N. 168 ORDINANZA (Atto di promovimento) 25 giugno 2021

Ordinanza  del  25  giugno  2021  del  Tribunale   di   Firenze   nel
procedimento penale a carico di D. M. L.. 
 
Processo  penale  -  Interrogatorio  della  persona  sottoposta  alle
  indagini   -   Avvisi   all'indagato   prima   che   abbia   inizio
  l'interrogatorio -  Mancata  previsione  che  gli  avvisi  previsti
  debbano essere  rivolti  anche  alla  persona  cui  sia  contestato
  l'illecito amministrativo di cui all'art. 75, comma 1,  del  d.P.R.
  n. 309 del  1990  o  che  sia  stata  gia'  raggiunta  da  elementi
  indizianti di tale illecito, allorche' la  stessa  sia  sentita  in
  relazione a un reato collegato ai sensi  dell'art.  371,  comma  2,
  lettera b), cod. proc. pen. 
- Codice di procedura penale, art. 64, comma 3. 
(GU n.44 del 3-11-2021 )
 
                        TRIBUNALE DI FIRENZE 
                        Prima sezione penale 
 
    Il Giudice, dott. Franco Attina', nel procedimento sopra indicato
a carico di D.   M.   L.   , nato in   , sedicente, identificato  con
rilievi fotodattiloscopici (C.U.I.   ); elettiv.  domiciliato  presso
l'avv. Massimo Goti del Foro di Prato; 
    difeso di fiducia  dall'avv.  Massimo  Goti  del  Foro  di  Prato
(nomina a seguito dell'arresto del   ); 
    parla  e  comprende  solo   parzialmente   la   lingua   italiana
(accertamento all'udienza di convalida del 25 giugno 2021); 
    arrestato in flagranza di reato in data   e oggetto  del  decreto
di presentazione diretta in giudizio per il rito direttissimo con  la
seguente imputazione   
        1) art. 73, comma 5^, decreto del Presidente della Repubblica
9  ottobre  1990,  n.   309   (T.U.L.Stup.)   come   modificato   dal
decreto-legge 20 marzo 2014,  n.  36,  convertito  con  modificazioni
dalla legge 20 maggio 2014, n. 79 (nella Gazzetta Ufficiale 20 maggio
2014, n. 115) perche', senza l'autorizzazione di cui  all'art.  17  e
fuori dalle ipotesi previste dall'art. 75 stessa legge, cedeva a  R. 
 F.   , per la somma  di  euro  40,00,  complessivi  gr.  0,44  lordi
cocaina (crack) sostanza stupefacente di cui alla tab. I-III prevista
dall'art. 14 della legge medesima. 
        2) art. 73, comma 5^, decreto del Presidente della Repubblica
9  ottobre  1990,  n.   309   (T.U.L.Stup.)   come   modificato   dal
decreto-legge 20 marzo 2014,  n.  36,  convertito  con  modificazioni
dalla legge 20 maggio 2014, n. 79 (nella Gazzetta Ufficiale 20 maggio
2014, n. 115) perche', senza l'autorizzazione di cui  all'art.  17  e
fuori dalle ipotesi previste dall'art. 75 stessa legge, deteneva  per
finalita'  di  spaccio  complessivi  gr.  4,80  lordi   di   sostanza
stupefacente del tipo crack/cocaina (suddivisi in 8 dosi  pronte  per
lo spaccio) sostanza stupefacente di cui  alla  tab.  I-III  prevista
dall'art. 14 della legge medesima. 
    Accertati in   , il   
premesso che: 
    D.   M.   L.   era tratto  in  arresto  in  data    ,  alle  ore 
 circa, per i reati di cessione e detenzione a  fine  di  spaccio  di
stupefacenti, qualificati dal pubblico ministero ex art. 73  comma  5
decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990; 
    il pubblico ministero con decreto del 24 giugno 2021 disponeva la
presentazione diretta dell'arrestato per la convalida dell'arresto ed
il successivo giudizio direttissimo; 
    all'udienza odierna, dopo la  relazione  orale  dell'operante  di
P.G.,  si  svolgeva   l'interrogatorio   dell'arrestato;   le   parti
illustravano quindi  le  proprie  richieste:  il  pubblico  ministero
chiedeva convalidarsi l'arresto e applicarsi la misura cautelare  del
divieto di dimora nel Comune e nella Provincia di    ;  il  difensore
si opponeva alla convalida dell'arresto e all'applicazione di  misure
cautelari,  chiedendo  in  subordine  l'applicazione  di  una  misura
cautelare gradata quale l'obbligo di presentazione alla P.G.; 
rilevato che: 
    A) in  base  agli  atti  d'indagine  alle  ore    circa  del    i
poliziotti del Commissariato   , nel corso di un servizio  in  strada
in  abiti  civili  finalizzato  al   contrasto   dello   spaccio   di
stupefacenti nei pressi del   ,  notavano  l'attuale  arrestato  (che
gia' conoscevano perche' in data 8 giugno 2021 lo avevano trovato  in
possesso di  un  computer  di  origine  furtiva)  parlare  con  altro
soggetto, successivamente identificato in R.   F.   , nato il   a   .
Gli operanti notavano che il D.   si avvicinava ad una fioriera,  ove
dall'interno di un fazzoletto prelevava un involucro che cedeva a R. 
 in  cambio  di  alcune  banconote.  Gli  operanti  a  questo   punto
intervenivano, fermando entrambi i soggetti.  Sequestravano  cosi'  a
R.   un involucro contenente 0,44 grammi di sostanza che  alla  vista
individuavano come  crack  e  che  poi  effettivamente  al  narcotest
risultava positivo come cocaina (di cui il  crack  e'  un  derivato);
addosso a D.    rinvenivano  la  somma  di  euro  220  (tra  cui  due
banconote da 20 euro oggetto delle successive  dichiarazioni  di  R. 
 ); nella gia'  citata  fioriera  recuperavano  il  fazzoletto  sopra
menzionato al cui interno rinvenivano ulteriori otto  involucri,  sei
dei quali di colore giallo identici a quello sequestrato a R.   , che
avrebbero  poi  reagito  positivamente  al  narcotest  come   cocaina
(crack), per complessivi gr. 4,80; 
    B) R.   F.   , sentito poi a s.i.t., confermava l'acquisto appena
effettuato della sostanza di  tipo  crack  da  un  soggetto,  da  lui
conosciuto come «Matteo» che riconosceva senza ombra  di  dubbio  nel
soggetto tratto in arresto dai poliziotti;  descriveva  le  modalita'
dell'acquisto (corrispondenti a quelle osservate  dagli  operanti  di
P.G.); affermava di avere pagato la dose di crack 40 euro; dichiarava
che gia' in altre due occasioni - nell'arco dei precedenti due mesi -
aveva acquistato dosi di  crack  dal  medesimo  spacciatore,  con  le
medesime modalita', nel medesimo luogo e al medesimo prezzo; 
    C) Il prevenuto in sede  d'interrogatorio  si  e'  avvalso  della
facolta' di non rispondere; 
    D)  dal  verbale   di   arresto   e   dall'elenco   dei   rilievi
dattiloscopici emerge che il prevenuto (incensurato) - la  cui  prima
presenza in Italia e' stata rilevata nel    - e' stato  gia'  in  due
precedenti  occasioni    denunciato   per   reati   in   materia   di
stupefacenti; si  ignorano  pero'  del  tutto  i  dettagli  e  quindi
l'affidabilita' di detti precedenti di polizia; 
    E) e' possibile senz'altro convalidare l'arresto  del  prevenuto,
gia' solo per il fatto che lo stesso  e'  stato  il    trovato  dagli
operanti in flagranza di reato nella disponibilita' di 4,80 grammi di
crack (cocaina), frazionati  in  piu'  involucri  e  nascosti  in  un
fazzoletto all'interno di una fioriera, in una nota zona  di  spaccio
di stupefacenti; la sostanza era quindi con tutta evidenza  destinata
alla cessione a terzi; la quantita' e la  tipologia  di  stupefacente
detenuto giustificano senz'altro l'arresto; sono  stati  osservati  i
termini di legge; 
    F) per provvedere in ordine alla richiesta di applicazione  della
misura  cautelare,  piu'  rilevante  e'  viceversa   la   preliminare
individuazione di quali siano gli atti utilizzabili a tale scopo; per
poter addivenire ad una corretta decisione a questo  riguardo  ed  in
particolare per valutare l'utilizzabilita' del verbale delle sommarie
informazioni rese dal R.    ,  appare  necessario  il  pronunciamento
della Corte costituzionale in ordine alla legittimita' costituzionale
delle norma di cui all'art. 64, comma 3 c.p.p. nella parte in cui non
prevede che gli avvisi  ivi  indicati  debbano  essere  rivolti  alla
persona cui sia contestato l'illecito amministrativo di cui all' art.
75 comma 1 decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990, o che
sia gia' raggiunta da elementi indizianti di tale illecito, allorche'
la stessa sia sentita in relazione ad un  reato  collegato  ai  sensi
dell'art. 371, comma 2, lettera b) c.p.p.; 
    F) la questione che  qui  s'intende  porre  all'attenzione  della
Corte costituzionale e' analoga a quella gia' sollevata con ordinanza
di questo giudice del 29 aprile 2021, da cui si differenzia solo  per
due aspetti: 1) nella vicenda ora  in  esame  viene  in  rilievo  una
cessione/ricezione di crack/cocaina (sostanza compresa nella  tabella
I e III prevista dall'art. 14) e non  di  cannabinoidi,  per  cui  la
sanzione amministrativa prevista dall'art. 75 decreto del  Presidente
della Repubblica n. 309/1990 risulta essere ancora piu' severa; 2) la
presente ordinanza e' pronunciata dopo il deposito in data 30  aprile
2021 della sentenza della Corte costituzionale  n.  84/2021,  di  cui
puo' dunque tenere conto; 
    cio' premesso; 
 
                              Osserva: 
 
1. Rilevanza della questione. 
    1.1 R.   F.   era gia' raggiunto da gravi elementi indizianti  in
ordine all'illecito amministrativo  di  cui  all'art.  75,  comma  1,
decreto del Presidente della  Repubblica  n.  309/1990  allorche'  e'
stato sentito dalla P.G. in ordine ai fatti oggetto del procedimento:
i poliziotti avevano avuto modo di vedere uno scambio di qualcosa tra
il predetto e D.    ,  con  modalita'  e  in  un  contesto  altamente
sospetti; in suo possesso e' stato poi trovato l'involucro contenente
crack; in effetti, in sede di relazione orale, il sovr.   ha riferito
che al R.   e' stato  contestato  l'illecito  amministrativo  di  cui
all'art. 75, comma 1, decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n.
309/1990. 
    1.2 R.   e' stato sentito  dalla  polizia  giudiziaria  ai  sensi
dell'art. 351, comma 1 c.p.p., senza  che  allo  stesso  siano  stati
forniti gli avvisi di cui all'art. 64, comma 3 c.p.p. 
    1.3 L'art. 64, comma 3 c.p.p. elenca gli avvisi che devono essere
effettuati nei confronti della persona sottoposta alle indagini prima
dell'inizio dell'interrogatorio. 
    1.4 Il disposto dell'art. 64 c.p.p. e' richiamato, in tutto o  in
parte, oltre che dalle norme che disciplinano  le  varie  ipotesi  di
interrogatorio previste dall'ordinamento (a seguito dell'applicazione
di misure cautelari, in udienza preliminare, ecc.),  anche  da  altre
norme processuali che ne estendono l'ambito applicativo:  l'art.  210
c.p.p. relativamente all'esame dibattimentale delle persone  imputate
in un procedimento connesso a norma dell'art. 12 c.p.p. o di un reato
collegato a norma dell'art. 371, comma 2, lettera b)  c.p.p.;  l'art.
350 c.p.p. relativamente alle  sommarie  informazioni  utili  per  le
investigazioni assunte dalla polizia giudiziaria  dalla  persona  nei
cui confronti vengono svolte le indagini; l'art. 363 c.p.p. - tramite
il richiamo all'art. 210 c.p.p. - relativamente all'interrogatorio da
parte  del  pubblico  ministero  delle   persone   imputate   in   un
procedimento connesso a norma dell'art.  12  c.p.p.  o  di  un  reato
collegato a norma dell'art. 371, comma 2, lettera b)  c.p.p.;  l'art.
374 c.p.p. relativamente alla  presentazione  spontanea  al  pubblico
ministero. 
    Varie  pronunce  di  legittimita',  sulla  base  di  ragioni   di
carattere sistematico, hanno poi riconosciuto  la  doverosita'  degli
avvisi di cui all'art. 64 c.p.p. anche in relazione ad ipotesi per le
quali gli stessi non sono espressamente  previsti:  cosi'  Cassazione
Sez. 1, sentenza n. 22643 del 10 maggio 2012 (dep.  11  giugno  2012)
Rv. 252741 - 01 e  Cassazione  Sez.  1,  sentenza  n.  15849  del  18
dicembre 2017 (dep. 10 aprile 2018)  hanno  affermato  che  i  citati
avvisi  devono  essere  formulati  dalla  polizia  giudiziaria  anche
allorche' proceda ai sensi dell'art. 351 comma  1-bis  all'assunzione
di informazioni da persone imputate in  un  procedimento  connesso  a
norma dell'art. 12 c.p.p. o di un reato collegato a  norma  dell'art.
371, comma 2, lettera b) c.p.p. 
    Ai sensi dell'art. 61 c.p.p. i diritti e le garanzie previste per
l'imputato si estendono alla persona sottoposta alle indagini;  salvo
sia diversamente  previsto,  inoltre,  le  disposizioni  dettate  per
l'imputato si estendono alla persona sottoposta alle indagini. 
    1.5 Ai sensi del comma 3-bis dell'art. 64 c.p.p.  «l'inosservanza
delle disposizioni  di  cui  al  comma  3,  lettere  a)  e  b)  rende
inutilizzabili le dichiarazioni rese dalla  persona  interrogata.  In
mancanza  dell'avvertimento  di  cui  al  comma  3,  lettera  c),  le
dichiarazioni eventualmente rese dalla persona interrogata  su  fatti
che concernono la responsabilita' di altri non sono utilizzabili  nei
loro confronti e la  persona  interrogata  non  potra'  assumere,  in
ordine a detti fatti, l'ufficio di testimone». 
    L'art. 63 comma 1 c.p.p. prevede poi - in caso  di  dichiarazioni
autoincriminanti rese nel corso dell'audizione  da  un  soggetto  non
imputato e non sottoposto alle indagini - l'inutilizzabilita'  contro
il   predetto   soggetto   delle   dichiarazioni   rilasciate   prima
dell'interruzione   dell'esame.   Il   comma   successivo    sancisce
l'inutilizzabilita' anche nei confronti dei terzi delle dichiarazioni
rese, qualora la persona dovesse essere sentita  sin  dall'inizio  in
qualita' di imputato o di persona sottoposta alle indagini. 
    1.6  Si  ritiene  poi   di   dover   condividere   l'orientamento
giurisprudenziale secondo cui - nel caso in cui i  citati  avvisi  di
cui all'art. 64, comma 3 c.p.p. (ed in particolare quello di cui alla
lettera c) siano stati indebitamente omessi  -  le  dichiarazioni  in
questione, anche ove rese nel corso delle indagini preliminari,  sono
inutilizzabili nei  confronti  dei  terzi  (oltre  alle  gia'  citate
Cassazione Sez. 1, sentenza n. 22643 del 10 maggio 2012 Rv. 252741  -
01 e Cassazione Sez. 1, sentenza  n.  15849  del  18  dicembre  2017,
afferenti alla materia cautelare, si veda anche  Cassazione  Sez.  3,
sentenza n. 30922 del 18 settembre 2020 Rv.  280277  -  01,  relativa
all'inutilizzabilita' nel giudizio abbreviato). 
    1.7 A fronte di tale quadro di garanzie e di correlate  sanzioni,
nessuna garanzia e' prevista in ordine all'audizione del soggetto cui
sia gia' stato contestato un illecito per il quale sia  prevista  una
sanzione formalmente non penale ma sostanzialmente  punitiva  (o  nei
cui  confronti  siano  gia'  emersi  indizi  di  un  tale  illecito),
allorche' lo stesso sia sentito in relazione ad un fatto collegato ai
sensi dell'art.  371,  comma  2,  lettera  b)  c.p.p.;  con  riguardo
specifico  al  caso  di  specie,  nessuna  garanzia  e'  prevista  in
relazione all'audizione della persona cui sia gia'  stata  contestato
l'illecito di cui all'art. 75 comma  1  del  decreto  del  Presidente
della Repubblica n. 309/1990 o nei cui confronti siano comunque  gia'
emersi elementi  indizianti  di  tale  illecito,  con  riguardo  alla
relativa audizione in merito alla cessione di  sostanza  stupefacente
avvenuta nei suoi confronti. 
    1.8 In proposito, risulta evidente il collegamento probatorio tra
l'illecito amministrativo di cui all'art.  75  comma  1  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 309/1990, posto in essere da chi abbia
acquistato o ricevuto sostanza stupefacente per fame  uso  personale,
ed il reato di cui all'art. 73, comma 5, decreto del Presidente della
Repubblica n. 309/1990 ora contestato all'attuale  arrestato/imputato
in relazione alla cessione dello stupefacente allo stesso R.   
    1.9 Ove la norma  di  cui  all'art.  64,  comma  3  c.p.p.  fosse
dichiarata costituzionalmente illegittima  nella  parte  in  cui  non
prevede che gli avvisi  in  questione  siano  rivolti  anche  a  tali
soggetti, ne deriverebbe ai sensi degli articoli 63 e 64 comma  3-bis
l'inutilizzabilita'   delle   dichiarazioni   rese   nei    confronti
dell'attuale imputato. 
    A tale  riguardo,  ad  avviso  di  questo  giudice  -  una  volta
intervenuta   la   suggerita   dichiarazione    d'incostituzionalita'
dell'art. 64 comma 3 c.p.p. - l'inutilizzabilita'  (conseguente  alla
mancata formulazione degli avvisi)  potrebbe  essere  affermata  gia'
alla  stregua  delle  disposizioni  di  legge  esistenti   senza   la
necessita'  di  un  intervento  manipolativo  anche   rispetto   alle
disposizioni che prevedono la sanzione dell'inutilizzabilita'. 
    1.10  Le  dichiarazioni  rese  da  R.    costituiscono  uno   dei
principali elementi a carico di D.   per il reato di cessione di  cui
al capo 1) dell'imputazione e l'unico con riguardo a taluni  profili,
quali il prezzo a cui e' avvenuta la cessione e -  soprattutto  -  le
due precedenti cessioni ad opera dello stesso D.   a R.    dichiarate
da  quest'ultimo,  dato  questo  molto  rilevante   ai   fini   della
sussistenza delle esigenze cautelari e quindi  dell'applicabilita'  o
meno della misura  cautelare  (si  e'  visto  che  D.    e'  soggetto
incensurato e nulla si sa di preciso circa i  precedenti  di  polizia
per stupefacenti di cui si da' atto nel verbale di arresto). 
    1.11 La dichiarazione d'incostituzionalita' che qui si suggerisce
inciderebbe  dunque  significativamente  sul   materiale   probatorio
valutabile ai fini  della  decisione  in  ordine  alla  richiesta  di
applicazione di misura cautelare. 
2. Non manifesta infondatezza. 
    2.1 Si dubita della legittimita' costituzionale  della  norma  di
cui all'art. 64 comma 3 c.p.p. nella parte in cui non prevede che gli
avvisi ivi indicati siano rivolti alla  persona  cui  sia  contestato
l'illecito amministrativo di cui all'art.  75  comma  1  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 309/1990, o che sia gia' raggiunta  da
elementi indizianti di tale illecito, allorche' la stessa sia sentita
in relazione ad un reato collegato ai sensi dell'art. 371,  comma  2,
lettera b) c.p.p. 
    2.2 Tale disciplina normativa pare violare i precetti di cui agli
articoli 3, 24, 111 e 117 della Costituzione (l'art. 117 in relazione
all'art.  6  della  Convenzione  per  la  salvaguardia  dei   diritti
dell'uomo e delle liberta'  fondamentali  e  all'art.  14,  comma  3,
lettera g), del Patto internazionale relativo  ai  diritti  civili  e
politici di New York). 
    2.3 L'art. 75 comma 1 decreto del Presidente della Repubblica  n.
309/1990  (come  risultante  a  seguito  delle  modifiche   apportate
dall'art. 1 comma 24-quater decreto-legge n. 36/2014, convertito  con
modifiche dalla legge n. 79/2014) prevede: «Chiunque, per  farne  uso
personale,  illecitamente  importa,  esporta,  acquista,   riceve   a
qualsiasi  titolo  o  comunque  detiene   sostanze   stupefacenti   o
psicotrope e' sottoposto, per un periodo da due mesi a un anno, se si
tratta di sostanze stupefacenti o psicotrope comprese nelle tabelle I
e III previste dall'art. 14, e per un periodo da uno a tre  mesi,  se
si tratta  di  sostanze  stupefacenti  o  psicotrope  comprese  nelle
tabelle II e IV previste dallo stesso articolo, a una  o  piu'  delle
seguenti sanzioni amministrative: 
        a) sospensione della patente di  guida,  del  certificato  di
abilitazione  professionale  per  la  guida  di  motoveicoli  e   del
certificato di idoneita' alla  guida  di  ciclomotori  o  divieto  di
conseguirli per un periodo fino a tre anni; 
        b) sospensione della licenza di porto  d'armi  o  divieto  di
conseguirla; 
        c) sospensione del  passaporto  e  di  ogni  altro  documento
equipollente o divieto di conseguirli; 
        d) sospensione  del  permesso  di  soggiorno  per  motivi  di
turismo o divieto di conseguirlo se cittadino extracomunitario». 
    I commi successivi dell'art.  75  decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 309/1990 disciplinano la  procedura  applicativa  delle
sanzioni, il regime d'impugnazione, l'eventuale revoca. 
    Pare significativo in particolare il disposto  del  terzo  comma:
«Accertati i fatti di cui al comma 1, gli organi di polizia procedono
alla contestazione  immediata,  se  possibile,  e  riferiscono  senza
ritardo e comunque entro dieci giorni,  con  gli  esiti  degli  esami
tossicologici  sulle  sostanze  sequestrate  effettuati   presso   le
strutture pubbliche di cui al comma 10,  al  prefetto  competente  ai
sensi del comma 13. Ove, al momento dell'accertamento,  l'interessato
abbia la diretta e immediata disponibilita' di veicoli a motore,  gli
organi di  polizia  procedono  altresi'  all'immediato  ritiro  della
patente di guida.  Qualora  la  disponibilita'  sia  riferita  ad  un
ciclomotore, gli organi accertatori ritirano anche il certificato  di
idoneita' tecnica, sottoponendo il veicolo a fermo amministrativo. Il
ritiro della patente di guida, nonche' del certificato  di  idoneita'
tecnica e il fermo amministrativo del  ciclomotore  hanno  durata  di
trenta giorni e ad essi si estendono gli effetti di  quanto  previsto
al comma 4». 
    2.4 Alla luce di tali  previsioni  normative  l'illecito  di  cui
all'art. 75, comma 1, decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n.
309/1990, pur formalmente amministrativo, pare connotato da  sanzioni
sostanzialmente penali. 
    In proposito, richiamando i c.d. criteri  Engel  elaborati  dalla
giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo (i quali non
necessariamente devono essere simultaneamente soddisfatti),  si  deve
rilevare che la natura e finalita'  della  misura  non  e'  meramente
preventiva, ma assume uno  spiccato  connotato  punitivo,  e  che  le
sanzioni potenzialmente applicabili sono plurime e significativamente
afflittive. 
    Sotto il primo profilo si consideri  ad  esempio  che  il  ritiro
immediato della patente o del certificato di idoneita' alla guida  di
ciclomotori,  nel  caso  in  cui  al  momento  dell'accertamento   il
trasgressore abbia la diretta e immediata disponibilita' di veicoli a
motore,  prescinde  dal  dato   dell'intervenuta   assunzione   dello
stupefacente e dunque dalla sussistenza di un pericolo immediato  per
la pubblica incolumita'  (essendo  previsto  pure  in  caso  di  mera
detenzione dello stupefacente in funzione di un consumo personale che
potrebbe avvenire anche  a  distanza  di  tempo  presso  l'abitazione
privata) e prescinde anche dall'accertamento di  infrazioni  connesse
alla circolazione stradale; in caso di ciclomotore e' previsto  anche
che il veicolo sia sottoposto a fermo amministrativo. 
    Del resto la giurisprudenza della Corte di  cassazione,  sia  pur
pronunciandosi prima delle modifiche apportate  all'art.  75  decreto
del  Presidente  della  Repubblica   n.   309/1990   nel   2014,   ha
espressamente riconosciuto la finalita' anche punitiva  dell'illecito
in questione (secondo Cassazione Civ. Sez. 2, ordinanza n. 21236  del
14 ottobre 2010 Rv. 615467 - 01 tale disciplina normativa non ha «uno
scopo meramente punitivo», e quindi ha anche uno scopo punitivo). 
    Sotto il secondo profilo, occorre  considerare  che  le  sanzioni
previste dall'art. 75 decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n.
309/1990 sono plurime, variegate e irrogabili anche  cumulativamente.
In proposito, si deve  sottolineare  che  secondo  la  giurisprudenza
della Corte di Strasburgo per valutare  la  gravita'  della  sanzione
(allo scopo di identificare la stessa come pena o meno ai fini  della
Convenzione), la stessa deve essere valutata prendendo come punto  di
riferimento la pena  massima  edittale,  non  rilevando  la  sanzione
concretamente inflitta al termine del giudizio (si veda ad es.  Corte
europea dei diritti dell'uomo sentenza 13 giugno 2017, Šimkus  contro
Lituania, par. 44). Nel caso dell'illecito di cui all'art. 75 decreto
del Presidente della Repubblica n.  309/1990,  occorre  dunque  avere
riguardo  alla  pluralita'  delle   sanzioni   nell'entita'   massima
potenzialmente applicabile. 
    In particolare, gia' la sola sospensione della patente  di  guida
per un periodo apprezzabile di tempo o il divieto di conseguirla  per
un notevole periodo di tempo costituisce una sanzione che, per la sua
severita', assume un carattere punitivo e dissuasivo.  In  proposito,
recentemente  la  stessa  Corte  costituzionale  ha  riconosciuto  il
carattere sostanzialmente penale della sanzione  della  revoca  della
patente di guida (con il divieto di  conseguirla  nuovamente  per  un
certo periodo di tempo) applicata con la sentenza di  condanna  o  di
patteggiamento per  il  reato  di  omicidio  stradale  o  di  lesioni
stradali  (sentenza  n.  68/2021).  In  tale   occasione   la   Corte
costituzionale ha altresi' ricordato i numerosi casi in cui la  Corte
europea dei diritti dell'uomo ha ritenuto che misure come il ritiro e
la sospensione della patente, o il  divieto  di  condurre  veicoli  a
motore, o anche solo la decurtazione dei punti  della  patente  -  in
ragione della elevata rilevanza del diritto di condurre un veicolo  a
motore  per  la  vita  quotidiana  e  l'esercizio  di  una  attivita'
professionale - si debbano considerare sanzioni di natura penale. 
    Non pare doversi trascurare un ulteriore dato: l'illecito di  cui
all'art. 75 decreto del Presidente della Repubblica  n.  309/1990  e'
sempre correlato ad un delitto di cessione di  stupefacenti,  per  il
quale l'ordinamento prevede pene severe e anche sul piano procedurale
appronta una serie di misure (arresto in flagranza,  intercettazioni,
misure cautelari), anche in deroga al regime  ordinario  (ad  es.  in
materia  di  perquisizioni   domiciliari),   che   rendono   evidente
l'attenzione e lo sforzo  che  il  legislatore  vuole  dedicare  alla
repressione del traffico di stupefacenti. In  tale  quadro  anche  la
previsione dell'illecito di cui all'art. 75  decreto  del  Presidente
della Repubblica n. 309/1990 per il mero consumatore vale ad assumere
una forte connotazione dissuasiva. 
    2.5 Una  volta  riconosciuta  la  natura  sostanzialmente  penale
dell'illecito  di  cui  all'art.  75  decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 309/1990, il mancato riconoscimento del c.d. diritto al
silenzio al soggetto cui tale illecito sia contestato o che  comunque
sia raggiunto da indizi di responsabilita'  per  tale  illecito  pare
violare le citate norme costituzionali. 
    Occorre premettere che il  nostro  ordinamento  penale  riconosce
all'imputato e all'imputato di reato connesso o collegato  una  serie
di garanzie, tra  cui  il  diritto  al  silenzio,  ma  anche  il  non
assoggettamento all'obbligo di dire la verita' e  in  certi  casi  il
diritto a non presentarsi dinanzi all' autorita' giudiziaria  o  alla
polizia  giudiziaria  (che  pure   costituiscono   declinazioni   del
principio  del  nemo  tenetur  se  detegere),  nonche'   l'assistenza
difensiva. 
    Si  intende  qui  proporre  l'estensione  al  soggetto  cui   sia
contestato  l'illecito  ex  art.  75  decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 309/1990 soltanto della facolta' di non rispondere,  in
quanto il diritto al silenzio costituisce il  nucleo  essenziale  del
diritto a non collaborare alla propria incolpazione. 
    2.6 L' omesso riconoscimento del diritto al silenzio pare violare
in primo luogo l'art. 24 della Costituzione. 
    Come ribadito con  l'ordinanza  n.  117/2019,  la  giurisprudenza
della Corte costituzionale ritiene  che  «il  "diritto  al  silenzio"
dell'imputato  -  pur  non   godendo   di   espresso   riconoscimento
costituzionale    -    costituisca    un    "corollario    essenziale
dell'inviolabilita' del diritto di difesa", riconosciuto dall'art. 24
della Costituzione (ordinanze n. 202 del 2004, n. 485 e  n.  291  del
2002).  Tale  diritto  garantisce  all'imputato  la  possibilita'  di
rifiutare di sottoporsi all'esame testimoniale e, piu'  in  generale,
di avvalersi della  facolta'  di  non  rispondere  alle  domande  del
giudice o dell'autorita' competente per le indagini.». 
    Per quanto la Corte costituzionale  non  abbia  finora  affermato
espressamente  l'applilcabilita'  del   diritto   al   silenzio   nel
procedimento penale anche dei soggetti cui sia contestato un illecito
amministrativo per il quale  sia  prevista  una  sanzione  di  natura
«punitiva» secondo i criteri Engel,  pare  potersi  giungere  a  tale
conclusione. 
    Da un lato infatti il diritto al silenzio appartiene  «al  novero
dei  diritti  inalienabili  della  persona   umana»   (ordinanza   n.
117/2019); dall'altro, la giurisprudenza della  Corte  costituzionale
ha negli  anni  via  via  riconosciuto  l'applicabilita'  di  singole
garanzie proprie del processo penale anche agli illeciti connotati da
una sanzione, pur formalmente qualificata diversamente, ma  di  fatto
di natura «punitiva». 
    Con la sentenza n. 68/2021 la  Corte  ha  sottolineato  di  avere
«ormai esteso alle sanzioni amministrative a carattere punitivo -  in
quanto  tali  (indipendentemente,  cioe',  dalla  caratura  dei  beni
incisi) - larga  parte  dello  "statuto  costituzionale"  sostanziale
delle  sanzioni  penali:  sia  quello  basato  sull'art.   25   della
Costituzione - irretroattivita' della norma sfavorevole (sentenze  n.
96 del 2020, n. 223 del 2018 e n. 68 del  2017;  nonche',  a  livello
argomentativo, sentenze n. 112 del 2019 e n. 121 del 20 18; ordinanza
n. 117 del  2019),  determinatezza  dell'illecito  e  delle  sanzioni
(sentenze n. 134 del 2019 e n. 121 del 2018) - sia quello  basato  su
altri parametri, e in particolare sull'art. 3  della  Costituzione  -
retroattivita'  della  lex  mitior  (sentenza  n.   63   del   2019),
proporzionalita' della sanzione alla gravita' del fatto (sentenza  n.
112 del 2019)». 
    Da ultimo, con la sentenza n. 84/2021 la Corte costituzionale  ha
espressamente  riconosciuto  il  diritto  al  silenzio  al   soggetto
interessato da  procedimenti  amministrativi  comunque  funzionali  a
scoprire illeciti e a individuarne i responsabili e  suscettibili  di
condurre   all'applicazione   nei   suoi   confronti   di    sanzioni
amministrative di carattere punitivo, giungendo  cosi'  a  dichiarare
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 187-quinquiesdecies decreto
legislativo n. 58/1998, nella parte in  cui  si  applica  anche  alla
persona fisica che si sia rifiutata di fornire alla  CONSOB  risposte
che possano far emergere  la  sua  responsabilita'  per  un  illecito
passibile di sanzioni amministrative di  carattere  punitivo  (ovvero
per un reato). 
    In tale quadro, pare necessario estendere il diritto al silenzio,
nocciolo essenziale del diritto di difesa di cui  all'art.  24  della
Costituzione, anche al soggetto che - interessato da un  procedimento
amministrativo suscettibile di  condurre  all'applicazione  nei  suoi
confronti di  una  sanzione  di  carattere  punitivo  -  sia  sentito
nell'ambito di un procedimento penale relativo ad un fatto collegato. 
    Anzi, tale diritto al silenzio pare doversi riconoscere a maggior
ragione  ove  il   soggetto   -   cui   sia   contestato   l'illecito
amministrativo contraddistinto da sanzione di natura punitiva  -  sia
sentito nell'ambito di un procedimento penale (per  fatto  collegato)
piuttosto che nel  procedimento  amministrativo  a  suo  carico:  nel
procedimento penale infatti maggiori sono le pressioni a  carico  del
soggetto,  costretto  a  rispondere  contra  se  sotto   l'incombente
minaccia  da  parte   dell'ordinamento   di   un'incriminazione   per
favoreggiamento o altro reato. 
    D'altro canto, nel citato contesto il mancato  riconoscimento  di
tale diritto al silenzio parrebbe irragionevole e quindi contrastante
con l'art. 3 della Costituzione. 
    2.7 La norma censurata sembra  violare  anche  l'art.  111  della
Costituzione nella  misura  in  cui  non  consente  il  rispetto  del
principio del giusto processo. 
    Il diritto al silenzio e' riconosciuto non solo per salvaguardare
la liberta' e dignita' del soggetto cui le domande siano rivolte,  ma
anche per assicurare la  genuinita'  delle  dichiarazioni  rese,  che
potrebbe essere messa in  pericolo  dall'esercizio  di  pressioni  da
parte dell'autorita' nei confronti del soggetto esaminato. 
    Il mancato riconoscimento del  diritto  al  silenzio  sulla  base
della  mera  distinzione  formale  tra  illecito  penale  e  illecito
amministrativo contestato al soggetto non imputato da esaminare  pare
non rispondere ad un criterio di ragionevolezza (e  dunque  viene  di
nuovo  in  rilievo  l'art.  3  della  Costituzione)  ai  fini   della
genuinita' degli elementi di prova forniti dal soggetto  costretto  a
rendere dichiarazioni. 
    Costringere  un  soggetto  a  rendere  dichiarazioni  contra   se
potrebbe  poi  costituire  una   violazione   dell'art.   111   della
Costituzione anche sotto il profilo della  c.d.  parita'  delle  armi
nell'eventuale successivo giudizio  di  impugnazione  della  sanzione
amministrativa punitiva. 
    2.8 La norma qui censurata pare contrastare anche con l'art.  117
della Costituzione (che prescrive  che  la  potesta'  legislativa  e'
esercitata  nel  rispetto  dei  vincoli  derivanti   dagli   obblighi
internazionali) in relazione all'art. 6 Convenzione  europea  per  la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali.  La
stessa Corte costituzionale con l'ordinanza n. 117/2019  ha  rilevato
che la Corte europea dei diritti dell'uomo infatti, pur in assenza di
un  riconoscimento  esplicito   del   diritto   al   silenzio   nella
Convenzione, ha reiteratamente affermato che «il "diritto  a  restare
in  silenzio  e  a  non  contribuire  in  alcun  modo  alla   propria
incriminazione" (Corte europea dei  diritti  dell'uomo,  sentenza  25
febbraio 1993, Funke contro Francia,  paragrafo  44)  si  colloca  al
cuore della  nozione  di  "equo  processo"  proclamata  dall'art.  6,
paragrafo 1, Convenzione europea  per  la  salvaguardia  dei  diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali (ex multis, Corte europea dei
diritti dell'uomo, sentenza 5 aprile 2012, Chambaz  contro  Svizzera,
paragrafo 52). Tale diritto e',  infatti,  finalizzato  a  proteggere
l'accusato da indebite pressioni dell'autorita' volte a provocarne la
confessione (sentenza 8  febbraio  1996,  John  Murray  contro  Regno
Unito, paragrafo 45).  Nella  valutazione  della  Corte  europea  dei
diritti dell'uomo, inoltre, il diritto in questione  e'  strettamente
connesso alla presunzione di innocenza di cui all'art.  6,  paragrafo
2, Convenzione europea per la salvaguardia dei  diritti  dell'uomo  e
delle liberta' fondamentali (sentenze  21  dicembre  2000,  Heaney  e
McGuinnes contro Irlanda, paragrafo 40; 17  dicembre  1996,  Saunders
contro  Regno  Unito,  paragrafo  68)».  La  Corte di   Strasburgo ha
ritenuto decisiva ai fini del riconoscimento del diritto al  silenzio
la natura «punitiva» della sanzione  applicabile,  che  postulava  il
rispetto  dell'intero  spettro  delle   garanzie   assicurate   dalla
Convenzione in  materia  penale,  compresa  quella  del  «diritto  al
silenzio» da  parte  di  chi  sia  incolpato  di  avere  commesso  un
illecito. «Pare pertanto che, anche  secondo  la  Corte  europea  dei
diritti  dell'uomo,  il  diritto  a  non   cooperare   alla   propria
incolpazione e a non essere  costretto  a  rendere  dichiarazioni  di
natura confessoria, riconducibile all'art. 6 Convenzione europea  per
la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta'  fondamentali,
comprenda il diritto di chiunque sia  sottoposto  a  un  procedimento
amministrativo, che potrebbe sfociare nella irrogazione  di  sanzioni
di carattere "punitivo" nei propri confronti, a non essere  obbligato
a fornire all'autorita' risposte dalle  quali  potrebbe  emergere  la
propria responsabilita', sotto minaccia di una sanzione  in  caso  di
inottemperanza» (Corte costituzionale ordinanza n. 117/2019). 
    Tale argomento vale a maggior ragione con  riguardo  all'illecito
di cui  all'art.  75  decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n.
309/1990 posto che, secondo la giurisprudenza costante della Corte di
cassazione, l'acquirente di sostanza stupefacente per  uso  personale
che si rifiuti di fornire alla P.G. informazioni sulle persone da cui
ha ricevuto la droga puo' essere chiamato a rispondere del delitto di
favoreggiamento personale.  Se  e'  vero  che  la  giurisprudenza  di
legittimita' ha riconosciuto in  astratto  l'applicabilita'  in  tali
casi dell'esimente di cui all'art.  384  c.p.,  in  concreto  poi  ha
fissato per detta applicabilita' requisiti, limiti e condizioni tanto
stringenti da escluderne di fatto l'operativita',  giungendo  con  le
motivazioni piu' varie a confermare la condanna  per  favoreggiamento
dell'acquirente consumatore che aveva serbato il silenzio (Cassazione
Sez. 6, sentenza n.  12934  dell'11  marzo  2015  Rv.  262910  -  01,
Cassazione Sez. 6, sentenza n. 23324 dell'8 marzo 2013 Rv.  256624  -
01, Cassazione Sez. 6, sentenza n.  30535  del  13  luglio  2007  Rv.
237244- 01). 
    2.9 Da ultimo viene in rilievo la violazione dell'art. 117  della
Costituzione in relazione all'art. 14, comma 3, lettera g), del Patto
internazionale sui diritti civili e politici di New York. 
    Detto articolo del Patto adottato a New York il 16 dicembre  1966
(reso esecutivo in Italia con la legge  25  ottobre  1977,  n.  881),
prevede che «Ogni individuo accusato  di  un  reato  ha  diritto,  in
posizione di piena eguaglianza, come minimo alle  seguenti  garanzie:
[...] g) a non essere costretto a  deporre  contro  se  stesso  od  a
confessarsi colpevole». 
    Considerata la natura internazionale del Patto, con cui dunque si
volevano porre dei vincoli alle  condotte  dei  singoli  Stati,  pare
necessario fare riferimento alla natura penale delle  sanzioni  anche
ove queste siano qualificate diversamente dall'ordinamento nazionale;
diversamente i singoli Stati potrebbero aggirare l'impegno assunto  a
livello internazionale semplicemente  qualificando  le  sanzioni  pur
pesantemente afflittive  (eventualmente  anche  detentive)  come  non
penali,  cosi'  sottraendo  di  fatto  alla  persona  interessata  le
speciali garanzie previste dal Patto. 
    2.10  Pare  necessario  precisare  che  il  riconoscimento  anche
rispetto  all'illecito  ex  art.  75  decreto  del  Presidente  della
Repubblica   n.   309/1990   del   diritto   al   silenzio   richiede
necessariamente, perche' tale diritto sia effettivo  e  salvaguardato
compiutamente (come la natura di diritto  inviolabile  dell'individuo
postula), che lo stesso  sia  garantito  attraverso  la  formulazione
espressa degli avvisi di cui all' art. 64 c.p.p. 
    Diversamente, ove si riconoscesse il diritto al silenzio, ma  non
si imponesse all'autorita'  che  procede  all'audizione  di  avvisare
l'interessato in ordine a tale diritto, lo si priverebbe in  sostanza
di effettivita': si consideri da un lato lo stato  di  soggezione  in
cui si puo' venire a trovare l'interessato (in ipotesi consumatore di
sostanze) di fronte all'organo inquirente e dall'altro il  fatto  che
egli non sarebbe neppure  assistito  da  un  difensore  che  potrebbe
renderlo edotto delle sue facolta'. 
    Perche' il diritto al silenzio non sia meramente «tollerato»,  ma
«protetto» dall'ordinamento, i citati avvisi (e le connesse  sanzioni
in caso di omissione) paiono essenziali. 
    Del resto gli avvisi sono previsti  nei  confronti  del  soggetto
imputato  di  reato  connesso  o  collegato  e  non  vi  sarebbe   un
ragionevole  motivo  per  non  prevederli  anche  nei  confronti  del
soggetto cui sia  contestato  l'illecito  amministrativo  (collegato)
connotato da sanzione di natura punitiva, una volta che si  riconosca
anche a quest'ultimo il diritto al silenzio. 
    2.11 Infine, la richiesta di  dichiarare  l'illegittimita'  della
norma di cui all'art. 64, comma 3  c.p.p.  nella  parte  in  cui  non
prevede che gli avvisi  ivi  indicati  debbano  essere  rivolti  alla
persona cui sia contestato l'illecito amministrativo di cui  all'art.
75 comma 1 decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990, o che
sia gia' raggiunta da elementi indizianti di tale illecito, allorche'
la stessa sia sentita in relazione ad un  reato  collegato  ai  sensi
dell'art. 371, comma 2, lettera b) c.p.p.,  va  intesa  evidentemente
avendo  riguardo  ai  criteri  di  collegamento   fattuali   previsti
dall'art. 371, comma 2, lettera b) c.p.p.,  a  prescindere  dal  dato
formale della non qualificazione come reato dell'illecito ex art.  75
comma 1 decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990. 
3. Possibilita' di un'interpretazione conforme. 
    Non risultano percorribili interpretazioni conformi  della  norma
ora censurata alle citate disposizioni della Costituzione,  chiaro  e
univoco  essendo  il  dato  letterale,  che  fa  riferimento  univoco
all'illecito anche formalmente penale. 
    Detta disposizione e'  peraltro  interpretata  in  modo  costante
dalla giurisprudenza in conformita' al citato dato letterale. Si veda
ad es. Cassazione Sez. 3, sentenza n. 2441 del  9  ottobre  2014  Rv.
261953  -  01  («L'acquirente  di  modiche  quantita'   di   sostanza
stupefacente, nei cui confronti non siano emersi elementi  indizianti
di uso non personale, deve essere sentito nel  corso  delle  indagini
preliminari come persona informata dei  fatti  e  come  testimone  in
dibattimento, essendo irrilevante, a tal fine, che egli possa  essere
soggetto a sanzione amministrativa per l'uso personale, derivando  da
cio' la utilizzabilita' delle  dichiarazioni  rese  nelle  rispettive
qualita'») e in precedenza Cassazione Sez. U, sentenza n.  21832  del
22 febbraio 2007 Rv. 236370 - 01 e Cassazione  Sez.  6,  sentenza  n.
40586 del 10 ottobre 2008 Rv.  241358  -  01  e  Cassazione  Sez.  6,
sentenza n. 39981 del 19 settembre 2013 Rv. 256274 - 01. 
    4. Essendo la norma della cui legittimita'  si  dubita  rilevante
per l'individuazione del materiale probatorio  utilizzabile  ai  fini
della  decisione  sulla  richiesta  di  applicazione   della   misura
cautelare, si deve sospendere il giudizio in ordine a tale  richiesta
in attesa della decisione della Corte costituzionale. 
 
                               P. Q. M. 
 
    Visti gli articoli 391 e 558 c.p.p. 
    Convalida l'arresto. 
    Sospende  la  decisione  in  ordine  alla  richiesta  di   misura
cautelare personale. 
    Dispone l'immediata liberazione dell'imputato. 
    Visti gli articoli  134  della  Costituzione,  23  ss.  legge  n.
87/1953,  ritenuta  la  questione  rilevante  e  non   manifestamente
infondata; 
    Solleva questione di legittimita' costituzionale della  norma  di
cui all'art. 64 comma 3 c.p.p. nella parte in cui non prevede che gli
avvisi ivi indicati debbano  essere  rivolti  alla  persona  cui  sia
contestato l'illecito amministrativo  di  cui  all'art.  75  comma  1
decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990, o che  sia  gia'
raggiunta da elementi  indizianti  di  tale  illecito,  allorche'  la
stessa sia sentita in  relazione  ad  un  reato  collegato  ai  sensi
dell'art. 371, comma 2, lettera b) c.p.p.; 
    Per violazione degli articoli 3, 24, 111 e 117 della Costituzione
(l'art.  117  della  Costituzione  in  relazione  all'art.  6   della
Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
liberta' fondamentali e all'art. 14, comma 3, lettera g),  del  Patto
internazionale relativo ai diritti civili e politici di New York). 
    Sospende  il  giudizio  in  corso,  ed  i  relativi  termini   di
prescrizione, fino  alla  definizione  del  giudizio  incidentale  di
legittimita' costituzionale. 
    Dispone l'immediata trasmissione alla Corte costituzionale  della
presente ordinanza e degli atti del procedimento,  comprensivi  della
documentazione  attestante  il   perfezionamento   delle   prescritte
comunicazioni e notificazioni di cui al successivo capoverso. 
    Manda  alla  cancelleria  per  la  notificazione  della  presente
ordinanza al Presidente del Consiglio dei ministri,  nonche'  per  la
comunicazione ai Presidenti della Camera dei deputati  e  del  Senato
della Repubblica e  per  la  successiva  trasmissione  del  fascicolo
processuale alla Corte costituzionale. 
    Da' atto, anche ai fini di cui all'art. 23,  comma  4,  legge  n.
87/1953, che la presente ordinanza e' stata letta in udienza  e  che,
pertanto, essa deve intendersi notificata a coloro che sono o  devono
considerarsi presenti, ex art. 148 comma 5 c.p.p. 
        Firenze, 25 giugno 2021 
 
                         Il Giudice: Attina'