N. 216 ORDINANZA 23 settembre - 18 novembre 2021

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Esecuzione penale - Mandato d'arresto europeo  -  Motivi  di  rifiuto
  della   consegna   -   Facolta',   per   l'autorita'    giudiziaria
  dell'esecuzione, ove disponga di elementi  oggettivi,  attendibili,
  precisi e debitamente aggiornati circa l'esistenza di  seri  motivi
  per ritenere che la consegna di  una  persona,  afflitta  da  gravi
  patologie di  carattere  cronico  e  potenzialmente  irreversibili,
  possa esporla a un rischio reale di  subire  un  grave  pregiudizio
  alla sua salute, di richiedere all'autorita' giudiziaria  emittente
  le informazioni che essa  reputi  necessarie,  e  ponga  fine  alla
  procedura di consegna allorche' non ottenga assicurazioni entro  un
  termine ragionevole - Omessa previsione - Possibile contrasto della
  decisione quadro sul mandato di arresto europeo, del quale la legge
  nazionale censurata costituisce specifica attuazione, con gli artt.
  3, 4 e 35 CDFUE - Necessita' di verificare la compatibilita'  della
  decisione  quadro   2002/584/GAI   con   i   diritti   fondamentali
  dell'Unione europea alla salute, a ottenere cure mediche  e  a  non
  subire trattamenti inumani o degradanti - Rinvio pregiudiziale alla
  Corte di giustizia UE -  Richiesta  di  procedimento  accelerato  -
  Sospensione del giudizio costituzionale. 
- Legge 22 aprile 2005, n. 69, artt. 18 e 18-bis. 
- Costituzione, artt. 2, 3, 32 e 111, secondo comma. 
(GU n.47 del 24-11-2021 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giancarlo CORAGGIO; 
Giudici :Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria  de  PRETIS,  Nicolo'
  ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,
  Giovanni  AMOROSO,  Francesco  VIGANO',  Luca   ANTONINI,   Stefano
  PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela  NAVARRETTA,  Maria  Rosaria  SAN
  GIORGIO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
    ORDINANZA 
    nel giudizio di legittimita'  costituzionale  degli  artt.  18  e
18-bis della legge 22 aprile 2005, n. 69 (Disposizioni per conformare
il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del  Consiglio,
del 13 giugno 2002, relativa al  mandato  d'arresto  europeo  e  alle
procedure  di  consegna  tra  Stati  membri),  promosso  dalla  Corte
d'appello di Milano, sezione quinta penale, nel procedimento penale a
carico di E. D.L., con ordinanza del 17 settembre 2020,  iscritta  al
n. 194 del  registro  ordinanze  2020  e  pubblicata  nella  Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n.  2,  prima  serie  speciale,  dell'anno
2021. 
    Visti l'atto di  costituzione  di  E.  D.L.,  nonche'  l'atto  di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito nell'udienza pubblica del  22  settembre  2021  il  Giudice
relatore Francesco Vigano'; 
    uditi gli avvocati Vittorio Manes e Nicola Canestrini per E. D.L.
e l'avvocato  dello  Stato  Maurizio  Greco  per  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri; 
    deliberato nella camera di consiglio del 23 settembre 2021. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 17 settembre 2020  la  Corte  d'appello  di
Milano, sezione quinta penale, ha sollevato questioni di legittimita'
costituzionale degli artt. 18 e 18-bis della legge 22 aprile 2005, n.
69 (Disposizioni per conformare il  diritto  interno  alla  decisione
quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno  2002,  relativa  al
mandato d'arresto europeo e alle  procedure  di  consegna  tra  Stati
membri), in riferimento agli artt. 2, 3, 32 e 110 (recte:  111,  come
chiarito  dalla  Corte  rimettente  nella  successiva  ordinanza   di
correzione  di  errore  materiale  del   2   febbraio   2021)   della
Costituzione, nella parte  in  cui  non  prevedono  quale  motivo  di
rifiuto  della  consegna,  nell'ambito  delle  procedure  di  mandato
d'arresto  europeo,  «ragioni  di  salute  croniche   e   di   durata
indeterminabile  che  comportino  il  rischio   di   conseguenze   di
eccezionale gravita' per la persona richiesta». 
    1.1.- La Corte rimettente espone che  il  Tribunale  Comunale  di
Zara (Croazia) ha emesso il 9 settembre  2019  un  mandato  d'arresto
europeo ai fini dell'esercizio dell'azione  penale  a  carico  di  E.
D.L., imputato del reato di detenzione a fini di spaccio  e  cessione
di sostanze stupefacenti, commesso in territorio croato nel 2014. 
    La Corte d'appello di Milano, giudice competente per la procedura
passiva di consegna, preso atto della documentazione medica  prodotta
dalla difesa, che attestava importanti disturbi psichiatrici connessi
anche al pregresso abuso di  sostanze  stupefacenti,  in  particolare
cannabis e metanfetamine, sottoponeva E. D.L. a perizia psichiatrica,
dalla quale emergeva,  tra  l'altro,  la  presenza  di  un  «disturbo
psicotico non altrimenti specificato», che richiede  la  prosecuzione
di  terapia  farmacologica  e  psicoterapica  per  evitare  probabili
episodi di scompenso psichico. La  perizia  evidenziava  altresi'  un
«forte rischio suicidario» connesso  alla  possibile  incarcerazione,
concludendo nel senso che l'interessato «non e' individuo adatto alla
vita  carceraria,  necessitando  di  poter  mantenere   il   percorso
[terapeutico] iniziato e  che  si  puo'  dire  sia  oggi  avviato  ma
certamente ben lontano dall'essere concluso». 
    Sulla base di tale perizia, la Corte rimettente ritiene che «[i]l
trasferimento  in  Croazia  [dell'interessato],  in  esecuzione   del
m.a.e.,  oltre  ad  interrompere  la  possibilita'   di   cura,   con
conseguente  aggravamento  dello  stato  generale   dell'interessato,
costituisce un concreto  rischio  per  la  salute  del  soggetto  che
potrebbe avere effetti di eccezionale  gravita',  stante  l'acclarato
rischio suicidario evidenziato dal perito». 
    1.2.- La Corte d'appello di Milano rileva tuttavia che  l'obbligo
di dare  esecuzione  a  un  mandato  di  arresto  europeo  trova  una
limitazione nei soli motivi di rifiuto,  obbligatori  o  facoltativi,
tassativamente previsti dagli artt. 18 e 18-bis della legge n. 69 del
2005, non essendo prevista una  causa  generale  di  rifiuto  fondata
sulla necessita' di evitare violazioni ai diritti fondamentali  della
persona richiesta in consegna, come in particolare  il  diritto  alla
sua salute. 
    Osserva, d'altra parte, che una  volta  che  la  Corte  d'appello
abbia disposto la  consegna  dell'interessato,  il  presidente  della
Corte o un suo delegato potrebbero sospenderne l'esecuzione ai  sensi
dell'art. 23, comma 3, della legge stessa. Tuttavia,  ad  avviso  del
giudice rimettente tale soluzione non sarebbe  idonea  ad  assicurare
piena tutela ai diritti dell'interessato. Essa finirebbe infatti  per
sottrarre alla fase giurisdizionale della  procedura  la  valutazione
circa lo stato di salute dell'interessato, che  verrebbe  rinviata  a
una fase di natura esecutiva destinata a  concludersi  con  atto  non
impugnabile. Inoltre, la sospensione  del  procedimento  avrebbe,  in
casi come quello all'esame, durata indeterminabile, stante la  natura
cronica della patologia di cui soffre la persona richiesta; mentre la
ratio del rimedio di cui all'art. 23, comma 3, della legge n. 69  del
2005 andrebbe individuata nella possibilita' di sospendere il mandato
di arresto finalizzato all'esercizio dell'azione penale «in  presenza
di uno stato di  malattia  che  abbia  una  diagnosi  ed  una  durata
prevedibile». 
    Il giudice rimettente sottolinea, infine, come il caso  in  esame
non  concerna  carenze  strutturali  o  sistemiche  dello  Stato   di
emissione, tali da far venir meno la  presunzione  del  rispetto  dei
diritti  fondamentali  da  parte   dello   Stato   medesimo,   bensi'
esclusivamente la peculiarita'  della  malattia  psichiatrica  (e  le
correlate esigenze di cura) dell'interessato. 
    1.3.- In  queste  condizioni,  conclude  la  Corte  milanese,  la
decisione di disporre la consegna dell'interessato determinerebbe  la
violazione del  suo  diritto  alla  salute,  «declinato  nelle  varie
accezioni di diritto all'inviolabilita' fisica, e di diritto ad avere
cure adeguate», e tutelato come tale tanto dagli artt. 2 e 32  Cost.,
quanto - a livello di diritto  dell'Unione  europea  -  dall'art.  35
della Carta dei diritti fondamentali. 
    Inoltre,  la  disciplina  vigente  violerebbe  il  principio   di
eguaglianza di cui all'art. 3 Cost., trattando in modo  deteriore  le
persone colpite da un mandato d'arresto europeo rispetto a coloro  di
cui sia richiesta l'estradizione, per i quali l'art.  705,  comma  2,
lettera c-bis), del codice di procedura penale prevede che  la  Corte
d'appello pronunci sentenza sfavorevole all'estradizione «se  ragioni
di  salute  o  di  eta'  comportino  il  rischio  di  conseguenze  di
eccezionale gravita' per la persona richiesta». 
    Infine, la mancata previsione di un motivo di rifiuto legato alle
condizioni di salute dell'interessato, in caso di malattia cronica  e
potenzialmente irreversibile, contrasterebbe con il  principio  della
ragionevole durata del processo di cui all'art. 111 Cost. (e all'art.
6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo), dal  momento  che
in simili ipotesi la disciplina vigente produrrebbe - per effetto del
provvedimento  di   sospensione   dell'esecuzione   successivo   alla
pronuncia che dispone la consegna, ex art. 23, comma 3,  della  legge
n. 69 del 2005 - «una paralisi  processuale  destinata  a  durare  un
tempo del tutto indefinito».  Cio'  che  risulterebbe  in  contrasto,
appunto, con la duplice ratio, oggettiva  e  soggettiva,  sottesa  al
principio della ragionevole durata: relativa, da un  lato,  al  «buon
funzionamento dell'amministrazione della giustizia e all'esigenza  di
evitare  la  prosecuzione  di  giudizi  dilatati   nel   tempo»;   e,
dall'altro,  al  «diritto  dell'imputato  ad  essere  giudicato  -  o
comunque a vedere conclusa la fase procedimentale cui e' sottoposto -
in un tempo ragionevole». Ove  invece  fosse  consentito  alla  corte
d'appello rifiutare la consegna nelle ipotesi all'esame,  l'autorita'
giudiziaria  di  emissione  ben  potrebbe  procedere  egualmente   in
absentia a carico dell'interessato, e giungere cosi' a una  pronuncia
definitiva a suo carico, con possibilita'  di  attivare,  a  processo
concluso, un mandato di arresto esecutivo. 
    2.- E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che le questioni siano  dichiarate  inammissibili  o
comunque non fondate. 
    L'interveniente  rileva,  anzitutto,  che  la   possibilita'   di
sospensione della consegna garantita dall'art.  23,  comma  3,  della
legge n. 69 del 2005 scongiurerebbe in  radice  qualsiasi  violazione
del diritto alla salute della persona richiesta. 
    Osserva poi che dai risultati della perizia disposta dalla  Corte
d'appello,  come  riassunti   nell'ordinanza   di   rimessione,   non
emergerebbero l'irreversibilita' delle patologie psichiatriche di cui
l'interessato sarebbe affetto, ne' elementi  specifici  in  grado  di
corroborare l'ipotizzato rischio suicidario; cio' che  determinerebbe
una insufficiente descrizione della fattispecie oggetto del giudizio. 
    In  ogni  caso,  la  Corte  d'appello   avrebbe   -   ad   avviso
dell'Avvocatura generale dello  Stato  -  potuto  seguire,  nel  caso
concreto, la procedura indicata dalla Corte di giustizia  dell'Unione
europea in una  serie  di  casi  recenti  relativi  a  condizioni  di
sovraffollamento carcerario o di carenze sistemiche  o  generalizzate
riguardanti l'indipendenza del  potere  giudiziario  dello  Stato  di
emissione (sono citate le sentenze 5 aprile 2016,  in  cause  riunite
C-404/15 e C-659/15 PPU, Aranyosi e Căldăraru;  25  luglio  2018,  in
causa C-216/18 PPU, LM, 25 luglio 2018, in causa C-220/18 PPU, ML; 15
ottobre 2019, in causa C-128/18, Dorobantu),  non  essendovi  ragione
per ritenere che tale meccanismo non operi  allorche'  «la  possibile
compromissione  di  un  diritto  fondamentale  della  persona  (nella
specie, addirittura il diritto alla vita) dipenda da  situazioni  non
imputabili allo  Stato  di  emissione».  Da  cio'  discende,  secondo
l'Avvocatura generale dello Stato, che  «il  Giudice  a  quo  avrebbe
dovuto   innanzitutto   provvedere   all'integrazione   del    quadro
conoscitivo a sua disposizione (soprattutto [...] in riferimento alle
forme di assistenza  terapeutica  e  psicologica  e  di  sorveglianza
attivabili, in caso di consegna, da parte dello Stato  di  emissione)
e, solo all'esito, determinarsi di conseguenza,  eventualmente  [...]
anche "...ponendo termine..." alla procedura MAE laddove l'ipotizzata
problematica non apparisse risolvibile "...in tempi ragionevoli..."». 
    L'attivazione della procedura  introdotta  dalle  sentenze  della
Corte di giustizia, a partire  dalla  sentenza  Aranyosi,  priverebbe
d'altra parte di fondamento - ad avviso  dell'Avvocatura  generale  -
anche le censure  relative  all'asserita  lesione  del  principio  di
eguaglianza   rispetto   alla   disciplina   del   procedimento    di
estradizione,  «sostanzialmente  identico  apparendo,  a  parita'  di
condizioni,  il  possibile  sblocco  negativo   delle   due   diverse
procedure», nonche'  quella  relativa  alla  ragionevole  durata  del
procedimento di consegna, che sarebbe  essa  stessa  incorporata  nel
"test Aranyosi". 
    3.- E. D.L. si e' costituito  in  giudizio  a  mezzo  dei  propri
difensori,  i  quali  nelle  proprie  memorie  hanno  insistito   per
l'accoglimento delle questioni prospettate, previo  eventuale  rinvio
pregiudiziale alla Corte di giustizia, sottolineando  in  particolare
come l'esecuzione del mandato di arresto europeo non possa mai andare
a  discapito,  nello  stesso  ordinamento   dell'Unione   oltre   che
nell'ordinamento italiano,  della  tutela  dei  diritti  fondamentali
della persona, tra i quali quello alla salute, direttamente  connessa
al valore inalienabile della dignita' umana. 
    4.- Hanno depositato  opinioni  scritte,  in  qualita'  di  amici
curiae, l'Unione delle camere  penali  italiane  (UCPI),  nonche'  le
associazioni European Criminal Bar Association e Fair Trials. 
    Con decreto del Presidente di questa Corte  del  12  luglio  2021
sono state ammesse le opinioni dell'UCPI e di European  Criminal  Bar
Association  che,  entrambe,  adducono  argomenti  in  favore   della
fondatezza  delle  questioni  prospettate,  previo  eventuale  rinvio
pregiudiziale alla Corte di giustizia dell'Unione europea. L'opinione
di Fair Trials non e' stata  ammessa  in  quanto  redatta  in  lingua
diversa dall'italiano, che e' lingua processuale nei giudizi  innanzi
a questa Corte. 
    5.- Nel corso dell'udienza svoltasi innanzi  a  questa  Corte,  i
difensori di E. D.L. hanno chiesto che siano restituiti gli  atti  al
giudice rimettente, sostenendo che l'entrata in vigore medio  tempore
del decreto legislativo 2 febbraio 2021, n. 10 (Disposizioni  per  il
compiuto adeguamento  della  normativa  nazionale  alle  disposizioni
della decisione quadro 2002/584/GAI, relativa  al  mandato  d'arresto
europeo e alle procedure di consegna tra stati membri, in  attuazione
delle delega di cui all'articolo 6 della legge  4  ottobre  2019,  n.
117) imporrebbe una nuova valutazione della  rilevanza  e  della  non
manifesta infondatezza delle questioni, in relazione - in particolare
- alla nuova formulazione dell'art. 2 della legge n. 69 del 2005, che
ad avviso dei difensori stessi imporrebbe  all'autorita'  giudiziaria
italiana di non disporre  la  consegna  allorche'  essa  comporti  un
rischio di violazione dei diritti inalienabili  della  persona  umana
riconosciuti dalla Costituzione italiana, dalla CEDU e  dallo  stesso
art. 6 del Trattato sull'Unione europea (TUE). 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- La Corte d'appello  di  Milano,  sezione  quinta  penale,  ha
sollevato questioni di legittimita' costituzionale degli artt.  18  e
18-bis della legge 22 aprile 2005, n. 69 (Disposizioni per conformare
il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del  Consiglio,
del 13 giugno 2002, relativa al  mandato  d'arresto  europeo  e  alle
procedure di consegna tra Stati membri),  nella  parte  in  cui  tali
disposizioni non prevedono quale motivo  di  rifiuto  della  consegna
«ragioni  di  salute  croniche  e  di  durata   indeterminabile   che
comportino il rischio di conseguenze di eccezionale gravita'  per  la
persona richiesta». 
    Secondo il giudice rimettente, la mancata  previsione  di  questo
motivo di rifiuto lederebbe il diritto alla salute  dell'interessato,
tutelato dagli artt. 2 e 32 della Costituzione. 
    Inoltre,  il  giudice  rimettente  lamenta  una   disparita'   di
trattamento, lesiva dell'art. 3 Cost., tra la disciplina all'esame  e
quella prevista per le procedure di estradizione, nelle quali  l'art.
705, secondo comma, lettera c-bis), del codice  di  procedura  penale
prevede espressamente che l'estradizione sia negata  «se  ragioni  di
salute o di eta' comportino il rischio di conseguenze di  eccezionale
gravita' per la persona richiesta». 
    Infine,  la  disciplina  censurata  violerebbe  il  principio  di
ragionevole durata  del  processo,  sancito  dall'art.  111,  secondo
comma,  Cost.,  determinando  una  stasi  processuale  per  un  tempo
indefinito,  che  potrebbe  essere  invece  evitata  ove  al  giudice
italiano fosse consentito concludere il procedimento con  il  rifiuto
della consegna. 
    2.- In sostanza, il  giudice  rimettente  lamenta  di  non  poter
rifiutare l'esecuzione di un mandato di arresto  -  a  differenza  di
quanto accade nelle procedure di estradizione - allorche' la consegna
dell'interessato lo esponga a un rischio di eccezionale gravita'  per
la  sua  salute  in  relazione  a  patologie  croniche  e  di  durata
indeterminabile. 
    Non compete a  questa  Corte  la  valutazione  circa  l'effettiva
sussistenza  di  tale  rischio  nel  caso   all'esame   del   giudice
rimettente.  Contrariamente  a   quanto   sostenuto   dall'Avvocatura
generale dello Stato, si deve infatti osservare  che  l'ordinanza  di
rimessione motiva in modo  non  implausibile  -  sulla  base  di  una
perizia psichiatrica disposta nel corso del procedimento di  consegna
-  circa  la  sussistenza  di  un  grave  rischio   per   la   salute
dell'interessato, comprensivo anche di un significativo  pericolo  di
suicidio, che potrebbe derivare da  una  sua  consegna  all'autorita'
giudiziaria dello Stato  di  emissione  e  dal  suo  collocamento  in
carcere durante la celebrazione del processo. Cio' e' sufficiente  ai
fini della verifica della rilevanza nel caso in esame delle questioni
di legittimita' costituzionale prospettate. 
    3.- Occorre altresi'  preliminarmente  precisare  che,  in  epoca
successiva all'ordinanza di rimessione, tanto l'art. 18  della  legge
n. 69 del 2005, concernente i motivi di  rifiuto  obbligatorio  della
consegna, quanto l'art. 18-bis della medesima  legge,  concernente  i
motivi di rifiuto facoltativo della consegna, sono  stati  modificati
dal decreto legislativo 2 febbraio 2021, n. 10 (Disposizioni  per  il
compiuto adeguamento  della  normativa  nazionale  alle  disposizioni
della decisione quadro 2002/584/GAI, relativa  al  mandato  d'arresto
europeo e alle procedure di consegna tra stati membri, in  attuazione
delle delega di cui all'articolo 6 della legge  4  ottobre  2019,  n.
117). 
    Peraltro, nemmeno nel testo oggi in vigore gli artt. 18 e  18-bis
della legge n. 69  del  2005  prevedono  che  debba  o  possa  essere
rifiutata la consegna di una persona qualora cio'  la  esponga  a  un
rischio di  eccezionale  gravita'  per  la  sua  salute;  sicche'  le
questioni  sollevate  dal  giudice   rimettente   potrebbero   essere
formulate in modo identico anche rispetto alla nuova disciplina. 
    In ogni caso, ai sensi dell'art. 28, comma 1, del  d.lgs.  n.  10
del 2021, le modifiche da esso apportate alla legge n.  69  del  2005
non si applicano ai procedimenti di esecuzione di mandati di  arresto
gia' in corso, come quello pendente innanzi al giudice rimettente.  A
tali procedimenti continuano invece  ad  applicarsi  le  disposizioni
anteriormente  vigenti,  rispetto  alle  quali  sono   formulate   le
questioni di legittimita' costituzionale in questa sede all'esame. 
    Per  tali  ragioni,  deve  escludersi  la   necessita'   di   una
restituzione degli atti per un nuovo esame della  rilevanza  e  della
non  manifesta  infondatezza  della   questione   alla   luce   delle
sopravvenienze normative che concernono gli artt. 18 e  18-bis  della
legge n. 69 del 2005. 
    4.- I difensori dell'interessato  hanno  chiesto  in  udienza  la
restituzione  degli  atti  al  giudice  rimettente,  per  una   nuova
valutazione  sulla  rilevanza  e  non  manifesta  infondatezza  delle
questioni di legittimita' costituzionale prospettate alla luce  delle
modifiche apportate dal d.lgs. n. 10 del 2021 all'art. 2 della  legge
n. 69 del 2005. 
    Secondo la prospettazione dei difensori,  la  nuova  formulazione
dell'art. 2 della  legge  n.  69  del  2005,  modificando  il  quadro
sistematico di riferimento, imporrebbe al giudice rimettente  di  non
disporre la consegna dell'interessato anche  in  ipotesi  diverse  da
quelle disciplinate dagli artt. 18 e  18-bis  della  medesima  legge,
allorche' la consegna  comporti  il  rischio  di  violare  i  diritti
inalienabili della persona riconosciuti dalla Costituzione  italiana,
ovvero i  diritti  fondamentali  sanciti  dall'art.  6  del  Trattato
sull'Unione europea (TUE) e dalla  Convenzione  europea  dei  diritti
dell'uomo (CEDU), tra i quali segnatamente  il  diritto  alla  salute
dell'interessato. 
    Tale richiesta non puo' essere accolta. 
    Infatti, le modifiche all'art. 2  della  legge  n.  69  del  2005
introdotte dal d.lgs. n. 10 del 2021 non si applicano alle  procedure
di consegna gia' pendenti al momento dell'entrata in vigore  di  tale
decreto legislativo, in forza del suo  art.  28,  comma  1,  poc'anzi
menzionato; sicche' la Corte d'appello rimettente  dovrebbe  in  ogni
caso fare applicazione della disciplina previgente. Ne', come  meglio
si dira' (infra, punto 7.), tali modifiche sono in grado di  alterare
il quadro sistematico nel quale si collocano le odierne questioni  di
legittimita' costituzionale. 
    5.- Nel merito, le questioni  che  questa  Corte  e'  chiamata  a
decidere non concernono soltanto la compatibilita' delle disposizioni
censurate   con   la   Costituzione    italiana,    ma    coinvolgono
preliminarmente l'interpretazione del  diritto  dell'Unione  europea,
del  quale  la  legge  nazionale  censurata   costituisce   specifica
attuazione. 
    Infatti,  gli  artt.  3,  4  e  4-bis  della   decisione   quadro
2002/584/GAI sul mandato  di  arresto  europeo,  che  disciplinano  i
motivi di rifiuto  obbligatori  e  facoltativi  della  consegna,  non
includono  espressamente  tra  i  medesimi  la  situazione  di  grave
pericolo per la  salute  dell'interessato  derivante  dalla  consegna
stessa, connesso a una patologia cronica e di  durata  potenzialmente
indeterminabile. Pertanto, i dubbi - sollevati dal giudice rimettente
- di compatibilita' degli artt. 18 e 18-bis della  legge  n.  69  del
2005 con la Costituzione italiana non possono non investire anche  la
disciplina degli artt. 3,  4  e  4-bis  della  decisione  quadro,  in
relazione ai corrispondenti diritti fondamentali  riconosciuti  dalla
Carta e dall'art. 6 TUE. 
    6.- Ai fini  della  decisione  delle  questioni  prospettate,  e'
necessario anzitutto domandarsi se il pericolo di  grave  danno  alla
salute dell'interessato conseguente alla sua  consegna  all'autorita'
giudiziaria dello  Stato  di  emissione  possa  essere  adeguatamente
fronteggiato  mediante  la  sospensione  della  consegna   ai   sensi
dell'art. 23, comma  3,  della  legge  n.  69  del  2005,  che  attua
nell'ordinamento italiano la previsione di cui all'art. 23, paragrafo
4, della decisione quadro 2002/584/GAI. 
    La Corte d'appello di Milano ritiene  che  tale  sospensione  non
costituisca rimedio adeguato ad assicurare  la  tutela  della  salute
dell'interessato in casi come quello all'esame, caratterizzati  dalla
presenza di patologie croniche e di durata indeterminabile. 
    Tale assunto, condiviso dalla difesa dell'interessato, e'  invece
contestato dall'Avvocatura generale dello Stato, che nel proprio atto
di intervento ha sottolineato come nel caso  in  esame  ben  potrebbe
essere disposta la sospensione della consegna. 
    Questa Corte condivide la valutazione del giudice rimettente, per
le ragioni che seguono. 
    6.1. - L'art. 23, comma 3, della legge n. 69  del  2005  dispone:
«Quando sussistono motivi umanitari o gravi ragioni per ritenere  che
la consegna metterebbe in pericolo la vita o la salute della persona,
il presidente  della  corte  di  appello,  o  il  magistrato  da  lui
delegato, puo'  con  decreto  motivato  sospendere  l'esecuzione  del
provvedimento di consegna, dando immediata comunicazione al  Ministro
della giustizia». 
    6.2.- Come anticipato, tale  disposizione  costituisce  specifica
attuazione nel  diritto  nazionale  della  previsione  dell'art.  23,
paragrafo 4, della decisione quadro 2002/584/GAI,  che  a  sua  volta
prevede:  «La   consegna   puo',   a   titolo   eccezionale,   essere
temporaneamente differita per gravi motivi umanitari, ad  esempio  se
vi sono valide ragioni di ritenere che essa metterebbe manifestamente
in pericolo la vita o la salute del ricercato. Il  mandato  d'arresto
europeo viene eseguito non appena tali motivi cessano di  sussistere.
L'autorita' giudiziaria  dell'esecuzione  ne  informa  immediatamente
l'autorita' giudiziaria emittente e concorda una nuova  data  per  la
consegna. In tal caso, la  consegna  avviene  entro  i  dieci  giorni
successivi alla nuova data concordata». 
    Nella disciplina della decisione quadro, alla luce della quale la
disposizione italiana deve essere interpretata,  il  differimento  «a
titolo  eccezionale»  della  consegna  sembra  dunque   previsto   in
relazione a  situazioni  di  carattere  meramente  "temporaneo",  che
renderebbero contraria al senso di  umanita'  la  consegna  immediata
dell'interessato. 
    6.3.-  Tale  rimedio  pare,  invece,  incongruo  in  relazione  a
patologie croniche  e  di  durata  indeterminabile  come  quelle  che
affliggono  l'interessato.  In  simili   ipotesi,   il   differimento
dell'esecuzione  del  mandato  di  arresto  europeo,  pur   se   gia'
autorizzato dalla corte  d'appello,  rischierebbe  di  protrarsi  nel
tempo per una durata indefinita. Cio' finirebbe per svuotare di  ogni
effetto  utile  lo  stesso  provvedimento  di  consegna  pronunciato,
rischiando cosi' di impedire allo Stato di emissione, a  seconda  dei
casi, di esercitare  l'azione  penale  o  di  eseguire  la  pena  nei
confronti dell'interessato. 
    Inoltre, un tale rimedio non garantirebbe  piena  tutela  nemmeno
all'interessato, il  quale  -  come  giustamente  rileva  il  giudice
rimettente - non ha oggi la possibilita' di  far  valere  le  proprie
patologie croniche nell'ambito  del  procedimento  di  consegna,  nel
quale si dispiegano appieno le sue garanzie di  difesa,  e  si  trova
pertanto a doverle allegare in una  fase  procedimentale  successiva,
destinata a sfociare in un provvedimento del presidente della corte o
di un suo delegato (nel senso della non invocabilita' dei problemi di
salute dell'interessato nel procedimento di  consegna,  si  veda,  da
ultimo, Corte di cassazione, sezione  sesta  penale,  sentenze  25-26
giugno 2020, n. 19389 e 12-14 febbraio 2020, n. 5933). 
    Infine, il protrarsi nel tempo di differimenti fondati su ragioni
di salute croniche ostative alla consegna  manterrebbe  l'interessato
in una situazione di continua incertezza circa la propria  sorte,  in
contrasto con l'esigenza  di  garantire  un  termine  ragionevole  di
durata in  ogni  procedimento  suscettibile  di  incidere  sulla  sua
liberta' personale. 
    6.4.- Da cio' consegue che, ad avviso di questa Corte, il rimedio
della sospensione della consegna di cui all'art. 23, comma  3,  della
legge n. 69 del 2005 non puo' essere considerato rimedio  congruo  in
caso di gravi patologie croniche  e  di  durata  indeterminabile  che
ostino all'esecuzione della consegna. 
    7.- Occorre a questo punto  chiedersi  se  le  clausole  generali
contenute negli artt. 1 e 2 della legge n. 69 del 2005, nel  testo  -
applicabile  nel  giudizio  principale  -  anteriore  alle  modifiche
apportate  dal  d.lgs.  n.  10  del  2021,  autorizzino   l'autorita'
giudiziaria italiana a non disporre la consegna anche in casi diversi
da quelli menzionati negli artt. 18 e 18-bis della  legge,  allorche'
la consegna stessa possa comunque esporre l'interessato al rischio di
violazione  di  un  suo  diritto  fondamentale   riconosciuto   dalla
Costituzione italiana o dal diritto dell'Unione europea. 
    Come sopra rammentato, tale interpretazione e' stata sostenuta in
udienza  dai  difensori  dell'interessato  in  relazione  alla  nuova
formulazione dell'art. 2 della legge n. 69 del 2005,  introdotta  dal
d.lgs. n. 10 del  2021,  non  applicabile  nel  giudizio  principale.
Tuttavia, essa potrebbe essere prospettata sulla  base  dei  medesimi
argomenti anche in relazione alla vecchia formulazione degli artt.  1
e 2 della medesima legge, che restano  applicabili  in  quella  sede.
L'interpretazione in parola merita, pertanto, di essere qui esaminata
funditus, giacche'  -  ove  fosse  ritenuta  corretta  -  il  giudice
rimettente  avrebbe  la  possibilita'  di   rifiutare   la   consegna
dell'interessato  gia'  sulla  base  del   diritto   vigente,   senza
necessita' di alcuna pronuncia di illegittimita' costituzionale. 
    Ad avviso di questa Corte, tuttavia, una  simile  interpretazione
non puo' essere condivisa, per le ragioni che seguono. 
    7.1.- Prima delle modifiche da ultimo intervenute con  il  d.lgs.
n. 10 del 2021, l'art. 1,  comma  1,  della  legge  n.  69  del  2005
disponeva: «La presente legge  attua,  nell'ordinamento  interno,  le
disposizioni della decisione quadro 2002/584/GAI del  Consiglio,  del
13 giugno 2002, di seguito denominata "decisione quadro", relativa al
mandato d'arresto europeo e alle  procedure  di  consegna  tra  Stati
membri dell'Unione europea nei limiti in cui  tali  disposizioni  non
sono  incompatibili   con   i   principi   supremi   dell'ordinamento
costituzionale in tema di diritti fondamentali, nonche'  in  tema  di
diritti di liberta' e del giusto processo». L'inciso finale a partire
dalle parole «nei limiti in cui» e' stato, ora, abrogato  dal  d.lgs.
n. 10 del 2021. 
    L'art. 2 della legge n. 69 del 2005, nel  testo  precedente  alle
modifiche apportate dal d.lgs. n. 10 del 2021, disponeva che l'Italia
avrebbe dato esecuzione al mandato di arresto  europeo  nel  rispetto
dei diritti fondamentali garantiti dalla  CEDU,  in  particolare  dei
suoi artt. 5 e 6, e dei  suoi  protocolli  addizionali,  nonche'  dei
«principi  e  [del]le  regole  contenuti  nella  Costituzione   della
Repubblica,  attinenti   al   giusto   processo»,   con   particolare
riferimento  ai  principi  in  materia  di  tutela   della   liberta'
personale, al diritto di difesa, alla responsabilita' penale  e  alla
qualita'  delle  sanzioni  penali.   Tale   disposizione   e'   stata
integralmente riformulata dal d.lgs. n. 10 del 2021, e prevede,  ora,
che «[l]'esecuzione del mandato di arresto europeo non puo', in alcun
caso, comportare una  violazione  dei  principi  supremi  dell'ordine
costituzionale dello Stato o dei diritti inalienabili  della  persona
riconosciuti dalla  Costituzione,  dei  diritti  fondamentali  e  dei
fondamentali principi giuridici sanciti dall'articolo 6 del  trattato
sull'Unione europea o dei diritti fondamentali garantiti dalla [CEDU]
e dai Protocolli  addizionali  alla  stessa».  La  formulazione  oggi
vigente restringe, dunque, la portata  della  clausola  prevista  dal
testo originario, non menzionando piu' l'intera gamma dei principi  e
delle regole costituzionali,  bensi'  soltanto  i  «principi  supremi
dell'ordine costituzionale dello Stato»  e  i  «diritti  inalienabili
della persona» riconosciuti dalla Costituzione. 
    7.2.- Peraltro, ne' il testo previgente degli artt. 1 e  2  della
legge n. 69 del 2005, ne' il testo oggi  vigente  dell'art.  2  della
medesima legge chiariscono  espressamente  se  la  singola  autorita'
giudiziaria   competente   per   la   procedura   di    consegna    -
nell'ordinamento italiano, la corte d'appello  individuata  ai  sensi
del successivo art. 5 - debba verificare, in ciascun  caso  concreto,
se  l'esecuzione  di   un   mandato   di   arresto   europeo   emesso
dall'autorita' giudiziaria di altro Stato membro possa determinare la
violazione di uno dei diritti o principi (nazionali  ed  europei)  al
cui rispetto la legge n. 69 del  2005,  tanto  nel  testo  previgente
quanto in quello attuale, dichiara di essere vincolata. 
    Tali disposizioni debbono, allora, essere interpretate alla  luce
della complessiva disciplina della decisione quadro 2002/584/GAI,  di
cui l'intera legge n. 69 del 2005 costituisce attuazione nel  diritto
nazionale. 
    7.3.- Il principio generale secondo cui la decisione  quadro  sul
mandato d'arresto europeo, e conseguentemente  la  sua  attuazione  a
livello di  ciascuno  Stato  membro,  debbono  rispettare  i  diritti
fondamentali sanciti dall'art. 6 TUE e' affermato esplicitamente, sia
dal considerando n. 12, sia dall'art. 1, paragrafo 3, della decisione
quadro. Inoltre, tale principio  e'  sotteso  all'intero  ordinamento
giuridico  dell'Unione,  nel  quale  -  come  risulta,  tra  l'altro,
dall'art. 51, paragrafo  1,  della  Carta  dei  diritti  fondamentali
dell'Unione europea (CDFUE) - i diritti fondamentali vincolano  tanto
le istituzioni, organi e organismi dell'Unione, in primis nella  loro
produzione normativa, quanto gli Stati membri  allorche'  attuino  il
diritto dell'Unione. 
    Come affermato dalla Corte di giustizia, e' pero'  precluso  agli
Stati membri condizionare l'attuazione del diritto  dell'Unione,  nei
settori oggetto di integrale armonizzazione, al rispetto di  standard
puramente nazionali di tutela dei diritti fondamentali, laddove  cio'
possa compromettere il primato, l'unita' e l'effettivita' del diritto
dell'Unione (Corte di  giustizia  dell'Unione  europea,  sentenza  26
febbraio 2013, in causa C-617/10, Fransson, paragrafo 29; sentenza 26
febbraio 2013, in causa C-399/11, Melloni, paragrafo 60).  I  diritti
fondamentali al cui rispetto la  decisione  quadro  e'  vincolata  ai
sensi  del  suo  art.  1,  paragrafo  3,  sono,   piuttosto,   quelli
riconosciuti dal diritto dell'Unione europea, e  conseguentemente  da
tutti gli Stati membri  allorche'  attuano  il  diritto  dell'Unione:
diritti fondamentali alla cui definizione,  peraltro,  concorrono  in
maniera eminente le  stesse  tradizioni  costituzionali  comuni  agli
Stati membri (artt. 6, paragrafo 3, TUE e 52, paragrafo 4, CDFUE). 
    7.4.- Da cio' consegue che  spetta  in  primo  luogo  al  diritto
dell'Unione stabilire gli standard di tutela dei diritti fondamentali
al cui rispetto sono subordinate la legittimita' della disciplina del
mandato di arresto europeo, e la sua concreta  esecuzione  a  livello
nazionale,   trattandosi   di   materia    oggetto    di    integrale
armonizzazione. 
    La puntuale previsione, agli artt. 3, 4 e 4-bis  della  decisione
quadro 2002/584/GAI, dei possibili motivi di rifiuto della  consegna,
obbligatori  o  facoltativi,  mira  per  l'appunto  a  far  si'   che
l'attuazione concreta della disciplina sul mandato di arresto europeo
rispetti i diritti fondamentali della persona - nell'estensione  loro
riconosciuta dalla Carta, alla luce della  CEDU  e  delle  tradizioni
costituzionali comuni -, in conformita' al  principio  enunciato  dal
considerando n. 12  e  dall'art.  1,  paragrafo  3,  della  decisione
quadro. 
    Al tempo  stesso,  tale  puntuale  disciplina  e'  funzionale  ad
assicurare l'uniforme ed effettiva applicazione della  normativa  sul
mandato di arresto europeo, che  e'  fondata  sul  presupposto  della
fiducia reciproca tra gli Stati membri circa il rispetto dei  diritti
fondamentali da parte di ciascuno. Tali esigenze  di  uniformita'  ed
effettivita' comportano che sia, di regola, precluso  alle  autorita'
giudiziarie dello Stato di esecuzione rifiutare  la  consegna  al  di
fuori dei casi imposti o consentiti  dalla  decisione  quadro,  sulla
base di standard di  tutela  puramente  nazionali,  non  condivisi  a
livello europeo, dei diritti fondamentali della  persona  interessata
(Corte di giustizia dell'Unione europea, sentenza 5 aprile  2016,  in
cause  riunite  C-404/15  e  C-659/15  PPU,  Aranyosi  e   Căldăraru,
paragrafo 80). 
    7.5.- Conseguentemente, sarebbe manifestamente in  contrasto  con
tale  principio  un'interpretazione   del   diritto   nazionale   che
riconoscesse all'autorita' giudiziaria di  esecuzione  il  potere  di
rifiutare la consegna dell'interessato al di fuori dei casi tassativi
previsti dalla legge in conformita' alle previsioni  della  decisione
quadro, sulla base di disposizioni di carattere generale come  quelle
contenute nel testo degli artt. 1 e 2 della  legge  n.  69  del  2005
anteriormente alle modifiche apportate dal d.lgs. n. 10 del  2021,  o
come l'art. 2 della medesima legge nella formulazione oggi vigente. 
    E  cio'  anche  nell'ipotesi  in  cui,  ad  avviso  del   giudice
competente, l'esecuzione del mandato di  arresto  europeo  conducesse
nel caso concreto a un risultato in contrasto con i principi  supremi
dell'ordinamento costituzionale o con  i  diritti  inviolabili  della
persona, dal momento che soltanto a  questa  Corte  e'  riservata  la
verifica della compatibilita' del diritto dell'Unione, o del  diritto
nazionale  attuativo  del  diritto  dell'Unione,  con  tali  principi
supremi e diritti inviolabili (ordinanza n. 24 del 2017, punto 6). 
    8.-  Peraltro,  lo  stesso  diritto  dell'Unione   non   potrebbe
tollerare che l'esecuzione del mandato di arresto  europeo  determini
una violazione dei diritti fondamentali dell'interessato riconosciuti
dalla Carta e dall'art. 6, paragrafo 3, TUE. 
    8.1.- Proprio per evitare che l'attuazione della decisione quadro
sul mandato di arresto europeo possa determinare  nel  caso  concreto
violazioni dei diritti fondamentali dell'interessato,  in  situazioni
nelle quali la decisione quadro non prevede espressamente  motivi  di
rifiuto della consegna, la giurisprudenza della  Corte  di  giustizia
e',  di  recente,  piu'  volte  intervenuta  a   definire,   in   via
interpretativa, procedure idonee a conciliare le  esigenze  di  mutuo
riconoscimento ed esecuzione delle decisioni giudiziarie  in  materia
penale con il rispetto dei diritti fondamentali dell'interessato. 
    Cio' e' avvenuto, in particolare, in relazione  al  pericolo  che
l'esecuzione  di  un  mandato  di  arresto  europeo   possa   esporre
l'interessato a condizioni di detenzione inumane e  degradanti  nello
Stato  di  emissione  in  conseguenza   di   carenze   sistemiche   e
generalizzate o che comunque colpiscono determinati gruppi di persone
o determinati centri di detenzione (Corte  di  giustizia  dell'Unione
europea, sentenze Aranyosi, cit.; 25 luglio 2018, in  causa  C-220/18
PPU, ML; 15 ottobre 2019, in causa C-128/18, Dorobantu),  nonche'  al
pericolo di essere sottoposto a  un  processo  non  rispettoso  delle
garanzie  di  cui  all'art.  47  CDFUE,  in  conseguenza  di  carenze
sistemiche e  generalizzate  riguardanti  l'indipendenza  del  potere
giudiziario nello Stato di emissione (sentenze  25  luglio  2018,  in
causa C-216/18 PPU, LM; 17 dicembre 2020, in cause  riunite  C-354/20
PPU e C-412/20 PPU, L e P). 
    Tali  procedure,  basate  sulla  diretta  interlocuzione  tra  le
autorita' giudiziarie dello Stato di esecuzione e quelle dello  Stato
di emissione ai sensi dell'art.  15,  paragrafo  2,  della  decisione
quadro, hanno per l'appunto lo scopo  di  permettere  alle  autorita'
giudiziarie dell'esecuzione di assicurarsi, nel caso concreto, che la
consegna dell'interessato non lo esponga a possibili lesioni dei suoi
diritti   fondamentali.   Solo   nel   caso   in   cui,   in    esito
all'interlocuzione,  non  risulti   possibile   ottenere   una   tale
assicurazione,  all'autorita'   giudiziaria   di   esecuzione   sara'
consentito astenersi dal dar corso al  mandato  di  arresto  europeo,
rifiutando dunque la  consegna  al  di  la'  dei  casi  espressamente
autorizzati dagli articoli 3, 4 e 4-bis della decisione quadro. 
    Le  citate  sentenze  della  Corte  di  giustizia   hanno   cosi'
introdotto nel  diritto  dell'Unione  meccanismi  che  consentono  di
assicurare  la  tutela  dei  diritti   fondamentali   delle   persone
interessate da un mandato  di  arresto  europeo,  nel  quadro  di  un
sistema di regole comuni vincolanti per tutti gli Stati membri. 
    8.2.- L'Avvocatura generale dello Stato ha sostenuto che la Corte
d'appello di Milano avrebbe gia' potuto, sulla base di tali  sentenze
della Corte di giustizia, attivare la necessaria  interlocuzione  con
le autorita' giudiziarie dello Stato  di  emissione,  allo  scopo  di
accertarsi se all'interessato  potesse  essere  garantito  in  quello
Stato, durante il processo, un trattamento  idoneo  a  evitare  gravi
danni alla sua salute, e - nell'ipotesi in cui l'interlocuzione abbia
esito negativo - astenersi dal dar corso alla consegna. 
    Questa Corte non e' persuasa da tale argomento. 
    Le citate pronunce della Corte di giustizia, infatti,  riguardano
tutte   pericoli   di    violazione    dei    diritti    fondamentali
dell'interessato connessi a carenze sistemiche e generalizzate  dello
Stato  di  emissione,  o  comunque  a  situazioni   che   coinvolgono
determinati gruppi di persone  o  interi  centri  di  detenzione.  Le
questioni sollevate dalla Corte d'appello di Milano, che questa Corte
e' chiamata a decidere, concernono invece la diversa ipotesi  in  cui
le  condizioni  patologiche,  di  carattere  cronico  e   di   durata
indeterminabile, della singola persona richiesta  siano  suscettibili
di  aggravarsi  in  modo  significativo  nel  caso  di  consegna,  in
particolare laddove lo Stato di  emissione  ne  dovesse  disporre  la
custodia in carcere. 
    Occorre dunque  chiedersi  se  anche  a  questa  ipotesi  debbano
estendersi, per analogia, i principi gia' enunciati  dalla  Corte  di
giustizia  nelle  sentenze  citate,   con   particolare   riferimento
all'obbligo di interlocuzione diretta tra  le  autorita'  giudiziarie
dello Stato di emissione e quelle dello Stato richiesto, nonche' alla
possibilita', per queste ultime, di  porre  fine  alla  procedura  di
consegna, qualora la sussistenza di  un  rischio  di  violazione  dei
diritti fondamentali dell'interessato non possa essere esclusa  entro
un termine ragionevole. 
    Le   segnalate   esigenze   di   uniformita'   ed    effettivita'
nell'applicazione  del  mandato  di  arresto  europeo  nello   spazio
giuridico dell'Unione impongono che la risposta a  tale  quesito  sia
riservata alla Corte di giustizia, nella sua funzione  di  interprete
eminente del diritto dell'Unione (art. 19, paragrafo 1, TUE). 
    9. - Peraltro, «in un quadro di costruttiva e leale  cooperazione
tra i diversi sistemi di garanzia» (ordinanze n. 182 del  2020  e  n.
117 del 2019;  sentenza  n.  269  del  2017),  questa  Corte  ritiene
opportuno  segnalare  gli   argomenti   che   depongono   in   favore
dell'estensione al caso oggi in  esame  dei  principi  sanciti  dalla
Corte di giustizia nelle sentenze appena ricordate. 
    9.1.-  Nell'ordinamento  giuridico  italiano,  l'art.  32,  primo
comma,  Cost.   tutela   la   salute   come   «fondamentale   diritto
dell'individuo», oltre che come interesse della collettivita'; e  non
v'e' dubbio, nella giurisprudenza costituzionale,  che  tale  diritto
appartenga altresi' al novero  dei  «diritti  inviolabili  dell'uomo»
riconosciuti dall'art. 2 Cost. Dal diritto in  parola  discendono,  a
carico dei poteri pubblici,  non  solo  il  dovere  di  astenersi  da
condotte  lesive,  ma  anche  l'obbligo  positivo  di  assicurare   i
trattamenti sanitari indispensabili per la tutela della salute  della
persona. Nell'ordinamento  italiano,  tale  diritto  e'  riconosciuto
nella sua pienezza anche alle persone detenute, tanto  se  condannate
in via definitiva (da ultimo, sentenza n. 245 del 2020), quanto se in
stato di custodia cautelare. 
    Proprio per tutelare tale diritto, il diritto processuale  penale
italiano esclude, in linea di principio, che possa essere disposta  o
mantenuta la custodia cautelare in carcere di persona affetta da  una
«malattia particolarmente grave,  per  effetto  della  quale  le  sue
condizioni  di  salute  risultano  incompatibili  con  lo  stato   di
detenzione e comunque tali da non consentire adeguate cure in casi di
detenzione in carcere» (art. 275, comma 4-bis, cod. proc. pen.). Tale
principio trova poi ulteriore e  piu'  specifica  declinazione  nella
disciplina    relativa    agli    imputati    tossicodipendenti     o
alcooldipendenti che abbiano in corso programmi terapeutici stabilita
dall'art. 89 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n.  309  (Testo  unico  delle
leggi  in  materia  di  disciplina  degli  stupefacenti  e   sostanze
psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati  di
tossicodipendenza), la quale pure prevede, in linea di principio,  la
sostituzione  della  custodia  cautelare  in  carcere  con  la   meno
afflittiva misura degli arresti domiciliari per chi abbia  in  corso,
ovvero intenda sottoporsi a, un programma di recupero. 
    9.2.- Non v'e' dubbio, inoltre,  che  la  salute  costituisca  un
diritto fondamentale della persona  anche  dal  punto  di  vista  del
diritto dell'Unione. 
    Se l'art. 3 CDFUE appare tutelare la salute principalmente  nella
sua dimensione di diritto  (negativo)  a  non  subire  lesioni  della
propria integrita' fisica, l'art. 35 CDFUE  sancisce  il  diritto  di
ottenere cure mediche e impegna  gli  Stati  membri  a  garantire  un
«livello elevato di protezione della salute umana». Tali diritti  non
possono  non  essere  riconosciuti  nella  loro  pienezza  anche  nei
confronti di chi sia accusato di avere commesso un  reato,  come  nel
caso oggetto del giudizio principale. 
    Inoltre, laddove  la  consegna  dell'interessato  allo  Stato  di
emissione  di  un  mandato  di  arresto   europeo   dovesse   esporre
l'interessato medesimo  a  un  serio  rischio  di  gravi  conseguenze
pregiudizievoli per la  sua  salute,  si  profilerebbe  altresi'  una
lesione dell'art. 4 CDFUE, che sancisce il diritto  della  persona  -
non bilanciabile con  alcun  altro  controinteresse,  stante  la  sua
natura assoluta (sentenza Aranyosi, paragrafo  85)  -  a  non  subire
trattamenti inumani o degradanti, in termini coincidenti  con  quelli
derivanti dall'art. 3 CEDU. In proposito, merita rilevare che secondo
la  Corte  EDU  l'estradizione  di  una  persona  afflitta  da  gravi
patologie  mentali  in  uno  Stato  nel  quale  sara'  verosimilmente
detenuta in custodia cautelare, senza accesso a  terapie  appropriate
in  relazione  alle  sue  condizioni,  costituirebbe  una  violazione
dell'art. 3 CEDU (sentenza 16 aprile 2013, Aswat contro Regno  Unito;
si  vedano  altresi'  -  per  l'affermazione  che  integrerebbe   una
violazione dell'art. 3 CEDU l'espulsione di un ricorrente afflitto da
gravi patologie, in mancanza di assicurazioni adeguate da parte dello
Stato  di  origini  sulla  disponibilita'  in  loco   delle   terapie
necessarie - Corte EDU,  sentenza  1°  ottobre  2019,  Savran  contro
Danimarca,  in  relazione  a  una  persona   afflitta   da   problemi
psichiatrici, nonche' Corte EDU, grande camera, sentenza 13  dicembre
2016,  Paposhvili  contro  Belgio,  concernente  invece  una  persona
afflitta da gravi patologie di carattere fisico). 
    Il medesimo  principio  e'  stato,  d'altronde,  affermato  dalla
stessa Corte di giustizia in una sentenza concernente  la  disciplina
europea dell'asilo, ove si e' escluso, sulla base dell'art. 4  CDFUE,
che possa essere trasferito  nello  Stato  di  ingresso  un  soggetto
richiedente  protezione  internazionale  affetto,  tra  l'altro,   da
«tendenze suicide periodiche», laddove il trasferimento comporti  «un
rischio reale  e  acclarato  che  l'interessato  subisca  trattamenti
inumani  o  degradanti»  derivanti  non  gia'  da  eventuali  carenze
sistemiche dello Stato membro competente per l'esame della  richiesta
di asilo, ma dalla stessa condizione individuale  di  sofferenza  del
richiedente  asilo,  suscettibile  di  essere   «esacerbata   da   un
trattamento risultante da  condizioni  di  detenzione»  (sentenza  16
febbraio 2017, in causa C-578/16 PPU, C. K.  e  a.  contro  Republika
Slovenija, paragrafi 37 e 68). 
    9.3.-  D'altro  canto,   l'esigenza   di   tutelare   i   diritti
fondamentali della  persona  richiesta  deve  essere  conciliata  con
l'interesse a perseguire i sospetti autori di reato, ad accertarne la
responsabilita' e, se giudicati colpevoli,  ad  assicurare  nei  loro
confronti l'esecuzione della pena. Tale  interesse  non  puo',  anzi,
considerarsi come appartenente al solo Stato di emissione del mandato
d'arresto europeo, dal momento che la decisione  quadro  2002/584/GAI
presuppone un impegno comune degli Stati  membri  a  «lottare  contro
l'impunita' di una persona ricercata che si trovi  in  un  territorio
diverso da quello nel quale  si  suppone  abbia  commesso  un  reato»
(Corte di giustizia, sentenza  L  e  P,  paragrafo  62,  e  ulteriori
precedenti ivi citati). 
    In proposito, conviene anche rammentare che, in un  recente  caso
in cui uno Stato membro aveva negato l'esecuzione di  un  mandato  di
arresto europeo emesso da  altro  Stato  membro  in  relazione  a  un
processo penale per omicidio, la Corte EDU - ritenuto  ingiustificato
tale rifiuto - ha ravvisato la violazione, da parte  dello  Stato  di
esecuzione, dei propri obblighi procedurali, discendenti dall'art.  2
CEDU, di assicurare che le persone sospettate  di  aver  commesso  un
omicidio siano processate e, ove ritenute colpevoli, condannate nello
Stato ove il reato e' stato commesso (Corte EDU,  sentenza  9  luglio
2019, Romeo Castaño contro Belgio). 
    La pur  imprescindibile  tutela  del  diritto  fondamentale  alla
salute  della  persona  richiesta  non  puo',  insomma,  condurre   a
soluzioni che comportino la sistematica impunita' di gravi reati. 
    9.4.- D'altra parte, neppure sarebbe ipotizzabile  lasciare  allo
Stato di emissione la sola  opzione  di  procedere  in  absentia  nei
confronti  dell'interessato,  come   il   giudice   rimettente   pare
suggerire. Da un lato, infatti, non tutti gli Stati membri permettono
la celebrazione  di  processi  in  absentia;  dall'altro,  anche  ove
giuridicamente  possibile,   una   tale   soluzione   finirebbe   per
pregiudicare  l'interessato  stesso,  che   sarebbe   privato   della
possibilita'   di   difendersi   efficacemente   in    un    processo
potenzialmente destinato a concludersi con una condanna esecutiva nei
propri confronti. 
    9.5.- Pare invece a  questa  Corte  che,  in  analogia  a  quanto
stabilito dalla Corte di giustizia  nelle  sentenze  poc'anzi  citate
(punto 8.1.), una diretta interlocuzione tra le autorita' giudiziarie
dello Stato di emissione e quello dell'esecuzione potrebbe consentire
di individuare  soluzioni  che  permettano,  nel  caso  concreto,  di
sottoporre  a  processo  l'interessato  nello  Stato   di   emissione
garantendogli la pienezza dei diritti di difesa e al contempo evitino
di esporlo al  pericolo  di  grave  danno  alla  salute,  ad  esempio
attraverso la sua collocazione in idonea  struttura  nello  Stato  di
emissione durante il processo. Soltanto laddove,  all'esito  di  tale
interlocuzione, non si rinvengano soluzioni idonee entro  un  termine
ragionevole, dovrebbe essere consentito all'autorita' giudiziaria  di
esecuzione di rifiutare la consegna. 
    10.- Tutto cio' premesso, questa Corte ritiene di  sospendere  il
giudizio in corso e di sottoporre alla Corte di giustizia dell'Unione
europea, ai  sensi  dell'art.  267  del  Trattato  sul  funzionamento
dell'Unione europea (TFUE), il quesito  se  l'art.  1,  paragrafo  3,
della decisione quadro 2002/584/GAI sul mandato di  arresto  europeo,
letto alla luce degli artt.  3,  4  e  35  della  Carta  dei  diritti
fondamentali dell'unione europea (CDFUE), debba  essere  interpretato
nel senso che l'autorita' giudiziaria di esecuzione, ove ritenga  che
la consegna di una persona afflitta da gravi patologie  di  carattere
cronico e potenzialmente irreversibili possa esporla al  pericolo  di
subire  un  grave  pregiudizio  alla  sua  salute,  debba  richiedere
all'autorita' giudiziaria emittente le informazioni che consentano di
escludere la sussistenza di questo rischio, e sia tenuta a  rifiutare
la consegna allorche' non ottenga assicurazioni in tal senso entro un
termine ragionevole. 
    Considerato,  infine,  che  la  causa  in  esame  -  pur  essendo
originata da un procedimento concernente una persona attualmente  non
sottoposta  ad  alcuna   misura   cautelare   -   solleva   questioni
interpretative relative ad aspetti  centrali  del  funzionamento  del
mandato d'arresto  europeo,  e  che  l'interpretazione  richiesta  e'
idonea a  produrre  conseguenze  generali,  tanto  per  le  autorita'
chiamate a  cooperare  nell'ambito  del  mandato  d'arresto  europeo,
quanto per i diritti delle persone  ricercate,  si  richiede  che  il
presente rinvio pregiudiziale sia deciso con procedimento accelerato,
ai sensi dell'art. 105 del regolamento di procedura  della  Corte  di
giustizia. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    1) dispone di sottoporre  alla  Corte  di  giustizia  dell'Unione
europea, in via pregiudiziale ai sensi dell'art. 267 del Trattato sul
funzionamento dell'Unione europea (TFUE): 
    se l'art. 1, paragrafo 3, della decisione quadro 2002/584/GAI sul
mandato di arresto europeo, letto alla luce degli artt.  3,  4  e  35
della Carta dei diritti  fondamentali  dell'unione  europea  (CDFUE),
debba essere interpretato nel senso che  l'autorita'  giudiziaria  di
esecuzione, ove ritenga che la consegna di una  persona  afflitta  da
gravi patologie di carattere cronico e  potenzialmente  irreversibili
possa esporla al pericolo di subire un  grave  pregiudizio  alla  sua
salute,  debba  richiedere  all'autorita'  giudiziaria  emittente  le
informazioni che consentano di escludere  la  sussistenza  di  questo
rischio, e sia tenuta a rifiutare la consegna allorche'  non  ottenga
assicurazioni in tal senso entro un termine ragionevole; 
    2)  chiede  che  la  questione  pregiudiziale  sia   decisa   con
procedimento accelerato; 
    3) sospende il presente  giudizio  sino  alla  definizione  della
suddetta questione pregiudiziale; 
    4) ordina la trasmissione  di  copia  della  presente  ordinanza,
unitamente agli atti del giudizio, alla cancelleria  della  Corte  di
giustizia dell'Unione europea. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 23 settembre 2021. 
 
                                F.to: 
                   Giancarlo CORAGGIO, Presidente 
                    Francesco VIGANO', Redattore 
                    Filomena PERRONE, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 18 novembre 2021. 
 
                           Il Cancelliere 
                       F.to: Filomena PERRONE