N. 217 ORDINANZA 21 ottobre - 18 novembre 2021

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Esecuzione penale - Mandato d'arresto europeo --  Motivi  di  rifiuto
  della   consegna   -   Facolta',   per   l'autorita'    giudiziaria
  dell'esecuzione, di opporsi alla  consegna  del  cittadino  di  uno
  Stato non membro UE  che  legittimamente  ed  effettivamente  abbia
  residenza  o  dimora  nel  territorio  italiano,  quando  la  Corte
  d'appello disponga che la pena o la misura  di  sicurezza  irrogata
  dall'autorita' giudiziaria di uno Stato membro UE sia  eseguita  in
  Italia conformemente al suo diritto interno - Omessa  previsione  -
  Denunciata difformita' della disciplina nazionale di attuazione con
  l'art. 4, punto 6, della decisione quadro 2002/584/GAI,  disparita'
  di trattamento, violazione del principio della funzione rieducativa
  della pena, nonche' del diritto al rispetto della vita familiare  -
  Necessita'  di  sollevare  questioni  interpretative  relative   ad
  aspetti centrali del funzionamento del mandato  d'arresto  europeo,
  idonee a produrre conseguenze generali - Rinvio pregiudiziale  alla
  Corte di giustizia UE -  Richiesta  di  procedimento  accelerato  -
  Sospensione del giudizio costituzionale. 
- Legge 22 aprile 2005, n. 69, art. 18-bis, comma 1, lettera c), come
  introdotto dall'art. 6, comma 5, lettera b), della legge 4  ottobre
  2019, n. 117. 
- Costituzione, artt. 2, 11, 27, terzo comma,  e  117,  primo  comma;
  Convenzione per la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
  liberta' fondamentali, art. 8;  Patto  internazionale  relativo  ai
  diritti civili e politici, art. 17, paragrafo 1; Carta dei  diritti
  fondamentali dell'Unione europea, art. 7. 
(GU n.47 del 24-11-2021 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giancarlo CORAGGIO; 
Giudici :Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria  de  PRETIS,  Nicolo'
  ZANON,  Augusto  Antonio  BARBERA,  Giulio  PROSPERETTI,   Giovanni
  AMOROSO, Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano PETITTI,  Angelo
  BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
    ORDINANZA 
    nel giudizio di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  18-bis,
comma 1, lettera c), della legge 22 aprile 2005, n. 69  (Disposizioni
per conformare il diritto interno alla decisione quadro  2002/584/GAI
del Consiglio, del 13 giugno  2002,  relativa  al  mandato  d'arresto
europeo  e  alle  procedure  di  consegna  tra  Stati  membri),  come
introdotto dall'art. 6, comma 5, lettera b), della  legge  4  ottobre
2019, n. 117 (Delega al Governo per il  recepimento  delle  direttive
europee e l'attuazione di altri atti dell'Unione europea -  Legge  di
delegazione europea 2018), promosso dalla Corte d'appello di Bologna,
sezione prima penale, nel procedimento penale a carico di O. G.,  con
ordinanza del 27  ottobre  2020,  iscritta  al  n.  42  del  registro
ordinanze 2021 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 15, prima serie speciale, dell'anno 2021. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 20 ottobre  2021  il  Giudice
relatore Francesco Vigano'; 
    deliberato nella camera di consiglio del 21 ottobre 2021. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 27 ottobre  2020,  la  Corte  d'appello  di
Bologna, sezione prima penale, ha sollevato questioni di legittimita'
costituzionale dell'art. 18-bis, comma 1, lettera c), della legge  22
aprile 2005, n. 69 (Disposizioni per conformare  il  diritto  interno
alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002,
relativa al mandato d'arresto europeo e alle  procedure  di  consegna
tra Stati membri), come introdotto dall'art. 6, comma 5, lettera  b),
della legge 4  ottobre  2019,  n.  117  (Delega  al  Governo  per  il
recepimento delle direttive europee  e  l'attuazione  di  altri  atti
dell'Unione europea - Legge di delegazione europea 2018). 
    La disposizione e' censurata «nella parte in cui non  prevede  il
rifiuto facoltativo della consegna del cittadino  di  uno  Stato  non
membro dell'Unione europea che legittimamente ed effettivamente abbia
residenza o dimora nel territorio italiano, sempre che  la  Corte  di
appello disponga che la pena o la misura di  sicurezza  irrogata  nei
suoi  confronti  dall'autorita'  giudiziaria  di  uno  Stato   membro
dell'Unione europea sia  eseguita  in  Italia  conformemente  al  suo
diritto interno». 
    Il  giudice  rimettente  ritiene  che  tale   omessa   previsione
contrasti con gli artt. 11 e 117, primo comma, della Costituzione, in
relazione all'art. 4, punto 6, della  decisione  quadro  2002/584/GAI
del Consiglio del  13  giugno  2002  relativa  al  mandato  d'arresto
europeo e alle procedure di consegna tra gli Stati membri, all'art. 7
della Carta dei diritti  fondamentali  dell'Unione  europea  (CDFUE),
all'art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo  (CEDU)  e
all'art. 17,  paragrafo  1,  del  Patto  internazionale  relativo  ai
diritti civili e politici (PIDCP), nonche' con gli artt. 2, 3, e  27,
terzo comma Cost. 
    1.1.- Il giudizio principale concerne l'esecuzione di un  mandato
di arresto europeo ai fini all'esecuzione della pena,  emesso  il  13
febbraio 2012 dalla Pretura di Brașov (Romania) nei confronti  di  O.
G., cittadino moldavo ma stabilmente radicato in Italia dal punto  di
vista familiare e lavorativo. Secondo  quanto  riferito  dal  giudice
rimettente, O. G. e' stato condannato in via definitiva, in  Romania,
alla pena di cinque anni di reclusione  per  i  delitti  di  evasione
fiscale e appropriazione indebita delle somme dovute per il pagamento
delle imposte  sui  redditi  e  dell'IVA,  commessi  in  qualita'  di
amministratore  di  una  societa'  a  responsabilita'  limitata   tra
settembre 2003 e aprile 2004. 
    Con una prima sentenza depositata il  7  luglio  2020,  la  Corte
d'appello di Bologna ha disposto la consegna di O.  G.  all'autorita'
giudiziaria di emissione. 
    Su ricorso dell'interessato, il 16 settembre  2020  la  Corte  di
cassazione ha annullato con rinvio tale sentenza, invitando la  Corte
d'appello di Bologna a valutare l'opportunita' di sollevare questioni
di legittimita' costituzionale dell'art. 18-bis della legge n. 69 del
2005 sotto vari profili, richiamando altresi'  la  propria  ordinanza
del 4 febbraio 2020, n. 10371,  con  la  quale  la  stessa  Corte  di
cassazione aveva gia' sottoposto a questa Corte numerose questioni di
legittimita' costituzionale della medesima disciplina. 
    Con l'ordinanza che ha dato origine al presente giudizio la Corte
d'appello di Bologna, rilevato che  la  difesa  dell'interessato  «ha
adeguatamente fornito  la  prova  di  [un  suo]  stabile  radicamento
familiare e lavorativo sul territorio  nazionale»,  ha  sollevato  le
questioni di legittimita' costituzionale sopra enunciate per i motivi
di seguito riassunti. 
    1.2.- Il giudice a quo osserva anzitutto che l'art. 4,  punto  6,
della decisione quadro 2002/584/GAI, il quale enumera i motivi di non
esecuzione facoltativa del mandato d'arresto europeo,  consente  allo
Stato di esecuzione del mandato di rifiutare la consegna, finalizzata
all'esecuzione di una pena o di una  misura  di  sicurezza  privative
della liberta' irrogate dallo Stato di emissione, della  persona  che
sia cittadino, ovvero, pur senza esserlo, «dimori» o «risieda»  nello
Stato richiesto, impegnandosi a eseguire esso stesso la pena o misura
di sicurezza irrogate, conformemente al  suo  diritto  interno.  Tale
possibilita'   mirerebbe   a    garantire    un'effettiva    funzione
risocializzante della pena, rendendo possibile  il  mantenimento  dei
legami familiari e sociali del condannato, per favorirne un  corretto
reinserimento  al  termine  dell'esecuzione.   La   risocializzazione
dovrebbe  essere  garantita  a  ogni  condannato,  senza  distinzioni
fondate sulla cittadinanza. 
    Il  medesimo  obiettivo  di  risocializzazione   del   condannato
ispirerebbe del resto  anche  l'art.  5,  punto  3,  della  decisione
quadro,  che  consente  di  subordinare  l'esecuzione   del   mandato
rilasciato ai fini  dell'esercizio  dell'azione  penale,  emesso  nei
confronti  del  «cittadino  o  residente  dello   Stato   membro   di
esecuzione», alla  condizione  che  la  persona,  dopo  essere  stata
ascoltata, sia rinviata nello Stato di esecuzione  per  scontarvi  la
pena o la misura di  sicurezza  eventualmente  irrogate  nello  Stato
emittente. 
    Secondo il giudice rimettente, l'art. 18-bis della  legge  n.  69
del 2005, che traspone nell'ordinamento italiano l'art. 4,  punto  6,
della  decisione  quadro,  ne  ha  indebitamente  ristretto  l'ambito
applicativo, in quanto la facolta' di rifiutare la consegna, in  caso
di mandato di arresto finalizzato all'esecuzione della pena  o  della
misura di sicurezza, e' limitata ai  soli  cittadini  italiani  o  di
altri Stati membri dell'Unione europea, ad esclusione  dei  cittadini
di paesi terzi. Questi ultimi non potrebbero scontare  in  Italia  la
pena inflitta nello Stato  emittente,  pur  se  dimostrino  di  avere
instaurato  saldi  legami  di  natura  economica,   professionale   o
affettiva in territorio italiano. 
    In conseguenza di tale limitazione, la disposizione censurata  si
porrebbe  al  di  fuori  della  lettera  e  della  ratio  ispiratrice
dell'art. 4, punto 6, dell'indicata decisione quadro, cosi'  violando
gli artt. 11  e  117,  primo  comma,  Cost.  Secondo  il  rimettente,
infatti, rientra nella discrezionalita' degli Stati  membri  decidere
se attuare o meno i motivi di non esecuzione facoltativa del  mandato
d'arresto.  Qualora  pero'  decidano  di  trasporli  nei   rispettivi
ordinamenti interni, essi sarebbero tenuti ad attenersi al  contenuto
della decisione quadro, che non distingue tra persone cittadine dello
Stato di esecuzione, o persone ivi residenti o dimoranti. 
    Inoltre, imponendo  la  consegna  anche  di  persone  stabilmente
radicate in Italia ai fini  dell'esecuzione  di  una  pena  detentiva
all'estero, la disposizione censurata si porrebbe in contrasto con la
finalita' rieducativa della pena, sancita dall'art. 27, terzo  comma,
Cost., nonche' con il diritto alla vita  familiare  dell'interessato,
tutelato dall'art. 2 Cost. e dall'art. 117,  primo  comma,  Cost.  in
relazione agli artt. 8 CEDU e 17, paragrafo 1, PIDCP,  nonche'  dagli
artt. 11 e ancora 117, primo comma, Cost., in  relazione  all'art.  7
CDFUE. 
    Sarebbe, infine, irragionevole - e pertanto  lesiva  dell'art.  3
Cost. - la diversita' di trattamento tra il cittadino  di  uno  Stato
terzo, stabilmente radicato in Italia e destinatario di un mandato di
arresto rilasciato per l'esecuzione di  una  pena  o  una  misura  di
sicurezza privative della liberta' - che, ai sensi  dell'art.  18-bis
della legge n. 69 del 2005, non puo' beneficiare  del  rifiuto  della
consegna e scontare in Italia la pena irrogata nello Stato  emittente
- e il cittadino di uno Stato terzo, parimenti radicato in Italia  ma
destinatario  di   una   mandato   d'arresto   rilasciato   ai   fini
dell'esercizio dell'azione penale - che invece potrebbe  scontare  in
Italia la pena irrogata dallo Stato emittente all'esito del processo. 
    2.- E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che le questioni siano  dichiarate  inammissibili  o
non fondate. 
    2.1.- L'interveniente rammenta anzitutto che, con l'ordinanza  n.
60 del 2021, questa Corte ha disposto la restituzione degli atti  del
giudizio di  legittimita'  costituzionale  promosso  dalla  Corte  di
cassazione con ordinanza n. 10371 del 2020, per una nuova valutazione
della non manifesta  infondatezza  delle  questioni  di  legittimita'
dell'art. 18-bis  della  legge  n.  69  del  2005,  alla  luce  delle
modifiche recate alla disciplina censurata dal decreto legislativo  2
febbraio 2021, n. 10 (Disposizioni per il compiuto adeguamento  della
normativa  nazionale  alle  disposizioni   della   decisione   quadro
2002/584/GAI, relativa al mandato d'arresto europeo e alle  procedure
di consegna tra Stati membri,  in  attuazione  delle  delega  di  cui
all'art. 6 della legge 4 ottobre 2019, n. 117). 
    2.2.- Secondo l'Avvocatura generale  dello  Stato,  le  questioni
sollevate  dalla  Corte  d'appello  di  Bologna  sarebbero   comunque
inammissibili. 
    Il giudice a quo non avrebbe adeguatamente argomentato in  ordine
al dedotto stabile radicamento in Italia di O. G., essendosi limitato
a riferire che l'interessato aveva  fornito  prove  adeguate  in  tal
senso. 
    Sarebbe anche insufficiente la motivazione del giudice rimettente
circa il contrasto dell'art. 18-bis della legge n. 69 del 2005 con  i
parametri costituzionali evocati. Detti parametri sarebbero  peraltro
richiamati   in   modo   impreciso,   atteso   che   il   dispositivo
dell'ordinanza di rimessione fa riferimento agli  artt.  3,  11,  27,
terzo comma, e 117, primo comma, Cost., laddove la motivazione  evoca
gli artt. 2, 11, e 117, primo comma, Cost. 
    Le questioni sarebbero infine inammissibili perche' il giudice  a
quo non avrebbe tentato di interpretare la disposizione censurata  in
modo conforme alla Costituzione. 
    2.3.- A parere dell'Avvocatura generale dello Stato le  questioni
sarebbero, in ogni caso, non fondate. 
    2.3.1.- Come  risulta  dai  lavori  preparatori  della  decisione
quadro 2002/584/GAI, quest'ultima  avrebbe  delineato  un  meccanismo
semplificato di arresto e consegna delle persone  ricercate,  fondato
sulla  possibilita'  di  perseguire   e   condannare   il   cittadino
dell'Unione  europea  nel  luogo   dove   ha   commesso   un   reato,
indipendentemente dalla sua nazionalita', ma consentendo l'esecuzione
della pena detentiva nello Stato membro in cui  egli  abbia  maggiori
possibilita' di reinserimento sociale. 
    Il possesso dello status di cittadino dell'Unione  fonderebbe  la
possibilita', prevista dal censurato art. 18-bis, lettera r)  (recte:
comma 1, lettera c), della legge n. 69  del  2005,  di  rifiutare  la
consegna ai fini dell'esecuzione della pena della persona stabilmente
residente o dimorante in Italia, sicche' tale motivo  di  rifiuto  si
applicherebbe ai soli cittadini italiani  e  di  altri  Stati  membri
dell'Unione (e' citata Corte di  cassazione,  sezione  sesta  penale,
sentenza 5-6 novembre 2019, n. 45190). 
    L'esclusione dei cittadini di paesi terzi dalla  possibilita'  di
invocare il motivo di rifiuto in questione  non  lederebbe  l'art.  3
Cost., atteso che la possibilita' di dare rilievo al radicamento  sul
territorio nazionale del cittadino di uno  Stato  membro  dell'Unione
europea si connette strettamente al  fascio  di  diritti  e  liberta'
discendenti dalla cittadinanza dell'Unione. 
    2.3.2.-  Le  disposizioni  della  decisione  quadro  2002/584/GAI
sarebbero inoltre da interpretare in ossequio al  principio  generale
del riconoscimento reciproco delle decisioni, enunciato  all'art.  1,
paragrafo 2, che impone di considerare il rifiuto di  esecuzione  del
mandato d'arresto europeo come un'eccezione alla generale  regola  di
esecuzione  del  mandato  stesso  (e'  citata  Corte   di   giustizia
dell'Unione europea, sentenza 13 dicembre 2018,  in  causa  C-514/17,
Sut, paragrafo 28). Gli Stati membri non potrebbero dunque  estendere
le ipotesi di rifiuto dell'esecuzione  del  mandato  d'arresto  oltre
quelle delineate  dalla  decisione  quadro,  di  cui  l'ordinanza  di
rimessione non coglierebbe la ratio. 
    2.3.3.- Quanto alla dedotta violazione  degli  artt.  11  e  117,
primo  comma,  Cost.,  non  sarebbe  condivisibile  l'interpretazione
offerta dal giudice a quo dell'ambito applicativo dell'art. 4,  punto
6, della decisione quadro. Questa disposizione, pur volta a  favorire
il reinserimento sociale della persona ricercata, non  puo'  limitare
la  portata  del  principio  del   reciproco   riconoscimento   (sono
richiamate Corte di giustizia, sentenze 13 dicembre  2018,  in  causa
C-514/17, Sut, e 6 ottobre 2009, in causa C-123/08,  Wolzenburg).  Il
censurato art. 18-bis della legge n.  69  del  2005,  consentendo  di
rifiutare la consegna del cittadino italiano o di altro Stato  membro
dell'Unione,  ma  non  del  cittadino   di   Stato   terzo,   avrebbe
correttamente trasposto l'art. 4, punto 6, della decisione quadro. 
    Del resto, la formulazione di tale previsione sarebbe  il  frutto
del controllo operato da questa Corte, con la  sentenza  n.  227  del
2010, circa il corretto ed  esaustivo  recepimento,  sul  punto,  del
diritto dell'Unione europea da parte del legislatore italiano. 
    La stessa Corte di giustizia  avrebbe  ribadito  -  sia  pure  in
relazione all'Accordo relativo alla procedura  di  consegna  tra  gli
Stati membri dell'Unione  europea  da  un  lato,  e  l'Islanda  e  la
Norvegia dall'altro - che il divieto di discriminazione in base  alla
nazionalita' di  cui  all'art.  18  del  Trattato  sul  funzionamento
dell'Unione  europea  (TFUE)  non  si  applica  alle  differenze   di
trattamento tra cittadini degli Stati membri e di paesi terzi, e  che
l'art.  21  TFUE,  il  quale  accorda  il  diritto  di  circolare   e
soggiornare  liberamente  nel  territorio  degli  Stati  membri,  non
concerne i cittadini di Paesi terzi (Corte di giustizia,  sentenza  2
aprile 2020, in causa C-897/19, Ruska Federacija). 
    2.3.4.- Quanto alla dedotta lesione  del  principio  rieducativo,
l'Avvocatura generale dello Stato osserva che il reinserimento  della
persona condannata non costituisce lo scopo specificamente perseguito
dalla decisione quadro 2002/584/GAI. Tale  finalita'  sarebbe  invece
perseguita dalla decisione quadro 2008/909/GAI del Consiglio, del  27
novembre 2008, relativa all'applicazione del principio del  reciproco
riconoscimento alle sentenze penali che  irrogano  pene  detentive  o
misure  privative  della  liberta'  personale,  ai  fini  della  loro
esecuzione  nell'Unione  europea.  Neppure  quest'ultima,   peraltro,
conterrebbe previsioni generalizzate, volte a far  eseguire  le  pene
detentive o le misure privative della liberta' personale  irrogate  a
cittadini di paesi terzi, nello Stato membro  ove  essi  risiedono  o
dimorano abitualmente. 
    Del resto, mentre la capacita' rieducativa della  pena,  che  sia
attuata in territorio italiano, potrebbe presumersi in  relazione  al
cittadino italiano, essa dovrebbe essere dimostrata per il  cittadino
straniero, anche in considerazione del carattere non automatico della
sua permanenza in Italia dopo l'esecuzione della pena. 
    2.3.5.-   Non   integrerebbe   un'irragionevole   disparita'   di
trattamento la differenza tra la disciplina posta dal censurato  art.
18-bis, comma 1, lettera c) della legge n. 69 del 2005 (che  permette
di rifiutare la consegna finalizzata all'esecuzione di pene o  misure
di sicurezza con riferimento ai cittadini italiani e di  altri  Stati
membri dell'Unione, ma non ai cittadini  di  paesi  terzi)  e  quella
recata dall'art. 19, comma 1, lettera c), della medesima  legge  (che
invece consente, in relazione sia ai cittadini italiani  e  di  altri
Stati membri, sia quelli di paesi  terzi  residenti  o  dimoranti  in
Italia,  di  subordinare  la   consegna   finalizzata   all'esercizio
dell'azione penale, alla condizione  che  la  pena  o  la  misura  di
sicurezza eventualmente  irrogate  nello  Stato  di  emissione  siano
scontate in Italia). 
    Sarebbe infatti diversa la finalita' sottesa al mandato d'arresto
processuale,  e  cioe'  quella  di   ridurre   la   celebrazione   di
procedimenti in absentia. 
    2.3.6.- Anche a  prescindere  da  tale  profilo,  la  nozione  di
residenza contemplata agli artt. 4, punto 6, e 5, punto 6 (recte:  5,
punto 3), della decisione quadro 2002/584/GAI, e agli artt. 18-bis  e
19, comma 1, lettera c), della legge n. 69 del 2005  dovrebbe  essere
interpretata in conformita' alla sentenza n. 227 del 2010  di  questa
Corte e, dunque, in modo da includere solo il cittadino italiano o il
cittadino  di  altro  Stato  membro  dell'Unione  legittimamente   ed
effettivamente residente nel territorio italiano,  e  non  invece  il
cittadino di Paese  terzo,  sicche'  l'ambito  applicativo  di  dette
disposizioni verrebbe a coincidere. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con l'ordinanza indicata in epigrafe, la Corte  d'appello  di
Bologna, sezione prima penale, ha sollevato questioni di legittimita'
costituzionale dell'art. 18-bis, comma 1, lettera c), della legge  n.
69 del 2005, come introdotto dall'art. 6, comma 5, lettera b),  della
legge n. 117 del 2019. 
    La disposizione e' censurata «nella parte in cui non  prevede  il
rifiuto facoltativo della consegna del cittadino  di  uno  Stato  non
membro dell'Unione europea che legittimamente ed effettivamente abbia
residenza o dimora nel territorio italiano, sempre che  la  Corte  di
appello disponga che la pena o la misura di  sicurezza  irrogata  nei
suoi  confronti  dall'autorita'  giudiziaria  di  uno  Stato   membro
dell'Unione europea sia  eseguita  in  Italia  conformemente  al  suo
diritto interno». 
    In sintesi, l'omessa previsione di  tale  motivo  di  rifiuto  si
porrebbe in contrasto: 
    - con gli artt. 11 e 117,  primo  comma,  della  Costituzione  in
relazione all'art. 4, punto 6, della decisione  quadro  2002/584/GAI,
che sarebbe stato erroneamente trasposto dal legislatore italiano, il
quale avrebbe indebitamente limitato la possibilita'  -  prevista  in
via generale  da  tale  disposizione  della  decisione  quadro  -  di
rifiutare la consegna della persona che dimori o  risieda  in  Italia
alle sole ipotesi in cui tale persona sia  cittadina  italiana  o  di
altro Stato membro, con  esclusione  dell'ipotesi  in  cui  essa  sia
cittadina di un paese terzo; 
    -  con  l'art.  27,  terzo  comma,   Cost.,   dal   momento   che
l'impossibilita' di  scontare  la  pena  in  Italia  frustrerebbe  la
funzione rieducativa della pena rispetto a  condannati  cittadini  di
paesi terzi che siano stabilmente radicati nel territorio italiano; 
    -  con  gli  artt.  2  e,  ancora,  117,  primo   comma,   Cost.,
quest'ultimo in relazione agli artt. 8 CEDU e 17, paragrafo 1, PIDCP,
nonche', assieme all'art. 11 Cost., in relazione  all'art.  7  CDFUE,
poiche' l'impossibilita' di scontare la pena in Italia  lederebbe  il
diritto alla vita familiare di condannati cittadini  di  paesi  terzi
che siano stabilmente radicati nel territorio italiano; 
    - con  l'art.  3  Cost.,  stante  l'irragionevole  disparita'  di
trattamento tra il cittadino di uno Stato terzo, stabilmente radicato
in Italia e destinatario di un  mandato  di  arresto  rilasciato  per
l'esecuzione di una pena o una misura di  sicurezza  privative  della
liberta', il quale non puo' beneficiare del rifiuto della consegna  e
scontare in Italia la pena irrogata nello Stato  emittente  ai  sensi
del censurato art. 18-bis della legge n. 69 del 2005, e il  cittadino
di uno Stato terzo, parimenti radicato in Italia ma  destinatario  di
una mandato d'arresto rilasciato ai fini  dell'esercizio  dell'azione
penale, che invece avrebbe il diritto di scontare in Italia  la  pena
irrogata dallo  Stato  emittente  all'esito  del  processo  ai  sensi
dell'art. 19, comma 1, lettera c), della medesima legge. 
    2.- Preliminarmente all'esame di tali censure, occorre  anzitutto
precisare che l'art. 18-bis della legge n.  69  del  2005,  e'  stato
modificato, successivamente all'ordinanza  di  rimessione,  dall'art.
15,  comma  1,  del  decreto  legislativo  2  febbraio  2021,  n.  10
(Disposizioni per il compiuto adeguamento della  normativa  nazionale
alle disposizioni della decisione quadro  2002/584/GAI,  relativa  al
mandato d'arresto europeo e alle  procedure  di  consegna  tra  stati
membri, in attuazione delle delega di cui all'articolo 6 della  legge
4 ottobre 2019, n. 117). 
    2.1.- Nella versione  in  vigore  al  momento  dell'ordinanza  di
rimessione, la disposizione censurata prevedeva la  possibilita'  per
la corte d'appello di rifiutare la consegna «se il mandato  d'arresto
europeo e' stato emesso ai fini della esecuzione di una pena o di una
misura di sicurezza privative della liberta'  personale,  qualora  la
persona ricercata sia cittadino italiano o cittadino di  altro  Stato
membro dell'Unione  europea,  che  legittimamente  ed  effettivamente
abbia residenza o dimora nel territorio italiano, sempre che la corte
di appello disponga che tale pena o misura di sicurezza sia  eseguita
in Italia conformemente al suo diritto interno». 
    2.2.- Nella versione modificata dal menzionato d.lgs. n.  10  del
2021 e attualmente in vigore,  il  nuovo  comma  2  dell'art.  18-bis
prevede: «[q]uando il mandato di arresto europeo e' stato  emesso  ai
fini della esecuzione di una  pena  o  di  una  misura  di  sicurezza
privative  della  liberta'  personale,  la  corte  di  appello   puo'
rifiutare la consegna  della  persona  ricercata  che  sia  cittadino
italiano o  cittadino  di  altro  Stato  membro  dell'Unione  europea
legittimamente ed effettivamente residente o dimorante nel territorio
italiano da almeno cinque anni, sempre che disponga che tale  pena  o
misura di sicurezza sia  eseguita  in  Italia  conformemente  al  suo
diritto interno». 
    2.3.- Dal confronto tra le due versioni dell'art.  18-bis  emerge
che la corte d'appello, ove disponga l'esecuzione della pena o  della
misura di sicurezza in Italia: 
    - poteva sotto il regime previgente, e tuttora puo', rifiutare la
consegna di un cittadino italiano; 
    - poteva, sotto il regime previgente, rifiutare la consegna di un
cittadino di altro Stato membro alla semplice condizione  che  questi
avesse «legittimamente ed  effettivamente»  residenza  o  dimora  nel
territorio italiano, mentre oggi puo' rifiutarne la consegna soltanto
ove  questi  sia  «legittimamente  ed  effettivamente   residente   o
dimorante nel territorio italiano da almeno cinque anni»; 
    - non poteva sotto il regime previgente,  e  neppure  oggi  puo',
rifiutare la consegna di un cittadino di un paese terzo, residente  o
dimorante in Italia. 
    3.- Occorre, altresi', preliminarmente precisare  che  l'art.  17
del d.lgs. n. 10 del 2021 ha modificato anche l'art. 19  della  legge
n. 69 del 2005,  che  il  giudice  rimettente  invoca  quale  tertium
comparationis rispetto alla sua censura  di  violazione  dell'art.  3
Cost. 
    3.1.- Nella versione  in  vigore  al  momento  dell'ordinanza  di
rimessione,  l'art.  19  della  legge  n.  69  del  2005   prevedeva:
«L'esecuzione del mandato d'arresto europeo da  parte  dell'autorita'
giudiziaria italiana, nei casi sotto elencati,  e'  subordinata  alle
seguenti condizioni: [...] c)  se  la  persona  oggetto  del  mandato
d'arresto  europeo  ai  fini  di  un'azione  penale  e'  cittadino  o
residente dello Stato  italiano,  la  consegna  e'  subordinata  alla
condizione che la persona, dopo essere stata ascoltata, sia  rinviata
nello Stato membro di esecuzione per scontarvi la pena o la misura di
sicurezza   privative   della   liberta'   personale    eventualmente
pronunciate nei suoi confronti nello Stato membro di emissione». 
    3.2.- Nella versione modificata dal menzionato d.lgs. n.  10  del
2021 e attualmente in vigore, l'art. 19 della legge n.  69  del  2005
prevede:  «L'esecuzione  del  mandato  d'arresto  europeo  da   parte
dell'autorita' giudiziaria italiana,  nei  casi  sotto  elencati,  e'
subordinata alle seguenti condizioni:  [...]  b)  se  il  mandato  di
arresto europeo e' stato emesso  ai  fini  di  un'azione  penale  nei
confronti di cittadino italiano o di cittadino di altro Stato  membro
dell'Unione europea legittimamente ed  effettivamente  residente  nel
territorio italiano da almeno cinque anni, l'esecuzione  del  mandato
e' subordinata alla condizione che  la  persona,  dopo  essere  stata
sottoposta  al  processo,  sia  rinviata  nello  Stato  italiano  per
scontarvi la pena o la misura di sicurezza privative  della  liberta'
personale eventualmente applicate  nei  suoi  confronti  nello  Stato
membro di emissione». 
    3.3.- Dal confronto tra le due versioni dell'art. 19 della  legge
n. 69 del 2005, per la parte che qui  rileva,  emerge  che  la  corte
d'appello italiana: 
    - doveva, sotto  il  regime  previgente,  subordinare  sempre  la
consegna sia del cittadino  italiano,  sia  della  generalita'  delle
persone residenti in Italia (senza distinguere tra cittadini di altri
Stati membri e cittadini di paesi  terzi,  e  senza  alcun  requisito
relativo alla durata della residenza), alla condizione che la persona
fosse rimandata in Italia, in  caso  di  condanna,  per  l'esecuzione
della pena; 
    - deve, oggi, subordinare la consegna a tale condizione  soltanto
nei confronti del cittadino italiano e del cittadino di  altro  Stato
membro «legittimamente ed  effettivamente  residente  nel  territorio
italiano da almeno cinque anni». 
    4.- La Corte d'appello rimettente deve  fare  applicazione  della
normativa precedente all'entrata in vigore del d.lgs. n. 10 del 2021.
Infatti, l'art. 28, comma 1, di tale decreto legislativo dispone  che
le modifiche da esso apportate alla legge  n.  69  del  2005  non  si
applicano ai procedimenti di esecuzione di mandati di arresto gia' in
corso, come  quello  pendente  innanzi  al  giudice  rimettente,  che
continuano  ad  essere  regolate  dalle  disposizioni   anteriormente
vigenti. 
    Sulla base di tali disposizioni, le questioni  ora  sottoposte  a
questa Corte sono certamente rilevanti nel  giudizio  principale:  in
mancanza  di  una  dichiarazione  di  illegittimita'   costituzionale
dell'art. 18-bis, comma 1, lettera c), della legge n. 69 del 2005 nei
termini  auspicati  dal  giudice  rimettente,  quest'ultimo   sarebbe
senz'altro  tenuto  a  disporre  la  consegna  dell'interessato,  dal
momento  che  la  legge  indicata,  nella  versione  applicabile  nel
giudizio principale, non prevedeva alcuno specifico motivo di rifiuto
della consegna ai fini dell'esecuzione della  pena  di  cittadini  di
paesi terzi che, come l'interessato nel  giudizio  principale,  siano
residenti o dimoranti nel territorio italiano. 
    5.- Nell'ordinanza n. 60  del  2021  questa  Corte  ha  esaminato
analoghe questioni di legittimita'  costituzionale,  sollevate  dalla
Corte di cassazione prima dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 10 del
2021 nell'ambito  di  un  procedimento  principale  al  quale  quelle
modifiche parimenti non erano applicabili. 
    Questa Corte ha,  in  tale  occasione,  restituito  gli  atti  al
giudice  rimettente,  affinche'  potesse  rivalutare   le   questioni
prospettate alla  luce  delle  modifiche  legislative  nel  frattempo
intervenute.  Infatti,  pur  non  essendo  applicabili  nel  giudizio
principale,  esse   hanno   mutato   significativamente   il   quadro
sistematico nel quale le censure formulate dalla Corte di  cassazione
si collocavano, da un lato restringendo la facolta' di  rifiutare  la
consegna del cittadino di altro Stato membro nell'ambito del  mandato
d'arresto finalizzato all'esecuzione della pena (ora  possibile  solo
laddove   tale   cittadino   europeo   risieda   legittimamente    ed
effettivamente da almeno cinque  anni  nel  territorio  italiano),  e
dall'altro  imponendo  l'esecuzione  senza  condizioni  del   mandato
d'arresto finalizzato all'esercizio di un'azione penale nei confronti
del cittadino di paese terzo - modifica, quest'ultima, che  fa  venir
meno la disparita' di trattamento tra le  due  forme  di  mandato  di
arresto che la Corte di cassazione aveva  denunciato,  nella  propria
ordinanza di rimessione, come contraria all'art. 3 Cost. 
    La  restituzione  degli  atti  al  giudice  rimettente  e'  stata
disposta anche in considerazione della circostanza, di cui dava  atto
la stessa ordinanza di rimessione,  che  l'interessato  nel  giudizio
principale, cittadino di Stato terzo, risultava essere  presente  sul
territorio italiano dal novembre 2016, e dunque  da  meno  di  cinque
anni  rispetto  alla  data  della  stessa  ordinanza  di  rimessione:
circostanza  che  ad  avviso  di  questa  Corte  meritava  di  essere
attentamente valutata dalla Corte di cassazione, anche  ai  fini  del
vaglio di rilevanza delle questioni nel giudizio principale, rispetto
a una loro possibile riformulazione che tenesse conto delle modifiche
normative nel frattempo intervenute, onde evitare di  prospettare  un
trattamento piu' favorevole per i cittadini di paesi terzi rispetto a
quello oggi riservato ai cittadini di altro Stato membro. 
    La Corte di cassazione ha  nel  frattempo  deciso,  nel  giudizio
principale in parola, di non riformulare le questioni di legittimita'
costituzionale, prendendo atto delle modifiche normative operate  dal
d.lgs. n. 10 del 2021 (Corte di  cassazione,  sezione  sesta  penale,
sentenza 1° ottobre 2021, n. 35953). 
    Il procedimento principale da cui e' originato l'odierno giudizio
di costituzionalita' concerne, invece, un cittadino  di  paese  terzo
che - secondo quanto  risulta  dall'ordinanza  di  rimessione  -  ha,
tramite la propria difesa, «adeguatamente fornito  la  prova  di  uno
stabile radicamento familiare e lavorativo sul territorio nazionale»;
radicamento che, sulla base di cio' che  risulta  dal  fascicolo  del
procedimento principale, risalirebbe ad epoca ben precedente l'ultimo
quinquennio, e sarebbe attestato dalla  stabile  convivenza  con  una
donna residente in Italia, con la quale l'interessato  risulta  avere
generato un figlio, oggi dodicenne. 
    Non compete a questa Corte la  valutazione  se  tale  radicamento
possa essere ritenuto stabile ed  effettivo,  ne'  se  la  permanenza
dell'interessato  sul  territorio  nazionale  possa  essere  ritenuta
legittima,  tali  valutazioni  spettando  soltanto  al  giudice   del
procedimento principale. Le circostanze di fatto esposte dal  giudice
rimettente consentono, tuttavia, di  ipotizzare  plausibilmente  che,
laddove questa Corte dovesse ritenere anche solo in parte fondate  le
questioni prospettate, la  corte  d'appello  potrebbe  decidere,  nel
giudizio  principale,  di   negare   la   consegna   dell'interessato
all'autorita' giudiziaria dell'esecuzione e di disporre  l'esecuzione
in Italia della pena inflittagli in Romania. 
    La considerazione che  precede,  unitamente  alla  necessita'  di
pervenire  al  piu'  presto  a   una   complessiva   chiarificazione,
nell'ordinamento italiano e nell'intero spazio giuridico dell'Unione,
circa i possibili legittimi  motivi  di  rifiuto  dell'esecuzione  di
mandati  di  arresto  europei  ai  fini  dell'esecuzione  della  pena
relativi a cittadini di paesi  terzi,  rendono  in  questo  caso  non
necessaria la restituzione degli atti al giudice rimettente. 
    6.- Riservata alla pronuncia definitiva la decisione tanto  sulle
eccezioni preliminari sollevate dall'Avvocatura generale dello Stato,
quanto sulla censura  formulata  in  riferimento  all'art.  3  Cost.,
questa Corte  osserva  che  alla  base  delle  restanti  censure  del
rimettente e' l'allegata violazione del diritto alla vita  privata  e
familiare, che si produrrebbe in conseguenza  dell'esecuzione  di  un
mandato d'arresto europeo finalizzato all'esecuzione di una pena  nei
confronti del  cittadino  di  un  paese  terzo  che  sia  stabilmente
radicato sul territorio italiano. Sotto questo profilo, le censure  -
che formalmente investono l'art. 18-bis nella  versione,  applicabile
nel giudizio principale, antecedente  alle  modifiche  apportate  dal
d.lgs. n. 10 del 2021 - potrebbero essere svolte in maniera  identica
rispetto all'attuale formulazione dell'art. 18-bis, che parimenti non
prevede la possibilita' di rifiutare la  consegna  del  cittadino  di
Stato terzo stabilmente radicato sul territorio italiano. 
    6.1.- Tale omessa previsione si porrebbe in contrasto, secondo il
giudice rimettente, con  le  norme  costituzionali  e  sovranazionali
(queste ultime rilevanti, nell'ordinamento  costituzionale  italiano,
ai sensi degli artt. 117, primo comma, Cost. nonche',  per  cio'  che
concerne il diritto dell'Unione europea, 11 Cost.) che sanciscono  il
diritto alla vita privata e familiare: l'art. 2 Cost., che  riconosce
i diritti inviolabili della persona, tra cui si annovera  il  diritto
in esame (sentenza n. 202 del 2013), e gli artt. 7 CDFUE,  8  CEDU  e
17, paragrafo 1, PIDCP. 
    6.2.- Secondo  il  giudice  rimettente,  inoltre,  la  disciplina
italiana si porrebbe in contrasto con lo  stesso  art.  4,  punto  6,
della decisione quadro 2002/584/GAI, del quale  l'art.  18-bis  della
legge n. 69 del 2005  costituisce  specifica  attuazione,  e  sarebbe
pertanto anche per questa ragione incompatibile con gli  artt.  11  e
117, primo comma, Cost. 
    L'ordinanza di rimessione insiste, invero, su un argomento in se'
non persuasivo, e cioe' sull'assunto  che,  ove  allorche'  lo  Stato
membro  decida  di  prevedere  nel  proprio  ordinamento  il   motivo
facoltativo di rifiuto della consegna previsto dall'art. 4, punto  6,
della decisione quadro, sarebbe tenuto a riprodurre integralmente  la
relativa previsione, senza poterne modificare i confini  applicativi:
e conseguentemente a estendere l'ipotesi del rifiuto a  tutti  coloro
che risiedano o  dimorino  nel  territorio  nazionale,  senza  alcuna
limitazione relativa allo Stato di  cittadinanza  dell'interessato  o
alla durata del soggiorno  nello  Stato  dell'esecuzione.  Un  simile
assunto e'  smentito  dalla  stessa  giurisprudenza  della  Corte  di
giustizia, che ha gia' riconosciuto legittime talune  limitazioni  al
corrispondente motivo di rifiuto apportate dalla  legislazione  degli
Stati membri, come - con riferimento  al  cittadino  di  altro  Stato
membro - la condizione del soggiorno legale e continuativo per almeno
cinque anni sul territorio  dello  Stato  dell'esecuzione  (Corte  di
giustizia,  grande  sezione,  sentenza  6  ottobre  2009,  in   causa
C-123/08, Wolzenburg, paragrafi 54-74). 
    Tuttavia, non e' dubbio che l'art. 4, punto  6,  della  decisione
quadro debba, esso stesso,  essere  interpretato  in  conformita'  ai
principi e ai diritti fondamentali al cui rispetto e' condizionata la
validita' di qualsiasi atto del diritto  dell'Unione,  come  ribadito
del resto dalla stessa decisione quadro  nel  considerando  n.  12  e
nell'art. 1, paragrafo 3. Pertanto, laddove la  legge  di  esecuzione
nazionale del mandato di arresto europeo abbia disciplinato il motivo
facoltativo di consegna di cui all'art. 4, punto 6,  della  decisione
quadro in maniera non conforme a tali principi e diritti fondamentali
- come,  appunto,  il  diritto  al  rispetto  della  vita  privata  e
familiare  dell'interessato  -,  una   tale   disciplina   risultera'
necessariamente in contrasto anche con lo  stesso  art.  4,  punto  6
della decisione quadro, letto alla luce  dell'art.  1,  paragrafo  3,
della medesima. 
    6.3.- Infine, la preoccupazione di tutelare i legami personali  e
familiari dello straniero gia' stabiliti sul territorio italiano  sta
alla base dell'ulteriore censura, concernente  l'allegata  violazione
del principio  della  necessaria  funzione  rieducativa  della  pena,
sancito nell'ordinamento italiano dall'art. 27,  terzo  comma,  Cost.
Tale  allegazione  si  fonda,  infatti,  sulla   considerazione   che
l'esecuzione della pena all'estero non  potrebbe  realizzare  appieno
una funzione rieducativa nei confronti di  un  condannato  che  abbia
stabilito solidi legami sociali e familiari nel territorio italiano. 
    7.- Cio' che il giudice rimettente chiede, in sintesi, e'  se  le
esigenze di tutela del diritto fondamentale di  un  cittadino  di  un
paese terzo a  conservare  i  propri  legami  personali  e  familiari
stabiliti sul territorio italiano impongano di  riconoscere  in  capo
all'autorita' giudiziaria italiana la facolta',  non  prevista  dalla
disposizione censurata, di rifiutare l'esecuzione di  un  mandato  di
arresto finalizzato all'esecuzione di una pena o  di  una  misura  di
sicurezza, impegnandosi correlativamente  ad  eseguire  tale  pena  o
misura di sicurezza sul territorio italiano  ai  sensi  dell'art.  4,
punto 6, della decisione quadro. 
    Ritiene questa Corte che tale interrogativo esiga  una  risposta,
in primo luogo, sul  piano  del  diritto  dell'Unione.  La  Corte  di
giustizia ha gia' chiarito, in  via  generale,  che  le  disposizioni
della decisione quadro sul mandato d'arresto che non contengano alcun
espresso richiamo al diritto degli  Stati  membri  «devono  di  norma
essere oggetto, nell'intera Unione, di un'interpretazione autonoma  e
uniforme» (Corte di giustizia, grande  sezione,  sentenza  17  luglio
2008,  in  causa  C-66/08,  Kozlowski,  paragrafo  42).  Poiche'   le
questioni  di  legittimita'  costituzionale  sollevate  dal   giudice
rimettente hanno a oggetto in primo luogo l'interpretazione dell'art.
4, punto 6, della decisione quadro, su un profilo che -  come  meglio
si dira' piu' innanzi - non e' ancora stato oggetto di chiarimenti da
parte della Corte di giustizia, e' necessario  interrogare  la  Corte
medesima circa l'uniforme interpretazione di tale disposizione  nello
spazio giuridico dell'Unione. 
    Dal  momento,  poi,  che  le  questioni  sollevate  dal   giudice
rimettente concernono il rapporto tra il rifiuto  della  consegna  ai
sensi dell'art. 4, punto 6, della decisione quadro e  la  tutela  dei
diritti fondamentali dell'interessato, l'intervento  della  Corte  di
giustizia appare necessario anche per una seconda ragione. Poiche' la
materia del mandato  d'arresto  europeo  e'  interamente  armonizzata
dalla stessa decisione quadro,  il  livello  di  tutela  dei  diritti
fondamentali  suscettibili  di  porre  limiti  al  dovere  di   mutuo
riconoscimento delle decisioni giudiziarie di altri Stati membri,  su
cui si basa l'intero meccanismo disegnato dalla decisione quadro, non
puo'  che  essere  quello  risultante   dalla   Carta   dei   diritti
fondamentali e dall'art. 6 del Trattato sull'Unione europea (TUE). In
settori oggetto di integrale armonizzazione, e' invece precluso  agli
Stati membri  condizionarne  l'attuazione  al  rispetto  di  standard
puramente nazionali di tutela dei diritti fondamentali, laddove  cio'
possa compromettere il primato, l'unita' e l'effettivita' del diritto
dell'Unione (Corte di giustizia dell'Unione europea, grande  sezione,
sentenze 26 febbraio 2013, in causa C-617/10, Fransson, paragrafo 29,
e in causa C-399/11, Melloni, paragrafo 60). 
    E' dunque  necessario  chiedere  preliminarmente  alla  Corte  di
giustizia, nella sua funzione  di  interprete  eminente  del  diritto
dell'Unione (art. 19, paragrafo 1, TUE), se l'art. 4, punto 6,  della
decisione quadro 2002/584/GAI, interpretato alla  luce  dell'art.  1,
paragrafo 3 della medesima decisione quadro e dell'art. 7 CDFUE, osti
a una disciplina,  come  quella  italiana,  che  escluda  in  maniera
assoluta e automatica  dall'ambito  di  applicazione  del  motivo  di
rifiuto della consegna disciplinato da tale disposizione i  cittadini
di paesi terzi che dimorino  o  risiedano  sul  suo  territorio,  non
consentendo all'autorita' giudiziaria dell'esecuzione di rifiutare la
consegna neppure quando  tali  persone  abbiano  stabili  e  radicati
legami sociali e familiari con lo Stato dell'esecuzione;  e  in  caso
affermativo, sulla base di quali criteri e  presupposti  tali  legami
debbano essere considerati tanto significativi da imporre il  rifiuto
della consegna. 
    8.- In un quadro  di  costruttiva  e  leale  cooperazione  tra  i
diversi sistemi di garanzia (sentenza n. 269 del 2017;  ordinanze  n.
182 del 2020 e n. 117 del 2019, nonche',  nella  stessa  materia  del
mandato di arresto europeo, l'ordinanza  n.  216  del  2021),  questa
Corte osserva quanto segue. 
    8.1.- L'art. 4, punto  6,  della  decisione  quadro  2002/584/GAI
stabilisce  un  motivo  di  rifiuto  espressamente   definito   quale
«facoltativo», la cui trasposizione totale o anche solo parziale  nel
diritto  nazionale  e'  rimessa,  in   linea   di   principio,   alla
discrezionalita'  degli  Stati  membri.  La  Corte  di  giustizia  ha
sottolineato, in proposito, che «un legislatore nazionale  il  quale,
in base alle possibilita' accordategli dall'art. 4 di detta decisione
quadro, opera la scelta di limitare le situazioni nelle quali la  sua
autorita' giudiziaria di esecuzione puo' rifiutare di consegnare  una
persona ricercata non  fa  che  rafforzare  il  sistema  di  consegna
istituito da detta  decisione  quadro  a  favore  di  uno  spazio  di
liberta',  di  sicurezza  e  di  giustizia.  Infatti,  limitando   le
situazioni nelle quali l'autorita'  giudiziaria  di  esecuzione  puo'
rifiutare  di  eseguire  un  mandato   di   arresto   europeo,   tale
legislazione  non  fa  che  agevolare  la  consegna   delle   persone
ricercate, conformemente al principio  del  reciproco  riconoscimento
sancito dall'art. 1, n. 2, della decisione quadro 2002/584, il  quale
costituisce il  principio  fondamentale  istituito  da  quest'ultima»
(sentenza Wolzenburg, paragrafi 58 e 59). Da cio' deriva,  come  gia'
rammentato, che secondo la Corte di  giustizia  non  puo'  escludersi
«che gli Stati membri, nell'attuazione  di  detta  decisione  quadro,
limitino, nel senso indicato dal principio fondamentale enunciato  al
suo art. 1, n. 2, le situazioni  in  cui  dovrebbe  essere  possibile
rifiutare  di  consegnare  una  persona  rientrante  nella  sfera  di
applicazione [dell']art. 4, punto 6» (sentenza Wolzenburg,  paragrafo
62). 
    Tuttavia,  e'  indubbio  che,  come  parimenti  gia'   osservato,
l'esecuzione di un mandato di arresto europeo non puo' mai comportare
la violazione dei  diritti  fondamentali  dell'interessato  (art.  1,
paragrafo 3, e considerando n. 12 della decisione  quadro),  ne'  dei
principi fondamentali del diritto dell'Unione riconosciuti  dall'art.
6 TUE. 
    Occorre  pertanto  stabilire  se,  ed   eventualmente   a   quali
condizioni, il cittadino di  un  paese  terzo  che  sia  residente  o
dimorante nello Stato dell'esecuzione  sia  titolare  di  un  diritto
fondamentale a non essere allontanato dal territorio di  quest'ultimo
Stato ai fini  dell'esecuzione  di  una  pena  o  di  una  misura  di
sicurezza nello Stato di emissione. 
    8.2.- La questione ora delineata presenta, ad  avviso  di  questa
Corte, elementi di novita' rispetto alla giurisprudenza  della  Corte
di giustizia sinora  formatasi  in  materia  di  mandato  di  arresto
europeo. 
    8.2.1.- La gia' citata sentenza Kozlowski ha fornito una  nozione
«autonoma e uniforme» (paragrafo  42),  valida  per  l'intero  spazio
giuridico dell'Unione, delle  nozioni  di  persona  che  «risiede»  e
«dimora» nel territorio dello Stato dell'esecuzione, chiarendo che la
prima nozione fa riferimento alla situazione in cui la persona  abbia
ivi stabilito la propria residenza effettiva, e che la seconda allude
invece alla situazione  «in  cui  tale  persona  abbia  acquisito,  a
seguito di un  soggiorno  stabile  di  una  certa  durata  in  questo
medesimo Stato, legami con quest'ultimo di intensita' simile a quella
dei legami che si instaurano in caso di  residenza»  (paragrafo  46).
Inoltre,  per  quanto  il  caso  oggetto  del   giudizio   principale
concernesse un cittadino di altro  Stato  membro  rispetto  a  quello
dell'esecuzione, le definizioni enunciate  nella  sentenza  Kozlowski
appaiono di  per  se'  suscettibili  di  essere  applicate  anche  ai
cittadini di paesi terzi. 
    Tuttavia, la prospettiva della  sentenza  Kozlowski  era  opposta
rispetto a  quella  che  viene  in  considerazione  nel  procedimento
odierno. In quel caso il giudice del rinvio chiedeva in  sostanza  se
l'autorita' giudiziaria dell'esecuzione fosse legittimata,  ai  sensi
dell'art.  4,  punto  6,  della   decisione   quadro,   a   rifiutare
l'esecuzione di un mandato  d'arresto  emesso  nei  confronti  di  un
cittadino  straniero  che  non   avesse   ancora   istituito   legami
significativi sul territorio dello Stato dell'esecuzione, o  comunque
vi si risiedesse illegalmente, fosse dedito in quel  territorio  alla
commissione di reati, o fosse ivi  detenuto  in  seguito  a  condanna
penale; e la Corte di giustizia  aveva  in  quell'occasione  risposto
escludendo che il termine «dimori»  potesse  essere  interpretato  in
modo   cosi'   ampio   da   autorizzare    l'autorita'    giudiziaria
dell'esecuzione a rifiutare la consegna, in deroga al  principio  del
mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie,  «per  il  semplice
fatto  che  la  persona  ricercata  si  trovi   temporaneamente   nel
territorio dello Stato membro di esecuzione» (paragrafo 36). 
    La questione ora in discussione concerne, invece, una  disciplina
nazionale di trasposizione  dell'art.  4,  punto  6  della  decisione
quadro che esclude in maniera assoluta e  automatica  dal  motivo  di
rifiuto previsto in tale disposizione i cittadini di paesi terzi  che
dimorano o  risiedono  nel  suo  territorio,  non  consentendo  cosi'
all'autorita' giudiziaria dell'esecuzione di rifiutarne  la  consegna
nemmeno  nel  caso  in  cui  essi  abbiano  gia'  instaurato   legami
significativi e stabili sul territorio dello Stato dell'esecuzione. 
    8.2.2.- Tale questione non  e'  stata  affrontata  nemmeno  nella
successiva, gia' citata, sentenza Wolzenburg, focalizzata sulla  sola
posizione del cittadino di altro Stato membro, al quale si applica il
principio di non discriminazione in base alla nazionalita', all'epoca
basato sull'art. 12, primo comma,  del  Trattato  che  istituisce  la
Comunita' europea (TCE), trasfuso oggi nell'art. 18 del Trattato  sul
funzionamento dell'Unione europea (TFUE). 
    8.2.3.- La successiva sentenza Lopes da Silva Jorge,  infine,  e'
anch'essa incentrata sulla posizione del  cittadino  di  altro  Stato
membro  residente  o  dimorante  nel  territorio   dello   Stato   di
esecuzione, rispetto al quale la Corte di  giustizia  -  valorizzando
anche  qui  il  principio  di  non  discriminazione  in   base   alla
nazionalita' - ha affermato che l'art. 4, punto  6,  della  decisione
quadro non consente allo Stato dell'esecuzione di escluderlo in  modo
assoluto e automatico dall'ambito di applicazione della  disposizione
nazionale   che   traspone   il   relativo   motivo    di    rifiuto,
indipendentemente dalla valutazione dei suoi legami con il territorio
di tale  Stato  (Corte  di  giustizia,  grande  sezione,  sentenza  5
settembre 2012, in causa C-42/11, Lopes da Silva Jorge). 
    8.2.4.- Sulla base  in  particolare  di  quanto  affermato  nelle
sentenze Kozlowski e Wolzenburg, e alla luce  del  principio  di  non
discriminazione secondo la nazionalita'  di  cui  all'art.  18  TFUE,
questa Corte ha dichiarato  costituzionalmente  illegittima,  con  la
sentenza n. 227 del 2010, la  disciplina  italiana  di  trasposizione
della decisione quadro sul mandato di arresto, nella versione  allora
vigente, nella parte in cui non prevedeva il rifiuto  di  consegna  -
oltre che del cittadino italiano - anche del cittadino  di  un  altro
Stato   membro   dell'Unione   europea,   che    legittimamente    ed
effettivamente avesse residenza o dimora nel territorio italiano,  ai
fini dell'esecuzione della pena detentiva in Italia. 
    L'effetto  di  tale  pronuncia  e'  stato,  dunque,   quello   di
equiparare il trattamento giuridico del cittadino italiano  e  quello
del cittadino di altro Stato membro legittimamente ed  effettivamente
dimorante nel territorio italiano; mentre resta ancora  non  risolta,
anche nella giurisprudenza di  questa  Corte,  la  questione  se,  ed
eventualmente  in  che  misura,  il  rifiuto  della  consegna   debba
estendersi anche al cittadino di paese terzo  che  legittimamente  ed
effettivamente abbia residenza  o  dimora  nel  territorio  italiano,
stante la non invocabilita' da parte di costui del principio  di  non
discriminazione in base alla nazionalita' (Corte di giustizia, grande
sezione, sentenza  2  aprile  2020,  in  causa  C-897/19  PPU,  Ruska
Federacija, paragrafo 40). 
    8.3.- Va peraltro osservato che, sin dalla sentenza Kozlowski, la
Corte di giustizia ha costantemente sottolineato che  «il  motivo  di
non esecuzione facoltativa  stabilito  all'art.  4,  punto  6,  della
decisione  quadro  mira  segnatamente  a   permettere   all'autorita'
giudiziaria dell'esecuzione di accordare una  particolare  importanza
alla possibilita' di  accrescere  le  opportunita'  di  reinserimento
sociale della persona ricercata una volta scontata la pena  cui  essa
e' stata condannata»  (sentenza  Kozlowski,  paragrafo  45;  sentenza
Wolzenburg, paragrafo 62, e sentenza Lopes Da Silva Jorge,  paragrafo
32). 
    Al perseguimento  di  tale  scopo  e'  funzionale  la  successiva
decisione quadro 2008/909/GAI del Consiglio, del  27  novembre  2008,
relativa all'applicazione del principio del reciproco  riconoscimento
alle sentenze penali che irrogano pene detentive o  misure  privative
della liberta' personale, ai fini della loro  esecuzione  nell'Unione
europea, il cui considerando n. 9 recita:  «L'esecuzione  della  pena
nello Stato di  esecuzione  dovrebbe  aumentare  le  possibilita'  di
reinserimento sociale della persona condannata.  Nell'accertarsi  che
l'esecuzione della pena da parte dello Stato di esecuzione  abbia  lo
scopo di favorire il reinserimento sociale della persona  condannata,
l'autorita' competente dello Stato di emissione dovrebbe tenere conto
di elementi quali, per esempio,  l'attaccamento  della  persona  allo
Stato di esecuzione e il fatto che questa  consideri  tale  Stato  il
luogo in  cui  mantiene  legami  familiari,  linguistici,  culturali,
sociali o economici e di altro tipo». 
    La decisione quadro 2008/909/GAI appena menzionata si applica non
solo ai  cittadini  degli  Stati  membri  dell'Unione,  ma  anche  ai
cittadini di paesi terzi. Anche a questi ultimi appare riferirsi,  in
particolare, il considerando n. 7, che  individua  lo  Stato  in  cui
l'esecuzione della pena appare  piu'  funzionale  alle  finalita'  di
reinserimento  sociale  del  condannato  in  quello  nel   quale   il
condannato «vive e soggiorna legalmente e ininterrottamente da almeno
cinque anni e in cui manterra' un diritto di soggiorno permanente». 
    Il collegamento tra  ratio  della  decisione  quadro  2008/909  e
motivi di rifiuto previsti dalla decisione  quadro  2002/584/GAI  sul
mandato di arresto che si fondano  sul  radicamento  dell'interessato
nel  territorio  dello  Stato   richiesto   e'   stato   recentemente
sottolineato dalla  stessa  Corte  di  giustizia,  secondo  la  quale
«l'articolazione  prevista  dal  legislatore   dell'Unione   tra   la
decisione  quadro  2002/584  e  la  decisione  quadro  2008/909  deve
contribuire a conseguire  l'obiettivo  consistente  nel  favorire  il
reinserimento  sociale  della  persona  interessata.  Del  resto,  un
siffatto reinserimento  e'  nell'interesse  non  solo  della  persona
condannata, ma anche dell'Unione europea  in  generale  (v.,  in  tal
senso,  sentenze  del  23  novembre   2010,   Tsakouridis,   C145/09,
EU:C:2010:708, punto 50, nonche' del 17  aprile  2018,  B  e  Vomero,
C316/16 e C424/16, EU:C:2018:256, punto  75)»  (Corte  di  giustizia,
sentenza 11 marzo 2020, in causa C-314/18, SF, paragrafo 51). 
    Il rifiuto della consegna previsto dall'art. 4,  punto  6,  della
decisione quadro 2002/584/GAI, cosi' come la condizione apposta  alla
consegna ai sensi del successivo art. 5, punto 3,  non  sono  d'altra
parte in contrasto con il principio del  mutuo  riconoscimento  delle
decisioni giudiziarie ne' con la ratio,  sottesa  all'intero  sistema
del mandato d'arresto europeo, di «lottare contro l'impunita' di  una
persona ricercata che si trovi in un territorio diverso da quello nel
quale si suppone  abbia  commesso  un  reato»  (Corte  di  giustizia,
sentenza 17 dicembre 2020, in cause riunite C-354/20 PPU  e  C-412/20
PPU, L e  P,  paragrafo  62,  e  ulteriori  precedenti  ivi  citati).
Infatti, in entrambi i casi lo Stato  dell'esecuzione  si  impegna  a
riconoscere ed eseguire esso stesso la pena inflitta dallo  Stato  di
emissione, assicurandone cosi' l'effettivita' e, assieme, la maggiore
funzionalita' rispetto alla sua finalita'  di  risocializzazione  del
condannato, nell'interesse tanto di quest'ultimo, quanto  dell'intera
Unione. 
    8.4.- L'interesse del cittadino di un paese terzo  legittimamente
dimorante o residente in uno Stato  membro  a  non  essere  sradicato
dallo Stato medesimo riceve inoltre  tutela,  da  parte  del  diritto
dell'Unione, ben al di la' della materia dell'esecuzione delle pene o
delle misure di sicurezza; e l'intensita' di tale tutela e', in linea
di principio, direttamente  proporzionale  al  grado  di  radicamento
della persona nel territorio dello Stato di dimora o di residenza. 
    In particolare, la tutela e' massima  rispetto  ai  cittadini  di
paesi terzi che siano titolari di permesso ai sensi  della  direttiva
2003/109/CE del Consiglio, del 25 novembre 2003, relativa allo status
dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo.
Infatti, essi possono essere allontanati  soltanto  in  esito  a  una
valutazione individualizzata, nella quale le  autorita'  dello  Stato
membro sono tenute a bilanciare la pericolosita' dell'interessato per
l'ordine pubblico e la  pubblica  sicurezza  con  una  pluralita'  di
ulteriori circostanze espressive, tra  l'altro,  del  grado  del  suo
radicamento nel territorio dello Stato (art. 12, paragrafo  4,  della
direttiva). 
    Garanzie  analoghe  sono  previste  rispetto  alle  decisioni  di
allontanamento nei confronti di cittadini di paesi terzi titolari  di
permessi  di  soggiorno  ai  sensi  della  direttiva  2003/86/CE  del
Consiglio,  del  22  settembre   2003,   relativa   al   diritto   al
ricongiungimento familiare (art. 17 della direttiva, ove  si  prevede
che nell'adozione di una misura di allontanamento  gli  Stati  membri
siano tenuti a prendere «nella dovuta considerazione la natura  e  la
solidita' dei vincoli familiari della persona e  la  durata  del  suo
soggiorno nello Stato membro»). 
    8.5.- Indicazioni non dissimili provengono  dalla  giurisprudenza
della Corte europea dei diritti dell'uomo relativa all'art.  8  CEDU,
la quale segna il livello minimo di tutela che deve essere assicurato
al corrispondente diritto di cui all'art. 7  della  Carta,  ai  sensi
dell'art. 52, paragrafo 3, CDFUE. 
    Anzitutto, la Corte EDU - nel quadro di  una  giurisprudenza  che
valorizza sempre piu' il reinserimento sociale del condannato tra  le
funzioni della pena (Corte  europea  dei  diritti  dell'uomo,  grande
camera, sentenza 26 aprile 2016, Murray contro Paesi Bassi, paragrafo
102; grande camera,  sentenza  30  giugno  2015,  Khoroshenko  contro
Russia, paragrafo 121; grande camera, 9 luglio  2013,  Vinter  contro
Regno Unito, paragrafo 115) - ha ritenuto  che  l'esecuzione  di  una
pena detentiva  a  grande  distanza  dalla  residenza  familiare  del
condannato puo' comportare la violazione dell'art. 8 CEDU, in ragione
della  conseguente  difficolta',  per  il  detenuto  e  per  i   suoi
familiari, di mantenere regolari e frequenti contatti, a  loro  volta
importanti rispetto alle finalita' risocializzanti della pena  (Corte
europea dei diritti dell'uomo, sentenza 7  marzo  2017,  Polyakova  e
altri contro Russia, paragrafo  88).  In  quest'ultima  pronuncia  la
Corte EDU ha evidenziato - tra l'altro - come tali  principi  trovino
conferma nella Raccomandazione del Comitato dei ministri  agli  Stati
membri sulle Regole penitenziarie europee  (European  Prison  Rules),
adottata  l'11  gennaio  2006,  il  cui  art.  17,  paragrafo  1,  in
particolare, prevede che i detenuti  debbano  essere  assegnati,  per
quanto possibile, a carceri vicine al loro domicilio o  a  luoghi  di
riabilitazione sociale. 
    In secondo luogo, la  costante  giurisprudenza  della  Corte  EDU
sottolinea la necessita' che, nelle decisioni che comunque  implicano
l'allontanamento di uno straniero dal territorio di uno Stato,  debba
sempre essere compiuto un conveniente bilanciamento  tra  le  ragioni
poste a base di tale  allontanamento  -  tra  cui,  segnatamente,  la
commissione di reati da parte dello straniero  -  e  le  confliggenti
ragioni di  tutela  del  diritto  dell'interessato,  fondato  appunto
sull'art. 8 CEDU, a non essere sradicato dal luogo in cui intrattenga
la parte piu' significativa dei propri rapporti sociali,  lavorativi,
familiari, affettivi,  in  particolare  allorche'  lo  straniero  sia
coniugato o abbia figli nel territorio dello Stato dal quale dovrebbe
essere allontanato, e a fortiori  nell'ipotesi  in  cui  sia  nato  o
cresciuto  nello  Stato  medesimo  pur  non  avendone  acquisito   la
cittadinanza (si vedano ad esempio, in materia  di  espulsione  dello
straniero, terza sezione,  24  novembre  2020,  Unuane  contro  Regno
Unito, paragrafo 72; prima sezione, sentenza 19 maggio 2016,  Kolonja
contro Grecia, paragrafo 48; grande camera, sentenza 23 giugno  2008,
Maslov contro Austria, paragrafi 68-76; grande  camera,  sentenza  18
ottobre 2006, Üner contro Paesi Bassi, paragrafo 57; seconda sezione,
2 agosto 2001, Boultif contro Svizzera, paragrafo 48). 
    9.- Tutto cio' premesso, questa Corte ritiene  di  sospendere  il
giudizio in corso e di sottoporre alla Corte di giustizia dell'Unione
europea, ai  sensi  dell'art.  267  del  Trattato  sul  funzionamento
dell'Unione europea (TFUE), i seguenti quesiti: 
    a) se  l'art.  4,  punto  6,  della  direttiva  2002/584/GAI  del
Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d'arresto  europeo
e alle procedure di consegna tra gli Stati membri, interpretato  alla
luce dell'art. 1, paragrafo 3,  della  medesima  decisione  quadro  e
dell'art. 7 CDFUE, osti a una normativa, come quella italiana, che  -
nel quadro di una procedura di mandato di arresto europeo finalizzato
all'esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza - precluda in
maniera  assoluta  e  automatica  alle   autorita'   giudiziarie   di
esecuzione di rifiutare la consegna di cittadini di paesi  terzi  che
dimorino o risiedano sul suo territorio, indipendentemente dai legami
che essi presentano con quest'ultimo; 
    b) in caso di risposta affermativa alla  prima  questione,  sulla
base di quali  criteri  e  presupposti  tali  legami  debbano  essere
considerati tanto significativi da imporre all'autorita'  giudiziaria
dell'esecuzione di rifiutare la consegna. 
    Considerato,  infine,  che  la  causa  in  esame  -  pur  essendo
originata da un procedimento concernente una persona attualmente  non
sottoposta a misura  detentiva  -  solleva  questioni  interpretative
relative ad aspetti centrali del funzionamento del mandato  d'arresto
europeo, e che  l'interpretazione  richiesta  e'  idonea  a  produrre
conseguenze generali, tanto per le  autorita'  chiamate  a  cooperare
nell'ambito del mandato d'arresto europeo, quanto per i diritti delle
persone ricercate, si richiede che il presente  rinvio  pregiudiziale
sia deciso con procedimento accelerato, ai sensi  dell'art.  105  del
regolamento di procedura della Corte di giustizia. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    1) dispone di sottoporre  alla  Corte  di  giustizia  dell'Unione
europea, in via pregiudiziale ai sensi dell'art. 267 del Trattato sul
funzionamento  dell'Unione  europea  (TFUE),  le  seguenti  questioni
pregiudiziali: 
    a) se  l'art.  4,  punto  6,  della  direttiva  2002/584/GAI  del
Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d'arresto  europeo
e alle procedure di consegna tra gli Stati membri, interpretato  alla
luce dell'art. 1, paragrafo 3,  della  medesima  decisione  quadro  e
dell'art. 7 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione  europea
(CDFUE), osti a una normativa, come quella italiana, che - nel quadro
di  una  procedura  di  mandato  di   arresto   europeo   finalizzato
all'esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza - precluda in
maniera  assoluta  e  automatica  alle   autorita'   giudiziarie   di
esecuzione di rifiutare la consegna di cittadini di paesi  terzi  che
dimorino o risiedano sul suo territorio, indipendentemente dai legami
che essi presentano con quest'ultimo; 
    b) in caso di risposta affermativa alla  prima  questione,  sulla
base di quali  criteri  e  presupposti  tali  legami  debbano  essere
considerati tanto significativi da imporre all'autorita'  giudiziaria
dell'esecuzione di rifiutare la consegna; 
    2)  chiede  che  la  questione  pregiudiziale  sia   decisa   con
procedimento accelerato; 
    3) sospende il presente  giudizio  sino  alla  definizione  della
suddetta questione pregiudiziale; 
    4) ordina la trasmissione  di  copia  della  presente  ordinanza,
unitamente agli atti del giudizio, alla cancelleria  della  Corte  di
giustizia dell'Unione europea. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 21 ottobre 2021. 
 
                                F.to: 
                   Giancarlo CORAGGIO, Presidente 
                    Francesco VIGANO', Redattore 
                    Filomena PERRONE, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 18 novembre 2021. 
 
                           Il Cancelliere 
                       F.to: Filomena PERRONE