N. 205 ORDINANZA (Atto di promovimento) 11 marzo 2021

Ordinanza  dell'11 marzo 2021 della Corte d'appello  di  Salerno  nel
procedimento civile promosso da D'A. D. contro S. G., S. P. e S. A.. 
 
Filiazione - Azione per la dichiarazione giudiziale di  paternita'  o
  maternita' - Condizioni di esperibilita' - Ammissione all'esercizio
  dell'azione solo nei casi in cui il  riconoscimento  e'  ammesso  -
  Preclusione all'esercizio dell'azione se non previo esperimento  di
  ulteriori rimedi processuali volti a rimuovere lo status di  figlio
  gia' attribuito. 
In subordine: Filiazione - Azione per la dichiarazione giudiziale  di
  paternita' o maternita' - Condizioni di esperibilita' -  Ammissione
  all'esercizio dell'azione solo nei casi in cui il riconoscimento e'
  ammesso - Preclusione all'esercizio dell'azione al fine di ottenere
  una pronuncia condizionata al successivo esercizio  dell'azione  di
  disconoscimento. 
- Codice civile, art. 269, primo comma. 
(GU n.52 del 29-12-2021 )
 
                     CORTE DI APPELLO DI SALERNO 
                       Seconda sezione civile 
 
    La Corte di appello di Salerno, sezione civile, riunita in Camera
di consiglio nelle persone dei signori magistrati: 
        1. dott. Bruno de Filippis, Presidente relatore; 
        2. dott.ssa Marcella Pizzillo, consigliere; 
        3. dott.ssa Sabrina Serrelli, consigliere, 
    Ha pronunziato la seguente ordinanza nella causa civile  iscritta
al n. 77/2019 Ruolo generale, avente ad oggetto: appello  avverso  la
sentenza n. 873/2018, pronunciata dal Tribunale di  Nocera  Inferiore
nel giudizio civile R.G. 4868/2015, depositata in data 12 luglio 2018
e  non  notificata,  in  materia  di  dichiarazione   giudiziale   di
paternita' di persona maggiorenne ex art. 269 del codice civile; 
    Tra D'A. D., nato a ...  il  ...,  rappresentato  e  difeso,  per
mandato in calce all'atto di citazione  in  appello,  dagli  avvocati
Raffaele e Luigi Fasolino  ed  elettivamente  domiciliato  presso  lo
studio di quest'ultimo, in Roccapiemonte (SA), alla via  S.  Giovanni
Battista n. 5, appellante; 
    e S. G., nato a ... il ... C.F. ..., rappresentato e  difeso,  in
virtu' di mandato in calce alla comparsa di costituzione in  appello,
dall'avv. Giuseppe  Mazzotta,  presso  il  cui  studio  elettivamente
domicilia in Cava de' Tirreni (SA), in piazza Vittorio  Emanuele  III
(gia' Piazza Duomo) n. 7, appellato; 
    nonche' S. P., nato a  ...  il  ...  C.F.  ...,  rappresentato  e
difeso, in virtu' di mandato allegato alla comparsa di costituzione e
risposta in appello, dall'avv. Daniela  Genovese,  presso  lo  studio
della quale elettivamente domicilia in Nocera Inferiore, alla via  G.
Citarella n. 5, appellato; 
    nonche' S. A., nata a ... il ..., appellata. 
    Conclusioni  come  da  note   di   trattazione,   da   intendersi
trascritte. 
 
                      Svolgimento del processo 
 
    Con atto di citazione notificato in data 14 ottobre 2015 D'A.  D.
esperiva l'azione di cui all'art. 269 del codice civile,  dinanzi  al
Tribunale di Nocera  Inferiore  onde  sentire  accertare  nei  propri
confronti  la  paternita'  biologica  di  S.  G.  (senior).   Essendo
quest'ultimo deceduto celibe e senza  figli  in  data  ...,  venivano
convenuti in giudizio i di lui eredi S. P., S. G, e S. A. 
    A tal fine esponeva l'attore di essere stato informato di  essere
il figlio naturale di S. G per bocca di B.  G.,  producendo  conforme
dichiarazione sottoscritta  dalla  stessa  ed  articolando  correlata
prova testimoniale. Soggiungeva che la circostanza fosse comunque  di
dominio pubblico, per quanto egli l'avesse sempre ignorata fino  alla
suddetta rivelazione. 
    Si costituivano in giudizio S. P.  e  S.  G.,  eccependo  in  via
preliminare l'inammissibilita' della domanda in  assenza  del  previo
disconoscimento della paternita' dell'attore, che risultava figlio di
D'A. F. Contestavano inoltre il difetto  di  legittimazione  passiva,
per essere ancora sub iudice l'apertura della  successione  legittima
di S. V. (germano del  defunto  S.  G.  senior)  in  favore  di  essi
convenuti. 
    Alla prima udienza del 21 gennaio 2016, parte attrice chiedeva di
rinnovare  la  notifica  della  citazione  di  S.  A.   Il   Giudice,
sciogliendo la riserva assunta e rilevando la logica pregiudizialita'
dell'eccezione  di  inammissibilita'  dell'azione  di  riconoscimento
rispetto alla richiesta di integrazione del contraddittorio, invitava
le parti  a  precisare  le  rispettive  conclusioni  sulla  questione
preliminare  sollevata.  Nelle  note  concesse  sul  punto,  D'A.  D.
spiegava eccezione di incostituzionalita' dell'art.  253  del  codice
civile nella parte in cui, precludendo il riconoscimento  (e,  quindi
pure  la  dichiarazione  giudiziale)  della  genitura   naturale   in
contrasto  con  quella  formalmente  precostituita,  di   fatto   non
considera il pregiudizio derivante al soggetto che abbia  rimosso  il
pregresso status filitationis e  che  poi  veda  definire  con  esito
negativo la  successiva  domanda  ex  art.  269  del  codice  civile,
rimanendo cosi' privo della propria identita' filiale. 
    La causa veniva trattenuta in decisione all'udienza del 12 maggio
2016, con espressa rinuncia delle parti alla fissazione  dei  termini
di cui all'art. 190 de codice di  procedura  civile;  quindi,  veniva
rimessa sul ruolo per la trasmissione degli atti al  P.M.  e  per  la
notifica della citazione in rinnovazione nei confronti di S. A. 
    All'udienza del 29 novembre 2017, depositato l'atto  introduttivo
come rinnovato e precisate dalle parti le rispettive conclusioni  (S.
A. restava contumace), la causa veniva riservata  per  la  decisione.
Quest'ultima  veniva  resa  con  la  sentenza  in  epigrafe,  ove  si
dichiarava inammissibile la domanda proposta da D'A. D. condannandolo
a rifondere ai convenuti costituiti le spese di lite. 
    Rilevava il primo giudice che, giusta il combinato disposto degli
articoli 253 e 269 del codice civile, la dichiarazione giudiziale  di
paternita' presuppone l'avvenuta caducazione dello status  di  figlio
in cui la persona si trova, da effettuare - nella specie - attraverso
passaggio in giudicato della statuizione che disconosca la paternita'
legale. Si osservava, inoltre, che non e' dato registrare tra le  due
fattispecie processuali alcun rapporto di pregiudizialita', di la' da
quello meramente fattuale,  essendo  ciascuna  connotata  da  profili
soggettivi e oggettivi affatto diversi. 
    In  ultimo,  il  Tribunale  rigettava  i  dubbi  di  legittimita'
costituzionale  sollevati  dall'attore  in  ordine  al  limite  posto
dall'alt. 253 del codice  civile,  permasto  anche  a  seguito  della
riforma con legge n. 129/2012 siccome preposto a  tutela  dell'ordine
pubblico familiare. 
    Con atto di citazione notificato in data 23 gennaio 2019, D'A. D.
interponeva appello  avverso  la  suddetta  pronuncia,  chiedendo  di
riformarla per tre ordini di censure. 
    Con il  primo  motivo  di  gravame,  D'A.  D.  eccepiva  l'omessa
pronunzia del  Tribunale  di  Nocera  Inferiore  sulla  eccezione  di
incostituzionalita' dell'art. 253 del codice civile. 
    Con il secondo motivo, l'appellante denunciava l'omessa pronunzia
sulla richiesta  di  accertamento  incidentale  di  paternita'  dallo
stesso spiegata nelle note difensive autorizzate in  prime  cure.  in
risposta alla  ex  adverso  dedotta  inammissibilita'  della  pretesa
azionata. 
    Con il terzo motivo, D'A D.  lamentava  l'errata  interpretazione
concreta della domanda introduttiva e delle richieste e  precisazioni
formulate nelle note difensive autorizzate in prime  cure,  ribadendo
di avere chiesto - proprio in virtu' della giurisprudenza in  materia
e delle eccezioni di parti convenute ex art. 253 del codice civile  -
soltanto un accertamento incidentale di paternita', nelle forme della
istruzione preventiva ex art. 699 del codice di  procedura  civile  e
con sospensiva del processo in attesa del l'espletamento della  prova
tecnica. 
    Con  comparsa  di  risposta  depositata  il  6  maggio  2019,  si
costituiva   in   giudizio   S.   G.   il   quale    insisteva    per
l'incensurabilita' della statuizione di prime  cure,  reiterando  sul
punto  le  difese  svolte  in  primo  grado  e  chiedendo  rigettarsi
l'appello perche' infondato. 
    Con  comparsa  di  risposta  depositata  il  10  maggio  2019  si
costituiva in giudizio  S.  P.,  sostanzialmente  uniformandosi  alle
richieste  dell'altro  appellato  ed  altresi'   domandando   rigetto
dell'appello perche' inammissibile per  difetto  di  specificita'  ex
art.  342  del  codice  di  procedura  civile  e,  comunque,  perche'
manifestamente infondato. 
    Entrambi gli appellati concludevano per la vittoria di  spese  ed
onorari. S. A. restava contumace. Con le note di trattazione  scritta
per l'udienza del 25 febbraio  2021  l'appellante  insisteva  per  la
valutazione dell'eccezione di incostituzionalita' formulata. 
 
                          Motivi di diritto 
 
    L'accertamento della filiazione costituisce requisito  essenziale
per  la  titolarita'  e  l'esercizio  delle   situazioni   giuridiche
soggettive derivanti dal rapporto filiale. Detto  accertamento  segue
modalita' differenziate  pur  nell'unicita'  dello  stato  di  figlio
stabilita dall'art. art.  315  del  codice  civile  a  seguito  della
riforma attuata con la legge n. 129/2012  ed  il  successivo  decreto
attuativo n. 154/2013. 
    In particolare, la  riferibilita'  della  filiazione  a  genitori
coniugati  discende  dalla  provenienza   e   dal   contenuto   della
dichiarazione di nascita, eventualmente integrati dal  sistema  delle
presunzioni di cui agli articoli 231 e seguenti del codice civile. 
    Viceversa, la filiazione fuori del matrimonio si accerta mediante
atto di riconoscimento (art.  250  del  codice  civile),  ovvero,  in
mancanza, con l'azione per la dichiarazione giudiziale di  paternita'
o  maternita',  proponibile  nei  casi   in   cui   e'   ammesso   il
riconoscimento (art. 269 e seguente del codice civile), percio' anche
qualora il preteso genitore sia unito in matrimonio con altra persona
al momento del concepimento  e,  previa  autorizzazione  giudiziaria,
nell'ipotesi in cui il figlio sia nato da relazione incestuosa  (art.
251 del codice civile). 
    L'art. 253 del codice civile stabilisce che «"in nessun  caso  e'
ammesso un riconoscimento in contrasto con lo stato di figlio in  cui
la persona si trova». Se dall'atto  di  nascita  risulta  il  diverso
titolo di filiazione, il riconoscimento con esso in contrasto non  e'
ricevibile ne' trascrivibile  da  parte  dell'ufficiale  dello  stato
civile, ed e' originariamente  privo  di  effetti  giuridici  sebbene
permanga la possibilita' che questi si producano «ex tunc» a  seguito
del vittorioso esperimento dell'azione di disconoscimento  (v.  Cass.
civ., Sez. I, 05/11/1997, n. 10838; cfr. Cass. civ., Sez. 03/06/1978.
n. 2782). 
    Nella formulazione  originaria,  l'art.  253  del  codice  civile
presidiava la stabilita' della famiglia legittima ed  entro  di  essa
dello stato di figlio legittimo  o  legittimato  (in  termini,  Corte
cost. 30 dicembre 1987, n. 525). Peraltro, nel quadro normativo della
legge n. 151/1975 di riforma del diritto di famiglia,  ispirato  alla
tendenziale  equiparazione  tra  filiazione  legittima  e  filiazione
naturale, la norma e' stata intesa non gia' piu' come espressione del
favor legittimitatis ma come affermazione  dell'efficacia  preclusiva
dell'atto di nascita (v., in  motivazione,  Cass.  civ.,  Sez.  I,  5
aprile 1996, n. 3194). Tale prospettiva, che  ancora  il  divieto  ex
art. 253 alla esigenza di certezza in  ordine  agli  stati  personali
piuttosto che alla preferenza accordata allo stato  piu'  favorevole,
si e' in ultimo consolidata mediante  la  soppressione  delle  parole
«legittimo  o  legittimato»  dalla  lettera  della  norma  ad   opera
dell'art. 24 del decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154. 
    In conclusione, l'atto di nascita e' titolo  dello  stato  ed  ha
efficacia probatoria esclusiva, nel  senso  che  conferisce  certezza
legale allo stato  di  figlio.  La  eliminazione  di  tale  stato  e'
possibile solo attraverso un apposito processo, non  essendo  neppure
ammissibile un'eventuale decisione  incidenter  tantum  del  tipo  di
quella  richiesta  dall'appellante,  la  cui  censura   relativamente
all'art. 253 del codice civile va comunque dichiarata  manifestamente
infondata. Infatti, l'impossibilita'  (relativa)  di  riconoscere  il
figlio gia' riconosciuto da altro soggetto costituisce il portato  di
una valutazione rimessa alla discrezionalita'  del  legislatore,  per
quanto difficilmente  conciliabile  con  il  diritto  alla  serenita'
familiare (in questo senso v. C. Edu, sez. IV  sent.  12/10/2020,  n.
32495). 
    Tuttavia, ad avviso di questo Giudice, le argomentazioni di parte
appellante possono e devono condividersi se riferite ad altro profilo
della normativa in questione. il cui esame si presenta  pregiudiziale
alla  definizione  della  controversia  e  sul  quale,  pertanto,  e'
possibile  sol  levare  d'ufficio  la   questione   di   legittimita'
costituzionale, cosi' come previsto  dagli  articoli  1  della  legge
Cost. n. 1/1948 e 23 della legge n. 87/1953. 
    Il profilo di cui trattasi riguarda l'azione per la dichiarazione
giudiziale di paternita' o maternita' (art. 269 del codice civile). 
    L'istituto si presenta anch'esso profondamento  ridefinito  dalla
riforma   del   diritto   di   famiglia   la    quale,    nell'ottica
dell'eguaglianza tra i  sessi  e  di  una  piu'  larga  tutela  della
condizione giuridica del figlio naturale, ha eliminato i divieti  che
nel previgente regime  ammettevano  l'accertamento  giudiziale  della
filiazione solo in ipotesi tassativamente indicate dalla legge  (cfr.
art. 113 della legge 19 maggio 1975, n. 151). 
    Il novellato art. 269, comma 2 del  codice  civile  prevede  cosi
l'utilizzabilita' di ogni mezzo istruttorio, salva l'insufficienza  -
al  fine  della  dichiarazione  della   paternita'   -   della   sola
dichiarazione della madre o della sola esistenza di rapporti  fra  la
madre ed il preteso padre all'epoca del  concepimento  sebbene,  come
per tutte le risultanze dotate di mero valore indiziario,  esse  sono
siano  comunque  utilizzabili  per  fondare  il  convincimento  sulla
effettiva sussistenza del fatto della filiazione  (cfr.  Cass.  civ.,
sez I, 22 gennaio 2014, n. 1279). 
    In ogni caso, fermo il  libero  convincimento  ex  art.  116  del
codice di procedura e  la  valorizzazione  del  contegno  processuale
delle parti, nel giudizio in questione le  indagini  ematologiche  ed
immunogenetiche forniscono obiettivi elementi di valutazione non solo
per escludere, ma anche per  affermare  il  rapporto  biologico,  con
margini di sicurezza elevatissimi dati i  progressi  raggiunti  dalla
scienza biomedica. La Corte regolatrice  ha  coerentemente  precisato
che non incorre nel vizio di carenza di motivazione la  sentenza  che
recepisca, anche per relationem, le conclusioni  della  relazione  di
consulenza tecnica d'ufficio, avente ad oggetto le predette  indagini
sul DNA, salvo il caso in cui  siano  mosse  precise  censure,  anche
contenute in consulenze tecniche di parte (cfr. Cass. civ.,  Sez.  I,
24/12/2013, n. 28647; v. pure  Cass.  civ.,  Sez  I,  01/07/2017,  n.
13880). 
    In proposito,  mette  conto  ricordare  che  dette  indagini  non
possono in alcun modo  subordinarsi  all'esito  della  prova  storica
sull'esistenza di un rapporto sessuale tra il  presunto  padre  e  la
madre giacche' il principio di cui all'art. 269, comma 2  del  codice
civile  non  tollera  surrettizie  limitazioni,   ne'   mediante   la
fissazione di una sorta di gerarchia assiologica tra i mezzi idonei a
dimostrare la paternita'  naturale,  ne'  mediante  l'imposizione  al
giudice di una sorta di «ordine cronologico» nella loro ammissione ed
assunzione,  a  seconda  del  tipo  di  prova  dedotta,  avendo,  per
converso, tutti pari valore per espressa disposizione  di  legge  (in
termini, Cass. civ., Sez. I, 02/07/2007, n. 14976; Id. 07/03/2018, n.
5491). Come pure si e' statuito  che  non  occorre  il  consenso  dei
congiunti per l'espletamento della consulenza tecnica sul  DNA  della
persona deceduta, non essendo  configurabile  un  diritto  soggettivo
degli stessi sul corpo di  quest'ultima  (cfr.  Cass.  civ.,  Sez  I,
19/07/2012, n. 12549; Cass. civ., Sez. I. 30/06/2014, n. 14786). 
    Stante il combinato disposto degli articoli 269, comma  1  e  253
del  codice  civile,  la  dichiarazione  di  filiazione   fuori   del
matrimonio presuppone l'assenza di uno stato di figlio il  quale,  se
presente, andra' previamente rimosso - a seconda dei casi - per mezzo
delle azioni di  disconoscimento  di  paternita'  (art.  243-bis  del
codice civile), di impugnazione del riconoscimento  (articoli  263  e
seguenti del codice civile) ovvero di contestazione  dello  stato  di
figlio (art. 248 del codice civile). 
    Sul  piano  processuale  cio'  si  traduce,  secondo   un   primo
indirizzo,  nella  improponibilita'  della   domanda   esclusivamente
finalizzata a far dichiarare una paternita' o maternita' contrastante
con lo stato  di  figlio  in  cui  la  persona  si  trova  (v.  Cass.
19/08/1998, n. 8190; cfr. Trib. Roma, 19/01/2017, n. 914; Trib. Bari,
25/02/2016, n. 1038). 
    Un piu' recente arresto di legittimita',  per  contro,  individua
nell'accertamento con cui viene demolito (o mantenuto)  lo  stato  di
figlio non gia' un presupposto processuale della «rivendicazione»  di
altro  status,  bensi'   una   questione   pregiudiziale   in   senso
tecnico-giuridico. Ne consegue che l'azione per la  dichiarazione  di
paternita' naturale non e' ex se impedita dal mancato disconoscimento
a norma dell'art. 243-bis del codice civile, il  quale  potra'  anche
sopravvenire in corso di causa, ma il giudizio ex art. 269 del codice
civile deve comunque essere sospeso ai sensi dell'art. 295 del codice
di  procedura  sino  a  che  l'altro  conduca  alla  negazione  della
paternita' con sentenza passata in giudicato (v. Cass. civ., Sez. VI,
ord. 03/07/2018, n. 17392; l'idoneita' del solo giudicato a far venir
meno la presunzione di paternita' del marito e' sostenuta  da  Cass.,
25 giugno 2013, n. 15990; cfr. pure Trib. Mantova, 20  aprile  2010).
Se il giudizio di disconoscimento non e' neppure stato promosso, come
nella vicenda in esame, l'azione  di  cui  all'art.  269  del  codice
civile   andra'   dichiarata   inammissibile   non   potendosi   fare
applicazione dell'istituto della sospensione per pregiudizialita'. 
    Tanto premesso si osserva che, aderendo sia all'una che all'altra
delle prospettate interpretazioni, il sistema cosi delineato presenta
un vulnus verosimilmente non considerato dal legislatore nella misura
in cui, imponendo al figlio la preliminare e  definitiva  caducazione
del proprio precedente stato al fine  di  procedere  all'accertamento
della  vicenda  procreativa,  non  contempla  l'eventualita'  che  il
secondo di tali giudizi veda discordanti la verita' biologica  attesa
dalla parte e quella in concreto acclarata dal giudice. 
    Per la figura indicata vi  e'  innanzitutto  una  violazione  dei
diritti fondamentali inerenti alla persona umana, per come  sugellati
dalla Costituzione e  dalle  carte  sovranazionali.  In  particolare,
giova  riaffermare  che   «il   diritto   ad   uno   status   filiale
corrispondente  alla  verita'   biologica   costituisce   una   delle
componenti piu' rilevanti del  diritto  all'identita'  personale  che
accompagna senza soluzione  di  continuita'  la  vita  individuale  e
relazionale non soltanto nella  minore  eta',  ma  in  tutto  il  suo
svolgersi.  L'incertezza  su  tale  status   puo'   determinare   una
condizione di disagio ed un vulnus allo  sviluppo  adeguato  ed  alla
formazione della personalita' riferibile ad ogni stadio  della  vita»
(da ultima, in motivazione, v. Cass. civ.,  Sez.  I,  22/09/2020,  n.
19824). 
    L'esigenza di  ottenere  le  informazioni  riguardanti  i  propri
genitori  «naturali»  e  quella  di  instaurare   cori   costoro   il
corrispondente rapporto giuridico-filiale, oltre a fondare  nell'art.
2 Cost. in quanto corollario essenziale per lo sviluppo della persona
umana, trova addentellato nell'art. 8 CEDU  come  diritto  vitale  ed
ultrapersonale dell'individuo alla ricerca della propria  discendenza
biologica (cfr. Corte Edu, 25 settembre 2012, n.  33783,  Godelli  c.
Italia; Corte Edu, 14 gennaio 2016, Mandet c. Francia). 
    Peraltro, gli articoli 7 e 8 della Convenzione di  New  York  del
1989 stabiliscono  il  diritto  del  figlio  di  conoscere  i  propri
genitori e correlativamente  il  diritto  di  conservare  la  propria
identita', nazionalita',  nome  e  relazioni  familiari,  nell'ottica
della tutela dell'interesse del figlio e della  serenita'  familiare.
Analogamente, l'art.  24  della  cd.  Carta  di  Nizza,  sancisce  il
principio della necessaria preminenza dell'interesse  del  minore  in
tutti gli atti che lo riguardano. 
    Quindi,  in  materia  di  azioni  di  stato,  il  giudice  ha  da
effettuare un bilanciamento  in  concreto  tra  i  valori  del  favor
veritatis e del favor  legittimitatis  con  particolare  riferimento,
laddove si tratti di minore di eta', agli effetti  del  provvedimento
richiesto in relazione all'esigenza di un suo sviluppo  armonico  dal
punto di vista psicologico, affettivo, educativo e sociale. La stessa
Consulta ha recentemente ribadito che la descritta  comparazione  non
puo' costituire il risultato di una valutazione predeterminata e  non
puo' implicare  «ex  se»  il  sacrificio  di  un  interesse  in  nome
dell'altro  (cfr.  Corte  cost.,  25/06/2020,  n.  127,  in  tema  di
impugnazione del riconoscimento consapevolmente falso  da  parte  del
suo autore; v. pure Corte cost., 18/12/2017, n. 272). 
    Il legislatore del dopo-riforma, invece, impone sempre e comunque
al figlio, gia' titolare di  uno  status  di  rescinderlo  per  poter
conoscere  le  proprie  origini  e   farne   derivare   le   relative
«conseguenze»  giuridiche,  con  cio'   compiendo   una   valutazione
aprioristica e attribuendo alla stabilita' dei rapporti familiari una
valenza - in questo caso, ostativa all'accertamento della discendenza
biologica - che, al piu', potrebbe scaturire da  un'attenta  disamina
delle circostanze del caso. 
    Se cosi' e', allora, nemmeno puo' invocarsi per la fattispecie in
esame il limite posto alla  ricerca  della  paternita'  dall'art.  30
Cost. comma 4 Cost, giacche', a tacere del sostanziale superamento di
tale previsione nella evoluzione normativa del sistema,  tale  limite
deve intendersi nel senso di rimettere al legislatore la scelta delle
modalita' procedurali tramite le  quali  e'  consentito  ai  soggetti
interessati di ottenere l'accertamento della verita' biologica, e non
anche  nel  senso  di  precludere  tale  accertamento  all'esito   di
valutazioni di opportunita' effettuate in astratto e  preventivamente
(in questi termini, Cass. civ., Sez. I, 15/02/2017, n. 4020). 
    L' art. 269, comma 1 del codice  civile,  pertanto,  si  pone  in
contrasto  con  gli  articoli  2,  29,  30  e  117,  comma  1  Cost.,
quest'ultimo in relazione al l'art. 8 della Convenzione  europea  per
la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle  liberta'  fondamentali
(CEDU), in relazione agli articoli 7 e 8  della  Convenzione  di  New
York del 20 novembre 1989 nonche' in relazione all'art. 24,  comma  2
della Carta dei diritti fondamenti dell'Unione europea  proclamata  a
Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007,
poiche' compromette il diritto alla identita' personale  nel  duplice
profilo della impossibilita' di accertare la genitura in presenza  di
uno  status  contrastante  e  della  perdita  irreversibile  di   una
qualsiasi identita' filiale nell'ipotesi in cui alla eliminazione  di
quella precedentemente acquisita non segua il vittorioso  esperimento
dell'azione per la dichiarazione di quella «naturale». 
    La norma de qua viola altresi' il principio  di  uguaglianza  cd.
sostanzia le, laddove ingiustamente equipara  fattispecie  che  vanno
diversamente  disciplinate,  ancorche'  assimilabili  quoad  effectum
(art.  277  del  codice  civile).  L'atto  del  riconoscimento,  pure
variamente classificato dalla dottrina quale dichiarazione di scienza
ovvero negozio unilaterale, consiste in  un  atto  privato  volto  ad
attestare in modo volontario il  fatto  della  generazione.  L'azione
prevista dall'art. 269 del codice civile, al contrario,  instaura  un
giudizio pubblico a cognizione piena nel quale  la  filiazione  extra
nuptias viene affermata con  sentenza,  ossia  con  un  provvedimento
pubblico, avente efficacia certativa retroattiva. 
    In altri termini la  dichiarazione  giudiziale  di  paternita'  o
maternita'  non  e'   assoggettabile   agli   stessi   limiti   della
dichiarazione volontaria. Inoltre, il giudicato che  la  caratterizza
in nulla si diversifica da un disconoscimento tout court quanto  alla
logica conseguenza di escludere la  veridicita'  (solo  formale)  del
rapporto filiale contrastante con quello accertato. 
    Al piu', il legislatore dovrebbe consentire  la  possibilita'  di
instare per la dichiarazione giudiziale di  paternita'  o  maternita'
nei termini di una sentenza condizionale, ossia destinata a  produrre
effetti all'atto dell'avveramento di un evento  futuro  (ed  incerto)
quale il disconoscimento della paternita' o  la  contestazione  dello
stato di figlio; giammai, invece, potrebbe aprioristicamente impedire
la definizione di un'azione in luogo dell'altra. 
    La sentenza cd. condizionale e' ammessa dalla  giurisprudenza  di
legittimita' con riguardo alle statuizioni di condanna  (Cass.  civ.,
Sez. III 06/10/2015, n. 19895) e costitutive (Cass., civ., Sez.  III,
12/10/2010, n. 21013) e, fra queste, con riguardo alla  sentenza  che
tiene luogo del mancato consenso al riconoscimento ex art. 250, comma
4 del codice  civile,  nel  senso  che  il  contenuto  dispositivo  e
condannatorio in merito all'affidamento e al mantenimento del  minore
e all'assunzione del cognome acquista efficacia e  valenza  esecutiva
solo dopo e a condizione che il ricorrente proceda effettivamente  al
riconoscimento  (cfr.,  in  motivazione,  Trib.  Modena,   Sez.   II,
20/01/2017, n. 3360, Id. 10/03/2016, n, 515). 
    Non  si  ravvisano,  quindi,  ostacoli  che   possano   frapporsi
all'utilizzo di  tale  figura  per  il  provvedimento  avente  natura
dichiarativa, come quello emesso ex art. 269 del codice civile. 
    Pertanto, l'art. 269,  comma  1  del  codice  civile,  viola  gli
articoli 2, 3 comma 2, 24 e 111 Cost., nella parte in  cui  subordina
l'accertamento della paternita' o maternita' biologica alle  medesime
condizioni di ammissibilita' del  riconoscimento  e,  per  l'effetto,
preclude di coltivare  direttamente  l'azione  per  la  dichiarazione
giudiziale di paternita' o maternita' se non  previo  esperimento  di
ulteriori rimedi processuali. 
    In  subordine,  si  ravvisa  l'incostituzionalita'  della   norma
perche' essa impedisce di chiedere ed ottenere  l'accertamento  della
genitorialita'  biologica  con  efficacia  condizionata  alla  futura
rimozione dello status di figlio in cui la persona si trova. 
    Vertendosi in materia di azione per la  dichiarazione  giudiziale
di paternita' l'art. 269, comma 1 del codice civile, e' norma che  si
pone in rapporto  di  effettiva  e  concreta  strumentalita'  con  la
risoluzione della vicenda e, pertanto, questo giudice e' direttamente
chiamato  a  darvi  applicazione.  Ne  consegue  la  rilevanza  della
questione di legittimita' costituzionale della predetta disposizione,
quale presupposto necessario  del  giudizio  a  quo  ai  sensi  degli
articoli 1 della legge Cost. n. 1/1948 e 23, comma 2 della  legge  n.
87/1953. 
    Stante la chiara lettera della norma denunciata, va  risolta  con
esito negativo la verifica circa la  praticabilita'  di  una  diversa
esegesi della stessa, non residuando margini per una  interpretazione
del combinato disposto degli articoli 269, comma 1 del codice  civile
e 253 del codice civile che non  sia  quella  che  impone  il  previo
disconoscimento o contestazione dello status  di  figlio  in  cui  la
persona si trova a  pena  di  improcedibilita'  e/o  inammissibilita'
della domanda dichiarativa, Detta interpretazione non e'  conforme  a
Costituzione, risolvendosi in un  grave  ostacolo  all'esercizio  dei
diritti umani fondamentali e delle garanzie processuali. 
    Ritiene  la  Corte  che  il  diritto  all'identita'  personale  e
familiare e al nome sia uno dei diritti inviolabili dell'uomo di  cui
all'art. 2 della Costituzione e che l'incertezza legata all'esito del
giudizio di accertamento della paternita' o maternita',  il  «rischio
dell'azione» che, nell'ambito  del  processo  civile  e  del  sistema
probatorio in esso previsto, ricade sulla parte,  possa  condizionare
la parte stessa impedendole di agire per far valere tale inalienabile
diritto, nonche' ponga la norma  in  contrasto  con  l'obbligo  della
Repubblica di rimuovere ogni ostacolo che impedisca il pieno sviluppo
della persona umana (art. 3/2), costituisca un limite  ingiustificato
per ottenere, tramite azione in giudizio, tutela dei  propri  diritti
(art. 24), violi il principio del giusto processo e di parita'  delle
parti in esso (art.  111)  ponendo  una  di  esse  in  condizioni  di
minorazione per la possibilita' condizionata di agire e,  quindi,  di
minor tutela. 
    Nella sentenza della Corte costituzionale n.  50  del  2006,  che
dichiaro' l'incostituzionalita' dell'art. 274 del codice  civile,  si
afferma che l'intrinseca irragionevolezza della norma fa si'  che  il
giudizio di ammissibilita' ex art. 274 del codice civile  si  risolva
in un grave ostacolo all'esercizio del diritto  di  azione  garantito
dall'art. 24 Cost., in relazione  ad  azioni  volte  alla  tutela  di
diritti fondamentali, attinenti allo status e all'identita' biologica
e che da tale irragionevolezza discende la  violazione  del  precetto
sulla ragionevole durata del processo. 
    Situazione analoga si determina con il primo comma dell'art.  269
del codice civile nella parte in cui lo stesso consente l 'azione  di
disconoscimento soltanto  nei  casi  in  cui  il  riconoscimento  sia
ammesso. Infatti, anche in questo  caso,  la  parte  e'  costretta  a
celebrare  due  giudizi  invece  di  uno,  con  pregiudizio  per   la
ragionevole durata del processo. Anche in questo caso, si  tratta  di
azioni volte a tutelare diritti fondamentali, attinenti allo status e
all'identita' biologica delle persone, anzi di  tratta  dei  medesimi
diritti presi in considerazione dalla sentenza costituzionale n. 50. 
    L'indubbia natura fondamentale dei diritti in oggetto consente di
ritenere intollerabile ogni  ostacolo  che  ne  limiti  o  condizioni
l'esercizio, con conseguente violazione dell'art.  2  e  dell'art.  3
della Costituzione, quest'ultimo nella parte in cui la norma  attuale
discrimina la  persona  cui  sia  stato  attribuito  uno  status  non
veritiero rispetto a quella  cui  non  sia  stato  attribuito  alcuno
status. 
    In ragione di quanto si e' detto, si ritiene  non  manifestamente
infondata la questione di incostituzionalita'  dell'art.  269,  primo
comma del codice  civile  nella  parte  in  cui  ammette  l'esercizio
dell'azione solo nei casi in cui il riconoscimento e' ammesso. 
    In subordine si ritiene non manifestamente infondata la questione
di incostituzionalita' dell'art. 269, primo comma del codice  civile,
nella parte in cui non consente l'esercizio dell'azione  al  fine  di
ottenere  una  pronuncia   condizionata   al   successivo   esercizio
dell'azione di disconoscimento. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Letti  gli  articoli  134  della  Costituzione,  l  della   legge
costituzionale n. 1/1948 e 23 della legge n. 87/1953,  il  Presidente
delegato: 
        dichiara   manifestamente   infondata   la    questione    di
legittimita' costituzionale dell'art. 253 del codice civile; 
        solleva d'ufficio la questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 269,  comma 1  del  codice  civile  nei  sensi  di  cui  in
motivazione e, per l'effetto, sospende il presente giudizio; 
        ordina che, a cura della cancelleria, la  presente  ordinanza
venga  notificata  alle  parti,  al  Presidente  del  Consiglio   dei
ministri, nonche' comunicata ai Presidente del Senato e al Presidente
della Camera dei deputati; 
        dispone  l'immediata  trasmissione  degli  atti,  comprensivi
della documentazione attestante il perfezionamento  delle  prescritte
notificazioni e comunicazioni, alla Corte costituzionale. 
          Salerno, 11 marzo 2021 
 
                 Il Presidente relatore: de Filippis