno processo (Cons.  St.,  IV,
31 agosto 2017, n. 4109 e, piu' di recente, Consiglio di Stato, II 30
ottobre 2020, n. 6678)». 
    11. Con la medesima ordinanza questo  CGARS  si  e'  interrogato,
considerata  la  «possibile  refluenza  di  tale   opinamento   sugli
argomenti   centrale   dell'odierno   processo»,   sulla    eventuale
condivisibilita' di tale ultima ricostruzione consentendo alle  parti
di argomentare sul punto, oltre che «in  ordine  all'attuale  vigenza
del disposto di cui al comma 3 dell'art. 5 della legge  regionale  31
maggio 1994, n. 17, a seguito della sopravvenuta disposizione di  cui
all'art. 2 comma 46 della legge 23 dicembre  1996,  n.  662,  e,  nel
caso, circa  la  compatibilita'  costituzionale  di  quest'ultima  in
relazione, tra l'altro, al parametro di cui all'art. 9 comma II della
Costituzione». 
    12. Alla odierna pubblica udienza del 5 maggio 2021 la  causa  e'
stata posta in decisione. 
    In vista di essa  tutte  le  parti  hanno  depositato  memorie  e
scritti difensivi. 
 
                               Diritto 
 
    13. Il Collegio ritiene in via preliminare di illustrare l'ordine
espositivo con il quale verranno affrontate le  questioni  sottoposte
allo scrutinio del Collegio nel presente giudizio, anche in relazione
alla decisione di rimettere alla Corte costituzionale la questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 5, comma 3 della l.r. siciliana
n. 17/1994. 
    14. Si premette che: 
        il presente giudizio e' uno  dei  circa  ottanta  attualmente
pendenti innanzi a questo Consiglio di  Giustizia  Amministrativa  ed
aventi ad oggetto immobili  edificati  abusivamente  nell'area  della
Valle dei Templi in Agrigento nella medesima area; 
        non puo' essere messa in discussione l'assoluta  peculiarita'
della  Valle  dei   Templi   di   Agrigento,   espressione   di   una
compenetrazione  fra  profili  archeologici,  artistici,  storici   e
dell'ambiente  circostante  che  attribuisce  al  sito  il  carattere
dell'unicita': nel dicembre del 1997, nel corso  della  2la  riunione
annuale del Comitato del Patrimonio mondiale dell'Unesco, tenutasi  a
Napoli (1°-6 dicembre  1997),  e'  stata  iscritta  nella  Lista  del
Patrimonio  mondiale  dell'Umanita'  con   la   denominazione   «Area
Archeologica di Agrigento» (il documento ICOMOS n.  831  descrive  il
sito e i principali monumenti in esso contenuti). 
    14.1. Cio' posto,  si  procede  alla  disamina.  delle  questioni
oggetto di scrutinio nel seguente ordine: 
        a)  in  primis  -  al  fine  di  perimetrare  gli   argomenti
effettivamente rilevanti - si esamina il secondo  (ed  infondato,  ad
avviso del Collegio) motivo dell'appello della difesa erariale; 
        b) successivamente si espone il convincimento  del  Collegio,
in punto di fatto, sul regime vincolistico dell'area in  cui  insiste
l'immobile per cui e' causa (con reiezione della  tesi  della  difesa
erariale secondo cui al tempo dell'abuso sarebbe stato gia'  presente
un vincolo paesaggistico o che,  comunque,  il  vincolo  archeologico
fosse «equipollente» a quello paesaggistico); 
        c)  immediatamente  di   seguito,   sono   rappresentate   le
conseguenze che cio'  comporta  con  riguardo  all'odierno  processo,
qualificando la  natura  giuridica  della  fattispecie  ex  art.  167
decreto legislativo n. 42/2004; 
        d) sono quindi esposte le ragioni per cui: 
          d1)  si  ritiene  inaccoglibile  il   motivo   dell'appello
incidentale  proposto  dalla  parte  privata  in  punto  di  asserita
intrasmissibilita' agli eredi della sanzione  ex  art.  7,  legge  n.
689/1981, cosi' ulteriormente (rispetto al punto a) perimetrando  gli
argomenti effettivamente conducenti; 
          d2) si ritiene inapplicabile alla fattispecie  il  disposto
di cui all'art. 7 legge n. 689/1981. 
        e)  infine,  riassunte  le  ragioni  della  rilevanza   della
questione, e' esaminato il  tema  della  non  manifesta  infondatezza
della  questione   concernente   la   compatibilita'   costituzionale
dell'art. 5, comma 3 della l.r.  siciliana  n.  17/1994,  considerato
anche l'inquadramento giuridico di cui al punto c). 
    14.2. In ossequio  alla  condivisibile  ricostruzione  di  cui  a
Cassazione civ., ss. uu. 11 dicembre  2007,  n.  25837  (secondo  cui
avrebbero sempre carattere decisorio, e devono essere  immediatamente
impugnati ovvero essere oggetto di riserva di  impugnazione,  i  capi
della ordinanza di rimessione che decidono nei sensi di cui  all'art.
279, comma l n. 4 c.p.c.) ed in linea  con  le  prescrizioni  di  cui
all'art. 36, comma 2 c.p.a.,  a  miglior  garanzia  delle  parti  del
processo, si provvedera' a decidere le questioni di cui alle  lettere
da a) a d1) del superiore elenco con  sentenza  non  definitiva,  che
tuttavia, al fine di consentire  la  unicita'  di  esame  alla  Corte
costituzionale, non verra' resa  separatamente,  ma  unitamente  alla
ordinanza collegale di rimessione. 
    15. Si ribadisce che il provvedimento amministrativo impugnato e'
il decreto n. 395 del 31 gennaio 2018, emesso ai sensi dell'art.  167
decreto  legislativo  n.  42/2004,  con  cui  e'  stato  ingiunto  il
pagamento della somma di euro 9.912,16, quale indennita' risarcitoria
per il  danno  causato  al  paesaggio  con  la  realizzazione  di  un
fabbricato non previamente assentite. 
    15.1 Cio' premesso, proprio al fine  di  sgombrare  il  campo  da
censure che appaiono manifestamente inaccoglibili  (e,  insieme,  per
rendere manifesta  la  rilevanza  della  questione  devoluta  con  la
ordinanza collegale di rimessione)  si  esamina  prioritariamente  la
seconda e  subordinata  censura  contenuta  nell'appello  principale,
imperniata  sull'asserita  obliterazione  della  circostanza  che  il
sistema vigente all'epoca dell'abuso sanzionava l'esecuzione di opere
abusive su un bene di interesse artistico o storico (art. 59 legge n.
1089/1939). 
    15.2. Il motivo non e' fondato. 
    L'art. 59  legge  n.  1089/1939  dispone  fra  l'altro,  che  chi
trasgredisce le disposizioni contenute negli articoli 1l, 12, 13, 18,
19, 20 e 21 e' tenuto a corrispondere allo Stato una  somma  pari  al
valore della cosa perduta o alla diminuzione di valore  subita  dalla
cosa per effetto della trasgressione, se la riduzione in pristino non
e' possibile. 
    L'obbligo di corrispondere la somma  discende  dall'effettuazione
di attivita' non consentite (o almeno non consentite in  mancanza  di
autorizzazione) su cose di interesse artistico, storico, archeologico
o etnografico, che appartengono a province, comuni ed enti e istituti
legalmente riconosciuti o che,  pur  appartenendo  a  privati,  siano
state oggetto di specifica  notifica  ai  sensi  della  stessa  legge
(articoli 11, 12, 13, 18, 19, 20 e 21). 
    La legge n. 1089/1939 tutela quindi beni determinati, da essa non
derivano vincoli di zona o porzioni di territorio. 
    Nel caso di specie ne' le parti, ne' l'Amministrazione, e neppure
il verificatore, hanno mai reso edotto il Giudice di  primo  grado  o
questo Collegio della sussistenza di detto vincolo specifico sul bene
di proprieta' dell'appellata, ne' risulta altrimenti che esso sia mai
stato apposto ne' gli atti  amministrativi  impugnati  vi  hanno  mai
fatto riferimento. 
    Neppure sarebbe possibile  traslare  l'impianto  normativo  della
legge n. 1089/1939 ai beni (in passato) oggetto di  tutela  ai  sensi
della legge n. 1497/1939, senza  al  contempo  porre  in  essere  una
operazione ermeneutica contra legem, in sfavor rei, e contraria  alla
lettera delle norme invocate ed applicabili. 
    Il   motivo   e',   all'evidenza,    manifestamente    infondato,
armonicamente   alle   conclusioni   da   tempo    raggiunte    dalla
giurisprudenza amministrativa (ex aliis Consiglio di  Stato,  VI,  12
novembre 1990, n. 951) in punto di distinzione dell'impianto  di  cui
alla legge n. 1089/1939 rispetto  a  quello  di  cui  alla  legge  n.
1497/1939. 
    16. Cio' rilevato, il Collegio ritiene a questo punto di  doversi
addentrare, ai fini della trattazione dell'appello  incidentale,  del
primo motivo dell'appello principale e della  rimessione  alla  Corte
costituzionale, nell'inquadramento giuridico  dei  vari  aspetti  che
contraddistinguono l'applicazione dell'istituto di cui all'art.  167,
comma 5 del decreto legislativo n. 42/2004 e  dell'art.  5,  comma  3
l.r. n. 17/1994 al caso di specie. 
    16.1. Come brevemente  chiarito  nella  parte  «in  fatto»  della
presente decisione, il primo giudice ha accolto il ricorso  di  primo
grado (anche richiamando per relationem numerosi propri  precedenti),
sulla scorta di un triplice argomentare fattuale e giuridico: 
        a) l'insussistenza di alcun vincolo  paesaggistico  sull'area
ove venne edificato l'immobile,  al  momento  in  cui  l'abuso  venne
commesso (fino al sopravvenire della legge n.  431/1985,  c.d.  legge
Galasso); 
        b)  la  sussistenza,  sull'area  predetta,  di   un   vincolo
archeologico al momento in cui l'abuso  venne  commesso;  c)  la  non
assimilabilita' del vincolo archeologico  sussistente  sull'area  ove
venne edificato l'immobile  ad  un  vincolo  paesaggistico,  ai  fini
dell'applicabilita' dell'art. 167 del decreto legislativo n. 42/2004. 
    Di conseguenza, il Tribunale amministrativo regionale ha  accolto
la censura incentrata sulla sopravvenienza del vincolo  paesaggistico
rispetto alla commissione dell'abuso, qualificando  l'indennita'  qui
controversa come  sanzione  amministrativa,  ed  argomentando  quindi
sulla base del canone  di  irretroattivita'  desumibile  dall'art.  l
della legge n. 689/1981 e dal comma  3  dell'art.  5  della  l.r.  n.
17/1994. 
    16.2. Quanto ai primi tre profili dell'iter motivazionale seguito
dal Tribunale amministrativo regionale (precedenti punti a, b e c) il
Collegio ne condivide  l'approdo  e  ritiene,  di  converso,  che  le
censure articolate dalla difesa erariale non meritino condivisione. 
    16.3. Come emerge dalla verificazione effettuata, e come peraltro
si dara' conto brevemente alla luce dell'analisi dei testi  normativi
susseguitesi, ritiene il Collegio che - per quanto  paradossale  cio'
possa  sembrare  tenuto  conto  delle  peculiari  caratteristiche   e
dell'evidente pregio dell'area geografica in esame  -  sino  al  1985
sull'area dove venne perpetrato l'abuso non insisteva  alcun  vincolo
paesaggistico, e che non possa neppure seguirsi  la  difesa  erariale
(primo motivo dell'appello principale) laddove questa sostiene che il
vincolo archeologico sussistente potesse «parificarsi» ad un  vincolo
paesaggistico  (o,  per  dirla  altrimenti   ricomprendesse   profili
paesaggistici). 
    16.4. Detta conclusione  si  spiega  in  ragione  dell'evoluzione
normativa intervenuta in materia e delle  circostanze  di  fatto  che
sono di seguito illustrate. 
    L'evoluzione normativa puo' essere cosi' riassunta: 
        a seguito delle attivita' della Commissione  provinciale  per
la tutela delle bellezze naturali della Provincia  di  Agrigento,  il
Ministro della  pubblica  istruzione,  con  decreto  12  giugno  1957
«Dichiarazione di notevole interesse pubblico della zona della  Valle
dei Templi e dei punti di vista della citta' sulla Valle stessa, siti
nell'ambito del Comune di Agrigento», sottopose a  tutela  paesistica
un'ampia zona del territorio comunale; 
        a seguito della  «frana  di  Agrigento»  venne  approvato  il
decreto-legge  30  luglio  1966,  n.  590,  «Dichiarazione  di   zona
archeologica  di  interesse  nazionale  della  Valle  dei  Templi  di
Agrigento», convertito in legge 28 settembre 1966, n. 749; 
        a distanza di sola una settimana il Presidente della  Regione
Siciliana   intervenne   nella   questione   emanando   il    decreto
presidenziale 6  agosto  1966,  n.  807  «Dichiarazione  di  notevole
interesse pubblico della zona della Valle dei Templi e dei  punti  di
vista del belvedere del Comune di Agrigento», che sottopose una  piu'
ampia zona del territorio comunale a vincolo paesistico; 
        in esecuzione legge 28 settembre 1966, n. 749, di conversione
del decreto-legge 30 luglio 1966, n. 590, venne emanato dal Ministero
della pubblica istruzione di concerto con il Ministero per  i  lavori
pubblici, il decreto 16 maggio 1968,  «Determinazione  del  perimetro
della Valle dei Templi di Agrigento, delle prescrizioni d'uso  e  dei
vincoli di in edificabilita'» (c.d. Gui-Mancini) - poi modificato dal
decreto 7 ottobre 1971 «Modifiche del decreto ministeriale 16  maggio
1968, concernente la determinazione del  perimetro  della  Valle  dei
Templi  di  Agrigento,   prescrizioni   d'uso   e   vincoli   di   in
edificabilita'» (c.d. Misasi-Lauricella) -, che vincolo' e  delimito'
la Valle dei Templi, definendo e  suddividendo  l'area  vincolata  in
cinque zone, dalla A alla E, aventi ciascuna specifica  prescrizione,
oltre ad avere introdotto (la Misasi-Lauricella) il nulla osta  della
Soprintendenza ai BB.CC.AA. per la  realizzazione  di  infrastrutture
urbanistiche; 
        in data 17 agosto 1985 venne  pubblicata  nella  G.U.R.S.  la
legge 10 agosto 1985, n. 37  Nuove  norme  in  materia  di  controllo
dell'attivita' urbanistico-edilizia, riordino urbanistico e sanatoria
delle  opere  abusive»,  il  cui  art.  25,  «Parco  archeologico  di
Agrigento», prevedeva al comma 1, che «Entro il 31 ottobre  1985,  il
Presidente della Regione, di concerto con gli Assessori regionali per
i beni culturali e per il territorio e l'ambiente, sentiti  i  pareri
del Sovrintendente ai beni culturali di  Agrigento  e  del  Consiglio
regionale per i beni culturali ed ambientali, provvede ad emanare  il
decreto di delimitazione dei confini  del  Parco  archeologico  della
Valle dei Templi di Agrigento ed all'individuazione dei confini delle
zone da assoggettare a differenziati  vincoli,  previo  parere  della
competente  Commissione   legislativa   dell'   Assemblea   regionale
siciliana»: la delimitazione dei confini del Parco archeologico venne
stabilita con il decreto del Presidente della  Regione  Siciliana  13
giugno 1991, n. 91 «Delimitazione dei confini del Parco  Archeologico
della Valle dei  Templi  di  Agrigento»  (c.d.  Nicolosi),  che  fece
coincidere il confine del Parco  archeologico  di  Agrigento  con  il
confine  della  zona  A  -  delimitata  con  l'art.  2  del   decreto
ministeriale 16 maggio 1968 (c.d. Gui-Mancini) e poi  modificato  con
decreto ministeriale 7 ottobre 1971 (c.d. Misasi-Lauricella) - e  che
amplio' anche la zona  «B»,  includendo  Cozzo  S.  Biagio,  Contrada
Chimento ed una zona a nord della Contrada Mose'. 
    16.5. Quanto alle circostanze di fatto, premesso che  l'appellata
ha dichiarato che ii fabbricato e' stato realizzato nel 1973/1976  (e
tale affermazione e' rimasta incontestata) dalla verificazione emerge
che: 
        rispetto ai  vincoli  imposti  dal  decreto  ministeriale  12
giugno 1957 e dal decreto presidenziale n. 807 del 6 agosto 1966  «il
fabbricato de quo  non  ricade  all'interno  della  zona  perimetrata
oggetto del vincolo archeologico e paesistico»; 
        rispetto al vincolo imposto dal decreto 16 maggio 1968 e  dal
decreto 7 ottobre 1971 «il fabbricato de quo ricade all'interno della
zona perimetrata quale Zona B»; 
        rispetto al vincolo imposto dal decreto del Presidente  della
Regione Siciliana 13 giugno 1991, n. 91 «il fabbricato de quo permane
all'interno della zona perimetrata quale Zona «B»; 
    Quindi, in disparte il vincolo paesaggistico di  cui  alla  legge
Galasso ed al successivo decreto legislativo n. 42/2004, in base alla
normativa vigente al tempo della costruzione (1973/76), il  manufatto
oggetto di controversia era sottoposto  a:  vincolo  archeologico  in
base al decreto 16 maggio 1968 e al decreto  7  ottobre  1971,  cosi'
come per il successivo decreto del Presidente della Regione Siciliana
13 giugno 1991, n. 91. 
    Di converso  deve  considerarsi  accertato  che  l'area  non  era
soggetta a vincolo  paesaggistico  all'epoca  della  costruzione,  in
quanto ne' il decreto del 1968 ne'  il  decreto  7  ottobre  1971  lo
imponevano. 
    16.6. Il vincolo paesaggistico e'  quindi  sopravvenuto  rispetto
alla realizzazione del manufatto per cui e' lite. 
    Cosi' disattesa  la  tesi  proposta  principaliter  dalla  difesa
erariale secondo cm nell'area insisteva un vincolo  paesaggistico  al
tempo della commissione dell'abuso, il  Collegio  deve  farsi  carico
dell'ulteriore prospettazione  critica  contenuta  nel  primo  motivo
dell'appello secondo cui il vincolo  archeologico  imposto  sull'area
avesse una portata effettuale identica ad un  vincolo  paesaggistico,
e/o ricomprendesse quest'ultimo. 
    Come avvertito nella premessa, anche tale profilo critico non  e'
persuasivo. 
    Osta, all'accoglimento di tale prospettazione: 
        a) la diversa natura dei due vincoli presi in considerazione; 
        b) il dato letterale: decreto ministeriale 16 maggio 1968; 
        c) in termini assorbenti, il chiaro  dettato  della  sentenza
della Corte costituzionale 11 aprile 1969, n. 74. 
    Nel  periodo  storico  che  ha  preceduto   e   accompagnato   la
realizzazione dell'immobile abusivo (fra il 1968,  anno  dell'entrata
in vigore del decreto ministeriale 16 maggio 1968, e l'anno 1973,  di
completamento  dell'immobile   abusivo)   l'efficacia   del   vincolo
paesaggistico su bellezze di insieme, nei confronti dei  proprietari,
possessori o detentori, ha  inizio  dal  momento  in  cui,  ai  sensi
dell'art. 2, ultimo comma, della legge n. 1497/1939,  l'elenco  delle
localita', predisposto dalla Commissione ivi prevista e nel quale  e'
compresa la bellezza  di  insieme,  viene  pubblicato  nell'albo  dei
Comuni interessati (Corte cost., 23 luglio 1997, n. 262). 
    Il vincolo e' apposto attraverso un procedimento tipico,  che  si
conclude con un provvedimento finale costitutivo di obblighi (art.  7
legge n. 1497/1939) a carico dei soggetti «proprietari, possessori  o
detentori, a qualsiasi  titolo,  dell'immobile  il  quale  sia  stato
compreso nei pubblicati elenchi delle localita'» ed  e'  destinato  a
venire meno quando l'autorita' preposta alla approvazione  definitiva
rifiuti l'approvazione  (anche  parzialmente  eliminando  l'efficacia
rispetto  a  tal  uni  immobili)  ovvero  intervenga  una  successiva
modifica dell'elenco suddetto. 
    La Consulta  ha  sottolineato  (per  differenza  con  il  sistema
introdotto  dalla  legge  n.  431/1985,  ora  contenuto  nel  decreto
legislativo n. 42/2004) che la legge n. 1497/1939 prevede una  tutela
diretta alla preservazione di cose e localita' di particolare  pregio
estetico isolatamente considerate. 
    L'art.  2-bis  del  decreto-legge  30  luglio   1966,   n.   590,
convertito, con modificazioni, nella legge 28 settembre 1966, n. 749,
che ha dichiarato la Valle dei Templi di Agrigento zona  archeologica
di interesse nazionale,  e  il  successivo  decreto  ministeriale  16
maggio  1968  non  solo  fanno  esplicito  riferimento   al   vincolo
archeologico  ma  non  incanalano  detta  qualificazione   nell'alveo
indicato dalla legge n. 1497/1939, cosi' apponendo un vincolo  avente
una natura corrispondente a quella dichiarata,  appunto  archeologica
(e non paesaggistica). 
    Del resto, la Corte costituzionale ha affermato che l'art.  2-bis
ha  disposto  un  vincolo   sulla   zona   dei   Templi   (rimettendo
all'autorita' amministrativa la determinazione del perimetro di essa)
in conseguenza di un fatto di eccezionale gravita', qualera stato  il
movimento franoso del  1966,  ed  in  considerazione  del  preminente
carattere  archeologico  della  zona  e  dell'interesse  generale   a
impedire ulteriori effetti dannosi di quell'evento» (Corte  cost.  11
aprile  1979,  n.  64).  Il  decreto  ministeriale  7  ottobre  1971,
successivo a  Corte  costituzionale  n.  74/1969,  recante  la  nuova
perimetrazione del sito, non solo non scalfisce la tesi della  natura
non paesaggistica del vincolo originariamente apposto alla Valle  dei
Templi, ma ne avalla l'impostazione, laddove, nelle premesse, ravvisa
la finalita' dell'intervento normativo nella volonta'  di  consentire
«le ricerche archeologiche e le  opere  di  restauro  sistemazione  e
valorizzazione della zona archeologica e dei suoi monumenti,  nonche'
le opere necessarie alla custodia dei reperti antichi». 
    16.7. Deve quindi concludersi che il vincolo archeologico imposto
sull'area non avesse  una  portata  effettuale  identica  al  vincolo
paesaggistico e/o  non  ricomprendesse  quest'ultimo,  non  ricadendo
l'immobile nel perimetro del vincolo paesistico. 
    Pertanto il Collegio e' convinto che  anche  tale  prospettazione
critica dell'appello principale vada disattesa. 
    17. La superiore ricostruzione, quindi, e' conforme a quella  del
Tar, in punto di determinazione dell'assetto  vincolistico  dell'area
ove e' stato perpetrato l'abuso ed al tempo dello stesso  (sul  punto
anche Cassazione pen., III, 4 settembre 2014, n. 36853). 
    17.1. Il Tribunale amministrativo  regionale  ha  da  cio'  fatto
discendere  le  conseguenze  demolitorie   censurate   dalla   difesa
erariale, ritenendo che la sanzione ex art. 167  decreto  legislativo
n. 42/2004 vada ascritta nel novero delle sanzioni  amministrative  e
che il canone della irretroattivita' desumibile dall'art. 1, legge n.
689/1981 e dal comma 3 dell'art. 5 della l.r. n. 17/1994 impedisca di
ritenere legittimo il provvedimento impugnato. 
    17.2. Tale questione  richiede  una  attenta,  seppur  sintetica,
analisi, per la  quale  e'  necessario  inquadrare  il  provvedimento
impugnato e l'indennita' che ne costituisce l'oggetto. Come e', noto,
per lungo tempo la giurisprudenza ha qualificato l'indennita' di  cui
all'art. 15, legge n. 1497/1939 (trasfusa poi nell'art.  164  decreto
legislativo n. 490/1999, ed oggi nell'art. 167 decreto legislativo n.
42/2004) come sanzione amministrativa (Cons. St.: V, 24 aprile  1980,
n 441; 24 novembre 1981, nn. 700 e 702; VI, 29 marzo 1983 n. 162; VI,
4 ottobre 1983 n. 701; VI, 5 agosto 1985, n. 431; VI, 16 maggio 1990,
n. 242, VI, 31 maggio 1990, n. 551; VI, 15 aprile 1993, n. 290; VI, 2
giugno 2000, n. 3184; VI, 9 ottobre 2000, n. 5386;  IV,  12  novembre
2000, n. 6279; IV, 2 marzo 2011, n. 1359; V,  26  settembre  2013  n.
4783; VI, 8 gennaio 2020, n. 130; II, 25 luglio 2020, n. 4755; CGARS:
sez. cons. 16 novembre 1993, n. 452; sez. giur.  13  marzo  2014,  n.
123; 17 febbraio 2017 n. 58; 23 marzo 2018, n. 168; 17.5.2018 n. 293;
22 agosto 2018, n. 484; 29 novembre 2018, n. 958; 25 marzo  2019,  n.
251, 20 marzo 2020, n. 198; 1 luglio 2020, n. 505; 3 luglio 2020,  n.
527; Cassazione: sez. un. , 18 maggio 1995, n. 5473; 10 agosto  1996,
n. 7403; 4 aprile 2000, n. 94; 10 marzo 2004, n. 4857; 10 marzo 2005,
n. 5214), specificando in alcune occasioni  che  l'assenza  di  danno
sostanziale  al  paesaggio  non  esonera  dalla  sanzione,  essendovi
comunque sempre un danno formale per aver edificato  senza  nullaosta
paesaggistico (Cons. St., V, 1° ottobre 1999, n. 1225; V.,  2  giugno
2000, n. 3184; VI, 9 ottobre 2000, n. 5386; 31 ottobre 2000, n. 5828;
IV, 27 ottobre 2003, n. 6632; IV, 12  marzo  2011,  n.  1359;  V,  26
settembre 2013, n. 4783; VI, 8 gennaio 2020, n. 130;  II,  27  maggio
2020, n. 4755). 
    Nondimeno,   nell'ambito   degli   arresti    richiamati,    alla
qualificazione   dell'indennita'   in   discorso    quale    sanzione
amministrativa pecuniaria non  e'  seguita  l'integrale  applicazione
della disciplina sistematica di cui alla legge  n.  689/1981  (seppur
nei «limiti di compatibilita'» scolpiti  sub  art.  12)  rinvenendosi
almeno tre punti di frizione:  l'irretroattivita',  il  regime  della
prescrizione e l'intrasmissibilita' agli eredi ed  aventi  causa;  la
sentenza oggi appellata (come del resto le altre, numerose, rese  sia
dal medesimo Tribunale amministrativo regionale -ed avverso le  quali
pendono ricorsi in appello presso  questo  CGA-  ma  anche  da  altra
qualificata  giurisprudenza  amministrativa  di  primo  grado  e  dal
Consiglio di Stato) non fa eccezione. 
    In seno ad essa, infatti: 
        a) in primis si sostiene tout court l'applicabilita' legge n.
689/1981 (in quanto si qualifica  il  provvedimento  impugnato  quale
sanzione amministrativa); 
        b)  successivamente  si  applicano  le   disposizioni   della
predetta legge in punto di irretroattivita'  (art.  l)  e  quanto  al
regime della prescrizione (art 28); 
        c) infine, se ne ritiene inapplicabile il regime in punto  di
intrasmissibilita' agli eredi (art. 7), nella evidente difficolta' di
contrastare approdi pacifici della  giurisprudenza  amministrativa  e
penale  formatasi  sull'ambulatorieta'  dell'ordine  di   demolizione
(Cons. St., IV, 12 aprile 2011, n. 2266; IV,  24  dicembre  2008,  n.
6554; nonche' Cassazione, III, 15 luglio  2020,  n.  26334;  III,  22
ottobre 2009, n. 48925) e, si puo' ipotizzare- nel convincimento  che
l'affermazione di un simile principio renderebbe il precetto primario
facilmente eludibile. 
    17.3. Il Collegio ritiene, non solo per la  segnalata  incoerenza
intrinseca (che, semmai e' soltanto la «spia»  di  una  ricostruzione
complessivamente  non  appagante:  si  veda  peraltro   la   uniforme
giurisprudenza  che  esclude,  sempre  e   comunque,   l'applicazione
dell'art. 14 legge n. 689/1981 alla fattispecie in  esame:  ex  aliis
CGARS, sez. giurisdizionale, 23 maggio 2018, n. 300) e  sulla  scorta
di un piu' recente e meditato orientamento  giurisprudenziale  (Cons.
St., IV, 31 agosto 2017 n. 4109; Id., II, 30 ottobre 2020, n.  6678),
che l'indennita' di cui all'art. 167, comma 5 decreto legislativo  n.
42/2004 abbia una funzione riparatoria, essendo funzionale alla  cura
dell'interesse paesaggistico, e  quindi  che  alla  medesima  non  si
applichi la legge n. 689/1981. 
    17.4. L'art. 167 decreto legislativo n.  42/2004  stabilisce,  al
comma l, la regola generale per cui la  violazione  della  disciplina
paesaggistica contenuta nel titolo I della Parte terza del codice dei
beni  culturali  e  del  paesaggio  determina  per  il   trasgressore
l'obbligo di rimessione in pristino a proprie spese. 
    Alla regola generale si sottrae la  fattispecie  di  accertamento
della compatibilita' paesaggistica disciplinata al  successivo  comma
4, ai sensi del quale autorita' amministrativa competente accerta  la
compatibilita' paesaggistica nei seguenti casi: 
        a)  per  i  lavori,  realizzati  in  assenza  o   difformita'
dall'autorizzazione  paesaggistica,  che  non   abbiano   determinato
creazione di superfici  utili  o  volumi  ovvero  aumento  di  quelli
legittimamente realizzati; 
        b)   per    l'impiego    di    materiali    in    difformita'
dall'autorizzazione paesaggistica; 
        c) per i lavori comunque configurabili  quali  interventi  di
manutenzione ordinaria o  straordinaria  ai  sensi  dell'art.  3  del
decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001. 
    A tal fine, in base al successivo comma 5: 
        il proprietario, possessore o detentore  a  qualsiasi  titolo
dell'immobile  o  dell'area  interessati  dai   suddetti   interventi
presenta apposita domanda all'autorita' preposta  alla  gestione  del
vincolo ai fini dell'accertamento della compatibilita'  paesaggistica
degli interventi medesimi; 
        l'autorita' competente si pronuncia sulla  domanda  entro  il
termine perentorio di centottanta giorni,  previo  parere  vincolante
della soprintendenza da  rendersi  entro  il  termine  perentorio  di
novanta giorni; 
        qualora venga accertata la compatibilita'  paesaggistica,  il
trasgressore e' tenuto al  pagamento  di  una  somma  equivalente  al
maggiore importo tra il  danno  arrecato  e  il  profitto  conseguito
mediante la trasgressione (l'importo  della  sanzione  pecuniaria  e'
determinato previa perizia di stima) mentre in caso di rigetto  della
domanda si applica la sanzione demolitoria. 
    Il detto comma 5 dell'art. 167 dispone altresi' che  «la  domanda
di accertamento  della  compatibilita'  paesaggistica  presentata  ai
sensi dell'art. 181, comma 1-quater si intende  presentata  anche  ai
sensi e per gli effetti di cui al presente  comma»,  che  disciplina,
fra l'altro, il pagamento della somma  dovuta  dal  trasgressore.  Ai
sensi dell'art. 181 comma 1-quater decreto legislativo n. 42/2004  il
proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo dell'immobile
o dell'area interessati dagli interventi di cui al comma  1-ter  (che
coincidono con i sopra riferiti interventi di cui all'art. 167, comma
4), presenta apposita domanda all'autorita'  preposta  alla  gestione
del  vincolo   ai   fini   dell'accertamento   della   compatibilita'
paesaggistica degli interventi medesimi e l'autorita'  competente  si
pronuncia sulla domanda entro il termine  perentorio  di  centottanta
giorni, previo parere vincolante  della  soprintendenza  da  rendersi
entro il termine  perentorio  di  novanta  giorni  (con  disposizione
analoga a quella contenuta nell'art. 167, comma 5). 
    17.5. Da quanto sopra discende che: 
        l'istanza presentata dal proprietario, possessore o detentore
a qualsiasi titolo dell'immobile o dell'area interessati dai suddetti
interventi, avvia un  procedimento  avente  due  finalita'  connesse,
essendo volto  all'accertamento  della  compatibilita'  paesaggistica
degli  interventi  medesimi  e,  nel  contempo,   se   il   risultato
dell'attivita'  di  verifica  e'  positivo,  alla  comminatoria   del
pagamento della somma di cui al comma 5 del predetto art. 167; 
        la soddisfazione dell'interesse  pretensivo  del  privato  (a
vedere  riconosciuta  la  conformita'  paesaggistica  del   manufatto
abusivo) porta con  se',  quindi,  necessariamente,  in  funzione  di
contrappeso, la debenza della somma; 
        l'obbligo di corrispondere  la  somma  sorge  con  l'adozione
dell'atto favorevole ma  non  e'  esigibile  fino  alla  liquidazione
dell'ammontare      (l'intervallo      procedimentale      successivo
all'accertamento della conformita' ambientale e' funzionale  proprio,
e solo, come si vedra' infra, alla quantificazione del dovuto); 
        nella prospettiva pubblicistica l'interesse paesaggistico  e'
perseguito superando, innanzitutto, l'alternativa fra,  da  un  lato,
incompatibilita' paesaggistica  e  riduzione  in  pristino  (comma  l
dell'art. 167 decreto legislativo n.  42/2004)  e,  dall'altro  lato,
compatibilita' paesaggistica dell'intervento ai  sensi  del  comma  4
dell'art. 167 e debenza della somma di denaro; 
        al  rigetto  della  domanda   consegue   quindi   la   misura
ripristinatoria per eccellenza, riposante  nella  demolizione  (Cons.
St., VI, 21 dicembre 2020, n. 8171 e 15 aprile 1993, n. 290); 
        diversamente,     l'accertamento     della     compatibilita'
paesaggistica determina,  in  ragione  del  principio  di  efficienza
dell'intero  sistema  (l'attuale  conformita'   paesaggistica   rende
recessiva la precedente irregolarita'), il superamento della  pretesa
di assicurare il ripristino dello status quo ante; 
        la   cura   del   relativo    interesse    impone    comunque
all'Amministrazione di  tenere  in  considerazione  l'abuso  commesso
facendone sopportare il costo (per la collettivita', nei termini  che
si diranno infra) al privato istante attraverso il pagamento  di  una
somma di  denaro,  quantificata,  nei  termini  di  cui  al  comma  5
dell'art. 167 decreto  legislativo  n.  42/2004:  previa  perizia  di
stima, e avente anche una finalita' generai-preventiva; 
        i  provvedimenti   di   accertamento   della   compatibilita'
paesaggistica e di condanna  al  pagamento  della  somma  di  denaro,
nonche' di quantificazione del dovuto, concorrono tutti alla cura del
paesaggio e si pongono, fra loro, in una relazione di  necessarieta',
nel senso che detto interesse pubblico e' adeguatamente  amministrato
solo in quanto siano adottati tutti; 
        il   collegamento   pubblicistico   fra   le   determinazioni
dell'Amministrazione  (compatibilita'  paesaggistica,   condanna   al
pagamento di una somma di denaro e quantificazione  dell'importo)  e'
reso evidente dalla disposizione che prevede che l'istanza presentata
dal  privato  sia  funzionale   non   solo   all'accertamento   della
compatibilita'  paesaggistica  ma  anche  alla  quantificazione   del
pagamento della somma di denaro; 
        l'obbligo di pagare la somma di denaro deriva dalla  legge  e
diviene  attuale  con  l'accertamento  positivo   della   conformita'
paesaggistica dell'intervento (che invece, all'accertamento negativo,
segue la riduzione in pristino); 
        segnatamente l'an della debenza  e'  reso  certo  al  momento
della verifica (positiva) di conformita' paesaggistica del manufatto;
nondimeno, posto che esso non e' ancora  liquido,  non  e'  esigibile
fino all'avvenuta determinazione del quantum; 
        la quantificazione della somma dovuta e' connotata dalla cura
dell'interesse paesaggistico essendo effettuata infatti in base a una
stima, nel «maggiore importo tra il  danno  arrecato  e  il  profitto
conseguito»; 
        a quest'ultima e' riconducibile una duplice ratio; 
        innanzitutto essa e' funzionale alla cura  dell'ambiente;  in
tal senso il parametro di quantificazione  prescelto  non  e'  avulso
dalla necessita' di superare la prospettiva ripristinatoria,  di  per
se' rinvenibile nella sola riduzione in pristino, ed e' riconducibile
alla necessita' di calmierare l'esternalita' negativa derivante dalla
trasgressione  paesaggistica,  connessa  ad  un  interesse  in  parte
adespota, anche in relazione  alla  sua  connessione  con  il  valore
dell'ambiente  e  delle  esigenze  di  preservarlo  alle  generazioni
future; 
        cio' e' reso evidente dall'utilizzo delle somme ricavate  per
«l'esecuzione delle rimessioni  in  pristino»  e  per  «finalita'  di
salvaguardia  nonche'  per  interventi   di   recupero   dei   valori
paesaggistici e di  riqualificazione  degli  immobili  e  delle  aree
degradati o  interessati  dalle  rimessioni  in  pristino»  (comma  6
dell'art. 167 decreto legislativo n. 42/2004) e dalla quantificazione
della stessa in modo non avulso  dalla  trasgressione  commessa,  dal
momento che uno dei parametri e' costituito dal danno arrecato; 
        la precedente normativa infatti, contenuta nell'art. 15 legge
n.  1497/1939,  nel  decreto  ministeriale  26  settembre  1997,  poi
trasfuso nell'art. 164 decreto legislativo n.  490/1999,  qualificava
l'indennita' come risarcitoria, cosi' evidenziandone la  funzione  di
compensazione della collettivita'  dell'utilita'  perduta  nel  tempo
dell'abuso,  valorizzando  in  modo  astratto  l'oggetto  di  tutela,
l'interesse paesaggistico, cioe' considerandolo  nel  suo  valore  di
scambio; 
        in tal senso si puo' interpretare la  recente  giurisprudenza
del Consiglio di Stato che delinea la condanna  pecuniaria  in  esame
come «sanzione riparatoria alternativa» al  ripristino  dello  status
quo ante, cosi' non applicando la disciplina contenuta nella legge n.
689/1981 e, in particolare,  la  norma  sulla  trasmissibilita'  agli
eredi (Cons. St., VI, 21 dicembre 2020, n. 8171; Id., II, 30  ottobre
2020, n. 6678); 
        il   ripristino   non   deve,   infatti,   intendersi   quale
riaffermazione della situazione precedente all'abuso (che  l'istituto
in esame e' volto proprio a superare) ma sta a indicare la  finalita'
di risolvere, pro futuro, l'intervenuta turbati va  degli  interessi,
al fine di presidiare questi ultimi (attraverso  la  debenza  di  una
somma di denaro commisurata alla maggior somma fra il danno  prodotto
e le connesse conseguenze profittevoli); 
        nondimeno la corresponsione  della  somma  di  denaro  svolge
altresi'  una   funzione   di   deterrenza   derivante   dall'effetto
afflittivo, del  quale  e'  indice  la  terminologia  utilizzata  dal
legislatore,  che  fa  riferimento  alla  «sanzione»,   il   criterio
normativa di quantificazione, basato sul «maggiore  importo»  tra  il
danno arrecato e il profitto conseguito,  potenzialmente  foriero  di
una  condanna  per  un  importo  superiore  rispetto  al  pregiudizio
economico prodotto, e la stessa dinamica sottesa all' istituto di cui
all'art. 167 decreto legislativo n. 42/2004. La  tenuta  del  sistema
non puo'  infatti  essere  messa  in  pericolo  da  una  sopravvenuta
compatibilita' ambientale, idonea, in  tesi,  a  far  venir  meno  la
precedente   trasgressione,   pena   l'indebolimento   del    vincolo
paesaggistico, la cui violazione potrebbe essere percepita  come  non
decisiva, nella speranza che in futuro venga meno,  cosi'  eliminando
anche le conseguenze della situazione antigiuridica antecedente; 
        la portata afflittiva  e'  comunque  secondaria,  considerata
l'irrilevanza,  ai  fini   dell'integrazione   dei   presupposti   di
applicazione della condanna pecuniaria, dell'elemento soggettivo  del
dolo  o  della  colpa  (elemento  determinante  per  qualificare  una
fattispecie come sanzionatoria secondo l'Ad. plen. 11 settembre 2020,
n. 18) e dal fatto che la condanna  pecuniaria  non  costituisce  una
conseguenza diretta dell'illecito commesso; 
        essa e' infatti principalmente il portato di un provvedimento
favorevole (l'accertamento della compatibilita'  ambientale)  di  cui
costituisce il corollario e il contrappeso; 
        la funzione della condonna pecuniaria di  cui  all'art.  167,
comma 5 e', quindi, solo  parzialmente  riconducibile  all'afflizione
che connota sia il danno punitivo (SS.UU. 5 luglio 2017, n. 16601 e 6
maggio 2015, n. 9100), sia la  sanzione  amministrativa  (fattispecie
che  richiedono  entrambe  una  previsione   di   legge,   ai   sensi
rispettivamente dell'art. 25, comma 2 Cost e dell'art. 23 Cost.,  nel
caso di specie da rinvenirsi nella norma di legge appena citata); 
        nel complesso l'imposizione  del  pagamento  della  somma  di
denaro ha quindi una finalita'  compensativa  del  danno  prodotto  e
solo' in parte afflittiva; 
        il  relativo  procedimento  costituisce  una   manifestazione
tipica di potesta' amministrativa, nell'ambito dei quale il cittadino
versa  in  una  posizione  di  interesse  legittimo  e   cio'   anche
considerando la sua componente afflittiva (secondaria e servente),  e
diversamente rispetto all'esercizio del solo potere punitivo da parte
dell'Amministrazione, nel quale non vi e' ponderazione  di  interessi
(Cass., I, 23 giugno 1987, n. 5489), essendo ricollegato al vincolato
accertamento, secondo la procedura di cui alla legge n. 689/1981, del
verificarsi concreto della fattispecie  legale,  cui  corrisponde  il
diritto  soggettivo  dell'intimato  a  non  subire  l'imposizione  di
prestazioni fuori dei casi espressamente previsti  dalla  legge,  con
conseguente devoluzione delle relative controversie,  in  assenza  di
ipotesi di giurisdizione esclusiva, al giudice ordinario (Cons.  St.,
V, 24 gennaio 2019, n. 587); 
        dal punto di vista strutturale il procedimento in esame  vede
una prima fase deputata a verificare la compatibilita'  paesaggistica
(e la connessa, e  dovuta,  condanna  al  pagamento  della  somma  di
denaro) mentre il  successivo  intervallo  temporale,  finalizzato  a
quantificare l'importo, e' meramente servente, essendo necessario per
rendere liquido ed esigibile l'importo e quindi effettivo il  rimedio
(rispetto al precedente abuso) dell'ordine di pagamento; 
        al  procedimento  si  applicano  i  principi   dell'attivita'
amministrativa,   pur   considerandone   il   (parziale)    carattere
afflittivo: la legge n. 241 del 1990  offre  la  regolamentazione  di
base  di  qualsiasi   procedimento   amministrativo   che   non   sia
accompagnato da una normativa specifica; la  legge  n.  689/1981  non
puo' essere applicata  al  di  la'  della  categoria  delle  sanzioni
amministrative pecuniarie (Cons. St., II, 4 giugno  2020,  n.  3548),
«non puo' che tornare a trovare applicazione quello generale  di  cui
alla legge n. 241/1990» (Cons. St., II, 4 giugno 2020,  n.  3548)  e,
infatti,  alle  sanzioni  pecuniarie  sostitutive   di   una   misura
ripristinatoria di  carattere  reale  non  si  applica  la  legge  n.
689/1981 (CGARS, 9 febbraio 2021, n. 95 e Consiglio di Stato, VI,  20
ottobre 2016, n. 4400); 
        la     ragione     dell'impostazione      e'      rinvenibile
nell'interrelazione reciproca della doppia finalita',  che  non  puo'
andare a nocumento dell'interesse pubblico che il provvedimento  mira
a tutelare dal momento che - come gia' detto - prevalgono le  istanze
di  cura  di  detto  interesse  (mentre  la  potesta'  afflittiva  e'
recessiva) e che in ogni caso entrambe le funzioni  assolte  di  cura
del bene paesaggistico leso e di deterrenza, sono comunque  destinate
da ultimo a tutelare l'interesse della collettivita', alla quale,  in
ultima istanza, e' comunque preordinata anche  la  potesta'  punitiva
dello Stato: «La sanzione in "senso stretto" e' irrogata  tramite  un
procedimento diverso da quello previsto dalla legge 7 agosto 1990, n.
241, che fa capo alla legge n. 689/1981, e' garantita,  dai  principi
di legalita', personalita' e colpevolezza (per quanto  mutuati  dalla
legislazione ordinaria e non dalla Costituzione), e' suscettibile  di
integrale riesame giudiziale (senza, cioe', alcun limite di  «merito»
amministrativo),  laddove  alle  sanzioni  «altre»  si  applicano   i
principi dell'attivita' amministrativa  tradizionale  (dettate  dalla
legge generale sul procedimento amministrativo)» (Cons.  St.,  V,  24
gennaio 2019, n. 587). 
    18. Cio' posto, (con riferimento ai tre «punti di frizione» prima
delineati) si osserva che: 
        a) la questione della prescrizione non viene in  rilievo  nel
presente processo, in quanto il primo Giudice ha respinto la  censura
e la parte originaria ricorrente  non  ha  appellato  incidentalmente
detto capo di sentenza  (e  comunque,  sul  punto,  a  soli  fini  di
comprova della coerenza della ricostruzione  complessiva  patrocinata
dal Collegio, si rinvia alla sentenza di  questo  CGARS.  n.  95  del
2021, che  perviene  comunque  alla  conclusione  della  prescrizione
quinquennale,  senza  tuttavia  fondarla  sull'art.   28   legge   n.
689/1981); 
        b)  assumono  invece  rilevanza  le   tematiche   concernenti
l'irretroattivita' del vincolo paesaggistico  imposto  sull'area  (in
ordine  alla  quale  si  e'  prima  chiarito,  in  punto  di   fatto,
orientamento del Collegio) e l'intrasmissibilita' della  sanzione  ad
eredi ed aventi causa. 
        Su dette tematiche si sofferma immediatamente di  seguito  il
Collegio. 
    18.1. Come gia' rammentato nella parte «in  fatto»,  con  l'unica
censura incidentale proposta, l'appellata si e' doluta  del  capo  di
sentenza reiettivo del  motivo  articolato  in  primo  grado  teso  a
sostenere l'illegittimita' dell'ingiunzione di pagamento  in  ragione
dell'intrasmissibilita' dell'obbligo di corrispondere l'indennita' di
cui all'art. 167, comma 5, decreto legislativo n. 42/2004  (l'attuale
proprietaria ha ereditato l'immobile quando l'abuso  era  gia'  stato
compiuto). 
    18.2. Il motivo non e' meritevole di accoglimento. 
    Per i  motivi  gia'  esposti  non  puo'  trovare  ingresso  nella
disciplina  dell'istituto  l'intrasmissibilita'   prevista   per   le
sanzioni amministrative pecuniarie dall'art. 7 legge n. 689/1981 (che
deriva dalla qualificazione della somma dovuta quale «Vera e  propria
sanzione amministrativa», cosi' CGARS 10 aprile 2017,  n.  175  e  27
novembre 2017, n.  520),  avendo  l'istituto  in  esame  una  portata
afflittiva solo parziale, cosi' da determinare, come gia'  visto,  la
non applicazione legge n. 689/1981. 
    La questione della trasmissibilita' agli eredi deve quindi essere
affrontata  sulla  base  delle  regole  generali   del   procedimento
amministrativo. 
    Il caso si connota per il fatto che inizialmente il  proprietario
dell'immobile  ha  deciso  di  agire  al  di   fuori   delle   regole
pubblicistiche di edificazione commettendo quindi un abuso  passibile
di conseguenze  sfavorevoli  a  carico  del  medesimo.  Nondimeno  il
legislatore, allorquando cio' avviene (laddove, cioe', il privato non
si munisce del titolo  abilitante  prima  dell'intervento  edilizio),
consente ugualmente il superamento del precedente abuso attraverso la
presentazione di una specifica domanda in tal senso, che  attesti  la
conformita'  dell'intervento  alla   disciplina   del   Governo   del
territorio, comprensiva anche della  tutela  paesaggistica  (come  si
evince dall'art.  33,  legge  n.  47/1985  e  dall'art.  23  l.r.  n.
37/1985). 
    Il rapporto con l'Amministrazione (e  l'interesse  legittimo  che
connota la situazione  del  privato)  si  instaura  con  l'avvio  del
procedimento amministrativo, che pone il privato nella situazione  di
interesse  legittimo  ed  in  seguito  al  quale  si  attualizza   il
potere-dovere dell'Amministrazione di provvedere. In quel momento  e'
legittimato a presentare la domanda il titolare della  situazione  di
base, nel caso di specie del diritto di proprieta', sul quale insiste
l'interesse legittimo. Se, nel corso del procedimento amministrativo,
viene meno il titolare della situazione di base,  si  ha  successione
nell'interesse  legittimo  (da  accertare   e   valutare   da   parte
dell'Amministrazione) in quanto e nei termini in cui la situazione di
base sia trasmissibile. Nel caso  di  specie  si  e'  verificata  una
successione nella titolarita' della proprieta' dell'immobile abusivo.
Sicche' l'erede,  se  intenzionato  a  non  demolirlo,  e'  tenuto  a
completare la procedura di  sanatoria.  Altrimenti,  ricadono  su  di
esso, in quanto erede del bene (e soggetto che, in quanto tale,  puo'
goderne e disporne), le  conseguenze  negative  dell'abuso  commesso.
L'ingiunzione de  qua,  resa  a  fronte  di  un  'attivita'  edilizia
abusiva, si atteggia infatti «come misura reale imposta  per  ragioni
di tutela del territorio, priva di  finalita'  punitive  ed  efficace
contro ogni soggetto che vanti sul bene cosi' realizzato sine  titulo
un  diritto  reale  o  personale  di   godimento,   indipendentemente
dall'esser stato, o no, l'autore dell'illecito» (Cons.  St.,  VI,  21
dicembre 2020, n. 8171). 
    In termini piu'  generali,  infatti,  il  carattere  reale  della
misura riparatoria e la  sua  precipua  compensazione  di  valori  di
primario rilievo  non  vengono  alterati  nelle  ipotesi  in  cui  il
proprietario non sia responsabile dell'abuso, sempre che  questi  sia
intenzionato  a  non  demolire  l'  immobile:  «il  carattere   reale
dell'abuso  e  la  stretta  doverosita'  delle  sue  conseguenze  non
consentono  di  valorizzare  ai  fini  motivazionali  la   richiamata
alterita'  soggettiva»  (Ad.  plen.  17  ottobre  2017,  n.   7   con
riferimento  all'abuso   edilizio).   D'altra   parte,   l'acquirente
dell'immobile abusivo o del sedime su cui e' stato realizzato succede
in tutti i rapporti giuridici  attivi  e  passivi  relativi  al  bene
ceduto  facenti  capo  al  precedente  proprietario,   ivi   compresa
l'abusiva trasformazione, godendo del bene e correlativamente subendo
gli effetti del medesimo, pur  essendo  l'abuso  commesso  prima  del
passaggio di proprieta' (Cons. St., II, 5 novembre 2019, n. 7535). 
    Ne deriva  che  l'appellante  incidentale  non  puo'  rivendicare
l'alterita' soggettiva in funzione impeditiva rispetto  alla  debenza
della somma: la giurisprudenza prima richiamata coglie  correttamente
(quanto all'ordine di demolizione di cui al  decreto  del  Presidente
della Repubblica n. 380 del 2001) l'ambulatorieta' del  ripristino  e
l'inefficacia dissuasiva di ogni previsione  ripristinatoria  ove  la
stessa  potesse   essere   frustrata   dismettendo   la   titolarita'
dell'immobile: affermare  l'intrasmissibilita'  della  previsione  ex
art. 167 del decreto legislativo n. 42 del  2004  sarebbe  incoerente
sotto il profilo sistematico ed  ingiustificabile  sotto  il  profilo
logico (il positivo giudizio  di  compatibilita'  e'  condizione  per
ottenere la sanatoria e quindi per evitare l'emissione dell'ordine di
demolizione). 
    18.3.  La  censura  incidentale  postulante  l'intrasmissibilita'
della sanzione ai sensi dell'art. 7, legge  n.  689/1981,  e'  quindi
infondata, seppure alla stregua di un percorso ricostruttivo in parte
diverso rispetto a quello del primo Giudice. 
    19. Affrontati, e ritenuti infondati, i  motivi  sopra  esaminati
(il   secondo   e   subordinato   motivo   dell'appello   principale,
l'articolazione del primo motivo dell'appello  principale  incentrata
sulla preesistenza di un vincolo paesaggistico rispetto al momento di
commissione dell'abuso e l'unico  motivo  dell'appello  incidentale),
non rimane al Collegio che procedere nello scrutinio del primo motivo
contenuto nell'appello principale. 
    19.1. Con detta censura l'appellante ha dedotto che il  Tribunale
amministrativo regionale avrebbe commesso  un  errore  fattuale,  non
ritenendo che alla data di commissione dell'abuso edilizio per cui e'
causa  l'area  sarebbe  stata  (gia')  interessata  da   un   vincolo
paesaggistico (e non soltanto archeologico),  vigente  sin  dal  1971
(quindi precedente al vincolo introdotto dalla legge n. 431/1985). 
    19.2. Il Tribunale amministrativo regionale ha accolto la censura
incentrata sulla sopravvenienza del  vincolo  paesaggistico  rispetto
alla commissione dell'abuso argomentando sulla  base  del  canone  di
irretroattivita' desumibile dall'art. 1,  legge  n.  689/1981  e  dal
comma 3 dell'art. 5 l.r. n. 17/1994. 
    19.3. L'appellata ha controdedotto alle critiche dell'appellante,
sostenendo  l'esattezza  dell'approdo  del  Tribunale  amministrativo
regionale (ex art. 1, legge n. 689/1981 ed art. 5, l.r. n. 17/1994) e
ribadendo che, sino all'entrata in vigore legge n. 431/1985 (in epoca
quindi successiva alla  realizzazione  dell'abuso),  l'area  non  era
interessata da alcun vincolo paesaggistico. 
    19.4. Il Collegio ritiene, come gia' illustrato sopra,  che  fino
alla legge n. 431/1985 l'area ove insiste immobile de quo  non  fosse
gravata da alcun vincolo paesaggistico. 
    19.5. Il  caso  in  esame  e'  quindi  connotato  da  un  vincolo
paesaggistico sopravvenuto rispetto alla realizzazione del  manufatto
abusivo (ultimata nel 1973/1976, come  si  evince  dalla  domanda  di
sanatoria). 
    20. Viene quindi in  rilievo  il  tema,  comune,  come  detto,  a
numerose   altre   controversie    pendenti    presso    il    CGARS,
dell'applicazione dell'art. 1 della legge n. 689/1981 e dell'art.  5,
comma 3 l.r. n. 17/1994. 
    20.1. Come gia' motivato, il Collegio ritiene che l'indennita' di
cui -all'art. 167, comma 5 decreto legislativo n. 42/2004  abbia  una
funzione riparatoria, essendo  funzionale  alla  cura  dell'interesse
paesaggistico, e quindi che alla medesima non si applichi la legge n.
689/1981. 
    Detta qualificazione dell'indennita' in parola  impone  piuttosto
di considerare  la  normativa  vigente  al  momento  della  pronuncia
dell'Amministrazione, in base alla regola generale  (non  applicabile
all'attivita' sanzionatoria in senso stretto)  per  cui  la  pubblica
amministrazione, sulla quale  a  norma  dell'art.  97  Cost.  incombe
l'obbligo di osservare la legge, deve  necessariamente  tener  conto,
nel  momento  in  cui  provvede,  della   norma   vigente   e   delle
qualificazioni giuridiche che essa impone (Ad. plen. n. 20/1999). 
    20.2. Declinando la suddetta norma di azione dell'Amministrazione
nel settore di interesse l'Adunanza plenaria  ha  affermato  che,  in
base alla disciplina nazionale (art. 32 della legge n.  47/1985,  che
fa riferimento ai  vincoli  paesaggistici,  e  successivi  interventi
normativi, di cui all'art. 4 del decreto-legge n. 146/1985,  all'art.
12  del  decreto-legge  n.  2/1988,   dichiarato   costituzionalmente
illegittimo da Corte costituzionale 10 marzo 1988, n.  302,  all'art.
2, comma 43, della legge n. 662/1996 e all'art. 1, legge n. 449/1997)
e al diritto vivente  formatosi  su  di  essa,  «la  disposizione  di
portata generale di cui all'art. 32, primo comma, relativa ai vincoli
che appongono limiti  all'edificazione,  non  reca  alcuna  deroga  a
questi principi, cosicche' essa deve  interpretarsi  «nel  senso  che
l'obbligo di pronuncia da parte dell'autorita' preposta  alla  tutela
del vincolo sussiste in  relazione  alla  esistenza  del  vincolo  al
momento in cui deve  essere  valutata  la  domanda  di  sanatoria,  a
prescindere dall'epoca d'introduzione del vincolo. E appare  altresi'
evidente che tale valutazione corrisponde alla esigenza  di  vagliare
l'attuale compatibilita', con il vincolo,  dei  manufatti  realizzati
abusivamente» (Ad. plen. n. 20/1999). 
    La  giurisprudenza  amministrativa  successiva  ha   seguito   la
suddetta impostazione (Cons. St., VI, 25  marzo  2019,  n.  1960;  25
gennaio 2019, n. 627 e 22 febbraio 2018, n.  1121;  IV,  14  novembre
2017, n. 5230). E cio' anche  in  relazione  all'indennita'  connessa
all'accertamento  postumo   di   compatibilita'   paesaggistica   del
manufatto   abusivo,   comunque   dovuta   a    livello    nazionale,
indipendentemente   dalla   qualificazione   della   medesima    come
sanzionatoria o risarcitoria. In tale ambito,  pertanto,  non  si  e'
ritenuto applicabile l'art. 1, legge n. 689/1981, anche  (seppur  con
le contraddittorieta' evidenziate sopra) nei casi in cui l'indennita'
di cui all'art. 167, comma 5 decreto legislativo n. 42/2004 e'  stata
qualificata come sanzionatoria (con conseguente conferma dell'opzione
ermeneutica illustrata sopra che supera le  contraddittorieta'  della
piu' risalente impostazione). 
    Il consolidarsi di tale orientamento -che il Collegio  condivide-
si spiega anche in ragione del portato dell'art. 2, comma 46 legge n.
662 del 1996, che esplicita come, in caso di  condono,  resti  dovuta
l'indennita' per danno al paesaggio (di cui infra quanto ai  rapporti
con la normativa regionale) e  la  giurisprudenza  si  e'  conformata
(Cons. St., VI, 22 luglio 2018, n. 4617; Id., II, 2 ottobre 2019,  n.
6605). 
    «Di tale  disposizione,  entrata  in  vigore  successivamente  al
provvedimento impugnato in primo grado, la Sezione, conformemente  ad
un orientamento consolidato di questo Consiglio, ha gia'  avuto  modo
di rilevare «la natura  chiaramente  interpretativa»,  in  quanto  la
sanzione paesaggistica va fatta risalire alla disciplina di cui  alla
legge del 1939 e la sua applicazione retroattiva anche  alle  domande
di condono presentate, ai sensi della legge n. 47/1985 in  quanto  la
formula utilizzata («qualsiasi intervento  realizzato  abusivamente»)
lascia chiaramente intendere che il perimetro applicativo della norma
prescinde dall'epoca alla quale risale la presentazione della domanda
di condono, venendo invero  in  considerazione  il  danno  ambientale
perpetrato invece che l'assetto procedimentale per  il  conseguimento
della sanatoria urbanistica (...). 
    La natura interpretativa della norma,  quale  espressione  di  un
principio di  autonomia  tra  sanatoria  edilizia  e'  paesaggistica,
comporta l'applicazione anche alla  sanatoria  presentata,  ai  sensi
dell'art. 13 della  legge  n.  47/1985,  nel  1990,  trattandosi  del
medesimo rapporto  di  autonomia  tra  procedimento  paesaggistico  e
procedimento edilizio» (Cons. St. II, 30 ottobre 2020, n. 6678). 
    20.3.  In  considerazione  della  disciplina  vigente  in  ambito
nazionale, quindi, ad avviso del Collegio: 
        a) non troverebbe applicazione, per le gia' esposte  ragioni,
l'art. 1 della legge n. 689/1981; 
        b) la controversia andrebbe decisa  sulla  base  della  legge
vigente al  momento  della  pronuncia  dell'amministrazione,  con  la
conseguenza che, in presenza di un vincolo attuale (nel senso  appena
detto), l'indennita' sarebbe dovuta (e l'appello andrebbe accolto sul
punto, con conseguente riforma dell'impugnata decisione ed  integrale
reiezione del ricorso di primo grado). 
    20.4. Senonche', pur essendosi esclusa l'applicabilita' dell'art.
1, legge n. 689/1981, ai fini della compiuta disamina della  tematica
della irretroattivita' occorre adesso confrontarsi  con  un'ulteriore
disposizione normativa di matrice regionale. 
    Nella Regione Siciliana viene in evidenza l'art. 5, comma 3  l.r.
n. 17/1994, recante «norma di  interpretazione  autentica»  dell'art.
23, comma 10 della  l.r.  10  agosto  1985,  n.  37,  che  nel  testo
«sopravvissuto» alla sentenza della Corte costituzionale  8  febbraio
2006, n. 39 (che dichiaro' costituzionalmente illegittimo l'art.  17,
comma 11, l.r. 16 aprile 2003, n.  4)  dispone  che  «il  nulla  asta
dell'autorita' preposta alla gestione del vincolo  e'  richiesto,  ai
fini della concessione in sanatoria,  anche  quando  il  vincolo  sia
stato apposto  successivamente  all'ultimazione  dell'opera  abusiva.
Tuttavia, nel caso di vincolo  apposto  successivamente,  e'  esclusa
l'irrogazione  di  sanzioni  amministrative  pecuniarie,  discendenti
dalle norme disciplinanti lo stesso, a carico dell'autore  dell'abuso
edilizio". 
    Viene in  particolare  in  evidenza  l'ultimo  periodo  di  detta
disposizione, che inibisce l'irrogazione di  sanzioni  amministrative
pecuniarie in caso di vincolo sopravvenuto. 
    20.5.  Il  Collegio,  prima   di   affrontare   il   tema   della
costituzionalita' di detta disposizione, ritiene utile premettere  di
ritenere vigente la medesima (sulla scia di CGARS,  sezioni  riunite,
12 maggio 2021, n. 149; Id., sezioni riunite, 12 maggio 2021, n. 147;
Id., e sezioni riunite  10  maggio  2021,  n.  354)  in  una  duplice
prospettiva. 
    20.6. Quanto  al  primo  profilo,  si  rileva  che  -secondo  gli
insegnamenti del Giudice delle leggi -il fenomeno della  reviviscenza
di norme abrogate non opera in via generale ed automatica  in  quanto
esso produce come effetto il ritorno in  vigore  di  disposizioni  da
tempo  soppresse,  con  conseguenze  imprevedibili  per   lo   stesso
legislatore e per le autorita' chiamate a  interpretare  e  applicare
tali norme, con ricadute negative in termini di certezza del diritto,
che esprime un principio essenziale per il sistema delle fonti (Corte
cost. 24 gennaio 2012, n. 13) ed alla tenuta del  sistema  giuridico,
in quanto espressione delle esigenze di sicura  conoscibilita'  delle
norme che compongono l'ordinamento. 
    Esso puo' pertanto essere ammesso  in  ipotesi  tipiche  e  molto
limitate. 
    La  Corte  costituzionale  ha  ritenuto  di  poter   parlare   di
reviviscenza nell'ipotesi  di  annullamento  di  norma  espressamente
abrogatrice  da  parte  del   giudice   costituzionale,   che   viene
individuata come caso a se' (Corte cost. 24 gennaio 2012, n. 13). 
    Nel caso di specie l'art. 17, comma 11, l.r. n. 4 del  2003  («Il
parere  dell'autorita'  preposta  alla  gestione   del   vincolo   e'
richiesto, ai fini della concessione  o  autorizzazione  edilizia  in
sanatoria,  solo  nel  caso  in  cui  il  vincolo  sia  stato   posto
antecedentemente   alla   realizzazione   dell'opera   abusiva»)   ha
sostituito l'art. 5,  comma  3,  l.r.  n.  17/1994  («il  nulla  osta
dell'autorita' preposta alla gestione del vincolo  e'  richiesto,  ai
fini della concessione in sanatoria,  anche  quando  il  vincolo  sia
stato apposto successivamente all'ultimazione  dell'opera  abusiva»),
offrendo, dell'art. 23,  l.r.  n.  35  del  1987,  un'interpretazione
opposta. Sicche' di fatto  ha  abrogato  l'interpretazione  contenuta
nell'art.  5,  comma  3  l.r.  n.  17/1994   nella   sua   originaria
formulazione. 
    L'inoperativita' della reviviscenza renderebbe priva  di  effetti
la pronuncia  di  incostituzionalita'.  Fra  le  due  interpretazioni
possibili (il vincolo sopravvenuto comporta comunque la necessita' di
chiedere il nulla osta paesaggistico in  caso  di  abuso,  oppure  il
vincolo paesaggistico sopravvenuto inibisce il potere  dell'autorita'
paesaggistica), avrebbe continuato  ad  essere  applicata  la  regola
dettata dalla  disposizione  costituzionalmente  illegittima:  e'  la
stessa Corte costituzionale a rendere conto, nella sentenza n. 39 del
2006, della concezione opposta  e  inconciliabile  recata  dalla  due
disposizioni di legge  che  si  sono  succedute  (in  particolare  la
seconda, quella dichiarata costituzionalmente illegittima, avrebbe un
«significato addirittura opposto a quello che in  precedenza  si  era
gia' determinato  come  autentico»).  Non  potendosi  ammettere  tale
evenienza (cioe' che la disposizione  costituzionalmente  illegittima
continui a produrre effetti) non puo' che ritenersi  che,  dichiarata
costituzionalmente illegittima la sostituzione, riviva la  norma  che
e' stata sostituita, posto che il  meccanismo  sostitutivo  evidenzia
come non sia venuta meno l'esigenza di normare la specifica  materia.
Ne' depone in senso contrario, nel caso di specie, la circostanza che
la norma  sostituita  e  quella  che  la  sostituisce  costituiscono,
entrambe,  disposizioni  di  interpretazione  autentica   (cosi'   la
richiamata sentenza della  Corte  costituzionale  n.  39  del  2006),
sicche'  la  regola  ermeneutica  successiva  (e   costituzionalmente
illegittima) ha prescelto il parametro legislativo opposto rispetto a
quello  precedente,  ma  non   ha   fatto   venir   meno   l'esigenza
interpretativa. 
    Il Collegio ritiene pertanto che sia tuttora in vigore  la  norma
contenuta nell'art. 5, comma 3, l.r. n.  17/1994  nella  formulazione
precedente alla sostituzione operata dall'art. 17, comma 11, l.r.  n.
4 del 2003, anche in considerazione del  fatto  che  l'eventuale  non
conformita' a Costituzione di detta disposizione non si riverbera sul
meccanismo     della     reviviscenza,     determinando     piuttosto
l'illegittimita' costituzionale di esso (se riportato in  vita  dalla
precedente declaratoria di illegittimita' costituzionale). 
    Si aggiunge che nell'occasione di cui alla sentenza  della  Corte
costituzionale n. 30 del 2006 non e' stato valutato l'ultimo  periodo
dell'art. 5, comma 3, l.r. n. 17/1994 («nel caso di  vincolo  apposto
successivamente, e' esclusa l'irrogazione di sanzioni  amministrative
pecuniarie, discendenti dalle norme disciplinanti lo stesso, a carico
dell'autore dell'abuso edilizio») nella formulazione precedente  alla
sostituzione operata dall'art. 17, comma 11, l.r. n. 4/2003,  neppure
laddove  si  afferma  (comunque  in  riferimento  a  un  orientamento
giurisprudenziale   risalente)   che   l'interpretazione    autentica
dell'art. 23, comma 10 della l.r. n. 37/1985,  fornita  dallo  stesso
legislatore regionale con l'art. 5,  comma  3  l.r.  n.  17/1994,  ha
contribuito   al   consolidarsi   a   livello   regionale   di    una
interpretazione analoga a quella in uso a livello nazionale  rispetto
all'art. 32 della legge statale n. 47/1985, specie dopo  l'intervento
dell'Adunanza plenaria del Consiglio di  Stato  con  la  sentenza  22
luglio 1999, n. 20. 
    Sicche' si ritiene di disporre il rinvio pregiudiziale alla Corte
costituzionale proprio in relazione a quella proposizione,  anche  in
ragione di quel principio  di  certezza  del  diritto  (funzionale  a
rendere conoscibile la norma a tutti gli operatori del diritto, anche
all'autorita'  amministrativa  e  al  privato)  cui  e'   preordinato
l'orientamento della Corte sulla reviviscenza. 
    20.7. In secondo luogo, il Collegio ritiene che l'art.  2,  comma
461, n.  662/1996  (cui  la  giurisprudenza  ha  peraltro  attribuito
portata interpretativa: cosi' il gia' richiamato  arresto,  Consiglio
di Stato, II, 30 ottobre 2020, n. 6678), che esplicita che in caso di
condono edilizio resta dovuta l'indennita'  per  danno  al  paesaggio
(«Per le opere eseguite in aree sottoposte al  vincolo  di  cui  alla
legge 29 giugno 1939, n. 1497, e al decreto-legge 27 giugno 1985,  n.
312, convertito, con modificazioni, dalla legge  8  agosto  1985,  n.
431,  il  versamento  dell'ablazione  non   esime   dall'applicazione
dell'indennita' risarcitoria prevista dall'art. 15 della citata legge
n. 1497/1939), non abbia abrogato la disposizione regionale del 1994.
Cio'  in  quanto,  in  ambito  di  competenza  legislativa  esclusiva
devoluta ad una regione a statuto speciale (come e' nella specie)  ed
in  presenza  di  legge  regionale,  la  successiva   legge   statale
(incompatibile)  non  supporta,  fatta  salva  l'ipotesi  del  rinvio
dinamico, il sistema della successione  delle  leggi  nel  tempo  nel
senso di ritenere implicitamente abrogata la legge precedente il  cui
contenuto sia incompatibile con  il  disposto  della  fonte  primaria
successiva: osta la competenza legislativa  esclusiva  della  Regione
Sicilia  (di  cui  infra)   che   impone   di   valutare   non   solo
l'incompatibilita' ma anche la portata della successiva norma statale
in termini di norma  nazionale  di  grande  riforma,  richiedendo  la
pronuncia sul punto della Corte costituzionale. 
    Mentre l'ordinamento italiano devolve il primo profilo  (relativo
all'incompatibilita')  al  giudizio  diffuso·  degli  operatori   del
diritto che si trovino ad applicarla, non avviene cosi'  rispetto  al
secondo profilo di  valutazione  (appartenenza  o  meno  della  norma
statale alla categoria delle  norme  di  grande  riforma),  devoluto,
anche in ragione  della  complessita'  che  lo  connota,  alla  Corte
costituzionale, anche nella prospettiva della certezza  del  diritto.
Del  resto  «i  due  istituti  giuridici  dell'abrogazione  e   della
illegittimita' costituzionale delle leggi non sono identici fra loro,
si muovono su piani diversi, con effetti  diversi  e  con  competenze
diverse. Il campo dell'abrogazione  inoltre  e'  piu'  ristretto,  in
confronto  di  quello  della illegittimita'   costituzionale,   e   i
requisiti richiesti perche' si abbia abrogazione per incompatibilita'
secondo i principi generali sono assai piu' limitati  di  quelli  che
possano consentire la dichiarazione di illegittimita'  costituzionale
di una legge» (Corte cost. 14 giugno 1956, n. 1). 
    Il rapporto fra l'art. 5, comma 3 l.r. n.  17/1994  e  l'art.  2,
comma 46 legge n. 662 del 1996, non trovando soluzione  nelle  regole
che governano  la  successione  delle  leggi  nel  tempo,  e'  quindi
ricompreso nella questione di legittimita' costituzionale che si pone
alla Corte costituzionale. 
    21. Ritenuto quanto sopra, il Collegio intende porre la questione
di legittimita' costituzionale sull'art. 5, comma  3  della  l.r.  n.
17/1994,  con  specifico  riferimento  all'ultimo  periodo  di  detta
disposizione, che inibisce l'irrogazione di  sanzioni  amministrative
pecuniarie  in  caso  di  vincolo  sopravvenuto   («il   nulla   osta
dell'autorita' preposta alla gestione del vincolo  e'  richiesto,  ai
fini della concessione in sanatoria,  anche  quando  il  vincolo  sia
stato apposto  successivamente  all'ultimazione  dell'opera  abusiva.
Tuttavia, nel caso di vincolo  apposto  successivamente,  e'  esclusa
l'irrogazione  di  sanzioni  amministrative  pecuniarie,  discendenti
dalle norme disciplinanti lo stesso, a carico dell'autore  dell'abuso
edilizio»). 
    21.1. La questione e' rilevante  in  ragione  di  quanto  a  piu'
riprese considerato ed in quanto, in costanza della  norma  regionale
suddetta  (e  pur  essendo  il  Collegio  persuaso  che   non   trovi
applicazione il disposto di cui all'art. 1, legge  n.  689/1981)  nel
caso di specie dovrebbe confermarsi la pronuncia di primo  grado  che
ha annullato l'ingiunzione di pagamento dell'indennita',  atteso  che
il vincolo paesaggistico e' stato apposto dopo la realizzazione della
costruzione abusiva. 
    Laddove, invece, la norma venga meno in seguito  a  pronuncia  di
incostituzionalita'  (ovvero   anche,   semplicemente,   laddove   si
ritenesse, difformemente da quanto ipotizzato dal questo Giudice, che
la  predetta  disposizione  non  sia  piu'  in   vigore   in   quanto
implicitamente abrogata) il Collegio dovrebbe determinarsi  in  senso
opposto,  riformando  la  sentenza  di  primo  grado.  Non  puo'  poi
sottacersi la particolare  rilevanza  che  assume  la  questione  per
questo CGARS (oltre che per l'Amministrazione siciliana e i cittadini
che afferiscono al  relativo  territorio),  atteso  che  il  presente
giudizio e' uno dei circa  ottanta  attualmente  pendenti  innanzi  a
questo Consiglio di Giustizia Amministrativa  ed  aventi  ad  oggetto
immobili edificati abusivamente nell'area della Valle dei  Templi  in
Agrigento nella medesima area. 
    22. Sembra evidente che l'art. 5, comma 3, l.r. n. 17/1994 (nello
stabilire che l'art. 23, comma 10,  l.r.  n.  37/1985,  debba  essere
interpretato nel senso che «il  nulla  osta  dell'autorita'  preposta
alla gestione del vincolo e' richiesto, ai fini della concessione  in
sanatoria, anche quando il vincolo sia stato apposto  successivamente
all'ultimazione dell'opera abusiva», dispone che «nel caso di vincolo
apposto  successivamente,  e'  esclusa  l'irrogazione   di   sanzioni
amministrative pecuniarie, discendenti dalle norme  disciplinanti  lo
stesso, a  carico  dell'autore  dell'abuso  edilizio»)  sia  volto  a
impedire che dall'abuso derivino effetti  negativi  sul  proprietario
dell'immobile allorquando il vincolo paesaggistico e' successivo alla
realizzazione dell'abuso (e sembra altresi' evidente che,  in  questa
chiave di lettura, tale esenzione  ricomprenderebbe  anche  eredi  ed
aventi causa, che altrimenti ci si  troverebbe  al  cospetto  di  una
illogicita'   incomprensibile:   l'autore   dell'   abuso    verrebbe
«privilegiato» rispetto all'avente causa di questi). 
    La voluntas  legis  regionale  non  pare,  in  tale  prospettiva,
attribuire  un  ruolo  decisivo  all'uso  del   termine   «sanzione»,
ritenendosi piuttosto che essa voglia impedire l'esborso  di  denaro,
indipendentemente dalla qualificazione di  quest'ultimo.  Il  termine
sanzione delinea la conseguenza di carattere  patrimoniale  derivante
dall'aver  realizzato  un'opera  abusiva  ed  e'  coerente   con   la
qualificazione attribuita all' epoca all'indennita' in discorso. 
    In  tal  senso  si  ritiene  che  la  possibilita'   di   esporre
un'interpretazione costituzionalmente  orientata,  che,  valorizzando
l'utilizzo  del   termine   «sanzione»,   ritenga   non   applicabile
all'indennita' di cui all'art. 167, comma 5 del  decreto  legislativo
n. 42/2004 la norma regionale contenuta nell'art. 5,  comma  3  della
l.r. n. 17/1994,  non  sia  percorribile:  osta  il  principio  della
certezza del diritto. Il profilo emerge con evidenza se si  considera
la gia'  richiamata  circostanza  relativa  all'attuale  pendenza  di
ottanta giudizi di  contenuto  analogo  presso  questo  CGARS,  cosi'
risaltando la rilevanza che assume il connotato  della  certezza  del
diritto  non  solo  per  l'organo  giurisdizionale  ma  altresi'  per
l'Amministrazione siciliana e gli abitanti del relativo territorio. 
    Invero, a tacere del fatto che, se si interpretasse in tal  senso
la disposizione regionale,  si  determinerebbe  un'ipotesi  di  norma
inutiliter data, si aggiunge che l'art. 5 l.r.,  per  come  e'  stato
costantemente  applicato,  intende  riferirsi,  laddove  utilizza  il
termine «sanzione», proprio all'indennita' per danno al paesaggio. 
    Si ritiene pertanto  che  la  disposizione  regionale  della  cui
legittimita' costituzionale si dubita sia riferita all'indennita'  di
cui  all'art.  167   comma   5   decreto   legislativo   n.   42/2004
(indipendentemente dalla qualificazione  di  detta  indennita'  sulla
quale ci si e' prima soffermati, laddove si ritiene di avere chiarito
le ragioni per le quali il Collegio non la ricompresa nella categoria
delle sanzioni  amministrative  pecuniarie  normate  dalla  legge  n.
689/1981). 
    Nondimeno il Collegio, pur ritenendo che detta qualificazione non
abbia un rilievo cosi' determinante in punto di valutazione della non
manifesta    infondatezza    della    questione    di    legittimita'
costituzionale,  ancorata  alla  diversita'  di  disciplina  con   la
normativa statale  in  punto  di  abuso  paesaggistico  (nei  termini
illustrati infra), come si dira', non ignora  che  la  qualificazione
dell'indennita' in  parola  in  termini  di  sanzione  amministrativa
pecuniaria non e' indifferente per il Giudice ad quem, come si  avra'
modo di illustrare nel paragrafo 23. 
    22.1.  Premesso  cio',  la  valutazione   della   non   manifesta
infondatezza si articola innanzitutto nel senso che l'art. 5, comma 3
l.r. n.  17/1994,  nella  formulazione  ritenuta  vigente,  viola  la
competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela dei
beni culturali e del paesaggio, ai sensi degli articoli 9 e 117 comma
2, lettera s) della Costituzione, in  quanto  determina  una  lesione
diretta  dei  beni  culturali  e  paesaggistici  tutelati,   con   la
conseguente  grave  diminuzione  del  livello  di  tutela   garantito
nell'intero  territorio  nazionale.  La  predetta   norma   regionale
interseca la disciplina sulla protezione  del  paesaggio  (in  quanto
provvede a delineare le conseguenze dell'abuso anche  paesaggistico),
normativa che, a sua volta, rispecchia la natura unitaria del  valore
primario e assoluto dell'ambiente, di esclusiva spettanza statale  ai
sensi dell'art 117, comma 2, lettera s) della Costituzione. 
    Cio' in quanto: 
        ai sensi dell'art. 9, comma 2, Cost. la Repubblica tutela  il
paesaggio e il patrimonio storico della Nazione; 
        l'art. 117, comma 2 lettera s), Cost. attribuisce alla  Stato
la  competenza  legislativa  esclusiva  nella  materia  della  tutela
dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali; 
        l'art. 14, comma 1, lettera n), dello Statuto speciale  della
Regione Sicilia, approvato con  r.d.l.  15  maggio  1946,  n.  455  e
successive  modificazioni  e  integrazioni,  riconosce  una  potesta'
legislativa esclusiva  in  materia  di  tutela  del  paesaggio  e  di
conservazione delle antichita' e delle opere artistiche. 
    In merito alla materia del paesaggio si rileva che: 
        l'art. 9 Cost. (la  Repubblica  «tutela  il  paesaggio  e  il
patrimonio storico e artistico  della  Nazione»)  ha  costituito,  in
combinato disposto con gli articoli 2 e 32 Cost., l'asse portante per
il riconoscimento del diritto primario  a  godere  di  un  ambientale
salubre,  e  cio'  attraverso  la  lettura  effettuata  dalla   Corte
costituzionale  nelle  sentenze  n.  210  e  n.  641  del  1987,  poi
consacrato nel 2001, con la riforma del titolo V della  Costituzione,
attraverso i rinvii espressi ad  ambiente  ed  ecosistema  introdotti
dall'art. 117, secondo comma, lettera s); 
        la nozione di paesaggio di cui  all'art.  9  Cost.  ha  cosi'
assunto una connotazione che partecipa sia dell'esigenza di  cura  di
singoli beni, quindi dei valori storici, culturali  ed  estetici  del
territorio, sia quella di non pretermettere l'interesse  alla  tutela
dell'ambiente, sia  quell'attenzione  alla  materia  dell'urbanistica
(Corte cost. 21 aprile 2021, n. 74 e 17 aprile 2015, n. 64); 
        specularmente l'ampia nozione  di  ambiente,  cosi'  come  e'
stata ricostruita specie dopo il 200l, ha una  morfologia  complessa,
capace  di  ricomprendere   non   solo   la   tutela   di   interessi
fisico-naturalistici, ma anche  i  beni  culturali  e  del  paesaggio
idonei  a  contraddistinguere  in   modo   originale,   peculiare   e
irripetibile un certo ambito geografico e territoriale  (Corte  cost.
30 marzo 2018, n. 66, punto 2.2. del Considerato in diritto). 
    Detto cio' in punto di norme costituzionali  di  interesse  nella
presente controversia si rileva conseguentemente, in  relazione  alle
soggettivita' coinvolte dalle suddette attribuzioni, che: 
        la tutela del paesaggio non si identifica con una materia  in
senso  stretto,  dovendosi  piuttosto  intendere   come   un   valore
costituzionalmente  protetto,  integrante  una  materia   trasversale
(Corte cost. 17 aprile 2017, n. 77), sulla quale lo  Stato  esercita,
in ragione della portata ascensionale della  sussidiarieta',  istanze
unitarie che trascendono l'ambito regionale (Corte cost.  1°  ottobre
2003, n. 303); 
        in molteplici occasioni, codesta Corte ha  affermato  che  la
conservazione 
        ambientale e paesaggistica  spetta,  in  base  all'art.  117,
comma 2 lettera s) Cost., alla  cura  esclusiva  dello  Stato  (Corte
cost. 23 luglio 2018, n. 172); 
        l'attribuzione allo Stato della competenza esclusiva di  tale
materia-obiettivo non implica una preclusione assoluta all'intervento
regionale, purche' questo sia volto  all'implementazione  del  valore
ambientale e all'innalzamento dei suoi livelli di tutela (sentenza 23
luglio 2019, n. 172, punto 6.2. del Considerato in diritto e sentenza
n. 178/18, punto 2.1. del Considerato in diritto; nello stesso  senso
sentenza Corte costituzionale 17 aprile 2017, n. 77, 16 luglio  2014,
24 ottobre 2013, n. 246, 20 giugno 2013, n. 145, 26 febbraio 2010, n.
67, 18 aprile 2008, n. 104 e 14 novembre 2007, n. 378); 
        alle regioni non e' consentito  modificare  gli  istituti  di
protezione ambientale che dettano una disciplina  uniforme,  valevole
su tutto il territorio nazionale, «senza che cio' sia giustificato da
piu' stringenti ragioni di tutela» (Corte cost. 21  aprile  2021,  n.
74); 
        fra gli istituti di protezione  ambientale  che  dettano  una
disciplina uniforme, valevole su tutto il territorio  nazionale,  che
alle regioni non e' consentito  modificare,  deve  essere  annoverata
l'autorizzazione paesaggistica (Corte cost. 21 aprile 2021, n. 74). 
    Con  specifico  riferimento  alle  competenze  legislative  delle
regioni  a  statuto  speciale  la  giurisprudenza  costituzionale  ha
sottolineato che il legislatore statale, tramite  l'emanazione  delle
norme di grande riforma economico-sociale, «conserva il potere -anche
relativamente al  titolo  competenziale  legislativo  «nella  materia
«tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali», di  cui
all'art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, [...] di
vincolare la potesta' legislativa primaria delle  regioni  a  statuto
speciale» (sentenza  n.  238/2013,  punto  2.2.  del  Considerato  in
diritto). 
    Specularmente la Regione  Siciliana,  con  specifico  riferimento
alla competenza  legislativa  esclusiva  attribuitale  dallo  Statuto
speciale in materia di paesaggio e di urbanistica,  deve  rispettare,
oltre che, in generale, i precetti costituzionali, anche le «norme di
grande riforma economico-sociale» poste  dallo  Stato  nell'esercizio
delle proprie competenze legislative (Corte cost. 8 novembre 2017, n.
232   con   riferimento   alla   disciplina   dell'accertamento    di
conformita'). 
    A cio' si aggiunge che la definizione dell'ambiente quale materia
trasversale porta con se'  consente  l'attivazione,  da  parte  dello
Stato, istanze unitarie che trascendono l'ambito regionale in ragione
della portata  ascensionale  della  sussidiarieta',  (Corte  cost.  1
ottobre 2003, n. 303). 
    In ragione di quanto sopra si rileva che: 
        la legge n. 431 del 1995 e' stata qualificata in  termini  di
legge di grande riforma (Corte cost. 27 giugno 1986, n.  151),  cosi'
come il decreto legislativo n. 42/2004 (Corte cost 29  ottobre  2009,
n.  272):  il  codice  dei  beni  culturali  «detta   le   coordinate
fondamentali    della    pianificazione    paesaggistica     affidata
congiuntamente allo Stato e alle regioni (sentenza  n.  66/18,  punto
2.4.  del  Considerato  in  diritto),  in  coerenza  con  i  principi
delineati sopra in tema di  protezione  del  paesaggio  e  di  tutela
dell'ambiente e della valenza  della  disciplina  statale  diretta  a
proteggere l'ambiente e il paesaggio  quale  limite  alla  competenza
legislativa in materia anche delle regioni a statuto speciale; 
        tale qualificazione discende dal fatto che il codice dei beni
culturali e del paesaggio di cui al decreto  legislativo  n.  42/2004
impatta in modo diretto sul valore primario e assoluto del  paesaggio
(«il paesaggio va, cioe', rispettato come valore primario, attraverso
un indirizzo unitario che superi la pluralita' degli interventi delle
amministrazioni locali» (cosi' la sentenza 5 maggio  2006,  n.  182),
cosi' come richiamato dall'art. 9 Cost. e  dall'art.  117,  comma  2,
lettera s), Cost., e  ne  delinea  un  nuovo  assetto,  improntato  a
integrita'  e  globalita',  implicante   una   riconsiderazione   del
territorio nella prospettiva estetica e culturale,  intesa  in  senso
dinamico; 
        l'indennita' di cui all'art. 167, comma 5 decreto legislativo
n. 42/2004, sulla quale e' intervenuto l'art. 2, comma  46  legge  n.
662 del 1996 nei termini sopra delineati, risulta, -in ragione  della
funzione riparatoria rispetto all' esternalita' negativa prodotta con
l'abuso  e   in   funzione   general-preventiva,   di   dissuasione-,
direttamente connessa al valore primario e assoluto  che  il  decreto
legislativo n. 42/2004 attribuisce al paesaggio. 
    23. A fronte di cio': 
        la  disciplina  sul   condono   edilizio   e'   organicamente
regolamentata  in  ambito  nazionale  prevedendo  che  l'accertamento
postumo (nei termini evidenziati sopra, nei paragrafi 17.3., 17.4.  e
17.5.)  della  compatibilita'  paesaggistica  sia  accompagnato   dal
pagamento  dell'indennita'  di  cui  all'art.  167  comma  5  decreto
legislativo n. 42/2004; 
        e' stato gia' illustrato, come il pagamento  della  somma  di
denaro connessa all'accertamento della  compatibilita'  paesaggistica
costituisca  un  tratto  fondamentale  dell'istituto  a  livello   di
disciplina nazionale; 
        come   si   e'   rilevato   sopra,   l'indennita'    connessa
all'accertamento  postumo   di   compatibilita'   paesaggistica   del
manufatto abusivo e' dovuta in ambito nazionale, anche se il  vincolo
paesaggistico e' sopravvenuto rispetto alla realizzazione  dell'abuso
(e cio' indipendentemente dalla qualificazione  della  medesima  come
sanzionatoria o risarcitoria); 
        cio' in  ragione,  da  un  lato,  della  richiamata  Adunanza
plenaria n. 20 del 1999 e, dall'altro  lato,  dell'art.  2  comma  46
legge n. 662 del 1996 (cui la giurisprudenza, come  gia'  illustrato,
ha peraltro attribuito una portata interpretati  va),  che  esplicita
come, in caso di condono, resti  dovuta  l'indennita'  per  danno  al
paesaggio; 
        l'art. 5, comma 3, l.r. n.  17/1994,  nel  prevedere  che  la
sanzione amministrativa pecuniaria non sia  irrogabile  nel  caso  di
sopravvenienza del vincolo paesaggistico  rispetto  alla  commissione
dell'abuso, si discosta dalla disciplina nazionale  sopra  illustrata
lasciando «scoperto» il periodo precedente nel quale l'abuso e' stato
commesso ma l'accertamento di compatibilita' non e' ancora avvenuto; 
        in tal senso viene assicurata sul  territorio  siciliano  una
tutela meno elevata del valore ambiente e paesaggio rispetto a quella
garantita sul rimanente territorio nazionale, 
        in ambito siciliano, infatti,  la  conformita'  attuale  alla
disciplina paesaggistica consente di  superare  il  precedente  abuso
senza ulteriori conseguenze negative, sicche' viene meno il disvalore
ambientale e paesaggistico connesso a  quest'ultimo,  parificando  la
posizione di chi non ha commesso abuso alla posizione di  chi  lo  ha
commesso ma ha ottenuto l'accertamento positivo di conformita' di cui
all'art.  167  decreto  legislativo  n.  42/2004  solo  dopo   averlo
realizzato; 
        cosi' non avviene, come  si  e'  gia'  visto,  sul  rimanente
territorio nazionale, dove la tutela del paesaggio  e'  presidiata  a
livello  generai-preventivo  anche   attraverso   il   pagamento   di
un'indennita'   a   copertura   delle   conseguenze   pregiudizievoli
dell'abuso commesso; 
        tale  ultimo  aspetto  assume   una   particolare   rilevanza
nell'ambito dell'istituto di cui all'art. 167 decreto legislativo  n.
42/2004 (come sopra  gia'  illustrato),  delineando  un  procedimento
avente due prospettive, quella del superamento di una  situazione  di
non conformita' formale  alla  disciplina  paesaggistica  in  seguito
all'accertamento  della  compatibilita'  sostanziale  del   manufatto
(questo a presidio di un principio di efficienza e di scarsita' delle
risorse che accomuna l'intero ordinamento giuridico  e  non  solo  la
prospettiva  pubblicistica)  e  il  contrappeso  del   pagamento   di
un'indennita' in funzione general-preventiva a presidio del  rispetto
ex ante delle regole poste  a  tutela  del  paesaggio  attraverso  il
pagamento dell'indennita' (che altrimenti viene meno la cogenza delle
medesime,  con  conseguente  intaccamento  del  valore   fondamentale
dell'ambiente e del paesaggio); 
        si e' illustrato sopra come il procedimento  e  la  posizione
dell'Amministrazione sul punto si giustifichi e trovi le ragioni  del
proprio canone di azione solo nel bilanciamento  fra  i  due  aspetti
sopra delineati e come non possa esservi l'uno, senza l'altro. 
    L'art.  5,  comma  3  ultimo  periodo  l.r.  n.  17/1994,   nella
formulazione  che  si  ritiene  attualmente   vigente   (come   sopra
illustrato), laddove non consente  l'irrogazione  dell'indennita'  di
cui all'art. 167, comma 5, decreto legislativo n. 42/2004 in caso  di
sopravvenienza del vincolo paesaggistico, contrasta, eccedendo  dalle
competenze attribuite alla Regione Siciliana dall'art. 14, lettera n)
dello Statuto in materia di tutela del paesaggio e  di  conservazione
delle antichita' e delle opere artistiche, con  le  norme  di  grande
riforma  economico-sociale  contenute  nell'art.  167   del   decreto
legislativo n. 42/2004, con conseguente violazione degli articoli 9 e
117, secondo comma, lettera s), Cost. Cio'  in  quanto  comporta  una
significativa alterazione del meccanismo  delineato  dal  legislatore
statale per la tutela dei beni culturali e paesaggistici, cosi'  come
interpretato, da un lato, dalla richiamata Adunanza  plenaria  n.  20
del 1999 e, dall'altro lato, dall'art. 2, comma 46 legge n.  662  del
1996 (cui  la  giurisprudenza,  come  gia'  illustrato,  ha  peraltro
attribuito una portata interpretativa), che esplicita come,  in  caso
di condono, resti dovuta l'indennita' per danno al paesaggio anche in
caso  di  vincolo  sopravvenuto:  non  e'  consentito  alla   Regione
Siciliana adottare una disciplina difforme da quella contenuta  dalla
normativa  nazionale  di  riferimento  che  assicura   il   pagamento
dell'indennita' di cui all'art. 167 decreto legislativo n. 42/2004. 
    23.1. Il Collegio  solleva  altresi'  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 5, comma 3 ultimo periodo l.r.  n.  17/1994,
nella  ridetta  formulazione  che  si  ritiene  attualmente  vigente,
laddove non consente l'irrogazione dell'indennita'  di  cui  all'art.
167, comma 5 decreto legislativo n. 42/2004 in caso di sopravvenienza
del vincolo paesaggistico, in relazione  ai  parametri  di  cui  agli
articoli 3 e 97 Cost. Cio', in quanto la norma censurata consente  di
eliminare  qualsiasi  conseguenza  pecuniaria  negativa  in  caso  di
accertamento postumo della compatibilita' paesaggistica.  Altrettanto
non avviene invece sul restante territorio nazionale,  pur  a  fronte
della medesima situazione di fatto e di  un  livello  di  tutela  del
paesaggio che non  puo'  essere  difforme  (almeno  verso  il  basso,
essendo, come gia'  visto,  consentito  alle  Regioni  unicamente  di
innalzare lo standard di  tutela).  Nel  meccanismo  disegnato  dalla
norma regionale della cui costituzionalita' il  Collegio  dubita,  la
regolarizzazione  del  fatto  lesivo  per  il  paesaggio  (certamente
sussistente al momento della delibazione  dell'amministrazione  sulla
domanda di condono) avviene senza alcuna conseguenza  pregiudizievole
per il suo autore. Dal che la considerazione che  la  disciplina  qui
censurata  possa  indebolire  l'efficacia  deterrente   del   sistema
delineato dall'art. 167 del decreto  legislativo  n.  42/2004,  cosi'
come interpretato dall'Adunanza plenaria n. 20 del 1999 e dall'art. 2
comma 46 della legge n. 662 del 1996, con conseguente  incentivazione
a tenere  il  comportamento,  confidando  nella  possibilita'  di  un
adempimento successivo, in grado di superare l'illecito paesaggistico
commesso: cosi' vanificando l'efficacia deterrente dell'istituto, con
conseguente irragionevolezza intrinseca della disciplina  e  connesso
pregiudizio al buon andamento della pubblica amministrazione. 
    Ne'  giustifica  la  diversita'  di  trattamento  del  danno   al
paesaggio sul territorio siciliano prospettiva  di  un  rapporto  tra
pubblica  amministrazione  e  consociati  imperniato  su  uno  schema
dialogico-collaborativo  anziche'  oppositivo,  che  si   tradurrebbe
nell'imposizione di un obbligo di «avvertire», il  privato  circa  la
necessita' di conformarsi  al  precetto,  che  imporrebbe  la  previa
imposizione del vincolo  paesaggistico  sull'area  oggetto  di  abuso
rispetto alla realizzazione di questo. 
    L'argomentazione  infatti  non   spiega   la   diversita'   della
disciplina siciliana, in quanto  un'argomentazione  analoga  potrebbe
articolarsi anche in relazione al rimanente territorio  nazionale.  A
cio' si aggiunge, in senso  inverso,  che  il  valore  del  paesaggio
giustifica piuttosto, per  i  motivi  sopra  esposti,  l'impostazione
opposta. Non sfugge, tra l'altro, che in riferimento  all'ambito  del
diritto  penale  la  possibilita'  di  riservare  maggiore  spazio  a
meccanismi di riduzione o addirittura di  esclusione  della  pena,  a
fronte di condotte riparatorie delle conseguenze del reato  da  parte
del suo autore, e' stata esplorata recentemente anche dal legislatore
statale con l'introduzione del nuovo art. 162-ter del  codice  penale
ad opera legge 23 giugno 2017, n. 103 (Modifiche al codice penale, al
codice di procedura  penale  e  all'ordinamento  penitenziario),  che
prevede per l'appunto l'estinzione dei delitti procedibili a  querela
soggetta  a  remissione  -senza  alcuna  residua  sanzione   per   il
trasgressore quando, anche in assenza di remissione della querela  da
parte della persona offesa,  questi  abbia  riparato  interamente  il
danno  cagionato  dal  reato  ed  eliminato,   -ove   possibile,   le
conseguenze  dannose  o  pericolose  di  esso  entro  l'apertura  del
dibattimento di primo grado. 
    Nondimeno  nel  caso  di  specie  il  meccanismo  introdotto  dal
legislatore regionale con l'art. 5, comma 3 della l.r. n. 17/1994 non
assicura la riparazione del danno in quanto la regolarizzazione della
posizione del soggetto istante ai sensi dell'art. 167,  comma  5  del
decreto legislativo n. 42/2004 avviene prescindendo dalla valutazione
del pregiudizio arrecato al bene ambiente, che, anzi, tale  omissione
costituisce l'effetto precipuo della norma  regionale  sospettata  di
illegittimita' costituzionale. E cio' e'  ancora  piu'  rilevante  in
quanto l'interesse pubblico al paesaggio presenta le  caratteristiche
dell'interesse almeno in  parte  adespota,  potenzialmente  incidente
sulle  generazioni  future,   e   le   cui   violazioni   determinano
esternalita' negative difficilmente apprezzabili (di talche' anche la
particolare  modalita'  di  quantificazione  dell'indennita'  di  cui
all'art. 167, comma 5). 
    Non puo' quindi ritenersi, in uno con  la  Corte  costituzionale,
che ha ritenuto che l'introduzione del nuovo art. 162-ter del  codice
penale corrisponda a legittime opzioni di  politica  criminale  o  di
politica sanzionatoria (18 gennaio 2021, n. 5), che la scelta operata
dal legislatore regionale con l'art. 5, comma 3 l.r. n.  17/1994  non
trasmodi nella manifesta irragionevolezza o  non  si  traduca  in  un
evidente   pregiudizio    al    principio    del    buon    andamento
dell'amministrazione. 
    L'art.  5  comma  3  della  l.r.  n.  17/1994,  eccedendo   dalle
competenze statutarie della Regione autonoma  della  Sicilia  di  cui
all'art.  14,  comma  1,  lettera  n)  e  quindi  essendo  privo   di
giustificazione, viola  quindi  anche  gli  articoli  3  e  97  della
Costituzione. 
    23.2. Da ultimo, per completezza espositiva, sara' consentita una
considerazione. Si e' gia' chiarito che l'indennita' di cui  all'art.
167 comma 5 decreto  legislativo  n.  42/2004  non  riveste,  per  il
Collegio, i connotati della sanzione amministrativa in ragione  delle
considerazioni sopra illustrate. Nondimeno, se anche si ritenesse  di
attribuire detta  qualificazione  all'indennita'  in  parola,  questo
CGARS  ritiene  che  la  norma  censurata  non  si   presti   a   una
interpretazione  adeguatrice,  che  ne  determini  la  sussumibilita'
nell'ambito   della   categoria   delle    sanzioni    amministrative
sostanzialmente penali. 
    Detta indennita' infatti si situa nell'ambito di una  fattispecie
(quella di cui all'art. 167, comma 5 decreto legislativo n.  42/2004)
favorevole per il privato istante in quanto consente  il  superamento
di un precedente illecito. Sicche' l'analisi concreta delle finalita'
perseguite (gia' sopra illustrata ai paragrafi 17.3., 17.4. e  17.5.)
rende  recessiva,  sulla  base  dei  parametri  Engel,  la  finalita'
punitiva rispetto a quella preventiva,  nel  senso  che  l'indennita'
costituisce una misura  a  tutela  del  paesaggio,  che  consente  di
superare l'illecito  commesso,  alla  quale  risultano  estranei  gli
aspetti meramente afflittivi della pena (potendosi al piu'  rinvenire
delle secondarie finalita' di deterrenza). 
    La tecnica di quantificazione, peraltro, basata sul binomio danno
arrecato-profitto conseguito, osta a ritenere particolarmente elevato
il grado di afflittivita' in quanto la misura del  dovuto  non  trova
giustificazione nella necessita' di assicurare l'effetto punitivo  ma
nel tentativo di rimediare a un danno arrecato. 
    Nella determinazione dell'indennita' non si ha  infatti  riguardo
all'elemento soggettivo del fatto, ne' all'opera  svolta  dall'agente
per l'eliminazione o attenuazione delle conseguenze della  violazione
e neppure alla  personalita'  dello  stesso  e  alle  sue  condizioni
economiche, parametri che il legislatore ha individuato  al  fine  di
assicurare la finalita' punitiva (art. 11 della legge n. 689/1981). 
    Detto  cio'  in  punto  di  non  annoverabilita'  dell'indennita'
controversa nell'ambito delle sanzioni amministrative sostanzialmente
penali, questo CGARS ritiene che  la  riconducibilita'  della  stessa
alla categoria delle sanzioni amministrative (sussumibilita' comunque
avversata da questo CGARS, come sopra illustrato)  non  consentirebbe
comunque di superare le questioni di legittimita'  costituzionale  in
ragione  dei  principi  della  conoscibilita'  del  precetto   e   la
prevedibilita' delle conseguenze sanzionatorie (Corte cost. 29 maggio
2019, n. 134). 
    In altre parole,  questo  CGARS  ritiene  che  non  possa  essere
utilizzato, in  funzione  paralizzante  rispetto  alla  questione  di
legittimita' costituzionale della norma  censurata,  il  rilievo  che
essa (laddove non consente di irrogare  la  «sanzione»  nel  caso  di
sopravventenza del vincolo paesaggistico) sarebbe giustificata  dalla
necessita' di  allineare  la  fattispecie  alla  regola  generale  di
conoscibilita'  del  precetto  la   cui   violazione   determina   la
conseguenza sanzionatoria. 
    Piuttosto,  l'ordinamento  suppone  (e  impone)  che  colui   che
realizza un illecito edilizio  si  assuma  la  responsabilita'  delle
conseguenze negative che dalla condotta derivano nel corso del tempo,
fino a che la posizione del medesimo non risulta nuovamente  conforme
all'ordinamento giuridico  (secondo  il  canone  del  versari  in  re
illicita):  il  precetto  da   conoscere   anticipatamente   non   e'
rappresentato dal singolo vincolo paesaggistico ma dal fatto  che  la
realizzazione del manufatto deve avvenire nel rispetto  delle  regole
di settore, pena, quanto meno, il pagamento di un'indennita'. 
    Il settore non risulta esposto ne' al rischio che,  in  contrasto
con  il   principio   della   divisione   dei   poteri,   l'autorita'
amministrativa  o  il   giudice   assuma[no]   un   ruolo   creativo,
individuando, in luogo del legislatore, i confini  tra  il  lecito  e
l'illecito, ne' al rischio di violare  la  libera  autodeterminazione
individuale, dal momento che consente al destinatario della norma· di
apprezzare le conseguenze giuridiche della  propria  condotta  (cosi'
non realizzandosi  le  situazioni  che  rappresentano  la  ratio  dei
principi della conoscibilita' del  precetto  e  della  prevedibilita'
delle conseguenze sanzionatorie, cosi' (Corte cost. 29  maggio  2019,
n. 134). 
    La disposizione di portata generale di cui all'art. 32, legge  n.
47/1985 rende infatti  rilevanti  i  vincoli  di  tutela  ambientale,
paesaggistico-territoriale,  di   tutela   del   patrimonio   storico
artistico  e  di   tutela   della   salute   che   appongono   limiti
all'edificazione  ai  fini  dell'accertamento   di   conformita'   in
sanatoria: e' la legge che impone quindi una  corrispondenza  stretta
fra il vincolo edilizio e i suddetti  vincoli,  ritenendoli  connessi
quanto  agli  interessi  pubblici   coinvolti   e   inestricabilmente
compromessi dalla concreta realizzazione illecita del manufatto. 
    L'Adunanza plenaria ha ritenuto che detta disposizione non  rechi
alcuna deroga al principio di legalita' in quanto «e'  la  legge  che
attribuisce la funzione e ne definisce  le  modalita'  di  esercizio,
anche attraverso la definizione dei limiti entro i quali  si  possono
ricevere attenzione gli altri interessi, pubblici e  privati,  con  i
quali l'esercizio della funzione interferisce»  e  che  «la  pubblica
amministrazione, sulla quale a norma dell'art. 97 Cost. incombe  piu'
pressante l'obbligo di osservare la legge, deve necessariamente tener
conto, nel momento in cui  provvede,  della  norma  vigente  e  delle
qualificazioni giuridiche che essa impone» (n. 20 del 1999). 
    Sicche', una volta che la cura dell'interesse  paesaggistico,  in
uno con la cura degli altri interessi coinvolti nell'operazione,  sia
cosi' realizzata dall'Amministrazione preposta, questa  e'  tenuta  a
valutare anche i vincoli sopravvenuti rispetto alla costruzione, fino
al momento della propria decisione.  Senonche'  tale  incombenza  (di
considerare anche i vincoli sopravvenuti) non trova  ragion  d'essere
in  un  comportamento  della  parte   pubblica,   essendo   piuttosto
ascrivibile al fatto che in precedenza  il  privato  abbia  agito  in
assenza di titolo,  non  consentendo  cosi'  la  verifica  di  quanto
edificato. 
    Pertanto, se sanzione vi e', essa svolge la funzione di punire il
trasgressore non, in  via  diretta,  per  avere  violato  il  vincolo
paesaggistico, ma per non essersi premunito del titolo  edificatorio,
esponendolo alle conseguenze negative che nel corso del tempo  quella
condotta produce, fino al momento in cui il privato  non  ritiene  di
porre fine alle conseguenze antigiuridiche della stessa,  presentando
la domanda di cui all'art.  167  decreto  legislativo  n.  42/2004  e
l'Amministrazione si pronunci sulla stessa. 
    Non si pone  quindi  un  tema  di  conoscibilita'  del  precetto,
potendosi  al  piu'  porre  una  questione  di  prevedibilita'  delle
conseguenze sanzionatorie, che questo  CGARS  ritiene  superabile  in
ragione del  fatto  che  gli  interessi  coinvolti,  oltre  a  quello
strettamente edificatorio, sono indicati nell'art. 32  e  cosi'  sono
prevedibili le conseguenze che derivano  dalla  violazione  di  detti
interessi: l'unico elemento di aleatorieta' attiene alla mancanza  di
sicurezza in ordine al fatto che l'area interessata dall'illecito sia
nel corso del tempo sottoposta (o meno) a vincolo. 
    Detta    aleatorieta',    peraltro,    e'     contenuta     dalla
predeterminazione della tipologia di vincoli e di conseguenze che  ne
derivano, da un lato, e,  dall'altro  lato,  dal  fatto  che  dipende
proprio dal soggetto «punito» la  possibilita'  di  ridurre,  se  non
azzerare, detta aleatorieta' presentando l'istanza di  compatibilita'
(paesaggistica, per quanto interessa nella presente controversia). 
    24. Detto  cio'  in  funzione  delle  questioni  di  legittimita'
sollevate, proprio per quanto si e' in ultimo esposto nel  precedente
paragrafo questo CGARS non ritiene di  porre  ulteriori  questioni  m
relazione specificamente all'eventuale qualificazione (avversata  dal
Collegio, come sopra illustrato) dell'indennita' di cui all'art. 167,
comma 5  decreto  legislativo  n.  42/2004  in  termini  di  sanzione
amministrativa  dal  momento  che  la  giurisprudenza  costituzionale
ritiene che «la competenza sanzionatoria  amministrativa  non  e'  in
grado di autonomizzarsi come materia a se', ma  accede  alle  materie
sostanziali» (Corte cost. 7 giugno 2018, n. 121), cosi'  assorbendosi
nelle questioni di costituzionalita' gia' poste,  dovendosi  rilevare
che le denunciate problematiche in  punto  di  depotenziamento  della
tutela del  paesaggio  manterrebbero  in  simile  ipotesi  inalterata
consistenza (Corte cost.,  17  novembre  2020,  n.  240,  seppur  con
riferimento a Regione a Statuto ordinario). 
    25. Tanto premesso, richiamando quanto sopra osservato  in  punto
di rilevanza della medesima e riassunto al paragrafo 21 (in  costanza
della  norma  regionale  suddetta  nel  caso   di   specie   dovrebbe
confermarsi  la  pronuncia  di   primo   grado   che   ha   annullato
l'ingiunzione di pagamento dell'indennita',  atteso  che  il  vincolo
paesaggistico  e'  stato  apposto   dopo   la   realizzazione   della
costruzione abusiva, mentre, laddove, invece, la norma venga meno  in
seguito a  pronuncia  di  incostituzionalita'  il  Collegio  dovrebbe
determinarsi in  senso  opposto,  riformando  la  sentenza  di  primo
grado), in punto di non  manifesta  infondatezza  (in  ragione  della
nozione di norma di grande riforma economico sociale, che la  Regione
Siciliana  e'  tenuta  a  rispettare  pur  essendo  titolare  di  una
competenza legislativa esclusiva in materia  di  paesaggio,  e  della
irragionevole  disparita'   di   trattamento»,   ed   in   punto   di
impossibilita' di interpretazione adeguatrice della norma,  il  CGARS
solleva questione di legittimita' costituzionale dell'art. 5, comma 3
l.r. n. 17/1994, per contrasto con gli articoli  9  e  117  comma  2,
lettera s), 3 e 97 della Costituzione ai sensi dell'art. 23, comma 2,
legge 11 marzo 1953, n. 87, ritenendola rilevante. 
    Il processo deve, pertanto, essere sospeso ai  sensi  e  per  gli
effetti di cui agli articoli  79  e  80  c.p.a.  e  295  c.p.c.,  con
trasmissione immediata degli atti  alla  Corte  costituzionale.  Ogni
ulteriore statuizione in rito, in merito e in ordine  alle  spese  e'
riservata alla decisione definitiva. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Il  Consiglio  di  Giustizia  amministrativa   per   la   Regione
Siciliana,   in   sede   giurisdizionale,    parzialmente    e    non
definitivamente pronunciando: 
        respinge il secondo motivo dell'appello principale; 
        respinge  l'articolazione  del  primo   motivo   dell'appello
principale volta a sostenere  che  al  tempo  dell'abuso  sussistesse
nell'area  un  vincolo   paesaggistico,   ovvero   che   il   vincolo
archeologico  ivi  sussistente  fosse  equiparabile  ad  un   vincolo
paesaggistico; 
        respinge l'unico motivo dell'appello incidentale; 
        visto l'art.  23,  legge  11  marzo  1953,  n.  87,  dichiara
rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 5, comma 3, l.r.  n.  17/1994  in  relazione
agli articoli 3, 9, 97 e 117, comma 2, lettera s) della Costituzione,
nei sensi di cui in motivazione; 
        sospende il presente giudizio ai sensi dell'art. 79,  comma 1
c.p.a.; 
        dispone,   a   cura   della    Segreteria    del    Tribunale
amministrativo,  l'immediata  trasmissione  degli  atti  alla   Corte
costituzionale; 
        rinvia ogni ulteriore statuizione in rito, nel merito e sulle
spese di lite all'esito del  giudizio  incidentale  promosso  con  la
presente ordinanza. 
    Ordina che la presente ordinanza sia  notificata,  a  cura  della
Segreteria del Tribunale amministrativo, a tutte le parti in causa, e
che  sia  comunicata   al   Presidente   della   Regione   Siciliana,
all'Assemblea regionale siciliana, al Presidente  del  Consiglio  dei
ministri, al Presidente del Senato della Repubblica ed al  Presidente
della Camera dei deputati. 
    Ordina che  la  presente  sentenza  sia  eseguita  dall'autorita'
amministrativa. 
    Cosi' deciso dal C.G.A.R.S. con sede in Palermo nella  Camera  di
consiglio del giorno 5 maggio 2021, tenutasi da remoto e in modalita'
telematica e con la contemporanea e continua presenza dei magistrati: 
        Fabio Taormina, Presidente; 
        Raffaele Prosperi, consigliere; 
        Sara Raffaella Molinaro, consigliere, estensore; 
        Maria Immordino, consigliere; 
        Antonino Caleca, consigliere; 
 
                       Il Presidente: Taormina 
 
 
                                                L'Estensore: Molinaro