N. 13 SENTENZA 2 dicembre 2021- 20 gennaio 2022

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Straniero  -  Controversie  in  materia   di   riconoscimento   della
  protezione internazionale - Procura alle liti per  la  proposizione
  del  ricorso   per   cassazione   -   Conferimento,   a   pena   di
  inammissibilita', in data successiva alla comunicazione del decreto
  impugnato - Conseguente  onere  di  certificazione,  da  parte  del
  difensore, della data di  rilascio  della  procura  -  Inosservanza
  dell'onere  -  Effetti  -  Inammissibilita'  del  ricorso,  secondo
  l'interpretazione delle Sezioni unite della  Corte  di  cassazione,
  quale diritto vivente - Denunciata  irragionevolezza,  illogicita',
  violazione del principio di  eguaglianza  e  del  principio,  anche
  convenzionale e comunitario, del giusto processo,  dei  diritti  di
  asilo e di difesa - Non fondatezza delle questioni. 
- Decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35-bis, comma 13. 
- Costituzione, artt. 3, 10, 24 e 111 e 117, primo comma;  Carta  dei
  diritti fondamentali dell'Unione europea, artt. 18,  19,  paragrafo
  2, e 47; direttiva 2013/32/UE, artt. 28 e 46;  Convenzione  per  la
  salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle  liberta'  fondamentali,
  artt. 6, 13 e 14. 
(GU n.4 del 26-1-2022 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giancarlo CORAGGIO; 
Giudici :Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria  de  PRETIS,  Nicolo'
  ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,
  Giovanni  AMOROSO,  Francesco  VIGANO',  Luca   ANTONINI,   Stefano
  PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela  NAVARRETTA,  Maria  Rosaria  SAN
  GIORGIO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  35-bis,
comma 13, del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25  (Attuazione
della direttiva 2005/85/CE recante  norme  minime  per  le  procedure
applicate negli Stati membri  ai  fini  del  riconoscimento  e  della
revoca dello status di rifugiato), come inserito dall'art.  6,  comma
1,  lettera  g),  del  decreto-legge  17   febbraio   2017,   n.   13
(Disposizioni urgenti per l'accelerazione dei procedimenti in materia
di   protezione   internazionale,   nonche'    per    il    contrasto
dell'immigrazione illegale),  convertito,  con  modificazioni,  nella
legge 13 aprile 2017, n. 46,  promosso  dalla  Corte  di  cassazione,
sezione terza civile, nel procedimento vertente tra M.  A.  M.  e  il
Ministero dell'interno, con ordinanza del 23 giugno 2021, iscritta al
n. 137 del  registro  ordinanze  2021  e  pubblicata  nella  Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 38,  prima  serie  speciale,  dell'anno
2021. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 1° dicembre 2021  il  Giudice
relatore Giovanni Amoroso; 
    deliberato nella camera di consiglio del 2 dicembre 2021. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 23 giugno 2021, reg. ord. n. 137 del  2021,
la Corte di cassazione, sezione terza civile, ha sollevato  questione
di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  35-bis,  comma  13,  del
decreto  legislativo  28  gennaio  2008,  n.  25  (Attuazione   della
direttiva 2005/85/CE recante norme minime per le procedure  applicate
negli Stati membri ai fini del riconoscimento e  della  revoca  dello
status di rifugiato) - come inserito dall'art. 6,  comma  1,  lettera
g), del decreto-legge 17 febbraio 2017, n. 13  (Disposizioni  urgenti
per  l'accelerazione  dei  procedimenti  in  materia  di   protezione
internazionale, nonche' per il contrasto dell'immigrazione illegale),
convertito, con modificazioni, nella legge 13 aprile 2017, n.  46  -,
in riferimento agli artt. 3, 10, 24, 111 e 117,  primo  comma,  della
Costituzione, quest'ultimo in relazione agli artt. 28 e 46, paragrafo
11,  della  direttiva  2013/32/UE  del  Parlamento  europeo   e   del
Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai  fini  del
riconoscimento  e   della   revoca   dello   status   di   protezione
internazionale, agli artt. 46, 18 e 19, paragrafo 2, della Carta  dei
diritti fondamentali dell'Unione europea (CDFUE), proclamata a  Nizza
il 7 dicembre 2000 e adattata  a  Strasburgo  il  12  dicembre  2007,
nonche' agli artt. 6, 13 e 14 della Convenzione per  la  salvaguardia
dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU), firmata a
Roma il 4 novembre 1950, ratificata e  resa  esecutiva  con  legge  4
agosto 1955, n. 848 (mentre l'ulteriore indicazione anche dell'art. 7
della Convenzione - Nulla poena sine lege - e' chiaramente  dovuta  a
un refuso grafico e quindi non va considerata). 
    La Corte rimettente riferisce, in punto di fatto e di  rilevanza,
che, nel giudizio di cassazione di un decreto che aveva rigettato  la
domanda di protezione internazionale di un richiedente asilo proposta
in primo grado, il Collegio  aveva  rilevato,  in  limine  litis,  la
mancanza della certificazione della data di  rilascio  della  procura
speciale al difensore. In tale situazione, ai sensi del sesto periodo
della norma censurata - secondo cui «[l]a procura alle  liti  per  la
proposizione del ricorso per cassazione deve essere conferita, a pena
di  inammissibilita'   del   ricorso,   in   data   successiva   alla
comunicazione  del  decreto  impugnato;  a  tal  fine  il   difensore
certifica la data del rilascio in suo favore della procura  medesima»
- per come interpretata nel diritto vivente (e, in particolare, dalla
sentenza della Corte di cassazione, sezioni unite civili,  1°  giugno
2021, n. 15177), dovrebbe dichiarare l'inammissibilita' del  ricorso,
in mancanza di una  specifica  certificazione  della  data  da  parte
dell'avvocato. 
    La Corte rimettente assume, in primo  luogo,  un'incompatibilita'
della disposizione indubbiata con l'art. 3 Cost., in quanto la stessa
sarebbe affetta da irragionevolezza e illogicita' intrinseca. Invero,
lo scopo della disposizione, da individuarsi nella  garanzia  che  il
richiedente sia ancora presente sul territorio dello Stato  e  quindi
abbia un effettivo interesse a una  decisione  sul  ricorso,  avrebbe
dovuto essere perseguito con  una  norma  piu'  adeguata,  volta,  ad
esempio, ad attestare la presenza del ricorrente in Italia a  ridosso
dell'udienza nel procedimento di legittimita' che talora e' celebrata
anche dopo qualche anno dalla proposizione del ricorso. 
    Nell'impostazione  della  Corte   rimettente   l'irragionevolezza
intrinseca  della  previsione  censurata  in  relazione  allo   scopo
perseguito renderebbe privo di una valida ragione  giustificativa  il
trattamento differenziato, rispetto all'ulteriore requisito imposto a
pena di inammissibilita' per la  procura  alle  liti,  tra  cittadini
italiani e richiedenti protezione internazionale nonche'  tra  questi
ultimi e gli altri stranieri. Tale trattamento  differenziato  -  che
ridonderebbe anche in una discriminazione ex art. 14 CEDU -  potrebbe
determinare una violazione del principio di eguaglianza.  Secondo  la
costante giurisprudenza costituzionale (e' citata la sentenza n.  186
del  2020),  il  riferimento  letterale  ai   «cittadini»   contenuto
nell'art. 3 Cost. non osta all'applicazione di tale  principio  anche
agli stranieri, specie ove vengano in rilievo  diritti  fondamentali,
come il diritto d'asilo tutelato dall'art. 10, terzo comma, Cost.  La
norma censurata, come intesa dal diritto vivente, porrebbe  dubbi  di
legittimita'  costituzionale   in   riferimento   al   principio   di
uguaglianza e al  diritto  di  difesa  laddove  introduce  un  regime
processuale  peggiorativo  solo  per  una  determinata  categoria  di
stranieri, anche a fronte di situazioni omogenee. 
    La norma appare, inoltre, alla  Corte  rimettente  frutto  di  un
mancato coordinamento con la  disposizione  in  tema  di  sospensione
degli effetti del decreto di  rigetto  della  domanda  di  protezione
internazionale che  se,  in  origine,  si  estendeva  automaticamente
all'intero giudizio, sino al passaggio in giudicato, oggi si arresta,
ai sensi del comma 13, terzo periodo, del predetto  art.  35-bis  del
d.lgs. n. 25 del 2008, quando, con decreto, anche non definitivo,  il
ricorso e' rigettato in primo  grado.  In  tale  contesto  normativo,
infatti, l'imposizione al richiedente asilo di una presenza effettiva
nel territorio dello Stato ai fini  del  conferimento  della  procura
speciale alle liti dopo l'emanazione del provvedimento  da  impugnare
si  tradurrebbe  in  un  sostanziale  impedimento  alla  proposizione
dell'unico  rimedio  esistente,  ossia  il  ricorso  per  cassazione.
Potrebbe essere cosi' violato il diritto fondamentale del  ricorrente
a una tutela giurisdizionale effettiva, contemplato tanto dagli artt.
24 e 111 Cost., quanto, in riferimento  all'art.  117,  primo  comma,
Cost., dall'art. 47 CDFUE e dagli artt. 6 e 13 CEDU. 
    Rileva ancora il giudice a quo che la disposizione censurata, nel
porre un requisito ulteriore a pena di inammissibilita'  per  i  soli
ricorsi  per   cassazione   proposti   dai   richiedenti   protezione
internazionale, potrebbe porsi in contrasto, inoltre, con l'art.  46,
paragrafo 11, della direttiva 2013/32/UE, che, ai fini della rinuncia
alla  domanda  proposta  dallo  straniero,  richiede  una   esplicita
normativa che non e' stata introdotta nel nostro ordinamento, e, piu'
in generale, con l'art. 47 CDFUE, in virtu' del  quale,  secondo  una
consolidata  giurisprudenza  della  Corte  di  giustizia  dell'Unione
europea, l'autonomia processuale degli Stati membri trova  un  limite
nel rispetto dei criteri  di  equivalenza  e  di  effettivita'  della
tutela. 
    Nella prospettazione della Corte rimettente l'art. 35-bis,  comma
13,  del  d.lgs.  n.  25  del  2008,  laddove  introduce  l'ulteriore
requisito formale  della  certificazione  della  data  della  procura
rilasciata per i soli ricorsi per cassazione in materia di protezione
internazionale, sarebbe suscettibile di violare il predetto canone di
equivalenza  in  quanto  il  legislatore  non  ha  contemplato   tale
requisito in altri procedimenti, da ritenersi  omogenei  in  base  ai
principi espressi nella giurisprudenza europea, attributivi di status
in favore di  cittadini  stranieri,  quali,  ad  esempio,  quello  di
riconoscimento dello status di apolide e quello volto all'ottenimento
della protezione umanitaria  (quest'ultimo  in  base  alla  normativa
applicabile ratione temporis). 
    Sarebbe peraltro sproporzionata la sanzione dell'inammissibilita'
che la norma censurata prevede rispetto all'inosservanza di  un  mero
requisito formale, in un procedimento che, in quanto gia'  "mutilato"
di un riesame nel merito  attraverso  rimedi  quali  l'appello  o  il
reclamo  camerale,  finirebbe  per  ledere  un  diritto  fondamentale
tutelato espressamente dall'art. 10, terzo comma, Cost. 
    Ne' alcuna rilevanza, ad avviso della Corte rimettente,  potrebbe
assumere, per giustificare una disposizione come quella espressa  dal
comma 13 dell'art. 35-bis del d.lgs.  n.  25  del  2008,  un  preteso
«malcostume» di alcuni avvocati nel senso  di  proporre  impugnazioni
sempre e comunque, anche se manifestamente infondate, al solo fine di
ottenere la liquidazione dei  compensi,  conseguente  alla  frequente
ammissione dei ricorrenti al  patrocinio  a  spese  dello  Stato,  in
quanto eventuali  condotte  contrarie  agli  obblighi  di  lealta'  e
probita' e deontologici posti a carico del difensore,  se  accertate,
potrebbero e dovrebbero essere sanzionate sul piano disciplinare  dai
Consigli degli ordini. 
    2.- Con atto del 12 ottobre 2021, e' intervenuto in  giudizio  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  chiedendo  dichiararsi   le
questioni inammissibili e, in ogni caso, manifestamente non fondate. 
    Secondo  la  difesa  statale  le  questioni   dovrebbero   essere
dichiarate  inammissibili  per  carenza   di   oggetto,   in   quanto
l'ordinanza di rimessione censura non tanto l'art. 35-bis del  d.lgs.
n. 25 del 2008, quanto piuttosto l'interpretazione che  dello  stesso
e' stata data dalle Sezioni unite civili, cosi' richiedendo a  questa
Corte un improprio avallo ad una  determinata  interpretazione  della
norma censurata. 
    Nel merito, l'Avvocatura generale rileva, innanzi tutto,  la  non
fondatezza dei dubbi di legittimita' costituzionale che investono, in
via interposta attraverso l'art. 117, primo comma,  Cost.,  le  norme
dell'Unione  europea,  poiche'  nella  fattispecie  considerata   non
sarebbero stati violati i principi di equivalenza e  di  effettivita'
della tutela  che  costituiscono  limite  invalicabile  all'autonomia
processuale degli Stati membri. Cio' in quanto, per un verso, non  vi
e' alcuna materia omogenea a quella della protezione internazionale e
dell'asilo rispetto alla quale puo' essere compiuto  un  giudizio  di
equivalenza. Non potrebbe inoltre predicarsi  alcuna  violazione  del
principio di effettivita', atteso che la disposizione  impugnata  non
e'  in  grado  di  rendere  impossibile  o   eccessivamente   oneroso
l'esercizio  dei  diritti  riconosciuti  dall'ordinamento   giuridico
dell'Unione europea. 
    Secondo la difesa dello Stato, per  altro  verso,  non  sarebbero
fondati i dubbi di legittimita' costituzionale che investono,  sempre
per il  tramite  dell'art.  117,  primo  comma,  Cost.,  i  parametri
convenzionali: in particolare, quanto all'art. 6 CEDU, si osserva che
la Corte europea dei  diritti  dell'uomo  ha  costantemente  ritenuto
legittime le regole processuali, specie se  relative  ai  giudizi  di
impugnazione, purche' previste dalla legge ex ante in maniera  chiara
e univoca. 
    Ne' potrebbe, ad avviso del Presidente del  Consiglio,  assumersi
una violazione del principio di eguaglianza sancito dall'art. 3 Cost.
(ne', parallelamente, una violazione del divieto  di  discriminazione
in base alla nazionalita' ex art. 14 CEDU)  in  quanto  a  venire  in
rilievo e' un requisito del ricorso che non trova  corrispondenti  in
altre situazioni. 
    Secondo la difesa statale dovrebbe  ritenersi  esclusa  anche  la
dedotta violazione dell'art. 24 Cost., che puo'  essere  limitato  in
virtu' di interessi di carattere generale, come quelli che vengono in
rilievo  nella  fattispecie  considerata,  ossia  la  «sostenibilita'
socio-economica  delle  attivita'  connesse  alla  presentazione  del
ricorso ove correlate al patrocinio  a  spese  dello  Stato,  nonche'
l'esigenza  di  un  efficace  sistema  di   tutela   giurisdizionale,
improntato sulla ragionevole durata dei processi», senza  impedire  o
ostacolare eccessivamente l'accesso al rimedio impugnatorio da  parte
del  richiedente  protezione  internazionale,  ma  solo  evitando  il
rischio del rilascio di procure in bianco, che  consentirebbero  agli
avvocati la proposizione di ricorsi per cassazione in nome  anche  di
soggetti non piu' presenti sul territorio dello  Stato  o,  comunque,
non piu' interessati alla prosecuzione del giudizio. 
    3.- Con memoria depositata in data 10 novembre 2021, l'Avvocatura
generale   ha   ribadito   le   proprie   conclusioni    in    ordine
all'inammissibilita'  per  carenza   di   oggetto   delle   questioni
prospettate e alla non fondatezza delle stesse. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con ordinanza del 23 giugno 2021, reg. ord. n. 137 del  2021,
la Corte di cassazione, sezione terza civile, ha sollevato  questione
di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  35-bis,  comma  13,  del
decreto  legislativo  28  gennaio  2008,  n.  25  (Attuazione   della
direttiva 2005/85/CE recante norme minime per le procedure  applicate
negli Stati membri ai fini del riconoscimento e  della  revoca  dello
status di rifugiato) - come inserito dall'art. 6,  comma  1,  lettera
g), del decreto-legge 17 febbraio 2017, n. 13  (Disposizioni  urgenti
per  l'accelerazione  dei  procedimenti  in  materia  di   protezione
internazionale, nonche' per il contrasto dell'immigrazione illegale),
convertito, con modificazioni, nella legge 13 aprile 2017, n.  46  -,
in riferimento agli artt. 3, 10, 24, 111 e 117,  primo  comma,  della
Costituzione, quest'ultimo in relazione agli artt. 28 e 46, paragrafo
11,  della  direttiva  2013/32/UE  del  Parlamento  europeo   e   del
Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai  fini  del
riconoscimento  e   della   revoca   dello   status   di   protezione
internazionale, agli artt. 18, 19, paragrafo 2, e 47, della Carta dei
diritti fondamentali dell'Unione europea (CDFUE), proclamata a  Nizza
il 7 dicembre 2000 e adattata  a  Strasburgo  il  12  dicembre  2007,
nonche' agli artt. 6, 13 e 14 della Convenzione per  la  salvaguardia
dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU), firmata a
Roma il 4 novembre 1950, ratificata e  resa  esecutiva  con  legge  4
agosto 1955, n. 848. 
    1.1- In via preliminare va circoscritto l'oggetto del giudizio di
legittimita'  costituzionale  ad   una   parte   della   disposizione
censurata,  secondo  quanto  risulta  dalla  motivazione  complessiva
dell'ordinanza di rimessione (sentenze n. 267 e n. 223 del  2020,  n.
97 del 2019, n. 35 del 2017 e n. 203 del 2016). 
    In particolare, il comma 13 e' censurato nel suo  sesto  periodo,
che prevede: «La procura alle liti per la  proposizione  del  ricorso
per cassazione deve essere conferita, a pena di inammissibilita'  del
ricorso, in data successiva alla comunicazione del decreto impugnato;
a tal fine il difensore certifica la data di rilascio in  suo  favore
della procura medesima». Ma, in realta', e' solo  quest'ultima  parte
della disposizione - quella che onera il difensore di certificare  la
data  del  rilascio   della   procura,   oltre   l'autografia   della
sottoscrizione  della  stessa  -  ad  essere  attinta  dai  dubbi  di
legittimita' costituzionale. 
    Nella specie, la  Corte  rimettente  e'  adita  con  ricorso  per
cassazione, in materia di protezione internazionale, proposto da  uno
straniero richiedente asilo che ha rilasciato la procura speciale  al
suo difensore; procura che non contiene anche la  certificazione,  ad
opera del difensore, della data di rilascio della stessa. 
    La disposizione censurata e'  stata  interpretata  dalle  sezioni
unite  civili  della  Corte  di  cassazione,  a  composizione  di  un
contrasto di giurisprudenza, nel senso che la mancata  certificazione
della data di rilascio della procura da parte del difensore e'  causa
di inammissibilita' del ricorso per cassazione (Corte di  cassazione,
sezioni  unite  civili,  sentenza  1°   giugno   2021,   n.   15177);
interpretazione questa che puo' ritenersi costituire diritto vivente. 
    Il   Collegio   rimettente,    nel    valutare    preliminarmente
l'ammissibilita', o no, del ricorso, mostra di non condividere questo
principio di diritto argomentando plurimi dubbi,  non  manifestamente
infondati, di legittimita' costituzionale della  disposizione,  cosi'
interpretata, in riferimento agli indicati parametri. 
    1.2.-  La  Corte  di   cassazione   assume,   in   primo   luogo,
un'incompatibilita' della norma censurata  con  l'art.  3  Cost.,  in
quanto la stessa sarebbe affetta da  irragionevolezza  e  illogicita'
intrinseca. Invero lo  scopo  perseguito  dalla  disposizione,  ossia
assicurare la presenza del richiedente sul  territorio  dello  Stato,
non ne giustificherebbe i contenuti. 
    La sua  irragionevolezza  intrinseca,  in  relazione  allo  scopo
perseguito, renderebbe privo di una valida ragione giustificativa  il
trattamento differenziato, costituito  dall'onere  del  difensore  di
certificare anche la data di conferimento della procura  a  ricorrere
per cassazione, previsto dalla norma censurata come  onere  ulteriore
rispetto a quanto stabilito per la generalita' dei  ricorsi  proposti
in sede di legittimita' dal combinato disposto degli artt. 83  e  365
del codice di procedura civile. Cio' ridonderebbe in  violazione  del
principio  di  eguaglianza,  considerato  che,  in  conformita'  alla
costante giurisprudenza costituzionale (ex  plurimis,  e'  citata  la
sentenza n. 186 del 2020), il riferimento  letterale  ai  «cittadini»
contenuto nell'art.  3  Cost.,  non  osta  all'applicazione  di  tale
principio anche agli stranieri, specie ove vengano in rilievo diritti
fondamentali, tra i quali deve essere annoverato il  diritto  d'asilo
tutelato dall'art. 10, terzo comma, Cost. 
    Inoltre sarebbero violati il principio  di  uguaglianza  (art.  3
Cost.) e il  diritto  di  difesa  (art.  24  Cost.),  stante  che  la
disposizione censurata introduce un regime processuale  aggravato  da
un onere formale ulteriore solo  per  una  determinata  categoria  di
soggetti, gli stranieri  richiedenti  la  protezione  internazionale,
senza alcuna ragionevole giustificazione. 
    Rileva inoltre la Corte rimettente che la disposizione censurata,
considerata unitamente al precedente terzo periodo dello stesso comma
13 dell'art. 35-bis del  d.lgs.  n.  25  del  2008  -  per  il  quale
l'efficacia sospensiva del provvedimento di diniego della concessione
della  protezione  internazionale  correlata  alla  proposizione  del
ricorso giurisdizionale si arresta  a  fronte  di  una  pronuncia  di
rigetto, anche  non  definitiva  -  si  traduce,  laddove  impone  al
richiedente asilo la presenza effettiva nel territorio dello Stato al
fine del conferimento della  procura  speciale  per  il  ricorso  per
cassazione dopo l'emanazione del provvedimento da  impugnare,  in  un
sostanziale impedimento alla proposizione dell'unico mezzo di gravame
esperibile, appunto il ricorso per cassazione. 
    Sarebbe cosi' violato il  diritto  fondamentale  dello  straniero
richiedente la protezione internazionale a una tutela giurisdizionale
effettiva, diritto contemplato tanto dagli  artt.  24  e  111  Cost.,
quanto, in riferimento all'art. 117, primo comma, Cost., dall'art. 47
CDFUE e dagli artt. 6 e 13 CEDU. 
    Rileva ancora la Corte rimettente che  la  norma  censurata,  nel
porre un requisito ulteriore a pena di inammissibilita'  per  i  soli
ricorsi  per   cassazione   proposti   dai   richiedenti   protezione
internazionale, si porrebbe in contrasto,  inoltre,  con  l'art.  46,
paragrafo 11, della direttiva 2013/32/UE che, ai fini della  rinuncia
alla domanda dello straniero, richiede una  esplicita  normativa  che
non e' stata introdotta nel nostro ordinamento, e, piu' in  generale,
con l'art. 47 CDFUE, in virtu' del  quale,  secondo  una  consolidata
giurisprudenza  della  Corte  di   giustizia   dell'Unione   europea,
l'autonomia processuale  degli  Stati  membri  trova  un  limite  nel
rispetto dei criteri di equivalenza e di effettivita' della tutela. 
    Sottolinea inoltre il giudice a quo che l'art. 35-bis, comma  13,
del d.lgs. n. 25 del 2008, laddove  introduce  l'ulteriore  requisito
formale della certificazione della data della procura rilasciata  per
i  soli   ricorsi   per   cassazione   in   materia   di   protezione
internazionale, sarebbe suscettibile di violare il predetto canone di
equivalenza,  quale  limite  all'autonomia  processuale  degli  Stati
membri,  in  quanto  il  legislatore  non  ha  previsto  il  medesimo
requisito anche in  altri  procedimenti,  attributivi  di  status  in
favore  di  cittadini  stranieri,  come,  ad   esempio,   quello   di
riconoscimento dello status di apolide e quello volto all'ottenimento
della protezione umanitaria  (quest'ultimo  in  base  alla  normativa
applicabile ratione temporis) e da  ritenersi  omogenei  in  base  ai
principi espressi nella giurisprudenza europea. 
    Sarebbe,      altresi',      sproporzionata      la      sanzione
dell'inammissibilita'  che   la   disposizione   censurata   -   come
interpretata dalle Sezioni unite civili - ricollega  all'inosservanza
di un mero requisito formale, in un procedimento che, in quanto  gia'
"mutilato" di un riesame nel merito, in ragione dell'eliminazione del
grado d'appello, finirebbe per ledere il diritto fondamentale d'asilo
tutelato dall'art. 10, terzo comma, Cost. 
    Ne' alcuna rilevanza, ad avviso della Corte rimettente,  potrebbe
assumere, per giustificare una disposizione come  quella  recata  dal
comma 13 dell'art. 35-bis del d.lgs.  n.  25  del  2008,  un  preteso
«malcostume»  di  alcuni  avvocati  che,  in  materia  di  protezione
internazionale, proporrebbero impugnazioni sempre e  comunque,  anche
se manifestamente infondate, al solo fine di ottenere la liquidazione
dei compensi, conseguente alla frequente ammissione dei ricorrenti al
patrocinio a spese dello  Stato,  poiche',  se  accertate,  eventuali
condotte del difensore contrarie agli obblighi di lealta', probita' e
deontologici posti a carico  dello  stesso  potrebbero  e  dovrebbero
essere sanzionate sul piano disciplinare dai Consigli degli ordini. 
    2.- In via preliminare, il Presidente del consiglio dei ministri,
intervenuto in giudizio  per  mezzo  dell'Avvocatura  generale  dello
Stato, eccepisce l'inammissibilita'  delle  questioni  sollevate,  in
quanto la Corte rimettente non avrebbe censurato l'art. 35-bis, comma
13, sesto periodo, del d.lgs. n. 25 del  2008,  bensi',  in  realta',
l'interpretazione data a tale disposizione dalle sezioni unite civili
della stessa Corte di cassazione (Cass. n. 15177 del  2021),  laddove
invece l'art. 374, terzo comma, cod. proc. civ.,  prescrive  che,  in
tale evenienza, la sezione semplice "dissenziente" deve  rimettere  a
queste ultime, con ordinanza motivata, la decisione del ricorso. 
    L'eccezione non e' fondata. 
    A riguardo va considerato che le pronunce  delle  Sezioni  unite,
investite  dal  primo  presidente  delle  questioni  di  massima   di
particolare  importanza  e  dei  contrasti  rimessi   dalle   sezioni
semplici,  costituiscono  la  forma  piu'  elevata  e  autorevole  di
esercizio della funzione nomofilattica  demandata  dall'art.  65  del
regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12 (Ordinamento  giudiziario)  alla
Corte di cassazione, alla quale tale norma  assegna  la  missione  di
assicurare «l'esatta osservanza e  l'uniforme  interpretazione  della
legge», nonche' «l'unita' del diritto oggettivo nazionale»  e  quindi
la certezza del diritto. 
    Proprio allo scopo di rafforzare il ruolo  svolto  dalle  Sezioni
unite nell'esercizio  di  tale  fondamentale  funzione  ordinamentale
dell'interpretazione della legge, l'art. 8 del decreto legislativo  2
febbraio 2006, n. 40 (Modifiche al  codice  di  procedura  civile  in
materia di processo di cassazione  in  funzione  nomofilattica  e  di
arbitrato, a norma dell'articolo 1, comma 2, della  legge  14  maggio
2005, n. 80) ha novellato l'art. 374 cod. proc. civ.,  il  cui  terzo
comma  prevede  che  «[s]e  la  sezione  semplice  ritiene   di   non
condividere il principio di diritto enunciato  dalle  sezioni  unite,
rimette a queste ultime, con ordinanza  motivata,  la  decisione  del
ricorso»; disposizione questa  poi  sostanzialmente  replicata,  allo
stesso fine di assicurare la certezza  del  diritto,  da  ultimo  nel
giudizio penale di cassazione (art. 618, comma 1-bis, del  codice  di
procedura penale), e prima ancora nel processo amministrativo, quanto
alle pronunce dell'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (art. 99,
comma 3,  del  codice  del  processo  amministrativo),  e  in  quello
contabile, quanto alle pronunce delle Sezioni riunite della Corte dei
conti (art. 117 del decreto  legislativo  26  agosto  2016,  n.  174,
recante  «Codice  di   giustizia   contabile,   adottato   ai   sensi
dell'articolo  20  della  legge  7  agosto   2015,   n.   124»).   La
trasversalita' di tali disposizioni, ispirate allo stesso  principio,
mostra la centralita' del valore della certezza del  diritto,  pietra
d'angolo del sistema  di  tutele  giurisdizionali  in  uno  Stato  di
diritto. 
    La norma recata dall'art. 374, terzo comma, cod. proc. civ.,  non
crea un vincolo interpretativo ad  adottare  il  principio  enunciato
dalle Sezioni unite - che non sarebbe compatibile con la prescrizione
dell'art. 101, secondo comma, Cost., che  vuole  i  giudici  soggetti
soltanto alle leggi - ma pone una regola  processuale  di  competenza
interna declinata nell'obbligo per la sezione semplice "dissenziente"
di astenersi dal decidere il ricorso in difformita' da tale principio
e di rimettere la decisione alle stesse Sezioni unite  con  ordinanza
motivata, esprimendo le ragioni del dissenso e invocando  quindi  una
rimeditazione di quel principio nella  prospettiva  di  un  possibile
revirement giurisprudenziale. 
    Nella specie il Collegio  rimettente  non  contesta  tale  regola
processuale, che si frappone all'applicabilita'  della  disposizione,
oggetto del principio di diritto  enunciato  dalle  Sezioni  unite  e
della quale, quindi, esso non puo' fare applicazione  "in  dissenso",
talche'  potrebbe  dubitarsi  -  nella   prospettiva   dell'eccezione
dell'Avvocatura - della rilevanza di una  questione  di  legittimita'
costituzionale che investa non gia' la disposizione (processuale) che
la sezione semplice deve applicare, ma la disposizione che  non  puo'
applicare se non condividendo tale principio di diritto. 
    Vi e', pero', che questo vincolo per la sezione  semplice  a  non
adottare un'interpretazione contrastante  con  quella  gia'  espressa
dalle Sezioni unite  e'  recessivo  solo  nella  prospettiva  di  una
pronuncia di illegittimita' costituzionale,  in  tutto  o  in  parte,
della disposizione interpretata,  pronuncia  che  la  stessa  sezione
semplice puo' sollecitare sollevando la relativa questione. 
    Questa  prospettiva  di  applicazione,  pur  sub  condicione,  e'
sufficiente a radicare la rilevanza -  e  quindi  l'ammissibilita'  -
della questione che investa proprio la disposizione come interpretata
dalle Sezioni unite civili (in senso  conforme,  sentenza  di  questa
Corte n. 33 del 2021). 
    3.- Giova ora premettere, in estrema sintesi, il quadro normativo
di  riferimento  in  cui  si  collocano  le  sollevate  questioni  di
legittimita' costituzionale. 
    3.1.- Mette conto ricordare, innanzi tutto, che l'art. 10,  terzo
comma, Cost.  riconosce  il  diritto  d'asilo  nel  territorio  della
Repubblica,  secondo  le  condizioni  stabilite  dalla  legge,   allo
straniero al quale sia impedito l'effettivo esercizio, nel suo Paese,
delle liberta' democratiche garantite dalla Costituzione italiana. 
    Il diritto  d'asilo  e'  riconosciuto  sul  piano  internazionale
nell'ambito della Convenzione relativa allo  statuto  dei  rifugiati,
firmata a Ginevra il 28 luglio 1951, ratificata e resa  esecutiva  in
Italia con la legge 24 luglio 1954, n. 722, la quale  attribuisce  al
rifugiato una serie di garanzie, tra cui quella fondamentale espressa
dal principio cosiddetto di non refoulement. 
    In particolare, l'art. 1, lettera a), numero 2),  della  predetta
Convenzione definisce  rifugiato  «chiunque  [...]  nel  giustificato
timore d'essere perseguitato per la sua razza, la sua  religione,  la
sua cittadinanza, la sua appartenenza a un determinato gruppo sociale
o le sue opinioni politiche,  si  trova  fuori  dello  Stato  di  cui
possiede la cittadinanza e non puo' o, per  tale  timore,  non  vuole
domandare la protezione di detto Stato», nonche'  «chiunque,  essendo
apolide e trovandosi fuori dal suo Stato di domicilio [...], non puo'
o, per il timore sopra indicato, non vuole ritornarvi». 
    Tale definizione e' stata sostanzialmente ripresa tanto dall'art.
2, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2011/95/UE del Parlamento
europeo  e  del  Consiglio,  del  13  dicembre  2011,  recante  norme
sull'attribuzione, a  cittadini  di  Paesi  terzi  o  apolidi,  della
qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status
uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare
della protezione sussidiaria, nonche' sul contenuto della  protezione
riconosciuta, quanto dal legislatore italiano con l'art. 2, comma  1,
lettera  e),  del  decreto  legislativo  19  novembre  2007,  n.  251
(Attuazione  della  direttiva   2004/83/CE   recante   norme   minime
sull'attribuzione, a  cittadini  di  Paesi  terzi  o  apolidi,  della
qualifica  del  rifugiato  o  di  persona  altrimenti  bisognosa   di
protezione internazionale, nonche' norme minime sul  contenuto  della
protezione riconosciuta). 
    Lo status di rifugiato,  di  carattere  permanente,  riguarda  il
soggetto   individualmente   perseguitato   anzitutto   per   ragioni
politiche, nonche' ulteriori figure individuate nella prassi,  quali,
ad esempio, gli omosessuali a rischio di incriminazione  perche'  nei
loro Paesi i rapporti omosessuali,  anche  in  forma  privata  e  tra
adulti consenzienti, sono  reato;  le  giovani  donne  a  rischio  di
mutilazioni  genitali  femminili;  i  fedeli  di  pratiche  religiose
proibite. 
    Nel  diritto  dell'Unione   europea   il   diritto   d'asilo   e'
riconosciuto anche come «protezione sussidiaria», accordata,  per  un
periodo di cinque anni rinnovabili, a chi non  possiede  i  requisiti
per  essere  riconosciuto  come  rifugiato,  ma  nei  cui   confronti
sussistono fondati motivi per ritenere che, se ritornasse  nel  Paese
di origine, correrebbe «un  rischio  effettivo  di  subire  un  grave
danno» (art. 2, lettera f,  della  direttiva  2011/95/UE),  con  cio'
intendendosi la pena di morte o l'essere giustiziato,  la  tortura  o
altra forma di pena o trattamento inumano  o  degradante,  ovvero  la
minaccia grave e individuale alla vita o alla persona derivante dalla
violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato  interno  o
internazionale (art. 15 della direttiva 2011/95/UE). 
    Ha, dunque, diritto alla protezione sussidiaria  colui  il  quale
corre   un   rischio   grave   per   l'incolumita'   personale   meno
individualizzato e dovuto all'appartenenza a gruppi politici,  etnici
o religiosi, di solito  correlato  ad  un  conflitto  armato  interno
(Corte di giustizia dell'Unione europea, sentenza  30  gennaio  2014,
Aboubacar Diakite' contro Commissaire general  aux  refugies  et  aux
apatrides, in causa C-285/12). 
    Occorre inoltre considerare che  l'art.  6,  paragrafo  4,  della
direttiva 115/2008/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del  16
dicembre 2008, recante norme e  procedure  comuni  applicabili  negli
Stati membri  al  rimpatrio  di  cittadini  di  Paesi  terzi  il  cui
soggiorno e' irregolare, prevede la facolta' (e quindi non l'obbligo)
per gli Stati membri di estendere l'ambito delle forme di  protezione
tipiche sino a ricomprendere «motivi  caritatevoli,  umanitari  o  di
altra  natura»,  rilasciando  allo  scopo  un  apposito  permesso  di
soggiorno. 
    Vi e' pertanto  che  lo  status  di  rifugiato  e  la  protezione
sussidiaria sono  accordati  in  osservanza  di  obblighi  europei  e
internazionali, mentre ulteriori forme  di  protezione  sono  rimesse
alla discrezionalita' dei singoli Stati, per  rispondere  a  esigenze
umanitarie, caritatevoli o di altra natura. 
    3.2.- Passando a considerare, in modo piu'  specifico,  le  forme
processuali con le quali il diritto a tale status puo'  essere  fatto
valere nel nostro sistema nazionale, va premesso che il  procedimento
per il riconoscimento della protezione internazionale consta  di  una
prima   fase   amministrativa   necessaria   e   di    una    seconda
giurisdizionale,  successiva  ed  eventuale  (Corte  di   cassazione,
sezione prima civile, sentenza 23 agosto 2006, n. 18353). 
    L'istanza per il riconoscimento della  protezione  internazionale
deve essere proposta, innanzi tutto,  alle  Commissioni  territoriali
per il riconoscimento della protezione internazionale,  organi  della
pubblica  amministrazione,  insediate  presso  le   prefetture,   che
forniscono il necessario supporto organizzativo e logistico,  con  il
coordinamento   del   Dipartimento   per   le   liberta'   civili   e
l'immigrazione del Ministero dell'interno (art. 4 del  d.lgs.  n.  25
del 2008). 
    Dinanzi alle Commissioni  territoriali  e'  prevista  l'audizione
dell'interessato  e   la   videoregistrazione   del   colloquio,   da
trascriversi in lingua italiana con l'ausilio di  sistemi  automatici
di riconoscimento vocale (l'art. 14, comma 1, del d. lgs. n.  25  del
2008). 
    La Commissione decide con provvedimento che nega o  riconosce  la
protezione, motivando sia quanto  alla  credibilita'  intrinseca  del
richiedente asilo, che ai riscontri e alle  informazioni  disponibili
sulla situazione del Paese di provenienza (art. 8 del d. lgs.  n.  25
del 2008). 
    4.-   La   fase   giurisdizionale   del   procedimento   per   il
riconoscimento della protezione  internazionale  -  rientrante  nella
giurisdizione del giudice ordinario in quanto avente  ad  oggetto  il
fondamentale diritto soggettivo dello straniero,  tutelato  dall'art.
10,  terzo  comma,  Cost.,  alla  protezione   invocata   (Corte   di
cassazione, sezioni unite civili,  ordinanze  27  novembre  2018,  n.
30658 e 30 marzo 2018, n. 8044) - e' stata oggetto di  una  serie  di
riforme normative che consentono di identificare, essenzialmente, tre
modelli  processuali  speciali   per   la   trattazione   di   queste
controversie. 
    4.1.- Il primo e' quello dell'art. 35, comma 4, del d.lgs. n.  25
del 2008, che prevedeva che  il  giudizio  in  primo  grado,  la  cui
proposizione  aveva  un   effetto   sospensivo   dell'efficacia   del
provvedimento impugnato, dovesse  svolgersi,  con  la  partecipazione
necessaria del pubblico ministero, nelle forme  dei  procedimenti  in
camera di consiglio ex artt. 737 e seguenti cod. proc. civ., dettando
nei commi successivi alcune disposizioni specifiche. 
    Era espressamente precisato che il tribunale, sentite le parti  e
assunti tutti i  mezzi  di  prova  necessari,  dovesse  decidere  con
sentenza entro tre mesi dalla proposizione del ricorso, rigettando lo
stesso ovvero riconoscendo al richiedente lo status di rifugiato o di
persona alla quale e' accordata la protezione sussidiaria. 
    Quanto al regime delle impugnazioni, era previsto che  contro  la
predetta decisione il ricorrente e il  pubblico  ministero  potessero
proporre reclamo  alla  Corte  d'appello  entro  dieci  giorni  dalla
notificazione o comunicazione della sentenza,  i  cui  effetti,  come
precisato dal dodicesimo comma della medesima disposizione, non erano
sospesi dal deposito di tale ricorso, salvo che cio'  fosse  disposto
dalla Corte d'appello, su istanza del ricorrente, con  ordinanza  non
impugnabile in presenza di gravi e fondati motivi. Anche il  giudizio
di reclamo si svolgeva nelle forme camerali. 
    Contro  la  decisione  pronunciata  dalla  Corte  d'appello   era
proponibile ricorso per cassazione entro il termine di trenta  giorni
dalla notificazione della stessa. 
    4.2.- Un secondo modello processuale, in sostituzione  di  quello
precedente, e' stato introdotto dall'art. 19, comma  1,  del  decreto
legislativo 1° settembre 2011, n. 150 (Disposizioni complementari  al
codice di procedura civile in materia di riduzione e  semplificazione
dei procedimenti civili di  cognizione,  ai  sensi  dell'articolo  54
della legge 18 giugno 2009, n. 69), che ha disciplinato  il  processo
per il riconoscimento della protezione internazionale  riconducendolo
al giudizio sommario di cognizione,  di  cui  agli  artt.  702-bis  e
seguenti cod. proc. civ.,  ma  dettando  altresi'  alcune  previsioni
specifiche. 
    In particolare la  competenza  era  demandata  al  tribunale,  in
composizione  monocratica,  del  capoluogo  del  distretto  di  Corte
d'appello nel quale aveva sede la  Commissione  territoriale  per  il
riconoscimento della protezione internazionale che aveva  pronunciato
il provvedimento impugnato. 
    Il ricorso doveva essere proposto, a  pena  di  inammissibilita',
entro trenta giorni dalla  notificazione  del  provvedimento,  ovvero
entro sessanta  giorni  se  il  ricorrente  risiedeva  all'estero,  e
depositato anche a mezzo del servizio postale ovvero per  il  tramite
di una rappresentanza diplomatica o consolare italiana, ipotesi nella
quale  la  procura  speciale  al  difensore  era  rilasciata  dinanzi
all'autorita' consolare che, una volta autenticata la sottoscrizione,
doveva  inoltrare   il   ricorso,   mediante   i   funzionari   della
rappresentanza, all'autorita' giudiziaria italiana. 
    La proposizione del ricorso giurisdizionale,  anche  nell'assetto
contemplato dall'art. 19 del d.lgs. n. 150 del  2011,  comportava  di
regola - ma con l'eccezione del caso di inammissibilita' del  ricorso
e di altre fattispecie tassativamente individuate dal comma  4  della
predetta norma - la sospensione  dell'efficacia  della  decisione  di
diniego  della  protezione  richiesta  da  parte  delle   Commissioni
territoriali.  Tale   sospensione   si   protraeva   -   secondo   la
giurisprudenza  (Corte   di   cassazione,   sezione   sesta   civile,
sottosezione prima, ordinanze 30 novembre 2015, n. 24415,  27  luglio
2017, n. 18737 e 31 ottobre 2018, n. 28003) - fino  alla  definizione
della controversia. 
    Il giudice  poteva  procedere,  anche  d'ufficio,  agli  atti  di
istruzione necessari per la definizione del ricorso. 
    L'ordinanza conclusiva del giudizio era appellabile nelle forme e
nei termini di cui all'art. 702-quater cod. proc. civ., e la sentenza
emessa all'esito di tale giudizio di gravame poteva essere oggetto di
ricorso per cassazione. 
    4.3.- Il terzo modello processuale - quello vigente e che  rileva
nel giudizio principale in quanto applicabile ratione temporis  -  e'
stato introdotto dall'art. 7 del decreto-legge 17 febbraio  2017,  n.
13 (Disposizioni urgenti  per  l'accelerazione  dei  procedimenti  in
materia  di  protezione  internazionale,  nonche'  per  il  contrasto
dell'immigrazione illegale), convertito, con modificazioni, in  legge
13 aprile 2017, n. 46, che ha abrogato l'art. 19 del  d.lgs.  n.  150
del 2011 e, in sua sostituzione,  ha  introdotto  l'art.  35-bis  del
d.lgs. n. 25 del 2008, ridisegnando le  regole  processuali,  tra  le
quali anche quella del presente giudizio. 
    La fase giurisdizionale del procedimento volto al  riconoscimento
della  protezione  internazionale  -  la  cui  competenza  e'   stata
demandata alla sezione  specializzata  in  materia  di  immigrazione,
contestualmente istituita presso il tribunale del  luogo  della  sede
della Corte d'appello dove si trova la commissione  territoriale  che
si  e'  pronunciata  sulla  richiesta   -   e'   quindi   attualmente
disciplinata dall'indicato 35-bis. 
    Il giudizio si svolge nelle forme del procedimento in  camera  di
consiglio: sono tuttavia previste, a differenza di  quanto  stabiliva
in precedenza l'art. 35 dello stesso  decreto,  alcune  significative
deroghe rispetto alle previsioni dettate dagli artt. 737  e  seguenti
cod. proc. civ. 
    Nel processo di primo grado, il ricorso deve essere depositato, a
pena di inammissibilita', entro trenta giorni dalla notificazione del
provvedimento, ovvero entro sessanta giorni se il ricorrente  risiede
all'estero. Puo' essere depositato anche a mezzo del servizio postale
ovvero per il tramite di una rappresentanza diplomatica  o  consolare
italiana (art. 35-bis, comma 2). 
    Correlata alla proposizione del ricorso in  sede  giurisdizionale
e' prevista l'efficacia sospensiva del provvedimento di diniego della
Commissione territoriale (art. 35-bis, comma 3). 
    Sotto il profilo istruttorio, fermo il dovere del  ricorrente  di
allegare i fatti posti a fondamento della domanda, la Commissione che
ha adottato l'atto impugnato deve rendere  disponibili,  entro  venti
giorni dalla  notificazione  del  ricorso,  copia  della  domanda  di
protezione  internazionale   presentata,   della   videoregistrazione
unitamente  al  verbale  di  trascrizione   della   stessa,   nonche'
dell'intera  documentazione  comunque  acquisita  nel   corso   della
procedura,  compresa   l'indicazione   della   documentazione   sulla
situazione socio-politico-economica  dei  Paesi  di  provenienza  dei
richiedenti la protezione internazionale (art. 35-bis, comma 8). 
    Il  tribunale  decide   in   composizione   collegiale   con   un
provvedimento in forma di decreto, non reclamabile,  che  rigetta  il
ricorso ovvero riconosce al ricorrente lo status di  rifugiato  o  di
persona cui e' accordata la protezione  sussidiaria  (art.  3,  comma
3-septies). 
    Contro  tale  pronuncia  e'  ammesso  soltanto  il  ricorso   per
cassazione, per la cui proposizione il termine e' di  trenta  giorni,
decorrente dalla comunicazione del decreto a cura della  cancelleria;
ricorso che  richiede  -  secondo  la  disposizione  censurata  (art.
35-bis,  comma  13,   sesto   periodo)   -   la   procura   speciale,
necessariamente posteriore al provvedimento impugnato e con onere per
il difensore di certificare la data del suo rilascio. 
    Il medesimo comma 13, terzo periodo, del  predetto  art.  35-bis,
precisa che la sospensione degli effetti del provvedimento  impugnato
derivante dalla proposizione del ricorso in  sede  giurisdizionale  o
ivi concessa dall'autorita' giudiziaria nelle ipotesi di cui al comma
4, viene meno se il ricorso  e'  rigettato,  anche  con  decreto  non
definitivo. 
    In presenza di «fondati motivi», come  prevede  l'ottavo  periodo
della disposizione in esame, lo stesso  giudice  che  ha  emanato  il
decreto  impugnato  puo',  su  istanza  di  parte,  che  deve  essere
depositata entro cinque giorni dalla  proposizione  del  ricorso  per
cassazione, disporre la sospensione degli effetti  del  decreto,  con
conseguente ripristino, in caso di sospensione del  provvedimento  di
rigetto, della sospensione dell'efficacia esecutiva  della  decisione
della Commissione. 
    4.4.- Per completezza del quadro normativo di  riferimento,  puo'
considerarsi, infine, che  i  giudizi  per  il  riconoscimento  della
protezione  speciale  -  ossia  essenzialmente  di  quella  forma  di
protezione, gia' denominata umanitaria che puo'  essere  concessa  in
virtu'  della  disciplina  nazionale  anche  ove  non   ricorrano   i
presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato  e  della
protezione sussidiaria - l'art.  1,  comma  5,  del  decreto-legge  4
ottobre 2018, n. 113 (Disposizioni urgenti in materia  di  protezione
internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonche' misure per
la funzionalita' del Ministero dell'interno e l'organizzazione  e  il
funzionamento  dell'Agenzia  nazionale  per  l'amministrazione  e  la
destinazione dei beni  sequestrati  e  confiscati  alla  criminalita'
organizzata), convertito, con modificazioni,  in  legge  1°  dicembre
2018, n. 132, ha introdotto l'art. 19-ter del d.lgs. n. 150 del  2011
dettando le regole processuali, ispirate al procedimento sommario  di
cognizione, per le controversie in materia di diniego o di revoca dei
permessi  di  soggiorno  temporanei   per   esigenze   di   carattere
umanitario. 
    Tra le previsioni derogatorie contemplate  dalla  predetta  norma
rispetto a quelle degli artt. 702-bis e  seguenti  cod.  proc.  civ.,
vengono in rilievo disposizioni analoghe a quelle  dettate  dall'art.
35-bis  del  d.lgs.  n.  25  del  2008  per  i  giudizi  in  tema  di
riconoscimento della protezione internazionale, tra le quali  proprio
quella che prevede l'onere per il difensore di certificare la data di
conferimento della procura speciale a ricorrere per cassazione (ossia
lo stesso onere contemplato dalla norma censurata). 
    5.- E' nel contesto di tale piu' ampio quadro normativo che  deve
essere collocata la disposizione  censurata  nel  presente  giudizio,
ossia il comma 13, sesto periodo, dell'art. 35-bis del d.lgs.  n.  25
del 2008, che - come gia' ricordato - prevede  che  la  procura  alle
liti per la proposizione  del  ricorso  per  cassazione  deve  essere
conferita, a  pena  di  inammissibilita',  in  data  successiva  alla
comunicazione del decreto impugnato; e poi  aggiunge  -  nella  parte
oggetto delle censure dell'ordinanza di rimessione - che «a tal  fine
il difensore certifica la  data  di  rilascio  in  suo  favore  della
procura medesima». 
    Solo in quest'ultima parte la norma e' derogatoria dell'ordinario
regime della procura a ricorrere per cassazione. 
    In generale, l'art. 365 cod. proc. civ. stabilisce, con  riguardo
al giudizio dinanzi alla Corte di cassazione, che  «[i]l  ricorso  e'
diretto alla corte e sottoscritto, a pena di inammissibilita', da  un
avvocato iscritto nell'apposito albo, munito di procura speciale». 
    Alla distinzione tra procura generale  e  procura  speciale  alle
liti fa riferimento l'art. 83 cod. proc. civ. che, all'ultimo  comma,
ne individua la portata nel  senso  che  «[l]a  procura  speciale  si
presume conferita soltanto per un  determinato  grado  del  processo,
quando nell'atto non e' espressa volonta' diversa». 
    Da lungo tempo, nella giurisprudenza  di  legittimita'  e'  stata
posta in evidenza la differenza  tra  la  procura  speciale,  cui  fa
riferimento l'art. 83 cod. proc. civ., e  quella  per  ricorrere  per
cassazione ex art. 365 cod.  proc.  civ.  In  particolare,  e'  stato
affermato, a riguardo, che  l'espressione  «procura  speciale»  usata
dall'art. 365 cod. proc. civ., per il ricorso per cassazione  ha  una
portata piu' specifica di quella che alla stessa espressione e' stata
attribuita nell'art. 83 del medesimo codice. Mentre in questa  ultima
norma  l'espressione  designa,  in  contrapposizione   alla   procura
generale, destinata a valere per tutti i giudizi, la procura relativa
ad un determinato giudizio o gruppo di  giudizi,  nella  prima  norma
sta, invece, a sottolineare l'esigenza che la procura  sia  conferita
ex professo con particolare e preciso riferimento alla fase  o  grado
del processo da instaurarsi dinanzi alla Corte di  cassazione.  Sotto
questo aspetto la disposizione risulta informata  sostanzialmente  al
concetto che, per proporre il ricorso per cassazione, occorre che  la
parte manifesti in modo univoco la sua volonta' concreta e attuale di
dare vita a quella determinata fase processuale  e  che  a  tanto  si
determini sulla base della valutazione della sentenza da impugnare. 
    Vi e', dunque, che la specialita' della procura a  ricorrere  per
cassazione implica, in ogni caso, che la stessa sia  stata  conferita
posteriormente  alla  pronuncia  impugnata  (e   anteriormente   alla
notifica del ricorso). Pertanto  la  posteriorita'  del  conferimento
della procura a ricorrere rispetto  al  momento  della  pubblicazione
della decisione impugnata  resta  ineludibile  requisito  a  pena  di
inammissibilita' del ricorso per cassazione (ex  plurimis,  Corte  di
cassazione, sezioni unite  civili,  sentenza  19  novembre  2021,  n.
35466). 
    La  disposizione  censurata  conferma,  quindi,   questa   regola
generale limitandosi a porre a carico  del  difensore  (e  non  della
parte), per presidiarne il rispetto, l'onere di certificare, ai  fini
della proposizione del ricorso per  cassazione  nella  materia  della
protezione internazionale, la data di conferimento della procura. 
    La ratio della disposizione - che, dunque,  non  innova  rispetto
alla necessaria posteriorita' della  procura  speciale  alle  liti  a
ricorrere   per   cassazione   rispetto   alla   pubblicazione    del
provvedimento impugnato - e' quella,  in  un  settore  peculiare  per
l'esorbitante numero di ricorsi, di solito seriali  e  caratterizzati
dall'ammissione delle parti private al  beneficio  del  patrocinio  a
spese dello Stato, di rendere effettivo il  rispetto  della  relativa
prescrizione presidiandola con la certificazione dell'avvocato  sulla
"verita'" della data, in modo  da  evitare  il  rilascio  di  procure
cosiddette in bianco. 
    Le Sezioni unite civili, chiamate a risolvere un contrasto che si
era formato tra le sezioni semplici,  hanno  affermato  il  principio
secondo cui la mancanza della certificazione della data da parte  del
difensore, non surrogabile dall'apposizione della stessa aliunde  nel
contesto del ricorso, rende  quest'ultimo  inammissibile  (Cass.,  n.
15177 del 2021). 
    6.- Tutto cio' premesso,  le  questioni  sono,  nel  merito,  non
fondate in riferimento innanzi tutto ai parametri interni  (artt.  3,
10, 24 e 111 Cost.). 
    7.- L'ordinanza di  rimessione  dubita,  in  primo  luogo,  della
compatibilita'  della   norma   censurata   con   il   principio   di
ragionevolezza, riconducibile all'art.  3,  primo  comma,  Cost.,  in
ragione di un'assunta incoerenza della  stessa  rispetto  allo  scopo
perseguito di assicurare che, con la presenza  sul  territorio  dello
Stato al momento  del  conferimento  della  procura,  il  richiedente
protezione internazionale abbia un effettivo interesse alla decisione
del ricorso per cassazione. 
    La finalita' della norma censurata risiederebbe  nell'esigenza  -
ritenuta dal legislatore del 2017,  che  ha  modificato  il  rito  di
queste controversie - di assicurarsi che lo straniero  si  trovi  nel
territorio dello Stato, perche' cio' vale a confermare il  perdurante
interesse a ottenere  la  protezione  internazionale,  negatagli  dal
decreto del tribunale, e quindi l'interesse al ricorso per cassazione
(ex art. 100 cod. proc. civ.). 
    Secondo la prospettazione della  Corte  rimettente,  l'incoerenza
intrinseca della  disposizione  censurata  renderebbe  privo  di  una
valida giustificazione il differente trattamento riservato ai ricorsi
per il riconoscimento della protezione internazionale  rispetto  alla
generalita' dei ricorsi per cassazione. 
    8.-  Deve  innanzi  tutto  considerarsi   che   la   disposizione
censurata, come gia' evidenziato,  non  innova  nella  parte  in  cui
prescrive che la procura alle liti per la  proposizione  del  ricorso
per cassazione deve essere conferita, a pena di inammissibilita'  del
ricorso, in data successiva alla comunicazione del decreto impugnato.
Essa non  fa  altro  che  esplicitare  e  ribadire  una  prescrizione
processuale che, secondo la costante giurisprudenza  di  legittimita'
(da ultimo, Cass., n. 35466  del  2021),  e'  gia'  estraibile  dalla
regola  generale  posta  dall'art.  365  cod.   proc.   civ.,   letto
congiuntamente all'art. 83 cod. proc. civ., nel richiedere la procura
speciale per proporre il ricorso per cassazione. 
    E'  tale  necessaria  posteriorita'  della  procura  speciale   a
implicare che il suo rilascio, secondo l'id quod  plerumque  accidit,
avvenga nel territorio dello Stato dov'e' l'avvocato che la riceve  e
che certifica  l'autografia  della  sottoscrizione,  pur  se  non  e'
richiesto, ne' dall'art. 365 cod. proc. civ. ne'  dall'art.  83  cod.
proc. civ., che certifichi anche la data del suo  rilascio.  Il  dato
temporale (la posteriorita') finisce per  condizionare  e  implicare,
secondo un criterio di normalita', quello spaziale (la  presenza  del
ricorrente li' dov'e' l'avvocato  che  certifica  l'autografia  della
sottoscrizione). 
    Si tratta di una regola generale, di antica tradizione,  che  non
differenzia  la  posizione  del  ricorrente  in   quanto   straniero,
richiedente la protezione internazionale. Anche nel regime precedente
la riforma del 2017, sussisteva l'onere di conformarsi a tale  regola
sicche', gia'  prima,  la  certificazione  dell'autografia  da  parte
dell'avvocato,  esercente  in  Italia,  comportava   la   contestuale
necessaria presenza di chi rilasciava la procura, sicche' non era  di
fatto  possibile  tale  certificazione   ove   lo   straniero   fosse
trasmigrato altrove o, ancor piu', se si fosse reso irreperibile. 
    La prescrizione ulteriore - parimenti contenuta nell'art. 35-bis,
comma 13, sesto periodo, nella parte in cui  onera  il  difensore  di
certificare anche la data del rilascio  della  procura  -  e'  invece
innovativa e - come gia' rilevato - ha  una  funzione  strumentale  e
rafforzativa della gia' esistente regola generale della posteriorita'
della stessa. E' un onere posto a carico del difensore che riceve  la
procura e non certo dello straniero che la rilascia; il quale  ultimo
non puo' - e gia' non poteva (prima della riforma  del  2017)  -  che
essere in presenza del difensore quando, dopo  la  pubblicazione  del
provvedimento che egli intende impugnare con ricorso per  cassazione,
rilascia la procura,  dovendo  quest'ultimo,  nello  stesso  contesto
spaziale/temporale, certificare l'autografia della sottoscrizione. 
    Si tratta di un onere (quello della  certificazione  anche  della
data della procura) che e' strumentale  al  rispetto  della  generale
regola processuale di necessaria posteriorita' della procura speciale
e che si iscrive, come  prescrizione  questa  si'  speciale,  ma  non
irragionevole, nel piu' ampio obbligo di lealta' del difensore  (art.
88, primo comma, cod. proc. civ.). 
    Per un verso non e' dubitabile la perdurante validita' di  questa
generale regola processuale, confermata (e  non  gia'  introdotta  ex
novo)  nella  disposizione  censurata  e  mirata  ad   un'attivazione
consapevole della giurisdizione di legittimita'. Ricorrente e'  nella
giurisprudenza  di  legittimita'  l'affermazione  secondo  cui  «ogni
qualvolta si tratti di adire il supremo collegio, in sede di  ricorso
ordinario o di regolamento di giurisdizione, e' indispensabile che la
parte manifesti in modo univoco la sua volonta' concreta  ed  attuale
di dare vita a quella determinata fase processuale e che a  tanto  si
determini sulla base di una specifica e ponderata  valutazione  della
sentenza da impugnare» (fin da Corte  di  cassazione,  sezioni  unite
civili, sentenza 17 maggio 1961, n. 1161). 
    Per altro verso il rafforzamento di  questa  regola  processuale,
mediante la previsione di un  onere  ulteriore  e  specifico  per  il
difensore dello straniero richiedente la  protezione  internazionale,
e' non gia' distonico, bensi' coerente con essa perche' finalizzato a
ridurne  la  possibilita'  di  elusione,  convergendo   cosi'   verso
l'obiettivo di  dare  maggiore  ordine  all'accesso  al  giudizio  di
legittimita'. 
    9.- Vi e', in vero, una criticita' che l'ordinanza di  rimessione
non manca di evidenziare come argomento, pur corretto, ma in  realta'
non rilevante in questo giudizio di legittimita' costituzionale. 
    Il comma 13 dell'art. 35-bis - che reca varie prescrizioni (oltre
quella oggetto delle  censure  di  illegittimita'  costituzionale)  -
prevede anche che la  sospensione  degli  effetti  del  provvedimento
impugnato viene meno se con decreto, anche non definitivo, il ricorso
e' rigettato; e aggiunge  che  il  ricorrente,  «[q]uando  sussistono
fondati motivi», puo' pero' chiedere tale sospensione al giudice  che
ha emesso il decreto con apposita istanza da depositarsi entro cinque
giorni dalla proposizione del ricorso per cassazione. Cio'  significa
che nell'immediato, appena ricevuta la comunicazione del  decreto  di
rigetto  del  tribunale,  lo  straniero  richiedente  la   protezione
internazionale  -  il  quale  con  la  proposizione  del  ricorso  al
tribunale (salve  alcune  eccezioni)  si  e'  giovato,  fino  a  quel
momento, della sospensione dell'efficacia esecutiva del provvedimento
(di rigetto) impugnato, prevista dal comma 3 dello stesso art. 35-bis
e quindi ha potuto legittimamente trattenersi  in  Italia  in  attesa
della definizione del suo status (di rifugiato o no) -  non  ha  piu'
titolo per rimanere nel territorio dello Stato in ragione  della  sua
richiesta  di  protezione  internazionale,  pur  ancora  sub  iudice.
Invece, prima della riforma del 2017, quindi nel regime dell'art.  19
del d.lgs. n.  150  del  2011,  la  giurisprudenza  riteneva  che  la
sospensione dell'efficacia dell'iniziale provvedimento di rigetto  si
protraesse fino alla definizione della controversia (Cass., n.  24415
del 2015, n. 18737 del 2017 e n. 28003 del 2018). 
    Questa criticita',  puntualmente  evidenziata  dall'ordinanza  di
rimessione, pero' non e' conseguenza della  regola  introdotta  dalla
disposizione censurata: riguarda la disciplina della sospensione  del
rigetto della richiesta di protezione internazionale, non gia' quella
della procura speciale per il ricorso per cassazione. L'onere posto a
carico dell'avvocato di certificare la data di rilascio della procura
non  e'  causa  del  mutamento  della  situazione   dello   straniero
richiedente  la   protezione   internazionale;   non   incide   sulla
prosecuzione, o no, della sospensione degli effetti del provvedimento
di rigetto; e' invece, sotto questo  profilo,  una  regola  "neutra",
essendo altra la prescrizione che crea questa criticita'. 
    Nel  giudizio  principale,  pendente  innanzi   alla   Corte   di
cassazione, cio' che rileva - e che e' messo in discussione - e' solo
la mancata certificazione  da  parte  del  difensore  della  data  di
rilascio della procura. La circostanza che  lo  straniero  ricorrente
abbia rilasciato la procura in un momento in cui non era piu' coperto
dall'effetto sospensivo suddetto -  e  quindi  in  una  situazione  a
rischio di espulsione - non incide sull'osservanza, o meno, da  parte
del difensore dell'onere di certificazione della  data  del  rilascio
della procura e sulla conseguenza dell'eventuale inosservanza. 
    Una  siffatta  questione,  relativa  al   mancato   prolungamento
dell'effetto sospensivo per il tempo in cui il ricorso per cassazione
puo' essere proposto e la procura rilasciata,  puo'  porsi  in  altro
giudizio, come in effetti e' gia' accaduto con  rinvio  pregiudiziale
interpretativo  alla  Corte  di  giustizia;  la  quale  (sentenza  26
settembre 2018, X e  Y  contro  Staatssecretaris  van  Veiligheid  en
Justitie, in causa C-180/17) ha gia'  affermato  -  limitatamente  al
versante "europeo" della tutela dei richiedenti asilo -  che  nessuna
delle disposizioni della direttiva 2013/32/UE, cosiddetta  "Direttiva
procedure", impone  agli  Stati  membri  di  riconoscere  un  effetto
sospensivo automatico ai richiedenti protezione  internazionale,  che
propongano  impugnazione  avverso  la  decisione  giurisdizionale  di
rigetto della loro domanda in primo grado. 
    10.-  La  Corte  rimettente  denuncia  altresi'  la  difficolta',
ridondante  in  impossibilita',  per  lo  straniero  richiedente   la
protezione   internazionale,   che   sia   trasmigrato    all'estero,
rimpatriato o espulso, di rilasciare una  procura  speciale  che  sia
rispettosa delle prescrizioni  formali  previste  dalla  disposizione
censurata, atteso che non  sarebbe  prevista  la  possibilita'  della
procura consolare, come invece e' per la procura per il  giudizio  di
primo grado innanzi  al  tribunale.  Cio'  costituirebbe  spia  della
irragionevolezza intrinseca della disposizione censurata. 
    Anche questo profilo di criticita', in realta', non e' rilevante. 
    E' vero che la previsione dell'art. 35-bis del d.lgs. n.  25  del
2008 - secondo cui «[l]a procura speciale al difensore e'  rilasciata
altresi' dinanzi all'autorita' consolare» se  il  ricorrente  risiede
all'estero - e'  contenuta,  nel  terzo  periodo  del  comma  2,  nel
contesto  della  disciplina  del  ricorso  al  tribunale  avverso  la
decisione  della  Commissione,  territoriale  o  nazionale,  per   il
riconoscimento della protezione internazionale e non e'  testualmente
ripetuta, nel successivo comma 13, quanto al ricorso per cassazione. 
    Ma per un verso  l'onere  posto  a  carico  del  difensore  dalla
disposizione censurata di certificare  la  data  del  rilascio  della
procura speciale per il  ricorso  per  cassazione,  di  cui  solo  si
dibatte nel giudizio principale, non incide sulla possibilita', o no,
che la procura speciale  possa  essere  altresi'  consolare.  Per  un
altro, e' rimesso alla giurisprudenza la verifica della  possibilita'
di un'interpretazione costituzionalmente orientata  al  rispetto  del
diritto inviolabile alla tutela  giurisdizionale  «in  ogni  stato  e
grado» (art. 24, secondo comma, Cost.),  nel  senso  che  la  mancata
ripetizione testuale, nel comma 13 dell'art. 35-bis del d.lgs. n.  25
del 2008, della possibilita' che la «procura speciale» sia consolare,
potrebbe non significare necessariamente la sua esclusione quanto  al
ricorso per cassazione. 
    11.- Con riferimento, poi, al principio di eguaglianza  (art.  3,
primo comma, Cost.), parimenti evocato dalla Corte  rimettente,  c'e'
da considerare che la regola che onera il difensore di certificare la
data  del  rilascio  della  procura  e'   speciale,   perche'   trova
applicazione non  gia'  in  generale,  ma  limitatamente  al  ricorso
proposto dallo straniero richiedente  la  protezione  internazionale,
oltre che, in vero, nei giudizi aventi ad  oggetto  le  decisioni  di
trasferimento (art. 3, comma 3-septies, del d.lgs. n. 25 del 2008)  e
nelle controversie in materia di diniego o di revoca dei permessi  di
soggiorno temporanei  per  esigenze  di  carattere  umanitario  (art.
19-ter, comma 6, del d.lgs. n. 150 del 2011). 
    L'ordinanza   di    rimessione    dubita    della    legittimita'
costituzionale della disposizione censurata anche  sotto  il  profilo
dell'ingiustificata,      e      asseritamente       discriminatoria,
differenziazione di disciplina rispetto alla regola  generale  (artt.
365 e 83 cod. proc. civ.), che prescrive che il difensore  certifichi
solo l'autografia della sottoscrizione della procura speciale. 
    Ma da una parte occorre ricordare  che  la  discrezionalita'  del
legislatore e' particolarmente ampia in materia processuale. Costante
e',  in  proposito,  l'affermazione  che  nella  conformazione  della
disciplina processuale il legislatore gode di ampia discrezionalita',
con il solo limite della manifesta irragionevolezza  o  arbitrarieta'
delle scelte adottate (ex plurimis, sentenze n. 80 e n. 58 del  2020,
n. 271 del 2019, n. 199 del 2017, n. 121 e n. 44 del 2016). 
    D'altra parte questa  regola  si  innesta  nella  disciplina  del
contenzioso,  avente  ad   oggetto   le   richieste   di   protezione
internazionale,  la  quale  nel  complesso  e'  oggetto   di   regole
processuali speciali, quelle poste dall'art. 35-bis del d.lgs. n.  25
del 2008; del resto speciali erano anche, gia'  prima  della  riforma
del 2017, la disciplina processuale prevista dall'art. 19 del  d.lgs.
n. 150 del 2011 e, prima ancora, quella contemplata dall'art. 35  del
d.lgs. n. 25 del 2008. 
    In questo contesto di regole speciali la  disposizione  censurata
non puo' ritenersi discriminatoria sol perche' essa,  al  pari  delle
altre, si applica alle controversie aventi ad oggetto  la  protezione
internazionale ponendo, a carico del difensore della  parte,  l'onere
aggiuntivo  della  certificazione  della  data  del  rilascio   della
procura. Il diritto alla tutela giurisdizionale e'  compromesso  solo
quando  vengano  imposti  oneri  tali  da   rendere   impossibile   o
estremamente  difficile  l'esercizio  del  diritto  di  difesa  o  lo
svolgimento dell'attivita' processuale (tra le molte, sentenze n.  80
e n. 58 del 2020, n. 271 del 2019, n. 199 del 2017, n. 121  e  n.  44
del 2016) e tale non e' l'onere di certificazione di cui  e'  gravato
il   difensore   dello   straniero    richiedente    la    protezione
internazionale. 
    La non manifesta irragionevolezza di  tale  regola  differenziata
risulta, inoltre, anche dalla considerazione che, soppresso il  grado
di  appello,  il  numero  di  ricorsi  per  cassazione  e'  cresciuto
esponenzialmente fino a  rappresentare,  in  percentuale,  una  parte
molto  ampia  di  tutti  i  ricorsi  civili,  tanto   da   costituire
un'obiettiva e marcata peculiarita', in ragione dell'elevato rapporto
tra il numero dei giudizi di cassazione rispetto a  quelli  di  primo
grado, ben maggiore che in altri settori nel panorama complessivo del
contenzioso civile. Questo accesso cosi' diffuso,  al  quale  non  e'
estraneo il maggiore  ricorso  al  patrocinio  a  spese  dello  Stato
rispetto ad altre tipologie di contenzioso, rende  non  irragionevole
il rafforzamento  della  regola  della  posteriorita'  della  procura
mediante l'onere a carico del difensore  della  certificazione  della
data del  suo  rilascio  da  parte  dello  straniero  richiedente  la
protezione internazionale. Ne' vengono in sofferenza il diritto  alla
tutela giurisdizionale (art. 24, primo comma, Cost.)  di  un  diritto
fondamentale, qual e' quello d'asilo (art. 10, terzo comma, Cost.), e
la garanzia del ricorso per cassazione per violazione di legge  (art.
111, settimo comma, Cost.), che trova generale applicazione -  e  non
potrebbe essere diversamente - anche al contenzioso avente ad oggetto
la   protezione   internazionale.    Il    rafforzamento    indiretto
dell'osservanza di una  regola  processuale,  in  se'  non  posta  in
discussione (quella  della  necessaria  posteriorita'  della  procura
speciale), non restringe gli spazi  di  tutela  giurisdizionale,  ne'
ridonda in  un  adempimento  solo  formale  che  possa  inficiare  la
garanzia del giusto processo (art. 111, primo comma,  Cost.),  stante
la finalita' non irragionevole perseguita dalla norma. 
    Proprio la presenza  di  una  finalita'  non  irragionevole,  nei
termini indicati, sottesa alla norma censurata (e invece  carente  in
altre  fattispecie,  concernenti  non  il  diritto  d'asilo,  ma   la
posizione dello straniero, recentemente venute  all'esame  di  questa
Corte: sentenze n. 157 e n. 9 del 2021 e n. 186 del  2020),  comporta
che la prescrizione espressa dalla  stessa,  di  natura  strettamente
processuale, non integra un'illegittima disparita' di trattamento tra
i richiedenti protezione internazionale e altri  soggetti  ricorrenti
quanto  ai  requisiti  della  procura  speciale   a   ricorrere   per
cassazione. 
    12.- Neppure sussiste il denunciato difetto  di  proporzionalita'
della  sanzione  dell'inammissibilita'  del  ricorso   in   caso   di
inosservanza, da parte del difensore,  dell'onere  di  certificazione
anche della data del suo rilascio, oltre  che  dell'autografia  della
sottoscrizione. 
    In  vero  la  disposizione  censurata,  nella  sua   formulazione
testuale, riferisce la sanzione dell'inammissibilita' a  quest'ultima
e non la ripete anche con riguardo alla prima, tant'e' che sul  punto
era insorto un contrasto di giurisprudenza, risolto dalla  richiamata
pronuncia delle Sezioni unite nel senso, piu' rigoroso,  secondo  cui
l'inammissibilita' del ricorso consegue anche alla mancata  specifica
certificazione della data del rilascio della procura. La  progressiva
formazione  del  precedente  giurisprudenziale  in  ordine   a   tale
questione strettamente interpretativa ha, in tal caso,  raggiunto  lo
stadio del diritto vivente, fissato in un principio  di  diritto  che
crea, per le sezioni semplici, il richiamato vincolo di cui  all'art.
374,  terzo  comma,  cod.  proc.  civ.,  e  quindi  la   disposizione
censurata, sottoposta a scrutinio di legittimita' costituzionale,  va
letta con questo piu' rigoroso contenuto. 
    Ma, anche cosi', essa non mostra un difetto  di  proporzionalita'
che, nella materia processuale, connotata - come gia' rilevato  -  da
ampia discrezionalita' del legislatore, dovrebbe essere manifesto. 
    Vi e', invece, una simmetria nella sanzione dell'inammissibilita'
del ricorso per la violazione tanto  della  necessaria  posteriorita'
della procura speciale, quanto della  prescritta  certificazione,  da
parte del difensore, della data del suo rilascio. 
    Rientra nella discrezionalita' del legislatore aver perseguito la
finalita' di rafforzare l'osservanza della regola della posteriorita'
della procura speciale, presidiandola,  piu'  efficacemente,  con  un
onere posto a carico del difensore a  pena  di  inammissibilita'  del
ricorso piuttosto che, in  modo  piu'  blando,  con  un  mero  dovere
rientrante solo negli obblighi di deontologia professionale. 
    13.- L'ordinanza di rimessione muove, poi, ulteriori censure  con
riferimento, sotto un duplice profilo, sia a una serie  di  parametri
interposti del diritto dell'Unione europea (artt. 18,  19,  paragrafo
2, e 47 CDFUE; artt. 28 e  46  della  direttiva  2013/32/UE),  sia  a
parametri convenzionali (artt. 6, 13 e 14 CEDU), tutti per il tramite
dell'art. 117, primo comma, Cost. 
    Anche con riguardo a tali parametri - sia  del  diritto  europeo,
sia di quello convenzionale - le questioni non sono fondate. 
    14.- Sotto il primo profilo  va  ribadito  che  l'evocazione,  da
parte  della  Corte  rimettente,  del  contrasto   con   il   diritto
dell'Unione  europea  deve  considerarsi  ammissibile   quando   sono
richiamate,    come    parametri    interposti,    disposizioni    di
quell'ordinamento, relative ai medesimi diritti fondamentali tutelati
da parametri interni (da ultimo, sentenza di questa Corte n. 182  del
2021). 
    In tale evenienza, in cui «[i] principi  e  i  diritti  enunciati
nella  Carta   [dei   diritti   fondamentali   dell'Unione   europea]
intersecano in larga misura i principi e i  diritti  garantiti  dalla
Costituzione italiana» (sentenza  n.  269  del  2017),  e'  possibile
colmare, ove sussistente,  un  eventuale  scarto  di  tutele,  quando
quelle assicurate dal diritto europeo risultino piu' estese di quelle
dell'ordinamento nazionale. 
    14.1.- Con riferimento  alle  questioni  sollevate  nel  giudizio
principale e ai  parametri  evocati  dal  Collegio  rimettente,  puo'
osservarsi che la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea,
all'art. 18, riconosce e garantisce il diritto d'asilo  nel  rispetto
delle norme stabilite dalla Convenzione di Ginevra e  dal  Protocollo
concluso a New York il 31 gennaio  1967,  relativo  allo  status  dei
rifugiati, ratificato con legge del 14 febbraio 1970, n. 95. Assicura
poi protezione ai  richiedenti  asilo  escludendo  che  essi  possano
essere allontanati, espulsi o estradati verso uno Stato in cui esiste
un rischio serio di  essere  sottoposto  alla  pena  di  morte,  alla
tortura o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti (art.  19,
paragrafo 2, CDFUE). 
    Per questi diritti opera  la  generale  garanzia  di  un  ricorso
effettivo, deciso da un giudice imparziale (art. 47 CDFUE);  garanzia
specificata,   con   riferimento   alle   richieste   di   protezione
internazionale, dall'art. 46, paragrafo  3,  della  citata  direttiva
2013/32/UE, secondo cui, in particolare, gli Stati membri  assicurano
che un ricorso effettivo preveda l'esame completo ed  ex  nunc  degli
elementi di fatto e di  diritto,  quanto  meno  nei  procedimenti  di
impugnazione dinanzi al giudice  di  primo  grado.  Questa  direttiva
sulle procedure d'asilo e' stata trasposta, unitamente a quella coeva
sull'accoglienza, con decreto legislativo  18  agosto  2015,  n.  142
(Attuazione  della  direttiva  2013/33/UE  recante   norme   relative
all'accoglienza dei richiedenti  protezione  internazionale,  nonche'
della direttiva 2013/32/UE, recante  procedure  comuni  ai  fini  del
riconoscimento  e   della   revoca   dello   status   di   protezione
internazionale). 
    Tali garanzie complessive a livello di  diritto  europeo,  quanto
alla tutela giurisdizionale dei richiedenti asilo, si  sovrappongono,
senza sopravanzarle come  livello  di  tutela,  a  quelle  assicurate
nell'ordinamento nazionale dai parametri interni gia'  esaminati.  Ed
e' altresi' presente, nella Costituzione, la generale  garanzia,  che
vale anche  per  le  controversie  aventi  a  oggetto  la  protezione
internazionale, del ricorso per cassazione per  violazione  di  legge
(art. 111, settimo comma, Cost.). 
    Fondamentale in proposito e' la decisione  della  sezione  quarta
della Corte di giustizia dell'Unione europea (sentenza  26  settembre
2018, X e Y contro Staatssecretaris van Veiligheid en  Justitie)  che
ha chiarito che, a livello di diritto  europeo,  la  garanzia  di  un
ricorso effettivo  riguarda  il  diritto  del  richiedente  asilo  di
portare innanzi a un giudice, con le  garanzie  della  giurisdizione,
l'esame della sua richiesta, mentre e' rimessa alle  regolamentazioni
processuali degli Stati membri la  disciplina  dell'impugnazione,  in
secondo grado o ulteriore, della decisione di quel giudice. 
    Nel dare  continuita'  a  questo  principio,  ancora  con  citata
sentenza X e Y contro Staatssecretaris van Veiligheid en Justitie, la
Corte di giustizia ha ribadito  che  l'obbligo  di  effettivita'  del
ricorso si riferisce espressamente, come del resto risulta  dall'art.
46, paragrafo 3, della  direttiva  2013/32/UE,  ai  «procedimenti  di
impugnazione dinanzi  al  giudice  di  primo  grado»;  tale  obbligo,
richiedendo l'esame completo ed ex nunc degli elementi di fatto e  di
diritto,  riguarda  unicamente  lo   svolgimento   del   procedimento
giurisdizionale di primo grado. 
    Inoltre ha confermato che l'art. 47 CDFUE, letto alla luce  delle
garanzie sancite dagli artt.  18  e  19,  paragrafo  2,  sul  diritto
d'asilo, non impone l'esistenza  di  un  doppio  grado  di  giudizio:
essenziale, infatti, e' unicamente  che  sia  possibile  esperire  un
ricorso  dinanzi  a   un'autorita'   giurisdizionale.   Sicche',   in
particolare, l'introduzione di un ricorso per  cassazione  contro  le
decisioni di rigetto di  una  domanda  di  protezione  internazionale
rientra, in  mancanza  di  norme  fissate  dal  diritto  dell'Unione,
nell'ambito dell'autonomia  procedurale  degli  Stati  membri,  fatto
salvo il rispetto dei principi di effettivita' e di equivalenza. 
    Cio' e' in linea con la risalente  affermazione  della  Corte  di
giustizia secondo cui e' l'ordinamento giuridico interno di  ciascuno
Stato membro a dover stabilire le modalita' procedurali delle  azioni
giudiziali volte a tutelare i diritti spettanti ai singoli  in  forza
delle norme  comunitarie  (ora  europee)  aventi  efficacia  diretta,
modalita' che non possono, tuttavia, essere meno favorevoli di quelle
relative ad analoghe azioni del sistema processuale nazionale  (Corte
di giustizia CE, sentenze 16 dicembre 1976, in causa C-33/76, Rewe, e
in causa C-45/76, Comet). 
    Tale principio trova oggi espresso riconoscimento  nell'art.  19,
paragrafo 1, del Trattato dell'Unione europea, firmato a  Lisbona  il
13 dicembre 2007, secondo cui  «[g]li  Stati  membri  stabiliscono  i
rimedi  giurisdizionali   necessari   per   assicurare   una   tutela
giurisdizionale  effettiva  nei  settori  disciplinati  dal   diritto
dell'Unione». 
    14.2.- Limiti al principio di autonomia processuale  degli  Stati
membri sono pertanto solo quelli dell'effettivita' e dell'equivalenza
della tutela: quest'ultima si  esplica  nel  senso  che  la  garanzia
processuale offerta ai diritti di origine  europea  non  deve  essere
inferiore a quella riconosciuta rispetto  ad  analoghe  posizioni  di
diritto interno. 
    In particolare, come e' stato ricordato anche  di  recente  dalla
Corte di giustizia (si richiama ancora la  sentenza  Staatssecretaris
van Veiligheid en Justitie), il rispetto del  canone  di  equivalenza
richiede un pari trattamento  dei  ricorsi  che  si  fondano  su  una
violazione del diritto nazionale e di quelli, analoghi, basati su una
violazione del diritto dell'Unione, ma non l'equivalenza delle  norme
processuali nazionali applicabili a contenziosi aventi diversa natura
(sentenza 6 ottobre 2015, in causa C-69/14, Târşia). Occorre, quindi,
da un lato, identificare le procedure  o  i  ricorsi  comparabili  e,
dall'altro, determinare se i ricorsi basati sul diritto interno siano
trattati in modo piu' favorevole dei ricorsi  aventi  ad  oggetto  la
tutela dei diritti  conferiti  ai  singoli  dal  diritto  dell'Unione
(sentenze 12 febbraio 2015, in causa C-567/13, Baczo' e  Vizsnyiczai,
e 9 novembre 2017, in causa C-217/16, Dimos Zagoriou). 
    Per quanto riguarda la  comparabilita'  dei  ricorsi,  spetta  al
giudice nazionale,  che  dispone  di  una  conoscenza  diretta  delle
modalita' processuali applicabili, verificare le  somiglianze  tra  i
ricorsi  di  cui  trattasi  quanto  a  oggetto,  causa  ed   elementi
essenziali   (sentenza   27   giugno   2013,   in   causa    C-93/12,
Agrokonsulting-04, e ancora sentenza Dimos Zagoriou). 
    A tal fine occorre considerare che la disciplina del ricorso  per
cassazione nella materia della protezione  internazionale  e'  unica,
nel  contesto  della  trasposizione  della  direttiva  2013/32/UE,  e
rappresenta una tutela giurisdizionale ulteriore  rispetto  a  quella
assicurata a livello europeo. Essa semmai puo' porsi a raffronto  con
il procedimento volto al riconoscimento della  protezione  umanitaria
(ora   speciale)   riconducibile,   al    pari    della    protezione
internazionale, alla garanzia costituzionale del diritto  d'asilo  di
cui all'art. 10, terzo comma, Cost. (sentenza n. 194 del 2019). 
    In tale procedimento, novellato dal d.l. n. 113  del  2018,  come
convertito, vige un'analoga regola formale, con riguardo alla procura
a ricorrere per cassazione, quale contemplata dall'art. 19-ter, comma
6, del d.lgs.  n.  150  del  2011,  che  parimenti  richiede  che  il
difensore dello straniero, che  domandi  tale  protezione  residuale,
certifichi la data del rilascio  della  procura,  peraltro  anche  in
questa ipotesi a fronte di un giudizio di primo grado che si conclude
con ordinanza inappellabile. 
    14.3.- L'ordinanza di rimessione assume, poi, la  violazione,  da
parte della norma censurata, dell'art. 117, primo  comma,  Cost.,  in
relazione  agli  artt.  28  e  46,  paragrafo  11,  della   direttiva
2013/32/UE, che, ai fini della rinuncia  alla  domanda  proposta  dal
richiedente asilo, richiede un'espressa normativa di attuazione,  non
introdotta nel nostro ordinamento. 
    Anche questo profilo di censura non e' fondato. 
    L'art. 46, paragrafo 11, della  citata  direttiva,  demanda  agli
Stati membri la possibilita' -  non  l'obbligo  -  di  stabilire  nel
diritto nazionale le condizioni che devono  sussistere  affinche'  si
possa presumere che il richiedente abbia  implicitamente  ritirato  o
rinunciato al ricorso giurisdizionale. 
    L'art. 28 della medesima direttiva, invece, regola  la  procedura
in  caso  di   ritiro   implicito   della   domanda   di   protezione
internazionale o di rinuncia ad essa. 
    E'  sufficiente  rilevare  che   in   realta'   la   disposizione
attualmente censurata non si risolve in una sorta di  presunzione  di
rinuncia al ricorso o alla domanda di protezione  internazionale  per
effetto della mancata presenza del richiedente sul  territorio  dello
stesso, bensi' e' volta - ferma l'applicazione della regola  generale
della  posteriorita'  della  procura  speciale   per   ricorrere   in
cassazione -  a  presidiarne  il  rispetto,  imponendo  al  difensore
l'onere di certificare la data  di  conferimento  del  mandato.  Tale
onere non incide  sulla  possibilita',  o  no,  di  identificare  una
fattispecie, tacita o presunta, di rinuncia al ricorso o alla domanda
di protezione internazionale. 
    15.- Sotto il secondo profilo, relativo  agli  evocati  parametri
interposti  della  CEDU,  l'ordinanza   di   rimessione   assume   la
contrarieta'  della  norma  censurata  al  principio  di  divieto  di
discriminazione in base alla cittadinanza espresso dall'art. 14 CEDU. 
    Come   ha   da   tempo   chiarito   la   Corte   di   Strasburgo,
nell'applicazione  di  questa  norma  e'  riconosciuto   agli   Stati
contraenti un margine di  apprezzamento,  la  cui  ampiezza  varia  a
seconda delle  circostanze,  delle  materie  e  del  contesto  (Corte
europea dei diritti  dell'uomo,  sentenza  30  settembre  2003,  Koua
Poirrez contro Francia; grande camera,  sentenza  18  febbraio  2009,
Andrejeva contro Lettonia). 
    Pertanto, essendosi esclusa la violazione dell'art. 3 Cost.,  per
quanto  sopra  argomentato,  non  sussiste  neppure   la   violazione
dell'evocato parametro interposto. 
    15.1.- La Corte rimettente dubita, infine,  della  compatibilita'
dell'art. 35-bis, comma 13, sesto periodo, del d.lgs. n. 25 del 2008,
con gli artt. 6 e 13 CEDU sul diritto a  un  equo  processo  e  a  un
ricorso effettivo. 
    Sulla  problematica  delle  regole  processuali  contemplate  nei
giudizi di impugnazione, la Corte EDU ha  piu'  volte  ribadito  che,
sebbene l'art. 6 della Convenzione non imponga agli Stati  contraenti
di istituire gradi di giudizio ulteriori al primo, se gli stessi sono
previsti dalla legge nazionale dello Stato contraente, devono  essere
rispettate le garanzie dell'equo processo contemplate dalla  predetta
norma, in particolare nella misura in cui  la  stessa  assicura  alle
parti in causa un effettivo diritto di accesso ai  tribunali  per  le
decisioni relative ai loro diritti  e  obblighi  civili  (Corte  EDU,
grande camera, sentenza 5 aprile 2018, Zubac contro Croazia). 
    Al contempo, peraltro, si e' riconosciuto  (Corte  EDU,  sentenza
Zubac contro Croazia; 15 settembre 2016, Trevisanato  contro  Italia)
che il modo in cui l'art. 6, paragrafo 1, CEDU, si applica alle Corti
d'appello o di cassazione dipende  dalle  specificita'  dei  relativi
giudizi e che, a tal fine, occorre, in  particolare,  considerare  il
ruolo  svolto  nel  sistema  processuale  interno  dalla   Corte   di
cassazione. Le  condizioni  di  ammissibilita'  del  ricorso  possono
essere piu' rigorose rispetto a  quelle  contemplate  per  l'appello,
proprio  in  ragione  della  funzione  nomofilattica  demandata  alla
stessa, la cui possibilita' di esercizio  ne  delimita  e  giustifica
l'intervento,  sempre  che  le  regole  processuali  che   presidiano
l'accesso al giudizio di impugnazione non  siano  espressione  di  un
formalismo eccessivo nella relativa applicazione. 
    Come  ha  riconosciuto  anche  da  ultimo  la  stessa  Corte  EDU
(sentenza 28  ottobre  2021,  Succi  e  altri  contro  Italia),  tale
situazione  si  concreta   solo   in   caso   di   un'interpretazione
particolarmente rigorosa di una norma processuale,  che,  precludendo
l'esame sul merito dell'azione, finisca per violare il diritto a  una
tutela effettiva da parte degli organi giurisdizionali. 
    Nella  fattispecie  della  norma  censurata,  pero',   non   puo'
ritenersi  che  la  declaratoria  di  inammissibilita'  del   ricorso
nell'ipotesi di  procura  speciale,  la  cui  data,  posteriore  alla
pronuncia del provvedimento impugnato, non sia stata certificata  dal
difensore,  costituisca  espressione  di  un   formalismo   eccessivo
nell'applicazione della regola processuale. A seguito dell'intervento
risolutivo delle Sezioni unite civili (Cass. n. 15177 del 2021,  piu'
volte  citata)  l'onere  formale  di  certificazione  della  data  di
rilascio della procura, posto a carico del difensore,  specificamente
esperto per essere  abilitato  alla  difesa  innanzi  alla  Corte  di
cassazione, e' chiaro nella portata e  nelle  conseguenze  della  sua
inosservanza  e  puo'   essere   ottemperato   in   continuita'   con
l'assolvimento dell'altro  onere  di  certificazione  dell'autografia
della sottoscrizione di chi rilascia la procura. 
    Del resto la stessa Corte di Strasburgo ha piu' volte  osservato,
in proposito, che la  normativa  sulle  formalita'  e  i  termini  da
osservare per presentare un ricorso e' volta ad assicurare  la  buona
amministrazione della giustizia (sentenza Trevisanato contro Italia). 
    16.- In conclusione, le questioni di legittimita'  costituzionale
vanno dichiarate non fondate in  riferimento  a  tutti  gli  indicati
parametri,   sia   costituzionali   che   interposti,    europei    e
convenzionali. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara non fondate le questioni di legittimita'  costituzionale
dell'art. 35-bis, comma 13, sesto periodo, del decreto legislativo 28
gennaio 2008, n. 25 (Attuazione della  direttiva  2005/85/CE  recante
norme minime per le procedure applicate negli Stati  membri  ai  fini
del  riconoscimento  e  della  revoca  dello  status  di  rifugiato),
sollevate, in riferimento agli artt. 3, 10,  24,  111  e  117,  primo
comma, della Costituzione, quest'ultimo in relazione agli artt. 28  e
46, paragrafo 11, della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e
del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni  ai  fini
del  riconoscimento  e  della  revoca  dello  status  di   protezione
internazionale, agli artt. 46, 18 e 19, paragrafo 2, della Carta  dei
diritti fondamentali dell'Unione europea (CDFUE), proclamata a  Nizza
il 7 dicembre 2000 e adattata  a  Strasburgo  il  12  dicembre  2007,
nonche' agli artt. 6, 13 e 14 della Convenzione per  la  salvaguardia
dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU), firmata a
Roma il 4 novembre 1950, ratificata e  resa  esecutiva  con  legge  4
agosto 1955, n. 848, sollevata dalla  Corte  di  cassazione,  sezione
terza civile, con l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 2 dicembre 2021. 
 
                                F.to: 
                   Giancarlo CORAGGIO, Presidente 
                     Giovanni AMOROSO, Redattore 
             Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria 
 
    Depositata in Cancelleria il 20 gennaio 2022. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA