N. 178 ORDINANZA (Atto di promovimento) 22 luglio 2021

Ordinanza del 22 luglio 2021 del Tribunale  amministrativo  regionale
per il Lazio sul ricorso proposto da A. V. e C. F. c/Roma Capitale. 
 
Procedimento amministrativo - Edilizia e urbanistica  -  Accertamento
  di conformita' - Richiesta di permesso in sanatoria, in merito alla
  quale  il  dirigente  o  il  responsabile  del  competente  ufficio
  comunale si pronuncia con adeguata  motivazione  -  Previsione  del
  silenzio diniego sulla richiesta, decorsi sessanta giorni dalla sua
  presentazione. 
- Decreto del Presidente della  Repubblica  6  giugno  2001,  n.  380
  ("Testo unico delle disposizioni  legislative  e  regolamentari  in
  materia edilizia (Testo A)"), art. 36, comma 3. 
(GU n.46 del 17-11-2021 )
 
          IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LAZIO 
                         Sezione seconda bis 
 
    ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro  generale  448  del  2020,  integrato  da  motivi  aggiunti,
proposto da V. A. e F. C.,  rappresentati  e  difesi  dagli  avvocati
Alberto Lapenna e Simona De Paola, con  domicilio  digitale  PEC  dai
registri di giustizia; 
    contro Roma Capitale, in persona del  legale  rappresentante  pro
tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Cristina Montanaro, con
domicilio digitale PEC dai registri di giustizia e  domicilio  eletto
presso l'Avvocatura comunale in Roma, via del Tempio di Giove n. 21; 
    per   l'annullamento,    previa    sospensione    dell'efficacia,
dell'ordinanza di demolizione d'ufficio n. ... del ..., dell'atto  n.
... del ..., di irrogazione di  sanzione  amministrativa  pecuniaria,
... del silenzio-diniego sull'istanza di sanatoria edilizia del  ...,
impugnato con motivi aggiunti, con richiesta  di  declaratoria  della
sussistenza della doppia conformita' urbanistico-edilizia. 
    Visti il ricorso e i relativi allegati; 
    Visti i motivi aggiunti e i relativi allegati; 
    Visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Relatore nella camera di consiglio del giorno 17 febbraio 2021 il
dott. Silvio Lomazzi, in collegamento da remoto, in  videoconferenza,
ex art. 25, comma 2 del decreto-legge n. 137 del 2020 (convertito  in
legge n. 176 del 2020); 
    Con atto n. ... del  ...  Roma  Capitale  emetteva  ordinanza  di
demolizione d'ufficio, ex art. 31 del decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 380 del 2001 e art. 15 della legge regionale n. 15  del
2008, avente ad oggetto opere abusive realizzate in via ...,  interno
..., indirizzata ai sigg.ri V. A. e  F.  C.,  quali  proprieTribunale
amministrativo regionalei non responsabili;  con  previo  sopralluogo
del  27  maggio  2019  l'amministrazione  accertava  l'inottemperanza
all'ordinanza di demolizione n. ... del ..., relativa  al  cambio  di
destinazione d'uso con opere del piano primo della  predetta  unita',
disposto dal costruttore  al  momento  dell'edificazione,  da  locali
tecnici/servizi ad uso  abitativo,  con  tamponatura  del  piano,  in
difformita' essenziale rispetto al permesso di costruire rilasciato. 
    Con determina n. ... del ... veniva irrogata ai sigg.ri A.  e  C.
anche la sanzione pecuniaria di euro 2.000,00, ex art. 15,  comma  3,
della legge regionale n. 15 del 2008 per detta inottemperanza. 
    Non essendo pervenuta alcuna risposta all'istanza  di  sanatoria,
gli interessati impugnavano i suddetti atti n. ... del ... e  n.  ...
del ..., censurandoli per violazione degli articoli 29,  31,  38  del
decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, dei principi
di proporzionalita' e sussidiarieta' nonche' per  eccesso  di  potere
sotto il profilo della contraddittorieta'. 
    I  ricorrenti  in  particolare  hanno  fatto   presente   che   i
provvedimenti  non   erano   stati   notificati   a   ...,   societa'
costruttrice,  quale   soggetto   responsabile   degli   abusi;   che
l'acquisizione dell'immobile e dell'area di sedime poteva avere luogo
solo  in  caso  di  inottemperanza  da  parte  dei   proprieTribunale
amministrativo regionalei responsabili  dell'abuso;  che  era  invece
maturato un affidamento incolpevole circa la permanenza delle  opere,
senza che  venisse  valutata  la  possibilita'  della  sola  sanzione
pecuniaria; che  la  posizione  dei  proprieTribunale  amministrativo
regionalei non responsabili andava dunque differenziata. 
    Roma Capitale si costituiva in  giudizio  per  la  reiezione  del
gravame, depositando documentazione a supporto dell'assunto. 
    Il  successivo  ...  gli  interessati  presentavano  istanza   di
sanatoria edilizia, ai sensi dell'art. 36 del decreto del  Presidente
della  Repubblica  n.  380  del  2001,  relativa  all'aumento   della
volumetria, pari al 3,50% rispetto a quella originaria, con  modifica
della sagoma. Con  memoria  l'amministrazione  capitolina  illustrava
l'infondatezza nel merito del gravame. 
    I  ricorrenti  impugnavano  con  motivi  aggiunti   il   silenzio
dell'amministrazione,  pur  non  motivato,  valendo  lo  stesso  come
diniego, ex art. 36 del decreto del Presidente  della  Repubblica  n.
380 del 2001, deducendo la violazione di legge e l'eccesso di  potere
per contraddittorieta'. 
    Gli interessati hanno sostenuto al  riguardo  che  sussisteva  la
conformita' urbanistico-edilizia dell'intervento, sia al  momento  di
sua realizzazione che  all'epoca  di  presentazione  dell'istanza  di
sanatoria; che non vi  era  una  variazione  essenziale  rispetto  al
progetto  originario  assentito  e  che  l'intervento  poteva  essere
qualificato come di ristrutturazione edilizia. 
    Veniva quindi chiesto l'annullamento  del  silenzio-diniego,  con
dichiarazione   della   sussistenza    della    doppia    conformita'
urbanistico-edilizia. 
    Roma Capitale depositava ulteriore documentazione a  confutazione
delle impugnative. 
    Nell'udienza del 17 febbraio 2021  la  causa  veniva  discussa  e
quindi trattenuta in decisione. 
    Il Collegio ritiene di dover  sollevare  d'ufficio  questione  di
legittimita' costituzionale, ex art. 1 della legge costituzionale  n.
1 del 1948 e art. 23 della legge n. 87 del 1953, sull'art. 36,  comma
3, del decreto del Presidente  della  Repubblica  n.  380  del  2001,
secondo cui «Sulla richiesta di permesso in sanatoria il dirigente  o
il responsabile del competente  ufficio  comunale  si  pronuncia  con
adeguata motivazione, entro sessanta  giorni»,  nella  parte  ove  e'
previsto che «decorsi i quali la richiesta  si  intende  rifiutata.»,
per contrasto con gli articoli 3, 97 e, in  via  mediata,  24  e  113
della Costituzione, trattandosi di norma a carattere sostanziale,  ma
con effetti processuali. 
    In linea generale e in prima battuta, con riferimento ai  profili
di  ragionevolezza  di  cui  all'art.  3  della  Costituzione,   puo'
premettersi  che  il  riconnettere  all'inerzia  dell'amministrazione
sull'istanza di sanatoria un effetto di diniego, introduce un  sicuro
elemento  di  incertezza  nel  rapporto  tra  cittadino  e   soggetto
pubblico, impedendo al primo di poter comprendere  le  ragioni  della
reiezione, e costringendolo, ove non presti adesione, a ricorrere  ad
una tutela giurisdizionale «al buio», con aggravamento della  propria
posizione processuale. 
    Del pari per il medesimo aspetto non puo'  non  considerarsi  che
l'evoluzione  normativa,  sembra  dirigersi  quantomeno   verso   una
marginalizzazione dell'istituto del silenzio-diniego, sia  in  ambito
sostanziale (cfr. articoli 19, 20 della legge n. 241 del  1990),  che
processuale (cfr. articoli 31, 117 c.p.a.),  favorendo  le  tipologie
del silenzio-accoglimento  o  del  silenzio-inadempimento,  con  piu'
efficiente sistema di tutela processuale. 
    In relazione all'art. 24 della  Costituzione,  occorre  segnalare
che, laddove l'interessato  si  rivolga  al  giudice,  lo  stesso  e'
costretto a impugnare un silenzio qualificato  dal  legislatore  come
provvedimento negativo, dunque del tutto sprovvisto  di  motivazione,
dovendo,  senza  apprezzabili  punti  di  riferimento,  da  un   lato
tenTribunale amministrativo regionalee  di  individuare  i  possibili
motivi di rigetto, dall'altro cercare  di  affermare  le  ragioni  di
doppia conformita' urbanistico-edilizia dell'abuso. 
    Quanto  ai  parametri  di   buon   andamento,   imparzialita'   e
trasparenza, di cui all'art. 97 della Costituzione, va detto che  gli
stessi, per come declinati dal legislatore ordinario, in primo  luogo
con la legge  n.  241  del  1990,  impongono  all'amministrazione  di
rispondere alle istanze dei privati in tempi certi,  previo  adeguato
contraddittorio  procedimentale,  e  con  provvedimenti  espressi   e
motivati. 
    Con  riferimento  in  ultimo  all'art.  113  della  Costituzione,
occorre  rilevare   che   l'esercizio   del   diritto   alla   tutela
giurisdizionale avverso gli atti della  pubblica  amministrazione  e'
reso piu' gravoso dall'assenza in sostanza di un vero e proprio  atto
amministrativo  -  sussistente  solo  come  fictio  iuris  -,  a  cui
rivolgere le proprie censure, oltre che, come  visto,  dalla  mancata
evidenziazione delle ragioni a supporto. 
    Tutto  cio'  altererebbe  anche  la  struttura  dell'ordinamento,
articolata  secondo  il  principio  della  separazione  dei   poteri,
richiedendosi al giudice di intervenire pressoche' in veste di organo
di amministrazione attiva. 
    Nello specifico, sussiste la rilevanza della questione. 
    Va  al  riguardo  evidenziato  che  per  la   definizione   della
controversia occorre fare applicazione dell'art. 36 del  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 380 del 2001,  in  quanto  l'eventuale
doppia  conformita'  degli  abusi   contestati   dall'amministrazione
porrebbe   nel   nulla   i   gravati   provvedimenti    sanzionatori,
determinandone l'inefficacia; che inoltre da  un  lato  i  ricorrenti
deducono l'assenza di  motivazione  dell'amministrazione,  dall'altro
gli stessi sono costretti a prendere atto del  valore  di  diniego  a
carattere  provvedimentale  che  assume  il  silenzio  del   soggetto
pubblico protratto per sessanta  giorni,  con  conseguente  onere  di
impugnativa;  che  gli  stessi  altresi'  includono  nel  petitum  la
dichiarazione   della   sussistenza    della    doppia    conformita'
urbanistico-edilizia;  che   tali   circostanze   sono   strettamente
correlate per l'appunto all'attuale formulazione dell'art. 36,  comma
3, del decreto del Presidente  della  Repubblica  n.  380  del  2001,
strutturato come silenzio-diniego. 
    Di contro, con un  provvedimento  espresso  di  rigetto  motivato
della domanda di sanatoria, i ricorrenti avrebbero impugnato  l'atto,
cercando,  in  causa  petendi,   di   confuTribunale   amministrativo
regionalee le  esplicite  ragioni  di  diniego  e  chiedendone,  come
petitum, l'annullamento, incombendo di nuovo  all'amministrazione  il
riscontro dell'istanza di sanatoria, tenuto conto di quanto  statuito
dal giudice di merito. 
    Ne'  poteva  essere  richiesto  al  Tribunale  in  via   diretta,
nell'ipotesi in trattazione - ovvero in  sede  si'  di  giurisdizione
esclusiva, ex art. 133, comma 1f c.p.a., ma con l'invocata tutela  di
un interesse legittimo, a fronte di un diniego di sanatoria  edilizia
- la spettanza  del  «bene  della  vita»  e,  dunque,  la  sanatoria,
trattandosi  in  ogni  caso  di  giudizio  impugnatorio  e   non   di
accertamento (cfr., in ultimo, tra le altre, Tribunale amministrativo
regionale Lombardia-Brescia, I, n. 17 del  2021,  n.  688  del  2020,
Tribunale amministrativo regionale  Lazio,  II-quater,  n.  3258  del
2020, Tribunale amministrativo regionale Lombardia, II, n.  2052  del
2019, Tribunale amministrativo regionale Puglia-Lecce, III,  n.  1389
del 2019). 
    Il  Collegio  non   ignora   l'esistenza   di   un   orientamento
giurisprudenziale  favorevole  all'accertamento  dei   requisiti   di
cosiddetta  «doppia  conformita'»   urbanistico-edilizia,   ma   tale
accertamento e' stato condotto, almeno da questo Tribunale, nei  casi
di impugnativa di un provvedimento espresso di segno negativo  (cfr.,
tra le altre, Tribunale amministrativo regionale  Lazio,  II-bis,  n.
5704 del 2021, n. 6094 del 2021). 
    Nell'ipotesi   in   trattazione   di   silenzio-diniego    invece
l'amministrazione  risulta  aver   provveduto   solo   fittiziamente,
risultando cosi' in sostanza demandato al giudice l'esercizio per  la
prima  volta  del  potere  di  riscontro  dell'istanza  di  sanatoria
edilizia, in sostituzione dell'amministrazione. 
    In sostanza il giudizio amministrativo in tal modo  non  mantiene
la funzione di verifica della legittimita' dell'esercizio del  potere
amministrativo, ma diventa il luogo in cui viene esercitata in  prima
battuta    la    funzione     amministrativa,     in     sostituzione
dell'amministrazione a cio' istituzionalmente deputata. 
    Ne discenderebbe anche, come meglio esposto in seguito in tema di
non  manifesta  infondatezza,  un  depotenziamento   della   funzione
amministrativa e dunque del ruolo istituzionale dell'amministrazione,
oltre che delle  sue  responsabilita',  con  evidente  compromissione
dell'assetto  costituzionale  che  regola  i  rapporti  tra  funzione
amministrativa e giurisdizionale. 
    Espungendo  dunque  dall'ordinamento  la  norma   in   questione,
risultante dall'attuale formulazione dispositiva, ne risulterebbe,  a
fronte dell'istanza di sanatoria edilizia, una differente fattispecie
di silenzio  non  tipizzato,  ovvero  di  silenzio-inadempimento;  al
ricorrente  potrebbe  quindi  essere  assicurata  la  dovuta   tutela
mediante la conversione del rito, ex combinato disposto articoli  32,
117 c.p.a.. 
    Occorre aggiungere, parimenti in punto di rilevanza, che, secondo
la giurisprudenza di merito, i termini di presentazione  dell'istanza
di sanatoria edilizia non vengono considerati perentori e  che  detta
domanda puo' utilmente essere presentata, come avvenuto nel  caso  di
specie, fino a quando la misura demolitoria non e' eseguita,  permane
l'opera e il soggetto interessato ne conserva  la  titolarita'  (cfr.
Cons. Stato, VI, n. 7601 del 2019, Tribunale amministrativo regionale
Lazio-Latina,  n.  187  del  2019);  che  parimenti  in   base   agli
orientamenti  giurisprudenziali  prevalenti,   il   procedimento   di
sanatoria pendente priva temporaneamente di efficacia, fino alla  sua
definizione, la previa ordinanza di demolizione  (cfr.  Cons.  Stato,
VI,  n.  3308  del  2017  e  n.  5669  del  2020)  o  finanche  rende
definitivamente  inefficace  la  misura   demolitoria,   costringendo
l'amministrazione  a  riemettere  l'ordinanza,  in  caso  di  rigetto
dell'istanza (cfr. Tribunale amministrativo regionale Campania, VIII,
n. 3631 del 2017, Tribunale  amministrativo  regionale  Puglia-Lecce,
III, n. 2863 del 2015). 
    Ne consegue che  l'eventuale  accoglimento  dei  motivi  aggiunti
avverso il silenzio-diniego inciderebbe anche sulla  lite  introdotta
col ricorso avverso l'ordinanza di demolizione d'ufficio n. ... e  la
correlata sanzione pecuniaria irrogata con atto n. ... . 
    Cio'  renderebbe  inefficace  anche  l'ordinanza  di  demolizione
originaria n. ...,  sebbene  impugnata  con  gravame  definitivamente
respinto (cfr. Tribunale amministrativo regionale Lazio,  II-bis,  n.
10753 del 2019 e Cons. Stato, VI, n. 1064 del 2020). 
    Sussiste anche la non manifesta infondatezza della questione. 
    Va  in  primo  luogo  evidenziato  che  la  perentorieta'   della
formulazione della disposizione,  suffragata  poi  da  giurisprudenza
sostanzialmente unanime sul punto, a valere  come  «diritto  vivente»
(cfr. sulla nozione, tra le altre, Corte Costituzionale,  n.  32  del
2020)  -  anche  se  appena  prima  e'  precisato  che   occorrerebbe
un'adeguata motivazione - non  appare  consentire  un'interpretazione
che si discosti dalla  ritenuta  formazione  di  un  silenzio-diniego
provvedimentale e che valga dunque a fugare i dubbi  di  legittimita'
costituzionale di seguito prospettati; risulta in altri  termini  una
tipizzazione ex lege di un atto autoritativo a valenza di  reiezione,
senza  possibilita'  di  configurare   ad   esempio   la   differente
fattispecie del silenzio-inadempimento (cfr., sull'onere di  verifica
da parte del giudice a quo di  un'interpretazione  costituzionalmente
orientata, in ultimo, Corte Costituzionale, n. 145 del 2020). 
    Nel  merito  il  parametro   costituzionale   di   raffronto   e'
rappresentato dal combinato disposto di  cui  agli  articoli  3,  97,
comma 2, della Costituzione e quindi dai principi di  ragionevolezza,
imparzialita', buon andamento e trasparenza agli stessi riconducibili
oltre  che,  in  via  mediata,  dagli  articoli  24   e   113   della
Costituzione. 
    Orbene tali principi vengono tradotti a livello legislativo,  tra
le altre, in particolare, dalla legge n. 241 del 1990, recante  norme
generali in tema di procedimento e di  provvedimento  amministrativo,
oltre che di accesso documentale. 
    L'istituto  del  silenzio-diniego   appare   in   contrasto   con
molteplici dei dettami normativi in  essa  contenuti:  con  l'art.  2
laddove e' previsto l'obbligo generale di concludere il  procedimento
attivato a istanza di parte con  un  provvedimento  espresso,  mentre
nell'ipotesi in trattazione l'amministrazione e' solo facoltizzata  a
fornire  un   riscontro   (persino   nelle   ipotesi   tipizzate   di
silenzio-accoglimento, quale quella di cui all'art. 20, comma 8,  del
decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, in  tema  di
istanza di permesso di costruire ordinario, e' emerso un orientamento
giurisprudenziale che ritiene giuridicamente apprezzabile l'interesse
del privato a conseguire un atto esplicito  -  cfr.,  tra  le  altre,
Tribunale amministrativo regionale  Lazio,  II-quater,  n.  7161  del
2017, II-bis, n. 10227 del 2019 -); con l'art. 3, ove e'  fissato  un
obbligo generale di esporre la motivazione in fatto e in diritto  del
provvedimento, salvo  che  per  gli  atti  normativi  e  a  contenuto
generale, vicenda estranea a quella di presente  trattazione,  mentre
nel caso in esame nessuna  motivazione  viene  fornita  dal  soggetto
pubblico; con l'art. 7 e  seguenti  di  procedimentalizzazione  delle
fasi antecedenti alla decisione amministrativa, mentre  nel  caso  de
quo nessun procedimento ha luogo e nello specifico di detta sede, con
l'art. 10-bis, concernente  l'obbligo  di  comunicazione  dei  motivi
ostativi  all'accoglimento  dell'istanza  del  privato,  al  fine  di
garantirne la fattiva partecipazione. 
    Ne discende che il predetto istituto non sembra  aderire  nemmeno
ai suindicati superiori principi: al principio di imparzialita',  non
avendo il privato modo di  conoscere  le  ragioni  di  rigetto  della
propria istanza, in relazione magari alla domanda similare  di  altro
soggetto; al principio  di  buon  andamento,  perche'  l'assenza  del
contraddittorio procedimentale  non  consente  una  definizione  piu'
agevole e meditata delle questioni, discendente dal confronto,  anche
all'esito  di  una  piu'  completa  istruttoria;  al   principio   di
trasparenza, non essendo dato  sapere  perche'  l'amministrazione  ha
assunto la determinazione di segno negativo e come  sia  maturato  il
suo convincimento. 
    A tutto cio' va aggiunto, in  senso  contrario  al  principio  di
ragionevolezza  e  al  ridetto  principio  di  buon  andamento,   che
l'autorita' potrebbe non rispondere per ragioni - che non emergono  -
per nulla attinenti all'infondatezza della domanda, legate ad esempio
alla scarsita' contingente  delle  proprie  risorse  o  all'eccessivo
numero delle istanze; che un provvedimento lesivo, ma del tutto privo
di  motivazione,  rischia  poi  di   alimenTribunale   amministrativo
regionalee un contenzioso  evitabile,  laddove  il  privato  fosse  a
conoscenza delle  ragioni  ostative  all'accoglimento  della  propria
domanda, con conseguente possibile  nuova  attivita'  amministrativa;
che inoltre detta situazione crea difficolta' al privato  che  decide
di agire in giudizio nel  presenTribunale  amministrativo  regionalee
ricorso, non conoscendosi i motivi di diniego, e anche se il  diritto
di difesa non e' pregiudicato nel complesso, ne e' reso piu'  gravoso
l'esercizio,  dovendosi  allargare  la  causa  petendi   alle   varie
possibili ipotesi di diniego, tenuto conto poi che  non  e'  comunque
possibile per l'amministrazione integrare la motivazione in corso  di
lite con memorie e senza emettere un nuovo provvedimento  (cfr.,  tra
le altre, Tribunale amministrativo regionale Veneto, I,  n.  768  del
2010); che anche la vicenda processuale in se rischia di  prolungarsi
con all'occorrenza necessarie appendici istruttorie. 
    Tale meccanismo del silenzio-diniego rischia di produrre  effetti
pregiudizievoli irragionevoli anche in ambito penalistico, laddove il
giudice  penale  dell'esecuzione,   nel   respingere   l'istanza   di
sospensione o  revoca  dell'ordine  di  demolizione,  fa  riferimento
proprio alla disposizione di cui all'art. 36, comma  3,  del  decreto
del Presidente della  Repubblica  n.  380  del  2001,  circa  l'esito
infausto dell'istanza di  sanatoria  (cfr.,  Corte  Cass.,  Sez.  III
penale, n. 35182 del 2020). 
    Come noto poi nell'attuale ordinamento la regola generale vigente
e'  quella  diametralmente  opposta  del  silenzio-assenso,   fissata
nell'art.20 della cennata legge n. 241 del 1990. 
    Ed e' anche proprio con riferimento al contrapposto istituto  del
silenzio-assenso che possono essere apprezzati i potenziali ulteriori
profili  di  irragionevolezza  della  norma  oggetto   del   presente
scrutinio, laddove si consideri che  per  le  ipotesi  relative  alle
domande di condono e' previsto, ex art. 35, comma 18, della legge  n.
47 del 1985, sia pure previo pagamento del dovuto e produzione  della
documentazione    per    l'accatastamento,    il    meccanismo    del
silenzio-assenso. 
    In sostanza nei casi di istanza di sanatoria, di cui all'art.  36
del decreto del Presidente della Repubblica n.  380  del  2001,  dove
alla base vi e' una violazione di carattere formale della  normativa,
perche' si  e'  realizzata  l'opera  senza  il  titolo  edilizio,  e'
previsto il silenzio-diniego; nelle  ipotesi  invece  di  domanda  di
condono, di cui all'art. 31 della legge n. 47 del 1985,  all'art.  39
della legge n. 724 del 1994 e all'art. 32 del  decreto-legge  n.  269
del 2003 (convertito in legge n. 326 del 2003),  dove  trattasi  gia'
all'origine di  violazioni  di  carattere  sostanziale,  quindi  piu'
gravi,  e'  applicato  il  meccanismo   ben   piu'   favorevole   del
silenzio-assenso. 
    Non sembra convincente poi l'orientamento secondo  cui  l'obbligo
di  motivazione  sorgerebbe   solo   in   ipotesi   di   accoglimento
dell'istanza di sanatoria edilizia, perche' in  tal  caso  potrebbero
emergere  ragioni  di  tutela  di  eventuali   controinteressati   e,
comunque,  della  collettivita',  a   fronte   della   determinazione
amministrativa di sanare un abuso edilizio. 
    Invero oltre a tali esigenze, che  peraltro  andrebbero  tutelate
anche in caso di silenzio-accoglimento  su  istanza  di  permesso  di
costruire ordinaria, ex art. 20, comma 8, del decreto del  Presidente
della Repubblica n. 380 del 2001, occorrerebbe considerare  parimenti
anche, quelle che implicano una distinzione di ruoli  e  di  funzioni
tra amministrazione e giudice, apprezzabili sia in  caso  di  assenso
che di diniego. 
    In altri termini il giudice, secondo il principio di  separazione
dei poteri, ricavabile dal complesso delle disposizioni di  cui  alla
Parte II della Costituzione e riconducibile in particolare anche agli
articoli   97,   113   della   stessa,   non   potrebbe   sostituirsi
all'amministrazione,  provvedendo   in   prima   battuta   in   luogo
dell'autorita' amministrativa,  procedendo  anche  a  valutazioni  in
varia misura discrezionali, di carattere tecnico  e/o  amministrativo
(cfr., in ultimo, Corte Cass., Sezioni unite, n. 2604 del 2021). 
    In  ambito  processuale  detto  dato  e'  poi  confermato   dalla
disposizione contenuta nell'art. 34,  comma  2,  c.p.a.,  laddove  e'
icasticamente  statuito  che  «in  nessun  caso   il   giudice   puo'
pronunciare  con  riferimento  a  poteri  amministrativi  non  ancora
esercitati», senza dunque possibilita' per  lo  stesso  di  procedere
all'attribuzione del bene della  vita,  quando  a  tale  attribuzione
debba pervenirsi attraverso l'esercizio della funzione autoritativa. 
    Ulteriore precipitato processuale del suddetto  principio  appare
contenuto  nell'art.  31,  comma  3,  c.p.a.,  ove  e'  lasciata   la
possibilita' all'organo giurisdizionale di pronunciarsi eventualmente
anche sulla fondatezza della pretesa, ma solo  quando  si  tratti  di
attivita' vincolata, non vi  siano  ulteriori  margini  di  esercizio
della discrezionalita' e non siano necessari adempimenti istruttori a
carico dell'amministrazione. 
    E' ben vero che le ultime argomentazioni spese  in  tema  di  non
manifesta infondatezza, con riferimento  all'ipotizzata  sostituzione
del    giudice    nelle    funzioni    istituzionalmente    demandate
all'amministrazione, potrebbero essere rapportate anche alle  ipotesi
ex lege di silenzio-accoglimento. 
    Puo' tuttavia segnalarsi in tema - oltre al fatto che  l'istituto
del  silenzio  accoglimento  risulta  allo  stato  generalizzato  dal
legislatore, ex art. 20 della legge n. 241 del 1990, diversamente  da
quanto   accade,   come   meglio   esposto   in   seguito,   per   il
silenzio-diniego, che le esigenze di tutela del controinteressato,  a
fronte  di  un  silenzio-accoglimento,  possono  emergere  in   linea
generale meno frequentemente rispetto a quelle del  soggetto  istante
direttamente inciso dal silenzio-diniego e che i  motivi  a  supporto
del   silenzio-accoglimento   potrebbero   inoltre   ricavarsi   piu'
agevolmente dalla stessa domanda del privato, in quanto fatta propria
dall'amministrazione  che  presta  assenso  tacito,   rispetto   alla
contrapposta fattispecie del silenzio-diniego - che  nel  contenzioso
in esame viene in rilievo un'ipotesi normativa di silenzio-diniego  e
non di silenzio-accoglimento e che dunque e' con riferimento  a  tale
prima fattispecie che dette osservazioni vengono formulate. 
    Giova quindi passare in rassegna le varie fattispecie di silenzio
presenti nell'ordinamento, a cui il legislatore ha in qualche  misura
attribuito significato di reiezione. 
    Orbene in base  all'art.  6  del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 1199 del 1971 il silenzio protratto per novanta  giorni
dalla presentazione del ricorso gerarchico vale come  suo  rigetto  e
contro  il  provvedimento  originario  e'  possibile  presenTribunale
amministrativo  regionalee  ricorso  all'autorita'   giurisdizionale;
secondo l'art. 10 della legge n. 1185 del 1967, decorso il termine di
trenta giorni dalla presentazione del ricorso gerarchico  avverso  un
provvedimento in materia di passaporto,  e'  possibile  impugnare  il
provvedimento  stesso  dinanzi  al  giudice  competente;   ai   sensi
dell'art. 17 del decreto  legislativo  n.  340  del  1949,  trascorsi
trenta   giorni   dall'opposizione   avverso   la   graduatoria   per
l'assegnazione di alloggi, l'opposizione si intende respinta  e  puo'
presenTribunale  amministrativo  regionalesi  ricorso   all'autorita'
giurisdizionale (cfr. Cons. Stato, V, n.2391 del 2020). 
    Trattasi dunque di tutte ipotesi differenti da quella  in  esame,
perche'  attinenti  a  silenzi-rigetti   su   ricorsi   all'autorita'
amministrativa, che consentono poi  in  ogni  caso  di  impugnare  il
provvedimento espresso originario dinanzi al giudice competente. 
    In altri casi, come per l'art. 20 della legge n. 1034  del  1971,
parimenti relativo al silenzio sul ricorso gerarchico, o  per  l'art.
33 della legge n. 426 del 1971,  di  previsione  di  silenzio-rigetto
avverso i ricorsi  amministrativi  in  tema  di  autorizzazioni  allo
svolgimento di attivita' commerciale, le relative  disposizioni  sono
state abrogate, rispettivamente mediante l'art. 4, comma  1,  n.  10,
allegato 4, del decreto legislativo n. 104  del  2010  e  l'art.  26,
comma 6, del decreto legislativo n. 114 del 1998. 
    (L'art. 13, comma 2, della legge n.  47  del  1985,  riferito  al
silenzio-diniego  sull'istanza  di  sanatoria  edilizia,   e'   stato
soppresso e sostituito con  l'art.  36,  comma  3,  del  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 380 del  2001,  oggetto  del  presente
scrutinio). 
    La previsione di cui all'art. 59 del R.D. n. 1016 del 1939, sulla
richiesta di rinnovo della concessione della riserva  di  caccia  sui
propri terreni, trascorsi i termini ivi  previsti,  puo'  invece  ben
essere  intesa  come  fattispecie  di  mero   silenzio-inadempimento,
limitandosi il legislatore a precludere la caccia, nelle  more  della
decisione sul ricorso ministeriale. 
    Quanto poi all'ipotesi di cui all'art. 55, comma  3,  cod.  nav.,
relativa alla richiesta di  autorizzazione  all'esecuzione  di  nuove
opere in prossimita'  del  demanio  marittimo,  la  stessa  e'  stata
tramutata da silenzio-diniego in silenzio-accoglimento,  per  effetto
del decreto del Presidente della Repubblica n. 300 del 1992,  tabella
C, attuativo del summenzionato art. 20 della legge n.  241  del  1990
(cfr. anche Corte Cass., Sez. III pen., n. 39868 del 2014). 
    Residuerebbe il caso di cui all'art. 25, comma 4, della legge  n.
241 del 1990, di silenzio-rigetto sull'istanza di accesso agli atti. 
    A ben vedere pero' anche tale fattispecie  appare  differente  da
quella  in  trattazione,  giacche',   in   disparte   la   previsione
dell'obbligo di  motivazione  del  diniego  di  accesso,  di  cui  al
precedente comma 3,  trattasi,  come  noto,  di  posizione  giuridica
soggettiva a carattere strumentale, ovvero  funzionalmente  collegata
ad  altra  posizione  giuridica  soggettiva  (cfr.,  tra  le   altre,
Tribunale amministrativo regionale Campania, VI, n. 1970 del 2019), e
in ogni caso  di  diritto  soggettivo,  come  tale  a  tutela  piena,
assicurata  dall'esame  e  dall'estrazione  di  copia  dei  documenti
richiesti, ex art. 25, comma 1 della  legge  n.  241  del  1990,  ben
diversa dunque da quella di interesse legittimo che viene in  rilievo
a fronte del diniego di sanatoria edilizia. 
    In conclusione pertanto il giudizio deve  essere  sospeso  e  gli
atti vanno trasmessi alla Corte Costituzionale, apparendo rilevante e
non   manifestamente   infondata   la   questione   di   legittimita'
costituzionale della norma  contenuta  nell'art.  36,  comma  3,  del
decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n.  380  del  2001,   di
previsione del silenzio-diniego sull'istanza di  sanatoria  edilizia,
dopo sessanta giorni  dalla  sua  presentazione,  in  relazione  agli
articoli  3,  oltre  che  24  e  113  in  via  mediata,  e  97  della
Costituzione. 
    Ogni ulteriore statuizione in rito, nel merito e in  ordine  alle
spese resta riservata alla decisione definitiva. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Non definitivamente pronunciando sul ricorso n. 448/2020 indicato
in epigrafe, dichiara rilevante e  non  manifestamente  infondata  la
questione  di  legittimita'  costituzionale  della  norma   contenuta
nell'art. 36, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica n.
380 del 2001, di  previsione  del  silenzio-diniego  sull'istanza  di
sanatoria edilizia, dopo sessanta giorni dalla sua presentazione,  in
relazione agli articoli 3, oltre che 24 e 113 in via  mediata,  e  97
della Costituzione. 
    Dispone la sospensione del presente giudizio. 
    Ordina   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
Costituzionale. 
    Ordina che a cura della  segreteria  del  Tribunale  la  presente
ordinanza sia notificata alle parti in  causa  e  al  Presidente  del
Consiglio dei ministri nonche' comunicata ai Presidenti della  Camera
e del Senato. 
    Riserva alla decisione definitiva ogni ulteriore  statuizione  in
rito, nel merito e in ordine alle spese. 
        Cosi' deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno  17
febbraio  2021,  tenutasi  mediante  collegamento   da   remoto,   in
videoconferenza, ex art. 25, comma 2, del decreto-legge  n.  137  del
2020 (conversione in legge n. 176 del  2020),  con  l'intervento  dei
magistrati: 
          Elena Stanizzi, presidente; 
          Silvio Lomazzi, consigliere, estensore; 
          Ofelia Fratamico, consigliere; 
 
                       Il presidente: Stanizzi 
 
                                                 L'estensore: Lomazzi