N. 205 ORDINANZA (Atto di promovimento) 11 marzo 2021
Ordinanza dell'11 marzo 2021 della Corte d'appello di Salerno nel procedimento civile promosso da D'A. D. contro S. G., S. P. e S. A.. Filiazione - Azione per la dichiarazione giudiziale di paternita' o maternita' - Condizioni di esperibilita' - Ammissione all'esercizio dell'azione solo nei casi in cui il riconoscimento e' ammesso - Preclusione all'esercizio dell'azione se non previo esperimento di ulteriori rimedi processuali volti a rimuovere lo status di figlio gia' attribuito. In subordine: Filiazione - Azione per la dichiarazione giudiziale di paternita' o maternita' - Condizioni di esperibilita' - Ammissione all'esercizio dell'azione solo nei casi in cui il riconoscimento e' ammesso - Preclusione all'esercizio dell'azione al fine di ottenere una pronuncia condizionata al successivo esercizio dell'azione di disconoscimento. - Codice civile, art. 269, primo comma.(GU n.52 del 29-12-2021 )
CORTE DI APPELLO DI SALERNO Seconda sezione civile La Corte di appello di Salerno, sezione civile, riunita in Camera di consiglio nelle persone dei signori magistrati: 1. dott. Bruno de Filippis, Presidente relatore; 2. dott.ssa Marcella Pizzillo, consigliere; 3. dott.ssa Sabrina Serrelli, consigliere, Ha pronunziato la seguente ordinanza nella causa civile iscritta al n. 77/2019 Ruolo generale, avente ad oggetto: appello avverso la sentenza n. 873/2018, pronunciata dal Tribunale di Nocera Inferiore nel giudizio civile R.G. 4868/2015, depositata in data 12 luglio 2018 e non notificata, in materia di dichiarazione giudiziale di paternita' di persona maggiorenne ex art. 269 del codice civile; Tra D'A. D., nato a ... il ..., rappresentato e difeso, per mandato in calce all'atto di citazione in appello, dagli avvocati Raffaele e Luigi Fasolino ed elettivamente domiciliato presso lo studio di quest'ultimo, in Roccapiemonte (SA), alla via S. Giovanni Battista n. 5, appellante; e S. G., nato a ... il ... C.F. ..., rappresentato e difeso, in virtu' di mandato in calce alla comparsa di costituzione in appello, dall'avv. Giuseppe Mazzotta, presso il cui studio elettivamente domicilia in Cava de' Tirreni (SA), in piazza Vittorio Emanuele III (gia' Piazza Duomo) n. 7, appellato; nonche' S. P., nato a ... il ... C.F. ..., rappresentato e difeso, in virtu' di mandato allegato alla comparsa di costituzione e risposta in appello, dall'avv. Daniela Genovese, presso lo studio della quale elettivamente domicilia in Nocera Inferiore, alla via G. Citarella n. 5, appellato; nonche' S. A., nata a ... il ..., appellata. Conclusioni come da note di trattazione, da intendersi trascritte. Svolgimento del processo Con atto di citazione notificato in data 14 ottobre 2015 D'A. D. esperiva l'azione di cui all'art. 269 del codice civile, dinanzi al Tribunale di Nocera Inferiore onde sentire accertare nei propri confronti la paternita' biologica di S. G. (senior). Essendo quest'ultimo deceduto celibe e senza figli in data ..., venivano convenuti in giudizio i di lui eredi S. P., S. G, e S. A. A tal fine esponeva l'attore di essere stato informato di essere il figlio naturale di S. G per bocca di B. G., producendo conforme dichiarazione sottoscritta dalla stessa ed articolando correlata prova testimoniale. Soggiungeva che la circostanza fosse comunque di dominio pubblico, per quanto egli l'avesse sempre ignorata fino alla suddetta rivelazione. Si costituivano in giudizio S. P. e S. G., eccependo in via preliminare l'inammissibilita' della domanda in assenza del previo disconoscimento della paternita' dell'attore, che risultava figlio di D'A. F. Contestavano inoltre il difetto di legittimazione passiva, per essere ancora sub iudice l'apertura della successione legittima di S. V. (germano del defunto S. G. senior) in favore di essi convenuti. Alla prima udienza del 21 gennaio 2016, parte attrice chiedeva di rinnovare la notifica della citazione di S. A. Il Giudice, sciogliendo la riserva assunta e rilevando la logica pregiudizialita' dell'eccezione di inammissibilita' dell'azione di riconoscimento rispetto alla richiesta di integrazione del contraddittorio, invitava le parti a precisare le rispettive conclusioni sulla questione preliminare sollevata. Nelle note concesse sul punto, D'A. D. spiegava eccezione di incostituzionalita' dell'art. 253 del codice civile nella parte in cui, precludendo il riconoscimento (e, quindi pure la dichiarazione giudiziale) della genitura naturale in contrasto con quella formalmente precostituita, di fatto non considera il pregiudizio derivante al soggetto che abbia rimosso il pregresso status filitationis e che poi veda definire con esito negativo la successiva domanda ex art. 269 del codice civile, rimanendo cosi' privo della propria identita' filiale. La causa veniva trattenuta in decisione all'udienza del 12 maggio 2016, con espressa rinuncia delle parti alla fissazione dei termini di cui all'art. 190 de codice di procedura civile; quindi, veniva rimessa sul ruolo per la trasmissione degli atti al P.M. e per la notifica della citazione in rinnovazione nei confronti di S. A. All'udienza del 29 novembre 2017, depositato l'atto introduttivo come rinnovato e precisate dalle parti le rispettive conclusioni (S. A. restava contumace), la causa veniva riservata per la decisione. Quest'ultima veniva resa con la sentenza in epigrafe, ove si dichiarava inammissibile la domanda proposta da D'A. D. condannandolo a rifondere ai convenuti costituiti le spese di lite. Rilevava il primo giudice che, giusta il combinato disposto degli articoli 253 e 269 del codice civile, la dichiarazione giudiziale di paternita' presuppone l'avvenuta caducazione dello status di figlio in cui la persona si trova, da effettuare - nella specie - attraverso passaggio in giudicato della statuizione che disconosca la paternita' legale. Si osservava, inoltre, che non e' dato registrare tra le due fattispecie processuali alcun rapporto di pregiudizialita', di la' da quello meramente fattuale, essendo ciascuna connotata da profili soggettivi e oggettivi affatto diversi. In ultimo, il Tribunale rigettava i dubbi di legittimita' costituzionale sollevati dall'attore in ordine al limite posto dall'alt. 253 del codice civile, permasto anche a seguito della riforma con legge n. 129/2012 siccome preposto a tutela dell'ordine pubblico familiare. Con atto di citazione notificato in data 23 gennaio 2019, D'A. D. interponeva appello avverso la suddetta pronuncia, chiedendo di riformarla per tre ordini di censure. Con il primo motivo di gravame, D'A. D. eccepiva l'omessa pronunzia del Tribunale di Nocera Inferiore sulla eccezione di incostituzionalita' dell'art. 253 del codice civile. Con il secondo motivo, l'appellante denunciava l'omessa pronunzia sulla richiesta di accertamento incidentale di paternita' dallo stesso spiegata nelle note difensive autorizzate in prime cure. in risposta alla ex adverso dedotta inammissibilita' della pretesa azionata. Con il terzo motivo, D'A D. lamentava l'errata interpretazione concreta della domanda introduttiva e delle richieste e precisazioni formulate nelle note difensive autorizzate in prime cure, ribadendo di avere chiesto - proprio in virtu' della giurisprudenza in materia e delle eccezioni di parti convenute ex art. 253 del codice civile - soltanto un accertamento incidentale di paternita', nelle forme della istruzione preventiva ex art. 699 del codice di procedura civile e con sospensiva del processo in attesa del l'espletamento della prova tecnica. Con comparsa di risposta depositata il 6 maggio 2019, si costituiva in giudizio S. G. il quale insisteva per l'incensurabilita' della statuizione di prime cure, reiterando sul punto le difese svolte in primo grado e chiedendo rigettarsi l'appello perche' infondato. Con comparsa di risposta depositata il 10 maggio 2019 si costituiva in giudizio S. P., sostanzialmente uniformandosi alle richieste dell'altro appellato ed altresi' domandando rigetto dell'appello perche' inammissibile per difetto di specificita' ex art. 342 del codice di procedura civile e, comunque, perche' manifestamente infondato. Entrambi gli appellati concludevano per la vittoria di spese ed onorari. S. A. restava contumace. Con le note di trattazione scritta per l'udienza del 25 febbraio 2021 l'appellante insisteva per la valutazione dell'eccezione di incostituzionalita' formulata. Motivi di diritto L'accertamento della filiazione costituisce requisito essenziale per la titolarita' e l'esercizio delle situazioni giuridiche soggettive derivanti dal rapporto filiale. Detto accertamento segue modalita' differenziate pur nell'unicita' dello stato di figlio stabilita dall'art. art. 315 del codice civile a seguito della riforma attuata con la legge n. 129/2012 ed il successivo decreto attuativo n. 154/2013. In particolare, la riferibilita' della filiazione a genitori coniugati discende dalla provenienza e dal contenuto della dichiarazione di nascita, eventualmente integrati dal sistema delle presunzioni di cui agli articoli 231 e seguenti del codice civile. Viceversa, la filiazione fuori del matrimonio si accerta mediante atto di riconoscimento (art. 250 del codice civile), ovvero, in mancanza, con l'azione per la dichiarazione giudiziale di paternita' o maternita', proponibile nei casi in cui e' ammesso il riconoscimento (art. 269 e seguente del codice civile), percio' anche qualora il preteso genitore sia unito in matrimonio con altra persona al momento del concepimento e, previa autorizzazione giudiziaria, nell'ipotesi in cui il figlio sia nato da relazione incestuosa (art. 251 del codice civile). L'art. 253 del codice civile stabilisce che «"in nessun caso e' ammesso un riconoscimento in contrasto con lo stato di figlio in cui la persona si trova». Se dall'atto di nascita risulta il diverso titolo di filiazione, il riconoscimento con esso in contrasto non e' ricevibile ne' trascrivibile da parte dell'ufficiale dello stato civile, ed e' originariamente privo di effetti giuridici sebbene permanga la possibilita' che questi si producano «ex tunc» a seguito del vittorioso esperimento dell'azione di disconoscimento (v. Cass. civ., Sez. I, 05/11/1997, n. 10838; cfr. Cass. civ., Sez. 03/06/1978. n. 2782). Nella formulazione originaria, l'art. 253 del codice civile presidiava la stabilita' della famiglia legittima ed entro di essa dello stato di figlio legittimo o legittimato (in termini, Corte cost. 30 dicembre 1987, n. 525). Peraltro, nel quadro normativo della legge n. 151/1975 di riforma del diritto di famiglia, ispirato alla tendenziale equiparazione tra filiazione legittima e filiazione naturale, la norma e' stata intesa non gia' piu' come espressione del favor legittimitatis ma come affermazione dell'efficacia preclusiva dell'atto di nascita (v., in motivazione, Cass. civ., Sez. I, 5 aprile 1996, n. 3194). Tale prospettiva, che ancora il divieto ex art. 253 alla esigenza di certezza in ordine agli stati personali piuttosto che alla preferenza accordata allo stato piu' favorevole, si e' in ultimo consolidata mediante la soppressione delle parole «legittimo o legittimato» dalla lettera della norma ad opera dell'art. 24 del decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154. In conclusione, l'atto di nascita e' titolo dello stato ed ha efficacia probatoria esclusiva, nel senso che conferisce certezza legale allo stato di figlio. La eliminazione di tale stato e' possibile solo attraverso un apposito processo, non essendo neppure ammissibile un'eventuale decisione incidenter tantum del tipo di quella richiesta dall'appellante, la cui censura relativamente all'art. 253 del codice civile va comunque dichiarata manifestamente infondata. Infatti, l'impossibilita' (relativa) di riconoscere il figlio gia' riconosciuto da altro soggetto costituisce il portato di una valutazione rimessa alla discrezionalita' del legislatore, per quanto difficilmente conciliabile con il diritto alla serenita' familiare (in questo senso v. C. Edu, sez. IV sent. 12/10/2020, n. 32495). Tuttavia, ad avviso di questo Giudice, le argomentazioni di parte appellante possono e devono condividersi se riferite ad altro profilo della normativa in questione. il cui esame si presenta pregiudiziale alla definizione della controversia e sul quale, pertanto, e' possibile sol levare d'ufficio la questione di legittimita' costituzionale, cosi' come previsto dagli articoli 1 della legge Cost. n. 1/1948 e 23 della legge n. 87/1953. Il profilo di cui trattasi riguarda l'azione per la dichiarazione giudiziale di paternita' o maternita' (art. 269 del codice civile). L'istituto si presenta anch'esso profondamento ridefinito dalla riforma del diritto di famiglia la quale, nell'ottica dell'eguaglianza tra i sessi e di una piu' larga tutela della condizione giuridica del figlio naturale, ha eliminato i divieti che nel previgente regime ammettevano l'accertamento giudiziale della filiazione solo in ipotesi tassativamente indicate dalla legge (cfr. art. 113 della legge 19 maggio 1975, n. 151). Il novellato art. 269, comma 2 del codice civile prevede cosi l'utilizzabilita' di ogni mezzo istruttorio, salva l'insufficienza - al fine della dichiarazione della paternita' - della sola dichiarazione della madre o della sola esistenza di rapporti fra la madre ed il preteso padre all'epoca del concepimento sebbene, come per tutte le risultanze dotate di mero valore indiziario, esse sono siano comunque utilizzabili per fondare il convincimento sulla effettiva sussistenza del fatto della filiazione (cfr. Cass. civ., sez I, 22 gennaio 2014, n. 1279). In ogni caso, fermo il libero convincimento ex art. 116 del codice di procedura e la valorizzazione del contegno processuale delle parti, nel giudizio in questione le indagini ematologiche ed immunogenetiche forniscono obiettivi elementi di valutazione non solo per escludere, ma anche per affermare il rapporto biologico, con margini di sicurezza elevatissimi dati i progressi raggiunti dalla scienza biomedica. La Corte regolatrice ha coerentemente precisato che non incorre nel vizio di carenza di motivazione la sentenza che recepisca, anche per relationem, le conclusioni della relazione di consulenza tecnica d'ufficio, avente ad oggetto le predette indagini sul DNA, salvo il caso in cui siano mosse precise censure, anche contenute in consulenze tecniche di parte (cfr. Cass. civ., Sez. I, 24/12/2013, n. 28647; v. pure Cass. civ., Sez I, 01/07/2017, n. 13880). In proposito, mette conto ricordare che dette indagini non possono in alcun modo subordinarsi all'esito della prova storica sull'esistenza di un rapporto sessuale tra il presunto padre e la madre giacche' il principio di cui all'art. 269, comma 2 del codice civile non tollera surrettizie limitazioni, ne' mediante la fissazione di una sorta di gerarchia assiologica tra i mezzi idonei a dimostrare la paternita' naturale, ne' mediante l'imposizione al giudice di una sorta di «ordine cronologico» nella loro ammissione ed assunzione, a seconda del tipo di prova dedotta, avendo, per converso, tutti pari valore per espressa disposizione di legge (in termini, Cass. civ., Sez. I, 02/07/2007, n. 14976; Id. 07/03/2018, n. 5491). Come pure si e' statuito che non occorre il consenso dei congiunti per l'espletamento della consulenza tecnica sul DNA della persona deceduta, non essendo configurabile un diritto soggettivo degli stessi sul corpo di quest'ultima (cfr. Cass. civ., Sez I, 19/07/2012, n. 12549; Cass. civ., Sez. I. 30/06/2014, n. 14786). Stante il combinato disposto degli articoli 269, comma 1 e 253 del codice civile, la dichiarazione di filiazione fuori del matrimonio presuppone l'assenza di uno stato di figlio il quale, se presente, andra' previamente rimosso - a seconda dei casi - per mezzo delle azioni di disconoscimento di paternita' (art. 243-bis del codice civile), di impugnazione del riconoscimento (articoli 263 e seguenti del codice civile) ovvero di contestazione dello stato di figlio (art. 248 del codice civile). Sul piano processuale cio' si traduce, secondo un primo indirizzo, nella improponibilita' della domanda esclusivamente finalizzata a far dichiarare una paternita' o maternita' contrastante con lo stato di figlio in cui la persona si trova (v. Cass. 19/08/1998, n. 8190; cfr. Trib. Roma, 19/01/2017, n. 914; Trib. Bari, 25/02/2016, n. 1038). Un piu' recente arresto di legittimita', per contro, individua nell'accertamento con cui viene demolito (o mantenuto) lo stato di figlio non gia' un presupposto processuale della «rivendicazione» di altro status, bensi' una questione pregiudiziale in senso tecnico-giuridico. Ne consegue che l'azione per la dichiarazione di paternita' naturale non e' ex se impedita dal mancato disconoscimento a norma dell'art. 243-bis del codice civile, il quale potra' anche sopravvenire in corso di causa, ma il giudizio ex art. 269 del codice civile deve comunque essere sospeso ai sensi dell'art. 295 del codice di procedura sino a che l'altro conduca alla negazione della paternita' con sentenza passata in giudicato (v. Cass. civ., Sez. VI, ord. 03/07/2018, n. 17392; l'idoneita' del solo giudicato a far venir meno la presunzione di paternita' del marito e' sostenuta da Cass., 25 giugno 2013, n. 15990; cfr. pure Trib. Mantova, 20 aprile 2010). Se il giudizio di disconoscimento non e' neppure stato promosso, come nella vicenda in esame, l'azione di cui all'art. 269 del codice civile andra' dichiarata inammissibile non potendosi fare applicazione dell'istituto della sospensione per pregiudizialita'. Tanto premesso si osserva che, aderendo sia all'una che all'altra delle prospettate interpretazioni, il sistema cosi delineato presenta un vulnus verosimilmente non considerato dal legislatore nella misura in cui, imponendo al figlio la preliminare e definitiva caducazione del proprio precedente stato al fine di procedere all'accertamento della vicenda procreativa, non contempla l'eventualita' che il secondo di tali giudizi veda discordanti la verita' biologica attesa dalla parte e quella in concreto acclarata dal giudice. Per la figura indicata vi e' innanzitutto una violazione dei diritti fondamentali inerenti alla persona umana, per come sugellati dalla Costituzione e dalle carte sovranazionali. In particolare, giova riaffermare che «il diritto ad uno status filiale corrispondente alla verita' biologica costituisce una delle componenti piu' rilevanti del diritto all'identita' personale che accompagna senza soluzione di continuita' la vita individuale e relazionale non soltanto nella minore eta', ma in tutto il suo svolgersi. L'incertezza su tale status puo' determinare una condizione di disagio ed un vulnus allo sviluppo adeguato ed alla formazione della personalita' riferibile ad ogni stadio della vita» (da ultima, in motivazione, v. Cass. civ., Sez. I, 22/09/2020, n. 19824). L'esigenza di ottenere le informazioni riguardanti i propri genitori «naturali» e quella di instaurare cori costoro il corrispondente rapporto giuridico-filiale, oltre a fondare nell'art. 2 Cost. in quanto corollario essenziale per lo sviluppo della persona umana, trova addentellato nell'art. 8 CEDU come diritto vitale ed ultrapersonale dell'individuo alla ricerca della propria discendenza biologica (cfr. Corte Edu, 25 settembre 2012, n. 33783, Godelli c. Italia; Corte Edu, 14 gennaio 2016, Mandet c. Francia). Peraltro, gli articoli 7 e 8 della Convenzione di New York del 1989 stabiliscono il diritto del figlio di conoscere i propri genitori e correlativamente il diritto di conservare la propria identita', nazionalita', nome e relazioni familiari, nell'ottica della tutela dell'interesse del figlio e della serenita' familiare. Analogamente, l'art. 24 della cd. Carta di Nizza, sancisce il principio della necessaria preminenza dell'interesse del minore in tutti gli atti che lo riguardano. Quindi, in materia di azioni di stato, il giudice ha da effettuare un bilanciamento in concreto tra i valori del favor veritatis e del favor legittimitatis con particolare riferimento, laddove si tratti di minore di eta', agli effetti del provvedimento richiesto in relazione all'esigenza di un suo sviluppo armonico dal punto di vista psicologico, affettivo, educativo e sociale. La stessa Consulta ha recentemente ribadito che la descritta comparazione non puo' costituire il risultato di una valutazione predeterminata e non puo' implicare «ex se» il sacrificio di un interesse in nome dell'altro (cfr. Corte cost., 25/06/2020, n. 127, in tema di impugnazione del riconoscimento consapevolmente falso da parte del suo autore; v. pure Corte cost., 18/12/2017, n. 272). Il legislatore del dopo-riforma, invece, impone sempre e comunque al figlio, gia' titolare di uno status di rescinderlo per poter conoscere le proprie origini e farne derivare le relative «conseguenze» giuridiche, con cio' compiendo una valutazione aprioristica e attribuendo alla stabilita' dei rapporti familiari una valenza - in questo caso, ostativa all'accertamento della discendenza biologica - che, al piu', potrebbe scaturire da un'attenta disamina delle circostanze del caso. Se cosi' e', allora, nemmeno puo' invocarsi per la fattispecie in esame il limite posto alla ricerca della paternita' dall'art. 30 Cost. comma 4 Cost, giacche', a tacere del sostanziale superamento di tale previsione nella evoluzione normativa del sistema, tale limite deve intendersi nel senso di rimettere al legislatore la scelta delle modalita' procedurali tramite le quali e' consentito ai soggetti interessati di ottenere l'accertamento della verita' biologica, e non anche nel senso di precludere tale accertamento all'esito di valutazioni di opportunita' effettuate in astratto e preventivamente (in questi termini, Cass. civ., Sez. I, 15/02/2017, n. 4020). L' art. 269, comma 1 del codice civile, pertanto, si pone in contrasto con gli articoli 2, 29, 30 e 117, comma 1 Cost., quest'ultimo in relazione al l'art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU), in relazione agli articoli 7 e 8 della Convenzione di New York del 20 novembre 1989 nonche' in relazione all'art. 24, comma 2 della Carta dei diritti fondamenti dell'Unione europea proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, poiche' compromette il diritto alla identita' personale nel duplice profilo della impossibilita' di accertare la genitura in presenza di uno status contrastante e della perdita irreversibile di una qualsiasi identita' filiale nell'ipotesi in cui alla eliminazione di quella precedentemente acquisita non segua il vittorioso esperimento dell'azione per la dichiarazione di quella «naturale». La norma de qua viola altresi' il principio di uguaglianza cd. sostanzia le, laddove ingiustamente equipara fattispecie che vanno diversamente disciplinate, ancorche' assimilabili quoad effectum (art. 277 del codice civile). L'atto del riconoscimento, pure variamente classificato dalla dottrina quale dichiarazione di scienza ovvero negozio unilaterale, consiste in un atto privato volto ad attestare in modo volontario il fatto della generazione. L'azione prevista dall'art. 269 del codice civile, al contrario, instaura un giudizio pubblico a cognizione piena nel quale la filiazione extra nuptias viene affermata con sentenza, ossia con un provvedimento pubblico, avente efficacia certativa retroattiva. In altri termini la dichiarazione giudiziale di paternita' o maternita' non e' assoggettabile agli stessi limiti della dichiarazione volontaria. Inoltre, il giudicato che la caratterizza in nulla si diversifica da un disconoscimento tout court quanto alla logica conseguenza di escludere la veridicita' (solo formale) del rapporto filiale contrastante con quello accertato. Al piu', il legislatore dovrebbe consentire la possibilita' di instare per la dichiarazione giudiziale di paternita' o maternita' nei termini di una sentenza condizionale, ossia destinata a produrre effetti all'atto dell'avveramento di un evento futuro (ed incerto) quale il disconoscimento della paternita' o la contestazione dello stato di figlio; giammai, invece, potrebbe aprioristicamente impedire la definizione di un'azione in luogo dell'altra. La sentenza cd. condizionale e' ammessa dalla giurisprudenza di legittimita' con riguardo alle statuizioni di condanna (Cass. civ., Sez. III 06/10/2015, n. 19895) e costitutive (Cass., civ., Sez. III, 12/10/2010, n. 21013) e, fra queste, con riguardo alla sentenza che tiene luogo del mancato consenso al riconoscimento ex art. 250, comma 4 del codice civile, nel senso che il contenuto dispositivo e condannatorio in merito all'affidamento e al mantenimento del minore e all'assunzione del cognome acquista efficacia e valenza esecutiva solo dopo e a condizione che il ricorrente proceda effettivamente al riconoscimento (cfr., in motivazione, Trib. Modena, Sez. II, 20/01/2017, n. 3360, Id. 10/03/2016, n, 515). Non si ravvisano, quindi, ostacoli che possano frapporsi all'utilizzo di tale figura per il provvedimento avente natura dichiarativa, come quello emesso ex art. 269 del codice civile. Pertanto, l'art. 269, comma 1 del codice civile, viola gli articoli 2, 3 comma 2, 24 e 111 Cost., nella parte in cui subordina l'accertamento della paternita' o maternita' biologica alle medesime condizioni di ammissibilita' del riconoscimento e, per l'effetto, preclude di coltivare direttamente l'azione per la dichiarazione giudiziale di paternita' o maternita' se non previo esperimento di ulteriori rimedi processuali. In subordine, si ravvisa l'incostituzionalita' della norma perche' essa impedisce di chiedere ed ottenere l'accertamento della genitorialita' biologica con efficacia condizionata alla futura rimozione dello status di figlio in cui la persona si trova. Vertendosi in materia di azione per la dichiarazione giudiziale di paternita' l'art. 269, comma 1 del codice civile, e' norma che si pone in rapporto di effettiva e concreta strumentalita' con la risoluzione della vicenda e, pertanto, questo giudice e' direttamente chiamato a darvi applicazione. Ne consegue la rilevanza della questione di legittimita' costituzionale della predetta disposizione, quale presupposto necessario del giudizio a quo ai sensi degli articoli 1 della legge Cost. n. 1/1948 e 23, comma 2 della legge n. 87/1953. Stante la chiara lettera della norma denunciata, va risolta con esito negativo la verifica circa la praticabilita' di una diversa esegesi della stessa, non residuando margini per una interpretazione del combinato disposto degli articoli 269, comma 1 del codice civile e 253 del codice civile che non sia quella che impone il previo disconoscimento o contestazione dello status di figlio in cui la persona si trova a pena di improcedibilita' e/o inammissibilita' della domanda dichiarativa, Detta interpretazione non e' conforme a Costituzione, risolvendosi in un grave ostacolo all'esercizio dei diritti umani fondamentali e delle garanzie processuali. Ritiene la Corte che il diritto all'identita' personale e familiare e al nome sia uno dei diritti inviolabili dell'uomo di cui all'art. 2 della Costituzione e che l'incertezza legata all'esito del giudizio di accertamento della paternita' o maternita', il «rischio dell'azione» che, nell'ambito del processo civile e del sistema probatorio in esso previsto, ricade sulla parte, possa condizionare la parte stessa impedendole di agire per far valere tale inalienabile diritto, nonche' ponga la norma in contrasto con l'obbligo della Repubblica di rimuovere ogni ostacolo che impedisca il pieno sviluppo della persona umana (art. 3/2), costituisca un limite ingiustificato per ottenere, tramite azione in giudizio, tutela dei propri diritti (art. 24), violi il principio del giusto processo e di parita' delle parti in esso (art. 111) ponendo una di esse in condizioni di minorazione per la possibilita' condizionata di agire e, quindi, di minor tutela. Nella sentenza della Corte costituzionale n. 50 del 2006, che dichiaro' l'incostituzionalita' dell'art. 274 del codice civile, si afferma che l'intrinseca irragionevolezza della norma fa si' che il giudizio di ammissibilita' ex art. 274 del codice civile si risolva in un grave ostacolo all'esercizio del diritto di azione garantito dall'art. 24 Cost., in relazione ad azioni volte alla tutela di diritti fondamentali, attinenti allo status e all'identita' biologica e che da tale irragionevolezza discende la violazione del precetto sulla ragionevole durata del processo. Situazione analoga si determina con il primo comma dell'art. 269 del codice civile nella parte in cui lo stesso consente l 'azione di disconoscimento soltanto nei casi in cui il riconoscimento sia ammesso. Infatti, anche in questo caso, la parte e' costretta a celebrare due giudizi invece di uno, con pregiudizio per la ragionevole durata del processo. Anche in questo caso, si tratta di azioni volte a tutelare diritti fondamentali, attinenti allo status e all'identita' biologica delle persone, anzi di tratta dei medesimi diritti presi in considerazione dalla sentenza costituzionale n. 50. L'indubbia natura fondamentale dei diritti in oggetto consente di ritenere intollerabile ogni ostacolo che ne limiti o condizioni l'esercizio, con conseguente violazione dell'art. 2 e dell'art. 3 della Costituzione, quest'ultimo nella parte in cui la norma attuale discrimina la persona cui sia stato attribuito uno status non veritiero rispetto a quella cui non sia stato attribuito alcuno status. In ragione di quanto si e' detto, si ritiene non manifestamente infondata la questione di incostituzionalita' dell'art. 269, primo comma del codice civile nella parte in cui ammette l'esercizio dell'azione solo nei casi in cui il riconoscimento e' ammesso. In subordine si ritiene non manifestamente infondata la questione di incostituzionalita' dell'art. 269, primo comma del codice civile, nella parte in cui non consente l'esercizio dell'azione al fine di ottenere una pronuncia condizionata al successivo esercizio dell'azione di disconoscimento.
P. Q. M. Letti gli articoli 134 della Costituzione, l della legge costituzionale n. 1/1948 e 23 della legge n. 87/1953, il Presidente delegato: dichiara manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 253 del codice civile; solleva d'ufficio la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 269, comma 1 del codice civile nei sensi di cui in motivazione e, per l'effetto, sospende il presente giudizio; ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza venga notificata alle parti, al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' comunicata ai Presidente del Senato e al Presidente della Camera dei deputati; dispone l'immediata trasmissione degli atti, comprensivi della documentazione attestante il perfezionamento delle prescritte notificazioni e comunicazioni, alla Corte costituzionale. Salerno, 11 marzo 2021 Il Presidente relatore: de Filippis