N. 66 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 24 novembre 2021
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 24 novembre 2021 (del Presidente del Consiglio dei ministri). Edilizia e urbanistica - Titoli edilizi - Norme della Regione Veneto - Modifica all'art. 4 della legge regionale n. 21 del 2004, recante "Disposizioni in materia di condono edilizio" - Incremento della misura dell'oblazione prevista dalla legge sul condono - Previsione che la Regione puo' destinare tale incremento a interventi di valorizzazione e restauro paesaggistico o a programmi di rigenerazione urbana. Appalti pubblici - Concessioni - Norme della Regione Veneto - Misure di semplificazione - Previsione che per i contratti pubblici di servizi, forniture e noleggio attrezzature di importo inferiore alla soglia di rilevanza comunitaria, nei procedimenti di pagamento non viene operata la ritenuta dello 0,50 per cento a garanzia dei versamenti agli enti previdenziali ed assicurativi. Paesaggio - Pianificazioni - Norme della Regione Veneto - Modifica dell'art. 2, comma 2, della legge regionale n. 41 del 1988 inerente all'estrazione di materiali litoidi - Previsione che, in assenza di piani estrattivi, il limite e' abbassato a 20.000 metri cubi per singolo intervento - Possibilita' di presentazione da parte del medesimo soggetto di progetti di estrazione e asporto di sabbia e ghiaia per quantitativi complessivi fino ad un massimo pari ad 80.000 metri cubi. Paesaggio - Autorizzazione paesaggistica - Norme della Regione Veneto - Titolo giuridico per l'esecuzione di interventi finalizzati alla sicurezza idraulica dei corsi di acqua di competenza regionale - Previsione che tali interventi sono realizzati in conformita' alla vigente normativa statale e regionale in materia di valutazione di incidenza ambientale, su parere reso ai sensi delle prescrizioni ivi previste. - Legge della Regione Veneto 21 settembre 2021, n. 27 (Disposizioni di adeguamento ordinamentale 2021 in materia di governo del territorio, viabilita', lavori pubblici, appalti, trasporti e ambiente), artt. 1, 9, 19 e 20.(GU n.49 del 9-12-2021 )
Ricorso della Presidenza del Consiglio dei ministri (c.f. 80188230587), in persona del Presidente del Consiglio attualmente in carica, rappresentato e difeso per mandato ex lege dall'Avvocatura generale dello Stato (c.f. 80224030587), presso i cui uffici ha domicilio in Roma, via dei Portoghesi 12 (fax 0696514000 PEC ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it), ricorrente; contro Regione Veneto, in persona del presidente della giunta regionale pro tempore, resistente; per la dichiarazione di incostituzionalita' degli articoli 1, 9, 19 e 20 della legge regionale 22 settembre 2021, n. 27, recante «Disposizioni di adeguamento ordinamentale 2021 in materia di governo del territorio, viabilita', lavori pubblici, appalti, trasporti e ambiente», pubblicata sul B.U.R. n. 128 del 24 settembre 2021, per contrasto con gli articoli 3, 9, 81 e 117, comma 2, lettere e), l), m) e s), e comma 6 della Costituzione Il consiglio regionale della Regione Veneto ha approvato il 21 settembre 2021 la legge n. 27, composta da 22 articoli, con cui detta disposizioni in vari settori della politica economica veneta, quali il governo del territorio, la viabilita', i lavori pubblici e gli appalti, i trasporti e l'ambiente. Sennonche', ad avviso del Consiglio dei ministri, che in data 19 novembre 2021 ha deliberato per la sua impugnazione, la legge presenta svariati profili di incompatibilita' con le norme costituzionali. Pertanto, con il presente atto se ne deduce l'illegittimita' costituzionale sulla base dei seguenti Motivi 1) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1 della legge regionale 21 settembre 2021, n. 27 per violazione dell'art. 117, comma 2, lettera l) della Costituzione. La norma qui censurata modifica altra precedente norma (l'art. 4 della legge regionale 5 novembre 2004, n. 21) intervenendo in materia di condono edilizio con la sostituzione del comma 1-bis. La norma modificata, intitolata «Determinazione dell'oblazione e degli oneri concessori», ha oggi il seguente tenore: «1. La misura dell'oblazione prevista dalla legge sul condono e' incrementata del 5 per cento e, nelle ipotesi previste dall'art. 3, comma 3, del 10 per cento. L'incremento dell'oblazione e' versato alla Regione che la destina per politiche di repressione degli abusi edilizi e per la promozione di interventi di riqualificazione dei nuclei interessati e compromessi da fenomeni di abusivismo edilizio, ovvero per i rilievi aerofotogrammetrici previsti dall'art. 23 della legge n. 47 del 1985. 1-bis. La Regione puo', altresi', destinare l'incremento dell'oblazione di cui al comma 1: a) ad interventi di valorizzazione e restauro paesaggistico su siti di interesse regionale che sono individuati dalla Giunta regionale, sentita la competente commissione consiliare; b) agli interventi, promossi dai comuni singoli o associati, di riqualificazione urbana di cui all'art. 6 della legge regionale 6 giugno 2017, n. 14 "Disposizioni per il contenimento del consumo di suolo e modifiche della legge 23 aprile 2004, n. 11 "Norme per il Governo del territorio e in materia di paesaggio", nonche' per le spese di progettazione degli interventi previsti nei programmi di rigenerazione urbana sostenibile, approvati ai sensi dell'art. 7, comma 4, della medesima legge regionale n. 14 del 2017. La Giunta regionale, sentita la competente commissione consiliare, determina criteri e modalita' di assegnazione del contributo ...». Tale previsione normativa non e' in linea con quanto disposto dal decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, recante «Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti pubblici.», ed in particolare con l'art. 32. Questa norma statale, che detta misure per la riqualificazione urbanistica, ambientale e paesaggistica, per l'incentivazione dell'attivita' di repressione dell'abusivismo edilizio, nonche' per la definizione degli illeciti edilizi e delle occupazioni di aree demaniali, al comma 33 prevede che: «Le regioni, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, emanano norme per la definizione del procedimento amministrativo relativo al rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria e possono prevederne, tra l'altro, un incremento dell'oblazione fino al massimo del 10 per cento della misura determinata nella tabella C allegata al presente decreto, ai fini dell'attivazione di politiche di repressione degli abusi edilizi e per la promozione di interventi di riqualificazione dei nuclei interessati da fenomeni di abusivismo edilizio, nonche' per l'attuazione di quanto previsto dall'art. 23 della legge 28 febbraio 1985, n. 47.». La ratio di tale previsione e' quella di garantire alle regioni l'acquisizione di maggiori introiti, utili ad affrontare gli impegni finanziari delle amministrazioni comunali conseguenti all'applicazione del condono edilizio (come riconosciuto dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 196/2004). Il legislatore veneto, nel prevedere, con il nuovo comma 1-bis dell'art. 4 che la regione possa, altresi', destinare l'incremento dell'oblazione di cui al comma 1 ad interventi di valorizzazione e restauro paesaggistico, ovvero a programmi di rigenerazione urbana, si e' discostato dal riferito vincolo di destinazione, preordinato all'adozione di misure riparative e/o preventive rispetto al fenomeno dell'abusivismo edilizio. Considerato che l'oblazione e' intimamente connessa ai richiamati profili estintivi e che il legislatore statale, nel consentire alle regioni di incrementarne gli importi, ne ha, al contempo, vincolato la destinazione, la norma regionale in parola risulta aver oltrepassato lo spazio di competenza riservato alle regioni. La Corte costituzionale con la sentenza n. 196/2004 in materia di condono edilizio ha affermato che: «Il condono edilizio di tipo straordinario, quale finora configurato nella nostra legislazione, appare essenzialmente caratterizzato dalla volonta' dello Stato di intervenire in via straordinaria sul piano della esenzione dalla sanzionabilita' penale nei riguardi dei soggetti che, avendo posto in essere determinate tipologie di abusi edilizi, ne chiedano il condono tramite i comuni direttamente interessati, assumendosi l'onere del versamento della relativa oblazione e dei costi connessi all'eventuale rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria, appositamente previsto da questa legislazione. Non vi e' dubbio sul fatto che solo il legislatore statale puo' incidere sulla sanzionabilita' penale (per tutte, Corte costituzionale sentenza n. 487 del 1989) e che esso, specie in occasione di sanatorie amministrative, dispone di assoluta discrezionalita' in materia «di estinzione del reato o della pena, o di non procedibilita'» (Corte cost. sentenze n. 327 del 2000, n. 149 del 1999 e n. 167 del 1989). Peraltro, la circostanza che il comune sia titolare di fondamentali poteri di gestione e di controllo del territorio rende necessaria la sua piena collaborazione con gli organi giurisdizionali, poiche', come questa Corte ha affermato, «il Giudice penale non ha competenza "istituzionale" per compiere l'accertamento di conformita' delle opere agli strumenti urbanistici» (sentenza n. 370 del 1988). Tale doverosa collaborazione per concretizzare la scelta del legislatore statale di porre in essere un condono penale si impone quindi su tutto il territorio nazionale, inerendo alla strumentazione indispensabile per dare effettivita' a tale scelta. Al tempo stesso rileva la parallela sanatoria amministrativa, anche attraverso la previsione da parte del legislatore statale di uno straordinario titolo abilitativo edilizio, a causa dell'evidente interesse di coloro che abbiano edificato illegalmente ad un condono su entrambi i versanti, quello penale e quello amministrativo; ma sul piano della sanatoria amministrativa i vincoli che legittimamente possono imporsi all'autonomia legislativa delle Regioni, ordinarie e speciali, non possono che essere quelli ammissibili sulla base rispettivamente delle disposizioni contenute nel nuovo art. 117 della Costituzione e degli statuti speciali». Prosegue la Corte: «Questa legislazione conferma, in una particolare realta' territoriale, quella che e' una piu' generale caratteristica della legislazione sul condono, nella quale normalmente quest'ultimo ha effetti sia sul piano penale che sul piano delle sanzioni amministrative, ma che non esclude la possibilita' che le procedure finalizzate al conseguimento dell'esenzione dalla punibilita' penale si applichino ad un maggior numero di opere edilizie abusive rispetto a quelle per le quali operano gli effetti estintivi degli illeciti amministrativi; cio' e' reso d'altra parte evidente nelle disposizioni dello stesso Capo IV della legge n. 47 del 1985, e successive modificazioni e integrazioni, che nell'art. 38 disciplina separatamente, al secondo ed al quarto comma, i presupposti del condono penale (il versamento dell'intera oblazione) ed amministrativo (il conseguimento del titolo abilitativo in sanatoria) e nell'art. 39 prevede che, ove si sia effettuata l'oblazione, si produca comunque l'estinzione dei reati anche ove "le opere non possano conseguire la sanatoria". D'altra parte, anche l'art. 32 impugnato prevede, al comma 36, i presupposti per il verificarsi dell'effetto estintivo penale, mentre i diversi presupposti per il conseguimento del titolo abilitativo in sanatoria sono regolati dal comma 37, cosi' confermando che i due effetti possono essere indipendenti l'uno dall'altro, dal momento che l'effetto penale si produce a prescindere dall'intervenuta concessione della sanatoria amministrativa e anche se la sanatoria amministrativa non possa essere concessa.». La sentenza di cui si sono riportati alcuni passi motivazionali e' ricordata come fondamentale nella ricostruzione dei rapporti fra Stato e regioni in tema di condono edilizio. Essa ha riconosciuto che il monopolio statale - ex articoli 25 e 117, comma 2, lettera l) della Costituzione - interessa sia la fase genetica delle fattispecie incriminatrici, che la fase della rinuncia all'esercizio della pretesa punitiva. E tale riserva di competenza assume dei connotati ancora piu' pregnanti nell'ipotesi di condono straordinario edilizio, attesa la piena discrezionalita' statale in materia di estinzione del reato. Coerentemente, quindi, il legislatore statale, nel ritenere di poter accordare alle regioni la predetta facolta' di incremento dell'oblazione, ha potuto subordinarla allo svolgimento di specifiche attivita' aventi finalita' repressive e/o riparative [1) attivazione di politiche di repressione degli abusi edilizi; 2) promozione di interventi di riqualificazione dei nuclei interessati da fenomeni di abusivismo edilizio; 3) attuazione di' quanto previsto dall'art. 23 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 in materia di controlli periodici mediante rilevamenti aerofotogrammetrici]; finalita' che non si rinvengono nelle attivita' oggi contemplate dal neo-introdotto comma 1-bis. La disposizione regionale in esame, quindi, eccede dalle competenze riconosciute alle regioni in materia di condono edilizio risultando invasiva della competenza esclusiva statale in materia di ordinamento penale di cui all'art. 117, secondo comma lettera l) della Costituzione. 2) Illegittimita' costituzionale dell'art. 9 della legge regionale 21 settembre 2021 n. 27 per violazione dell'art. 81 e dell'art. 117, comma 2, lettera e) della Costituzione. La norma qui censurata, intitolata «Misure di semplificazione nei procedimenti di pagamento», prevede testualmente che nei contratti pubblici di servizi, forniture e noleggio attrezzature di importo inferiore alla soglia di rilevanza comunitaria, nei procedimenti di pagamento non debba essere operata la ritenuta dello 0,50 per cento a garanzia dei versamenti agli enti previdenziali ed assicurativi. Tale disposizione si pone in contrasto con l'art. 30, comma 5-bis, del codice dei contratti pubblici di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, norma inserita dal decreto legislativo n. 56/2017, secondo cui in ogni caso sull'importo delle prestazioni e' operata la ritenuta dello 0,50 per cento che puo' essere svincolata solo in sede di liquidazione finale, dopo l'approvazione da parte della stazione appaltante del certificato di collaudo o di verifica di conformita', previo rilascio del documento unico di regolarita' contributiva. La disposizione in parola e' regola di gara, tanto che e' contenuta nell'articolo del Codice dei contratti dedicata ai principi generali in materia di aggiudicazione, e detta una prescrizione da inserire in tutti i bandi relativi agli appalti e alle concessioni. Ora, secondo il consolidato orientamento della Corte costituzionale, le disposizioni «[...] regolanti le procedure di gara sono riconducibili alla materia della tutela della concorrenza, e [...] le regioni, anche ad autonomia speciale, non possono dettare una disciplina da esse difforme (Corte cost. sentenza n. 39 del 2020, ma gia' prima sentenze n. 263 del 2016, n. 36 del 2013, n. 328 del 2011, n. 411 e n. 322 del 2008). E cio' indipendentemente dalla soglia di rilievo comunitario cui devono attenersi le stazioni appaltanti, dal momento che la competenza legislativa esclusiva dello Stato opera in tutte le procedure di affidamento, quale ne sia l'importo (Corte cost. sentenze n. 263 del 2016, n. 184 del 2011, n. 283 e n. 160 del 2009, n. 401 del 2007), e quale ne sia il tipo (Corte cost. sentenza n. 322 del 2008). Orbene, le disposizioni di cui all'art. 30, rubricato «Principi per l'aggiudicazione e l'esecuzione di appalti e concessioni», rappresentano principi fondamentali posti a tutela della libera concorrenza, di non discriminazione e par condicio, e valevoli per qualsivoglia procedura di scelta del contraente, per gli appalti e per le concessioni di beni e servizi, sopra e sotto soglia (TAR Veneto, I, 21 marzo 2018, n. 320; Tribunale amministrativo regionale Puglia, Lecce, I, 5 luglio 2018, n. 1104; Tribunale amministrativo regionale Molise, 28 gennaio 2019, n. 38; si veda anche Cons. Stato, III, 3 dicembre 2015, n. 5494). Alla luce di quanto esposto, si ritiene che la disciplina della legge regionale in esame, ponendosi in contrasto con la norma interposta, rappresentata dall'art. 30 del Codice dei contratti, violi il parametro costituzionale di cui all'art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione. A si aggiunga che, come detto, il citato art. 30, comma 5-bis, del codice dei contratti pubblici dispone che «le ritenute possono essere svincolate soltanto in sede di liquidazione finale, dopo l'approvazione da parte della stazione appaltante del certificato di collaudo o di verifica di conformita', previo rilascio del documento unico di regolarita' contributiva». Ne discende che, in caso di irregolarita' del DURC, la stazione appaltante non puo' svincolare le ritenute in questione. La previsione regionale, quindi, volta ad escludere l'applicabilita' della ritenuta dello 0,50 per cento, appare suscettibile di determinare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, in termini di minori entrate contributive, non quantificate e prive di copertura finanziaria, laddove la stazione appaltante non potra' trattenere le ritenute che avrebbe potuto mantenere in caso di irregolarita' contributiva del soggetto aggiudicatario, determinando cosi' la violazione dell'art. 81 della Costituzione. 3) Illegittimita' costituzionale dell'art. 19 della legge regionale 21 settembre 23021, n. 27 per violazione degli articoli 3 e 9 della Costituzione La norma qui censurata sostituisce il comma 2 dell'art. 2 della precedente legge regionale n. 41 del 1998. L'art. 2 in questione, al comma 1 stabilisce che, dopo l'approvazione degli appositi piani di estrazione, «(...) l'estrazione e l'asporto di sabbie e ghiaie e' autorizzata, sotto il profilo della compatibilita' con il buon regime delle acque e in armonia coi piani stessi, dal direttore dell'ufficio regionale del Genio civile competente per territorio fino a 30.000 metri cubi e, oltre tale quantita', dal direttore della struttura regionale competente in materia di difesa del suolo». Il previgente comma 2 disponeva che: «In assenza di piani estrattivi il limite e' abbassato a 20.000 metri cubi». A seguito della novella, il comma 2 ora recita: «In assenza di piani estrattivi il limite e' abbassato a 20.000 metri cubi per singolo intervento. Possono essere presentati dal medesimo soggetto progetti di estrazione e asporto di sabbia e ghiaia, finalizzati alla sicurezza e alla buona regimazione delle acque, per quantitativi complessivi fino ad un massimo pari ad 80.000 metri cubi, da realizzare attraverso singoli interventi di entita' non superiore a 20.000 metri cubi». In sostanza, la nuova norma consente l'estrazione di rilevanti quantita' di materiali litoidi - in precedenza non permessa - in assenza degli appositi piani e, tra l'altro, in una regione, quale il Veneto, allo stato ancora priva di pianificazione paesaggistica. Viene a essere cosi' stravolta la previsione originaria, vanificando la finalita' stessa della legge regionale n. 41 del 1998, che e' volta a permettere l'estrazione soltanto sulla base di appositi piani, e, in assenza dei piani stessi, unicamente per limitati quantitativi. La nuova disposizione consente, invece, di estrarre, in assenza di piano, quantitativi complessivi di materiale litoide fino al 80.000 metri cubi, e cio' senza neppure il coinvolgimento della struttura regionale competente in materia di difesa del suolo. Deve tenersi presente altresi' che i territori costieri, le zone contermini ai laghi e i corsi d'acqua sono soggetti a vincolo paesaggistico ex lege, ai sensi dell'art. 142, comma 1, lettere a), b) e c), del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42. Ne deriva che, con le previsioni in esame, la regione innova, mediante una disciplina irragionevole, al regime precedentemente dettato dalla stessa regione a tutela dei beni paesaggistici vincolati ex lege, determinando un abbassamento della tutela. Sembra significativo per la sua pertinenza il precedente giurisprudenziale di cui alla sentenza n. 141/2021 della Corte costituzionale, trattandosi dell'analoga questione della modificazione in peius della disciplina regionale posta a presidio di alcune tipologie di boschi, vincolati ai sensi dell'art. 142, comma 1, lettera g), del Codice. In quella occasione la Corte ha affermato che «La norma impugnata non si e' limitata a modificare una precedente legge regionale che aveva introdotto un vincolo in assenza di precisi e corrispondenti limiti derivanti dalla disciplina statale, ma, abbassando la quota altimetrica al di sotto della quale operano le norme di tutela delle faggete depresse, ha surrettiziamente aggirato il vincolo posto dalla norma interposta costituita dall'art. 142, comma 1, lettera g), del decreto legislativo n. 42 del 2004». Da cio' la violazione degli articoli 3 e 9 della Costituzione, rispetto ai quali costituiscono parametro interposto le previsioni del Codice ora richiamate. 4) Illegittimita' costituzionale dell'art. 20 della legge regionale 21 settembre 2021, n. 27 per violazione dell'art. 117, comma 1 lettere m) e s), e comma 6 della Costituzione. La norma qui censurata, intitolata «Titolo giuridico per la esecuzione di interventi finalizzati alla sicurezza idraulica dei corsi di acqua di competenza regionale» prevede al primo comma che: «Le strutture della Giunta regionale, territorialmente competenti alla effettuazione degli interventi funzionali alla prevenzione e riduzione del rischio idraulico sui corsi d'acqua di competenza regionale, hanno titolo ad eseguire, direttamente o mediante i soggetti affidatari, ai sensi e per gli effetti di cui agli articoli 93, 96 e 97 del regio decreto 25 luglio 1904, n. 523 "Testo unico delle disposizioni di legge intorno alle opere idrauliche delle diverse categorie", gli interventi di ripristino di condizioni di sicurezza e officiosita' idraulica che prevedono la rimozione di schianti, piante morte, piante a rischio caduta o la cui presenza riduca la sezione dell'alveo necessaria a garantire il libero deflusso delle acque». Al comma 2 la stessa prevede che: «Gli interventi di cui al comma 1 sono realizzati in conformita' alla vigente normativa statale e regionale in materia di valutazione di incidenza ambientale su parere reso ai sensi dell'art. 16 della legge regionale 7 novembre 2003, n. 27 "Disposizioni generali in materia di lavori pubblici di interesse regionale e per le costruzioni in zone classificate sismiche" nonche' ai sensi dell'art. 68 della legge regionale 30 dicembre 2016, n. 30 "Collegato alla legge di stabilita' regionale 2017", previa acquisizione del parere della struttura regionale competente in materia forestale sul territorio, ove l'area di intervento sia configurabile come boscata ai sensi del Reg. reg. 7 febbraio 2020, n 2 "Prescrizioni di massima e di polizia forestale adottate ai sensi dell'art. 5 della legge regionale 13 settembre 1978, n. 52 "Legge forestale regionale"" ed in conformita' alle specifiche tecniche ed ambientali definite dal Prontuario Operativo per interventi di gestione forestale approvato dalla Giunta regionale con deliberazione n. 7 del 5 gennaio 2018 "Adozione del Prontuario operativo per gli interventi di gestione forestale - delib. G.R. n. 1456/2014 e delib. G.R. n. 1400/2017", pubblicata sul BUR n. 9 del 23 gennaio 2018.». Il senso di questa seconda previsione, anche alla luce della rubrica dell'art. 20, non puo' che essere quello di circoscrivere espressamente i titoli necessari per effettuare gli interventi di ripristino di condizioni di sicurezza e officiosita' idraulica che prevedono la rimozione di schianti, piante morte, piante a rischio caduta o la cui presenza riduca la sezione dell'alveo necessaria a garantire il libero deflusso delle acque. Deve, tuttavia, rilevarsi che gli interventi in questione vengono eseguiti sulle zone contermini ai laghi o sulle sponde dei corsi d'acqua, ossia in ambiti soggetti a vincolo paesaggistico ai sensi dell'art. 142, comma 1, lettere b) e c), del Codice dei beni culturali e del paesaggio. Inoltre, la medesima previsione regionale fa riferimento all'ipotesi in cui le piante da rimuovere facciano parte di un'area boscata, come tale soggetta a vincolo paesaggistico ai sensi della lettera g) del medesimo comma 1 dell'art. 142 del predetto Codice. Tutti tali interventi sono, pertanto, soggetti - in linea di principio - al rilascio dell'autorizzazione paesaggistica, a meno che non siano riconducibili, in concreto, alle fattispecie previste dall'art. 149 del predetto Codice, come specificate nell'allegato A al decreto del Presidente della Repubblica n. 31 del 2017, nonche' dall'art. 36 del decreto-legge 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 luglio 2021, n. 108. Conseguentemente, nel prevedere in modo generalizzato la sottrazione di tutti gli «interventi di ripristino di condizioni di sicurezza e officiosita' idraulica che prevedono la rimozione di schianti, piante morte, piante a rischio caduta o la cui presenza riduca la sezione dell'alveo necessaria a garantire il libero deflusso delle acque», a prescindere dalla possibilita' di ricondurre tali interventi nel novero di quelli non assoggettati ad autorizzazione paesaggistica ai sensi della normativa nazionale, l'art. 20, comma 2, della legge regionale viola: la potesta' esclusiva dello Stato in materia di tutela del paesaggio, stabilita dall'art. 117, secondo comma lettera s), della Costituzione; i livelli essenziali delle prestazioni che devono essere stabiliti in modo uniforme sull'intero territorio nazionale, ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione; la potesta' regolamentare dello Stato nelle materie di legislazione esclusiva, di cui all'art. 117, sesto comma, della Costituzione. Rispetto a tali previsioni costituiscono norme interposte gli articoli 146 e 149 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, nonche' il decreto del Presidente della Repubblica n. 31 del 2017, nonche' l'art. 36 del decreto-legge 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 luglio 2021, n. 108.
P.Q.M. La Presidenza del Consiglio dei ministri, come sopra rappresentata e difesa, conclude affinche' la Corte costituzionale voglia dichiarare costituzionalmente illegittime le norme della legge regionale del Veneto n. 27/2021 con il presente ricorso censurate. Roma, 22 novembre 2021 L'Avvocato dello Stato: Corsini