N. 217 ORDINANZA (Atto di promovimento) 3 novembre 2021

Ordinanza  del  3  novembre  2021  della  Corte  di  cassazione   nel
procedimento civile promosso  da  B.P.A.  contro  la  Presidenza  del
Consiglio dei ministri. 
 
Magistratura -  Responsabilita'  civile  dei  magistrati  -  Giudizio
  risarcitorio nei confronti  dello  Stato  per  danno  ingiusto  per
  effetto di un comportamento, di un atto o di un provvedimento posto
  in essere dal magistrato con  dolo  o  colpa  grave  nell'esercizio
  delle sue funzioni - Risarcimento  dei  danni  non  patrimoniali  -
  Limitazione  della  risarcibilita'  ai   danni   non   patrimoniali
  derivanti da privazione della liberta' personale. 
- Legge 13 aprile 1988, n.  117  (Risarcimento  dei  danni  cagionati
  nell'esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilita'  civile
  dei magistrati), art. 2, comma 1, nel testo originario. 
Magistratura - Responsabilita' civile dei magistrati - Riforma  della
  responsabilita' civile dello  Stato  e  dei  magistrati  per  danni
  cagionati   nell'esercizio   della   funzione   giurisdizionale   -
  Risarcimento  dei  danni  non  patrimoniali  -  Omessa   estensione
  dell'applicazione della modifica, introdotta dall'art. 2, comma  1,
  lettera a), della legge n. 18 del 2015, all'art. 2, comma 1,  della
  legge n. 117 del 1988, ai giudizi in corso e  per  fatti  anteriori
  alla sua entrata in vigore. 
- Legge 27 febbraio 2015, n.  18  (Disciplina  della  responsabilita'
  civile dei magistrati), art. 2, comma 1, lettera a). 
(GU n.3 del 19-1-2022 )
 
                   LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 
                        Terza sezione civile 
 
    Composta dagli illustrissimi signori magistrati: 
        dott. Franco De Stefano - presidente; 
        dott. Danilo Sestini - relatore consigliere; 
        dott.ssa Chiara Graziosi - consigliere; 
        dott. Emilio Iannello - consigliere; 
        dott. Stefano Giaime Guizzi - consigliere, 
ha pronunciato  la  seguente  ordinanza  interlocutoria  sul  ricorso
20400-2019 proposto da: 
    B.P.A. elettivamente domiciliato  in  Roma,  via  Tacito  n.  41,
presso lo studio dell'avvocato Salvatore Patti, che lo rappresenta  e
difende; 
    Ricorrente contro Stato italiano - Presidenza del  Consiglio  dei
ministri, per legge domiciliato in Roma, via dei  Portoghesi  n.  12,
presso l'Avvocatura  generale  dello  Stato,  che  lo  rappresenta  e
difende; 
    Controricorrente avverso la sentenza n. ... della Corte d'appello
di Salerno, depositata il ...; 
    Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza  del
... dal consigliere dott. Danilo Sestini; 
    Lette le conclusioni  rassegnate  dal  pubblico  ministero  dott.
Mario Fresa; 
 
                           Fatti di causa 
 
    1. Con atto di citazione notificato nell'anno 2008,  P.A.B.  agi'
nei  confronti  della  Presidenza  del  Consiglio  dei  ministri  per
ottenere il risarcimento dei danni patiti per essere stato  coinvolto
- in difetto di qualsivoglia elemento, sia pure indiziario  -  in  un
procedimento  penale  avviato  dalla  Procura  della  Repubblica   di
Catanzaro, nel  quale  si  ipotizzava  un  suo  concorso  esterno  in
associazione a delinquere di stampo mafioso. 
    1.1. Dedusse che il ... era stato sottoposto ad una perquisizione
personale e domiciliare e che il fatto aveva avuto vasta  eco,  tanto
piu' che la procura aveva divulgato il nome dell'attore -  magistrato
in servizio presso la Corte di cassazione  -  e  aveva  dato  notizia
della perquisizione, ma non anche del suo esito  negativo;  che  egli
aveva richiesto invano, anche tramite il proprio difensore, di essere
sentito dai pubblici ministeri inquirenti e che solo  a  distanza  di
due anni la sua posizione era stata stralciata e rimessa alla Procura
della Repubblica di Perugia, che aveva successivamente  trasmesso  il
fascicolo al procuratore della Direzione  distrettuale  antimafia  di
Roma;  che  finalmente,  effettuato  l'interrogatorio  da  parte  del
pubblico ministero, il GIP  del  Tribunale  di  Roma  aveva  disposto
l'archiviazione con decreto depositato il ... 
    Ritenuta sussistente un'ipotesi  di  responsabilita'  civile  dei
magistrati della Procura della Repubblica di Catanzaro, il dott.  ...
richiese il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali. 
    L'amministrazione     convenuta      eccepi'      preliminarmente
l'inammissibilita' della domanda  ai  sensi  dell'art.  5,  legge  n.
117/1988 e, in subordine, ne contesto' la fondatezza. 
    1.2. Il Tribunale di Salerno emise  decreto  di  inammissibilita'
del ricorso, che venne riformato dalla Corte  d'appello  in  sede  di
reclamo,  con  rimessione  degli  atti  al  primo  giudice   per   la
prosecuzione del giudizio. 
    Con  sentenza  depositata  il  ...,  il  medesimo  tribunale,  in
parziale accoglimento della  domanda,  condanno'  la  Presidenza  del
Consiglio  dei  ministri  al  risarcimento  dei  danni   patrimoniali
(liquidati in 11.959,60 euro), oltre accessori e  spese  processuali;
escluse, invece,  il  risarcimento  dei  danni  non  patrimoniali  in
assenza  di  atti  che  avessero  privato  l'attore  della   liberta'
personale. 
    Il dott. B.  propose  appello,  insistendo  per  la  condanna  al
risarcimento  dei  danni  non  patrimoniali,  mentre  la   Presidenza
resistette  e  propose  appello  incidentale,  chiedendo  l'integrale
rigetto della domanda risarcitoria. 
    1.3. La Corte  d'appello  di  Salerno  ha  rigettato  entrambi  i
gravami, confermando la sentenza impugnata e compensando le spese del
grado. 
    La Corte ha affermato, fra l'altro, che: 
        la legge n. 18/2015, nella parte in cui ha modificato  l'art.
2 della legge n. 117/1988 sopprimendo  le  parole  «che  derivino  da
privazione della liberta' personale», ha una portata innovativa e non
costituisce interpretazione autentica della precedente disciplina; 
        va del pari escluso il dubbio di legittimita'  costituzionale
dell'art. 2  della  legge  n.  117/1988  (nel  testo  anteriore  alle
modifiche  del  2015),  in  relazione  agli  articoli  2  e  3  della
Costituzione, atteso che «il  legislatore  del  1988  [...],  con  la
limitazione dei soli danni patrimoniali ha effettuato  la  scelta  di
contemperare   interessi   di   pari    rilevanza    costituzionale»,
circoscrivendo la  responsabilita'  conseguente  all'esercizio  della
funzione giudiziaria «ad ipotesi specifiche e a distinte categorie di
danni»; 
        «al  fine  di  affermare  la  risarcibilita'  dei  danni  non
patrimoniali non puo' poi  ritenersi  praticabile  la  tecnica  della
"interpretazione costituzionalmente e  convenzionalmente  orientata",
giacche' essa trova spazio soltanto laddove si  tratti  di  adeguare,
attraverso l'interpretazione, una generica formula legislativa ovvero
un istituto giuridico ai mutamenti economico-sociali intervenuti  nel
tempo, ma  non  puo'  invece  utilizzarsi  in  contrasto  col  tenore
letterale della legge»; 
        «per analoghe ragioni non si ritiene praticabile  neppure  la
soluzione della disapplicazione dei limiti dettati dall'art. 2, comma
1, legge n. 117/1988 per contrasto con non meglio  specificate  norme
della  Convenzione  europea  dei  diritti  dell'uomo  e  del  sistema
comunitario sulla tutela della persona e dei diritti fondamentali»; 
        «non consentono poi di pervenire a diversa decisione  neppure
gli ulteriori argomenti addotti dall'appellante principale,  e  cioe'
la vincolativita' del provvedimento di ammissibilita'  della  domanda
reso  su  reclamo   dalla   Corte   d'appello,   l'accettazione   del
contraddittorio da parte della Presidenza del Consiglio dei  ministri
ed i provvedimenti del GI sulle istanze istruttorie». 
    1.4. Il dott. B. ha proposto ricorso per cassazione,  affidato  a
tre  motivi,  avverso  il   quale   l'intimata   ha   resistito   con
controricorso. 
    Il  pubblico  ministero  ha  depositato  conclusioni   ai   sensi
dell'art. 23, comma 8-bis del decreto-legge n. 137/2020,  convertito,
con modificazioni, in legge n. 176/2020,  chiedendo  il  rigetto  del
ricorso. 
    Depositate memorie, questo e' stato infine  trattato  all'udienza
pubblica del ..., tenuta in forma camerale  ai  sensi  dell'art.  23,
comma 8-bis, decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137,  convertito,  con
modificazioni,  dalla  legge  18  dicembre   2020,   n.   176,   come
successivamente prorogato al 31 luglio 2021  dall'art.  6,  comma  1,
lettera  a),  n.  1)  del  decreto-legge  1°  aprile  2021,  n.   44,
convertito, con modificazioni, dalla legge 28 maggio 2021, n. 76. 
 
                       Ragioni della decisione 
 
    1. Intervenuto   giudicato    interno    sulla    responsabilita'
risarcitoria dello Stato  italiano  in  ordine  all'an  debeatur,  il
ricorso verte esclusivamente sulla  spettanza  del  risarcimento  del
danno non patrimoniale, che e' stata negata dalla Corte  territoriale
con decisione che viene qui impugnata, sotto diversi profili,  con  i
tre motivi. 
    1.1. Il primo motivo denuncia «violazione e/o falsa  applicazione
degli articoli 11 disp. prel.  del  codice  civile;  della  legge  n.
18/2015, tutti con riferimento all'art. 360, comma 1, n. 3 del codice
di procedura civile». 
    Premesso che la Corte d'appello e' incorsa  in  un  equivoco  nel
ritenere  che  l'appellante  abbia  inteso  attribuire  alla  novella
carattere di interpretazione autentica  al  fine,  di  sostenerne  la
retroattivita', il ricorrente ribadisce che la legge n.  18/2015  non
ha carattere innovativo o costitutivo, avendo invece operato una mera
ricognizione ed una  corretta  «lettura»  dei  valori  gia'  presenti
nell'ordinamento interno e sovranazionale, al cui rispetto ha  voluto
conformare lo statuto della responsabilita'  civile  dei  magistrati,
eliminando ex tunc l'incompatibilita'  del  sistema  con  il  diritto
dell'Unione europea, cosi' come interpretato dalla Corte di giustizia
nella sentenza del 24 novembre 2011 resa nella causa C-379/2010. 
    Richiamato l'art. 1 della  legge  n.  18/2015  (che  dichiara  di
modificare le norme della legge  n.  117/1988  «al  fine  di  rendere
effettiva la disciplina che regola la  responsabilita'  civile  dello
Stato e dei magistrati, anche alla luce dell'appartenenza dell'Italia
all'Unione europea»), rileva - altresi' - che  «l'effettivita'  della
tutela giurisdizionale - ossia pienezza ed integralita' della  misura
riparatoria   -   e'   un   valore   fondamentale    dell'ordinamento
comunitario». 
    Sotto altro profilo, il ricorrente assume che «all'applicabilita'
della legge n. 18/2015 non avrebbe potuto, poi, ritenersi ostativa la
mancanza di una disciplina transitoria», rilevando che, al contrario,
«tale mancanza puo' intendersi come implicitamente rivelatrice  della
volonta' del legislatore di consentire l'applicabilita'  della  nuova
legge ai giudizi in corso, ben potendo la retroattivita' presumersi». 
    Deduce, inoltre, che: 
        la decisione impugnata, nel ritenere operante  la  precedente
disciplina limitativa del  risarcimento,  «si  pone  in  irriducibile
contrasto con la ratio della stessa  legge  e,  soprattutto,  con  il
diritto europeo»; 
        «ad escludere il carattere innovativo della  novella  sarebbe
stato  sufficiente  considerare  il  tenore  letterale  dell'impianto
normativo, che [...] si e' limitato ad apportare al testo  previgente
interventi selettivi e  miranti  al  fine  di  rendere  la  normativa
conforme ai parametri costituzionali e sovranazionali»; 
        il  principio  di   irretroattivita'   della   legge   civile
troverebbe comunque  un  limite  con  riferimento  ai  «rapporti  non
esauriti» e, qualora, come  nel  caso  di  specie,  «il  fatto  resti
identico nella sua disciplina, ossia nella sua riconducibilita'  alla
sfera dell'illecito civile  sia  secondo  il  vecchio  che  il  nuovo
regime,  allora  il  principio  dell'irretroattivita'  non   potrebbe
operare,   trattandosi   solo   di   disciplinare,   secondo    nuove
disposizioni, effetti permanenti del fatto anteriore». 
    1.2. Il secondo  motivo  denuncia  la  violazione  e/o  la  falsa
applicazione  degli  articoli  2059  del  codice  civile,   3   della
Costituzione e 2 della legge n. 117/1988,  con  riferimento  all'art.
360, comma 1, n. 3 e n. 4 del codice di procedura civile,  e  censura
la sentenza impugnata nella parte in cui ha rigettato la richiesta di
interpretazione costituzionalmente o convenzionalmente orientata. 
    Il ricorrente assume che la norma dell'art. 2, legge n.  117/1988
risulta  in  palese  contrasto  con  i  parametri  costituzionali  di
eguaglianza e ragionevolezza di cui all'art. 3 della Costituzione,  e
che costituisce «opzione ermeneutica obbligata» quella di leggere  la
norma in senso conforme  alla  Costituzione;  rileva,  altresi',  che
(come reso evidente  dallo  sviluppo  della  giurisprudenza  relativa
all'art. 2059 del codice civile: segnatamente,  Cassazione,  S.U.  n.
26972/2008),  si   impone   una   lettura   adeguatrice   sul   piano
costituzionale,   indipendentemente   da    un'espressa    previsione
normativa. 
    Sotto un ulteriore profilo, il ricorrente assume che «la norma in
questione avrebbe potuto essere disapplicata per palese contrasto con
l'ordinamento  comunitario,  nell'ambito  di  una  doverosa   lettura
"convenzionalmente"  orientata,  tenuto   conto   della   ineludibile
necessita', per ciascun Stato-membro, di assicurare tutela  effettiva
ai cittadini danneggiati da  attivita'  illecita  dei  propri  organi
istituzionali, ai Fini di una piena e reale tutela  della  persona  e
dei suoi diritti fondamentali». 
    1.3. Col terzo motivo («violazione e/o falsa  applicazione  degli
articoli 2, 3, 32, 117 della Costituzione; dell'art. 2059 del  codice
civile;  degli  articoli  2  e  3,  legge  n.  117/1988,  tutti   con
riferimento all'art. 360, comma 1,  n.  3  del  codice  di  procedura
civile»), il ricorrente lamenta che: 
        la  Corte  d'appello   ha   erroneamente   negato   efficacia
preclusiva all'ordinanza con  cui  la  medesima  Corte,  in  sede  di
reclamo, aveva ritenuto ammissibile l'azione ai  sensi  dell'art.  5,
legge  n.  117/1988;  assume,  infatti,   che   la   valutazione   di
ammissibilita' riguardava  «tutti  i  presupposti  [...]  perche'  la
domanda potesse essere delibata, e dunque  anche  la  "ricevibilita'"
dell'istanza risarcitoria in tutte le  sue  componenti,  compreso  il
danno non patrimoniale» e aggiunge che  «la  pregnanza  dei  relativi
accertamenti,   compiuti   dal   giudice    del    reclamo,    seppur
incidentalmente,  era   tale   da   conferire   loro   carattere   di
definitivita'»,  rilevando  che  cio'  aveva  trovato  conferma   nel
successivo sviluppo  dell'istruttoria,  che  aveva  riguardato  anche
l'accertamento del danno non patrimoniale; 
        la  Corte  territoriale  ha  erroneamente  e  immotivatamente
ritenuto  manifestamente  infondata  la  questione  di   legittimita'
costituzionale dell'art. 2, legge n. 117/1988, la cui  fondatezza  e'
stata invece significativamente confermata proprio dal fatto  che  la
legge n. 18/2015 ha soppresso la limitazione della risarcibilita' del
danno non patrimoniale, evidentemente qualificandola ingiusta; 
        la  Corte  non  ha  reso   alcuna   motivazione   in   ordine
all'ulteriore questione di legittimita' costituzionale della legge n.
18/2015,  con  riferimento  alla  mancata  previsione  di  una  norma
transitoria che ne consentisse l'applicazione  ai  giudizi  in  corso
(dedotta in relazione ai parametri degli articoli 2,  3  e  32  della
Costituzione). 
    2.  Le  norme  di  cui  il  ricorrente  assume   l'illegittimita'
costituzionale si identificano  nel  testo  originario  dell'art.  2,
comma 1, della legge n. 117/1988 -  il  quale  prevede  che  «chi  ha
subito un danno ingiusto per effetto di un comportamento, di un  atto
o di un provvedimento giudiziario posto in essere dal magistrato  con
dolo o colpa grave  nell'esercizio  delle  sue  funzioni  ovvero  per
diniego di giustizia puo' agire  contro  lo  Stato  per  ottenere  il
risarcimento  dei  danni  patrimoniali  e   anche   di   quelli   non
patrimoniali che derivino da privazione della liberta' personale» - e
nella legge n. 18/2015, che ha disposto, all'art. 2, comma 1, lettera
a), la soppressione, nell'anzidetta norma del 1988, delle parole «che
derivino da privazione della  liberta'  personale»,  con  conseguente
riconoscimento del risarcimento sia per i danni  patrimoniali  che  -
senza limitazione alcuna - per  quelli  non  patrimoniali,  ma  senza
prevedere una disciplina  transitoria  per  estendere  l'applicazione
della modifica ai  giudizi  in  corso,  ancorche'  relativi  a  fatti
verificatisi prima della sua entrata in vigore. 
    3. Ritiene il collegio che l'infondatezza dei primi due mezzi  di
ricorso e del primo profilo  del  terzo  imponga  la  disamina  della
questione di legittimita' costituzionale sollevata dal ricorrente con
il secondo profilo di quest'ultima: e che quella sia rilevante e  non
manifestamente infondata, nei termini di seguito indicati. 
    3.1. In punto di rilevanza, va considerato, per un verso, che  la
dichiarazione di incostituzionalita' della  norma  determinerebbe  la
cassazione  della  sentenza   impugnata   -   travolgendo   la   sola
disposizione in base alla quale, istruita la domanda in  primo  grado
anche sui danni  non  patrimoniali,  la  relativa  pretesa  e'  stata
respinta dal giudice del merito - e; per altro verso, che il ricorso,
che verte ormai appunto esclusivamente sulla risarcibilita' dei danni
non patrimoniali  da  attivita'  giurisdizionale  diversi  da  quelli
cagionati dalla privazione  della  liberta'  personale,  non  risulta
altrimenti accoglibile sulla base delle altre censure articolate  dal
ricorrente e neppure alla stregua  di  un'interpretazione  di  quelle
norme costituzionalmente orientata. 
    Al riguardo, valgano le considerazioni che seguono. 
    3.1.1. Va premesso che, collocandosi i fatti posti a  base  della
richiesta risarcitoria interamente nell'arco temporale (compreso  fra
l'effettuazione della perquisizione e il decreto di archiviazione)  e
non essendo stato dedotto che i danni non patrimoniali lamentati  dal
ricorrente si siano verificati in epoca  successiva,  deve  ritenersi
che sia le condotte lesive  che  la  produzione  dei  danni  ricadano
interamente sotto la disciplina del  testo  originario  dell'art.  2,
legge n. 117/1988, vigente ratione temporis, va escluso pertanto  che
la vicenda, ancorche'  ancora  pendente  in  sede  giudiziale,  possa
essere considerata «non esaurita» e tale da poter ricadere nel regime
novellato dalla legge n.  18/2015;  invero,  la  circostanza  che  il
diritto non sia stato in grado di sorgere (in quanto non riconosciuto
dall'ordinamento alla stregua della legge n. 117/1988) al momento  in
cui si verificarono i fatti lesivi e i danni conseguenti comporta, in
difetto di norma espressa o chiaramente interpretabile in tal  senso,
che lo stesso  non  possa  considerarsi  suscettibile  di  venire  ad
esistenza successivamente, per effetto di una norma sopravvenuta, nel
corso di un giudizio in cui un siffatto diritto  non  avrebbe  potuto
essere, azionato. 
    3.1.2.  A  fronte  della  mancanza  di  previsioni  espresse   di
retroattivita'  della  legge  n.  18/2015,  che  valgano  a  derogare
espressamente alla regola prevista dall'art.  11  delle  disposizioni
sulla legge in generale, deve escludersi che la retroattivita'  possa
comunque desumersi dalla natura dell'intervento legislativo del 2015. 
    3.1.3. Ed invero: 
        non  e',  condivisibile  l'assunto  che  l'assenza   di   una
disciplina transitoria sia implicitamente rivelatrice della  volonta'
del legislatore di estendere la nuova disciplina ai giudizi in corso,
dovendosi  evidenziare  che  proprio  l'esistenza  di  un   principio
generale  di  irretroattivita'  comporta  che  la  retroattivita'  ne
costituisce un'eccezione e richiede che sia prevista espressamente o,
comunque, che sia desumibile in modo univoco  dalla  natura  e  dalla
finalita' della normativa successiva; 
        ne' la circostanza che il legislatore avrebbe  effettuato  un
intervento di tipo «selettivo» sul tessuto della normativa del  1988,
al  fine  di  renderla  conforme  ai   parametri   costituzionali   e
sovranazionali (secondo il  testo  esplicito  della  disposizione  di
esordio della novella), puo' valere a porre in non cale il fatto  che
le modifiche introdotte dalla legge n. 18/2015 hanno inciso  in  modo
rilevante sulla precedente normativa e - con specifico riferimento  a
quanto oggetto del ricorso - hanno riconosciuto in  termini  generali
la  risarcibilita'  del  danno  non  patrimoniale,   con   previsione
radicalmente innovativa rispetto alla disposizione  che  lo  limitava
alle ipotesi di privazione della liberta' personale; 
        a maggior ragione, non appare condivisibile l'assunto che non
si porrebbe neppure una questione di retroattivita', per il fatto che
la legge n. 18/2015 non  avrebbe  natura  innovativa  o  costitutiva,
bensi' meramente ricognitiva di valori gia' presenti nell'ordinamento
interno e in quello sovranazionale; non giovano al ricorrente ne'  il
richiamo alla sentenza resa dalla CGUE nella  causa  C-379,  che  non
affronta  la  questione  della  tipologia  dei  danni  risarcibili  e
comunque   si   riferisce   espressamente   alle    fattispecie    di
responsabilita' da violazione del diritto eurounitario e non pure del
diritto interno, ne' il  riferimento  al  principio  di  effettivita'
della tutela giurisdizionale immanente nel primo di quelli,  giacche'
tale principio non  incide  sulla  discrezionalita'  del  legislatore
nazionale. nell'individuazione delle categorie dei danni risarcibili. 
    3.1.4.  Quanto   alla   sostenuta   possibilita'   di   pervenire
all'applicazione del nuovo regime sulla  base  di  un'interpretazione
adeguatrice o costituzionalmente orientata, a confutazione della tesi
del ricorrente deve convenirsi col pubblico ministero che,  in  senso
sostanzialmente conforme a quanto sul  punto  correttamente  motivato
dalla Corte territoriale, la stessa e' ammessa quando  si  tratti  di
adeguare, merce' appunto l'interpretazione, una  formula  legislativa
generica od ampia ai mutamenti economici e  sociali  intervenuti  nel
frattempo, ma non anche in contrasto con il chiaro  tenore  letterale
della legge. 
    3.1.5. Ancora: non risulta condivisibile l'assunto che  la  Corte
territoriale dovesse disapplicare la  norma  interna  limitativa  del
risarcimento del danno non  patrimoniale  per  palese  contrasto  con
l'ordinamento comunitario od eurounitario, giacche' il  principio  di
effettivita' della tutela giurisdizionale (declinato  dal  ricorrente
alla luce degli articoli 19.1 TUE e 47 della c.d. Carta di Nizza) non
consente di individuare, nello specifico, una manifesta  contrarieta'
della disciplina  nazionale  rispetto  al  diritto  dell'Unione,  non
essendo da questo tutelato un diritto al  risarcimento  di  qualsiasi
danno derivante dall'attivita' giurisdizionale, ma soltanto di quello
cagionato nell'interpretazione delle norme eurounitarie e per di piu'
senza peraltro escludere la limitazione della diretta  risarcibilita'
ad alcune soltanto delle categorie di conseguenze dannose. 
    3.1.6. Inoltre, neppure si puo' ritenere che la novella del  2015
abbia semplicemente eliminato un limite alla risarcibilita' dei danni
non patrimoniali, sicche' questa si potrebbe considerare in grado  di
espandersi automaticamente a tutte le relative  tipologie  e  neppure
verrebbe in considerazione  una  questione  di  retroattivita'  della
norma  sopravvenuta:  lo  stesso  impianto  originario  della   norma
identificava le categorie dei danni risarcibili e la  considerazione,
tra questi, di quelli non patrimoniali derivanti da privazione  della
liberta' personale determinava l'oggetto specifico di tutela  in  via
diretta ed immediata, non gia'  mediante  limitazione  od  esclusione
all'interno della generica fattispecie del  danno  non  patrimoniale,
evidentemente per la valutazione di risarcibilita',  propria  se  non
altro di un bene individuato contesto storico, di una ben  delimitata
categoria di  danni  conseguenti  all'attivita'  giurisdizionale,  in
bilanciamento di altri valori di rango  costituzionale  espressamente
considerati dalla giurisprudenza  anche  della  Consulta  (fin  dalla
sentenze 18 del 1989 e 468 del 1990). 
    3.1.7. E', infine,  manifestamente  infondato  l'assunto  che  la
mancata impugnazione del provvedimento di ammissibilita' del  ricorso
emesso dalla Corte d'appello a  seguito  del  reclamo  del  dott.  B.
determinerebbe un vincolo definitivo  in  punto  di  «"ricevibilita'"
dell'istanza risarcitoria in tutte le  sue  componenti,  compreso  il
danno non patrimoniale»: il filtro di ammissibilita' di cui  all'art.
5, legge n. 117/1988 era infatti finalizzato a verificare soltanto la
ricorrenza dei presupposti di cui agli articoli 2, 3 e 4 e a valutare
se  sussistesse  manifesta  infondatezza  della  domanda,   ossia   a
effettuare una delibazione preliminare in  tal  senso,  pertanto  del
tutto inidonea a pregiudicare in alcun modo l'esito del giudizio o  a
determinare giudicati interni, tanto meno sul  merito  delle  pretese
oggetto di causa. 
    3.2. In punto di non manifesta infondatezza  della  questione  di
legittimita' costituzionale, il ricorrente assume che erroneamente la
limitazione dei .danni risarcibili e' stata ritenuta giustificata  in
ragione del bilanciamento tra il diritto del  danneggiato  ad  essere
integralmente   risarcito   e   il    rispetto    dell'autonomia    e
dell'indipendenza della magistratura, laddove  -  si  sostiene  -  la
limitazione  risarcitoria  «non  ha  nessuna  connessione»  con  tali
esigenze,  soprattutto   in   un   sistema   che   non   prevede   la
responsabilita' diretta del magistrato, bensi' soltanto  indiretta  e
con rivalsa soggetta a limiti quantitativi. 
    Il ricorrente evidenzia che, a differenza di quanto  previsto  da
altre normative di settore per le quali la  Corte  costituzionale  ha
ritenuto che i limiti alla responsabilita' civile andassero esenti da
censure di illegittimita' in  quanto  giustificati  dall'esigenza  di
assicurare un equo bilanciamento con valori di  rango  costituzionale
(in proposito richiamando Corte costituzionale n.  235/2014  e  Corte
costituzionale  n.  182/1985),  difettano,  in  relazione  al   testo
originario dell'art. 2,  legge  n.  117/1988,  «contrappesi»  per  le
vittime  di  errori  giudiziari,  essendo   pertanto   «assurda»   la
limitazione del ristoro della lesione  di  beni  primari  di  rilievo
costituzionale, con la conseguenza che «la  mancanza  di  ragionevole
bilanciamento con i  valori  costituzionali,  rendeva  la  precedente
formulazione dell'art. 2 della legge n.  117/1988  costituzionalmente
illegittima, sul riflesso che la limitazione dei  danni  patrimoniali
risultava priva di ragionevolezza e plausibilita' razionale». 
    Rileva dunque  il  ricorrente  che  quella  offerta  dalla  Corte
d'appello costituisce «solo mera parvenza di  giustificazione,  posto
che non vi e' alcuna connessione tra "il  discredito  della  funzione
giudiziaria" con il diritto del  ricorrente  a  vedersi  tutelato  il
proprio diritto  al  risarcimento»,  e  ribadisce  la  necessita'  di
sollevare la questione di legittimita' costituzionale, individuandone
i parametri di riferimento negli  articoli  2,  3,  32  e  117  della
Costituzione (stante - quanto a quest'ultimo - «l'evidente  contrasto
dell'art. 2, legge n. 117/1988 con il diritto dell'Unione europea»). 
    Aggiunge  che  la  Corte  d'appello  non   ha   espresso   alcuna
motivazione  «in  ordine  all'ulteriore  eccezione  di   legittimita'
costituzionale della legge n. 18/2015, con riferimento  alla  mancata
previsione di una norma transitoria che ne consentisse l'applicazione
ai giudizi in corso»; eccezione che mirava «ad ottenere una pronuncia
additiva del giudice delle leggi, posto che la questione -  correlata
a quella dell'immediata applicabilita' della nuova  legge  -  era  da
intendere, in parte qua, come rilievo  di  incostituzionalita'  della
stessa   disciplina   ove   interpretata   nel   senso   della    sua
inapplicabilita' ai giudizi in corso, per violazione  degli  articoli
2, 3 ed anche 32 della Costituzione». 
    3.2.1. Ritiene il collegio che, nonostante  la  congruenza  e  la
coerenza  delle   argomentazioni   della   Corte   territoriale,   le
considerazioni svolte  dal  ricorrente  determinino  comunque  idonee
ragioni di dubbio sulla non manifesta  infondatezza  in  ordine  alla
legittimita' costituzionale  delle  norme  sopra  individuate,  sotto
entrambi i profili dedotti  ed  in  riferimento  ai  parametri  degli
articoli 2, 3 e 32 della Costituzione, tali da imporre la  rimessione
delle relative questioni al giudice delle leggi. 
    Cio' in quanto: 
        con riferimento alla legge del 1988, ci si  deve  interrogare
sulla ragionevolezza, sul piano costituzionale e quale  bilanciamento
con i principi dell'indipendenza dei magistrati  e  dell'autonomia  e
della   pienezza   dell'esercizio   della    funzione    giudiziaria,
dell'esclusione del risarcimento per  una  categoria  dei  danni  non
patrimoniali (quelli non correlati  alla  privazione  della  liberta'
personale), a fronte di una  normativa  che  riconosceva  l'idoneita'
delle condotte individuate dall'art. 2  della  legge  n.  117/1988  a
determinare  danni  sia  patrimoniali  che   non   patrimoniali;   in
particolare,  deve  valutarsi  se   tale   scelta   normativa   fosse
giustificata da un  ragionevole  bilanciamento  fra  il  diritto  del
soggetto ingiustamente danneggiato da un provvedimento giudiziario ad
ottenere l'integrale ristoro del pregiudizio subito e la salvaguardia
delle funzioni giudiziarie da  possibili  condizionamenti,  a  tutela
dell'indipendenza    e    dell'imparzialita'    della    magistratura
(bilanciamento che e' stato richiamato, in relazione ad altri profili
della medesima normativa, da Corte costituzionale n. 164/2017,  anche
in riferimento a Corte costituzionale n. 2/1968 e n.  26/1987,  e  da
Corte costituzionale n. 18/1989 e n. 468/1990); 
        invero, nell'ambito di un ordinamento giuridico che riconosce
massima espansione ai diritti della persona e alla  tutela  dei  suoi
valori, non e' fuor di  luogo  dubitare  della  ragionevolezza  della
scelta  di  far  dipendere  il  riconoscimento  o  l'esclusione   del
risarcimento  per  poste  afferenti  ad  una  medesima  categoria  di
pregiudizio (quello non patrimoniale) dal solo fatto  che  l'illecito
che  ha  determinato  il  danno  sia  o  non  sia  costituito  da  un
provvedimento  limitativo  della  liberta'  personale,   con   totale
irrilevanza delle conseguenze, in concreto intervenute, di  attivita'
giudiziarie che nelle peculiarita' della singola fattispecie  possano
essersi rivelate particolarmente invasive della sfera  dell'individuo
e lesive di valori di rango costituzionale; e, d'altra parte, occorre
verificare se la tutela dell'indipendenza e dell'imparzialita'  della
magistratura comportasse effettivamente la necessita' di escludere in
radice  il  risarcimento  per  una  categoria  di   pregiudizi   (non
individuati in base alla natura, ma alla  fonte)  nell'ambito  di  un
sistema (quale  quello  poi  confermato  dalla  legge  Pinto,  la  n.
89/2001) che gia' nel testo del  1988  prevedeva  la  responsabilita'
diretta unicamente a carico dello Stato e solo quella indiretta,  per
di piu' con rivalsa limitata, per il magistrato autore degli  atti  e
provvedimenti causativi del danno; 
        peraltro, per quanto debba convintamente  escludersi  che  la
modifica introdotta dalla novella dei 2015 possa  costituire  di  per
se' sola sicuro indice sintomatico dell'illegittimita' costituzionale
della norma modificata, non puo' sottacersi che la scelta  effettuata
dal piu' recente legislatore lascia dubitare  della  correttezza  e/o
inevitabilita' e,  quindi,  della  ragionevolezza  del  bilanciamento
compiuto dal legislatore del 1988 e, in ogni caso,  della  tenuta  di
quest'ultimo in riferimento si a fatti anteriori e cosi a fattispecie
tecnicamente compiute, ma ancora sub iudice; 
        se e' pur vero che, nella specifica materia del  risarcimento
del danno non patrimoniale ed  in  riferimento  a  ipotesi  di  danno
biologico  di  lieve  entita',  il   giudice   delle   leggi   (Corte
costituzionale  n.  235/2014)  ha  avuto  modo  di   riconoscere   la
ragionevolezza  del  bilanciamento  fra   «l'interesse   risarcitorio
particolare del danneggiato» e «quello,  generale  e  sociale,  degli
assicurati ad avere un livello accettabile e  sostenibile  dei  premi
assicurativi», deve tuttavia  considerarsi  che,  in  quel  caso,  il
bilanciamento e' stato individuato in  relazione  ad  una  disciplina
che, senza escludere il  risarcimento,  impone  soltanto  un  «tetto»
risarcitorio e che il  rapporto  di  vicendevole  dipendenza  fra  il
contenimento dei risarcimenti e quello dei premi risulta apprezzabile
con immediata evidenza; 
        con riferimento alla legge  n.  18/2015,  l'incertezza  sulla
legittimita'  costituzionale  (ed  il  conseguente  dubbio   di   non
manifesta  infondatezza  della   relativa   questione)   segue   alla
considerazione che, nel momento in cui ha rimosso la  limitazione  al
risarcimento dei danni non patrimoniali, il legislatore della novella
non si e' posto il problema della sorte  dei  giudizi  pendenti,  non
prevedendo una disposizione che  estendesse  la  nuova  disciplina  a
fatti verificatisi anteriormente, ma  ancora  sub  iudice;  con  cio'
negando  la   possibilita'   di   applicare   a   situazioni   ancora
giustiziabili il principio di globalita' risarcitoria,  che  pure  ha
evidentemente  poi  ritenuto  conforme   alla   mutata   sensibilita'
giuridica  e  finendo,  quindi,   per   legittimare   la   perdurante
applicazione alle situazioni  pregresse  di  un  regime  risarcitorio
ormai  superato  sul  piano  normativo;   il   che   puo'   rilevare,
all'evidenza, sotto i profili della disparita' di trattamento e della
violazione  dei  principi  di  effettivita'   ed   integralita'   del
risarcimento correlato  alla  violazione  di  diritti  primari  della
persona; e, in definitiva, della ragionevolezza  di  una  disciplina,
non altrimenti interpretabile, la quale impone che,  in  relazione  a
vicende verificatesi interamente  nella  vigenza  del  vecchio  testo
dell'art. 2, legge  n.  117/1988  ma  ancora  non  definite  in  sede
giudiziaria,  i  danni  cagionati   nell'esercizio   delle   funzioni
giudiziarie debbano essere risarciti  -  ad  oggi  ed  esclusivamente
nell'ambito dei giudizi ancora in corso - sulla  base  di  una  norma
abrogata fin dal 2015 siccome  ritenuta  non  piu'  rispondente  alla
mutata sensibilita' sociale. 
    3.2.2.  Infine,  non  rileva  che   i   dubbi   di   legittimita'
costituzionale appena affrontati possano in tesi essere  superati  in
base ad argomenti anche coerenti e congrui,  come  quelli  sviluppati
dalla Corte territoriale, in base ai quali sostenere la  legittimita'
originaria della limitazione e perfino quella della  carenza  di  una
normativa transitoria sull'estensione ai fatti pregressi  ancora  sub
iudice. 
    Tali argomenti  a  favore  della  conformita'  delle  norme  alla
Costituzione superano  il  limite  della  manifesta  infondatezza  ed
attingono, riguardando l'alternativa tra fondatezza  ed  infondatezza
tout court, il merito di una  questione  di  conformita'  alla  Carta
fondamentale: la quale, neppure  potendo  questa  Corte  prescegliere
alcuna  altra  interpretazione  che   possa   dirsi   conforme   alla
Costituzione, non puo'  essere  allora  affrontata  direttamente  dal
giudice  che  quelle  norme  deve  applicare,  nemmeno  ove   potesse
condividere la soluzione offerta nella gravata sentenza,  se  non  ai
prezzo insostenibile di eludere l'obbligo di legge di  rimetterne  la
risoluzione alla Consulta. 
    Va infatti esclusa, per quanto  detto,  anche  un'interpretazione
delle norme richiamate che ne  implichi  un'applicazione  conforme  a
Costituzione, visto che in via interpretativa  non  si  scorge  alcun
modo per evitare la conclusione dell'inestensibilita', ai giudizi  in
corso per fatti anteriori  alla  novella,  della  risarcibilita'  dei
danni  non  patrimoniali  da  attivita'  giurisdizionale   pure   non
derivanti da privazione della liberta' personale. 
    Pertanto, non si vede altra scelta che rimettere  la  risoluzione
delle   questioni   al   giudice   delle   leggi,   unico    titolare
dell'attribuzione di valutare la  legittimita'  costituzionale  delle
norme, ove la loro non conformita' alla Carta risulti suscettibile di
dubbi  che,  come  nella  specie,  non  si  palesino   manifestamente
infondati e non siano superabili in via di interpretazione. 
    4. Restano  impregiudicate  le  questioni  di  conformita'  delle
stesse norme, oggetto di rimessione  alla  Corte  costituzionale,  ai
parametri  sovranazionali  invocati  dal  ricorrente:  sicche'   esse
potranno  essere  prese  in  esame  in  punto  di  ammissibilita'   e
persistente rilevanza e, se del caso, nel merito solo all'esito della
risoluzione del relativo incidente potranno essere  prese  in  esame,
nella misura in cui ne restino coinvolti i medesimi profili. 
    5. In conclusione, deve ritenersi rilevante e non  manifestamente
infondata - in relazione agli articoli 2, 3 e 32 della Costituzione -
la questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  2,  comma  1,
legge 13 aprile 1988, n. 117 (nel testo  originario,  anteriore  alla
novella di cui appresso), nella parte in cui esclude il  risarcimento
del danno, cagionato nell'esercizio delle funzioni  giudiziarie,  non
patrimoniale non derivante da privazione  della  liberta'  personale,
nonche' della legge 27 febbraio 2015, n. 18, nella parte in  cui  non
ha previsto l'applicazione della  modifica  introdotta  dall'art.  2,
comma 1, lettera a), ai giudizi ancora in corso e per fatti anteriori
alla sua entrata in vigore: e deve di conseguenza disporsi, ai  sensi
dell'art. 23, legge 11 marzo 1952, n. 87, la sospensione del presente
giudizio e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale,  con
gli ulteriori adempimenti di cui in dispositivo. 
 
                              P. Q. M. 
 
    La Corte, visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87: 
        dichiara  rilevante  e  non   manifestamente   infondata   la
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma  1  della
legge 13 aprile 1988, n. 117 - nel testo originario -, nella parte in
cui, prevedendo che colui il quale abbia subito un danno ingiusto per
effetto  di  un  comportamento  posto  in   essere   dal   magistrato
nell'esercizio delle sue funzioni possa agire  contro  lo  Stato  per
ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e  non  patrimoniali,
limita la risarcibilita' dei danni non patrimoniali ai soli  casi  di
privazione della liberta' personale; 
        dichiara  rilevante  e  non   manifestamente   infondata   la
questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  2,  comma  1,
lettera a) della legge 27 febbraio 2015, n. 18, nella  parte  in  cui
non dispone l'applicazione  della  modifica  introdotta  all'art.  2,
comma 1 della legge  n.  117/1988  ai  giudizi  in  corso  per  fatti
anteriori alla sua entrata in vigore; 
        sospende il  presente  giudizio,  mandando  alla  Cancelleria
l'espletamento degli incombenti di cui all'ultimo comma dell'art.  23
della  legge  n.  87/1953  e,  dunque,  la  notifica  della  presente
ordinanza alle parti in causa, al procuratore generale presso  questa
Corte  e  al  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  nonche'  la
comunicazione  della  stessa  ai  Presidenti  delle  due  Camere  del
Parlamento; 
        dispone  l'immediata  trasmissione  degli  atti,  comprensivi
della   documentazione   sul   perfezionamento    delle    prescritte
notificazioni e comunicazioni, alla Corte costituzionale. 
    Cosi' deciso in Roma, in data 7 luglio 2021 
 
                      Il presidente: De Stefano