N. 18 SENTENZA 2 dicembre 2021- 24 gennaio 2022

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Ordinamento penitenziario - Detenuti sottoposti al regime speciale di
  detenzione - Sottoposizione a visto di censura della corrispondenza
  -  Limiti  -  Corrispondenza  indirizzata  ai  difensori  -  Omessa
  previsione -Violazione  del  diritto  di  difesa  -  Illegittimita'
  costituzionale in parte qua. 
- Legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 41-bis, comma 2-quater,  lettera
  e). 
- Costituzione, artt. 3, 15, 24, 111 e 117, primo comma;  Convenzione
  per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle   liberta'
  fondamentali, art. 6. 
(GU n.4 del 26-1-2022 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giancarlo CORAGGIO; 
Giudici :Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria  de  PRETIS,  Nicolo'
  ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,
  Giovanni  AMOROSO,  Francesco  VIGANO',  Luca   ANTONINI,   Stefano
  PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela  NAVARRETTA,  Maria  Rosaria  SAN
  GIORGIO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  41-bis,
comma 2-quater, lettera e), della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme
sull'ordinamento  penitenziario  e  sulla  esecuzione  delle   misure
privative e limitative  della  liberta'),  promosso  dalla  Corte  di
cassazione, sezione prima penale, nel procedimento penale a carico di
G. J., con ordinanza del 21  maggio  2021,  iscritta  al  n.  96  del
registro ordinanze 2021 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 27, prima serie speciale, dell'anno 2021. 
    Udito nella camera di consiglio del 1° dicembre 2021  il  Giudice
relatore Francesco Vigano'; 
    deliberato nella camera di consiglio del 2 dicembre 2021. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con l'ordinanza indicata in epigrafe, la Corte di cassazione,
sezione  prima  penale,  ha  sollevato  questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 41-bis, comma 2-quater,  lettera  e),  della
legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario  e
sulla esecuzione delle misure privative e limitative della liberta'),
in riferimento agli artt. 3, 15, 24, 111 e 117,  primo  comma,  della
Costituzione, quest'ultimo in relazione all'art. 6 della  Convenzione
europea dei diritti dell'uomo (CEDU), nella parte in cui prevede, per
i detenuti sottoposti al regime di cui al comma 2  e  seguenti  dello
stesso art. 41-bis  ordin.  penit.,  la  sottoposizione  a  visto  di
censura della corrispondenza, senza escludere quella  indirizzata  ai
difensori. 
    1.1.- Dinanzi al giudice a quo pende il ricorso  proposto  da  un
imputato, condannato in primo grado alla pena di venticinque anni  di
reclusione perche' ritenuto esponente di vertice  di  un'associazione
di stampo mafioso, e attualmente detenuto in regime differenziato  di
cui all'art. 41-bis ordin. penit. 
    Espone la Sezione rimettente che con decreto del 12  maggio  2020
il Presidente del Tribunale ordinario  di  Locri  aveva  disposto  il
trattenimento di un telegramma indirizzato dal  detenuto  al  proprio
difensore di fiducia. Con ordinanza del 9 luglio 2020 il Tribunale di
Locri aveva rigettato il reclamo del detenuto avverso  tale  decreto,
ritenendo la sussistenza di un «pericolo per l'ordine e la  sicurezza
pubblica,  connesso  all'ambiguita'  del  contenuto  della   missiva,
composta da una serie di periodi non legati  da  un  filo  logico  in
grado  di  rendere  coerente  e  comprensibile  il  testo  nella  sua
interezza». Avverso  l'ordinanza  del  tribunale  il  detenuto  aveva
quindi proposto il ricorso attualmente pendente  innanzi  al  giudice
rimettente, lamentando l'illegittimita' della motivazione con cui  il
Tribunale aveva confermato il provvedimento di trattenimento. 
    Tuttavia, il giudice a quo  dubita  della  compatibilita'  con  i
parametri costituzionali menzionati dell'art. 41-bis, comma 2-quater,
lettera e),  ordin.  penit.,  nella  parte  in  cui  non  esclude  la
corrispondenza diretta al difensore dal novero di  quella  sottoposta
al visto di censura. Tale  dubbio,  osserva  la  Sezione  rimettente,
impedisce  «di  procedere  al   vaglio   della   legittimita'   della
motivazione del provvedimento impugnato, giacche' qualora  il  dubbio
prospettato si rivelasse fondato, la stessa operazione di  lettura  e
di controllo del  contenuto  della  missiva  risulterebbe,  a  monte,
viziata»: donde la rilevanza delle questioni formulate. 
    1.2.-  Il  giudice  a  quo  ricostruisce  anzitutto   il   quadro
sistematico  nel  quale  si  inserisce  la  disposizione   censurata,
osservando che il controllo sulla corrispondenza dei detenuti e degli
internati e' disciplinato in via  generale  dall'art.  18-ter  ordin.
penit., il  quale  tuttavia  esclude,  al  comma  2,  ogni  forma  di
controllo  e  di  limitazione  della  corrispondenza  indirizzata  ai
soggetti indicati dall'art. 103, comma 5,  del  codice  di  procedura
penale, tra  cui  i  difensori.  Tale  disciplina  generale  sarebbe,
peraltro, derogata dall'art.  41-bis,  comma  2-quater,  lettera  e),
ordin. penit., che prevede la sottoposizione a visto di censura della
corrispondenza dei detenuti e internati sottoposti al regime  di  cui
all'art. 41-bis ordin. penit., facendo eccezione soltanto per «quella
con i membri del Parlamento  o  con  autorita'  europee  o  nazionali
aventi competenza in materia di giustizia». Al  di  fuori  di  queste
tassative ipotesi, la disposizione censurata  -  che,  come  ritenuto
dalla  giurisprudenza,  si  atteggerebbe  a  lex  specialis  rispetto
all'art. 18-ter ordin.  penit.  (sono  citate  Corte  di  cassazione,
sezione prima penale,  sentenze  17  maggio  2018,  n.  51187,  e  21
novembre  2012,  n.  48365)  -  consentirebbe  dunque   all'autorita'
preposta  non  solo  di  prendere  visione  della  generalita'  della
corrispondenza del detenuto o dell'internato, compresa quella con  il
proprio difensore; ma anche di bloccarne  l'inoltro,  ovvero  di  non
procedere alla sua consegna al detenuto o all'internato. 
    Tale  conclusione  non  potrebbe  essere   revocata   in   dubbio
dall'esistenza dell'art. 103, comma 6, cod. proc.  pen.,  che  vieta,
tra l'altro,  «ogni  forma  di  controllo  della  corrispondenza  tra
l'imputato e il proprio difensore», in quanto quest'ultimo  sia  reso
riconoscibile dal rispetto delle prescrizioni  dettate  dall'art.  35
delle Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del  codice
di procedura penale, salvo che la corrispondenza  stessa  costituisca
corpo del reato. Anche rispetto all'art. 103,  comma  6,  cod.  proc.
pen. la disposizione censurata si porrebbe  infatti  in  rapporto  di
specialita', su di essa prevalendo. 
    1.3.- Cosi' interpretata, la disposizione di cui all'art. 41-bis,
comma 2-quater, lettera e), ordin. penit.  risulterebbe  tuttavia  in
contrasto «non solo - e non tanto - [con la] liberta' [e]  segretezza
della corrispondenza, diritti  dichiarati  inviolabili  dall'art.  15
Cost. e che spettano ad ogni individuo  in  quanto  tale  e,  quindi,
anche ai detenuti, ma anche  e  soprattutto  [con  il]  diritto  alla
difesa e [con]  quello  ad  un  equo  processo,  tutelati  a  livello
costituzionale e sovranazionale». 
    Ad   avviso   della   Sezione   rimettente,   infatti,    sarebbe
irragionevole  equiparare  il  difensore  agli  interlocutori   «"non
qualificati" del detenuto e, in primo luogo, ai  familiari»:  se  non
puo' escludersi «a priori l'astratta,  ed  eccezionale,  eventualita'
che un difensore accetti di assumere il ruolo di illecito  canale  di
comunicazione tra il proprio cliente e l'organizzazione criminale  di
appartenenza dello stesso, tale possibilita' non puo' nemmeno  essere
assunta a massima di esperienza», si' da legittimare  una  disciplina
come quella censurata, che finirebbe per «trattare  in  modo  analogo
situazioni  differenti,  in  patente  violazione  del  principio   di
eguaglianza, irragionevolmente comprimendo, altresi', il  diritto  di
difesa». 
    La  disciplina  in  parola  sarebbe  inoltre   irragionevole   se
confrontata con quella dettata per i colloqui visivi e telefonici con
i difensori, sottratti - per  espressa  previsione  dell'art.  41-bis
ordin. penit. - al controllo auditivo e alla videoregistrazione,  che
valgono invece per i colloqui con  i  familiari.  Una  volta  che  si
ammetta, infatti, che un difensore possa venir meno ai propri  doveri
deontologici e professionali,  prestandosi  a  divenire  un  illecito
canale  di  comunicazione   tra   il   detenuto   o   l'internato   e
l'organizzazione criminale di appartenenza, un tale  sviamento  della
funzione potrebbe ben  verificarsi  anche  nel  corso  dei  colloqui,
sottratti a qualsiasi controllo; sicche'  la  censura  sulle  missive
indirizzate  al  difensore,  e  il  loro   eventuale   trattenimento,
finirebbero  «per  penalizzare  irragionevolmente  e  inutilmente  il
diritto di difesa - anche solo attraverso l'irrimediabile ritardo che
la sottoposizione a censura imprime all'inoltro e alla consegna della
missiva - e quello ad un  equo  processo»,  senza  riuscire  pero'  a
«neutralizzare  l'astratto  pericolo  che  un  ipotetico  scambio  di
direttive e informazioni per mezzo del difensore  avvenga  con  altro
mezzo». 
    2.-   L'associazione   "Italiastatodidiritto"    ha    presentato
un'opinione scritta in qualita'  di  amicus  curiae,  argomentando  a
sostegno della fondatezza nel merito delle questioni sollevate. 
    L'opinione evidenza in particolare come «il profilo  piu'  grave»
della normativa censurata sarebbe  costituito  dalla  presunzione  di
pericolosita' del  difensore  sulla  quale  essa  parrebbe  fondarsi:
presunzione che non solo mortificherebbe  solennita'  e  valenza  del
giuramento forense, ma sarebbe anche irragionevole  nella  misura  in
cui riguarda la categoria  forense  e  non  altre  figure,  prive  di
analoghe stringenti prescrizioni deontologiche e professionali, quali
i membri del Parlamento, per i quali il visto di censura non opera. 
    Richiamando sul punto quanto  affermato  da  questa  Corte  nella
sentenza n. 212 del 1997 e dalla Corte europea dei diritti  dell'uomo
nelle sentenze 19 gennaio 2010, Montani contro Italia  e  20  gennaio
2009, Zara contro Italia, l'amicus osserva inoltre che il diritto  di
conferire con il proprio difensore rappresenta un aspetto  essenziale
del diritto inviolabile di difesa, e che condizione essenziale per la
sua garanzia sarebbe la confidenzialita' delle informazioni scambiate
tra avvocato e parte assistita. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con l'ordinanza indicata in epigrafe, la Corte di cassazione,
sezione  prima  penale,  ha  sollevato,   d'ufficio,   questioni   di
legittimita' costituzionale dell'art. 41-bis, comma 2-quater, lettera
e), della legge  26  luglio  1975,  n.  354  (Norme  sull'ordinamento
penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e  limitative
della liberta'), in riferimento agli artt. 3,  15,  24,  111  e  117,
primo comma, della Costituzione, quest'ultimo in relazione all'art. 6
della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU),  nella  parte
in cui prevede, per i detenuti sottoposti al regime di cui al comma 2
e seguenti dello stesso art. 41-bis ordin. penit., la  sottoposizione
a visto di  censura  della  corrispondenza,  senza  escludere  quella
indirizzata ai difensori. 
    In  sostanza,  il  giudice  a  quo  ritiene  che  la   previsione
generalizzata, desumibile dalla  disposizione  oggetto  del  presente
giudizio, del visto di censura sulla corrispondenza  dei  detenuti  e
degli internati sottoposti al regime differenziato  di  cui  all'art.
41-bis  ordin.  penit.  con  i  propri  difensori   costituisca   una
irragionevole compressione non  solo  del  diritto  di  costoro  alla
liberta' e  segretezza  della  propria  corrispondenza,  ma  anche  e
soprattutto dei loro diritti di difesa e  al  giusto  processo,  come
garantiti dalla Costituzione e dalla CEDU. 
    2.-  L'esame  di  tali   questioni   richiede   una   preliminare
ricostruzione, anche in prospettiva diacronica, del quadro  normativo
nel quale si colloca la disposizione censurata,  in  particolare  con
riguardo ai rapporti tra quest'ultima e  la  disciplina  generale  in
materia di limitazioni e controlli alla corrispondenza dei detenuti e
degli internati, dettata dalla legge sull'ordinamento penitenziario. 
    2.1.- Prima dell'entrata in vigore della legge 8 aprile 2004,  n.
95 (Nuove  disposizioni  in  materia  di  visto  di  controllo  sulla
corrispondenza dei  detenuti),  l'art.  18  ordin.  penit.  prevedeva
genericamente la possibilita'  di  sottoporre  la  corrispondenza  di
detenuti   e   internati   a   «visto   di   controllo»   da    parte
dell'amministrazione penitenziaria o, a seconda dei  casi,  da  parte
della stessa autorita' giudiziaria, sulla base di un provvedimento di
quest'ultima. 
    2.2.- Nel 1989, l'art. 103, comma  6,  del  codice  di  procedura
penale e' intervenuto a vietare espressamente  il  sequestro  e  ogni
forma di controllo della corrispondenza tra gli imputati -  ancorche'
detenuti o internati - e i propri difensori, salvo  che  nell'ipotesi
in cui l'autorita' giudiziaria abbia fondato motivo di  ritenere  che
si tratti di corpo del reato, e sempre che siano state  osservate  le
formalita' prescritte dall'art. 35  delle  Norme  di  attuazione,  di
coordinamento  e  transitorie  del  codice   di   procedura   penale,
finalizzate ad assicurare la riconoscibilita' di tale  corrispondenza
per l'amministrazione penitenziaria. 
    La disciplina sopravvenuta non concerneva invece, quanto meno  in
base al suo tenore letterale, la posizione dei detenuti  o  internati
gia' condannati con sentenza definitiva. 
    2.3.-  Dopo  l'introduzione  del  regime  differenziato  di   cui
all'art. 41-bis ordin. penit. ad opera  del  decreto-legge  8  giugno
1992, n. 306 (Modifiche urgenti al nuovo codice di procedura penale e
provvedimenti di contrasto alla  criminalita'  mafiosa),  convertito,
con modificazioni, nella legge 7 agosto 1992, n. 356, ci si chiese se
il controllo della corrispondenza dei detenuti e internati soggetti a
tale  regime  potesse  essere   disposto,   anziche'   dall'autorita'
giudiziaria,  dal  Ministro  della  giustizia  con  il  provvedimento
applicativo del regime differenziato. 
    Con sentenza n. 349 del 1993, questa Corte ritenne non fondate le
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 41-bis,  comma  2,
ordin. penit. che il giudice rimettente aveva formulato, tra l'altro,
in riferimento  all'art.  15  Cost.,  facendo  leva  sul  presupposto
ermeneutico secondo cui, sulla base della disposizione censurata,  il
Ministro avrebbe avuto la facolta' di  disporre  anche  il  controllo
della corrispondenza del detenuto o  internato  sottoposto  al  nuovo
regime  penitenziario.  Tale  presupposto  ermeneutico  fu   ritenuto
erroneo da questa Corte. «Poiche' i diritti inviolabili dell'uomo»  -
argomento' la sentenza in parola - «rispondono  ad  un  principio  di
valore fondamentale che ha carattere generale, la loro limitazione  o
soppressione (nei soli casi e modi previsti dalla Costituzione, o per
i quali e' disposta una riserva di legge) ha carattere derogatorio ad
una regola generale e, quindi, presenta natura eccezionale: e' questo
il motivo per  cui  le  norme  che  siano  suscettibili  di  incidere
ulteriormente   su   tali    diritti,    previste    dall'Ordinamento
penitenziario (che e' appunto un tipico ordinamento derogatorio), non
possono essere applicate per analogia e vanno  interpretate  in  modo
rigorosamente restrittivo». Rispetto, in  particolare,  al  controllo
sulla  corrispondenza  dei  detenuti  sottoposti  al  regime  di  cui
all'art. 41-bis ordin. penit., questa Corte osservo'  che  «nulla  e'
rinvenibile nella disposizione in esame che attribuisca  al  Ministro
una specifica competenza in ordine alla  sottoposizione  a  visto  di
controllo della corrispondenza dei detenuti, e che costituisca quindi
deroga all'art. 18 dell'Ordinamento penitenziario (che [...]  riserva
tale  potere  al  giudice),  e,  quindi,  elusione   della   garanzia
d'inviolabilita'  delle  comunicazioni  sancita  dall'art.  15  della
Costituzione». 
    2.4.- La legge 23 dicembre 2002, n. 279 (Modifica degli  articoli
4-bis e 41-bis della legge 26 luglio 1975,  n.  354,  in  materia  di
trattamento  penitenziario)  introdusse  quindi  il  comma   2-quater
nell'art. 41-bis ordin. penit.  Nella  sua  versione  originaria,  la
disposizione stabiliva che la sospensione delle regole di trattamento
ordinario per  effetto  del  provvedimento  ministeriale  di  cui  al
precedente comma 2-bis  «puo'  comportare»  la  serie  di  misure  di
seguito elencate, tra cui quella  -  prevista  alla  lettera  e),  in
questa sede censurata - della  «sottoposizione  a  visto  di  censura
della corrispondenza, salvo quella con i membri del Parlamento o  con
autorita'  europee  o  nazionali  aventi  competenza  in  materia  di
giustizia». 
    Restava non chiarito espressamente come questa nuova disposizione
si coordinasse  con  la  previsione  generale,  poc'anzi  menzionata,
relativa al controllo della corrispondenza di cui all'art. 18  ordin.
penit., nonche' con  i  divieti  di  controllo  della  corrispondenza
dell'imputato stabiliti dall'art. 103, comma 6, cod. proc.  pen.,  di
cui parimenti si e' detto. 
    2.5.- Nel frattempo, la disciplina dello stesso  art.  18  ordin.
penit. era stata piu' volte ritenuta incompatibile con l'art. 8  CEDU
da parte della Corte di  Strasburgo,  in  ragione  dell'inadeguatezza
della base legale della limitazione  del  diritto  alla  riservatezza
della corrispondenza del detenuto, non essendo stabiliti dalla  legge
ne'  la  possibile   durata   delle   misure   di   controllo   della
corrispondenza, ne' i  presupposti,  l'ampiezza  e  le  modalita'  di
esercizio  della  discrezionalita'  delle  autorita'   competenti   a
disporle (Corte EDU, sentenze 15 novembre 1996, Calogero Diana contro
Italia, paragrafo 33; 15 novembre 1996,  Domenichini  contro  Italia,
paragrafo 33; grande camera, 6  aprile  2000,  Labita  contro  Italia
paragrafo 184; 9 gennaio 2001, Natoli contro  Italia,  paragrafo  46;
nonche', con riferimento alla  situazione  normativa  antecedente  al
2004, sentenze 11 gennaio 2005, Musumeci contro Italia, paragrafo 58;
7 luglio 2009, Salvatore Piacenti contro  Italia,  paragrafo  19;  1°
dicembre 2009, Stolder contro Italia, paragrafo 34). 
    Proprio per ovviare alle lacune di disciplina  evidenziate  dalla
Corte EDU, la legge n. 95 del 2004 riformo'  la  disciplina  generale
sulle limitazioni e i controlli della corrispondenza dei  detenuti  e
internati,  introducendo  il  nuovo  art.  18-ter  ordin.  penit.   e
abrogando contestualmente i commi settimo e nono dell'art.  18  nella
versione allora vigente, nonche' il riferimento  alla  corrispondenza
contenuto nel comma  ottavo  dello  stesso  articolo  nella  versione
allora vigente (su tale vicenda normativa e sul  «delicato  punto  di
equilibrio raggiunto dal legislatore» con il nuovo art. 18-ter ordin.
penit., in linea con le sollecitazioni della Corte EDU,  sentenza  n.
20 del 2017 di questa Corte). 
    La nuova disposizione prevede, in  particolare,  la  possibilita'
per l'autorita' giudiziaria competente ai sensi  del  comma  3  -  in
presenza di «esigenze attinenti le  indagini  o  investigative  o  di
prevenzione dei reati, ovvero per ragioni di sicurezza  o  di  ordine
dell'istituto» - di disporre nei  confronti  di  singoli  detenuti  o
internati, per periodi non superiori  a  sei  mesi,  prorogabili  per
successivi periodi non superiori a tre mesi, tre distinte misure,  di
impatto decrescente rispetto al diritto alla  liberta'  e  segretezza
della corrispondenza: a) limitazioni nella corrispondenza  epistolare
e telegrafica e nella ricezione della stampa;  b)  la  sottoposizione
della corrispondenza a  visto  di  controllo;  c)  il  controllo  del
contenuto  delle  buste  che  racchiudono  la  corrispondenza,  senza
lettura della medesima (comma 1). 
    Il comma 2 dell'art.  18-ter  ordin.  penit.  esclude,  peraltro,
l'applicazione di tali misure qualora la corrispondenza epistolare  o
telegrafica sia indirizzata, tra gli altri, «ai soggetti indicati nel
comma 5 dell'articolo 103 del codice di procedura penale», e cioe' ai
difensori, agli investigatori privati  autorizzati  e  incaricati  in
relazione al procedimento, nonche' ai consulenti tecnici  e  ai  loro
ausiliari - soggetti, tutti, rispetto ai quali l'art. 103,  comma  5,
cod.  proc.  pen.  vieta  in  via  generale  l'intercettazione  delle
conversazioni o comunicazioni con l'imputato. 
    2.6.- La legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia  di
sicurezza  pubblica)  ha,  infine,  modificato  il   comma   2-quater
dell'art. 41-bis  ordin.  penit.,  disponendo  che  il  provvedimento
ministeriale applicativo del regime differenziato disciplinato  dallo
stesso art. 41-bis «prevede» - anziche', come  in  precedenza,  «puo'
comportare» -  le  misure  elencate  di  seguito,  tra  le  quali  la
sottoposizione a visto di censura della corrispondenza  di  cui  alla
lettera e), che viene in questa sede in considerazione. 
    2.7.-  Come  si  evince  dalla  ricostruzione  che  precede,   il
legislatore  non  ha  mai  espressamente  chiarito   quale   rapporto
intercorra tra la previsione della «sottoposizione a visto di censura
della corrispondenza» dei detenuti  e  internati  in  regime  di  cui
all'art. 41-bis ordin. penit. e la disciplina  sui  «controlli  della
corrispondenza»  applicabile  alla   generalita'   dei   detenuti   e
internati, contenuta oggi nell'art. 18-ter ordin. penit. 
    Tale mancato chiarimento apre due ordini di problemi. 
    In primo luogo, occorre stabilire se, in  base  all'art.  41-bis,
comma 2-quater, lettera e), ordin. penit., la sottoposizione a «visto
di censura» della corrispondenza - misura che, malgrado la differente
denominazione, di fatto coincide  con  quella,  menzionata  nell'art.
18-ter, comma 1, lettera b),  ordin.  penit.,  del  «controllo  della
corrispondenza» - possa, e anzi debba  (dopo  la  modifica  apportata
alla disposizione censurata dalla  legge  n.  94  del  2009),  essere
disposta direttamente  dal  Ministro  della  giustizia  nel  medesimo
provvedimento applicativo del regime penitenziario  differenziato  di
cui allo stesso art. 41-bis ordin. penit., ovvero  continui  a  dover
essere disposta dall'autorita' giudiziaria indicata  come  competente
dall'art. 18-ter, comma 3, ordin. penit. 
    La giurisprudenza di  legittimita',  sulla  base  delle  medesime
esigenze di una interpretazione costituzionalmente orientata  di  cui
si era fatta carico la sentenza n. 349 del 1993 (supra, punto  2.3.),
appare nettamente orientata in quest'ultimo senso, affermando che  la
liberta' di corrispondenza  dei  detenuti  in  regime  speciale  puo'
essere limitata, in virtu' di quanto stabilito  dall'art.  15  Cost.,
solo con un provvedimento dell'autorita' giudiziaria,  specificamente
motivato in ordine alla  sussistenza  dei  presupposti  indicati  dai
commi da 1 a 4 dell'art. 18-ter della legge  n.  354  del  1975  come
modificato dalla legge n. 95 del 2004 (Corte di  cassazione,  sezione
quinta  penale,  sentenza  22  febbraio  2019,  n.  32452;  in  senso
conforme, sezione prima penale, sentenza 17 maggio  2018,  n.  51187;
sezione prima penale, 20 giugno 2014, n. 43522; sezione prima penale,
21 novembre 2012, n. 48365). 
    Da tale diritto vivente  si  desume,  dunque,  che  in  linea  di
principio l'art. 18-ter, comma 3, ordin.  penit.  trova  applicazione
anche nei confronti di detenuti  e  internati  sottoposti  al  regime
penitenziario speciale di cui all'art. 41-bis ordin. penit. 
    2.8.- Resta pero' aperto un secondo ordine di  quesiti,  cruciale
rispetto   alla   soluzione   delle   questioni    di    legittimita'
costituzionale oggi sottoposte a questa Corte: e cioe', da  un  lato,
se  anche  rispetto  a  tutti  i  detenuti  e  internati  in   regime
differenziato ex art. 41-bis ordin. penit. valga il divieto, posto in
via generale dall'art. 18-ter, comma 2, ordin. penit., di disporre le
misure previste dal  comma  1  con  riferimento  alla  corrispondenza
epistolare o telegrafica con i soggetti indicati dall'art. 103, comma
5, cod. proc. pen., tra cui  segnatamente  i  difensori  del  singolo
detenuto  o  internato;  e  dall'altro  lato  se,  quanto   meno   in
riferimento ai soli imputati  in  custodia  cautelare  sottoposti  al
regime di cui all'art. 41-bis ordin. penit.,  continui  a  valere  il
divieto di ogni forma di controllo della corrispondenza fra costoro e
i rispettivi difensori posto dall'art. 103, comma 6, cod. proc. pen. 
    La soluzione affermativa a entrambi i  quesiti  -  sostenuta  del
resto da numerose voci dottrinali - e' alla base della circolare  del
Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria  (DAP)  n.  3676/6126
del 2 ottobre 2017 intitolata «Organizzazione del circuito  detentivo
speciale  previsto  dall'art.  41-bis  O.P.».  L'art.  18.1  di  tale
circolare dispone infatti espressamente che «[v]'e' tassativo divieto
di sottoporre a limitazioni e/o controlli la corrispondenza cd.  "per
giustizia", ovvero la corrispondenza indirizzata ai soggetti indicati
nel comma 5 dell'art. 103 del codice  procedura  penale»,  nonche'  a
tutte le autorita' indicate nell'art.  35  delle  relative  norme  di
attuazione. 
    Nello stesso senso paiono implicitamente orientate  anche  alcune
recenti  decisioni  della  Corte  di  cassazione,  che  affermano  la
legittimita' di singole  misure  di  controllo  sul  contenuto  della
corrispondenza del detenuto in regime differenziato  ex  art.  41-bis
ordin. penit. con il proprio difensore in casi in cui non erano state
osservate le formalita' dettate per l'invio della corrispondenza "per
ragioni di giustizia" dagli artt. 103 cod. proc. pen. e 35 norme att.
cod. proc. pen., nonche' dall'art. 16.4  della  menzionata  circolare
del DAP (Corte di  cassazione,  sezione  prima  penale,  sentenza  22
giugno 2020, n. 23820; sezione prima  penale,  sentenza  20  febbraio
2019, n. 21737).  Da  tali  decisioni  si  puo'  infatti  desumere  a
contrario che le misure in questione non  sarebbero  state  legittime
ove le predette formalita' fossero state rispettate (si veda altresi'
Corte di cassazione, sezione prima penale, sentenza 28 febbraio 2019,
n.  27571,  che  rigetta  il  ricorso  avverso  un  provvedimento  di
trattenimento  della  corrispondenza  di  un   detenuto   in   regime
differenziato ex art. 41-bis  ordin.  penit.  poiche'  non  risultava
l'afferenza  di  tale  corrispondenza  a   procedimenti   nei   quali
risultasse  depositata  la  nomina  di   quel   difensore,   con   la
significativa precisazione che - ove siano rispettate  le  formalita'
prescritte dalla legge per la corrispondenza con i difensori -  resta
ferma   «l'impossibilita'   di   accedere    ai    contenuti    della
comunicazione»). 
    Ne' argomenti in senso contrario possono desumersi dalle sentenze
citate  nell'ordinanza  di  rimessione,   che   concernono   ora   il
trattenimento di missive che non risultavano indirizzate al difensore
(Corte di cassazione, sezione prima penale,  sentenza  n.  51187  del
2018; sentenza n. 48365 del 2012), ora il trattenimento di una busta,
indirizzata dal difensore al  detenuto,  contenente  pero'  anche  un
cd-rom, ritenuto ricadere entro la diversa  disciplina  relativa  del
controllo degli oggetti (Corte di cassazione, sezione  prima  penale,
sentenza 30 settembre 2020-18 gennaio 2021, n. 1901). 
    2.9.-  Il  giudice  rimettente  muove,  tuttavia,   dal   diverso
presupposto interpretativo secondo  cui  la  disposizione  censurata,
escludendo espressamente dalla  sottoposizione  a  visto  di  censura
soltanto la  corrispondenza  «con  i  membri  del  Parlamento  o  con
autorita'  europee  o  nazionali  aventi  competenza  in  materia  di
giustizia», si porrebbe quale lex specialis sia rispetto al  comma  2
dell'art. 18-ter ordin. penit., sia rispetto all'art. 103,  comma  6,
cod. proc. pen. 
    In  difetto  di  un  orientamento  chiaro  e  consolidato   della
giurisprudenza  di  legittimita'  in  senso  contrario,   idoneo   ad
assurgere a diritto vivente, la soluzione  interpretativa  assunta  a
base dell'ordinanza di rimessione  appare  non  solo  plausibile,  ma
anche - a ben guardare - come la  piu'  conforme  al  dato  letterale
della disposizione censurata: la quale, con riferimento specifico  ai
detenuti e internati sottoposti al  regime  di  cui  all'art.  41-bis
ordin. pen. (e senza distinguere tra condannati in via  definitiva  e
imputati in custodia cautelare)  prevede  come  misura  ordinaria  il
visto  di   censura   della   corrispondenza,   elencando   in   modo
apparentemente tassativo le ipotesi  di  corrispondenza  sottratta  a
tale visto, in deroga dunque alle altre  disposizioni  che  prevedono
divieti di controllo della corrispondenza con un piu' ampio novero di
soggetti "qualificati" per la generalita' dei  detenuti  o  internati
(art. 18-ter ordin. penit.), ovvero per la generalita' degli imputati
(art. 103, comma 6, cod. proc. pen.). 
    3.- Da cio' discende l'ammissibilita' delle questioni prospettate
dal giudice rimettente, il quale ha - almeno implicitamente - escluso
la possibilita'  di  un'interpretazione  conforme  alla  Costituzione
della  disposizione  censurata  (cio'  che  la  giurisprudenza  ormai
costante   di   questa   Corte   considera   sufficiente   ai    fini
dell'ammissibilita'  della  questione:  sentenza  n.  221  del   2015
nonche', ex multis, sentenze n.  150,  n.  59  e  n.  32  del  2021),
argomentando pianamente  sulla  base  del  suo  dato  letterale,  che
costituisce il naturale limite dello stesso  dovere  del  giudice  di
interpretare la legge in conformita' alla Costituzione  (sentenze  n.
102 del 2021, n. 253 del 2020, n. 174 del 2019 e  n.  82  del  2017).
Dato letterale, peraltro, sulla cui base -  nonostante  le  contrarie
indicazioni contenute nella circolare del DAP poc'anzi  menzionata  -
si  e'  proceduto  all'estensione   del   visto   di   censura   alla
corrispondenza con i difensori nel caso oggetto del giudizio a quo. 
    4.- La questione sollevata in riferimento all'art.  24  Cost.  e'
fondata. 
    4.1.- Questa Corte ha  da  tempo  riconosciuto  che  la  garanzia
costituzionale del diritto di difesa -  qualificato  come  «principio
supremo» dell'ordinamento costituzionale (sentenze n. 238  del  2014,
n. 232 del 1989 e n. 18 del 1982) - comprende  il  diritto,  ad  esso
strumentale, di conferire con  il  difensore  (sentenza  n.  216  del
1996), «allo scopo di predisporre le difese e decidere  le  strategie
difensive, ed ancor prima allo scopo  di  poter  conoscere  i  propri
diritti e le possibilita' offerte dall'ordinamento  per  tutelarli  e
per evitare o attenuare le  conseguenze  pregiudizievoli  cui  si  e'
esposti» (sentenza n. 212 del 1997); ed ha altresi' evidenziato  come
tale diritto «assuma una  valenza  tutta  particolare  nei  confronti
delle persone ristrette in ambito penitenziario, le quali, in  quanto
fruenti solo di  limitate  possibilita'  di  contatti  interpersonali
diretti con  l'esterno,  vengono  a  trovarsi  in  una  posizione  di
intrinseca debolezza rispetto all'esercizio delle facolta' difensive»
(sentenza n. 143 del 2013). 
    4.2.- Questi principi trovano precise corrispondenze nel  diritto
internazionale dei diritti umani. 
    Quanto al contesto europeo, risalente e' l'affermazione da  parte
della Corte  EDU  secondo  la  quale  l'esercizio  del  diritto  alla
riservatezza delle  proprie  comunicazioni  -  di  per  se'  tutelato
dall'art. 8 CEDU (sentenze  25  marzo  1992,  Campbell  contro  Regno
unito, paragrafo 54, nonche', recentemente, 24 maggio  2018,  Laurent
contro Francia, paragrafo 49) - e' funzionale anche a  esercitare  il
diritto alla difesa tecnica sancito dall'art. 6, paragrafo 3, lettera
c), CEDU in capo ad ogni persona accusata di un reato; diritto il cui
esercizio implica la possibilita' di comunicare  liberamente  con  il
proprio avvocato (sentenze 20 giugno  1988,  Schönenberger  e  Durmaz
contro Svizzera, paragrafo 29  e,  ancor  prima,  21  febbraio  1975,
Golder  contro  Regno  Unito,   paragrafo   45),   come   del   resto
espressamente riconosce, in altro contesto regionale  di  tutela  dei
diritti umani, l'art. 8, paragrafo 2, lettera d),  della  Convenzione
americana sui diritti umani. 
    Con  riferimento  in  particolare  ai  colloqui  tra  detenuti  e
difensore, la Corte di Strasburgo ha osservato che,  se  un  avvocato
non potesse conferire con il suo cliente e ricevere da lui istruzioni
riservate al riparo della sorveglianza da  parte  dell'autorita',  la
sua assistenza tecnica perderebbe  gran  parte  della  sua  utilita',
mentre la Convenzione mira a garantire diritti concreti ed  effettivi
(sentenza 28 novembre 1991, S.  contro  Svizzera,  paragrafo  48;  in
senso analogo, piu' di recente, sentenza 27  novembre  2007,  Zagaria
contro Italia, paragrafo 36; grande camera, sentenza 12 maggio  2005,
Öcalan contro Turchia, paragrafi 133 e 135); e  cio'  anche  rispetto
alla necessita' di assicurare la tutela del detenuto contro eventuali
abusi delle autorita' penitenziarie (sentenze 30 gennaio 2007, Ekinci
e Akalin contro Turchia,  paragrafo  47;  25  marzo  1992,  Campbell,
paragrafo 47). 
    Come gia' di recente rammentato da  questa  Corte,  inoltre,  «il
diritto del detenuto a conferire con il difensore  forma  oggetto  di
esplicito e puntuale riconoscimento in  atti  sovranazionali,  tra  i
quali la raccomandazione  R  (2006)2  del  Consiglio  d'Europa  sulle
"Regole penitenziarie europee", adottata dal  Comitato  dei  Ministri
l'11 gennaio 2006, che  riferisce  distintamente  il  diritto  stesso
tanto al condannato  (regola  numero  23)  che  all'imputato  (regola
numero 98)» (sentenza n. 143 del 2013). 
    Identica raccomandazione e', infine, contenuta  nella  regola  61
delle "United Nations Standard Minimum Rules  for  the  Treatment  of
prisoners" (le cosiddette "Mandela Rules"),  adottate  dall'Assemblea
generale delle Nazioni Unite il 17 dicembre 2015, ove  si  sottolinea
la necessita' che ai detenuti - senza distinzione tra  condannati  in
via definitiva  e  imputati  -  sia  assicurata  la  possibilita'  di
comunicare e di consultarsi con un legale  di  propria  scelta  o  un
avvocato d'ufficio «without delay, interception or censorship and  in
full confidentiality», precisandosi altresi'  che  i  colloqui  orali
possano svolgersi sotto la  sorveglianza  visiva,  ma  non  auditiva,
degli agenti penitenziari. 
    4.3.- Non v'e' dubbio che la sottoposizione a  visto  di  censura
della corrispondenza con  il  proprio  difensore,  discendente  dalla
disposizione  censurata,  costituisca  una  vistosa  limitazione  del
diritto in  questione.  La  procedura  di  visto  comporta,  infatti,
l'apertura della corrispondenza da parte dell'autorita' giudiziaria o
dell'amministrazione penitenziaria delegata, la sua integrale lettura
e il suo eventuale "trattenimento" - ossia  la  mancata  consegna  al
destinatario,  sia  questi  il  difensore  o  lo  stesso  detenuto  o
internato. Tale procedura comporta dunque in ogni caso,  oltre  a  un
rallentamento della consegna  della  corrispondenza,  il  venir  meno
della sua segretezza; e  puo'  determinare,  altresi',  l'impedimento
radicale della comunicazione, sulla base del  giudizio  discrezionale
dell'autorita' che esercita il controllo. 
    La giurisprudenza di questa Corte  considera,  peraltro,  che  il
diritto alla liberta' e segretezza delle comunicazioni con il proprio
difensore non sia assoluto, e sia soggetto a possibili  bilanciamenti
con altri interessi  costituzionalmente  garantiti,  entro  i  limiti
della ragionevolezza e della  proporzionalita',  e  in  ogni  caso  a
condizione che non risulti  compromessa  l'effettivita'  del  diritto
alla difesa (sentenza n. 143 del 2013, punto  6  del  Considerato  in
diritto, e ulteriori  pronunce  ivi  richiamate,  riferite  anche  ad
aspetti differenti del diritto di difesa). Analogamente, la Corte EDU
considera in linea di principio ammissibili limitazioni al diritto in
questione, purche'  fondate  su  un'idonea  base  legale,  e  purche'
proporzionate rispetto ai fini legittimi perseguiti  dal  legislatore
(per tutte, ancora Corte EDU,  Ekinci  e  Akalin  contro  Turchia,  e
Campbell, paragrafo 34). 
    Rispetto poi  alla  generalita'  delle  limitazioni  dei  diritti
fondamentali imposte ai detenuti o  internati  sottoposti  al  regime
differenziato di cui all'art. 41-bis ordin. penit., la giurisprudenza
di questa Corte e' costante nel ritenere che tali limitazioni - assai
piu' onerose di quelle ordinariamente imposte ai detenuti e internati
"comuni" - siano  costituzionalmente  legittime  soltanto  in  quanto
appaiano, da un lato, funzionali rispetto  alla  peculiare  finalita'
del regime speciale in parola, che mira non  gia'  ad  assicurare  un
surplus di punizione per gli autori di reati  di  speciale  gravita',
bensi' esclusivamente a contenere  la  persistente  pericolosita'  di
singoli  detenuti,  «in  particolare  impedendo  i  collegamenti  dei
detenuti appartenenti alle organizzazioni criminali tra loro e con  i
membri di queste che si trovino in  liberta'»  (sentenza  n.  97  del
2020, punto  6  del  Considerato  in  diritto);  e,  dall'altro,  non
risultino sproporzionate, in quanto eccessive rispetto a  tale  scopo
legittimo,  e   irragionevolmente   gravose   rispetto   ai   diritti
fondamentali di cui restano titolari anche le persone  sottoposte  al
regime differenziato di cui all'art.  41-bis  ordin.  penit.,  ovvero
siano tali da vanificare del  tutto  la  funzione  rieducativa  della
pena; o ancora si risolvano, addirittura, in trattamenti contrari  al
senso di umanita' (cosi', con varie formulazioni, la stessa  sentenza
n. 97 del 2020, nonche' sentenze n. 197 del 2021, n. 186 del 2018, n.
376 del 1997 e n. 351 del 1996). 
    4.4.- E' dunque sulla base  di  tali  principi  che  deve  essere
vagliata la legittimita' costituzionale della limitazione del diritto
di comunicare liberamente, e in maniera confidenziale, con il proprio
difensore, desumibile dalla disposizione censurata  in  relazione  ai
detenuti e internati in regime differenziato di cui  all'art.  41-bis
ordin. penit. 
    4.4.1.-  Questa  Corte,  esaminando  alcuni  anni  or   sono   la
previsione, introdotta dalla legge n. 94 del 2009, di  rigidi  limiti
quantitativi settimanali ai colloqui con il difensore dei detenuti  e
internati in regime differenziato ex art. 41-bis  ordin.  penit.,  ne
dichiaro' l'illegittimita' costituzionale per contrasto con l'art. 24
Cost., osservando che tale  disciplina  realizzava  un  irragionevole
decremento di tutela di un diritto fondamentale (quello  alla  difesa
tecnica), cui non faceva riscontro un  corrispondente  incremento  di
tutela di altro interesse di pari  rango  (quello  alla  salvaguardia
dell'ordine  pubblico  e  della  sicurezza).  Infatti,  posto  che  i
colloqui con i difensori - diversamente da quelli con i  familiari  e
conviventi o con terze persone - restano sottratti all'ascolto e alla
videoregistrazione, i limiti di cadenza e  di  durata  normativamente
stabiliti risultavano suscettibili di penalizzare la difesa,  ma  non
valevano «ad impedire, nemmeno parzialmente, il temuto  passaggio  di
direttive e di  informazioni  tra  il  carcere  e  l'esterno,  ne'  a
circoscrivere in modo  realmente  significativo  la  quantita'  e  la
natura dei messaggi che si paventano scambiabili, per il tramite  dei
difensori, nell'ambito dei sodalizi  criminosi».  D'altra  parte,  si
sottolineo' come l'eventualita' che persone pur «appartenenti  ad  un
ordine professionale (quello degli avvocati), tenute al  rispetto  di
un codice deontologico nello specifico  campo  dei  rapporti  con  la
giustizia e sottoposte alla  vigilanza  disciplinare  dell'ordine  di
appartenenza», si prestino a fungere da tramite fra il detenuto  e  i
membri dell'organizzazione criminale, «se non puo' essere  certamente
esclusa a priori, neppure  puo'  essere  assunta  ad  una  regola  di
esperienza, tradotta in enunciato normativo: apparendo, sotto  questo
profilo,  la  situazione   significativamente   diversa   da   quella
riscontrabile in rapporto ai colloqui con persone legate al  detenuto
da vincoli parentali o affettivi, ovvero con terzi  non  qualificati»
(sentenza n. 143 del 2013). 
    4.4.2.-  Analoghe  conclusioni   si   impongono   rispetto   alla
disposizione ora all'esame. 
    Come la generalita' delle misure previste dall'art. 41-bis, comma
2-quater,  ordin.  penit.,  anche   il   visto   di   censura   della
corrispondenza contemplato dalla lettera  e)  mira  essenzialmente  a
impedire  che  il  detenuto  o  l'internato  possano   continuare   a
intrattenere rapporti con l'organizzazione criminale di appartenenza,
e a svolgere  cosi'  ancora  un  ruolo  attivo  all'interno  di  tale
organizzazione,  in  particolare  impartendo  o  ricevendo  ordini  o
istruzioni rivolti a, o provenienti da, altri membri del sodalizio. 
    Sotto questo profilo, non puo' escludersi in  assoluto  che  tali
ordini  o  istruzioni  possano  essere  trasmessi  anche   attraverso
l'intermediazione  di  un  difensore;   sicche'   l'estensione   alle
comunicazioni con i difensori  del  visto  di  censura  potrebbe,  in
astratto, ritenersi misura funzionale a ridurre il rischio di un tale
evento. 
    Riguardata, pero', nel contesto delle altre misure  previste  dal
comma 2-quater dell'art. 41-bis ordin.  penit.,  la  disposizione  in
esame si appalesa del tutto inidonea a tale scopo, dal momento che il
temuto scambio di informazioni tra difensori e detenuti  o  internati
potrebbe  comunque  avvenire  nel  contesto  dei  colloqui  visivi  o
telefonici, oggi consentiti con il difensore in numero illimitato,  e
rispetto al cui contenuto non puo' essere operato alcun controllo. 
    Inoltre, la misura - che  incide  sul  diritto  fondamentale  del
detenuto o internato in misura ancora piu' gravosa rispetto a  quella
giudicata costituzionalmente illegittima dalla menzionata sentenza n.
143 del  2013,  non  ponendo  meri  limiti  quantitativi  ma  potendo
addirittura impedire che talune  comunicazioni  giungano  al  proprio
destinatario  -  appare  certamente  eccessiva  rispetto  allo  scopo
perseguito, dal momento che sottopone a controllo preventivo tutte le
comunicazioni del detenuto  con  il  proprio  difensore.  E  cio'  in
assenza di qualsiasi elemento concreto  che  consenta  di  ipotizzare
condotte illecite da parte di quest'ultimo. 
    In effetti, come osserva anche l'amicus curiae,  la  disposizione
censurata si fonda su una generale e insostenibile presunzione - gia'
stigmatizzata dalla sentenza n. 143 del  2013  -  di  collusione  del
difensore con il sodalizio criminale, finendo cosi' per  gettare  una
luce di sospetto sul ruolo insostituibile che la professione  forense
svolge per la tutela non solo dei diritti fondamentali del  detenuto,
ma anche dello stato di diritto nel suo  complesso.  Ruolo  che,  per
risultare effettivo, richiede che il detenuto o  internato  possa  di
regola comunicare al proprio avvocato, in maniera libera e riservata,
ogni informazione potenzialmente rilevante  per  la  propria  difesa,
anche rispetto alle modalita' del suo  trattamento  in  carcere  e  a
violazioni di legge o di regolamento che si siano,  in  ipotesi,  ivi
consumate. 
    Infine, il vulnus al diritto di  difesa  risulta  particolarmente
evidente nei confronti dei detenuti meno abbienti. Qualora infatti il
detenuto sia stato trasferito in una struttura penitenziaria distante
dalla citta' in cui ha sede  il  proprio  difensore  di  fiducia,  la
corrispondenza epistolare potrebbe divenire  il  principale  mezzo  a
disposizione  per  comunicare  con  lo  stesso  difensore;  mentre  i
detenuti provvisti - anche in ragione della propria posizione apicale
nell'organizzazione criminale - di maggiori disponibilita' economiche
potrebbero assai piu' agevolmente sostenere i  costi  e  gli  onorari
connessi ai viaggi del proprio avvocato finalizzati allo  svolgimento
dei colloqui. 
    4.5.-  Da  cio'  deriva  l'illegittimita'  costituzionale   della
disposizione censurata per contrasto con l'art. 24 Cost., nella parte
in cui non  esclude  dalla  sottoposizione  a  visto  di  censura  la
corrispondenza intrattenuta con i difensori. 
    5.- Restano assorbite le ulteriori censure. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 41-bis,  comma
2-quater, lettera e), della legge  26  luglio  1975,  n.  354  (Norme
sull'ordinamento  penitenziario  e  sulla  esecuzione  delle   misure
privative e limitative  della  liberta'),  nella  parte  in  cui  non
esclude dalla sottoposizione a visto  di  censura  la  corrispondenza
intrattenuta con i difensori. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 2 dicembre 2021. 
 
                                F.to: 
                   Giancarlo CORAGGIO, Presidente 
                    Francesco VIGANO', Redattore 
             Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria 
 
    Depositata in Cancelleria il 24 gennaio 2022. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA