N. 64 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 19 ottobre 2021
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 19 ottobre 2021 (del Presidente del Consiglio dei ministri). Paesaggio - Edilizia e urbanistica - Norme della Regione Lazio - Modifiche alla legge regionale n. 38 del 1999 - Attivita' consentite nelle zone agricole - Previsione, tra le attivita' consentite, delle attivita' multimprenditoriali integrate e complementari con le attivita' aziendali. Energia - Impianti alimentati da fonti rinnovabili - Norme della Regione Lazio - Modifiche alla legge regionale n. 16 del 2011 - Previsione che i Comuni, entro il 30 giugno 2022, individuano le aree non idonee per l'installazione di impianti fotovoltaici a terra - Previsione che la Regione sostiene i Comuni nello svolgimento delle attivita' di individuazione delle aree non idonee, fornendo adeguato supporto tecnico normativo tramite il gruppo tecnico interdisciplinare - Previsione che la Regione, in caso di inerzia dei Comuni nell'individuazione delle aree non idonee all'installazione degli impianti fotovoltaici entro il termine, esercita il potere sostitutivo - Istituzione del "Gruppo tecnico interdisciplinare per l'individuazione delle aree idonee e non idonee FER". Energia - Impianti alimentati da fonti rinnovabili - Norme della Regione Lazio - Modifiche alla legge regionale n. 16 del 2011 - Previsione della sospensione per otto mesi del rilascio delle nuove autorizzazioni di impianti di produzione di energia eolica e delle installazioni di fotovoltaico posizionato a terra di grandi dimensioni, nelle zone indicate. Ambiente - Aree protette, parchi e riserve naturali - Norme della Regione Lazio - Modifica della perimetrazione del Parco regionale dell'Appia Antica - Prevista riduzione secondo la planimetria e la relativa relazione descrittiva. - Legge della Regione Lazio 11 agosto 2021, n. 14 (Disposizioni collegate alla legge di Stabilita' regionale 2021 e modifiche di leggi regionali), artt. 64, comma 1, lettera a); 75, comma 1, lettere b), e c); e 81.(GU n.47 del 24-11-2021 )
Ricorso ex art. 127 della Costituzione per il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura generale dello Stato (c.f. 80224030587 fax: 0696514000, PEC: ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it) presso i cui uffici e' domiciliato in Roma alla via dei Portoghesi, 12; Contro la Regione Lazio, in persona del Presidente della Giunta regionale pro-tempore per la declaratoria di illegittimita' costituzionale degli articoli 64, comma l, lettera a), 75, comma l, lettera b) e lettera c) e 81 della legge della Regione Lazio 11 agosto 2021, n. 14, pubblicata sul B.U.R n. 79 del 12 agosto 2021, recante «Disposizioni collegate alla legge di stabilita' regionale 2021 e modifica di leggi regionali». Premessa Sul B.U.R. Lazio del 12 agosto 2021, n. 79 e' stata pubblicata la legge Regionale 11 agosto 2021, n. 14, recante «Disposizioni collegate alla legge di stabilita' regionale 2021 e modifica di leggi regionali finanziarie». Alcuni articoli della legge regionale in esame presentano profili di contrasto con la Costituzione, si propone, pertanto, questione di legittimita' costituzionale ai sensi dell'art. 127, comma l Cost. per i seguenti Motivi 1) Illegittimita' dell'art. 64, comma 1, lettera a) della legge regionale n. 14/2021 per violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera s) della Costituzione, in relazione agli articoli 135, 143 e 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, nonche' per violazione dell'art. 9 della Costituzione e del principio di leale collaborazione. L'art. 64 della legge regionale in esame apporta modifiche e integrazioni alla legge regionale 22 dicembre 1999, n. 38, recante «Norme sul governo del territorio». In particolare, il comma 1 modifica l'art. 54 della legge n. 38 del 1999, recante la disciplina delle trasformazioni urbanistiche in zona agricola. Nel dettaglio, il comma 1, lettera a), del predetto art. 64, prevede la sostituzione del comma 2 dell'art. 54 della legge regionale n. 38 del 1999 con il seguente testo: «2. Nel rispetto degli articoli 55, 57 e 57-bis e dei regolamenti ivi previsti, nelle zone agricole sono consentite le seguenti attivita': a) attivita' agricole aziendali di cui all'art. 2 della legge regionale n. 14/2006; b) attivita' multimprenditoriali integrate e complementari con le attivita' agricole aziendali. Rientrano in tali attivita': 1) turismo rurale; 2) trasformazione e vendita diretta dei prodotti derivanti dall'esercizio delle attivita' agricole tradizionali; 3) ristorazione e degustazione dei prodotti tipici derivanti dall'esercizio delle attivita' agricole tradizionali compresi i mercati e le fiere dei prodotti tipici; 4) attivita' culturali, didattiche, sociali, ricreative, sportive e terapeutico-riabilitative; 5) accoglienza e assistenza degli animali nonche' cimiteri per gli animali d'affezione; 6) produzione delle energie rinnovabili anche attraverso la realizzazione di impianti di trattamento degli scarti delle colture agricole e dei liquami prodotti dagli impianti di allevamento del bestiame.». Prima di tale modifica, il testo del comma 2 dell'art. 54 era cosi' formulato: «2. Nel rispetto degli articoli 55, 57 e 57-bis e dei regolamenti ivi previsti, nelle zone agricole sono consentite le attivita' rurali aziendali come individuate all'art. 2 della legge regionale n. 14/2006, comprensive delle attivita' multimprenditoriali individuate dal medesimo art. 2. Rientrano nelle attivita' multimprenditoriali le seguenti attivita': a) turismo rurale; b) trasformazione e vendita diretta dei prodotti derivanti dall'esercizio delle attivita' agricole tradizionali; c) ristorazione e degustazione dei prodotti tipici derivanti dall'esercizio delle attivita' agricole tradizionali; d) attivita' culturali, didattiche, sociali, ricreative, sportive e terapeutico-riabilitative; e) accoglienza ed assistenza degli animali; f) produzione delle energie rinnovabili.». La novella potrebbe apparire di limitata portata innovativa rispetto al testo previgente, atteso che la modifica si risolve, in definitiva: in una diversa articolazione del medesimo contenuto normativa, mediante la sua distribuzione in due lettere («a» e «b»), la seconda delle quali assorbe il secondo periodo presente nella precedente formulazione ed e', a sua volta, articolata in numeri (da l a 6) corrispondenti alle lettere (da «a» a «f») del testo previgente; nella sostituzione delle parole: «attivita' rurali aziendali come individuate all'art. 2 della legge regionale n. 14/2006» con la formulazione, sostanzialmente equipollente, «attivita' agricole aziendali di cui all'art. 2 della legge regionale n. 14/2006»; nella precisazione concernente la possibilita' che la «produzione delle energie rinnovabili» avvenga anche «anche attraverso la realizzazione di impianti di trattamento degli scarti delle colture agricole e dei liquami prodotti dagli impianti di allevamento del bestiame». A fronte di tali, modeste, modificazioni della portata dispositiva della previsione, l'interprete sarebbe, in effetti, indotto a chiedersi per quale ragione il legislatore regionale non si sia limitato ad inserire soltanto la predetta precisazione concernente le energie rinnovabili, ma abbia ritenuto necessario riscrivere l'intero comma, distribuendo diversamente il testo in lettere e numeri. In realta', cio' che emerge e' che, con la suddetta novella, non si e' inteso modificare la disciplina legislativa regionale recante la tipizzazione delle attivita' astrattamente previste nelle zone agricole classificate come tali dagli strumenti urbanistici comunali (ossia il contenuto proprio dell'art. 54, comma 2, della legge regionale n. 38 del 1999), quanto piuttosto incidere surrettiziamente sulla disciplina contenuta nel Piano territoriale paesistico regionale in tema di attivita' in concreto consentite nelle aziende agricole ricadenti m ambiti soggetti a vincolo paesaggistico. Piu' in dettaglio, al fine di apprezzare l'effettiva portata della disposizione introdotta dalla legge regionale n. 14 del 2021, occorre tenere presente che l'art. 52 (1) del Piano territoriale paesistico regionale (PTPR) - approvato con deliberazione del consiglio regionale n. 5 del 21 aprile 2021 e pubblicato sul B.U.R.L. n. 56 del 10 giugno 2021 - nel dettare la disciplina delle aziende agricole in aree vincolate, prevede, al comma l, che nell'ambito delle aziende agricole ubicate in aree sottoposte a vincolo e' consentita la realizzazione di manufatti strettamente funzionali e dimensionati alle attivita' agricole. Il comma 4 della medesima disposizione stabilisce poi che, previa approvazione di un piano di utilizzazione aziendale (d'ora innanzi PUA), e' altresi' consentitol'inserimento delle funzioni ed attivita' compatibili di cui all'art. 54, comma 2, lettera b), della legge n. 38 del 1999. Secondo quanto sopra detto, l'art. 54, comma 2, lettera b), della legge n. 38 del 1999, al tempo dell'approvazione del PTPR e, dunque, anteriormente alla modifica apportata dall'art. 64 della legge in oggetto, faceva riferimento alle sole «attivita' di trasformazione e vendita diretta dei prodotti derivanti dall'esercizio delle attivita' agricole tradizionali». In sede di copianificazione, dunque, si e' deciso - per il tramite del citato rinvio alla disciplina regionale all'epoca vigente - che le attivita' consentite, previa approvazione Ministero della cultura (ex MIBACT), del PUA, nell'ambito di aziende agricole in aree vincolate fossero, oltre a quelle strettamente rurali, esclusivamente le attivita' di trasformazione e vendita diretta dei prodotti derivanti dall'esercizio delle attivita' agricole tradizionali. Per effetto della modifica apportata all'art. 54 della legge n. 38 del 1999, dall'art. 64, comma l, lettera a), della legge regionale n. 14 del 2021, il rinvio operato dal PTPR all'art. 54, comma 2, lettera b), della legge n. 38 del 1999 viene invece ad assumere un contenuto nettamente piu' ampio, che esula dalle scelte all'epoca condivise tra Stato e regione. L'art. 54, comma 2, lettera b), della legge n. 38 del 1999, a seguito della modifica apportata dall'art. 64 della legge in questione, fa infatti riferimento oggi - come innanzi visto - non soltanto alla «trasformazione e vendita diretta dei prodotti derivanti dall'esercizio delle attivita' agricole tradizionali», ma anche a tutte le altre «attivita' multimprenditoriali integrate e complementari con le attivita' agricole aziendali», nelle quali rientrano pure: il turismo rurale; la ristorazione e degustazione dei prodotti tipici derivanti dall'esercizio delle attivita' agricole tradizionali compresi i mercati e le fiere dei prodotti tipici; le attivita' culturali, didattiche, sociali, ricreative, sportive e terapeutico-riabilitative; l'accoglienza e assistenza degli animali nonche' cimiteri per gli animali d'affezione; la produzione delle energie rinnovabili anche attraverso la realizzazione di impianti di trattamento degli scarti delle colture agricole e dei liquami prodotti dagli impianti di allevamento del bestiame. E' dunque evidente come la legge regionale in esame, pur consistendo in una modifica formale della disposizione previgente, sia diretta in realta' a introdurre surrettiziamente una modifica unilaterale della disciplina di tutela prevista dal Piano territoriale, la cui revisione, tuttavia, puo' avvenire esclusivamente nel rispetto dei presupposti e delle modalita' previsti dall'Accordo di copianificazione, sottoscritto congiuntamente con il Ministero della cultura, ai sensi dell'art. 143, comma 2, del codice di settore. Del resto, che la volonta' della regione fosse proprio quella di ampliare, con la norma in esame, il novero delle attivita' consentite nell'ambito di aziende agricole ricadenti in aree vincolate si evince dalla stessa relazione illustrativa della proposta di legge, ove si rappresenta che la modifica all'art. 54, comma 2 della legge regionale n. 38 del 1999 viene apportata, a seguito dell'approvazione del Piano territoriale paesaggistico regionale, «per un necessario coordinamento con quanto dallo stesso previsto dall'art. 52, comma 4». E' evidente tuttavia che, ove in sede in copianificazione vi fosse stata l'intenzione di consentire, nell'ambito di aziende agricole in aree vincolate, attivita' diverse da quelle di trasformazione e vendita diretta dei prodotti derivanti dall'esercizio delle attivita' agricole tradizionali, non ci si sarebbe limitati a inserire, all'art. 52, comma 4 delle norme del Piano, il riferimento all'art. 54, comma 2, lettera b), della legge n. 38 del 1999 (previsione che, come piu' volte ricordato, si riferiva esclusivamente alle attivita' di «trasformazione e vendita diretta dei prodotti derivanti dall'esercizio delle attivita' agricole tradizionali»), ma si sarebbe fatto rinvio all'intero comma 2 dell'art. 54, per come all'epoca vigente. Non vi e' dubbio, pertanto, che la disposizione regionale persegua l'intento e sia diretta a produrre l'effetto di operare una modifica unilaterale del Piano paesaggistico approvato d'intesa con lo Stato, modifica comportante il rilevante incremento delle attivita' consentite nelle aziende agricole ricadenti in aree soggette a vincolo paesaggistico. Per effetto di quanto sopra, la norma regionale si pone in diretto contrasto con gli articoli 135, 143 e 145 del codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42; previsioni, queste ultime, che costituiscono norme interposte rispetto all'art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione. Come ben noto nel 2004 e' entrato in vigore il Codice dei beni culturali e del paesaggio, che ha innovato la disciplina statale in materia di pianificazione paesaggistica, introducendo, tra l'altro, il principio della pianificazione congiunta dei beni paesaggistici' tra Stato e regione (artt. 135, comma l, 143, comma 2 del decreto legislativo n. 42 del 2004, nel testo risultante a seguito delle modifiche operate dal decreto legislativo 24 marzo 2006, n. 157, recante «Disposizioni correttive ed integrative al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, in relazione al paesaggio», e dal decreto legislativo 26 marzo 2008, n. 63, recante «Ulteriori disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, in relazione al paesaggio»). Al riguardo, occorre tenere presente che la parte III del Codice dei beni culturali e del paesaggio delinea un sistema organico di tutela paesaggistica, inserendo i tradizionali strumenti del provvedimento impositivo del vincolo e dell'autorizzazione paesaggistica nel quadro della pianificazione paesaggistica del territorio, che deve essere elaborata concordemente da Stato e Regione. Tale pianificazione concordata prevede, per ciascuna area tutelata, le c.d. prescrizioni d'uso (e cioe' i criteri di gestione del vincolo, volti a orientare la fase autorizzatoria) e stabilisce la tipologia delle trasformazioni compatibili e di quelle vietate, nonche' le condizioni delle eventuali trasformazioni. In sostanza, il legislatore nazionale, nell'esercizio della potesta' legislativa esclusiva in materia, ha assegnato al piano paesaggistico una posizione di assoluta preminenza nel contesto della pianificazione territoriale. Gli articoli 143, comma 9, e 145, comma 3, del Codice di settore sanciscono infatti l'inderogabilita' delle previsioni del predetto strumento da parte di piani, programmi e progetti nazionali o regionali di sviluppo economico e la loro cogenza rispetto agli strumenti urbanistici, nonche' l'immediata prevalenza del piano paesaggistico su ogni altro atto della pianificazione territoriale e urbanistica (cfr. Corte costituzionale n. 180 del 2008). Si tratta di una scelta di principio la cui validita' e importanza e' gia' stata affermata piu' volte da codesta Corte costituzionale, in occasione dell'impugnazione di leggi regionali che intendevano mantenere uno spazio decisionale autonomo agli strumenti di pianificazione dei comuni e delle regioni, eludendo la necessaria condivisione delle scelte attraverso uno strumento di pianificazione sovracomunale, definito d'intesa tra lo Stato e la regione. La Corte ha, infatti, affermato l'esistenza di un vero e proprio obbligo, costituente un principio inderogabile della legislazione statale, di elaborazione congiunta del piano paesaggistico, con riferimento ai beni vincolati (Corte cost. n. 86 del 2019) e ha rimarcato che l'impronta unitaria della pianificazione paesaggistica «e' assunta a valore imprescindibile, non derogabile dal legislatore regionale in quanto espressione di un intervento teso a stabilire una metodologia uniforme nel rispetto della legislazione di tutela dei beni culturali e paesaggistici sull'intero territorio nazionale» (Corte cost., n. 182 del 2006; cfr. anche la sentenza n. 272 del 2009). Il suddetto quadro normativa non consente alla regione, una volta approvato il piano paesaggistico d'intesa con lo Stato, di operare unilateralmente una modifica meramente formale di una propria norma di legge, al solo scopo di incidere indirettamente sulla disciplina concordemente dettata in sede di pianificazione paesaggistica con riferimento alle aree vincolate. L'art. 64, comma l, lettera a), della legge regionale in oggetto e', pertanto, illegittimo per violazione della potesta' legislativa esclusiva in materia di tutela del paesaggio, di cui all'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., rispetto alla quale costituiscono norme interposte gli articoli 135, 143 e 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio. D'altro canto, la medesima previsione censurata, determinando un abbassamento del livello della tutela del paesaggio, comporta anche la violazione dell'art. 9 della Costituzione, che assegna alla tutela del paesaggio il rango di valore primario e assoluto (Corte costituzionale, n. 367 del 2007). Deve, infine, rilevarsi che la modifica apportata dall'art. 64, comma 1, lettera a), della legge regionale in oggetto all'art. 54, comma 2 della legge n. 38 del 1999, laddove incide sulla concreta portata della disciplina contenuta nel Piano territoriale paesistico regionale, costituisce, come gia' evidenziato, il frutto di una scelta assunta unilateralmente dalla regione, al di fuori del lungo percorso condiviso con lo Stato che ha condotto all'approvazione del medesimo piano. In questa prospettiva, la previsione risulta percio' dettata anche in violazione del principio di leale collaborazione, il quale, secondo l'insegnamento di codesta Corte costituzionale, «deve presiedere a tutti i rapporti che intercorrono tra Stato e regioni», atteso che «la sua elasticita' e la sua adattabilita' lo rendono particolarmente idoneo a regolare in modo dinamico i rapporti in questione, attenuando i dualismi ed evitando eccessivi irrigidimenti» (cosi' in particolare, tra le tante, Corte costituzionale n. 31 del 2006). Al riguardo, codesta Corte ha chiarito, tra l'altro, che il predetto principio «(...) anche in una accezione minimale, impone alle parti che sottoscrivono un accordo ufficiale in una sede istituzionale di tener fede ad un impegno assunto» (cosi' ancora la sentenza da ultimo richiamata). La scelta della Regione di assumere iniziative unilaterali, al di fuori dell'accordo con lo Stato, che ha condotto alla recente approvazione del Piano territoriale, si pone, pertanto, in contrasto anche con il principio di leale collaborazione (con riferimento alla leale collaborazione ai fini della pianificazione paesaggistica, con specifico riferimento proprio al PTPR del Lazio cfr. Corte costituzionale n. 240 del 2020). Alla luce di tutto quanto sopra indicato, l'art. 64, comma 1, lettera a) e' illegittimo poiche' si pone in contrasto con l'art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, con riferimento agli articoli 135, 143 e 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, che costituiscono norme interposte, nonche' con l'art. 9 della Costituzione in tema di tutela del paesaggio e con il principio di leale collaborazione. 2) Illegittimita' dell'art. 75, comma 1, lettera b), numeri 2, 3, 4 e 5 limitatamente all'introduzione del comma 5-bis dell'art. 3.1, della legge regionale n. 16/2011 e lettera c) per violazione dell'art. 117, comma 3 (in punto produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia) della Costituzione con riferimento ai principi fondamentali dettati dal decreto legislativo 28 dicembre 2003, n. 387, recante «Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricita'», dell'art. 117, comma primo e dell'art. 117, comma secondo, lettere e) ed s) della Costituzione. L'art. 75 (recante «Modifiche alla legge regionale 16 dicembre 2011, n. 16 "Norme in materia ambientale e di fonti rinnovabili" e successive modifiche») presenta, in alcune sue disposizioni, profili di illegittimita' in quanto contrasta con i principi fondamentali che devono essere rispettati nell'esercizio della potesta' legislativa concorrente «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia», con cio' violando l'art. 117, comma 3 Cost.; principi fondamentali che, per costante giurisprudenza di codesta Corte costituzionale, non tollerano eccezioni sull'intero territorio nazionale (cfr. da ultimo, sentenza n. 69/2018) e nel cui ambito e' da ricondursi la disciplina degli impianti di energia da fonti rinnovabili, regolata in via primaria dal legislatore nazionale con il decreto legislativo 28 dicembre 2003, n. 387, recante «Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricita'», costituente, per quel che occupa, parametro statale interposto (ex multis, Corte costituzionale sentenza n. 189 del 2014). In particolare, l'art. 75, comma, comma 1, lettera b), recante modifica all'art. 3.1, della legge Regione Lazio n. 16/2011 nella sua attuale formulazione: 1) fissa al 30 giugno 2022 il termine entro il quale i comuni individuano le aree non idonee per l'installazione di impianti fotovoltaici a terra (comma 1, lettera b), n. 2); 2) inserisce un comma 4-ter, ai sensi del quale «La Regione sostiene i comuni nello svolgimento delle attivita' di individuazione delle aree non idonee di cui al comma 3, fornendo adeguato supporto tecnico normativo tramite il gruppo tecnico interdisciplinare istituito ai sensi dell'art. 3.1.1.» (comma 1, lettera b) n. 3); 3) abroga il comma 5, dell'art. 3.1, ai sensi del quale «Nelle more delle previsioni di cui al comma 1, resta sempre consentita la produzione di energia da fonti rinnovabili con le modalita' previste dalla legge regionale 2 novembre 2006, n. 14 (Norme in materia di diversificazione delle attivita' agricole) e successive modifiche per la quale non trovano applicazione le limitazioni di cui al comma 3 (comma 1, lettera b), n. 4); 4) prevede un potere sostitutivo della Regione in caso di inerzia dei comuni inserendo il comma 5-bis che prevede: «In caso di inerzia dei comuni nell'individuazione delle aree non idonee all'installazione degli impianti fotovoltaici entro il termine di cui al comma 3, la Regione esercita il potere sostitutivo, tramite le proprie strutture o la nomina di un commissario ad acta, previo invito a provvedere entro un congruo termine, ai sensi della normativa vigente» (comma 1, lettera b), n. 5). Al riguardo occorre innanzitutto, ribadire si e' consapevoli del fatto che le previsioni introdotte con legge regionale Lazio n. l del 2020 (nella specie l'art. 10, comma 11), con particolare riferimento alla competenza comunale ivi sancita alla individuazione delle aree idonee per l'installazione degli impianti fotovoltaici a terra, sono state oggetto di impugnativa da parte del Presidente del Consiglio dei ministri e che codesta Corte costituzionale ha dichiarato infondata la questione di legittimita' costituzionale (cfr. sentenza n. 141/2021), tuttavia, ad avviso del Presidente del Consiglio la questione andrebbe riesaminata alla luce del nuovo quadro normativo interposto. A tale proposito e' fondamentale segnalare che la recente legge 22 aprile 2021, n. 53, recante «Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l'attuazione di altri atti dell'Unione europea - legge di delegazione europea 2019-2020» nel dettare i criteri ulteriori di delega per il recepimento della direttiva 2018/2001/CE sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili, ha affrontato in modo dettagliato il tema delle aree idonee e non idonee all'installazione di impianti a fonti rinnovabili. In particolare, all'art. 5, comma 1, lettere a) e b), si stabilisce che il Governo nell'esercizio della delega deve: a) prevedere, previa intesa con la Conferenza unificata ai sensi dell'art. 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, su proposta del Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e con il Ministero per i beni e le attivita' culturali e per il turismo, al fine del concreto raggiungimento degli obiettivi indicati nel Piano nazionale integrato per l'energia e il clima (PNIEC), una disciplina per l'individuazione delle superfici e delle aree idonee e non idonee per l'installazione di impianti a fonti rinnovabili nel rispetto delle esigenze di tutela del patrimonio culturale e del paesaggio, delle aree agricole e forestali, della qualita' dell'aria e dei corpi idrici, nonche' delle specifiche competenze dei Ministeri per i beni e le attivita' culturali e per il turismo, delle politiche agricole alimentari e forestali e dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, privilegiando l'utilizzo di superfici di strutture edificate, quali capannoni industriali e parcheggi, e aree non utilizzabili per altri scopi, compatibilmente con le caratteristiche e le disponibilita' delle risorse rinnovabili, delle infrastrutture di rete e della domanda elettrica, nonche' tenendo in considerazione la dislocazione della domanda, gli eventuali vincoli di rete e il potenziale di sviluppo della rete stessa. A tal fine sono osservati, in particolare, i seguenti indirizzi: 1) la disciplina e' volta a definire criteri per l'individuazione di aree idonee all'installazione di impianti a fonti rinnovabili aventi una potenza complessiva almeno pari a quella individuata come necessaria dal PNIEC per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo delle fonti rinnovabili. A tal fine, la disciplina reca inoltre criteri per la ripartizione fra regioni e province autonome e prevede misure di salvaguardia delle iniziative di sviluppo in corso che risultino coerenti con i criteri di localizzazione degli impianti preesistenti, rispetto a quelli definiti dalla presente lettera; 2) il processo programmatorio di individuazione delle aree idonee e' effettuato da ciascuna regione o provincia autonoma in attuazione della disciplina di cui al numero 1) entro sei mesi. Nel caso di mancata adozione, e' prevista l'applicazione dell'art. 41 della legge 24 dicembre 2012, n. 234; b) prevedere che, nell'individuazione delle superfici e delle aree idonee e non idonee per l'installazione di impianti a fonti rinnovabili di cui alla lettera a), siano rispettati i principi della minimizzazione degli impatti sull'ambiente, sul territorio e sul paesaggio, fermo restando il vincolo del raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione al 2030 e tenendo conto della sostenibilita' dei costi correlati al raggiungimento di tale obiettivo. Occorre evidenziare, da ultimo che, in attuazione di tale disposizione, lo schema di decreto legislativo di recepimento della direttiva 2018/2001, approvato in prima lettura dal Consiglio dei ministri del 5 agosto 2021, all'art. 20, prevede la «Disciplina per l'individuazione di superfici e aree idonee per l'installazione di impianti a fonti rinnovabili» in conformita' ai criteri di delega sopra esposti, stabilendo in particolare, all'art. 20, commi da 6 a 8, che: «6. Non possono essere disposte moratorie ovvero sospensioni dei termini dei procedimenti di autorizzazione, nelle more dell'individuazione delle aree idonee. 7. Le aree non incluse tra le aree idonee non possono essere dichiarate non idonee all'installazione di impianti di produzione di energia rinnovabile, in sede di pianificazione territoriale ovvero nell'ambito di singoli procedimenti, in ragione della sola mancata inclusione nel novero delle aree idonee. 8. Nelle more dell'adozione dei decreti di cui al comma 1, sono considerate aree idonee, ai fini di cui al comma 1 del presente articolo: a) i siti ove sono gia' installati impianti della stessa fonte e in cui vengono realizzati interventi di modifica non sostanziale ai sensi dell'art. 5, commi 3 e seguenti, del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28; b) le aree dei siti oggetto di bonifica individuate ai sensi dell'art. 242-ter, comma 3, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.». Riguardo, al sopra richiamato schema di decreto legislativo di recepimento della direttiva 2018/2001, pur nella sua versione non definitivamente approvata, non appare superfluo ribadirne la rilevanza, anche alla luce dei principi di leale collaborazione, nella misura in cui si ritiene che lo stesso sia indice di una volonta' legislativa statale in ossequio alla quale la Regione dovrebbe scongiurare, nelle more della definitiva approvazione, l'introduzione di discipline anticipatorie degli effetti attuativi, nonche' derogatorie, implicanti, medio tempore, potenziali effetti distorsivi. L'art. 75, poi, al comma 1, lettera c), prevede l'inserimento, nel corpus della legge n. 16/2011, dell'art. 3.1.1, (Gruppo tecnico interdisciplinare per l'individuazione delle aree idonee e non idonee FER) ai sensi del quale: «1. Nelle more dell'entrata in vigore del PER e del recepimento della direttiva 11 dicembre 2018, n. 2018/2001/UE sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili, e' istituito, senza oneri a carico del bilancio regionale, il "Gruppo tecnico interdisciplinare per l'individuazione delle aree idonee e non idonee FER", secondo le modalita' e' con i compiti di cui ai commi 2 e 3. 2. Il gruppo tecnico interdisciplinare di cui al comma 1 e' costituito con apposita deliberazione adottata dalla Giunta regionale su proposta dell'assessore competente in materia di transizione ecologica ed e' composto da rappresentanti delle diverse direzioni regionali competenti per materia, con il compito di: a) fornire ai comuni adeguato supporto tecnico per lo svolgimento delle attivita' di individuazione delle aree non idonee ai sensi dei commi 3 e 4-bis dell'art. 3.1, in coerenza con i criteri di cui al decreto del Ministro dello sviluppo economico 10 settembre 2010 e con le disposizioni del PTPR, in particolare, adottando i seguenti criteri: 1) tutela delle zone agricole caratterizzate da produzioni agroalimentari di qualita', quali denominazione di origine protetta (DOP), indicazione geografica protetta (IGP), specialita' tradizionali garantite (STG), denominazione di origine controllata e garantita (DOCG) e indicazione geografica tipica (IGT); 2) minimizzazione delle interferenze dirette e indirette sull'ambiente legate all'occupazione del suolo ed alla modificazione del suo utilizzo a scopi produttivi; 3) tutela della continuita' delle attivita' di coltivazione agricola, anche mediante l'utilizzo di impianti agrovoltaici che adottino soluzioni integrative con montaggio verticale dei moduli e mediante sistemi di monitoraggio che consentano di verificare l'impatto sulle colture; 4) per gli 'impianti fotovoltaici collocati a terra insistenti in aree agricole, la disponibilita' di superficie del fondo pari a tre volte la superficie dell'impianto, inteso quale proiezione sul piano orizzontale dei pannelli, in modo da non compromettere la continuita' delle attivita' di coltivazione agricola; 5) localizzazione area idonea primaria nei territori gia' degradati a causa di attivita' antropiche e della presenza di siti industriali, cave, discariche o altri siti contaminati ai sensi della parte quarta, titolo V, del decreto legislativo n. 152/2006, 6) localizzazione area idonea secondaria nei territori classificati dal PTPR come "Paesaggio agrario di continuita'", ossia caratterizzati dall'uso agricolo ma parzialmente compromessi da fenomeni di urbanizzazione diffusa o da usi diversi da quello agricolo; b) effettuare un'analisi delle aree potenzialmente idonee per l'installazione di impianti a fonti rinnovabili previsti dalla normativa europea e statale vigente, in armonia con il Piano nazionale integrato per l'energia e il clima (PNIEC) ed in coerenza con i criteri ivi previsti, nonche' con le disposizioni del PTPR; c) valorizzare e promuovere le innovazioni tecnologiche in particolare dell'agro-voltaico per una efficace integrazione di produzione agricola ed energetica, nonche' i progetti che prevedono l'utilizzo di aree gia' degradate da attivita' antropiche, tra cui le superfici di aree industriali ed artigianali dismesse, le aree assoggettate a bonifica, le cave, le discariche, i siti contaminati, o comunque il ricorso a criteri progettuali volti ad ottenere il minor consumo possibile del territorio, sfruttando al meglio le risorse energetiche disponibili. (...)». La disposizione anzidetta presenta profili di illegittimita', alla luce del vigente quadro normativo statale ed eurounitario gia' richiamato e da intendersi richiamato anche in questa sede, nel quale s'inserisce, andando, per i motivi in appresso evidenziati, ad interferire con esso. In limine, si evidenzia che il Piano nazionale integrato per l'energia e il clima, inviato alla Commissione europea dal Governo italiano a fine 2019 in attuazione del regolamento (UE) 2018/1999, prevede, per i profili che qui rilevano, un cambio di approccio rispetto a quello delineato dall'attuale quadro normativo, nel senso di demandare alle regioni, sulla base di criteri previamente prestabiliti e condivisi, l'individuazione delle aree idonee e non idonee per la localizzazione di impianti a fonte rinnovabile. A tali fini, nell'ambito nel quadro delle misure complessivamente volte al raggiungimento degli obiettivi sulle fonti rinnovabili, particolare rilievo e' stato ascritto alla individuazione delle aree adatte alla realizzazione degli impianti, nonche' alla condivisione degli obiettivi nazionali con le regioni, da perseguire attraverso la definizione di un quadro regolatorio nazionale che, in coerenza con le esigenze di tutela delle aree agricole e forestali, del patrimonio culturale e del paesaggio, della qualita' dell'aria e dei corpi idrici, stabilisca criteri (previamente condivisi con il livello regionale) sulla cui base le regioni stesse procedano alla definizione delle superfici e delle aree idonee e non idonee per l'installazione di impianti a fonti rinnovabili. L'obiettivo dichiarato di tale individuazione concertata e' anche quello di favorire lo sviluppo coordinato di impianti, rete elettrica e sistemi di accumulo, con procedure autorizzative rese piu' semplici e veloci (e coordinate con i meccanismi di sostegno), proprio grazie alla preventiva condivisione dell'idoneita' di superfici e aree. In tal senso, quindi, con particolare riferimento alle rinnovabili, si prevede che il disegno di legge di Delegazione europea 2019 - 2020: nell'ambito dei principi e criteri direttivi specifici che si intendono perseguire, rechi l'individuazione di criteri sulla cui base ciascuna regione e provincia autonoma identifica le superfici e aree idonee e non idonee per l'installazione di impianti a fonti rinnovabili e l'individuazione di procedure per garantire il rispetto dei termini massimi di conclusione dei procedimenti, anche ambientali. Ebbene, la legge 22 aprile 2021, n. 53 (Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l'attuazione di altri atti dell'Unione europea - legge di delegazione europea 2019-2020»), nell'individuare principi e criteri direttivi per il recepimento della direttiva (UE) 2018/2001 sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili, si incentra sugli elementi piu' rilevanti e innovativi, intervenendo in specie sulla finalita' di orientare le scelte da adottare in sede di predisposizione del decreto legislativo di attuazione della direttiva. Per quanto di interesse, particolare rilievo si attribuisce alla condivisione operativa degli obiettivi con le Regioni in sede di Conferenza unificata, attraverso un percorso che conduca alla individuazione delle superfici e aree idonee e non idonee per l'installazione di impianti a fonte rinnovabile. Segnatamente, il primo criterio direttivo specifico indicato in tale contesto dalla citata legge di delegazione si sostanzia nel «prevedere, previa intesa con la Conferenza unificata ai sensi dell'art. 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, su proposta del Ministero dello sviluppo economico, nell'ambito degli obiettivi indicati nel piano nazionale integrato per l'energia e il clima, una disciplina per la definizione delle superfici e delle aree idonee e non idonee per l'installazione di impianti a fonti rinnovabili nel rispetto delle esigenze di tutela del patrimonio culturale e del paesaggio, delle aree agricole e forestali, della qualita' dell'aria e dei corpi idrici, nonche' delle specifiche competenze dei Ministeri per i beni e le attivita' culturali e per il turismo, delle politiche agricole alimentari e forestali e dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, privilegiando l'utilizzo di superfici di strutture edificate e aree non utilizzabili per altri scopi, compatibilmente con le caratteristiche e le disponibilita' delle risorse rinnovabili». L'attuale quadro normativo statale (cfr. legge n. 53/2021), quindi, introduce una apposita disciplina per l'individuazione delle aree idonee e non idonee coinvolgendo in prima battuta i Ministeri di riferimento (MTE e MIC) nell'individuazione dei criteri e attribuendo la titolarita' del processo programmatorio alle regioni e province autonome. Lo schema di decreto legislativo di recepimento, sopra richiamato, puntualizza, inoltre, all'art. 20, comma 4, che «Conformemente ai principi e criteri stabiliti dai decreti di cui al comma 1, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore dei medesimi decreti, le regioni e le province autonome individuano con legge le aree idonee, anche con il supporto della piattaforma di cui all'art. 21. Nel caso di mancata adozione della legge di cui al periodo precedente, ovvero di mancata ottemperanza ai principi, ai criteri e agli obiettivi stabiliti dai decreti di cui al comma 1, si applica l'art. 41 della legge 24 dicembre 2012, n. 234». Alla luce di tutto quanto sopra, e per i motivi dianzi rassegnati, le disposizioni sopra indicate dell'art. 75 della legge regionale in oggetto vanno impugnate, per violazione degli articoli 117, comma primo, comma secondo, lettera e) e lettera s) e comma terzo, in riferimento ai citati parametri statali ed eurounitari dianzi citati. 3) Illegittimita' dell'art. 75, comma 1, lettera b), n. 5, nella parte in cui introduce i nuovi commi 5-quater e 5-quinquies, dell'art. 3.1, della legge regionale n. 16/2011 per violazione dell'art. 117, comma 3 (in punto produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia) della Costituzione con riferimento ai principi fondamentali dettati dal decreto legislativo 28 dicembre 2003, n. 387, recante «Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricita'» nonche' per violazione dell'art. 117, comma 1 della Costituzione in relazione agli articoli 13, della direttiva n. 2009/28/CE e 15, della direttiva n. 2018/2001/UE e degli articoli 97 e 41 della Costituzione. Art. 75, comma 1, lettera b), n. 5), introduce anche i commi 5-quater e 5-quinquies, dell'art. 3.1, della legge regionale n. 16/2011, prevedendo rispettivamente che: «5-quater. Nelle more dell'individuazione delle aree e dei siti non idonei all'installazione degli impianti da fonti rinnovabili, di cui ai commi precedenti, al fine di garantire un maggior bilanciamento nella diffusione di impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili nel territorio regionale, sono sospese per otto mesi a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente disposizione le nuove autorizzazioni di impianti di produzione di energia eolica e le installazioni di fotovoltaico posizionato a terra di grandi dimensioni, nelle zone indicate dalla tabella "Classificazione degli impianti di produzione di energia in relazione all'impatto su paesaggio" delle "Linee guida per la valutazione degli interventi relativi allo sfruttamento di fonti energia rinnovabile" approvate con deliberazione del Consiglio regionale 21 aprile 2021, n. 5 "Piano territoriale paesistico regionale (PTPR)" per le quali il relativo impatto sul sistema di paesaggio e' indicato come non compatibile (NC), in quanto aree di pregio e vincolate. 5-quinquies. Le sospensioni di cui al comma 5-quater non si applicano alle autorizzazioni di impianti agrovoltaici che adottino soluzioni integrative innovative in modo da non compromettere la continuita' delle attivita' di coltivazione agricola e pastorale e purche' realizzati con sistemi di monitoraggio che consentano di verificare, anche con l'applicazione di strumenti di agricoltura digitale e di precisione, l'impatto sulle colture, il risparmio idrico, la produttivita' agricola per le diverse tipologie di colture e la continuita' delle attivita' delle aziende agricole interessate.». Attraverso le citate disposizioni, il legislatore regionale dispone, pertanto, una sospensione dei procedimenti autorizzativi per la costruzione ed esercizio di impianti alimentati da fonti rinnovabili ivi indicati (c.d. «moratorie») per otto mesi a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge regionale in esame. A tal proposito, occorre in via preliminare far presente che la disposizione in esame, nel disciplinare le procedure autorizzative per la costruzione ed esercizio di impianti alimentati da fonti rinnovabili, e' riconducibile alla materia (attribuita alla potesta' legislativa concorrente ex art. 117, comma terzo, Cost. «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia», nel cui ambito i principi fondamentali sono dettati anche dal decreto legislativo n. 387 del 2003 (recante «Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricita'») e, in specie, dall'art. 12. In particolare, l'art. 12, comma 4, del citato decreto, nel prevedere che l'autorizzazione alla costruzione ed esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili e' rilasciata nell'ambito di un procedimento unico cui partecipano tutte le amministrazioni interessate, svolto nel rispetto dei principi di semplificazione, dispone che «(...) il termine massimo per la conclusione del procedimento unico non puo' essere superiore a novanta giorni, al netto dei tempi previsti dall'art. 26 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, per il provvedimento di valutazione di impatto ambientale». Cio' premesso, va evidenziato che l'indicazione del termine di conclusione del procedimento autorizzativo, di cui al citato art. 12, comma 4, assurge, secondo il costante orientamento di codesta Corte costituzionale, a principio fondamentale della materia, dettato dal legislatore statale a salvaguardia delle esigenze di semplificazione, celerita' nonche' di omogeneita' sull'intero territorio nazionale ed e' pertanto inderogabile da parte delle regioni. L'art. 75, comma 1, lettera b), n. 5, della legge regionale in esame, quindi, nello stabilire la sospensione del rilascio delle autorizzazioni degli impianti a fonti rinnovabili nel territorio regionale, si pone in contrasto con l'art. 12, comma 4, del decreto legislativo n. 387 del 2003, con conseguente illegittimita' per violazione dei limiti della competenza della Regione in materia di «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia», ex art. 117, comma terzo, Cost. Al riguardo, occorre richiamare la sentenza n. 364 del 2006 con cui codesta Corte costituzionale in relazione ai profili di che trattasi, ha stabilito che: «Non vi e' dubbio che la legge regionale impugnata, come risulta dalla sua stessa rubrica, nel disciplinare le procedure autorizzative in materia di impianti di energia eolica, incide sulla materia "produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia" rientrante nella competenza legislativa concorrente delle regioni, ai sensi dell'art. 117, terzo comma, della Costituzione. I principi fondamentali in materia si ricavano dalla legislazione statale e, attualmente, dal decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricita'). L'art. 12, comma 3, prevede che "La costruzione e l'esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili, gli interventi di modifica, potenziamento, rifacimento totale o parziale e riattivazione, come definiti dalla normativa vigente, nonche' le opere connesse e le infrastrutture indispensabili alla costruzione e all'esercizio degli impianti stessi, sono soggetti ad una autorizzazione unica, rilasciata dalla regione o altro soggetto istituzionale delegato dalla regione, nel rispetto delle normative vigenti in materia di tutela dell'ambiente, di tutela del paesaggio e del patrimonio storico-artistico". Il successivo comma 4 prevede che "L'autorizzazione di cui al comma 3 e' rilasciata a seguito di un procedimento unico, al quale partecipano tutte le amministrazioni interessate, svolto nel rispetto dei principi di semplificazione e con le modalita' stabilite dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni e integrazioni. [...]. Il termine massimo per la conclusione del procedimento di cui al presente comma non puo' comunque essere superiore a centottanta giorni". L'indicazione del termine, contenuto nell'art. 12, comma 4, deve qualificarsi quale principio fondamentale in materia di "produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia", in quanto tale disposizione risulta ispirata alle regole della semplificazione amministrativa e della celerita' garantendo, in modo uniforme sull'intero territorio nazionale, la conclusione entro un termine definito del procedimento autorizzativo (cfr. sentenze n. 383 e n. 336 del 2005). L'art. 1, comma 1, della legge regionale impugnata, nella parte in cui sospende, fino all'approvazione del piano energetico ambientale regionale e, comunque, fino al 30 giugno 2006, le procedure autorizzative presentate dopo il 31 maggio 2005 per la realizzazione degli impianti eolici, si pone in contrasto con il suddetto principio, in quanto, non essendo stato adottato il previsto piano, la sospensione in tal modo disposta e' superiore al termine fissato dal legislatore statale». Nell'alveo di siffatto consolidato orientamento giurisprudenziale, si colloca, altresi', la recente pronuncia n. 177 del 30 luglio 2021, con cui e' stata dichiarata l'illegittimita' della legge regionale Toscana n. 82/2020 nella parte in cui introduceva, riguardo alle aree rurali, un limite di potenza ai fini della realizzazione di impianti fotovoltaici a terra, al riguardo si e' osservato che: «3.1.- Secondo la giurisprudenza costante di questa Corte, la disciplina dei regimi abilitativi degli impianti alimentati da fonti rinnovabili, riconducibile alla materia "produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia" (art. 117, terzo comma, Cost.), deve conformarsi ai principi fondamentali, previsti dal decreto legislativo n. 387 del 2003, nonche', in attuazione del suo art. 12, comma 10, dalle menzionate linee guida (ex plurimis, sentenze n. 258 del 2020, n. 106 del 2020, n. 286 del 2019 e n. 69 del 2018). (...). Del resto, secondo un orientamento costante di questa Corte, nella disciplina relativa all'autorizzazione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili, le regioni non possono imporre in via legislativa vincoli generali non previsti dalla disciplina statale. Una normativa regionale, che non rispetti la riserva di procedimento amministrativo e, dunque, non consenta di operare un bilanciamento in concreto degli interessi, strettamente aderente alla specificita' dei luoghi, impedisce la migliore valorizzazione di tutti gli interessi pubblici implicati e, di riflesso, viola il principio, conforme alla normativa dell'Unione europea, della massima diffusione degli impianti da fonti di energia rinnovabili (sentenza n. 286 del 2019, in senso analogo, ex inultis, sentenze n. 106 del 2020, n. 69 del 2018, n. 13 del 2014 e n. 44 del 2011). Per le ragioni esposte, l'art. 2, comina 1, della legge n. 82 del 2020 deve ritenersi costituzionalmente illegittimo per violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost., in relazione ai citati principi fondamentali della materia "produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia"». Occorre, altresi', aggiungere che il richiamato principio fondamentale sancito dall'art. 12, comma 4, del decreto legislativo n. 387 del 2003, attuativo dell'art. 13, della direttiva n. 2009/28/CE, secondo cui «gli Stati membri assicurano che le norme nazionali in materia di procedure di autorizzazione [...] applicabili agli impianti [...] per la produzione di elettricita' [...] a partire da fonti energetiche rinnovabili ... siano proporzionate e necessarie. Gli Stati membri prendono in particolare le misure appropriate per assicurare che: [...] c) le procedure amministrative siano semplificate e accelerate al livello amministrativo adeguato (...)» e' stato poi ripreso dall'art. 15, della direttiva 11 dicembre 2018, n. 2018/2001/UE sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili, a mente del quale gli Stati membri sono tenuti ad adottare misure appropriate per assicurare che siano previste procedure di autorizzazione semplificate e meno gravose per la produzione e lo stoccaggio di energia da fonti rinnovabili, con la conseguenza che la disposizione regionale censurata colliderebbe anche con detta disposizione sovranazionale e, quindi, con il parametro costituzionale di cui all'art. 117, primo comma, Cost. che impone alle regioni di esercitare la potesta' legislativa anche nel rispetto dei vincoli comunitari. Infine, la richiamata disposizione si pone in contrasto con gli articoli 97 e 41 della Costituzione, nella misura in cui la sospensione del potere autorizzativo relativo a un'attivita' non solo consentita, ma anche promossa e incentivata dall'ordinamento nazionale ed europeo, costituirebbe un grave ostacolo all'iniziativa economica nel campo della produzione energetica da fonti rinnovabili, all'uopo richiamandosi la sentenza del 26 luglio 2018, n. 177, con cui la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimita' dell'art. 15, comma 3, della legge Regione Campania n. 6/2016, all'uopo osservando: «La norma impugnata collide con l'art. 117, primo comma, Cost. anche per il sostanziale contrasto con la prescrizione dell'art. 13 della direttiva 2009/28/CE. Come gia' rilevato da questa Corte, "la normativa comunitaria promuove (...) il maggiore ricorso all'energia da fonti rinnovabili, espressamente collegandolo alla necessita' di ridurre le emissioni di gas ad effetto serra, e dunque anche al rispetto del protocollo di Kyoto della convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, in una prospettiva di modifica radicale della politica energetica dell'Unione. (...). In una diversa, non meno importante, direzione, la normativa comunitaria ha richiesto agli Stati membri di semplificare i procedimenti autorizzatori" (sentenza n. 275 del 2012). Il percorso inaugurato dalla menzionata direttiva 2001/77/CE, cui e' stata data attuazione con il decreto legislativo n. 387 del 2003, e' proseguito con la direttiva 2009/28/CE, sostitutiva della precedente, che ha ricevuto attuazione con il decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28 (Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE). (..). La normativa europea, dunque, da un lato, esige che la procedura amministrativa si ispiri a canoni di semplificazione e rapidita' - esigenza cui risponde il procedimento di autorizzazione unica - e, dall'altro, richiede che in tale contesto confluiscano, per essere ponderati. gli interessi correlati alla tipologia di impianto, quale, nel caso di impianti energetici da fonte eolica, quello, potenzialmente confliggente, della tutela del territorio nella dimensione paesaggistica. La sospensione disposta in via generale dalla disposizione censurata collide con le norme di principio della legge nazionale in materia di "produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia" e con le ricordate norme europee che, per i termini in cui sono formulate, mostrano chiaramente di non tollerare condizionamenti anche se giustificati da un'asserita esigenza di tutela dell'ambiente. La moratoria prevista dalla Regione Campania, infatti, si inserisce in una cornice normativa interna e sovranazionale (...) connotata dalla presenza degli evidenziati principi e criteri direttivi che impediscono l'arresto dei procedimenti autorizzatori in nome della salvaguardia di interessi ulteriori, i quali possono comunque trovare considerazione nel contesto procedimentale unificato, attraverso una concreta ponderazione della fattispecie in sede amministrativa». Sempre in relazione agli aspetti procedimentali legati agli impianti da fonte di energia rinnovabile, si e', altresi', evidenziato, nella medesima sentenza, che la norma fosse in contrasto anche con l'art. 97 della Costituzione in quanto: «[e'] nella sede procedimentale [...] che puo' e deve avvenire la valutazione sincronica degli interessi pubblici coinvolti e meritevoli di tutela, a confronto sia con l'interesse del soggetto privato operatore economico, sia ancora (e non da ultimo) con ulteriori interessi di cui sono titolari singoli cittadini e comunita', e che trovano nei principi costituzionali la loro previsione e tutela. La struttura del procedimento amministrativo, infatti, rende possibili l'emersione di tali interessi, la loro adeguata prospettazione, nonche' la pubblicita' e la trasparenza della loro valutazione, in attuazione dei principi di cui all'art. 1 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi): efficacia, imparzialita' pubblicita' e trasparenza. Viene in tal modo garantita, in primo luogo, l'imparzialita' della scelta, alla stregua dell'art. 97 Cost., ma poi anche il perseguimento, nel modo piu' adeguato ed efficace, dell'interesse primario, in attuazione del principio del buon andamento dell'amministrazione, di cui allo stesso art. 97 Cost.» (sentenza n. 69 del 2018). Dunque, «il legislatore regionale ha inserito una norma non coordinata, sotto il profilo ... temporale, con l'esigenza di concentrare i tempi ... degli accertamenti confluenti nell'autorizzazione finale. Il risultato di tale operazione non conforme al dettato costituzionale e' quello di penalizzare, attraverso non ordinati "schermi burocratici" ... le strategie industriali di settore, che non possono prescindere dal fattore tempo» (sentenza n. 267 del 2016). Ne' la moratoria puo' essere giustificata con diverso e qualificato interesse d'ordine generale, poiche', alla luce di quanto in precedenza evidenziato, nella specifica fattispecie l'interesse alla tutela del territorio nella dimensione paesaggistica trova adeguata valorizzazione all'interno degli schemi procedimentali tipizzati dal legislatore competente. Da ultimo sempre la sentenza n. 177/2018 ha evidenziato che una norma, come quella in esame, che prevede la sospensione del rilascio delle autorizzazioni e' in contrasto anche con l'art. 41 della Costituzione. Al riguardo non puo' che citarsi quanto ivi autorevolmente affermato: «Merita, infine, accoglimento anche la censura posta in riferimento all'art. 41 Cost. Prevedendo la sospensione del rilascio di nuove autorizzazioni per impianti eolici, la disposizione censurata ha alterato il contesto normativo esistente al momento della presentazione della richiesta di autorizzazione unica, caratterizzato da una tempistica certa e celere, in coerenza con il particolare favor riconosciuto alle fonti energetiche rinnovabili dalla disciplina interna e sovranazionale. Sotto tale profilo essa sacrifica l'interesse del richiedente alla tempestiva disamina dell'istanza, che concorre a influenzare la relativa scelta di sfruttamento imprenditoriale. Occorre al riguardo precisare che la posizione del richiedente non consiste in un diritto al rilascio dell'autorizzazione, bensi' in un interesse qualificato all'esame dell'istanza a legislazione vigente, secondo il procedimento valutativo integrato precedentemente descritto». 4) Illegittimita' costituzionale dell'art. 81 della legge regionale in esame per violazione dell'art. 117 Cost., secondo comma, lettera s), in relazione alla legge 6 dicembre 1991, n. 394, recante «Legge quadro sulle aree protette». L'art. 81 della legge in esame (2) recante «Modifica della perimetrazione del Parco regionale dell'Appia Antica» dispone la modifica della perimetrazione del Parco regionale dell'Appia Antica, previa riduzione dei confini di tale parco alla luce di una relazione descrittiva allegata alla legge in esame (allegati C e D). Va evidenziato il palese contrasto dell'articolo in esame con l'art. 23, della legge 6 dicembre 1991, n. 394, per effetto del quale: «1. La legge regionale istitutiva del parco naturale regionale, tenuto conto del documento di indirizzo di cui all'art. 22, comma 1, lettera a), definisce la perimetrazione provvisoria e le misure di salvaguardia, individua il soggetto per la gestione del parco e indica gli elementi del piano per il parco, di cui all'art. 25, comma 1, nonche' i principi del regolamento del parco.». L'ivi richiamato art. 22, comma 1, lettera a), della legge n. 394 del 1991, a sua volta, stabilisce che «Costituiscono principi fondamentali per la disciplina delle aree naturali protette regionali: a) la partecipazione delle province, delle comunita' montane e dei comuni al procedimento di istituzione dell'area protetta, fatta salva l'attribuzione delle funzioni amministrative alle province, ai sensi dell'art. 14 della legge 8 giugno 1990, n. 142. Tale partecipazione si realizza, tenuto conto dell'art. 3 della stessa legge n. 142 del 1990; attraverso conferenze per la redazione di un documento di indirizzo relativo all'analisi territoriale dell'area da destinare a protezione, alla perimetrazione provvisoria, all'individuazione degli obiettivi da perseguire, alla valutazione degli effetti dell'istituzione dell'area protetta sul territorio». Lo stesso art. 22, comma 1, della legge quadro alla lettera c), garantisce, altresi', agli enti locali la partecipazione alla gestione dell'area protetta, sicche' essi non possono essere estromessi dal procedimento con cui si compie un atto di evidente rilievo gestionale stricto sensu considerato, qual e' la variazione dei confini del parco. A quanto sopra deve aggiungersi che la disciplina in esame ha riflessi anche sulla disciplina dei Piani dei Parchi rivelando termini di contrasto anche con l'art. 6, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 «in considerazione dei possibili impatti sulle finalita' di conservazione dei siti designati come zone di protezione speciale per la conservazione degli uccelli selvatici e quelli classificati come siti di importanza comunitaria per la protezione degli habitat naturali e della flora e della fauna selvatica». Quanto sopra, tenuto conto, per l'appunto, della ampia nozione di «piano» stessa recata dalla direttiva 42/2001/CE sulla Valutazione ambientale strategica, come recepita dal legislatore nazionale, in relazione alla quale la Commissione europea e' intervenuta piu' volte chiarendo, sulla base di una uniforme giurisprudenza della Corte di giustizia, che («[...] in considerazione della finalita' della direttiva 2001142, consistente nel garantire un livello elevato di protezione dell'ambiente, le disposizioni che delimitano l'ambito di applicazione di tale direttiva, ed in special modo quelle che enunciano le definizioni degli atti ivi previsti, devono essere interpretate in senso ampio» (sentenza C-567/10, punti 24-43). La Valutazione ambientale strategica deve, dunque, essere prevista per tutte quelle decisioni che determinano effetti sulle modalita' di uso di una determinata area, provocandone un sostanziale cambiamento. A tal proposito, sul concetto di «piano», si richiamano i paragrafi 3.3, 3.4, 3.5 e 3.6 del documento della Commissione europea «Attuazione della direttiva 2001/42/CE concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull'ambiente», in cui, appunto, si chiarisce in maniera inequivocabile che «uno dei possibili parametri di valutazione puo' essere la misura in cui e' probabile che un atto abbia effetti significativi sull'ambiente. Una possibile interpretazione e' che i termini includano qualsiasi dichiarazione ufficiale che vada oltre le aspirazioni e stabilisca un corso di azione per il futuro» e, piu' avanti, «Cio' potrebbe includere, ad esempio, piani per la destinazione dei suoli che stabiliscano le modalita' di riassetto del territorio o che fissino delle regole o un orientamento sul tipo di sviluppo che potrebbe essere appropriato o consentito in determinate aree o ancora che propongano i criteri da tenere in considerazione nel concepimento del nuovo progetto». Tra l'altro, nel caso di specie, poiche' la riperimetrazione sancita normativamente interessa «piccole aree a livello locale» e si sostanzia in una «modifica minore» al piano previgente, ai sensi del decreto legislativo n. 152 del 2006, art. 6, comma 3, dovrebbe essere l'autorita' competente a valutare se la riperimetrazione stessa possa produrre «impatti significativi sull'ambiente, secondo le disposizioni di cui all'art. 12 e tenuto conto del diverso livello di sensibilita' ambientale dell'area oggetto di intervento», da cio' derivandone l'eventuale necessita' di un suo assoggettamento a verifica di assoggettabilita' a VAS, ovvero - nella rilevata insussistenza dei presupposti - il relativo esonero da siffatta verifica. In tale ottica, alla suddetta violazione si accompagnerebbe, in maniera conseguenziale, quella, correlata, della mancata sottoposizione del provvedimento a Valutazione di incidenza ambientale di cui all'art. 6, comma 3 della direttiva 43/92/CE, come recepito dall'art. 6, del decreto del Presidente della Repubblica 12 marzo 2003, n. 120, che ha sostituito l'art. 5, del decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357, applicabile anche ai piani e ai programmi (anche in questo caso la Commissione europea, a pag. 41 del documento «Gestione dei siti Natura 2000 - Guida all'interpretazione dell'art. 6 della direttiva 92/43/CEE (direttiva Habitat)» ha osservato che «di ovvia rilevanza a norma della direttiva Habitat sono i piani territoriali o di destinazione dei suoli. Alcuni di essi hanno effetti legali diretti per la destinazione d'uso dei terreni altri invece soltanto indiretti. A titolo di esempio, i piani territoriali regionali o aventi un'ampia estensione geografica spesso non sono applicati direttamente, bensi' costituiscono la base per piani piu' dettagliati o fungono da quadro generale per consensi allo sviluppo con effetti legali diretti. Entrambi i tipi di piani di destinazione dei suoli si dovrebbero considerare coperti dall'art. 6, paragrafo 3, nella misura in cui possono avere effetti significativi su un sito Natura 2000.»). Sul punto va, pertanto, ribadito quanto gia' affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 38 del 2015, per cui «la disciplina della valutazione di incidenza ambientale (VINCA) sulle aree protette ai sensi di «Natura 2000», contenuta nell'art. 5 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1997, deve ritenersi ricompresa nella «tutela dell'ambiente e dell'ecosistema», rientrante nella competenza esclusiva statale, e si impone a pieno titolo, anche nei suoi decreti attuativi, nei confronti delle Regioni ordinarie». Occorre, inoltre, evidenziare che la stessa legge regionale Lazio 6 ottobre 1997, n. 29, recante «Norme in materia di aree naturali protette regionali» non prevede che possa operarsi la modifica della perimetrazione di un parco naturale regionale attraverso una legge, all'uopo disponendo bensi' all'art. 26, comma 5-bis - in coerenza con la legge quadro di riferimento 394/1991 - che «il piano dell'area naturale protetta e' aggiornato almeno ogni dieci anni, secondo le procedure previste dal presente articolo per la sua adozione ed approvazione, le quali prevedono che: "2. Il piano dell'area naturale protetta e' redatto a cura dell'ente di gestione, con l'assistenza dell'Agenzia regionale per i parchi, ed e' adottato e trasmesso alla Regione entro nove mesi dall'insediamento degli organi dell'ente di gestione. 3. Decorso inutilmente il termine di cui al comma 2, la Giunta regionale si sostituisce all'ente di gestione per l'adozione del piano, affidandone la redazione alle proprie strutture competenti in materia o all'Agenzia regionale per i parchi che debbono provvedere nel termine di un anno. 4. Il piano adottato ai sensi dei commi precedenti e' depositato per quaranta giorni presso le sedi degli enti locali interessati e della Regione. La Giunta regionale provvede, con apposito avviso da pubblicare su un quotidiano a diffusione regionale, a dare notizia dell'avvenuto deposito e del relativo periodo. Durante questo periodo chiunque puo' prenderne visione e presentare osservazioni scritte all'ente di gestione, il quale esprime il proprio parere entro i successivi trenta giorni e trasmette il parere e le osservazioni alla Giunta regionale. Entro tre mesi dal ricevimento di tale parere la Giunta regionale, previo esame congiunto della sezione aree naturali protette e della sezione prima del CTCR, propone al consiglio regionale, l'approvazione del piano, apportando eventuali modifiche ed integrazioni e pronunciandosi contestualmente sulle osservazioni pervenute. 5. Il piano approvato dal Consiglio regionale e' pubblicato nel Bollettino Ufficiale della Regione ed e' immediatamente vincolante nei confronti delle amministrazioni pubbliche e dei privati."». Risulta, dunque, chiaro che le sancite riperimetrazioni avrebbero dovuto seguire o l'iter previsto dalla legge n. 394 del 1991 per la sua istituzione, ovvero l'iter previsto dalla legge regionale Lazio 29/1997 per l'aggiornamento al piano del parco che, ai sensi del relativo art. 26, comma 1, lettera a), include «la perimetrazione definitiva dell'area naturale protetta». In tale contesto va richiamato, stante la relativa attinenza, quanto sancito dalla stessa Corte costituzionale, con sentenza n. 134 del 2020 con la quale e' stata dichiarata l'illegittimita' costituzionale dell'art. 8 della legge della Regione Liguria n. 3 del 2019, nella parte in cui andava a modificare con legge regionale i confini dei parchi naturali regionali delle Alpi Liguri, dell'Antola, dell'Aveto e del Beigua. A giudizio della Consulta, ognuna di queste variazioni, «non e' stata affidata a modifiche del piano del parco, alle quali avrebbero potuto partecipare i rappresentanti degli enti locali, ma e' avvenuta direttamente con legge, e deve percio' osservare il medesimo procedimento seguito dal legislatore ai fini della perimetrazione provvisoria dei confini, ai sensi dell'art. 22 della legge quadro, compresa la interlocuzione con le autonomie locali». Attraverso, dunque, le censurate disposizioni recate dalla legge regionale in esame la Regione si propone di modificare d'imperio i confini dei parchi naturali regionali interessati, eludendo le previste procedure di revisione del piano del parco, attraendo cosi' a se' interamente il governo delle aree protette, che viene sottratto agli enti parco previsti dalla legge statale n. 394/1991. D'altro canto, pur nel prendere atto - per come rappresentato dalla Regione - che la «modifica del perimetro» operata con la legge regionale in oggetto con riferimento al Parco regionale dell'Appia Antica (art. 81) risulta essere stata realizzata attraverso le prescritte procedure di consultazione e partecipazione pubblica di cui all'art. 22, comma 1, lettera a), della legge quadro n. 394 del 1991, nondimeno, la lettera della norma stessa non rende chiaro siffatto aspetto istruttorio, che risulta fondamentale al fine di misurare le ricadute della disposizione di legge in termini, ad esempio di prevalenza sulla pianificazione urbanistica e paesaggistica. Al riguardo la sopra richiamata sentenza di codesta Corte costituzionale n. 134/2020 chiarisce che «dall'art. 23 della legge quadro si evince che il legislatore puo' limitarsi alla perimetrazione provvisoria dei confini con la legge istitutiva del parco regionale» essendo «implicito nel sistema legislativo statale che la perimetrazione definitiva possa essere affidata dalla legge regionale ad una fase procedimentale successiva, ed in particolare al piano del parco». La successiva sentenza della Corte costituzionale n. 276/2020, nell'inserirsi del solco della precedente, chiarisce, inoltre, che in base agli articoli 9 e 26 della regionale Lazio n. 29/1997, disciplinanti rispettivamente, l'istituzione delle aree naturali protette e il piano dell'area naturale protetta, «l'ampliamento del parco puo' essere disposto con legge, che fissa anche le misure di salvaguardia, spettando poi al piano del parco di precisare la disciplina della nuova area tutelata; ma se, come nel caso in esame. non si da' luogo ad un ampliamento ma, bensi', ad una riduzione dell'area del parco, e se dunque, la legge non detta misure di salvaguardia che possano esse successivamente tradotte nel piano del parco, la legge stessa di «modifica del perimetro» si appalesa non legittima». Una modifica, quindi, che, come per quel che occupa, comporti la riduzione del perimetro di un'area protetta non puo' avvenire attraverso la mera previsione di una norma regionale, ma solo attraverso l'approvazione di un aggiornamento al piano del parco, non sussistendo in tal caso l'imposizione delle misure di salvaguardia previste dall'art. 6 della legge n. 394 del 1991, stante l'erroneita' concettuale e sistematica della ipotizzata equivalenza della modifica (del «perimetro») operata appunto con legge regionale, rispetto al procedimento di riperimetrazione attuato attraverso l'approvazione del Piano del Parco, in ossequio alle procedure prescritte dall'art. 23, della legge quadro n. 394 del 1991. Quanto sopra, tenuto, altresi', conto delle sopra richiamate ricadute, discendenti e consequenziali, anche in tema di valutazione ambientale strategica e di valutazione di incidenza, in considerazione dell'obbligo di relativa assoggettabilita' (anche solo nella forma della verifica di assoggettabilita' o dello screening di incidenza) cui soggiace, in quanto tale, il piano del parco, ma non anche le misure di salvaguardia che, rivestono, invece, carattere normativo e non pianificatorio nonche' di assoluta provvisorieta', risultando, tra l'altro, attivabili, solo qualora le regioni individuino nuove «aree da proteggere») e, fra l'altro, «in caso di necessita' ed urgenza», non rinvenibili, tra l'altro, nel caso che occupa. Alla luce di quanto sopra indicato, l'art. 81 della legge regionale in esame e' illegittimo per violazione del secondo comma, lettera s), dell'art. 117, Cost., in quanto contrastante con gli standard di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema posti dal legislatore statale, con la normativa sopra indicata, in materia di revisione e tutela delle aree naturali protette. (1) Per maggiore comodita' di lettura si riporta il testo dell'art. 52 «Aziende agricole in aree vincolate»: l. Nell'ambito delle aziende agricole, condotte sia in forma singola che associata, ubicate in aree sottoposte a vincolo ai sensi dell'art. 134, comma l, lettere a), b), c) del codice e comunque individuate dal PTPR, e' consentita la realizzazione di manufatti, strettamente funzionali e dimensionati alle attivita' agricole. In caso di preesistenze, i nuovi interventi sono subordinati al recupero del patrimonio edilizio esistente con esclusione della totale demolizione e ricostruzione per i beni identitari dell'architettura rurale individuati ai sensi dell'art. 134, comma l, lettera c) del codice, per i manufatti rurali anteriori al 1945 o comunque per gli edifici esistenti aventi valore estetico tradizionale. Le nuove costruzioni sono consentite esclusivamente se non sono possibili o ammissibili ampliamenti dei fabbricati esistenti. 2. Gli interventi di cui al comma l sono subordinati, se in deroga alle norme del PTPR, all'approvazione da parte del consiglio comunale del piano di utilizzazione aziendale (PUA) di cui all'art. 57 della legge regionale n. 38/1999 e sono corredati della relazione paesaggistica di cui all'art. 54. 3. Il PUA di cui al precedente comma consente deroghe al lotto minimo ed al dimensionamento degli annessi agricoli previsti nella disciplina dei paesaggi. In ogni caso il PUA non consente deroghe agli indici edificatori per le strutture adibite a scopo abitativo stabiliti dalla disciplina dei paesaggi o dagli strumenti urbanistici vigenti ove piu' restrittivi. 4. Previa approvazione di un PUA e', altresi', consentito l'inserimento delle funzioni ed attivita' compatibili di cui all'art. 54, comma 2, lettera b), legge regionale n. 38/1999, cosi' come disciplinate dal regolamento regionale 11/2015 (Attuazione della ruralita' multifunzionale ai sensi dell'art. 57 della legge regionale 22 dicembre 1999, n. 38 e successive modifiche), fermo restando l'obbligo del recupero del patrimonio edilizio esistente, con esclusione della totale demolizione e ricostruzione per i beni identitari dell'architettura rurale individuati ai sensi dell'art. 134, comma l, lettera c) del codice, per i manufatti rurali anteriori al 1945 o comunque per gli edifici esistenti aventi valore estetico tradizionale. In ogni caso l'autorizzazione paesaggistica per gli interventi di cui al presente comma e' rilasciata esclusivamente ove sia gia' presente l'infrastrutturazione viaria necessaria alla accessibilita'. 5. Tutti gli interventi di cui al presente articolo devono mantenere, ripristinare e riproporre le tipologie edilizie e gli elementi architettonici degli edifici rurali, impiegando i materiali e le finiture tradizionali. La relazione paesaggistica di cui all'art. 54 deve contenere elementi di valutazione sul rapporto con il contesto agrario circostante ed indicare le azioni per la mitigazione dell'impatto sul paesaggio. (2) L'art. 81 recita testualmente: «l. La perimetrazione del Parco regionale dell'Appia Antica, istituito con la legge regionale 10 novembre 1988, n. 66 (Istituzione del Parco regionale dell'Appia Antica) e successive modifiche, corse modificata dalla deliberazione del consiglio regionale 18 luglio 2018, n. 9 (Piano del Parco regionale dell'Appia Antica - Roma di cui all'art. 26 della legge regionale 6 ottobre 1997, n. 29 "Norme in materia di aree naturali protette regionali" e successive modifiche) e dall'art. 7 della legge regionale 22 ottobre 2018, n. 7 (Disposizioni per la semplificazione e lo sviluppo regionale), e' ridotta secondo la planimetria e la relativa relazione descrittiva di cui, rispettivamente, agli allegati C e D che costituiscono parte integrante della presente legge».
P. Q. M. Si chiede che codesta Ecc.ma Corte costituzionale voglia dichiarare costituzionalmente illegittimi gli articoli 64, comma 1, lettera a), 75, comma 1, lettera b) e lettera c) e 81 e, conseguentemente, annullarli per i motivi illustrati nel presente ricorso. 1. Estratto della delibera del Consiglio dei ministri 7 ottobre 2021. Roma, 11 ottobre 2021 L'avvocato dello Stato: Galluzzo