N. 200 SENTENZA 23 settembre - 26 ottobre 2021

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Imposte e tasse - Obbligazioni tributarie  (in  particolare:  imposta
  sull'energia elettrica) - Comportamenti omissivi del contribuente -
  Termine di  prescrizione  delle  obbligazioni  tributarie  e  delle
  sanzioni correlate al loro inadempimento - Decorrenza  dal  momento
  della scoperta del fatto illecito  -  Denunciata  irragionevolezza,
  violazione del principio di uguaglianza e del diritto di  difesa  -
  Inammissibilita' delle questioni - Necessita' di un  ineludibile  e
  tempestivo intervento del legislatore. 
- Decreto legislativo 26 ottobre 1995, n.  504,  art.  57,  comma  3,
  secondo periodo. 
- Costituzione, artt. 3 e 24. 
(GU n.43 del 27-10-2021 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giancarlo CORAGGIO; 
Giudici :Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria  de  PRETIS,  Nicolo'
  ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,
  Giovanni  AMOROSO,  Francesco  VIGANO',  Luca   ANTONINI,   Stefano
  PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela  NAVARRETTA,  Maria  Rosaria  SAN
  GIORGIO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 57, comma 3,
secondo periodo, del decreto legislativo  26  ottobre  1995,  n.  504
(Testo unico delle disposizioni legislative  concernenti  le  imposte
sulla  produzione  e  sui  consumi  e  relative  sanzioni  penali   e
amministrative), promossi dalla Corte di cassazione,  sezione  quinta
civile,  con  due  ordinanze  del   28   febbraio   2020,   iscritte,
rispettivamente, ai numeri 146 e 147 del registro  ordinanze  2020  e
pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  43,  prima
serie speciale, dell'anno 2020. 
    Visti gli atti di intervento del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 22 settembre 2021 il  Giudice
relatore Angelo Buscema; 
    deliberato nella camera di consiglio del 23 settembre 2021. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con le ordinanze in epigrafe (reg. ord. n. 146 e n.  147  del
2020),  dal  tenore  sostanzialmente   coincidente,   la   Corte   di
cassazione, sezione quinta civile, solleva, in riferimento agli artt.
3 e 24 della Costituzione, questioni di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 57, comma 3, secondo periodo, del  decreto  legislativo  26
ottobre 1995, n. 504  (Testo  unico  delle  disposizioni  legislative
concernenti le imposte sulla produzione  e  sui  consumi  e  relative
sanzioni penali e amministrative), nella parte in cui non prevede una
data certa di inizio della decorrenza  del  termine  di  prescrizione
delle obbligazioni tributarie e  delle  sanzioni  correlate  al  loro
inadempimento nel caso di comportamenti omissivi del contribuente. 
    L'art. 57 del d.lgs. n. 504 del 1995 (d'ora in poi: t.u. accise),
reca  la  disciplina  della  prescrizione  dell'imposta  erariale  di
consumo  -  secondo  la  denominazione  originaria,  precedente  alla
modifica operata dall'art.  1,  comma  1,  lettera  m),  del  decreto
legislativo 2  febbraio  2007,  n.  26  (Attuazione  della  direttiva
2003/96/CE che ristruttura il quadro comunitario  per  la  tassazione
dei  prodotti  energetici   e   dell'elettricita')   -   sull'energia
elettrica, prevedendo al comma 3 che «[i]l  termine  di  prescrizione
per il recupero dell'imposta e' di cinque anni dalla data in  cui  e'
avvenuto  il  consumo.  In  caso   di   comportamenti   omissivi   la
prescrizione opera dal momento della scoperta del fatto illecito». 
    Il giudice a quo riferisce che nel 2006 la societa' S. spa  aveva
denunciato all'Agenzia delle dogane  e  dei  monopoli  l'impianto  di
alcune officine di produzione di energia elettrica per  uso  proprio,
la cui prima attivazione era avvenuta,  rispettivamente,  negli  anni
1989, 1993, 1995, 1996 e 1998. Conseguentemente, nel 2008,  l'Agenzia
aveva emesso avvisi di pagamento per omessa  denuncia  preventiva  di
attivazione, omesso  versamento  del  diritto  di  licenza  e  omesso
versamento dell'imposta  erariale  di  consumo  e  delle  addizionali
comunali e provinciali sull'energia elettrica, nonche'  gli  atti  di
contestazione per l'irrogazione delle correlate sanzioni. La societa'
contribuente aveva definito in via agevolata le pretese relative agli
anni  2003-2007,  impugnando,  tuttavia,  gli   atti   impositivi   e
sanzionatori relativi alle  annualita'  precedenti,  per  intervenuta
prescrizione del credito. 
    L'Agenzia delle dogane e dei monopoli  ha  proposto  ricorso  per
cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale
del Piemonte che, confermando  la  sentenza  di  primo  grado,  aveva
ritenuto maturata la prescrizione. 
    Ad avviso del  rimettente,  la  disposizione  censurata,  laddove
stabilisce, con riferimento ai comportamenti omissivi,  quali  quelli
di specie, che «la prescrizione opera dal momento della scoperta  del
fatto illecito», avrebbe identificato il dies  a  quo  di  decorrenza
della  prescrizione  nella  data  di  scoperta  dell'omissione.  Tale
termine   iniziale,   tuttavia,    risulterebbe    indeterminato    e
indeterminabile, comportando che il contribuente rimanga esposto  per
un  tempo  indefinito   all'azione   accertatrice   e   sanzionatoria
dell'amministrazione. Cio' diversamente da  quanto  sarebbe  previsto
per le principali imposte erariali, la cui disciplina - si citano, in
particolare, l'art. 57, comma 2, del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica  26  ottobre  1972,  n.  633  (Istituzione  e   disciplina
dell'imposta sul valore aggiunto), l'art. 43, comma  2,  del  decreto
del  Presidente  della  Repubblica  29   settembre   1973,   n.   600
(Disposizioni comuni in materia di  accertamento  delle  imposte  sui
redditi), e l'art. 76, comma 1,  del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica 26 aprile 1986, n. 131 (Approvazione del testo unico delle
disposizioni  concernenti  l'imposta  di  registro)   -   anche   con
riferimento ai soggetti passivi che si siano sottratti agli  obblighi
dichiarativi su di  essi  gravanti,  ancorerebbe  ragionevolmente  la
decorrenza del periodo entro  il  quale  l'amministrazione  puo'  far
valere le proprie pretese a un termine  iniziale  certo,  coincidente
con la data  di  scadenza  dell'obbligo  inadempiuto,  ossia  con  la
consumazione dell'illecito  omissivo,  anche  nel  caso  di  condotta
particolarmente lesiva, quale quella dell'evasore  totale.  Peraltro,
l'art. 4-ter, comma 1, lettera c), del decreto-legge 22 ottobre 2016,
n.  193  (Disposizioni  urgenti  in  materia   fiscale   e   per   il
finanziamento   di   esigenze   indifferibili),    convertito,    con
modificazioni, nella legge 1°  dicembre  2016,  n.  225,  sostituendo
l'art. 15 del d.lgs. n. 504 del 1995, recante il regime  generale  di
prescrizione  delle  accise,  in  caso  di  illecito   omissivo   non
prevederebbe piu' la  decorrenza  del  termine  prescrizionale  dalla
scoperta, omologando la fattispecie a quella attiva. 
    Alla luce di tali considerazioni, la diversa scelta  operata  dal
legislatore  con  riferimento  all'imposta  di  consumo  sull'energia
elettrica sarebbe irragionevole, in quanto frutto di discrezionalita'
immotivata,  e   determinerebbe   un'ingiustificata   disparita'   di
trattamento tra contribuenti, in raffronto  alle  citate  fattispecie
normative,  evocate  quali  tertia   comparationis,   in   violazione
dell'art. 3 Cost.  Ne'  rileverebbe  che  alcune  di  esse  prevedano
termini  decadenziali,  venendo  in  considerazione  il   mero   dato
strutturale   divergente,   per   cui,   diversamente   dagli   altri
contribuenti,  chi  si  sia   sottratto,   in   conseguenza   di   un
comportamento omissivo, al pagamento dell'imposta erariale di consumo
(ora accisa) sull'energia elettrica resterebbe  assoggettato  per  un
lasso temporale incerto al potere  dell'amministrazione  di  incidere
sulla sua sfera patrimoniale. 
    Inoltre,  quest'assoggettamento   a   tempo   indeterminato   del
contribuente all'azione del fisco contrasterebbe di per se' anche con
l'art. 24 Cost. (si cita la  sentenza  n.  280  del  2005  di  questa
Corte). 
    In punto di rilevanza, il rimettente evidenzia  come,  alla  luce
dei motivi d'impugnazione dell'Agenzia ricorrente, l'unica  questione
dibattuta tra le parti nei giudizi a quibus sia  di  mero  diritto  e
attenga alla decorrenza del termine di prescrizione del diritto  alla
riscossione dell'imposta e delle sanzioni  irrogate  -  anche  queste
ultime assoggettate al medesimo regime, atteso che l'art.  20,  comma
1, del decreto legislativo 1997, n.  472  (Disposizioni  generali  in
materia  di  sanzioni  amministrative  per  le  violazioni  di  norme
tributarie, a norma  dell'articolo  3,  comma  133,  della  legge  23
dicembre 1996, n. 662), farebbe rinvio all'art.  57,  comma  3,  t.u.
accise - onde la possibilita' di definizione del giudizio nel merito,
non essendo necessari  ulteriori  accertamenti  di  fatto,  ai  sensi
dell'art. 384, secondo comma, del codice di procedura civile. 
    Di qui la necessita' di fare applicazione dell'art. 57, comma  3,
secondo periodo, t.u. accise, il cui dato letterale e la cui ratio di
presidio  normativo   avverso   gli   evasori   totali   dell'imposta
indurrebbero a sconfessare l'interpretazione seguita  dalla  sentenza
gravata  -  erroneamente  riferita  all'art.  15,  comma  1,  secondo
periodo, t.u. accise, comunque testualmente identico, nella  versione
all'epoca vigente, alla disposizione censurata - la  quale  individua
nel momento della scoperta dell'illecito omissivo, anziche' il dies a
quo di decorrenza della prescrizione, il termine di maturazione della
stessa. 
    2.- In entrambi i giudizi, con atti di contenuto coincidente,  e'
intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso    dall'Avvocatura    generale    dello    Stato,    deducendo
l'inammissibilita' o, comunque, la  non  fondatezza  delle  questioni
sollevate. 
    Quanto al primo profilo, l'Avvocatura evidenzia come l'intervento
manipolativo-additivo    invocato    dal    rimettente    non     sia
costituzionalmente obbligato  e  implichi  scelte  di  spettanza  del
legislatore, in una materia rimessa alla sua discrezionalita', a  cui
questa Corte non potrebbe sostituirsi. 
    Nel merito, le questioni sollevate sarebbero non fondate. 
    Ad avviso del Presidente del Consiglio dei  ministri,  il  regime
della  prescrizione  dell'imposta  troverebbe  giustificazione  nella
particolare  natura  del  bene   oggetto   d'imposizione,   in   cui,
diversamente da quanto avverrebbe con gli altri  prodotti  sottoposti
ad accisa, il momento della  fabbricazione  non  sarebbe  agevolmente
distinguibile  da  quello  di  immissione  in  consumo,   in   quanto
quest'ultimo sarebbe istantaneo, onde la rilevanza fiscale della sola
fornitura. Di qui la giustificazione  di  un  regime  impositivo  del
tutto  specifico,  connotato  dalla  previsione  di  una   serie   di
adempimenti volti  a  consentire  all'amministrazione  di  censire  i
soggetti  e  vigilare  sui  consumi.  Le  attivita'  di  accertamento
sarebbero dunque rimesse sostanzialmente al fabbricante, cui verrebbe
demandata  l'attuazione  del  tributo,  mentre  l'amministrazione  si
limiterebbe al riscontro di quanto realizzato, chiaramente nei limiti
in cui essa  sia  messa  nella  condizione  di  svolgere  il  proprio
controllo. 
    In ragione di tali considerazioni, il regime  della  prescrizione
ancorato alla scoperta del  fatto,  in  caso  di  illecito  omissivo,
sarebbe tutt'altro che irragionevole, perche' correlato al momento in
cui  l'immissione  in  consumo  emerge   altrimenti   rispetto   alla
fisiologia  normativa,  e  renderebbe  disomogenee   le   fattispecie
normative  che  si  pretenderebbe  di  mettere  a  confronto.   Cio',
peraltro, giustificherebbe anche  il  diverso  regime  prescrizionale
previsto per i contribuenti che, seppur in maniera errata,  adempiono
agli obblighi imposti dalla legge e  dunque  non  sono  assolutamente
sconosciuti all'amministrazione finanziaria. 
    Inoltre, il rimettente, oltre a operare  un'indebita  commistione
tra termini di decadenza e termini di prescrizione - distinzione che,
con riguardo  alle  accise  in  generale,  sarebbe  stata  introdotta
soltanto con le modifiche apportate dal d.l. n. 193 del 2016 all'art.
15 t.u. accise - non terrebbe conto del  fatto  che,  in  riferimento
all'energia  elettrica,  l'intervento  invocato,  da  un  lato,   non
potrebbe  meglio  soddisfare  le  pretese   esigenze   di   certezza,
considerata la mancanza di una condotta che lasci tracce oggettive  e
quindi sia idonea a  circoscrivere  meglio,  rispetto  alla  scoperta
dell'illecito,  il  tempo  di  esposizione  alle   pretese   fiscali;
dall'altro, esso non sarebbe coerente con l'esigenza di far decorrere
il termine di prescrizione dal momento in cui il diritto puo'  essere
fatto valere, vale a dire quello in  cui  l'illecito  omissivo,  come
quello  commissivo,   viene   a   oggettiva   evidenza   come   fatto
naturalistico. 
    Un  diverso  approccio  rischierebbe   di   generare   disparita'
ingiustificate tra chi non si sottrae all'adempimento degli  obblighi
di denuncia e si sottopone ai controlli dell'amministrazione  e  chi,
viceversa, dopo aver potuto operare a lungo occultamente senza  oneri
impositivi in un settore dove i  controlli  sarebbero  oggettivamente
inefficaci, possa rientrare nella legalita' limitandosi ad affrontare
il debito tributario  e  sanzionatorio  sopravvissuto  a  un  termine
prescrizionale sicuramente limitato. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con le ordinanze in epigrafe (reg. ord. n. 146 e n.  147  del
2020),  dal  tenore  sostanzialmente   coincidente,   la   Corte   di
cassazione, sezione quinta civile, solleva, in riferimento agli artt.
3 e 24 della Costituzione, questioni di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 57, comma 3, secondo periodo, del  decreto  legislativo  26
ottobre 1995, n. 504  (Testo  unico  delle  disposizioni  legislative
concernenti le imposte sulla produzione  e  sui  consumi  e  relative
sanzioni penali e amministrative), nella parte in cui non prevede una
data certa di inizio della decorrenza  del  termine  di  prescrizione
delle obbligazioni tributarie e  delle  sanzioni  correlate  al  loro
inadempimento nel caso di comportamenti omissivi del contribuente. 
    L'art. 57 del d.lgs. n. 504 del 1995 (d'ora in poi: t.u.  accise)
reca  la  disciplina  della  prescrizione  dell'imposta  erariale  di
consumo  -  secondo  la  denominazione  originaria,  precedente  alla
modifica operata dall'art.  1,  comma  1,  lettera  m),  del  decreto
legislativo 2  febbraio  2007,  n.  26  (Attuazione  della  direttiva
2003/96/CE che ristruttura il quadro comunitario  per  la  tassazione
dei prodotti energetici e  dell'elettricita'),  e  rilevante  ratione
temporis - sull'energia elettrica, prevedendo, al comma 3, che  «[i]l
termine di prescrizione per il recupero  dell'imposta  e'  di  cinque
anni  dalla  data  in  cui  e'  avvenuto  il  consumo.  In  caso   di
comportamenti  omissivi  la  prescrizione  opera  dal  momento  della
scoperta del fatto illecito». 
    Ad avviso del rimettente, la  disposizione  censurata  violerebbe
l'art. 24 Cost., in quanto assoggetterebbe a tempo  indeterminato  il
contribuente     all'azione     accertatrice     e      sanzionatoria
dell'amministrazione finanziaria, nonche' l'art. 3 Cost.,  in  quanto
la scelta operata dal  legislatore  di  ancorare  la  decorrenza  del
termine di prescrizione alla data di scoperta  dell'illecito,  da  un
lato,   sarebbe   intrinsecamente   irragionevole   e,    dall'altro,
determinerebbe  un'ingiustificata  disparita'  di   trattamento   tra
contribuenti nell'assoggettamento temporale all'azione del fisco. 
    2.-  Occorre  preliminarmente  evidenziare  come  la   Corte   di
cassazione  censuri  esclusivamente  l'art.  57,  comma  3,   secondo
periodo, t.u. accise - disposizione rimasta invariata nel  corso  del
tempo  e  attualmente  ancora  in  vigore  nella   sua   formulazione
originaria -  il  quale,  con  riferimento  all'imposta  erariale  di
consumo (ora accisa) sull'energia elettrica,  fissa  in  cinque  anni
decorrenti dalla scoperta dell'illecito,  in  caso  di  comportamento
omissivo, il termine di prescrizione per il recupero dell'imposta. 
    Secondo  l'interpretazione  non  implausibile  da  cui  muove  il
rimettente, a tale termine rinvia l'art. 20,  comma  1,  del  decreto
legislativo 18  dicembre  1997,  n.  472  (Disposizioni  generali  in
materia  di  sanzioni  amministrative  per  le  violazioni  di  norme
tributarie, a norma  dell'articolo  3,  comma  133,  della  legge  23
dicembre 1996, n. 662), prevedendo che l'atto di contestazione  o  di
irrogazione  delle  sanzioni  in  materia  tributaria  debba   essere
notificato, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno
successivo a quello in cui e' avvenuta la violazione «o  nel  diverso
termine previsto  per  l'accertamento  dei  singoli  tributi»,  quale
sarebbe, appunto, quello previsto dalla norma censurata. 
    Dunque, il dies a quo di computo del  termine  entro  cui  devono
intervenire l'avviso di pagamento  -  ossia  l'atto  di  accertamento
relativo  all'imposta  in  considerazione  (ex  plurimis,  Corte   di
cassazione, sezione quinta civile,  sentenza  1°  febbraio  2019,  n.
3049) - e l'atto di contestazione o  irrogazione  della  sanzione  e'
individuato in entrambi i casi nella scoperta dell'illecito omissivo. 
    L'intervento manipolativo-additivo auspicato dal  giudice  a  quo
onde ovviare ai dubbi di legittimita' costituzionale palesati -  vale
a dire l'introduzione nella disposizione censurata di una data  certa
di decorrenza del termine, in sostituzione di quella prevista -  puo'
dunque indirizzarsi esclusivamente  all'art.  57,  comma  3,  secondo
periodo, t.u. accise, in quanto, pur incidendo direttamente  soltanto
sul regime prescrizionale del  credito  tributario,  e'  destinato  a
riverberarsi automaticamente anche su  quello  decadenziale  relativo
alle sanzioni, proprio in virtu' del citato rinvio. 
    3.-  Tanto  premesso,  riuniti  i   giudizi   in   considerazione
dell'identita' delle questioni sollevate, onde definirli con un'unica
pronuncia, e' fondata e assorbente l'eccezione d'inammissibilita' con
la quale il Presidente del Consiglio dei ministri sottolinea  che  la
reductio  ad  legitimitatem  auspicata  dal  rimettente  postula   un
intervento manipolativo-additivo, la cui scelta  e'  prioritariamente
affidata alla discrezionalita' del legislatore. 
    3.1.- Occorre rammentare come questa Corte abbia gia' avuto  modo
di chiarire (sentenza n. 280 del  2005)  e  successivamente  ribadire
(sentenza n. 11 del 2008 e ordinanza n. 178 del 2008) che  l'art.  24
Cost. impedisce di lasciare il contribuente  assoggettato  all'azione
del fisco per un tempo indeterminato. 
    Sebbene tale principio sia stato  originariamente  formulato  con
riferimento alla decadenza e all'azione esecutiva, la sua piu'  ampia
portata, estesa oltre  i  limiti  dell'iniziale  affermazione,  trova
conferma, sia in dottrina, sia nella giurisprudenza costituzionale. 
    Da essa si puo'  infatti  evincere  come  il  diritto  di  difesa
impedisca anche un'indeterminata o irragionevolmente ampia soggezione
del contribuente all'azione accertativa del fisco  (sentenze  n.  247
del 2011 e n. 356  del  2008),  ancorche'  condizionata  dal  mancato
compimento di una specifica attivita' posta dalla legge a carico  del
contribuente medesimo. 
    Inoltre,  questa  Corte,  a  soddisfacimento   dell'esigenza   di
certezza nei rapporti giuridici,  ha  avuto  modo  di  avallare  come
costituzionalmente  orientata  l'interpretazione  volta  a  porre  un
termine  prescrizionale  determinato  all'esercizio  dell'azione   di
recupero dei tributi  doganali  (sentenza  n.  247  del  2011)  e  di
considerare essenziale la previsione di un preciso  limite  temporale
per l'esercizio del  potere  sanzionatorio  dell'amministrazione,  in
chiave di tutela dell'interesse  soggettivo  alla  definizione  della
propria situazione giuridica (sentenza n. 151 del 2021). 
    Tanto  considerato,  la  norma  censurata,  identificando   nella
scoperta dell'illecito il termine di  decorrenza  della  prescrizione
del  credito  tributario  -   e   della   decadenza   dalla   pretesa
sanzionatoria, per effetto del rinvio operato dall'art. 20, comma  1,
del d.lgs. n. 472 del 1997 - non individua in maniera certa il dies a
quo di inizio del computo, cosi' esponendo a tempo  indeterminato  il
contribuente alle pretese del fisco, potenzialmente avanzabili  anche
a  distanza   di   decenni   dall'insorgenza   dell'obbligo   rimasto
inadempiuto,  in  violazione  dell'art.  24  Cost.  Ad  aggravare  il
pregiudizio del diritto di  difesa,  quantomeno  con  riferimento  al
credito dell'imposta, concorrono l'esclusiva previsione di un termine
di prescrizione - suscettibile, a differenza di quello di  decadenza,
di   interruzione   e,   quindi,   eventuale   fonte   di   ulteriore
indeterminatezza  -  nonche'  la   circostanza   che   l'obbligo   di
conservazione documentale, funzionale a contraddire  le  pretese  del
fisco, sia previsto per un tempo molto piu'  breve  (artt.  2220  del
codice civile e 8, comma 5, della  legge  27  luglio  2000,  n.  212,
recante  «Disposizioni  in  materia  di  statuto  del  contribuente»,
nonche', attualmente, art. 15, comma 6, t.u. accise). 
    Ritenuta la necessita' che il contribuente non  sia  assoggettato
al potere del fisco per un tempo  indeterminato  -  principio  a  cui
rispondono i tertia comparationis  evocati  dalla  Corte  rimettente,
ossia l'art. 57, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica
26 ottobre 1972, n. 633 (Istituzione e  disciplina  dell'imposta  sul
valore aggiunto), l'art. 43, comma  2,  del  decreto  del  Presidente
della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600  (Disposizioni  comuni  in
materia di accertamento delle imposte sui redditi), l'art. 76,  comma
1, del decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131
(Approvazione  del  testo  unico   delle   disposizioni   concernenti
l'imposta di registro), nonche' l'art.  15  (Recupero  dell'accisa  e
prescrizione del diritto all'imposta) t.u.  accise,  come  da  ultimo
sostituito dall'art. 4-ter, comma 1, lettera c), del decreto-legge 22
ottobre 2016, n. 193 (Disposizioni urgenti in materia fiscale  e  per
il  finanziamento  di  esigenze   indifferibili),   convertito,   con
modificazioni, nella legge 1° dicembre 2016, n. 225 -  la  disciplina
recata  dalla  disposizione  censurata  produce,  sotto  il   profilo
difensivo,  un   irragionevole   effetto   discriminatorio   per   il
contribuente tenuto all'imposta di consumo (ora accisa)  sull'energia
elettrica. 
    3.2.- Se e' dunque  palese  l'inadeguatezza  del  regime  tuttora
dettato  dall'art.  57,  comma  3,  secondo  periodo,  t.u.   accise,
segnatamente rispetto alle esigenze poste dall'art. 24  Cost.,  quali
in precedenza evidenziate, deve, tuttavia, rilevarsi come a essa  non
possa  porre  rimedio  questa  Corte.  E',  infatti,   rimesso   alla
valutazione  discrezionale  del  legislatore,  anche  in  forza   del
principio della polisistematicita'  dell'ordinamento  tributario,  il
ragionevole adattamento ai vari tributi di istituti comuni, quali  la
prescrizione e la decadenza della pretesa fiscale (n. 375  del  2002;
nello stesso  senso,  sentenza  n.  201  del  2020),  combinandole  e
modulandole in relazione agli specifici interessi di volta  in  volta
coinvolti. 
    4.- Nel dichiarare l'inammissibilita' delle questioni in esame  -
«in ragione del doveroso rispetto della prioritaria  valutazione  del
legislatore in ordine alla individuazione dei mezzi  piu'  idonei  al
conseguimento di un fine costituzionalmente necessario» (ex plurimis,
sentenza n. 151 del 2021) - questa Corte non puo', tuttavia, esimersi
dal sottolineare che quanto  evidenziato  in  ordine  al  diritto  di
difesa rende ineludibile un tempestivo intervento legislativo volto a
porvi rimedio. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    riuniti i giudizi, 
    dichiara   inammissibili    le    questioni    di    legittimita'
costituzionale dell'art. 57, comma 3, secondo  periodo,  del  decreto
legislativo 26 ottobre 1995, n. 504 (Testo unico  delle  disposizioni
legislative concernenti le imposte sulla produzione e sui  consumi  e
relative sanzioni penali e amministrative), sollevate, in riferimento
agli artt. 3 e 24 della  Costituzione,  dalla  Corte  di  cassazione,
sezione quinta civile, con le ordinanze in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 23 settembre 2021. 
 
                                F.to: 
                   Giancarlo CORAGGIO, Presidente 
                      Angelo BUSCEMA, Redattore 
             Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria 
 
    Depositata in Cancelleria il 26 ottobre 2021. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA