N. 200 SENTENZA 23 settembre - 26 ottobre 2021
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Imposte e tasse - Obbligazioni tributarie (in particolare: imposta sull'energia elettrica) - Comportamenti omissivi del contribuente - Termine di prescrizione delle obbligazioni tributarie e delle sanzioni correlate al loro inadempimento - Decorrenza dal momento della scoperta del fatto illecito - Denunciata irragionevolezza, violazione del principio di uguaglianza e del diritto di difesa - Inammissibilita' delle questioni - Necessita' di un ineludibile e tempestivo intervento del legislatore. - Decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504, art. 57, comma 3, secondo periodo. - Costituzione, artt. 3 e 24.(GU n.43 del 27-10-2021 )
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente:Giancarlo CORAGGIO;
Giudici :Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolo'
ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,
Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano
PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN
GIORGIO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 57, comma 3,
secondo periodo, del decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504
(Testo unico delle disposizioni legislative concernenti le imposte
sulla produzione e sui consumi e relative sanzioni penali e
amministrative), promossi dalla Corte di cassazione, sezione quinta
civile, con due ordinanze del 28 febbraio 2020, iscritte,
rispettivamente, ai numeri 146 e 147 del registro ordinanze 2020 e
pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 43, prima
serie speciale, dell'anno 2020.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nella camera di consiglio del 22 settembre 2021 il Giudice
relatore Angelo Buscema;
deliberato nella camera di consiglio del 23 settembre 2021.
Ritenuto in fatto
1.- Con le ordinanze in epigrafe (reg. ord. n. 146 e n. 147 del
2020), dal tenore sostanzialmente coincidente, la Corte di
cassazione, sezione quinta civile, solleva, in riferimento agli artt.
3 e 24 della Costituzione, questioni di legittimita' costituzionale
dell'art. 57, comma 3, secondo periodo, del decreto legislativo 26
ottobre 1995, n. 504 (Testo unico delle disposizioni legislative
concernenti le imposte sulla produzione e sui consumi e relative
sanzioni penali e amministrative), nella parte in cui non prevede una
data certa di inizio della decorrenza del termine di prescrizione
delle obbligazioni tributarie e delle sanzioni correlate al loro
inadempimento nel caso di comportamenti omissivi del contribuente.
L'art. 57 del d.lgs. n. 504 del 1995 (d'ora in poi: t.u. accise),
reca la disciplina della prescrizione dell'imposta erariale di
consumo - secondo la denominazione originaria, precedente alla
modifica operata dall'art. 1, comma 1, lettera m), del decreto
legislativo 2 febbraio 2007, n. 26 (Attuazione della direttiva
2003/96/CE che ristruttura il quadro comunitario per la tassazione
dei prodotti energetici e dell'elettricita') - sull'energia
elettrica, prevedendo al comma 3 che «[i]l termine di prescrizione
per il recupero dell'imposta e' di cinque anni dalla data in cui e'
avvenuto il consumo. In caso di comportamenti omissivi la
prescrizione opera dal momento della scoperta del fatto illecito».
Il giudice a quo riferisce che nel 2006 la societa' S. spa aveva
denunciato all'Agenzia delle dogane e dei monopoli l'impianto di
alcune officine di produzione di energia elettrica per uso proprio,
la cui prima attivazione era avvenuta, rispettivamente, negli anni
1989, 1993, 1995, 1996 e 1998. Conseguentemente, nel 2008, l'Agenzia
aveva emesso avvisi di pagamento per omessa denuncia preventiva di
attivazione, omesso versamento del diritto di licenza e omesso
versamento dell'imposta erariale di consumo e delle addizionali
comunali e provinciali sull'energia elettrica, nonche' gli atti di
contestazione per l'irrogazione delle correlate sanzioni. La societa'
contribuente aveva definito in via agevolata le pretese relative agli
anni 2003-2007, impugnando, tuttavia, gli atti impositivi e
sanzionatori relativi alle annualita' precedenti, per intervenuta
prescrizione del credito.
L'Agenzia delle dogane e dei monopoli ha proposto ricorso per
cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale
del Piemonte che, confermando la sentenza di primo grado, aveva
ritenuto maturata la prescrizione.
Ad avviso del rimettente, la disposizione censurata, laddove
stabilisce, con riferimento ai comportamenti omissivi, quali quelli
di specie, che «la prescrizione opera dal momento della scoperta del
fatto illecito», avrebbe identificato il dies a quo di decorrenza
della prescrizione nella data di scoperta dell'omissione. Tale
termine iniziale, tuttavia, risulterebbe indeterminato e
indeterminabile, comportando che il contribuente rimanga esposto per
un tempo indefinito all'azione accertatrice e sanzionatoria
dell'amministrazione. Cio' diversamente da quanto sarebbe previsto
per le principali imposte erariali, la cui disciplina - si citano, in
particolare, l'art. 57, comma 2, del decreto del Presidente della
Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 (Istituzione e disciplina
dell'imposta sul valore aggiunto), l'art. 43, comma 2, del decreto
del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600
(Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui
redditi), e l'art. 76, comma 1, del decreto del Presidente della
Repubblica 26 aprile 1986, n. 131 (Approvazione del testo unico delle
disposizioni concernenti l'imposta di registro) - anche con
riferimento ai soggetti passivi che si siano sottratti agli obblighi
dichiarativi su di essi gravanti, ancorerebbe ragionevolmente la
decorrenza del periodo entro il quale l'amministrazione puo' far
valere le proprie pretese a un termine iniziale certo, coincidente
con la data di scadenza dell'obbligo inadempiuto, ossia con la
consumazione dell'illecito omissivo, anche nel caso di condotta
particolarmente lesiva, quale quella dell'evasore totale. Peraltro,
l'art. 4-ter, comma 1, lettera c), del decreto-legge 22 ottobre 2016,
n. 193 (Disposizioni urgenti in materia fiscale e per il
finanziamento di esigenze indifferibili), convertito, con
modificazioni, nella legge 1° dicembre 2016, n. 225, sostituendo
l'art. 15 del d.lgs. n. 504 del 1995, recante il regime generale di
prescrizione delle accise, in caso di illecito omissivo non
prevederebbe piu' la decorrenza del termine prescrizionale dalla
scoperta, omologando la fattispecie a quella attiva.
Alla luce di tali considerazioni, la diversa scelta operata dal
legislatore con riferimento all'imposta di consumo sull'energia
elettrica sarebbe irragionevole, in quanto frutto di discrezionalita'
immotivata, e determinerebbe un'ingiustificata disparita' di
trattamento tra contribuenti, in raffronto alle citate fattispecie
normative, evocate quali tertia comparationis, in violazione
dell'art. 3 Cost. Ne' rileverebbe che alcune di esse prevedano
termini decadenziali, venendo in considerazione il mero dato
strutturale divergente, per cui, diversamente dagli altri
contribuenti, chi si sia sottratto, in conseguenza di un
comportamento omissivo, al pagamento dell'imposta erariale di consumo
(ora accisa) sull'energia elettrica resterebbe assoggettato per un
lasso temporale incerto al potere dell'amministrazione di incidere
sulla sua sfera patrimoniale.
Inoltre, quest'assoggettamento a tempo indeterminato del
contribuente all'azione del fisco contrasterebbe di per se' anche con
l'art. 24 Cost. (si cita la sentenza n. 280 del 2005 di questa
Corte).
In punto di rilevanza, il rimettente evidenzia come, alla luce
dei motivi d'impugnazione dell'Agenzia ricorrente, l'unica questione
dibattuta tra le parti nei giudizi a quibus sia di mero diritto e
attenga alla decorrenza del termine di prescrizione del diritto alla
riscossione dell'imposta e delle sanzioni irrogate - anche queste
ultime assoggettate al medesimo regime, atteso che l'art. 20, comma
1, del decreto legislativo 1997, n. 472 (Disposizioni generali in
materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norme
tributarie, a norma dell'articolo 3, comma 133, della legge 23
dicembre 1996, n. 662), farebbe rinvio all'art. 57, comma 3, t.u.
accise - onde la possibilita' di definizione del giudizio nel merito,
non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, ai sensi
dell'art. 384, secondo comma, del codice di procedura civile.
Di qui la necessita' di fare applicazione dell'art. 57, comma 3,
secondo periodo, t.u. accise, il cui dato letterale e la cui ratio di
presidio normativo avverso gli evasori totali dell'imposta
indurrebbero a sconfessare l'interpretazione seguita dalla sentenza
gravata - erroneamente riferita all'art. 15, comma 1, secondo
periodo, t.u. accise, comunque testualmente identico, nella versione
all'epoca vigente, alla disposizione censurata - la quale individua
nel momento della scoperta dell'illecito omissivo, anziche' il dies a
quo di decorrenza della prescrizione, il termine di maturazione della
stessa.
2.- In entrambi i giudizi, con atti di contenuto coincidente, e'
intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, deducendo
l'inammissibilita' o, comunque, la non fondatezza delle questioni
sollevate.
Quanto al primo profilo, l'Avvocatura evidenzia come l'intervento
manipolativo-additivo invocato dal rimettente non sia
costituzionalmente obbligato e implichi scelte di spettanza del
legislatore, in una materia rimessa alla sua discrezionalita', a cui
questa Corte non potrebbe sostituirsi.
Nel merito, le questioni sollevate sarebbero non fondate.
Ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri, il regime
della prescrizione dell'imposta troverebbe giustificazione nella
particolare natura del bene oggetto d'imposizione, in cui,
diversamente da quanto avverrebbe con gli altri prodotti sottoposti
ad accisa, il momento della fabbricazione non sarebbe agevolmente
distinguibile da quello di immissione in consumo, in quanto
quest'ultimo sarebbe istantaneo, onde la rilevanza fiscale della sola
fornitura. Di qui la giustificazione di un regime impositivo del
tutto specifico, connotato dalla previsione di una serie di
adempimenti volti a consentire all'amministrazione di censire i
soggetti e vigilare sui consumi. Le attivita' di accertamento
sarebbero dunque rimesse sostanzialmente al fabbricante, cui verrebbe
demandata l'attuazione del tributo, mentre l'amministrazione si
limiterebbe al riscontro di quanto realizzato, chiaramente nei limiti
in cui essa sia messa nella condizione di svolgere il proprio
controllo.
In ragione di tali considerazioni, il regime della prescrizione
ancorato alla scoperta del fatto, in caso di illecito omissivo,
sarebbe tutt'altro che irragionevole, perche' correlato al momento in
cui l'immissione in consumo emerge altrimenti rispetto alla
fisiologia normativa, e renderebbe disomogenee le fattispecie
normative che si pretenderebbe di mettere a confronto. Cio',
peraltro, giustificherebbe anche il diverso regime prescrizionale
previsto per i contribuenti che, seppur in maniera errata, adempiono
agli obblighi imposti dalla legge e dunque non sono assolutamente
sconosciuti all'amministrazione finanziaria.
Inoltre, il rimettente, oltre a operare un'indebita commistione
tra termini di decadenza e termini di prescrizione - distinzione che,
con riguardo alle accise in generale, sarebbe stata introdotta
soltanto con le modifiche apportate dal d.l. n. 193 del 2016 all'art.
15 t.u. accise - non terrebbe conto del fatto che, in riferimento
all'energia elettrica, l'intervento invocato, da un lato, non
potrebbe meglio soddisfare le pretese esigenze di certezza,
considerata la mancanza di una condotta che lasci tracce oggettive e
quindi sia idonea a circoscrivere meglio, rispetto alla scoperta
dell'illecito, il tempo di esposizione alle pretese fiscali;
dall'altro, esso non sarebbe coerente con l'esigenza di far decorrere
il termine di prescrizione dal momento in cui il diritto puo' essere
fatto valere, vale a dire quello in cui l'illecito omissivo, come
quello commissivo, viene a oggettiva evidenza come fatto
naturalistico.
Un diverso approccio rischierebbe di generare disparita'
ingiustificate tra chi non si sottrae all'adempimento degli obblighi
di denuncia e si sottopone ai controlli dell'amministrazione e chi,
viceversa, dopo aver potuto operare a lungo occultamente senza oneri
impositivi in un settore dove i controlli sarebbero oggettivamente
inefficaci, possa rientrare nella legalita' limitandosi ad affrontare
il debito tributario e sanzionatorio sopravvissuto a un termine
prescrizionale sicuramente limitato.
Considerato in diritto
1.- Con le ordinanze in epigrafe (reg. ord. n. 146 e n. 147 del
2020), dal tenore sostanzialmente coincidente, la Corte di
cassazione, sezione quinta civile, solleva, in riferimento agli artt.
3 e 24 della Costituzione, questioni di legittimita' costituzionale
dell'art. 57, comma 3, secondo periodo, del decreto legislativo 26
ottobre 1995, n. 504 (Testo unico delle disposizioni legislative
concernenti le imposte sulla produzione e sui consumi e relative
sanzioni penali e amministrative), nella parte in cui non prevede una
data certa di inizio della decorrenza del termine di prescrizione
delle obbligazioni tributarie e delle sanzioni correlate al loro
inadempimento nel caso di comportamenti omissivi del contribuente.
L'art. 57 del d.lgs. n. 504 del 1995 (d'ora in poi: t.u. accise)
reca la disciplina della prescrizione dell'imposta erariale di
consumo - secondo la denominazione originaria, precedente alla
modifica operata dall'art. 1, comma 1, lettera m), del decreto
legislativo 2 febbraio 2007, n. 26 (Attuazione della direttiva
2003/96/CE che ristruttura il quadro comunitario per la tassazione
dei prodotti energetici e dell'elettricita'), e rilevante ratione
temporis - sull'energia elettrica, prevedendo, al comma 3, che «[i]l
termine di prescrizione per il recupero dell'imposta e' di cinque
anni dalla data in cui e' avvenuto il consumo. In caso di
comportamenti omissivi la prescrizione opera dal momento della
scoperta del fatto illecito».
Ad avviso del rimettente, la disposizione censurata violerebbe
l'art. 24 Cost., in quanto assoggetterebbe a tempo indeterminato il
contribuente all'azione accertatrice e sanzionatoria
dell'amministrazione finanziaria, nonche' l'art. 3 Cost., in quanto
la scelta operata dal legislatore di ancorare la decorrenza del
termine di prescrizione alla data di scoperta dell'illecito, da un
lato, sarebbe intrinsecamente irragionevole e, dall'altro,
determinerebbe un'ingiustificata disparita' di trattamento tra
contribuenti nell'assoggettamento temporale all'azione del fisco.
2.- Occorre preliminarmente evidenziare come la Corte di
cassazione censuri esclusivamente l'art. 57, comma 3, secondo
periodo, t.u. accise - disposizione rimasta invariata nel corso del
tempo e attualmente ancora in vigore nella sua formulazione
originaria - il quale, con riferimento all'imposta erariale di
consumo (ora accisa) sull'energia elettrica, fissa in cinque anni
decorrenti dalla scoperta dell'illecito, in caso di comportamento
omissivo, il termine di prescrizione per il recupero dell'imposta.
Secondo l'interpretazione non implausibile da cui muove il
rimettente, a tale termine rinvia l'art. 20, comma 1, del decreto
legislativo 18 dicembre 1997, n. 472 (Disposizioni generali in
materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norme
tributarie, a norma dell'articolo 3, comma 133, della legge 23
dicembre 1996, n. 662), prevedendo che l'atto di contestazione o di
irrogazione delle sanzioni in materia tributaria debba essere
notificato, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno
successivo a quello in cui e' avvenuta la violazione «o nel diverso
termine previsto per l'accertamento dei singoli tributi», quale
sarebbe, appunto, quello previsto dalla norma censurata.
Dunque, il dies a quo di computo del termine entro cui devono
intervenire l'avviso di pagamento - ossia l'atto di accertamento
relativo all'imposta in considerazione (ex plurimis, Corte di
cassazione, sezione quinta civile, sentenza 1° febbraio 2019, n.
3049) - e l'atto di contestazione o irrogazione della sanzione e'
individuato in entrambi i casi nella scoperta dell'illecito omissivo.
L'intervento manipolativo-additivo auspicato dal giudice a quo
onde ovviare ai dubbi di legittimita' costituzionale palesati - vale
a dire l'introduzione nella disposizione censurata di una data certa
di decorrenza del termine, in sostituzione di quella prevista - puo'
dunque indirizzarsi esclusivamente all'art. 57, comma 3, secondo
periodo, t.u. accise, in quanto, pur incidendo direttamente soltanto
sul regime prescrizionale del credito tributario, e' destinato a
riverberarsi automaticamente anche su quello decadenziale relativo
alle sanzioni, proprio in virtu' del citato rinvio.
3.- Tanto premesso, riuniti i giudizi in considerazione
dell'identita' delle questioni sollevate, onde definirli con un'unica
pronuncia, e' fondata e assorbente l'eccezione d'inammissibilita' con
la quale il Presidente del Consiglio dei ministri sottolinea che la
reductio ad legitimitatem auspicata dal rimettente postula un
intervento manipolativo-additivo, la cui scelta e' prioritariamente
affidata alla discrezionalita' del legislatore.
3.1.- Occorre rammentare come questa Corte abbia gia' avuto modo
di chiarire (sentenza n. 280 del 2005) e successivamente ribadire
(sentenza n. 11 del 2008 e ordinanza n. 178 del 2008) che l'art. 24
Cost. impedisce di lasciare il contribuente assoggettato all'azione
del fisco per un tempo indeterminato.
Sebbene tale principio sia stato originariamente formulato con
riferimento alla decadenza e all'azione esecutiva, la sua piu' ampia
portata, estesa oltre i limiti dell'iniziale affermazione, trova
conferma, sia in dottrina, sia nella giurisprudenza costituzionale.
Da essa si puo' infatti evincere come il diritto di difesa
impedisca anche un'indeterminata o irragionevolmente ampia soggezione
del contribuente all'azione accertativa del fisco (sentenze n. 247
del 2011 e n. 356 del 2008), ancorche' condizionata dal mancato
compimento di una specifica attivita' posta dalla legge a carico del
contribuente medesimo.
Inoltre, questa Corte, a soddisfacimento dell'esigenza di
certezza nei rapporti giuridici, ha avuto modo di avallare come
costituzionalmente orientata l'interpretazione volta a porre un
termine prescrizionale determinato all'esercizio dell'azione di
recupero dei tributi doganali (sentenza n. 247 del 2011) e di
considerare essenziale la previsione di un preciso limite temporale
per l'esercizio del potere sanzionatorio dell'amministrazione, in
chiave di tutela dell'interesse soggettivo alla definizione della
propria situazione giuridica (sentenza n. 151 del 2021).
Tanto considerato, la norma censurata, identificando nella
scoperta dell'illecito il termine di decorrenza della prescrizione
del credito tributario - e della decadenza dalla pretesa
sanzionatoria, per effetto del rinvio operato dall'art. 20, comma 1,
del d.lgs. n. 472 del 1997 - non individua in maniera certa il dies a
quo di inizio del computo, cosi' esponendo a tempo indeterminato il
contribuente alle pretese del fisco, potenzialmente avanzabili anche
a distanza di decenni dall'insorgenza dell'obbligo rimasto
inadempiuto, in violazione dell'art. 24 Cost. Ad aggravare il
pregiudizio del diritto di difesa, quantomeno con riferimento al
credito dell'imposta, concorrono l'esclusiva previsione di un termine
di prescrizione - suscettibile, a differenza di quello di decadenza,
di interruzione e, quindi, eventuale fonte di ulteriore
indeterminatezza - nonche' la circostanza che l'obbligo di
conservazione documentale, funzionale a contraddire le pretese del
fisco, sia previsto per un tempo molto piu' breve (artt. 2220 del
codice civile e 8, comma 5, della legge 27 luglio 2000, n. 212,
recante «Disposizioni in materia di statuto del contribuente»,
nonche', attualmente, art. 15, comma 6, t.u. accise).
Ritenuta la necessita' che il contribuente non sia assoggettato
al potere del fisco per un tempo indeterminato - principio a cui
rispondono i tertia comparationis evocati dalla Corte rimettente,
ossia l'art. 57, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica
26 ottobre 1972, n. 633 (Istituzione e disciplina dell'imposta sul
valore aggiunto), l'art. 43, comma 2, del decreto del Presidente
della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in
materia di accertamento delle imposte sui redditi), l'art. 76, comma
1, del decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131
(Approvazione del testo unico delle disposizioni concernenti
l'imposta di registro), nonche' l'art. 15 (Recupero dell'accisa e
prescrizione del diritto all'imposta) t.u. accise, come da ultimo
sostituito dall'art. 4-ter, comma 1, lettera c), del decreto-legge 22
ottobre 2016, n. 193 (Disposizioni urgenti in materia fiscale e per
il finanziamento di esigenze indifferibili), convertito, con
modificazioni, nella legge 1° dicembre 2016, n. 225 - la disciplina
recata dalla disposizione censurata produce, sotto il profilo
difensivo, un irragionevole effetto discriminatorio per il
contribuente tenuto all'imposta di consumo (ora accisa) sull'energia
elettrica.
3.2.- Se e' dunque palese l'inadeguatezza del regime tuttora
dettato dall'art. 57, comma 3, secondo periodo, t.u. accise,
segnatamente rispetto alle esigenze poste dall'art. 24 Cost., quali
in precedenza evidenziate, deve, tuttavia, rilevarsi come a essa non
possa porre rimedio questa Corte. E', infatti, rimesso alla
valutazione discrezionale del legislatore, anche in forza del
principio della polisistematicita' dell'ordinamento tributario, il
ragionevole adattamento ai vari tributi di istituti comuni, quali la
prescrizione e la decadenza della pretesa fiscale (n. 375 del 2002;
nello stesso senso, sentenza n. 201 del 2020), combinandole e
modulandole in relazione agli specifici interessi di volta in volta
coinvolti.
4.- Nel dichiarare l'inammissibilita' delle questioni in esame -
«in ragione del doveroso rispetto della prioritaria valutazione del
legislatore in ordine alla individuazione dei mezzi piu' idonei al
conseguimento di un fine costituzionalmente necessario» (ex plurimis,
sentenza n. 151 del 2021) - questa Corte non puo', tuttavia, esimersi
dal sottolineare che quanto evidenziato in ordine al diritto di
difesa rende ineludibile un tempestivo intervento legislativo volto a
porvi rimedio.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara inammissibili le questioni di legittimita'
costituzionale dell'art. 57, comma 3, secondo periodo, del decreto
legislativo 26 ottobre 1995, n. 504 (Testo unico delle disposizioni
legislative concernenti le imposte sulla produzione e sui consumi e
relative sanzioni penali e amministrative), sollevate, in riferimento
agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dalla Corte di cassazione,
sezione quinta civile, con le ordinanze in epigrafe.
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 23 settembre 2021.
F.to:
Giancarlo CORAGGIO, Presidente
Angelo BUSCEMA, Redattore
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria il 26 ottobre 2021.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA