N. 56 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 6 ottobre 2021

Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
cancelleria il 6 ottobre  2021  (del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri). 
 
Edilizia  e  urbanistica  -   Norme   della   Regione   Siciliana   -
  Interpretazione autentica dell'art. 24 della legge regionale n.  15
  del 2004 - Interpretazione nel senso che sono recepiti i termini  e
  le  forme  di  presentazione  delle  istanze  presentate  ai  sensi
  dell'art. 32 del decreto-legge n. 269  del  2003,  convertito,  con
  modificazioni, nella legge n. 326  del  2003,  e  che  resta  ferma
  l'ammissibilita' delle istanze presentate per  la  regolarizzazione
  delle opere realizzate  nelle  aree  soggette  a  vincoli  che  non
  comportino inedificabilita' assoluta. 
- Legge della Regione Siciliana 29 luglio 2021, n. 19 (Modifiche alla
  legge regionale 10 agosto 2016, n. 16 in materia di  compatibilita'
  delle costruzioni realizzate in aree sottoposte a vincolo), art. 1,
  comma 1. 
(GU n.43 del 27-10-2021 )
    Ricorso per la  Presidenza  del  Consiglio  dei  ministri,  (C.F.
80188230587), in persona del Presidente del Consiglio attualmente  in
carica, rappresentata e difesa per mandato  ex  lege  dall'Avvocatura
generale dello Stato, (C.F. 80224030587), fax  06/96514000  -  p.e.c.
ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it presso i cui uffici  ha  domicilio
in Roma, via dei Portoghesi n. 12 - ricorrente 
    Contro Regione Sicilia, in persona del  Presidente  della  giunta
regionale  pro   tempore   resistente   per   la   dichiarazione   di
incostituzionalita' dell'art. 1, comma 1, della legge 29 luglio 2021,
n. 19, pubblicata nel Bollettino Ufficiale della  regione  n.  34  in
data 6 agosto 2021. 
    Come noto, l'art. 32 del decreto-legge 30 settembre 2003, n.  269
(convertito  con  legge  n.  326/2003)   consentiva,   al   fine   di
regolarizzare il settore edilizio, il  condono  delle  opere  abusive
esistenti mediante il rilascio del titolo abilitativo alle condizioni
stabilite dalla stessa norma statale  e  delle  normative  regionali,
facendo  comunque  salve  le  competenze  delle  regioni  a   statuto
speciale. 
    Il condono avrebbe dovuto riguardare le opere ultimate  entro  il
31  marzo  2003,  che  non   avessero   comportato   un   ampliamento
dell'esistente in misura superiore al 30  per  cento  della  relativa
volumetria, o agli altri limiti in alternativa previsti dal comma  25
della norma statale, e che presentassero le caratteristiche stabilite
dal successivo comma 26. 
    Tutte queste disposizioni erano  dettate  come  estensione  della
disciplina del condono gia' introdotta dalle leggi  del  1985  e  del
1994, con la esplicita previsione  che  i  termini  decorrenti  dalla
legge del 1994 sono da intendersi come riferiti alla data di  entrata
in vigore del decreto-legge n. 269/2003. 
    Il termine di presentazione delle domande di condono era  fissato
a pena di decadenza entro  il  10  dicembre  2004,  previo  pagamento
dell'oblazione e degli  oneri  concessori,  e  alle  regioni  sarebbe
spettato il compito di  dettare  le  norme  per  il  procedimento  di
rilascio del titolo edilizio. 
    Con l'art. 24 della legge n. 15 del 5 novembre  2004  la  Regione
Sicilia ha disciplinato il procedimento in questione  stabilendo  che
le domande di condono avrebbero potuto essere presentate a  decorrere
dalla  sua  entrata  in  vigore,  con  salvezza  delle  istanze  gia'
presentate, e che il pagamento degli oneri concessori dovuti  per  la
sanatoria avrebbe potuto avvenire  con  versamento  di  anticipazione
pari al 50 per cento contestualmente alla presentazione della domanda
e del saldo entro il 30 dicembre 2008. 
    Ora, con la legge in epigrafe menzionata  -  emanata  nel  luglio
2021 - la Regione Sicilia ha introdotto, dopo l'art. 25  della  legge
regionale n. 15/2004, un art. 25-bis con  il  quale  ha  in  sede  di
interpretazione autentica ha disciplinato la materia dei termini. 
    La norma  tuttavia,  ad  avviso  del  Governo,  lede  i  precetti
costituzionali a presidio delle  competenze  legislative  statali,  e
deve pertanto essere impugnata per il seguente 
 
                               Motivo 
 
Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 1,  della  legge  29
luglio 2021, n. 19 per violazione dell'art. 3, dell'art.  117,  comma
2, lettere l) e s), nonche' dell'art. 123 della Costituzione, nonche'
per violazione degli articoli 14 e 27 dello  statuto  speciale  della
Regione Sicilia. 
    Come detto, la legge regionale qui impugnata detta modifiche alla
precedente legge regionale 10  agosto  2016,  n.  16  in  materia  di
compatibilita' delle costruzioni  realizzate  in  aree  sottoposte  a
vincolo. 
    Essa,  ad  avviso  della  Presidenza  del  Consiglio,   introduce
sostanzialmente  con   una   norma   di   interpretazione   autentica
un'estensione dei limiti di applicazione del  c.d.  «terzo  condono»,
consentendo il rilascio del titolo in sanatoria anche in presenza  di
vincoli relativi, in contrasto con  quanto  stabilito  dall'art.  32,
comma 27, del citato decreto n. 269 del 2003, le cui  previsioni  non
sono derogabili da parte delle regioni, anche ad autonomia speciale. 
    Si tratta quindi di esercizio di potere  legislativo  che  eccede
dalle competenze statutarie della Regione siciliana. 
    La   norma   autenticamente   interpretata   con   la   censurata
disposizione prevedeva che la presentazione dell'istanza  di  condono
era consentita dalla data di sua  entrata  in  vigore,  con  salvezza
delle istanze di sanatoria gia' presentate e delle anticipazioni gia'
versate. 
    Prevedeva inoltre che gli oneri  di  concessione  dovuti  per  il
rilascio della  concessione  edilizia  in  sanatoria  fossero  quelli
vigenti in ciascun comune alla data di entrata in vigore della stessa
legge, che la misura dell'anticipazione da versarsi obbligatoriamente
al momento della presentazione dell'istanza fosse ridotta della meta'
con la fissazione comunque del minimo di euro 250,00 e che  il  saldo
degli oneri concessori fosse da erogarsi entro il 30 dicembre 2008. 
    Tutto cio' la legge regionale aveva  legittimamente  disposto  in
attuazione della norma statale che aveva demandato  alle  regioni  la
disciplina del procedimento di concessione della sanatoria edilizia. 
    Ora, il nuovo art. 25-bis  introdotto  alla  legge  regionale  n.
16/2016 dall'art. 1 della legge regionale n.  19/2021  cosi'  recita:
«I. L'art. 24 della legge  regionale  5  novembre  2004,  n.  15,  si
interpreta nel senso che sono  recepiti  i  termini  e  le  forme  di
presentazione delle istanze presentate  ai  sensi  dell'art.  32  del
decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito con modificazioni
dalla legge  24  novembre  2003,  n.  326,  e  pertanto  resta  ferma
l'ammissibilita' delle istanze  presentate  per  la  regolarizzazione
delle  opere  realizzate  nelle  aree  soggette  a  vincoli  che  non
comportino inedificabilita' assoluta nel rispetto di tutte  le  altre
condizioni prescritte dalla legge vigente. 
    L'art.  24  della  legge  regionale  n.   15   del   2004,   oggi
autenticamente interpretato, ha integralmente recepito la  disciplina
statale del condono come contenuta nell'art. 32 del decreto-legge  n.
269 del 2003, con la conseguente inammissibilita'  delle  domande  di
condono relative ad abusi commessi in  zona  soggetta  a  vincolo  di
inedificabilita' relativa. 
    In tal senso, si e' espressa  la  costante  giurisprudenza  della
Corte di cassazione che, anche  recentemente,  dopo  aver  effettuato
un'esaustiva  ricostruzione  della  peculiare   tecnica   legislativa
adottata  in  Sicilia  ai  fini   dell'adeguamento   dell'ordinamento
regionale alla disciplina di cui al citato decreto-legge n.  269  del
2003  (Cassazione  penale,  sez.  III,  5  agosto  2021,  n.   30693,
Cassazione sez. III n. 7400 del 16 febbraio 2017). 
    Ha letteralmente affermato  la  Suprema  Corte:  «Il  legislatore
regionale, a differenza di quanto accaduto con la legge regionale  n.
37 del 1975,  ha  recepito  nell'ambito  territoriale  della  Regione
Sicilia,  la  legge  n.  326  del  2003,  art.  32   direttamente   e
integralmente e cioe' sia con riguardo alle forme che ai  limiti  ivi
previsti tra cui, anche, la previsione di cui al  comma  27,  lettera
d), per la quale la concessione edilizia in sanatoria non puo' essere
rilasciata per interventi di nuova costruzione in aree sottoposte  ai
vincoli ivi citati.». 
    Si deve quindi ritenere che anche  sul  territorio  siciliano  la
sanatoria non puo' essere concessa ne' sulle aree soggette a  vincolo
di inedificabilita' assoluta, ne' su quelle  soggette  a  vincoli  di
inedificabilita' relativa. 
    Esiste, per il vero anche altra opzione interpretativa, per cui -
continuandosi ad applicare in Sicilia l'art. 23 della legge regionale
10 agosto 1987, che consente il condono anche delle opere  realizzate
in zona vincolata dietro nulla osta dell'autorita' competente per  il
vincolo - il divieto di sanatoria  sussisterebbe  solo  in  relazione
alla inedificabilita' assoluta. 
    Ma tale interpretazione non puo' condividersi  perche',  come  ha
chiaramente e categoricamente affermato la Corte  di  cassazione,  la
legge regionale n. 37 del 1985 non  puo'  prevalere  sulla  normativa
statale che disciplina in ogni suo aspetto il condono edilizio, anche
tenuto conto della posteriorita' temporale di  quest'ultima  rispetto
alla prima (Cassazione pen. sez. 3 n. 45977/2011). 
    La   norma   qui   censurata,   nel   prevedere   la   perdurante
ammissibilita' delle istanze di sanatoria  per  opere  realizzate  in
aree soggette a vincoli di inedificabilita' relativa (o, per usare la
terminologia della legge, «nelle aree  soggette  a  vincoli  che  non
comportano inedificabilita' assoluta») e' illegittima perche': 
        a) interviene in un ambito - quello del  condono  edilizio  -
che e' riservato in via assoluta allo Stato e sul quale, pertanto, la
regione e' sfornita  di  potesta'  legislativa,  estendendo  l'ambito
degli abusi suscettibili di sanatoria; 
        b) si definisce norma di  interpretazione  autentica,  ma  in
realta' ha carattere  innovativo  intervenendo  sul  procedimento  di
definizione di domande di condono  presentate  da  circa  diciassette
anni,  prevedendo  persino  la  riapertura  dei   procedimenti   gia'
conclusi, anche in presenza di un giudicato sfavorevole, determinando
esiti gravemente irragionevoli e lesivi del principio  di  stabilita'
dei rapporti giuridici; 
        c)  incide  di  conseguenza  sulla   punibilita'   di   fatti
penalmente illeciti, cosi' invadendo anche  la  sfera  di  competenza
statale inerente l'ordinamento penale. 
    Sotto il primo profilo, e' chiaro che la legge in  esame  estende
indebitamente, per la sola Regione siciliana,  i  limiti  applicativi
del c.d. terzo condono di cui al decreto-legge n. 269/2003. 
    Questa normativa poneva limiti precisi, non superabili  da  parte
delle regioni, incluse quelle ad autonomia speciale, e tantomeno  con
norma retroattiva  approvata  a  distanza  di  diciassette  anni.  In
particolare, per quanto qui rileva,  era  espressamente  esclusa  dal
comma 27 dell'art. 32, la possibilita'  di  condonare  gli  abusi  su
immobili vincolati, qualora il vincolo preesistesse all'abuso, e cio'
indipendentemente  dalla  natura  assoluta  o  relativa  del  vincolo
stesso. 
    La   giurisprudenza   non   solo   costituzionale   ha    infatti
costantemente riconosciuto come il decreto-legge  n.  269/2003  abbia
chiaramente circoscritto l'ambito degli abusi condonabili rispetto  a
quanto precedentemente previsto, perche' il  legislatore,  se  da  un
lato ha riaperto i termini del condono  per  ragioni  dichiaratamente
«di cassa», ha d'altro lato inteso circoscriverne con maggior  rigore
i presupposti di  applicabilita'  (Corte  costituzionale,  28  giugno
2004, n. 196; Cons. Stato sez. IV, 7 dicembre  2016,  n.  5157  e  n.
5158). 
    Il maggior  rigore  nella  delimitazione  oggettiva  del  condono
costituisce  elemento  fondamentale  della  manovra,  operando   come
contrappeso all'allargamento dei termini; vanificandone la portata in
qualche ambito locale, si finisce per alterare in modo  inammissibile
la stessa strategia generale  di  fondo  perseguita  dal  legislatore
statale. 
    E questo e' proprio l'effetto  della  norma  qui  censurata,  che
estende irragionevolmente le fattispecie che possono  essere  oggetto
di condono, limitandone l'esclusione  alle  opere  in  contrasto  con
vincoli che comportano l'inedificabilita' assoluta,  ma  includendovi
alcune delle opere abusive elencate al comma 27 dell'art. 32  citato,
ovvero quelle realizzate in presenza di vincoli c.d. relativi. 
    Come  detto,  costituisce  approdo   consolidato   l'affermazione
secondo  la  quale  «La   legge   n.   326/2003,   pur   collocandosi
sull'impianto generale della legge n. 47, norma (col cennato art. 27)
in maniera piu' restrittiva le fattispecie di cui si tratta,  poiche'
con riguardo ai vincoli ivi indicati (tra cui quelli a protezione dei
beni paesistici) preclude la sanatoria sulla base della  anteriorita'
del vincolo  senza  la  previsione  procedimentale  di  alcun  parere
dell'autorita' ad esso preposta, con cio'  collocando  l'abuso  nella
categoria delle opere non suscettibili di sanatoria (ex art. 33 della
legge n. 47/1985)» (Cons. Stato sez. IV, 28 novembre 2013, n. 5701). 
    La Corte costituzionale ha chiaramente affermato che  «solo  alla
legge statale compete  l'individuazione  della  portata  massima  del
condono edilizio straordinario» (sentenza n. 70 del 2005, sentenza n.
196 del 2004), sicche' la legge regionale che abbia  per  effetto  di
ampliare i limiti applicativi della sanatoria  eccede  la  competenza
concorrente della regione in tema di governo del territorio. 
    Tale orientamento e' stato ribadito con espressione di concetti i
quali, ancorche' resi in giudizi che  vedevano  coinvolte  regioni  a
statuto ordinario, mantengono comunque fortissimo il loro  valore  di
principio  pienamente  applicabile  anche  alle  regioni  a   statuto
speciale. 
    Emblematico, per i punti di contatto con il presente ricorso,  il
caso della Regione Marche, la quale pure essa con norma  di  asserita
interpretazione  autentica,  l'art.  11  della  legge  regionale   n.
11/2008, aveva legiferato in tema di condono edilizio e stabilito che
solo i vincoli di inedificabilita'  assoluta  avrebbero  impedito  la
sanatoria. In quella occasione la Corte  costituzionale,  richiamando
peraltro propria giurisprudenza precedente, ha dichiarato illegittima
la norma in quanto violativa della regola per cui anche il vincolo di
inedificabilita' relativa e' causa ostativa al rilascio del  condono,
stante l'assoluta  cogenza  sul  punto  della  legge  statale  (Corte
costituzionale - sentenza n. 290/2009). 
    Ma analogo principio trovasi affermato nei confronti della  legge
n.  5/2004  Regione  Liguria  (Corte  costituzionale  -  sentenza  n.
225/2012) in un giudizio di legittimita' costituzionalita'  sollevato
in via incidentale. 
    Sotto il secondo profilo, e' evidente il carattere  innovativo  e
non meramente interpretativo della norma qui censurata. 
    Essa infatti ha l'effetto  di  rendere  legittimabili  interventi
pacificamente  non  sanabili  in  base  alla  disciplina  statale,  e
peraltro su beni vincolati di interesse  culturale  e  paesaggistico.
Disciplina statale che e' successiva  alla  legge  regionale  che  si
intende interpretare  autenticamente  ed  antecedente  a  quella  qui
censurata. 
    Va immediatamente disattesa la  facile  e  prevedibile  obiezione
tesa a far valere le prerogative legislative  proprie  dell'autonomia
statutaria della Regione Sicilia. 
    Vero e' che l'art. 14  dello  statuto  attribuisce  alla  Regione
siciliana potesta' legislativa esclusiva,  tra  l'altro,  in  materia
urbanistica e nelle  materie  della  tutela  del  paesaggio  e  della
conservazione delle  antichita'  e  delle  opere  artistiche,  ma  e'
altrettanto vero che tale potesta' va tuttavia esercitata nei  limiti
delle leggi costituzionali dello Stato  e  nel  rispetto  delle  c.d.
norme di grande riforma economico-sociale. Ed  e'  pacifico  che  tra
queste ultime siano da annoverare sia le norme  in  tema  di  condono
edilizio, che quelle in materia di tutela del patrimonio culturale  e
del paesaggio (cfr. tra le molte sentenze CGARS 14  giugno  2021,  n.
532). In particolare, i limiti al condono  edilizio  posti  dall'art.
32, comma 27, lettera d), del decreto-legge n. 269 del 2003 rientrano
a  pieno  titolo  nell'ambito   delle   norme   di   grande   riforma
economico-sociali,  in  quanto  sono  dettati  a  salvaguardia,   tra
l'altro, delle esigenze di tutela dei beni culturali e del  paesaggio
(art. 117, secondo comma, lettera s),  della  Costituzione)  e  della
necessaria uniformita' delle prestazioni essenziali che devono essere
assicurate sull'intero territorio nazionale (art. 117, secondo comma,
lettera m), della Costituzione). 
    Ne discende che la disciplina censurata si pone in contrasto  con
i limiti alla potesta' legislativa  regionale  sanciti  dall'art.  14
dello statuto speciale e invade la sfera di competenza statale.  Come
ricordato dalla Corte costituzionale in una  pronuncia  resa  su  una
norma analoga a quella in esame approvata dalla Regione Sardegna, «Il
legislatore statale conserva  il  potere  di  vincolare  la  potesta'
legislativa primaria della regione speciale  attraverso  l'emanazione
di leggi qualificabili come "riforme economico-sociali".  Cio'  anche
sulla base del titolo di competenza legislativa nella materia "tutela
dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali", di cui all'art.
117, secondo comma, lettera s), della Costituzione comprensiva  tanto
della tutela del paesaggio quanto della tutela dei beni ambientali  o
culturali; "con la conseguenza che le  norme  fondamentali  contenute
negli atti legislativi  statali  emanati  in  tale  materia  potranno
continuare ad imporsi al necessario rispetto  del  legislatore  della
Regione Sardegna che eserciti la propria competenza statutaria  nella
materia edilizia ed urbanistica"» (Corte costituzionale - sentenza n.
308/2013). 
    Analogamente la Corte costituzionale ha pronunciato nei confronti
della Regione Valle  d'Aosta  (Corte  costituzionale  -  sentenza  n.
118/2009) e della stessa  Regione  Sicilia  (Corte  costituzionale  -
sentenza n. 172/2018) quando si e' trattato di ribadire la prevalenza
del potere legislativo statale nel vincolare la competenza  regionale
anche esclusiva allorquando  le  leggi  nazionali  dettino  norma  di
riforma economico-sociale nella materia della  tutela  dell'ambiente,
dei beni  culturali  e  del  paesaggio,  onde  evitare  una  «lesione
diretta»  dei  beni  culturali  e  paesaggistici  tutelati,  con   la
conseguente  grave  diminuzione  del  livello  di  tutela   garantito
nell'intero territorio nazionale. 
    Acclarato quindi che nessun rilievo ha qui la  specialita'  dello
statuto regionale, e' altresi' evidente l'uso  distorto,  e  pertanto
costituzionalmente  illegittimo,  del   potere   di   interpretazione
autentica. 
    La disposizione qui censurata non fornisce una interpretazione di
una precedente previsione legislativa, ma introduce  surrettiziamente
una  prescrizione  nuova  e  retroattiva,  che  estende  l'ambito  di
applicabilita' del condono  edilizio,  dopo  diciassette  anni  dalla
entrata in vigore della disciplina che lo regolava. 
    La giurisprudenza costituzionale  ha  ritenuto  estensibili  alla
legislazione regionale i principi e i limiti  elaborati  in  tema  di
interpretazione  autentica  della  legge.  Inoltre  -  anche  se  non
costituzionalizzato al di fuori della previsione contenuta  nell'art.
25 della Costituzione - il principio di irretroattivita' della legge,
e' da  ritenersi  rivesta  valore  di  principio  generale  ai  sensi
dell'art. 11, primo comma, delle disposizioni preliminari del  codice
civile, cui il legislatore deve in via preferenziale attenersi. 
    L'interpretazione autentica e' costituzionalmente legittima  solo
a patto che non venga utilizzata per attribuire  a  norme  innovative
una surrettizia efficacia retroattiva, in quanto in tal modo la legge
interpretativa verrebbe meno alla  sua  funzione  peculiare,  che  e'
quella di chiarire il senso di norme preesistenti, ovvero di  imporre
una  delle  possibili  varianti  di  senso  compatibili  col   tenore
letterale. Il carattere interpretativo di una norma non  puo'  quindi
desumersi dalla sua auto  qualificazione,  ma  deve  risultare  dalla
struttura della fattispecie normativa, sicche' andrebbe  riconosciuto
carattere interpretativo soltanto a una legge che,  fermo  il  tenore
testuale della norma interpretata, ne chiarisca il significato ovvero
privilegi una tra le diverse interpretazioni possibili. 
    Qualora, poi,  possa  effettivamente  riconoscersi  a  una  legge
valenza interpretativa, questa  soggiace  comunque  a  una  serie  di
limiti, tra i quali, oltre alla ragionevolezza della scelta  operata,
vi e' anche il divieto di ingiustificata disparita'  di  trattamento,
la coerenza e  certezza  del  diritto,  il  rispetto  delle  funzioni
costituzionalmente riservate al potere giudiziario, nonche' la tutela
dell'affidamento legittimamente sorto nei soggetti destinatari  della
previsione, quale principio connaturato allo stato di diritto. 
    Nel caso in esame, la previsione normativa non  e'  qualificabile
come norma di interpretazione autentica,  in  quanto  non  dirime  un
dubbio sulla portata della disposizione  asseritamente  interpretata,
ma introduce retroattivamente una norma innovativa,  che  estende  la
portata del condono a casi che pacificamente non vi rientrano in base
alla  disciplina  statale.  La  conseguenza  di  tale  estensione  e'
l'irragionevole modifica dell'esito  delle  pratiche  di  condono,  a
distanza di circa  diciassette  anni  dalla  relativa  presentazione,
riaprendo  persino  procedimenti  gia'  definiti  con   provvedimento
inoppugnabile e su cui  eventualmente  potrebbe  essersi  formato  un
giudicato negativo, secondo quanto previsto dal comma 2  dell'art.  1
della legge regionale in esame. 
    Pertanto, la norma qui censurata sotto questo  aspetto  contrasta
con i parametri costituzionali che regolano la formazione delle leggi
(articoli 14 e 27 dello statuto di autonomia; articoli 117, 123 e 127
della Costituzione, relativi  all'attivita'  legislativa  regionale),
nonche' con l'art. 3  della  Costituzione,  sotto  il  profilo  della
ragionevolezza (cfr. Corte costituzionale - sentenze n. 39 del 2006 e
n. 308 del 2013). 
    Si tratta di una conseguenza che determina una grave instabilita'
dei rapporti  giuridici  e  che  appare  del  tutto  arbitraria,  con
conseguente violazione dei parametri sopra richiamati. 
    Sotto il terzo profilo, l'estensione  con  efficacia  retroattiva
dell'area degli illeciti condonabili ha una evidente ricaduta  infine
sul piano dell'ordinamento penale, parimenti riservato alla  potesta'
legislativa  statale,  con  conseguente  violazione  dell'art.   117,
secondo comma, lettera l), della Costituzione e  dell'art.  14  dello
statuto speciale. 
    La disposizione regionale consente infatti di dare legittimamente
corso a una domanda di sanatoria edilizia (amministrativa),  per  gli
effetti di cui all'art. 23 della legge regionale n.  37  del  1985  e
dell'art. 32 della legge n. 326 del 2003, quando per lo stesso  abuso
si configurano  ipotesi  di  illecito  penale  sanzionate,  ai  sensi
dell'art. 181 del codice dei beni culturali. 
    Come affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza  n.  196
del 2004, quanto alle regioni ad autonomia speciale, opera il  limite
della   «materia   penale»   (comprensivo   delle    connesse    fasi
procedimentali) e quanto e' immediatamente riferibile ai principi  di
questo intervento eccezionale di «grande riforma»,  quali  il  titolo
abilitativo edilizio in sanatoria e  la  determinazione  massima  dei
fenomeni condonabili (nello stesso senso le sentenze n. 70  e  n.  71
del 2005; cfr. anche le sentenze n. 54 del 2009 e n. 290 del 2009). 
    Oltre a violare i principi in tema di  corretto  esercizio  della
funzione legislativa declinata come espressione della interpretazione
autentica delle disposizioni in vigore, la norma in esame finisce per
invadere la sfera riservata al legislatore statale in materia penale,
con un inammissibile  e  ingiustificato  trattamento  di  favore  per
illeciti eventualmente commessi nel territorio siciliano, a danno del
paesaggio e del patrimonio culturale. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Per tutte le esposte ragioni, la  Presidenza  del  Consiglio  dei
ministri, come sopra rappresentata e difesa conclude 
    Affinche' la Corte costituzionale voglia accogliere  il  presente
ricorso e per l'effetto dichiarare costituzionalmente illegittima  la
norma regionale con esso censurata. 
        Roma, 29 settembre 2021 
 
                   L'Avvocato dello Stato: Corsini